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sabato 27 giugno 2020

Problemi di base pandemici - 574

spock

 

Il mondo salvato dagli abbracci – dal dovere di abbracciare tutti, per esempio a Bruxelles?

 

“Più santificati che sanificati”?

 

Tutti riformisti, riformatori, trasformatori, inventori?

 

Nel lockdown si è riscoperta la lettura – dunque strumento di tortura?

 

“365 giorni” di noia, a letto, simulando orgasmi?

 

E quante fregature frugando tra i “frugali”?

 

“Estate senza sagre”, era ora?


spock@antiit.eu

Il contagio degli sbirri

Il giovane ristoratore apre dopo due mesi e mezzo di chiusura. È gioviale, ma la conversazione di questi tempi è segnata: ha i debiti, ha un grosso affitto, ha bisogno di lavorare. Si entra attorniati dagli avvisi e le disposizioni intimidatorie che il virus ha imposto e si accavallano, ma a cui come per vecchia pratica, anche se cambiano ogni pochi giorni, ci si acconcia. E ci si appresta a ordinare.  Ma due carabinieri irrompono, che contestano l’apertura. Uno dei due carabinieri, l’altro no.
Il presidente della Regione – una presidentessa in fatto – che aveva disposto la riapertura l’ha sospesa. Pare l’abbia sospesa, il carabiniere contestatore afferma di averlo sentito alla radio. Multa. Di 700 euro.
Il carabiniere del giornale radio non è il solo. Nello stesso luogo del ristorante, altri carabinieri ci hanno provato con l’edicola. La prima volta perché in negozio, accanto ai giornali, c’era la cartoleria. La seconda perché teneva aperto la domenica mattina. Le multe minacciate pare però che non siano arrivate.
La multa si eleva a 8.500 (ottomilacinquecento) euro a mille km. di distanza – qui il luogo si può dire: è Firenze. Il bar dove si è entrato per caso non avrebbe la registrazione di un contratto di lavoro . Cioè, l’ha richiesta e ce l’ha, ma l’autorizzazione non è in negozio, ce l’ha il commercialista, il barista si offre di andarla a prendere. Ma gli ispettori del lavoro sono inflessibili: la legge è legge. Dunque, in Italia ci sono ispettori del lavoro. E benestanti.
Il fatto rincuora, che ci siano ispettori del lavoro così ben pagati che per loro 8.500 euro siano un’inezia. Se non che un complesso minaccia d’insorgere: non è che portiamo jella?
A Roma, dove si abita, abbiamo avuto problemi personali ad accedere all’edicola. La domenica mattina, chissà perché (questione di straordinari festivi?). La prima volta (la prima domenica) i vigili contestavano l’uscita da casa: comprare il giornale non è essenziale – venendo dietro altri disavventurati si fece in tempo a tornare indietro, seppure senza giornali, ma senza multe o ramanzine. La seconda una lunga fila si formò perché i vigili contestavano all’edicola, che vende anche ricordini, l’abilitazione a tenere aperto l’esercizio – discussione lunga. Quindi potrebbe non essere un fatto personale: non jella, o sfortuna, trovarsi sempre al posto sbagliato, ma una conseguenza del virus.
O sì, non sono tanti i casi testimoniati di abusi di legge? Chissà. Resta che il virus, moltiplicando i regolamenti, ha aperto praterie all’esercizio, legittimo, della repressione. Che in Italia come si sa è poderoso, incontenibile, non ci sono mafie che tengano. E gli euro conta solo con gli zeri, dal vigile urbano in su, anzi dal multatore - il multatore è tutto dire. Quelli che si chiamavano sbirri, che ora non si può dire, non è politicamente corretto.


Cronache dell’altro mondo - 61

Il problema a Hollywood è: sopravviveranno le scene di sesso alla pandemia, i rapporti intimi? – “The Atlantic”.
Il più grande successo di Netflix durante il lockdown, più visto in America dell’ultimo e miglior film di Spike Lee, “Da 5 Bloods”, è “365 giorni”, film italo-polacco di sesso di vario tipo, anche onanistico, con Michele Morrone, ricchissimo orfano di un boss mafioso, stallone insaziabile, che addomestica Anna Maria Sieklucka – ib.
Si solleva l’America per l’uccisione di due afroamericani da parte delle polizie locali. Da San Francisco a New York: “Nel Bronx molti afroamericani hanno avuto negozi distrutti, svuotati, incendiati… Spacciatori col Rolex sono andati al sacco di New York noleggiando dei Suv con Uber” - Federico Rampini, “da molti anni corrispondente di “Repubblica” da New York”.
Non si ricorda in tanta rabbia antirazzista Viola Liuzzo – Viola Fauver Gregg coniugata Liuzzo – che il Ku Klux Klan uccise negli anni di Johnson, 1965, perché era un’attivista per i diritti dei neri: era bianca e bionda.
Gli assassini di Viola Liuzzo confessarono – uno di loro lo fece – ma una giuria bianca li assolse.
Arianna Ascione documenta sul “Corriere della sera” una storia di apparente ricatto di due beneficati di Michael Jackson, Wade Robson e James Safechuck, ex bambini prodigio, sull’eredità. Basandosi sulla causa vincente degli abusi sessuali – poco importa che analoghi tentativi, vivente Jackson, siano falliti. Con un documentario, “Leaving Neverland”, prodotto e diffuso da Netflix, che gli ha procurato vari premi, di quattro ore, in cui non un solo cenno o una sola opportunità veniva data a una replica. Gli eredi Jackson hanno replicato con due contro-documentari, uno su Amazon Prime e You tube, e uno su You Tube. Si può supporre una guerra commerciale, a chi si vende meglio, tenendo comunque vivo il mito Jackson. Ma gli offesi si basano su elementi chiaramente inventati – il luogo della violenza doveva essere ancora costruito. L’America va come il gregge.Si celebra il giornalismo investigativo americano, che però è sempre conformista: va con la corrente, oggi gli abusi sui minori.


Napoli col sorriso

“I napoletani muoiono sempre di qualcosa”. O: “Solo da pochi decenni si è scoperto che, a Napoli, d’inverno fa freddo”. A Napoli, dove c’è già un “dispositivo cerimoniale” (Derrida è dunque un copione, e senza la cerimonialità?), molto prima del dpi, dispositivo di protezione individuale, che  la melopea del coronavirus ha inventato – la mascherina, per intendersi, i guanti di gomma e il gel. Una scorribanda linguistica, e comportamentale, nella Napoli tra le due guerre, la prima età dell’autore, dettagliata, documentata, per ridere, che riletta fa già storia del costume, remoto – il cambiamento va oggi di fretta, anche se di segno incerto.
La vita di Napoli Pazzaglia autore comico vede tutta una comica, un teatro. Il lettore ci trova quello si aspetta da “Napoli”, ma anche molto di più. Il primo mobile radio, alto due metri. La visita di regalo per l’onomastico. O “il serio pericolo di possedere una penna stilografica”. Il “femminella”. La “zoccola”. Il Rione Sanità e la funzione comunicativa del “paniere”. “Mi piange il cuore”. “Abbiamo già dato”. “Romanzo con troppi protagonisti” Pazzaglia sottotitola il libro, ma è un repertorio della Napoli che fu, quale era. Prolifico autore di farse, e di sceneggiature, da ultimo personaggio tv (della congrega simpatica di Arbore), Pazzaglia ha memoria minuta della vita minuta dei suoi primi venti anni, di prima e dopo la guerra. Nel vicolo, nel rione, in casa, in chiesa, in case che sono spesso ex monasteri (la nazionalizzazione massonioca postunitaria che subito indignò, nel 1862, il patriota Pasquale Villari).
Una carrellata deliziosa, benché di repertorio, e preziosa già per la filologia, ma malinconica. Come sempre avviene peraltro ai napoletani in esilio. O a tutti gli esiliati, ma i  napoletani sono in più gran numero e hanno più cose da raccontare, tra sensi di colpa e bisogno di (ri)vendicarsi, di se stessi e di chi li ospita. 
Riccardo Pazzaglia, Partenopeo in esilio


venerdì 26 giugno 2020

Secondi pensieri - 424

zeulig

Amore – Vuole delusioni e sofferenze, secondo la scala al piacere stabilita da sant’Agostino, anche se in contesto divino: “Se è cosa così dolce piangere per te quanto più dolce sarà godere di te?”.
 
Architettura – Condivide con la musica l’astrazione, nell’appunto che Eckermann ha annotato di Goethe – e nella ripresa che Schopenhauer ne fa: “Ho trovato tra le mie pagine una carta in cui chiamo l’architettura una musica fissa; e in effetti l’architettura ha qualcosa di questo: la disposizione di spirito che risveglia è parente dell’impressione prodotta dalla musica”. Ciò che Schopenhauer sintetizza come “l’architettura è musica congelata”.
Goethe con Eckermann soprattutto si schermisce in materia di musica. In brevissimi accenni. Giusto, il 14 febbraio 1831, per dire che Mozart è un genio. A Eckermann che il 3 novembre 1823 lo complimenta per il diario di viaggio in Svizzera, in cui mostra di avere “visto” tutto, tiene a precisare: “Ma lei non trova una parola sulla musica, e giustamente; poiché essa non rientra nella mia cerchia”, così la traduzione di Ervino Pocar, “ognuno deve sapere che cosa vedere in un viaggio e cosa rientra nei suoi interessi”. E a proposito di Mozart, del “talento musicale”, non sa che dire: “Si comprende che il talento musicale si mostri prima degli altri, in quanto la musica è qualcosa di innato, d’intimo, che non necessita di nessun grande nutrimento dal di fuori, di nessuna esperienza tratta dalla vita. Ma certo un fenomeno come Mozart rimane pur sempre un miracolo che non è dato spiegare. Ma poiché la divinità opera miracoli ovunque…”.
 
Decadenza – Non c’è storia senza – ci sarebbe solo uno sviluppo lineare, piatto. Senza, sarebbe la fine della storia, la storia non ci sarebbe stata – non c’è storia nel paradiso.
Un primo caso, da manuale, è registrato con i primi documenti storici, 3000 circa a.C., in una tavoletta assira: “La terra va degenerando. Ci sono segni che la civiltà sta giungendo alla fine. Concussione e corruzione  abbondano. La violenza è dappertutto. I figli non rispettano più i genitori e non obbediscono”.
 
Follia – Esiste, malgrado l’istituzionalizzazione denunciata da Foucault – esiste per lo stesso Basaglia. “La privazione della follia sarebbe un repentino, tremendo impoverimento del mondo”, è considerazione dello scrittore Ceronetti (Albergo Italia”, 29). Non peregrina: la follia si nega per spirito democratico, non terapeuticamente – “l’idolo democratico non ammette disuguaglianze. Chi più disuguale del pazzo?”.
 
Galileo – Con lui si prova il passaggio dal mondo chiuso all’infinito. Galileo non era ateo e nemmeno eretico, benché processato per l’eliocentrismo e il materialismo. Si può supporre una certa prudenza o reticenza, in lui come in altri nel Seicento, Campanella per es., dopo Giordano Bruno, ma niente in lui, nei saggi letterari, nella corrispondenza, nella biografia, nei contatti, lascia presumere la dissimulazione. Dopo di lui però Dio è cambiato, ancora una volta: ha cambiato ruolo, immedesimandosi nella natura – donde il problema del Male, etc.
 
Identità – Il filosofo Heidegger voleva contadino, montanaro. Marx lo voleva invece pescatore: “Pescatori al mattino e filosofi la sera”. L’uomo i filosofi vogliono artigiano e poeta, imprenditore e pensatore, naturale e artificiale, soggetto e oggetto.
Anche le donne si vogliono altre. Specie le principesse. Sàndor Ferenczi, “Il «romanzo familiare» della déchéance”, analizza le blasonate, a volte eteree, che si fanno i giardinieri, i vetturini, i guardaboschi – il più famoso sarà quello di “Lady Chatterley”.
Le principesse volentieri si facevano il robusto filosofo contadino Heidegger, montanaro, sportivo, padre di alcuni figli – almeno uno non suo.
 
Intergenerazionale - I nipoti prolungano (la generazione prolunga) la socialità degli anziani. Evitando, ammorbidendo, limitando, l’ingrossamento dell’io, ancorché modesto, che è inevitabile con l’inattività. E la morosità, la ruminazione, che sono movimenti paranoici.
Se non partecipano alla costruzione di un futuro – è difficile per un anziano interagire con una sensibilità necessariamente nuova, ancorché infantile, e con una pratica familiare diversa (pedagogia, comportamenti, orari, abitudini igieniche - sonno, aria aperta, applicazioni – e alimentari), ancorché disponibile o anche benevolente - si tengono aperte delle finestre: sul linguaggio, la sensibilità, il rispetto reciproco (la “cura”), il bisogno.
 
Nascita - Si nasce con la gioia e la speranza, non c’è bambino che non voglia nascere. Poi si rinasce, ma si perdono pezzi.
 
Noia – Muove il mondo, sostiene Kierkegaard in “Aut-Aut”, semiserio al solito. La noia è il motore del mondo, le si deve la creazione dell’uomo, perché Dio da solo si annoiava, poi della donna, perché Adamo si deprimeva, poi di Caino e Abele perché la coppia non ha altro da fare, e presto si annoia del piacere della noia solitaria, infine della torre di Babele, per allentare la noia che era planata sulle famiglie e le città. Oggi si direbbe la noia in alternativa alla paura, che si alimenta con artifici: lo stimolo è difficile, l’eccitazione, spegnendosi tutti i fuochi – la bellezza, l’amore, la conversazione, il futuro.
 
Sesso – Le liberazioni sessuali sono tutte fallimentari, per quanto concerne il loro soggetto specifico, il sesso. Agiscono come se la liberazione sessuale fosse il risveglio di un sogno.
C’è più prostituzione dove c’è meno repressione sessuale. Ad Amsterdam o ad Amburgo. Per una più ampia opportunità di accesso, o prestazione. Ma anche per una diversa tipologia (qualità) della repressione. Che può non essere sociale o religiosa, se non indirettamente: per una differente socialità, o religione al contrario. Per la mancanza cioè di un ordine religioso, di un ordine, e quindi per incertezza, insoddisfazione, delusione, da cui la ripetitività, della pulsione sessuale, diventata compulsiva e non liberatoria - soddisfacente, gratificante.
Non c’è Freud nelle campagne si dice, ma non è – era, è stato per millenni – il mondo contadino il più coatto dalla religione?

Uno\due - Il comico Aristofane nel platonico “Convivio”, l’uomo vedendo sessualmente duplice – sferico, bifronte – lo dice di perfezione completa. Al punto da ingelosire gli dei: Zeus per ripicca lo divide in due. Era Nietzsche un gay segreto (omosessuale represso)?

zeulig@antiit.eu

Il governo del non governo, o il levantinismo al comando

Il governo non governa, malgrado gli annunci. Malgrado la crisi terribile, economica e già sociale. L’attività dimezzata a un mese, quasi, dalla riapertura? In tutti i settori, produzione, commercio, servizi? La domanda debolissima? Il debito? I rinvii Ue – mentre Usa e Cina, e anche Germania e Francia dentro la Ue, dispongono e fanno? La scuola?  La Libia? Il ritorno dei migranti? Huawei? 
L’impoverimento è dietro l’angolo, non fra una generazione o un decennio: in autunno, in inverno. Ma il governo solo si occupa di fare le nomine. In concreto – a parole ha già varato una mezza dozzina di piani di rilancio. E promette assunzioni, decine, centinaia di migliaia di posti, che sa di non potere-sapere fare - e perché poi. Per le poltrone negli enti e le aziende di Stato invece s’impegna al massimo: gli alleati si minacciano per i posti di potere anche la temutissima crisi di governo.  Mentre dei piani #avantitalia, decreto rilancio, edilizia (il credito fiscale al 110 per cento delle ristrutturazioni), non si sa se e dove sono.
Peggio è il contorno. Non c’è politica, nel senso che non c’è critica, non c’è opinione pubblica. Non un’analisi, non una condanna. Conte è un levantino vecchio stile, chiacchierone, simpatico, questo il segreto, e si sa, ma nessuno che lo dica – Fubini è solo nello stesso “Corriere della sera”, il suo giornale. Un entertainer, non innocente – del tipo “come li faccio fessi”. Che Rai e Sky tg 24 provvedono ad amplificare. 
Si vivacchia con l’eterna questione estiva del pos contro contanti. Con premi che non vedremo mai per l’uso delle carte di pagamento – e perché poi. Robette di modesta inventiva, assicurata inutilità, assoluta imbecillità. E forse niente di meglio si trova in Italia di questo governo  

Suicidio dell’Occidente – la distruzione della ricchezza a opera dei ricchi

Si chiude questa cavalcata storica di un non storico - e anche, propriamente, di un non economista - e si resta esterrefatti: ma è quello che gli Stati Uniti da un trentennio hanno fatto, spostando la produzione e le relative tecnologie, e i capitali, in Cina. Nelle “catene di valore” a testa (e corpo) cinese. Per limitarsi al ruolo di consumatori. A beneficio di facili delocalizzatori della produzione. E della coorte degli attaccaticci – troppe risorse a disposizione, troppe mani collose – mediatori d’affari, come si è visto l’altro mese perfino per le mascherine antivirus. Finché dura la rendita accumulata nel duro Ottocento e nel trionfante Novecento. Un suicidio nazionale – che coinvolge l’Europa, l’Occidente. Gli Stati Unirti che si riducono al ruolo di “borghesia compradora” della vecchia polemica terzomondista, come un qualsiasi Sud America.
I segni – fondamenti, si direbbe – del declino dell’Italia, anzi della scomparsa, c’erano prima del contagio. Fabbri, manager di successo, da ultimo come fondatore e gestore di Directa Sim, pioniera del trading online e leader del settore in italia, lo scriveva nel 2015. Partendo da lontano, per arrivare a un sorprendete, ma non infondato, rovesciamento del plusvalore di Marx: non più quello dei lavoratori ma, con più verità, dei produttori, della produzione. Della parte operativa - industriosa, innovativa – della società o nazione.
Il manager umanista esamina in dettaglio cinque grandi crisi storiche: il crollo delle civiltà mesopotamiche (in particolare, del regno ittita) attorno al 1200 a.C., la contemporanea inspiegata scomparsa della civiltà greco-micenea (alla quale, va notato, si deve anche un anticipo delle migrazioni che poi daranno luogo alla Magna Grecia), la caduta dell’impero romano, l’abbandono delle città Maya nel nono secolo, e la crisi dell’Europa meridionale nel Seicento, che farà dell’Italia, il paese più ricco del continente, uno dei più poveri – per almeno un secolo, il secondo Ottocento e il primo Novecento, fino agli anni 1950 e al boom.
Fabbri parte da una polarizzazione che è ancora più vera nel quinquennio susseguente alla sua analisi. Divide un settore produttivo, che produce i beni di consumo e li consuma solo in parte, e uno improduttivo, che beneficia del surplus di beni generato dal settore produttivo. Quando la bilancia si sposta a favore del secondo settore, per l’aumento dell’eta media e quindi dei pensionati, consumatori non produttori, e dei ricchi (questo è il caso dell’America, va aggiunto, dell’ultimo venticinquennio, delle presidenze Clinton, Bush jr., Obama e ora Trump), non si generano più, o vanno progressivamente a scemare, le risorse che consentano al settore produttivo di mantenere le sue dimensioni - se non di affinarle e accrescerle, come è necessario in ambiente competitivo. Risorse, si può aggiungere, anche psicologiche , d’innovazione, di impegno costante diuturno, di intelligenza.   
Mario Fabbri, La rovina delle nazioni, Rubbettino, pp. 340 € 15


mercoledì 24 giugno 2020

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (429)

Giuseppe Leuzzi

“Il dominio naturale ha Comunità naturale, il violento violento”: è uno degli “aforismi” di Campanella, recuperati dalla vecchia edizione 1911 (Lanciano, Carabba), a cura di Domenico Ciàmpoli, “La città del sole & aforismi”. Da quando il Sud è diventato violento? Da dopo l’unità – in Calabria con la Repubblica.
 
“La metamorfosi classica naturalizza, il rito cristiano umanizza”, spiega Carlo Ossola in “Dopo la gloria”. Bisognerebbe spiegarlo ai vescovi urtati dal “paganesimo”: ciò che è pagano e ciò che non lo è – nelle processioni e nei riti in genere. Sanzionabile forse, come ignoranza e superstizione, ma umana e cristiana - volendo fare a meno della tradizione.
 
Conversando con Mahmud Salem Elsheikl nel 1980 a Forte dei Marmi Montale s’inquietava di sapere se ci sono dialetti arabi: “Se i dialetti sono innovativi rispetto all’arabo, o sono ancora più arcaici” (la conversazione è riportata in “Poesia travestita”, 13). Dialetti innovativi? Oggi di direbbe una curiosità molto più bizzarra che quarant’anni fa – oggi tutti parlano dialetto per non dire nulla.
 
Leggi temperate
Tra gli aforismi del 1601, non molto puntuti, Campanella si fa questo atlante politico dell’Europa:  “Alli settentrionali per natura feroci non conviene imperio stretto, ma licenzioso, perché a pena di Repubblica portano il peso. Però Anarchie e Repubbliche e Principati solo per elezione per lo più si fanno, come i Tartari, i Moscoviti, i Poloni, i Svezii, i Germani, i Svizzeri mostrano…
“Alli meridionali, massime a quelli che stanno sotto ai tropici, non convengono se non principati che a bacchetta comandino, e leggi severe; perché son deboli di forze ed astuti e religione cerimoniosa…”…
Non che sotto i Tropici si sapesse allora granché. Ma “nelle regioni mezze tra il settentrionale e il tropico, Repubbliche e Principati temperati, e leggi più o meno severe, secondo che più o meno ai Tropici s’avvicinano, convennero sempre, come a’ Greci, Italiani, ecc.”.
C’è da sperare.
 
Ma fia, figlia mia
Una nuova fantasiosa etimologia della parola mafia – la parola sembra eccitare la fantasia – in aggiunta alle tante che abbiamo repertoriato in “Fuori l’Italia dal Sud”, è di Gay Talese nel vecchio “Onora tuo padre”. Durante i Vespri Siciliani, racconta Talese, “migliaia di francesi furono uccisi in pochi giorni, e si è preteso da alcuni storici locali che la Mafia  (la mafia è maiuscola in Talese, nd.r.) è iniziata allora, prendendo il nome dal grido angosciato della madre di una bambina che correva per le strade urlando ma fia, ma fia, figlia mia figlia mia”.
Non si sa da dove Talese l’abbia presa – è scrittore accurato, preciso, perfino troppo. Ma non sarà per questo che dalla mafia non ci si salva.
Un racconto, benché minuzioso, straordinariamente accattivante, e per questo pericoloso. Del fallimento della mafia siculo-americana, di fatto della sua disintegrazione – il peggiore nemico della mafia è la mafia. Ma con un che di tragico, mitico. Uno ha difficoltà a tornare ai Riina, ai Provenzano, i corleonesi mediocrissimi sanguinari.

I don notabili
Nel monumento alla mafia siculo-americana che è “Onora tuo padre”, Gay Talese usa “don” per capomafia, non “padrino” (godfatner) come i boss venivano chiamati dall’Fbi e dai media dopo Puzo. Usa il “don” come usavano tra loro i capimafia e i subordinati: i “dons” si riunivano, i “dons” discutevano, la commissione dei “dons” decideva. L’ambizione dei mafiosi era – è – di diventare notabili, più che di arricchirsi. Di arricchirsi per diventare notabili.
Nella stessa apologia, “Onora tuo padre”, Talese fa di Josegh Bonanno e Peter Magaddino, capimafia in America negli anni 1950-1960, originari di Castellammanre del Golfo, Trapani, due ragazzi antifascisti, in guerra contro i metodi militari del prefetto di Mussolini, con controlli, divieti e violenze per tutti, cioè per i molti non mafiosi. Studenti a Palermo al Collegio Nautico, avevano “aderito a una giovane organizzazione radicale antifascista che faceva circolare letteratura antifascista, denunciava Mussolini in volantini e manifesti, e rubava o danneggiava le sue immagini negli edifici pubblici”. Mori ne decretò l’arresto, ma i due ragazzi fuggirono, con cinque mafiosi, su una nave da carico diretta a Marsiglia. Da qui furono a Parigi, ospiti di un cugino di Bonanno che era pittore. Quindi si imbarcarono per Cuba. E da Cuba furono trasbordati a Tampa.
 
Per una storia comparata delle mafie
Ci sono tante storie delle mafie. Anche se non documentate, se non dal punto di vista della repressione – e non può essere che sì così, la mafia è crimine, peggio in quanto associazione a delinquere segreta, e quindi non lascia tracce, non vuole. Ma anche accettando queste storie per buone, hanno un difetto: non sono comparative. In questo – anche in  questo – l’America ha creato un precedente. Ha catalogato le mafie su base etnica, e ne ha rilevato una rotazione: quando prevale l’una non c’è l’altra. La mafia è stata in America irlandese tra fine Ottocento e primo Novecento, ebrea tra le due guerre, italiana (siculo-napoletano) a partire dal proibizionismo e fino agli anni 1960. Poi latinoamericana e afroamericana.
Si potrebbe caratterizzare la mafia etnicamente, oltre che periodizzarla, anche da noi. Quella siciliana contro i Borboni. Napoletana e siciliana contro i piemontesi. Calabrese, siciliana e napoletana pro e contro la Repubblica.
 
Problemi di base mafiosi
Questo sito ha una rubrica che intitola Problemi di base. È curioso, inquietante, che i problemi di base mafiosi non vengano posti, di fatto non nella rubrica. Chi e perché diede a Riina e Provenzano le coordinate esatte , di tempo e luogo, per la strage di Capaci, che necessitava di lunga e complessa preparazione, compresa la segretezza o mascheratura mentre si facevano opere di scasso, di un’autostrada. Lo stesso per via d’Amelio. Tanto più, nel secondo caso, che l’attenzione dell’apparato repressivo doveva essere al culmine. Chi e perché ha spiegato a Riina e Provenzano, ignoranti, rozzi, il senso di san Giorgio al Velabro (Campidoglio), dei Georgofili, della Galleria milanese di Arte Moderna?
 
Annetta è napoletana
“Annetta”, una delle “donne” di Montale, è Anna, figlia di un ammiraglio Nicastro, napoletano. Di  Gustavo Nicastro, che visse a lungo anche lui in Versilia (morì a Viareggio, nel 1940), ammiraglio di armata, senatore del regno, o del suo fratello minore Ugo, anch’egli ammiraglio.
Montale, che non amava parlare delle “donne” dei suoi versi, spiega a Mahmud Salem Elsheikl, grande italianista, accademico della Crusca, in visita deferente a Forte dei Marmi, con Rosanna Bettarini, il 18 luglio 1980 (la conversazione è riprodotta parzialmente dall’accademico in Eugenio Montale, “Poesia travestita”), che Anna “era figlia di uno dei due ammiragli che tornano in una poesia”. Il prosieguo è così sintetizzato da Elsheikl: “I due ammiragli omonimi, rivela Montale, si chiamavano Nicastro , e con espressione furbastra aggiunge: «Non credo che ci siano altri esempi di ammiragli italiani omonimi».
Non si ferma qui Montale, è preda di un raptus di generosità.”Non credo di dover dedicare”, aggiunge nel resoconto di Elsheikl, “la capinera alla figlia di nessun ammiraglio. Tuttavia suo padre aspirava ad aiutarmi”. A trovare un impiego: Montale giovane non aveva professione.
“Annetta” del “Diario del ‘72” è un’evocazione di gioventù, con l’amico Bisolfi, tra la “rupe dei doganieri\, e la foce del Bisagno dove ti trasformasti in Dafne”. Ed è l’”Annetta – Arletta” della lirica del 1930, che diede il nome alla plaquette del 1932 che risulterà la prima pubblicazione di quelle che saranno “Le Occasioni” – di cui ora la plaquette costituisce la quarta e ultima parte.
La conversazione con Elsheikl è l’unico punto fermo della questione. Le ricostruzioni in genere fanno capo alla famiglia degli Uberti, che aveva gradito e facilitato l’accostamento. “Annetta” sarebbe Anna degli Uberti, figlia sempre di un ammiraglio, Guglielmo degli Uberti, anch’egli napoletano, e di madre livornese, Margherita Uzielli, di famiglia di Livorno di origine ebraica sefardita, che per questo ebbe qualche noia nel 1939 – la madre si adopererà molto per l’accostamento. Gli Uberti nei primi anni 1920 trascorrevano le vacanze a Monterosso.
Anche Guglielmo aveva un fratello ammiraglio, Ubaldo, sommergibilista di molte imprese, e poi  buon amico e confidente di Ezra Pound a Rapallo.

leuzzi@antiiit.eu

Giacomino in attesa di un amico

Il Novecento, secondo Novecento, non è onorevole. Anche il primo Novecento, col fascismo, ma fece meno danni. Nel secondo Novecento bisognava essere del Pci, e usare il suo linguaggio di pietra, altrimenti si era scomunicati. Si poteva vivere, nelle lettere e al cinema, ma a disagio. Ma non era facile nello stesso Pci: si poteva stare nel partito Comunista ed essere perseguitati. Giacomo Debenedetti, per esempio, che per l’“Unità” eseguì alcuni killeraggi, famoso quello di Corrado Alvaro, che accusò di fascismo per “L’uomo è breve”, romanzo antitotalitario, fu bocciato per non essere abbastanza diligente al concorso a cattedra da Sapegno, altro emerito esponente del Partito, e restò precario a vita - fu bocciato tre volte, l’ultima prima di morire, a 66 anni (Sapegno ne pronunciò poi l’elogio funebre: l’ultima cortesia-ipocrisia fra torinesi…).
Ce n’è traccia nel “romanzo” di Debenedetti – “l’insieme dei quaderni del professore universitario dl 1961 al 1968” (Onofri)? Il romanzo del primo Novecento, del secondo c’è solo Moravia? Purtroppo sì. Il centinaio abbondante di pagine su Tozzi, per un revival in chiave neo-realistica. O il centinaio di pagine su Serra, il “lettore di romanzi”, che leggeva Pirandello come Luciano Zuccoli, Carola Prosperi e Virgilio Brocchi – e “nonostante il panorama sciatto che mediocremente emerge dalle Lettere”, Onofri: una fuga tangenziale. “Tozzi e Kafka”? “Pasternak e Moravia”? “Joyce e Proust” sì, “la memoria involontaria”. Mentre di Svevo già sapevamo. E di Pirandello, non amato: secondo a Tozzi, nella modernizzazione del Novecento.
La presentazione di Montale, letta oggi, dice altro. Di Debenedetti apprezzando “le due drammatiche cronache (Otto ebrei e 16 ottobre 1943)” e “il Debenedetti narratore: i racconti Amedeo e Suor Virginia”. Come critico,  “leggendolo ho pensato tante volte a Borgese”, dice il fine Nobel. Borgese che era stato “il primo grande interprete ed editore di Tozzi”, ricorda Onofri, in altra temperie culturale e in altra direzione critica.
Mario Andreose, in questa riedizione, ricorda Debenedetti nel lavoro editoriale, al Saggiatore – rimemorandone anche lui “lo stile critico narrativo” - di Tozzi salvando il salvabile con un avvicinamento a Franz Marc, pittore animalier”. Massimo Onofri, altro contributo originale, lo situa nella critica letteraria del Novecento, comunque un gigante tra gli altri – il “nostro più grande critico del Novecento” secondo Contini, comunque il più assiduo.
Andreose alla fine ricorda che Debenedetti morì solo, nel “declino della casa editrice”, e sotto la “rivoluzione culturale” del Sessantotto. Ma non soltanto: “Nel frattempo gli avevano già incredibilmente voltato le spalle l’ex amico editore (Alberto Mondadori, n.d.r.), l’università italiana, e il Partito comunista che riteneva la sua prosa inadatta per i suoi organi di stampa” – la casa editrice Einaudi compresa.
Un volumone in confronto costante con Borgese , più che con Cecchi – o con Croce. La pubblicazione degli ultimi corsi monografici universitari, quest il cuore del “Romanzo”, voluta subito dalla vedova Renata, risarcisce Debenedetti sul piano accademico. Ma i limiti dell’epoca rimangono – altro vigore e intuito nelle serie di “Saggi critici”, di varie epoche.
Fa simpatia, e un po’ pena, vedere il genio letterario impancato a fustigare il capitalismo, di cui non ha nozione, in nome di non sa che cosa. Ma di più ne fa in quanto si piega a un’esigenza che non solo non è sua, ma probabilmente sente vacua, di routine.
Resta da dire di Tozzi, che Debenedetti ha scoperto “invece” di Borgese, che fu il primo a dare credito allo scrittore senese ma mettendolo nella squadra dei realisti, alla Zola, alla Verga. Niente di questo, spiega Debenedetti. Ma non c’è nel “Romanzo” il saggio tozziano “Con gli occhi chiusi”, uscito su “Aut Aut” n. 78, nov. 1963 e ripreso nel 1970 nella raccolta Saggiatore “Il personaggio-uomo”. Con il “pezzo” più riuscito, quello della bistecca di Svevo, con la quale Debenedetti fa in poche righe il paradigma della sua repulsione del naturalismo-verismo – anche se, contrariamente a Svevo, l’aneddoto riporta a prova del naturalismo come arte borghese, capitalistica: “Un noto epigramma di Svevo, cinico solo in apparenza, dice: «Non è tanto che io goda di mangiarmi la bistecca, quanto del fatto che io la mangio e gli altri no». L’arte naturalista postulava un pubblico di mangiatori di bistecche”.
Resta un personaggio, oltre che un critico, di forte spessore, fin dalla biografia. Che attende ancora un’adeguata ricollocazione critica, anche biografica. “Giacomino” per “molti, molti amici cari”, che però non se ne occupano – eccetto Walter Pedullà, che però è un allievo, della non amata Messina, e non un amico riconosciuto.
Giacomo Debenedetti, Il romanzo del Novecento, La Nave di Teseo, pp.658, ril. € 25


martedì 23 giugno 2020

Appalti, fisco, abusi (176)

Non solo Bce, Banca d’Italia, Ivass, e ora Consob, con l’Antitrust a seguire, promuovono – o non possono che promuovere - l’ops di Intesa su Ubi, ma il fronte Ubi che resisteva all’offerta si sgretola. La controffensiva sembrava forte appena un mese fa, quando Mustier di Unicredit si è offerto di sponsorizzarla indirettamente. E invece no: specie dove le fondazioni ex bancarie sono di mezzo, nel fronte dei no molti soci (Cr Cuneo, Monte Lombardia tra essi, con quote sostanziose) propendono per l’accettazione al cda del 6 luglio.

È emersa la possibilità che, anche senza il 64 per cento della ops totalitaria, Intesa possa comunque acquisire Ubi, senza consolidarla. Inoltre resterebbe in questa ipotesi un titolo prigioniero, di scarso valore.
 
Fallisce in Germania per un ammanco grave, quasi 2 miliardi, un buco accumulato negli anni, la fintech dei pagamenti elettronici Wirecard, fino al giorno prima raccomandata dalle agenzie di rating come “investimento di prima classe”. In particolare Moody’s a fine agosto raccomandava Wirecard per “la forte posizione nei mercati europeo e asiatico (dove avrebbe guadagnato i quasi 2 miliardi che mancano, n.d.r.), il suo forte profilo finanziario con margini molto elevati, e l’ottimo profilo di liquidità”.

Il fallimento Wirecard apre un grosso buco per Commerzbank e la bavarese Hypovereinsbank di Unicredit. Ma non se ne parla, la Germania è un marchio solido.

Se si ricarica Windtre con 5 o 10 euro la società ne accredita 4 e 9. Col meccanismo - asiatico - della Ricarica Special. Una ricarica che consente giga e minuti illimitati nelle 24 ore successive - al momento della ricarica. Anche se voi non lo sapevate e non ne avete bisogno – chi reggerebbe 24 ore di navigazione ininterrotta? Un furto? Si: un euro in cambio di niente.

Due furti: questo mette fuori corso le ricariche correnti, di 5 e 10 euro, che bisogna scalare a 10 e 15 euro. Le sue ricariche standard – necessarie per le pennette wi-fi - sono ora di 6 e 11 euro, ma disponibili solo online, direttamente sul sito e l’app Windtre.

Agcom, l’agenzia per la Comunicazioni che sovrintende a questa parte del mercato,  ha diffidato Windtre dalla Ricarica Special, per il chiaro intento truffaldino. Ma non sanziona la società.
La verità è che Wind ha incrementato la tariffa del 20 (per le ricariche da 5 euro) e 10 per cento (per le ricariche da 10). 


Viaggio attorno a Ceronetti

L’invito non è allettante: l’Albergo Italia è il luogo delle insonnie, agitato, occupate da “una folla immensa e minacciosa di cretini – di cretini tutti uguali”. Che l’autore guarda “con faccia lewiscarrolliana di uccello notturno che non fa capire i geroglifici che pensa”. Il che non esclude che “ci siano dei piaceri anche per noi arrostiti”. Barocchetto, troppo. Ma il libro no, è pieno di umori.
Un viaggio per modo di dire, fra le cose che Ceronetti ama e quelle che odia, tutte sghiribillose. Virgilio lombardo – e Mantova tra Virgilio e la Montedison (ma in lode dell’Italsider a Cornigliano, e a Bagnoli, che fumigava dietro Posillipo, con questo incipit: “Nessun luogo, in Italia, mi sembra più insopportabile e disumano, per viverci, di Napoli, ma se si va a Bagnoli, nel recinto dell’Italsider, è un’oasi”). I cimiteri, Staglieno, il Père-Lachaise - il segno della forza della Francia. Don Bosco satanico, ex intrattenitore di paese. Venezia. “Ci vado, di solito, in pieno inverno, incontro solo ubriachi.
Tutto questo e molto altro, le occorrenze quotidiane dell’umorale Ceronetti, entusiasta o cattivo senza criterio. Nostalgico per lo più: le Canzoni da una lira, il Gelato da una lira, i Preti da un lira. Genova e Trieste. Roma, e a Roma il quartiere Prati. Si finisce con “Italoshima”, che è tutto dire – ed era il 1985, l’Italia era la quinta, o la quarta, potenza economica mondiale.
Un viaggio nelle fisime di Ceronetti - “Ci sono vari gradi nella fisionomia melensa: il primato ce l’ha il turista giapponese”. Sciltian celebrato in morte con una deprecazione – lo salva solo il cappello Borsalino. L’elogio del Borsalino. La celebrazione, invece, di Sironi, “questo notissimo sconosciuto”, il miglior fabbro. Ma un giusto recupero di Foscolo, “Alla sera” – eravamo rimasti al vituperio di Gadda.

Guido Ceronetti, Albergo Italia


lunedì 22 giugno 2020

Conte futurista

“Non basta fare riforme, bisogna reinventare il paese”,
così parla Conte, il presidente del consiglio,
o della politica futurista, in senso proprio,
delle “parolibere”, le parole in libertà,
nel vuoto asintomatico di villa Pamphili
alla ruminazione delle videocamere,
e questo è tutto: un futuro senza presente
entro un presente senza futuro.


L‘inflazione che non c’è

L’inflazione si è estinta? Usava “galoppare”, per questo la Germania c’impone il fiscal compact, il morso stretto, previdente come usa. Ma da vent’anni l'inflazione non c’è più, da quando c’è l’euro – l’euro è
taumaturgico.
Tutti ricordano che quando passammo all’euro i prezzi raddoppiarono. Ma non ci fu inflazione. Passammo a Eurostat, l’ufficio statistico europeo e Eurostat certifica che non c’è inflazione. Tutti paghiamo ogni giorno qualcosa in più, per le ciliegie, il pecorino, i detersivi, il prosciutto, di ogni tipo, dal Tivoli al San Daniele, anche il giornale, nel suo piccolo, oggi costa tremila lire. Ma non c’è inflazione.
La bolletta del telefono è raddoppiata, e anche qualcosa di più. Quella dell’elettricità si è moltiplicata per cinque, per dieci. Si sdoppiano in bolletta le voci, per non far pesare il sovraccarico di costo: in due, anzi in tre, con cifre abnormi sotto le voci trasporto (il trasporto del chilowattora…) o oneri di sistema (eufemismo fraudolento per il pedaggio, salatissimo, che paghiamo ai signori delle fonti alternative al petrolio, in testa l’Enel – quelli che “salveremo il pianeta”, promettono, e intanto incassano montagne di euro). Il prezzo non aumenta, anche se un kWh costava 8-10 centesimi nel 2000, e ora costa mezzo euro. Più 45 euro a bimestre solo per l’allaccio.
Costa di meno l’abbigliamento? No, la qualità costa di più, e anche molto. Le calzature? Sono quasi tutte di plastica e costano, per la materia che offrono, con sofferenza dei piedi, camminata instabile
e danni alla caviglia e al ginocchio, quindi alla spina dorsale, un’enormità – sono tutte profitto.
Costano meno le automobili? I computer? I cellulari? A Eurostat sì. 


Lo Stato ideale è senza libertà

Viene con l’“apologia di Galileo”, anche se un quindicennio prima, nel 1602. Il disegno utopico si modula sull’eliocentrismo, e per questo sarà pubblicato tardi e solo in traduzione latina dal volgare italiano (fiorentino), in Germania nel 1623. L’“Apologia” la anticiperà: scritta in fretta e mandata a Roma nel 1616 in tempo per il primo processo.
La società felice è a Ceylon in una città non pacifica: è fortificata e inespugnabile. Ma dentro non ci sono liti, inimicizie, tradimenti, corruzione, fame. La città è su un colle, in cima al quale c’è il tempio del Sole. Governata da un re-sacerdote, con alcuni principi, chiamati Potestà, Sapienza, Amore, e da leggi semplici e certe. Non esiste la proprietà – in realtà esiste, ma non fa differenza:“La communità tutti li fa ricchi e poveri: ricchi, c’ogni cosa hanno e possedono; poveri, perché non s’attaccano a servire alle cose, ma ogni cosa serve a loro”. Non esiste la proprietà familiare, questo sì, della casa, la moglie, i figli, che è la più deleteria: la famiglia è cancellata. La procreazione è regolata dal governo, che individua e decide gli accoppiamenti giusti.
Non una città della libertà, insomma. Benché venga un secolo dopo Machiavelli – di cui Campanella, che aveva già vissuto a Firenze, potrebbe bene avere saputo. La comunità è felice al contrario, perché è regolata e comandata. Sul modello del sistema solare.
Gli aforismi politici sono estratti dalla raccolta “Aforismi politici ed Economica”, composti, spiega Ciampoli, “dalla metà di agosto alla fine dell’anno 1601”, all’inizio della lunga carcerazione a Napoli, “essendo in tale occasione rimaneggiata l’«Etica»”, gli aforismi in materia di etica. Una raccolta di “aforismi”, così si presenta, e “significati lunari rivelati dall’Angelo”.
Numerosi, ma non memorabili: “Il dominio naturale ha comunità naturale, il violento violento”.
“Il  Dominio d’uno buono  si dice Regno o Monarchia: d’uno malo si dice Tirannia; di più buoni si dice Aristocrazia; di più mali Oligarchia; di tutti buoni Polizia (il greco politìa, i buoni cittadini? n.d.r.); di tutti mali Democrazia”. Semplice.
 “Le leggi ottime sono le poche e brevi, che s’accordano al costume del popolo e al bene commune”.
“Dove spesso le leggi  si mutano sono segno di rovina”.
“Dove son più di numero le leggi punitive che instruttive, è segno di mal governo”.
“I troppo poveri sono rapaci e invidiosi, i troppo ricchi superbi e lussuriosi, i troppo ignoranti ruinosi”. Non grandi idee. Per il resto Campanella tratta dei regimi politici in rapporto al clima, e delle colonie.
Tommaso Campanella, La città del Sole & aforismi, a cura di Domenico Ciampoli, Carabba Editore Lanciano, 1911


domenica 21 giugno 2020

Ombre - 518

Finiamo questo week-end, due settimane dopo la riapertura dei ristoranti, di ingurgitare i piatti inutilmente preparati per l’asporto durante il lockdown: il virus sarà stato letale anche in cucina.
 
Il padre di Antonio Ricci fu prigioniero di guerra in America . “Faceva l’interprete, lo pagavano pure”, spiega il figlio a Cazzullo sul “Corriere della sera”: “Rientrò in Italia con un gruzzoletto di dollari: glieli sequestrarono. Molti ex prigionieri furono derubati dallo Stato”.
 
Vanno “tutti perfettamente a loro agio negli abiti scuri, nei caminetti da prima Repubblica, dove si decidono strategie, alleanze e – soprattutto – poltrone”. Sono i grillini: poltrone per tutti, partendo “dai vecchi compagni di scuola ( Di Maio li fa arrivare quasi tutti da Pomigliano d’Arco e Acerra)”. Roncone rompe un tabù nei media che ci infestano e apre una finestra sui 5 Stelle, chi sono e che fanno. In un governo – in due governi ormai - concepito come un Grande Fratello.
 
Il sindacato dei giudici caccia Palamara, come se fosse l’unico intrigante. Quando tutti sanno che non c’è più intrigante dei giudici. Ma è la loro maniera di concepire le vecchie virtù repubblicane, l’onestà, la lealtà: fare finta.
 
Scenografica rappresentazione degli stati dell’economia a villa Pamphili a Roma. Al chiuso, come se fosse una riunione di governo. Per cinque o sei giorni consecutivi. Escludendo i media. Che tuttavia magnificano l’evento. Anche se nulla vi è successo. E questa è l’Italia, un frullato del nulla.
Si dice la civiltà dell’immagine, della comunicazione, ma è solo della stupidità. 
 
Berlusconi fa campagna per il Mes, incurante dei problemi che porrà, di utilizzo, di contabilità, per proporsi come ruota di scorta a Conte se i 5 Stelle, una parte dei 5 Stelle, si opporranno. I suoi venticinque anni di protagonismo in politica saranno stati quelli del trasformismo massimo.


A prima vista le avances di Berlusconi mai andranno a buon fine, il Pd non può governare cl mostro Berlusconi. E invece sì: il Pd ha governato negli anni 2010 con i berlusconiani, questa è la verità del fatto. Senza Berlusconi, ma solo per le apparenze.   

Il governo che fa la ruota a villa Pamphili ha decretato tre mesi e mezzo fa la cassa integrazione a favore dei lavoratori dei servizi – che ne sono esclusi: tre milioni di persone, camerieri, commessi eccetera. Senza poi pagarla. Senza vergogna. Senza un rimprovero.

 
Finisce senza un addio la coabitazione dei due papi in Vaticano, che gli uffici di Bergoglio mostrano debilitato in carrozzina e inetto. O anche: il Vaticano di Borgoglio è indigesto a Ratzinger, specie dopo al giubilazione, senza alcuna spiegazione, del suo aiutante mons. Gaswein. Troppe camarille attorno al papa argentino – questa è la più inoffensiva.
 
“Per frenare la perdita di posti di lavoro servono più contratti a tempo determinato”, è quanto chiede il ministro dell’Economia Gualtieri a tutta pagina secondo “la Repubblica”. A p. 2. A p. 3, proprio di fronte, a tutta pagina invece: “Con l’emergenza Covid disoccupati soprattutto tra i lavoratori a termine”.
 
Si legge da sinistra, in Italia, il pamphlet del generale Bolton contro Trump. Che è invece un estremista di destra – uno che vorrebbe bombardare l’Iran, la Corea del Nord, e anche la Cina.
La critica a Trump stempera sempre nell’antiamericanismo, la guerra fredda non è ancora perduta – la sinistra è sempre spersa nella giungla.
 
Vigilia di vertice europeo deserta in Parlamento: il presidente del consiglio, che avrebbe dovuto informarlo, non ci va, l’opposizione nemmeno, i partiti di governo nemmeno. Un vertice che deve – dovrebbe, non lo farà - decidere gli interventi contro la crisi, non quisquilie. Nella disattenzione, anzi nel silenzio – protesta solo Mario Monti, senatore a vita.
 
L’Inpgi, l’istituto di previdenza per i giornalisti, ha erogato 9.078 bonus da 600 euro per il mese di aprile. Ci sono novemila giornalisti semplici collaboratori, fuori redazione, occasionali, a termine. 
 
Ci sono le regole e poi ci sono le convenienze, in Europa, se si è Francia e Germania. Ora basta richiamarsi all’ambiente. Beffarda Adriana Cerretelli sul “Sole 24 Ore”: “Francia e Germania l’hanno prontamente scoperto: il salvataggio di Air France da 7 miliardi risponde anche a imperativi ambientali. Come gli aiuti a Deutsche Bahn per 8 miliardi”. Supera ogni barriera anche “l’intesa franco-tedesca sulle batterie per auto elettriche”, solo Fincantieri-Stx “non sa trovare un salvagente europeo”, che lo salvi dal ferreo controllo dell’antimonopolista Vesterhagen.
 
Si critica e ci si conduole in Europa, ma nulla mai cambia. Ci sono le regole, e ci sono le eccezioni. Sempre a vantaggio di Francia e Germania, dai disavanzi di bilancio al 4 per cento alle intese monopolistiche e agli aiuti di Stato.
 
Non c’è richiamo, didascalia, sommario su Paolo Massari, giornalista di varie esperienze, arrestato per stupro, che non dica “ex assessore della giunta milanese di Letizia Moratti”. Come se Letizia Moratti fosse colpevole di stupro – ammesso che Massari sia colpevole. Che informazione è?
 


L’italiano delle frasi fatte

Mezzo centinaio di luoghi comuni o frasi fatte. Quelle che usiamo meccanicamente, quasi sempre impropriamente – quand’anche avessero, o avessero mantenuto, un significato. “Stavo per chiamarti” naturalmente, o “a tutto tondo”, “a buon intenditor”, “a 360 gradi”, e “siamo tutti nella stessa barca”. Un repertorio che andrebbe aggiornato, e moltiplicato, con I toscanismi che ancora circolano senza senso.
Nel post-Sessantotto - quando il ’68 fu fagocitato dal vieto sindacalismo – un cubo snodabile fu inventato o proposto dalle stesse librerie Feltrinelli, che le frasi fatte repertoriavano in segmenti snodabili, a comporre infinite frasi senza senso - un “tubolario”, o “le frasi del tubo”, della “politica”. Il nonsense  italico, senza cioè lo scherzo o l’ironia. Di una lingua che è nata a scuola, e continua a mantenere, per quanto disarmata, questa matrice.
Giuliano Vigini, Stavo per chiamarti, Lampi di Stampa. pp. 121 € 8