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sabato 28 dicembre 2013

Fare l’Andreotti con Andreotti

Molto Nuovo Sacher, che però non disturba: l’egotismo morettiano, o il tutto-me, cabarettistico, dal principio alla fine, e il tempo lento, la ripetizione, l’infanzia del cinema iraniano. I ritratti di Boris Giuliano e del giudice Chinnici, i primi artefici della vera guerra alla mafia poi dimenticati, sono commoventi. Ma l’irrompere della vera mafia, coi filmati d’epoca, stride col sarcasmo della narrazione. Il “doppio registro fatto di ironia e fredda presentazione dei fatti, in una originale alternanza tra momenti comici e pugni allo stomaco” andrà bene in tv ma disorienta al cinema e allontana.
Senza contare - inevitabile paratesto - che Andreotti, l’“eroe” del bambino innocente, al centro di tante gag, si reincarna (questione generazionale, solitudine, onnivorismo) in Renzi, che di “Pif” è eroe vero, non per ridere. Alla fine il tono è “andreottiano” - non lo è, gli manca il cinismo, ma per il resto sì. Il pubblico lo sente, che è molto per bene.
Pierfrancesco “Pif” Diliberto, La mafia uccide solo d’estate, con Cristiana Capotondi, Maurizio Marchetti

Il partito del Capo merita di più

Un tema coraggioso, ma svolto nell’ambito di una ricerca (coordinata da Ilvo Diamanti e Mauro Calise) che insegna poco – i sermoni politicamente corretti di cui siamo pieni le 24 ore: nella fattispecie, la sinistra infettata dal berlusconismo, o personalizzazione della politica: il “corpo del Capo”, il “belletto del Capo”, l’“uomo della Provvidenza”, il “fascismo”, la velenosa faciloneria di Scalfari, divertito provocatore, che diventa scemenzario tra gli studiosi.Senza vedere il fatto: che l’Italia in Europa sta sperimentando la politica a venire. Per di più trascurando la trattatistica, notevolissima in materia: le élites di Mosca, Sorel, perché no, Michels, Pareto, il carisma di Max Weber, la società agiata di Veblen, molto Arendt, sul consenso e la disobbedienza di massa, e i tanti studi sul plebiscitarismo del sistema rappresentativo americano, presidente, governatori, sindaci, primarie comprese. Un po’ più di studio?
Fabio Bordignon, Il partito del capo. Da Berlusconi a Renzi, Apogeo Education, pp. 280 € 25

Secondi pensieri - 160

zeulig

Amicizia – Annegata nell’omosessualità – il sospetto freudiano, per cui ognuno è un altro, e il pansessualismo – e nella mafiosità, merita un riesame. Nella condizione umana, in società, in famiglia, e tra gli stessi amanti. In una col rispetto - con l’Alterità.
Sant’Agostino la include tra “i beni propri della natura umana”, come la salute.

È egualitaria. Il modo più diretto, economico anche, di essere del Sé con l’Altro. Anche se qualcuno arguisce il concetto classico dell’amicizia  come un mutuo, disinteressato, rapporto di benevolenza – si deve a Cicerone, “Lelio, o dell’amicizia”, che il vero amico si riconosce nelle avversità, e il reciproco rapporto tra persone che hanno un comune “sentire”.

Per sant’Agostino, “Lettera ai catechisti”, il proprio dell’amicizia è “godere reciprocamente in mutua familiarità” – dove godere sta probabilmente per gioire. L’amicizia, dice anche il santo, viene meno se imposta, esige reciprocità. Lo dice secondo la dottrina classica dell’amicizia, e in rapporto all’amore, che invece concepisce come dono di Dio, quindi gratuito, in forza della fede.

Barbarie – Ha volto necessariamente umano, non può essere altrimenti . Non c’è barbarie tra gli animali, semmai qualche catena alimentare - o è barbara la natura? Ma ce l’ha perché se ne maschera, senza ipocrisia:  il totalitarismo è prima di tutto convincente. Siccome i totalitarismi del secolo scorso sono stati sconfitti, uno dagli Alleati e uno dalla Polonia, si tende a dannarli. Ma un momento prima erano ben popolari . Anche fuori dai confini, dal dominio totalitario – il sovietismo vive ancora in molti cuori.

Diavolo – Papa Francesco lo rilancia. Come già Paolo VI – che però sapeva di zolfo, l’unico papa di cui non si opera la beatificazione (dispensata perfino a Pio XII, un diplomatico, cioè un mentitore per professione). È un personaggio comodo: il Male ipostatizzato, e quasi un bersaglio alle freccette, al tiro a segno. Localizzando il Male, ci accorda un vantaggio: si sa dove il Male è. O meglio: si suppone, perché poi non si sa. È come quando un tumore diffuso viene localizzato: è un po’ meglio. E come presenza, seppure indistinta, è rasserenante, poiché si può stigmatizzare. Seppure si qualifichi come tentatore: una bella donna tentatrice, per esempio, non è male, o un milione in contanti dimenticato sul tavolo
È vero anche che non si nasconde, si presenta anzi – diabolicamente ? – sotto falsi nomi. L’originale biblico Satana è quello che impedisce, blocca. Mentre si sa che, invece, si insinua, flessibile, mascherato. I traduttori in greco della “Bibbia” lo fecero Diavolo, da dia di dialogo e bolos  di ballein, che è “gettare” e “danzare”, quindi un “interballerino”, uno che danza in mezzo – già più intromettente. Ma è come demone, altra traduzione greca, che è meglio reso: spirito del Male. L’altra forma dello Spirito che procede da Dio. Il Male, come la santità, non cessa di soffiare dallo Spirito?

Dio –  È utile, anche necessario: per mettere l’uomo in quadro. Ne marca i limiti, senza negarne la specialità, anzi. Nella vita – la natura, il mondo.
Non per un calcolo di efficienza. Con Dio e senza Dio, l’uomo fa ottime cose, e ne fa di terribili. Senza, però, sbarella: è come se perdesse la misura.
L’Assoluto, giusto il significato della parola, va subìto, fuori di sé. Pena lo smarrimento. Non  ha altro senso l’angoscia (crisi), nel mondo più ricco e più sano di sempre. O la solitudine nella comunicazione invadente, schiacciante.

Felicità - Come fine ultimo, si lega a Epicuro. Probabilmente a torto – la quiete dell’animo è altra cosa che una corsa a cronometro, in cui si combatte contro un avversario, anzi contro tutti, senza vederli. Forse è una palla alzata dall’utilitarismo, che consente a J.S.Mill, “L’utilitarismo”, II, di dire che “è meglio essere un uomo infelice che un porco soddisfatto”.

Sant’Agostino è quello probabilmente che ci ha messo più impegno a definirla – anche a inseguirla personalmente. Per ricondurre il tutto a Dio, e all’amore di dio Ma su un impianto inappuntabile: la felicità dev’essere perfetta - immutabile e eterna – altrimenti è fonte d’infelicità. Che sembra un’esclusione della felicità come ricerca, ma non lo è.

Filosofia - È orgoglio, un esercizio in oneupmanship: ogni filosofo è più dei precedenti. Più assertivi di tutti sono gli scettici.

Forma – Il Gestalt  è la forma mentis. Oggi sempre più “immagine”.

Madre – È come dice sant’Agostino, l’eredità – continuità e discontinuità insieme. È  incubatrice. Per un fatto fisiologico, come sottolinea l’ebraismo, ma nel senso più ampio, della complessità corporale. Della razionalità della complessità, fisica e spirituale, corporea nel senso della circolazione delle passioni e le energie neuronali, sanguigne.
L’uomo può essere padre, ma è sempre figlio. Anche quando era patriarca, era sua madre. E non poteva escludere la madre dei suoi figli. Succede anche nella poligamia: i figli sono della madre. Si riconoscono come tali. Anche nel mondo arabo, benché l’anagrafe sancisca la patrilinearità, ibn e abu, figlio e padre. Nella monogamia e nella poligamia, l’uomo è il nutritore – il provveditore. In Africa la poligamia si vuole matriarcale, l’uomo, anche chief, tribale o di villaggio, è piuttosto un juju, cosa animata: è stato un figli, e i suoi figli sono della madre.

Suicidio – È “passione vile” per Porfirio, che pure ne fu tentato, scoraggiato in tempo dal maestro Plotino. Aristotele lo ritiene un’ingiustizia contro lo Stato. O non dello Stato? Anche per i primi cristiani il martirio ricercato non era onorevole. Tuttora turba gli esegeti il martire cristiano che abbraccia il boia, le belve, il fuoco, l’acqua: Germano, Ignazio, le donne di Edessa, la legione dei 6666 uomini, e Pelagia, di cui Baronio, lo storico dei santi, dirà: “Quia ad hoc dicamus, non habemus”, non so che dirne. È che l’indifferenza dei martiri alla tortura, alla croce, ai leoni faceva impazzire Nerone, come più tardi il Grande Inquisitore.
Gesù stesso, però, insinua Donne, affrettò la sua morte sulla croce rispetto ai ladroni, testimone san Tommaso d’Aquino: “Cristo fu causa della sua propria morte, come lo è del suo bagnarsi colui che potrebbe ma non chiude le finestre, quando piove”. Maometto ergerà il suicidio a prova della fede, rimproverando agli ebrei la scarsa propensione: “Se la vostra religione è così buona, perché non morite per essa?”. Ma l’argomento è meno solido dopo Hitler.

Il tema è l’irrazionalità del suicidio. È passare a miglior vita? È atto ostile? Contro chi, se stessi, gli altri, Dio - la vita, la natura? E quali altri? Il gesuita Johannes Robeck si annegò quando ebbe completata la ponderosa “Exercitatio philosophica de morte voluntaria philosophorum et bonorum virorum”. Philipp Mainländer s’impiccò il giorno in cui ebbe la prima copia della sua “Filosofia della liberazione”. La virtuosa Basilò, di cui in Callimaco, “posto il fratello sulla pira, non sopportò\di vivere”, di vivere più del fratello morto. Re Mida si soffocò col sangue di bue, stanco di lucidare ottoni perché sembrassero oro. Arunzio si uccise per fuggire l’avvenire e il passato. Cleombroto d’Ambracia si buttò, secondo Callimaco, nel buco dello Stige per nessun altro motivo che l’aver letto Platone sull’anima, ricavandone gran desiderio della vita futura. Platone fu fatale pure all’Uticense, ma quella è un’altra storia. Lukàks giovane, quello dei saggi vivi, “L’anima e le forme”, “Teoria del romance”, voleva suicidarsi per amore di Irma Seidler, che lo ispirava, e glielo annunciò in una lettera mai spedita, anche perché poco dopo fu lei a suicidarsi. L’amore, lo dice Ovidio, non conosce limite né pace se non nella morte, ma di chi?

zeulig@antiit.eu

venerdì 27 dicembre 2013

Meglio il cane di un figlio

Trent’anni fa si manifestava il grande freddo della demografia, le nascite non compensando le morti, il futuro implodeva. Alla stessa epoca, dopo le filippine ai lavori domestici, i figli, fratelli e mariti cominciarono ad arrivare curiosi. Alcuni, quelli queer, a fare il maggiordomo a righine, i più a portare a spasso il cane – a volte più di uno: l’immigrazione filippina rinsaldò per un decennio la vacillante borghesia. Ma portare a spasso il cane a cinque – anche a otto – mila lire l’ora suscitava più rabbia che riconoscenza. Che si potesse spendere la paga settimanale di un onesto lavoratore a Manila o Mindanao per mandare un’ora a passeggiare il cane. Era l’inizio dell’effetto sostituzione.
Ora “Astra” pubblica l’oroscopo a quattro zampe, distinto per i cani e per i gatti, accanto a quello degli umani – “anche i nostri amici animali sono influenzati dagli astri: le stelle, con le loro posizioni al momento della nascita, e poi con i transiti rispetto ai vari segni zodiacali, tracciano per Micio e Fido periodi più o meno propizi…”. Il nuovo stato di famiglia lo richiede. Ci sono circa 7,5 milioni di cani che vivono in casa: la cifra è nota perché sono iscritti all’anagrafe. I gatti sarebbero sugli otto milioni. Gli umani in età 0-14 anni sono 8,5 milioni. In numero pari, quindi, ai cani o ai gatti. Dieci milioni di famiglie ospitano un animale in casa, poco meno di una famiglia su due. L’inverso che per gli umani, che per il 53 per cento del totale dei nuclei familiari (22.907.000) sono soli o in coppia. Sempre più nuclei familiari “alternativi” a quello tradizionale sono formati da “un umano+uno o più pet”, secondo le associazioni di settore.
Rispetto a trent’anni fa la fecondità è in aumento, la fecondità umana, ma per un numero più elevato di partorienti di origine o nazionalità straniera. L’Istat calcola la fecondità in Italia nel 2012 a 1,42 figli per donna, ancora molto al di sotto della soglia di 2,1 che permette il rinnovo della popolazione, ma superiore al minimo di 1,19 figli per donna del 1995. Con un numero di figli per donna straniera notevolmente superiore a quello delle italiane, 2,37 contro 1,29. Il tasso di natalità dell’Italia è stato peraltro nel 2012 del 9,0 per mille, il livello più basso mai registrato. Il tasso di natalità è il numero annuo di nascite per mille abitanti. Per effetto sostituzione s’intende, nella teoria del consumatore, la variazione nel paniere dei beni consumati in ragione dei “prezzi” relativi delle merci. Non si può propriamente dire che un pet sostituisce un bambino, ma è come se. A tutti gli effetti, economici e psicologici.
Senza crisi
C’è comunque Babbo Natale anche per loro: per gli animali da compagnia, per i regali di Natale, l’Italia spende quest’anno circa 40 milioni. Roba di ottima qualità e anche griffata – c’è un “pet made in Italy” che esporta anche molto: per l’alimentazione i prodotti più sani (senza conservanti, senza additivi, etc.) e gustosi (le specialità sono variatissime), e per la “persona” e il tempo libero quelli più ricercati per design e materiali.
Più in generale, gli animali domestici vanno controtendenza, sfidano la crisi. Il rapporto 2013 di Assalco (Associazione Nazionale Imprese per l’Alimentazine e la Cura degli Animali da Compagnia) e Zoomark International constata che “nonostante la crisi economica, gli italiani non rinunciano a garantire ai loro animali un’alimentazione sana e sicura”. Il segmento principale di spesa, quello per cani e gatti, si attesa sui 1.800 milioni. Con un aumento costante in valore, seppure contenuto, e un lieve calo ultimamente nei volumi, “ma per effetto della riduzione degli sprechi, facilitata dai monodose, e dal minor consumo giornaliero dei cani di piccola taglia”, che si preferiscono sempre più. Prosegue pure “il momento favorevole degli accessori (prodotti per l’igiene, giochi, guinzagli, trasportini, cucce, ciotole, gabbie, voliere, acquari, tartarughiere, articoli per il viaggio e utensileria varia)”, con un mercato valutato in poco meno di 500 milioni, quasi tutto per cani e gatti.
L’Italia è in linea qui con la globalizzazione. Il mercato internazionale del pet food vale 94 miliardi di dollari, di cui 67 miliardi solo di alimenti per cani e gatti, in costante crescita. In Europa (considerando Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Spagna, Olanda) le vendite del petcare continuano a crescere malgrado la crisi. Negli Stati Uniti la spesa per prodotti pet ha raggiunto i 55 miliardi di dollari (oltre 42 miliardi di Euro).
La spesa sanitaria ancora non è comparabile. Ma è in forte crescita. Il numero dei veterinari si stima in 6.800, quello dei pediatri in 14 mila, ma la forbice si va ridicendo.  Comincia ad assumere cifre sostanziali anche l’abbattimento fiscale per spese sanitarie relative ai pet.
Non chiedono nulla
La tradizione è forte, degli animali domestici, nel mito, la poesia e anche la storia. Dall’Egitto a Cartgaine, e ai fratelli Piccolo, i cugini esoterici del Gattopardo, che hanno lasciato un cimitero dei loro cani nella villa di Capo d’Orlando. Byron dettò questa epigrafe per il suo Terranova Boatswain, nato a maggio del 1803 e morto il 18 novembre 108: “Bello senza vanità, forte senza insolenza, coraggioso senza ferocia”. Nuovo è il loro ruolo domestico “sostitutivo”. Fino a diventare una sorta di programma politico, anch’esso “sostituivo”, alle ultime elezioni, in concorrenza con Dudu, il cagnolino dei fidanzati Pascale-Berlusconi.
Tra le famiglie che non hanno un pet, la maggior parte vorrebbe averli, il 53 per cento. “Si tratta di un dato potenziale”, dice il rapporto Assalco, che però è in linea “con un altro più realistico: il 20 per cento sta pensando di adottare un pet nei prossimi mesi”. E c’è un motivo. Anzi cinque, secondo un’indagine di settore, “ciò che la «gente» pensa dei cani e dei gatti domestici, indipendentemente dall’esserne proprietari”:
- «i cani e i gatti aiutano a stare meglio» - 84 per cento
- «danno molto, senza nulla chiedere in cambio» - 81 per cento
- «tengono davvero compagnia» - 80 per cento
- «sono veri e propri componenti della famiglia» - 70 per cento
- «sono di grande aiuto nei momenti difficili» - 65 per cento”.
Soprattutto il punto due: l’animale da compagnia non chiede nulla in cambio.

Letture - 157

letterautore

Beckett – È stato il logico della Rete? Ne è il grammatico. Del teatro internettiano. Nei gruppi, le chat, i forum, sui blog, su twitter, su facebook, ognuno esprime se stesso interloquendo solo temporalmente con gli altri – nel senso che una battuta segue l’altra, senza accordarvisi. Che non legge e a cui in realtà non risponde. Imponendosi e obliterando l’altro. Una conversazione asintotica, in cui ognuno s’inalbera a un certo punto – una virgola, un aggettivo, una preposizione, un malinteso. E si eleva come per levitazione, o anche perpendicolarmente si erge (s’imbizzarrisce, si direbbe in una conversazione equina).
Lo stesso apparato di segnalamento, con le tag o parole chiave, definisce una comunicazione asintotica (asintattica).

Confessione – Charles Dantzig, “Dictionnaire egoïste de la littérature française”, definisce “avvocati” gli scrittori di confessioni, autori che “si indirizzano a un pubblico, giudici immaginari o platea plaudente”. Poi caratterizza Stendhal, scrittore di molti diari, annotazioni, lettere,  e dei “Ricordi di egotismo”, per “l’assenza di narcisismo”. Che sembra una battuta, ma ha una ragione: si è tentato d’identificare Fellini con la “dolce vita”, piega Dantzig, mentre Fellini era contro, e così Stendhal, si scrisse perché non si trovava.

Dante – La sua forte filologia e la forte politologia sono vive ancora dopo sette secoli. Anch’esse contribuiscono alle sue periodiche resurrezioni.

U. Eco – Burlesco? Anche lo studioso, a suo modo, lo è, che fa la semiologia di Mike Bongiorno, o di Pinocchio, o del conte di Montecristo e il romanzo popolare. Non irridente, ma sorridente sì. È è lo studioso del “qui lo dico e qui lo nego”, o “che scienza è questa”: molto  decostruttivista. Della scienza con la falsa scienza. Della storia col complotto permanente. Dovunque mette mano, anche ai famosi suoi repertori, la vertigine della lista, il bello, il brutto, il leggendario, è con lo scalpello abrasivo.
Rinnova un genere molo “italiano” nei primi secoli, e poi trascurato e anzi cancellato.  

Parola - In teatro è diventata insignificante, un fondo sonoro, un borbottio. Non da ora, da un paio di generazioni. Bisogna risalire ai grandi vecchi, Albertazzi, Paolo Poli, per apprezzare una dizione dalla prima all’ultima parola in teatro, sia pure per un paio d’ore di fatica. Il teatro ha adottata la forma mimo o danza, il linguaggio dei corpi, del movimento, delle forme. Forse più universale, ma nel senso dell’arricchimento, o non dell’impoverimento, della comunicazione?
La dizione è trascurata, e quindi la parola, in italiano e nella drammaturgia di lingua tedesca, non in quella inglese, per esempio. Sono tendenze nazionali? Di rifiuto, al fondo, della propria lingua.
Lo stesso al cinema. Anche al cinema la recitazione in italiano è poco comprensibile. Gli unici film “parlati” sono peraltro anglo-americani. E quattro quinti delle produzioni si girano in inglese. Non per questo o quel mercato - nei maggiori mercati, in Asia, il film è comunque doppiato. Per il rifiuto della propria parola, insignificante.

Plagio - La voce di Marlon Brando che caratterizza “Il padrino” è quella di Al Capone (è detto Ghette Colombo nel film, ma la figura, fisica e sorica, è di Capone) in “A qualcuno piace caldo”. Che è forse il soggetto più rifatto al cinema. Esso stesso remake di un film tedesco di otto anni prima, “Fanfaren der Liebe”, su soggetto di uno dei due soggettisti di “A qualcuno piace caldo”, Michael Logan. Poi adattato in molte versioni solo lievemente diverse.
Al cinema il rifacimento è la norma, ogni volta con copyright diverso. Il reato di plagio resta dove è meno rilevabile, nella musica e la prosa, nelle quali un accordo, di note o di parole, può variare anche solo per il modo di dar loro suono e senso – la lezione di Borges nel racconto“Pierre Menard, autore del Don Chisciotte”.

Pasolini - È un altro in due scelte che René De Ceccatty pubblica in Francia, i “Sonnets” e “Adulte? Jamais!”. Un poeta poeta, quale era e si voleva - prima che agitatore, a disagio e confuso, e per questo perentorio. Entrambe le raccolte sono ora disponibili anche in Italia, da una diecina d’anni, ma annegate nei due “Meridiani” ponderosi che Water Siti ha curato, non ci sono edizioni accessibili ai più. I “Sonetti” sono quelli scritti quanto l’amatissimo Ninetto Davoli gli annunciò che si sposava. L’antologia si compone di molte poesie dei vent’anni, poco prima e poco dopo il caso di pedofilia per il quale il poeta fu processato e che risolse lasciando il Friuli per Roma, col sostegno sempre della madre: il “Canzoniere per T”, Tonuti Spagnol, il ragazzo di cui era innamorato, 1946-1947, molte poesie in friulano del 1943-45, alcune della raccolta “Le cose”, altre da “L’italiano è ladro”, contemporanee allo scandalo. C’è poi molto del “Diario” a Roma all’arrivo, nel 1950, e del successivo “Ritmo romano”. Anche la scelta tratta dall’“Usignuolo della chiesa cattolica” è diversa: “La Passione, “L’Annunciazione”, L’illecito”, “Il narciso e la rosa”, “Deserto”, “L’Italia”..
Non sarà “tutto il vero” Pasolini, ma una parte importante sì – che ancora si tace,

Stendhal - È il romanziere della politica. In tutte le sfaccettature: romantica, eroica, corrotta (appalti). L’unico che la fa rivivere (vibrare) in racconto – Nievo si potrà dire stendhaliano. Si lega Balzac agli appalti, Flaubert alla donna, Tolstòj alla guerra (pace), Dostoevskij al demonio, Kafka all’assenza.
Un narratore razionale, dunque. Lo si vuole in passionale, ma non si vede dove. Nei “Diari”? Uno stendhaliano, Jacques Laurent, opina che la “passione” sia solo tattica: un’affettazione in una strategia complessivamente ludica, o d’azzardo – di gioco. Una conclusione non affrettata, Laurent ci arriva con letture comparate di vari testi simultanei, lettere, diari, narrazioni.

È al seguito di Napoleone, alla conquista dell’Italia, attraverso le Alpi, e a Milano da liberatore, a 17 anni. Si capisce che sia rimasto sempre in quel’età felice, e infelice.
Al seguito di Napoleone fu anche in Russia, l’unico scrittore che abbia avuto visione diretta del silenzio di Mosca, l’incendio, il gelo, la fame, il panico (paura). E non ne ha scritto - giusto in una lettera alla sorella Paolina. Neanche nelle voluminose esercitazioni per l’abortito “Napoleone”. Le ha trasfigurate nella confusa Waterloo di Fabrizio Del Dongo nella “Certosa”? Ma la Russia ha preso sei mesi, d’incertezze più che di successi, e di disastri – di oltre 600 mila soldati della Grande Armée tornarono poco più di 100 mila, altrettanti restarono prigionieri, 400 mila morti o dispersi.

Liberale conservatore, nelle attitudini, e soprattutto nel linguaggio. Che l’Ottocento rifiutava – l’Ottocento non amò Stendhal – perché ancien régime.

letterautore@antiit.eu

Il postmoderno comincia con Bernhard

A vent’anni dalla traduzione, a trenta dalla pubblicazione, questa autofiction, ultima parte dell’autobiografia, che Bernhard ha scritto a ritroso, ciò che sembrava brillante lo è ancora. Sul tono desecratorio, anche quando è grato o comunque felice, che Céline aveva imposto e in cui eccelle. Con un più di costruttivismo – l’abominazione di Bernhard è sempre costruita, non viene dal fiele, o dalla condizione umana. E più che mai è la giunzione verso la scrittura postmoderna, di cui Foster Wallace, Baricco, saranno eccellenze, di aneddoti montati, agganciati, frase su frase, parola su parola, esercizi di abilità. Letture preziose di cui poi non si ricorda nulla. Ma di lui sì.
La fuga in bicicletta, a otto anni, per un impellente bisogno di andare da un’amata zia a 40 km. di distanza, della quale poi non sapremo più nulla, può essere un’avventura per qualche aspetto memorabile, Bernhard ne fa un memorabile esercizio di scrittura. Trent’anni fa, quando si scrisse bambino, ma anche prima, inaugurava il racconto come esercizio di bravura. Anche piegandosi all’ortografia, come qui comincia infine a fare.
La materia è dura. Thomas è il figlio non voluto, di un padre assente, partorito di nascosto in Olanda, dopo un lungo viaggio da Salisburgo, in un convento di suore, riconosciuto dalla mamma ma subito messo a balia a Rotterdam su una chiatta puzzolente, quindi cresciuto a cinghiate dalla stessa madre, tanto amorosa quanto disperata, in una famiglia di maschi, molto anarchici, molto grandi scrittori e grandi politici, che vivono a spese delle donne, la moglie, la figlia. Nonché del “tutore” di Thomas, il marito che la figlia si è infine trovato, un amico del fratello. Il nonno adorato che scrive il romanzo, “un individualista” che “fino al cinquantunesimo anno della sua vita non guadagnò praticamente niente”. E lo zio che fa il comunista, dentro e fuori il carcere, e poi il pittore, d’interni, l’imbianchino. Nella Vienna degli anni 1930, di fame e topi affamati.
Una memoria, per qual tanto che c’è, dei nonni. E della madre derelitta, anche quando è sposa, per l’abbandono mai digerito del primo uomo, il padre ignoto di Thomas. Dell’infanzia c’è poco. Mentre c’è un Bernhard socievole – se non è facilitato dalla traduzione di Renata Colorni: quaranta, cinquant’anni dopo, ricerca caparbio, rispettoso, i vecchi compagni di  scuola e d’infanzia, con i quali, com’è noto, è difficile poi dirsi alcunché. Con qualche sorpresa. La casa di correzione in Turingia non è diversa nel 1950 rispetto al 1939, del Reich millenario, solo c’è il comunismo invece del nazionalsocialismo.
Thomas Bernhard, Un bambino, Adelphi, pp. 148 € 16

giovedì 26 dicembre 2013

L’epoca è alla misantropia

Il “misantropo” oggi, seppure in alessandrini rotondi. Che Wilson e Luchini fanno vero, e anzi l’unico possibile.
Philippe Le Guay, Molière in bicicletta, con Lambert Wilson, Fabrice Luchini, Maya Sansa

Niente sacro, la leggenda è burlesca

È “una” storia dei luoghi leggendari, quella di Umberto Eco, naturalmente. Per cultura e carattere però ubiquo, e quindi con una singolare assenza: quella dei luoghi dello spirito. Molti altrettanto, se non di più,  famosi e figurati di quelli che Eco repertoria. Tra i luoghi che “hanno creato dei flussi di credenze” niente di religioso: i menhir di Carnac, per non dire di Stonehenge, o Polsi per non dire Dodona. Sarà che Eco non considera le fedi leggendarie? O altrimenti perché mutilarsi del sacro – il Graal, che Eco coltiva, è genere burlesco.
Umberto Eco, Storia delle terre e dei luoghi leggendari, Bompiani, pp. 478 ill. € 35

Problemi di base - 163

spock

Una preghierina per i cristiani assassinati, no?

Dicono che gli arbitri non sono razzisti con Balotelli, lo puniscono per rieducarlo: arbitri secondini?

Gli intercettatori obbediscono - ma a chi?

Che vita sarebbe se non parlassimo più, se non strumentalmente?

E se non figliassimo più?

Era Adamo, prima di Eva, ermafrodito?

Il problema è: credere a Salvini, oppure a Gattuso?

Il professor Monti, che era ascesso in politica, dove è finito?

E Renzi, è asceso al Pd, o il Pd è disceso a lui?

spock@antiit.eu

lunedì 23 dicembre 2013

Essere Europa, perché?

Non c’è più l’Europa nello scacchiere internazionale dopo la caduta del Muro. Se non come appendice agli Usa. L’Europa vale ora per la economia. Che non è brillante, è anzi stagnante. E fra tutte le grandi aree del mercato globale è la più inefficiente e la peggio governata. Sotto la ferula tedesco-merkeliana, un po’ miope un po’ suicidaria.
Ma è anche singolarmente scollata con gli Usa, cui solo rimane in qualche modo collegata e da cui ha ancora qualche riconoscimento, seppure impaziente. Alla fine però sempre e solo succube, anche delle politiche stravaganti o avventurose. Contro Putin e a favore dell’islam, per esempio, senza sapere perché, o contro l’Iran.

L’amicizia porta all’umanità

“Amicizia vuol dire comunione, gioia, arricchimento: comunione di vita, gioia di dare e di ricevere, arricchimento di sapienza e di grazia”. Qui sant’Agostino si riferisce alla vita in comune nei conventi. Ma è uno che ha “recepito e fatto proprio il concetto classico dell’amicizia”: Remo Piccolomini, che cura l’antologia e l’arricchisce di una estesa presentazione e cospicue note, dice l’amicizia agostiniana la “più umana delle espressioni di associazione che il cristianesimo ha preso” dall’antichità – tanto più a valere nella società contemporanea, malata d’“incomunicabilità”.
Curiosamente, i migliori testi agostiniani in materia, i più promettenti, per esempio “L’amicizia cristiana”, “La Regola”, ricorrono solo in nota o nell’introduzione, in brevi menzioni. O sono dette da Piccolomini meglio che nel testo, per es. la “Lettera a Proba”, con la fulminante conclusione: “In tutte le cose umane nulla è amico per chi non ha amico” – lo spirito di amicizia è la porta sull’umanità. Ma ce n’è abbastanza per far riemergere la materia dall’oblio in cui il pansessualismo l’ha precipitato.
C’è molta amicizia soprattutto nelle “Confessioni”. È il lascito buono degli anni della devianza, come sant’Agostino considerava i suoi primi trenta, dapprima nella deboscia poi nel manicheismo. E c’è il recupero di tutte le connotazioni che la classicità ha impresso all’amicizia – Pitagora, Socrate, Platone (“Liside”), Aristotele, Epicuro, Zenone, che tanto entusiasmò Yourcenar, e Cicerone, Seneca, Marc’Aurelio . La gratuità: “Esiste un’amicizia di benevolenza per la quale noi a volte offriamo dei doni a quelli che amiamo”. Ma “più genuino” è il trasporto verso chi “di nulla è bisognoso, a cui non devi dare nulla”, è “più puro e molto più sincero”. La reciprocità: il concetto classico dell’amicizia è di un continuo rapporto di benevolenza. E la virtù, la saggezza, come palestra, nel confronto e col conforto.
Sant’Agostino, L’amicizia, Città Nuova, pp. 150 € 10,50

L’ex Occidente di sponda all’islam

Dopo il Nord Africa, Tunisia, Egitto, Libia, e poi per tre anni ormai la Siria, ora la Turchia: Erdogan, islamico moderato, è messo sotto pressione da Fethullag Gülen, ricco predicatore, ex mullah, stabilitosi quindici anni fa negli Usa per avere più visibilità. Il tipo fautore del dialogo interreligioso e anche dell’islamizzazione radicale di Smirne, e di una repubblica islamica in Turchia: l’islam pratica e apprezza la dissimulazione (taqyia).
Un’alleanza stretta, di fatto, tra gli Stati Uniti – e una sorta di direttorio Nato con Francia e Inghilterra - e il radicalismo islamico, cioè con l’Arabia Saudita, governa il Sud del Mediterraneo. Reazionario al punto della ferocia. Cui l’Italia viene talvolta associata, talvolta no. Per non si sa ancora per quali fini: si dice la democrazia ma si sa che non è vero. Che c’entra la democrazia con gli orridi pogrom contro i cristiani, in Irak, in Pakistan, perfino in Egitto e in Tunisia, e in Nigeria, Sudan, ovunque. O le donne schierate in prima fila per chiedere meno diritti. 
L’alleanza aveva debuttato vent’anni fa in Algeria, favorendo il Gie islamico e le sue pratiche terroristiche d’inaudita violenza. Fallì per l’altrettanto violenta determinazione dell’esercito algerino. Ci ha riprovato con le primavere arabe, con uomini (e donne) in maschera, schierati in piazza a richiedere regimi islamici, e con tutti i trucchi di Madison Avenue, della pubblicità. Comprese le foto flou di madri in lacrime, col bimbo al seno, sotto le macerie o il fuoco nemico simboleggiato da nuvolette, che Dustin Hofmann, regista fallito, ha inventato per le guerre di Clinton oltre l’Adriatico – “Sesso e potere”, 1997. Un pattern, quello algerino, che potrebbe ripetersi in Egitto, dove i militari nasseriani sono decisi a confrontare con durezza i Fratelli Mussulmani.
L’11 settembre ha oscurato questa strategia, benché non fosse mai stata chiara. Erano d’altra parte sauditi gli attentatori dell’11 settembre, in quanto tali erano potuti entrre negli Usa per addestrarsi e organizzare poi con cognizione di orari, rotte, strumenti, e precisione geometrica, direbbe Piperno, gli attentati. È un fronte islamico sunnita che l’ex Occidente sostiene. A prezzo ormai di una diecina tra guerre e “rivoluzioni” - sempre più la parola è ridotta all’etimo, il “ritorno dell’uguale”. Contro l’islam sciita, quindi ora contro l’Iran. Ma per il sunnismo radicale - wahabita, salafita - contro ogni modernizzazione. Cioè contro i diritti civili e umani. Due cause che si penserebbero non occidentali, e anzi antioccidentali.
L’Iran scita è certamente “occindetale”, per cultura e valori, l’islam della penisola arabica certamente no, gli emirati come il reame saudita. Anche se costruisce grattacieli sulla sabbia, e spreca l’acqua nel decoro urbano: sono Stati patrimoniali (Max Weber), cioè a conduzione familiare.

domenica 22 dicembre 2013

La bontà è breve

Gabriele Romagnoli e Dario Cresto-Dina coltivano il racconto breve e brevissimo. Quando erano giovani alla “Stampa”, concorrevano sempre lusinghieramente al concorso di “Achab” per il racconto in trenta righe. Che Ezio Mauro ha adottato nei tanti “nasi” – i riquadri – che infiorettano le pagine di “Repubblica”, più spesso spigolature ma anche narrazioni.
Romagnoli e Cresto-Dina privilegiano i casi umani. Gli ultimi sono la trentenne rumena sulle cui spalle gravano due figli adulti e un marito che “scrive saggi”, la quale ha lasciato i lavori domestici a 2.200 euro netti, al mese, sicuri, per fare quello che Checco Zalone dice di fare con successo a “Sole a catinelle”: vendere aspirapolvere, bussando alle porte. Ed è diventata la venditrice dell’anno del Folletto. Cresto-Dina racconta Arlan, che onora la tomba di Renato, un elettrotecnico morto fulminato, e di sua moglie Gemma, che “non ha retto al dolore”. Arlan è un ladro di rame, anche ai cimiteri, ma non importa. Sono due storie edificanti, di buoni sentimenti. E non sono un’eccezione.
Cioè sì: le storie edificanti sono un’eccezione. La cosa curiosa è che sono anche brevi: le storie edificanti sono brevi. Forse Romagnoli e Cresto-Dina riflettono “Specchio dei tempi”, la rubrica che Giulio Debenedetti aveva inventato cinquant’anni fa per umanizzare la cronaca torinese della “Stampa”. Ma anche in questa possibile matrice la cosa resta curiosa: non sempre lo “Specchio” era di cose edificanti, ma ne dava comunque la sensazione. Allora la cosa è vera allinverso: le storie brevi sono edificanti? La brevità è buona.

Che ne direbbe Cristo, oggi?

L’idea è, apparentemente, semplice: che ci troverebbe Gesù oggi, duemila e rotti anni dopo la sua incarnazione, prodroma al sacrificio? Tutto il suo contrario. Che si tratti di convivere col diverso, e con se stessi, o di fare la fila all’autobus e dialogare al telefonino. Sullo sfondo, sempre, delle migliori intenzioni: l’Ultima Cena, la pace, la guerra, la solidarietà, l’utopia. Il testo di Fabio Filosofi mescola i registri, e domanda più che rispondere assertivo. Ma l’esito è scontato: non c’è Cristo in questa tarda cristianità.
Un’idea perfino troppo semplice, al punto da renderne difficile la drammaturgia. Gianni Licata ci approda con la fisicità, lo slancio dei corpi. A volte in un teatro-danza al limite della sarabanda, a volte col pantomimo. Che i colori netti sottolineano. In un palcoscenico coinvolgente, diffuso tra gli spettatori. Le parole si limitano a ritmare la minuta esemplificazione dell’ordinario quotidiano, gli atti, gesti, riflessi, reazioni, lontani dall’etica cristiana e forse da ogni etica, con cui scandiamo i nostri momenti. E anche questo contribuisce: un mondo senza parole pieno di parole.
L’esito è una sorta di esame di coscienza collettivo, pubblico. Degli attori con lo stesso pubblico a teatro. Con l’effetto di rimettere in gioco, in questa epoca sazia come mai prima nella storia, di pace e benessere, ogni concetto di superiorità e sicurezza. Una sorta di denudamento delle radici non cristiane del nostro cristianesimo. Si chiami esso Europa, Occidente, o anche solo il tragico a teatro: l’epoca che Filosofi e Licata mettono in scena è dell’afasia, stordita più che meravigliata, o pentita.
Fabio Filosofi del Ferro-Gianni Licata, Trentatré, teatro Lo Spazio, Roma

Missioni umanitarie per i nostri soldati

La giustizia segue il suo corso, come si vuole, e il 7 febbraio l’ex tenente medico Barbara Balanzoni sarà processata con l’accusa di “disobbedienza grave e continuata”. Per avere aiutato una gatta a fare i gattini. Dieci mesi d’istruttoria, e ora il processo. Se ne parla perché due senatrici hanno sollevato il caso con un’interrogazione parlamentare giovedì, Silvana Amati, marchigiani, docente di Istologia, membro della commissione Difesa  della commissione Diritti Umani,, democrat, e Daniela Valentini, impiegata, ex consigliere Regionale Pd, membro della commissione Difesa e della commissione Agricoltura: “La dottoressa Barbara Balanzoni, che in qualità di ufficiale medico ha prestato servizio nella Riserva selezionata presso il ROLE 1 della base militare italiana Villaggio Italia in Kosovo, il 7 febbraio 2014 verrà processata con l’accusa di disobbedienza aggravata e continuata; unica colpa della dottoressa Balanzoni risulta essere un suo sensibile e tempestivo intervento per salvare una gatta rifugiatasi sotto una struttura prefabbricata in un’area riservata del compound italiano”. La dottoressa, che ha lasciato l’esercito, si difende dicendo che alla mensa ufficiale più che altro incontrava avvinazzati.
Non se ne parla perché in Irak e Afghanistan la missione di pace ha portato i soldati in zone ostili, con tanti morti. Ma questo è il senso delle missioni militari di pace nelle zone di guerra: una vita di caserma, con tutte le storture della vita di caserma, aggravate dall’isolamento, in territorio straniero se non ostile. Missioni del tutto inutili per i fini dichiarati. Giusto un premio a chi ci partecipa, che può raggranellare con l’indennità di missione il contante per comprare casa. Onorevole, è quello che fanno le oneste lavoratrici ucraine o moldave, che si sobbarcano un paio di non autosufficienti per poi tornare al paese e comprare casa. Ma non c’entra la pace – e le missioni militari non aiutano nessun bisognoso d’aiuto.
La cosa riguarda non solo le missioni militari. Al dare e avere della cooperazione per lo sviluppo si sa – è accertato contabilmente, si è sempre saputo - che il saldo a favore dei beneficiari è ridotto quando non nullo: la cooperazione si fa a beneficio degli stessi donatori.