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sabato 27 settembre 2014

Letture - 186

letterautore

America . Restano del Novecento soprattutto gli americanisti: Soldati, Borgese, Pavese, Fenoglio,  Vittorini, e Berto che negli Usa fu prigioniero. Per taglio della narrazione, ma anche per l’uso della lingua.

Autore - È sua moglie in più casi di quelli famosi, Eliot, Orwell, Terzani. Ma da qualche tempo l’esercizio è in ribasso.

Bamboccioni – Vengono con la pace? È l’ipotesi che Gabriele Pedullà propone, rifacendosi a Sloterdijk e Pogue Harrison, nell’analisi della continuità familiare abbozzata da Fenoglio in “Un Fenoglio alla prima guerra mondiale”, la raccolta dei racconti sul padre e i suoi anni: “Senza una chiamata collettiva alle armi, vere o metaforiche, che nella storia europea degli ultimi due secoli ha rappresentato una sorta di «presentazione al tempio» dei nuovi cittadini, l’unica alternativa sembra essere una sorta di infinita adolescenza… Dall’ultima grande cesura del 1967-68 è stato partorito un mondo post-storico, dove a quarant’anni si è ancora adolescenti”. Il segno di un tempo senza epica, considera Pedullà.

Céline – Un sentimentale? Dentro lo zolfo di cui è stato ricoperto. Sempre quindi deluso, in amore e altrove.
Sono segni d’amore, questo è chiaro, nazionale, familiare, tradizionale, classista, le intemperanze: contro la Francia e la guerra, i genitori, i datori di lavoro pazienti, lo stesso piccolo borghese, sia pure invidioso e spione.
Di zolfo si è anche coperto, ma come reazione. Il sentimentale inevitabilmente va deluso, e più spesso che no si rivolta, quando non misantropizza.

È esteta, scherzoso. Non al modo, per intendersi, di Wilde-D’Annunzio, più sul genere dandy. Nell’abbigliamento, e in genere nel portamento, fino al viaggio in Urss, al primo pamphlet e all’isolamento Questo si sa – si suppone – ma non si dice abbastanza. Di temperamento lieve, contrariamente all’immagine, la féerie resta il suo progetto più costante. Questo i biografi lo registrano, nella “Pryntil” di Capossela, che ha musicato “Scandalo negli abissi” si avverte: giocoso e lieve.
Faceva la posta alle scuole di danza e alle ballerine ma non a fini grassi – per questi sarebbe andato più proficuamente al music-hall. La ballerina classica è il negativo della foja, anche nel corpo. Capossela, in “Pryntil”, lo fa sentire.

Dei pamphlet non si mette abbastanza in rilievo che hanno una cronologia. Per primo viene “Mea Culpa”, quello contro il sovietismo. È su questo che i libelli antinazionali e antisemiti si radicano. Dopo l’isolamento, il cordone sanitario che lo avvolse dopo “Mea Culpa”.
Non si mette abbastanza in rilievo l’isolamento che l’anticomunista subiva – in Francia negli anni del Fronte Popolare come in Italia dopo la Resistenza. Radicale, cattivo anche. Il non comunista poteva sopravvivere, Soldati come Gide – seppure a condizione che facesse molti piegamenti (e anche questi non bastavano, per esempio con Morselli).

Per wikipedia è un “saggista francese”.

Gesuiti – Ne parla “Il Sole 24 Ore”, solo “Il Sole”. E ne fa la storia, anzi l’apologia. Con dodici volumi su altrettante personalità, e sul “nuovo ordine”, con la rifondazione seguita all’abolizione dell’’ordine nel 1773.

San Sebastiano - “Bello come un dio pagano, e iconograficamente più pagano di un dio greco”, lo dice Riccardo Alberto Quattrini,
E il soggetto forse più rappresentato dalla pittura religiosa, “eccezion fatta per la Vergine Maria”. Icona gay, segreta ma trasparente: le beatitudini del santo trafitto, il protettore degli arcieri. “Il soggetto ideale per schiere di artisti amanti del maschile”, nota Quattrini. Che ne fa una lunga lista, Derek Jarman, D’Annunzio con Debussy, Oscar Wilde, Georges Eeckhoud. Mishima lo invidiò moltissimo e volle imitarlo in morte. Ma ce n’è poco fuori  che in pittura – soggetto anche facile, un frontale. Il Sebastiano di D’Annunzio è l’inattendibile Veronica Gambara, masochista, poseur. Il filosofo Sebastiano di Walter Pater, uno Spinoza separato dai sensi, e quindi dai casi della vita e gli affetti, apatride, di tutte le cause e di nessuna, quindi mancato, fallito. Fino a quando sente che, come la natura non è che un suo pensiero, egli non è che un pensiero fugace di Dio. O si può pensarla a rovescio, seguendo i greci: la natura c’è e io pure.

Simulazione – “Quando si recita, si deve farlo il meno possibile”, è la regola di Giancarlo Giannini (nell’intervista con Antonio D’Orrico, su “Sette” del 19 settembre). Che ne sa anche di più: “Per inventare, bisogna saper tenere il personaggio distante, allontanarlo”. Giannini si riferisce alla sua esperienza nel cinema, dove l’interpretazione è visiva più che orale. Ma non soltanto: la verit si simula.

Tatuaggi – Si è diffusa la voce che Kant non li ammettesse, in quanto antiestetici. In realtà Kant non pensava di doverli ammettere, li registra soltanto come un esotismo dei mari del Sud –“Critica del giudizio”, dove tratta della bellezza - sez. prima, “Analitica del giudizio estetico”, libro primo, “Analitica del bello”, § 16: “Si potrebbe abbellire una figura con arabeschi d’ogni sorta, e tratti lievi ma regolari, come fanno gli indigeni della Nuova Zelanda con i loro tatuaggi, se non si trattasse di una figura umana”. Aveva come tutti un’idea fidiaca della bellezza, da statuaria greca. Del resto il tatuaggio invasivo di moda non si propone nel senso della bellezza ma del rifiuto della bellezza, dell’innaturalità soprammessa al corpo. Denudato, anche di capelli e pelosità, e trafitto nella sua nudità dal tatuaggio. Tutti novelli san Sebastiano, ma machisti.

letterautore@antiit.euu

L'amore era allegro col metallurgico

Un  racconto frizzante, anche disinvolto, nella economia di Moselli, malinconica. Sulla lotta di classe in amore. Morselli lo scrisse nei primi anni 1950, quando ancora “ci credeva”, alla sua scrittura e forse anche al Partito. È il diario della scoperta dell’amore da parte di una ricca signora annoiata. In case di ringhiera di periferia, e altri luoghi squallidi. Con un operaio metallurgico. Più allegro che satirico.
Guido Morselli, Incontro col comunista

venerdì 26 settembre 2014

Problemi di base - 198


spock

Da Spatuzza a Napolitano?

Il processo sale o scende?

Il Quirinale invece della Vucciria?

È lo Stato-mafia o lo Scotti-Mancino, un duello di reduci, ottantenni?

E Ciancimino junior?

Sono quattro anni, o cinque, che il processo viaggia, in pompa, Cottarelli perché non se ne occupa?

Napolitano sì per il giudice Montalto, George Clooney no per Berlusconi, come si regolano le testimonianze delle stelle?

Uno stupro in Cassazione è un’aggravante o un’attenuante? Una violenza alla legge

Se tutte le intercettazioni illegali in Italia le ha fatto solo De Magistris, quante orecchie deve avere?

spock@antiit.eu

Il prete sparviero della Sila

L’ennesimo tentativo dell’indomabile Muscetta di riproporre un autore dimenticato dell’Ottocento, dopo il seminale “Persone in Calabria”, la raccolta che lo stesso Muscetta propose nell’immediato dopoguerra. Di uno scrittore e un uomo polimorfo, dispersivo anche, e tuttavia sempre vivace e anche geniale, in prosa, poesia, giornalismo, politica, studio, insegnamento, prete anticlericale, rivoluzionario moderato, italiano e antitaliano (garibaldino). Affondato subito dal suo amato De Sanctis, in un giudizio che riaffiorerà nella “Letteratura italiana del secolo XIX”, come “vuoto artista”, epigono della “scuola lombarda” (?), cattolica e moderata. Benché recuperato presto da Croce, che ne fu vorace lettore, e ne rilevò le ascendenze barocche nel profondo, già decadente, romanticismo. Attivo tra Acri, la sua città, ai piedi della Sila Greca, Cosenza e Napoli. Per due anni professore anche all’università di Parma.
Muscetta ne ha fatto un “prete comunista”, come lui stesso si definiva (si faceva definire dalla polizia borbonica), ma mettendone in rilievo il “giacobinismo umanista” e l’illuminismo religioso”, in politica “riformista liberale”, giornalista eccezionalmente incisivo e, in linea col romanticismo di fondo, attento conservatore delle favole contadine e leggende popolari. Unicamente ricordato per le poesie erotiche, tanto più per essere di pugno di un prete, è stato sulla scia di Muscetta restaurato per breve tempo nelle storie quale cultore delle tradizioni locali. Ma questa antologia reca anche racconti sempre godibili, aneddotici e di costume, sulla traccia classica, nota Frustaci, del Boccaccio. “Scrittore asciutto, senza sbavature sentimentali” lo registra Luigi Russo – “prete sparviero, dietro gli occhiali”. Anticipatore “del migliore naturalismo siculo e napoletano” per Emilio Cecchi, per “il gusto, il mordente e l’essenzialità”. Specie nelle pagine “sulla vita dei caprai, dei mulattieri, dei pescatori, del minuto contadiname”.
Vincenzo Padula (a cura di Carlo Muscetta e Enzo Frustaci), Prose narrative, morali, satiriche, pensieri, cronache, elogi funebri”, Laterza remainders, pp. LXV + 253 € 7,75

giovedì 25 settembre 2014

Non mollare

La novità di Why Not è che De Magistris dice: “Non mollo”. Che cosa non molla? Il municipio di Napoli, di cui s’è fatto sindaco. E perché dovrebbe mollarlo? Perché è stato condannato in sede penale. Ma questo non è notizia, il giudice è sacro – De Magistris è un ex giudice, l’eroe eponimo del partito dei giudici.
Why Not è un’inchiesta che De Magistris, sostituto a Catanzaro da cui ribolliva di uscire, mise su a carico di Prodi, Mastella e una loggia segreta di San Marino. Un’associazione a delinquere per gestire i fondi della formazione professionale in Calabria. Niente di meno. Un’indagine costosa, per le consulenze di intercettazione e registrazione pagate a un certo Genchi, un ex poliziotto. E balorda: testimoni d’accusa due gestori di fondi per la formazione in Calabria già condannati, che si esprimevano col “potrebbe essere” e “non potrebbe non essere”. Che però fece di De Magistris una firma di “Micromega” e lo portò da Santoro, Travaglio, alla Rai e su tutte le prime pagine.
L’inchiesta è stata dichiarata da tempo fasulla. Così come l’analoga del De Magistris esiliato a Catanzaro, Poseidon. Ma De Magistris ha ottenuto, spinto dalla piazza mediatica, il rientro a Napoli e una carriera politica. Ora non si dimette. Senza imbarazzo del partito dei giudici, che per molto meno chiedono le dimissioni di sindaci, presidenti di regione e parlamentari. I pubblici ministeri, nel processo romano che ha portato alla condanna di De Magistris, sostenevano che tutta la colpa era di Genchi.  

Le “riforme” che affossano l’Italia

Il lavoro in Italia è più “flessibile” che in ogni altro paese dell’Europa – cioè licenziabile. Si sapeva, questo sito l’ha variamente ricordato, ma ci vuole una tabella dell’Ocse perché qualche giornale ne parli. Senza, naturalmente, smettere le paginate sull’art. 18, che da tempo immemorabile non difende niente.
Non è il solo caso in cui l’Italia è più in là dei partner europei sugli orientamenti della stesa Ue e della Commissione di Bruxelles. Le liberalizzazioni sono un altro. Sia nella forma della cessione dei beni pubblici, sia in quella della deregolamentazione. L’Italia è sicuramente il paese dove l’utente è più alla mercé delle public utilities – le aziende dei telefoni, della luce, del gas, dell’acqua. E anzi abusato, senza nessuna riserva o difesa: della politica delle tariffe, le più care d’Europa a qualità di servizio uguale o inferiore, e le più opache, e dell’arbitrarietà del servizio. E ha venduto tutto il vendibile, comprese le isole e le coste. Chiedere in Francia cosa si vende e cosa no. O in Spagna. E nella stessa Gran Bretagna, patria di queste cose - nonché ossessiva promotrice delle stesse in casa altrui, per le sue invadenti “banche d’affari”, gli affaristi specializzati nelle cessioni, gli “spezzatini”, i riacquisti.
Ciononostante siamo subissati da richieste perentorie, quotidiane, anche due volte al giorno, di “riforme”. Da parte di Draghi, di Schaüble, di Weidmann, di Barroso, e ora di Juncker e del finlandese. O così sembra, leggendo i giornali. Mentre sarebbe utile, va da sé, sapere che la realtà è diversa. Per le cose da fare in Italia, e anche per capire l’Europa.
È un problema di comunicazione, di giornalismo. Spiega in larga parte l’inutilità crescente dei giornali. Ma non solo: l’indeterminatezza delle “riforme”, unita alla durezza, costanza, minacciosità della richiesta, configura un modo d’essere dell’Europa nient’affatto solidale, come si pretesta, e invece orientato a un’offensiva politica. destrutturante, eversiva per l’Italia. Funzionale alla speculazione finanziaria. E da ultimo all’egemonia nordeuropea, peraltro dichiarata, se si è in grado di leggere l’attualità sui media di quei paesi.
Lo stesso giornalismo non è solo suicidario. Producendo solo confusione, isterismi, false cause, falsi dibattiti, contribuisce in maniera massiccia alle aspettative recessive. 

L’antipolitica cinquant’anni fa, nel Pci

C’era la “casta” politica già cinquant’anni fa – il romanzo è del 1964-65. Modesta: la Camera dei Deputati è “verbosa, borghese e superflua”. In un paese già allora irretito nelle chiacchiere inutili: “In Italia la gente vive di chiacchiere, si consuma in chiacchiere. Tutto finisce in chiacchiere, che razza di paese”.
È il romanzo più lungo di Morselli, il doppio degli altri. Il più elaborato anche, e il più direttamente politico. Non in senso antipartito. Oggi sarebbe anzi l’esame di coscienza più geuino e leale, oltre che proficuo, del veterocomunista. Walter Ferranini, 45 anni, deputato di base, militante di Spagna, fuoriuscito in America, autodidatta, scientista, appassionato di Darwin quanto di Marx, manager, ha scritto un saggio, “Lavoro, mondo fisico, alienazione” che lo mette in posizione “deviazionista” nel Partito: il lavoro è maledetto, il lavoro non riscatta e non si riscatta. Siamo nel 1958-59, dopo la destalinizzazione non tutto era destalinizzato. Moravia invece – sì, lui - lo sostiene e pubblica il saggio su “Nuovi Argomenti”.
Non è un’idea peregrina, quella del compagno Ferranini – Morselli è narratore-pensatore, un po’ filosofo. Il Lavoro come operosità è: 1) “Una condizone universale e insopprimibile”, 2) Senza riscatto: “È una schiavitù, si è sempre saputo”, e “la schiavitù del lavoro rimane”, anche senza sfruttamento, “in quanto necessità fisica”. Col lavoro “rimane la sofferenza, che è il suo aspetto soggettivo”.
Si può finire così per un’idea? Morselli sì. Calvino non solo rifiutò di pubblicare il romanzo, ma lo fece nel modo peggiore, lodandolo. Gli scrisse una lunga lettera, autografa, il 5 ottobre 1965, molto elogiativa, ma con la premessa che a lui i romanzi politici non piacciono: “La lettura dei manoscritti è un lavoro suppletivo, ed è anche un lavoro - devo dirglielo subito - che, quando si tratta di romanzi politici, faccio senza nessuna speranza…. Le ho detto questo prima, come avrei potuto dirglielo prima di leggere il Suo romanzo: insomma è chiaro che gran parte del mio giudizio è basato su questo a-priori”. In realtà, il romanzo è piaciuto: “Ci ho preso gusto e mi ci sono arrabbiato, non rimpiango il tempo che ho impiegato a leggerlo, posso dire che mi ha mosso pensieri e ci ho imparato”. Ma non lo pubblicherà. No per l’a-priori, che non ha messo in atto, per esempio, con Fenoglio. Una riserva è probabilmente decisiva: “Dove ogni accento di verità si perde è quando ci si trova all'interno del partito comunista; lo lasci dire a me che quel mondo lo conosco a tutti i livelli. Né le parole, né gli atteggiamenti, né le posizioni psicologiche sono vere”. Sono vere invece per il rilettore di oggi. Le uniche vere, quella americane ed emiliane sono di maniera.
Alla rilettura questo Comunista prende solo a tratti, molto è roba inutile. Ma sono proprio quelli politici, se appena appena si è sensibili alla politica – è il romanzo che Arbasino o Scalfari, letterati veri deputati per caso, (non) scriveranno. Una politica triste, di ubbie e preconcetti, fra trattorie dal vino acido e pensioni che sanno di chiuso. Togliatti è Maccagni, altri personaggi sono a chiave. Ferranini negli Usa anticipa pure l’altro Walter, Veltroni: “Qui c’è l’efficiency. Lo riconosce anche il grande Stalin. Nel libro «Principi del leninismo» dice: “Lo spirito rivoluzionario russo deve unirsi alla organizzazione americana”. Se non che l’organizzazione è del Partito, ed è l’unica cosa che il Partito sa fare: “La Curia (come la chiama Maccagni) brava gente occupatissima a tenere su la baracca, a mandare avanti il tesseramento, l’organizzazione, la stampa, le ispezioni…”. La linea è dettata da qualche russo – “Vinicenko dice…”. Le cooperative sono “scimmie del capitalismo.
È anche – sembra impossibile – l’unico romanzo sul Pci, che pure tanto è stato, è, nell’anima degli scrittori italiani. Dopo Calvino, Morselli propose il romanzo a Cesarano, che era del Pci e ne era stato espulso. Giorgio Cesarano era alla Rizzoli, e gli fece un contatto. Poi Cesarano fu licenziato, e il contratto fu disatteso. Nel 1975 Cesarano si ucciderà, due anni dopo Morselli, uno prima dell’uscita de “Il Comunista” nel 1976. Il quarto libro postumo uscito in due anni, per il successo istantaneo dello scrittore inedito dopo morto – “Il comunista” lo ha raffreddato.
Nel suo stile piano, Morselli ha pure già la questione ambiente. Ferranini prova a uscire dal pantano romano tornando dalla moglie che ha lasciato negli Usa. Dove però non si ritrova, ma apprezza che si rispettino gli alberi, lasciandoli invecchiare e anzi coltivandoli, invece di abbatterli come in Italia.
Guido Morselli, Il comunista

mercoledì 24 settembre 2014

Bombardare il terrorismo

I terroristi dinamitano chiese e governi, i “volenterosi” bombardano i terroristi. Sembra equanime, bombe contro bombe. Ma i lenti bombardieri e i velocissimi F 15 o 16 non colpiscono le teste, e potrebbero moltiplicarle. È successo in Afghanistan, l’Iraq è avviato su quella strada. Forse l’Iraq sconfiggerà il terrorismo, ma non per le bombe di Obama, Hollande e i principati arabi.
I bombardamenti notturni tra Siria a Iraq dicono la rabbia di Obama, ma soprattutto ne dicono gli errori. Perfino incomprensibili. Una sorta di obnubilazione del dipartimento di Stato, che pure era il più attrezzato e capace di studiare come va il mondo. Qualcuno imputa gli errori di Obama a una sua fascinazione, come una sorta di equanimità fra le religioni, per l’islam. Ma non da ora gli Usa perseguono una politica filo islam. Se ne servirono nel contenimento anti-Urss, e successivamente per la stabilizzazione dell’area.
Da tempo, già con Bush jr. e anzi con Clinto, gli Usa hanno puntato a sbarazzarsi dei regimi bonapartisti con cui essi stessi avevano stabilizzato la regione negli anni 1950, favorendo e sostenendo, anche finanziariamente, direttamente o attraverso i ricchi principati arabi del Golfo, movimenti politici “centristi” di massa. A carattere religioso quindi, per essere di massa, e moderati. Di fatto un rilancio del modello di stabilizzazione politica che era riuscito in Italia dopo la guerra, attorno alla chiesa con la Dc. Senza fondamento però, neanche storico – l’Italia non è l’Egitto o la Siria. E con abbagli enigmatici.
L’ultimo riguarda l’Isis. Fino a pochi mesi armato e finanziato dagli stessi volenterosi dei bombardamenti aerei.  
Ma dappertutto dove hanno sostenuto i movimenti islamici, gli Stati Uniti si sono ritrovati con regimi  incontrollabili e violenti. Stava per succedere in Algeria col Gie-Fis – l’Algeria poté salvarsi solo come Assad, con una riposta militare. È successo una prima volta in Afghanistan, dove di ripete. E attorno a Israele un incastro è stato creato molto rischioso. Obama è – era – contro Assad, e per i Fratelli mussulmani contro Al Sisi, il presidente egiziano. Per il quale invece sono i principi del Golfo. Obama è anche contro l’Iran, di cui però difende la confessione bombardando l’Isis. Anche la Turchia è – era – contro Assad, e per i Fratelli mussulmani contro Al Sisi. La stessa Turchia che ora, molto “fratelli mussulmani” anche se non dichiaratamente, dopo settant’anni è inaffidabile. E Hamas, il nemico di Israele e degli Usa: protetto dall’Iran, è anch’esso per i Fratelli mussulmani. Che sono la masse, del nuovo corso mediorientale Usa e anche del terrorismo islamico, il suo terreno di coltura. 

Ombre - 237

Fa senso leggere che il primo ministro francese Valls chiede udienza a Angela Merkel, e vederlo mentre si scompiscia dalle risate alle barzellette della cancelliera. È l’“Ecclesiaste” dell’Europa, l’“Imitazione di Cristo”, sic transit gloria mundi, l’Apocalisse. Dopo due guerre sanguinosissime, arrendersi per un euro.

Dacché non paga gli ingaggi, non molto tempo fa, nella lunga gestione Sensi, o altrimenti in ritardo, col contagocce, con lo sconto, a che li paga superiori a Milan e Inter. Con un bilancio in attivo. E vince. È l’As Roma. Niente ha più successo del successo? Niente è meglio di una buona gestione, pratica nemmeno geniale - in questo caso di quello che compra e gestisce i calciatori, il direttore sportivo Sabatini.

Cronache romane a lutto per la dimissioni di Muti dall’Opera. Della quale non avevano finito di celebrare l’eccellenza, che era stata affidata all’ubiquo Fuortes, “el hombre del partido”. Casse in attivo, in tre o quattro mesi, dopo il fallimento…. Biglietti raddoppiati, in una stagione estiva di scioperi…L’Opera di Roma a Salisburgo – cosa che era solo dovuta a Muti. Per ora le cronache sono sconcertate, ma presto diranno di Muti che è bizzoso, inaffidabile.

Oppure no, diranno che la colpa è della Cgil, il Pd romano è più renziano che non. La colpa sarà di parte della Cgil, quella cattiva. Non ci sono cronache romane fuori dal partito?

Resuscita i gesuiti  “Il Sole 24 Ore”, il giornale degli affari. Con una lunga serie di personaggi e tematiche nemmeno interessanti.  È vero che il papa è gesuita, ma appare come un francescano. O i francescani sono gesuiti?

 “Calabria dall’anima nera. Munzi con il piglio del grande autore e l’occhio del migliore cinema americano racconta una terra senza possibile riscatto”. Goffredo Fofi con la solita, sconnessa, apoditticità, fa del film “Anime nere”, di Francesco Munzi, un’idiozia. Nell’intento di elogiarlo. Una terra senza possibile riscatto ?

Fofi lo fa sul “Sole 24 Ore”. E questo è un bello spettacolo, immaginarsi gli ingegneri e i ragionieri che, sulla scorta dei consigli di Fofi, vanno a vedere “Anime nere”.  

Una terza liceo a Caltanissetta dove due classi per una serie di motivi contingenti passano i primi giorni insieme, 42 allievi più quattro insegnanti di sostegno, si merita i sarcasmi e una pagina del “Corriere della sera”. Che scandalo!
Ma non è Milano che monta lo scandalo, è la Sicilia. Dove non  ci sono altri problemi, com’è noto.

Non ha fatto in tempo la Corte Europea di Giustizia ad accogliere un ricorso anti-Esposito di Berlusconi, che lo stesso si vende la procedura come un’assoluzione. Vuole essere condannato?

Tifosi romanisti a Roma accoltellano tifosi russi. Il questore di Roma accusa la Russia: “Non ci ha avvertiti”. Di che, che c’era la partita?

A seconda delle fonti, “la Repubblica”, Scalfari, il “Corriere della sera”, Cofferati portò a piazza San Giovanni il 23 marzo 2002, a difesa dell’art. 18 due milioni, oppure tre, o anche uno, di manifestanti. Ma fece bene o fece male? Questo non si dice.
Fu la sua fine. Non gli pagò la gita a Roma?

Giancarlo Giannini si confida a un trepidante D’Orrico su “Sette”: “Io parlo con gli alberi. E mi capiscono. Me ne sono accorto una volta che avevo piantato dei faggi nella mia casa in campagna. Dopo un mese erano tutti secchi. Ho cominciato a prenderli a schiaffi e gli parlavo in napoletano (mi è venuto così)… La settimana dopo erano tornati tutti verdi”. Perché aveva piovuto?

Non si capisce che processo stia facendo Milano all’Eni per la concessione petrolifera in Nigeria. Mostra di saperlo Luigi Ferrarella. Che però nessuno capisce.

Obama manderà tremila soldati in Africa a combattere l’ebola. Affardellati, col mitra?
Avevamo la pace armata, ora anche la salute.

Carlo Degli Esposti, produttore di “Montalbano”, ha fatto nove ore di anticamera per incontrare Crocetta, il presidente della Regione Sicilia: “Ho fatto con il governatore Crocetta la sala d’attesa più lunga della ma vita. Dalle 11 mi ha ricevuto alle 19”. Crocetta nega: “Non mi ha mai contattato nessuno”. Il politico si vuole impunito.

Scalfari spiega a Floris che Renzi e Berlusconi si somigliano e hanno successo perché sono seduttori. Lo diceva anche di Berlinguer. E allora?

Si discute se i librai francesi che non vendono il libro della Trieweiler non attentino alla libertà di stampa, oppure se Trierweiler non attenti alla politica francese a protezione dei poveri, col suo libro di memorie anti-Hollande. Non attenta di più Hollande? Voleva invadere la Siria per darla all’Isis, non molti mesi fa, ora bombarda l’Isis in Iraq, cioè l’Iraq.

Quando Veronica-Medea fece lo stesso trattamento a Berlusconi, Veltroni la voleva promuovere subito parlamentare del Pd.
Peccato che Veronica non abbia scritto il libro, i librai l’avrebbero promosso volentieri. 

Cominform all'Opera

È un assist a Renzi contro la Cgil. Subito i “volenterosi” nella stampa e le tv si sono impadroniti delle dimissioni di Muti dall’Opera di Roma per spostare la mira. Non l’Opera e la mala gestione, ma l’orchestra, il coro, insomma i lavoratori, per di più sindacalizzati. Rischiando il ridicolo, tanto nessuno glielo rimprovera, poiché a Chicago, di cui è direttore stabile dell’Orcehstra, Muti ha avuto cancellato il co certo in programma il 20 per motivi  sindacali. No, Muti non teme  i sindacati, ma la violenza politica si.
Di cui la risposta della stampa, allineata e coperta, è la riprova. Che naturalmente non ne fa colpa a tutti i sindacati, ma agli autonomi e alla Cgil. E naturalmente non a tutti gli autonomi e a tutta la Cgil, ma a una parte…. Puro stile Cominform, niente è morto.

Le dimissioni di Muti sono l’ultimo effetto di una politica spregiudicata in fame di posti. Messa in moto nemmeno da Marino, una volta eletto a sindaco, ma dal Pd romano. Che h schierato i suoi cannoni nei vari giornali, e s’è inventato il fallimento dell’Opera, subito naturalmente poi rientrato. Per nominarvi l’onnipresdenta Fuortes, il garante dell’occupazione culturale a Roma.

martedì 23 settembre 2014

Fisco, appalti, abusi (58)

Si può essere stati parasubordinati a termine anche per dieci anni ed essere allontanati dalla Funzione Pubblica senza preavviso e senza indennità. Succede al ministero dell’Interno tra gli altri. E al ministero del Lavoro.

Si sposta una maestra precaria, che ha già fatto proficuamente tre anni del primo ciclo, contro la sua richiesta di conferma, a un’altra scuola a 500 metri di distanza. Nominando al suo posto non un\a qualsiasi avente diritto ma una supplente a tempo determinato, in attesa di trovare una sostituta passibile di incarico annuale. È il “lavoro” principale della burocrazia, disfare. Specie nella scuola.

Equitalia manda con data 1 luglio una “comunicazione preliminare all’avvio delle procedure esecutive e cautelari”. Col conteggio degli interessi di mora al 5 agosto. Consegnando la lettera il 25 agosto. Senza timbro.

Indagando su  tanta apparente faciloneria, si apprende che la legge 228\2012, contro gli abusi di Equitalia, pone un termine di 120 giorni prima delle “azioni cautelari (es. fermo amministrativo dell’autovettura) ed esecutive (es. pignoramento)”, un termine di centoventi giorni. E questo termine calcola “dall’invio, mediante posta ordinaria, di una comunicazione contenente il dettaglio delle somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo”. Il dipendente pubblico in Italia (Equitalia è un ente pubblico) è sempre un po’ sbirro.

Provarsi a cambiare banca: non c’è nulla di automatico, né di servizievole. Il “trasloco” del conto è sempre la vecchia, vecchissima apertura di un conto e chiusura di un altro, due mesi di sovrapposizioni e incertezze, sulle entrate, le domiciliazioni, i rid e altri pagamenti. Senza eccezioni – non c’è una banca migliore delle altre. 

Secondi pensieri - 189

zeulig

Economia – È ora scienza e pratica capitalista. Secondo la vecchia terminologia, in attesa di una nuova definizione – ammesso che ora siamo tutti borghesi(ma non è vero).
Mai sarà stata dominante come in questo post-Novecento. Tutto ha un prezzo, anche la cultura. E non solo il monumento o opera d’arte, anche la parola: la lettura, la discussione, la…. Nella crisi si è fatto colpa alla Grecia di avere mantenuto il patrimonio antico – “ha speso troppo” – invece di felicitarsene, e proposte non irrazionali sono state avanzate di ridurre il debito privandosene. Lo stesso si è tentato di fare in Italia, con minore credibilità: troppo demanio, troppi musei, troppa cure, troppe spese inutili. Nel mentre che si dà un valore anche al frivolo e al triviale: l’immobiliare in Qatar, le reti sociali, il bisogno di comunicare, l’interminato mercato dei derivati finanziaria, il debito privato (la leva finanziaria).
È un fatto ma è anche un’ideologia. L’economia è sempre la stessa del Settecento, dei suoi classici, scienza triste e ancillare – subordinata, utile, strumentale. Ma è anche quella della critica del capitalismo: ha bisogno di riprodursi allargata. Usava dire in termini critici della borghesia, ed è ora il fatto – la borghesia al comando. 
Ciò porta a un disegno – tutto si tiene anche senza un agente. Che è peraltro in evidenza. Poiché lo scambio socioeconomico – il gioco – non può essere che a somma zero, ci dev’essere sempre qualcuno che paga per qualcun altro. Se è molto accrescitivo, come si presume del mercato, è anche più severamente afflittivo.

Immaginazione - È il proprio dell’uomo, tra il pianto e il riso. Perché è ciò che fa l’uomo, nelle forme della logica e della fantasia. Che null’altro nella natura contiene.

Logica – È la scienza del non essere. Tra la storia e l’incoerenza - incertezza.
Nella logica nulla è reale. Nulla avviene, tutto si dissolve, in perfezionamenti.

Materia – È dove Voltaire l’ha lasciata: “Conosciamo molto imperfettamente la materia,. Ed è impossibile avere un’idea distinta di ciò che non è materia” – Trattato sulla tolleranza”, nota 59.

Memoria – Decade e a livello individuale, psicologico, per i supporti dell’elettronica, ora anche mobili. Socialmente e storicamente – come trend – decade con la famiglia. Col figlio unico, che riduce ormai da tre generazioni le ramificazioni. Sostituite in parte dalla famiglia allargata, il cui effetto è pero di ulteriore cancellazione della memoria, per la macchinosità, e per le scarse o irrilevanti esperienze comuni. La moltiplicazione delle autofiction, con i selfie e la mania fotografica,  è più un’agonia che una nascita.
Più spesso che non la famiglia finisce in cenere. Senza più cioè un nome, un luogo, un’immagine della memoria, senza più ricorrenze per stimolarla. Per motivi economici, per evitare il funerale, il cimitero, la tomba, ma infine psicologici, per recidere un legame. Quando fu introdotta in Cina per motivi economico-igienici, negli ultimi anni di Mao e delle Guardie Rosse, che polverizzavano anche i monumenti per ricavarne calce, l’incinerazione fu avversata dai contadini, anche con gravi rischi, perché eliminava la memoria familiare.

Mito - Tutto, a fine Ottocento, era demi: demi-monde (Dumas figlio), demi-vierge (Prévost), demi-ton, demi-regard, e c’era anche un demi-castor, di genere femminile. Abbiamo avuto il mini, all’epoca del gigantismo (fusioni, incorporazioni, conglomerati). Poi, all’epoca del “piccolo è bello”, abbiamo avuto il maxi. Ora, all’epoca del mercato, abbiamo l’etica. Piccole mitologie. Il mito è ciò che manca?

Morte – È la morte della morte, per nessun motivo, sia pure deludente (l’età, la malattia), altro che il numero, sotto l’atomica o nella camera a gas. Dove morirono, è bene ricordarlo, non tutti gli ebrei, alcuni: i non ricchi e i non maneggioni. O nell’eutanasia, nel tanto parlare che ora si fa della morte.
Per un credente può non cambiare nulla. Ma la morte della morte è la fine di ogni altro significato della vita.

L’argomento dell’eutanasia è in Seneca, “Troadi”, dal coro alla fine del secondo atto: “Dopo la morte non c’è nulla e la morte stessa è nulla”. Con tutta la superbia del nichilismo. In Seneca che si vuole archetipo del saggio.

Paternità - E se fosse il padre a perdere il figlio, o la madre? Riproducendosi in lui ribelle, traditore, futile. Con tutto il rispetto, il Cristo in croce è un figlio, uno come tanti: senza bussola, né mete verso cui orientarsi, ambizioni, progetti.

Ai genitori i figli devono molto, la tristezza tutta.

È arduo evidentemente l’amore paterno, solo Omero gli dà corpo. Più di quello materno, che se non altro produce elegia e filosofia.

Ma i genitori non possono non esserci, e guai se non ci sono. Sarà vero che a quindici anni si è in fuga, pure dal padre, ma il contrario è pure vero: l’identità non è qualcosa che si possiede, non è una penna o la bici, immutabile benché diversa, caratterizzata, e confrontarsi serve, a riscoprire e ricostruirsi.

Si ripete che non bisogna dire bugie ai ragazzi che le dicono in continuazione. E non li si sanziona: si vuole che si puniscano, che crescano contro se stessi. L’uomo resta così incorreggibile genealogista, sempre alla ricerca del padre. “Il tu è più vecchio dell’io”, Nietzsche l’ha scoperto: è l’esistenza dell’altro, il padre per primo, che dà coscienza dell’io. Neppure Gesù gradì essere abbandonato.

zeulig@antiit.eu

Il Sud delle tresche di Dumas

La “prudenza del serpente” gli era stata raccomandata a Napoli per la Calabria. “D’altronde, si sa”, ribadisce il suo virgilio in quell’oltremondo, il capitano Arena, “sono tutti streghe e stregoni in Calabria”. Anche “fannulloni”, solo “buoni a bere, mangiare e ballare”. Anche col terremoto – che è un “gran divertimento” per Jadin, il pittore suo compagno di viaggio. “Una società equivoca”, si dice lo stesso Dumas. Le stesse guide sono pericolose – avide, incerte, inaffidabili. E tuttavia, si argomenta, “per quanto calabresi, sono uomini.”
Anche al tempo di Dumas la Calabria non aveva buona fama, quasi come in “Anime nere”. Senza pregiudizio - “Mastro Adamo, il Calabrese”, dello stesso Dumas, è una novelletta di fine, ancorché manierata, antropologia. Ma allora insipido – come questo viaggio. Non uno di piacere, nemmeno per il lettore. A parte poche figure: il barone Mollo a Cosenza, Marat a Pizzo, il terremoto del 1783. Ma il racconto del terremoto è la “relazione” di Gourbillon, non un inviato né un diplomatico, ma un poligrafo, rivoluzionario, autore di una “Epistola ai giornalisti”, 1806, per vituperarne il cesarismo, la sudditanza a Napoleone, traduttore e annotatore di Dante, a suo tempo famoso per un “Viaggio critico all’Etna”, non tradotto, 1818.
Il viaggio in Calabria doveva essere parte di una viaggio-esplorazione nel Mediterraneo. Un progetto, 1835, nato con non buoni auspici. Dumas ha 33 anni, ha Parigi ai suoi piedi, a mezzadria con Victor Hugo, ed è già insoddisfatto. Ambisce a una vita di gran lusso, invece del trantran piccolo borghese della capitale di Luigi Filippo. Progetta allora una sorta di viaggio di studio, “un viaggio tutto di poesia, di storia e di scienza, attorno al Mediterraneo”, chiede e ottiene una sovvenzione dal governo, si munisce di lettere credenziali del presidente del consiglio, conte Gérard, nonché dei ministri degli Esteri e della Marina, e a novembre del 1834 lascia Parigi per Marsiglia. Ma è solo col pittore Jadin e il cane di Jadin, Mylord, strangolatore di gatti. Ida Ferrier, vecchia amante e futura sposa, si è defilata. Solo si è aggregato, pretendendosi De Musset,  uno scroccone, Jules Lemaitre, di cui Dumas dovrà cancellare a Marsiglia “mille infamie” e pagare i debiti. A Marsiglia, il 13 marzo 1835, la sovvenzione del governo è revocata, “considerato che il sig. Dumas non ha affatto intrapreso il viaggio per il quale la somma gli era concessa”. Dumas ritorna a Parigi e lancia una società per azioni che raccolga i 100 mila franchi del suo business plan mediterraneo. Non li raccoglie. Hugo sottoscrive 250 franchi, il 31 marzo, Nerval mille, il 14 aprile, il Lloyd molto di più ma non abbastanza. Non importa – tanto i soci non saranno rimborsati: il viaggio si farà lo stesso.
Ripartenza il 12 maggio, in compagnia sempre di Jadis e di Mylord. Con una sosta a Tolone, alla villa Lamalgue, per scrivere il dramma “Don Juan de Marana”. Parte anche Ida Ferrier, Dumas le ha promesso il matrimonio in viaggio. Il 5 giugno la spedizione lascia Marsiglia per l’Italia, in vettura di posta, con Ida e Jadin.
Dopo Roma il viaggio prosegue con una falsa identità per Dumas. L’ambasciatore di Napoli gli nega il passaporto, per i suoi precedenti rivoluzionari. Dumas ricorre a Ingres, direttore della Scuola Francese, che trova un borsista somigliante, Joseph-Benoît Guichard, lo incarica ufficialmente di una missione a Napoli, e in sua vece fa partire Dumas. Che a Napoli s’incapriccia della cantante Caroline Ungher, e con lei parte con lo “speronare” – un po’ più grande di un gozzo - per Palermo. Ida, che soffre il mal di mare, lasciando a Napoli. La Sicilia sarà la parte felice della spedizione. Anche per la relazione con la Ungher, una vicenda piena di sorprese che purtroppo Dumas non ha raccontato - mentre Ida non si sa se non si è rifatta dello sgarbo a Napoli.
La Calabria c’entra poco. Dumas è obbligato a farsene un pezzo, da Villa San Giovanni a Cosenza, perché il Santa Maria di Piedigrotta – lo speronare - è immobilizzato dalla bonaccia. Ne ricava una successione di fatti e pensieri tristi,: alluvioni, terremoti, morti, vicini e anche lontani, Murat, Bellini. Più che un viaggio è un titolo, uno dei tanti buttati giù per far girare il denaro, poi annegati nei due volumi del “Capitano Arena” (o “Lo Speronare”), da cui Claude Schopp l’ha riesumato.
La Calabria non fu nemmeno il lato peggiore della spedizione. Per lo stesso Dumas, che per un quinquennio sarà oberato dai debiti a cui sottrarsi, con gli azionisti e altri. Ne ricaverà il “Conte di Monte Cristo”. Ma nell’immediato poca cosa: “Costumi siciliani”, “Escursioni alle isole Eolie”, 1838, e questo “Viaggio in Calabria”, 1842.
Alexandre Dumas, Viaggio in Calabria, Rubbettino, pp. 168 € 5,90

lunedì 22 settembre 2014

Il mondo com'è (188)

astolfo

Destra-sinistra - L’ultimo partito, quello di Passera, nasce all’insegna “né destra né sinistra”. Basta questo? Destra e sinistra attirano ancora tanto?
Se ne parla molto ma perché latitano. E quando si rileva che latitano, si dice per colpa dei partiti. Cioè di questo o di quello, in Italia da ultimo di D’Alema, di Berlusconi, di Renzi. Ma se ne parla molto solo a sinistra – Nanni Moretti, per intendersi, “di’ qualcosa di sinistra”. E se ne parla molto perché sono concetti dominanti nella pubblica opinione. Cioè in chi la fa, nel giornalismo. E questo fa parte del problema, che ora di Renzi. Sono quindi un problema nel problema. Un problema doppio, della sinistra e del giornalismo.
I due concetti sono sfilacciati. Stinti. Contraddittori: c’è la destra sociale e c’è, prevalente, la sinistra del liberismo, con tasse. Ma non da ora, da almeno un venticinquennio, con la globalizzazione e la caduta del Muro. In Italia non se prende atto ma per effetto del reducismo. Di un reducismo prevalente nei media, anche se i “giapponesi persi nella giungla” si possono contare tra i giornalisti e forse non esistono più: per uno schiacciamento coartato dell’opinione.

Nel 2007 il segretario nazionale del Pd, Walter Veltroni, offrì una candidatura alla moglie di Berlusconi, Veronica Lario, persona di nessun’altra qualità.

Non c’è più il fascismo. È ovunque abolito per legge. E non c’è più il socialismo, che si sciolto. Dapprima in Italia, come spesso avviene in Europa, l’Italia fa da laboratorio e da cavia: il Pci ha sciolto il Psi, e poi si è sciolto nel compromesso storico. La sinistra si è chiamata via via Ulivo, Centro-sinistra, per dire due formazioni distinte unite per motivi elettorali, o anche Centrosinistra, nell’auspicio di un amalgama, ma senza mai aderite al partito Socialista Europeo, e infine partito Democratico, per aderire al Pse ma a disagio e con molte riserve. Semrpe proponendosi a garante del mercato e degli affari. Una deriva che già il laburismo aveva assunto con Tony Blair.
Il Pse peraltro ultimamente si è sciolto, denominandosi partito Socialista e Democratico. Qualificandosi unicamente su questo campo, della moltiplicazione dei diritti. E quasi esclusivamente in campo sessuale: contro i generi (per l’abolizione del sesso), contro la famiglia, per la procreazione libera.

Sono il cerchio e la botte, evocate per questo, per la comodità che offrono? Renzi, nel commento alla riedizione di Bobbio, “Destra e sinistra”, vent’anni dopo, dice che “la sinistra cara a Bobbio, quella socialdemocratica e anticomunista”, non c’è più perché “ha vinto la sua partita”. Non si vede come, né dove. Ma serve a Renzi per mettersi al centro – il centro politico: “Venti anni dopo il monito di Bobbio, è maturo il tempo per superare i suoi confini, modificati e resi frastagliati dal mondo globale, come insegnano Ulrich Beck e Amartya Sen”. Cioè un sociologo della politica di sinistra e uno di destra.

Resta la terminologia, ma residua e inerte  – e anch’essa solo in Italia. Una manifestazione di destra è di “squadracce”, quella di sinistra è “mobilitazione”. Ma più spesso non si sa nemmeno per che cosa: conta il semplice fatto di sentirsi, sentirsi dire, in fibrillazione. Si fanno a Roma settecento manifestazioni l’anno. A nessun effetto, e più spesso per che cosa. La Cgil e anche il Pd, prima delle primarie, portavano a Roma mezzo milione-un milione (una volta perfino due o tre milioni, che sembra impossibile) di manifestanti. Che non hanno lasciato traccia.
Ci sono – c’erano – mobilitazioni permanenti di fronte alla casa romana di Berlusconi quando bisognava farlo condannare. Fotografi, cronisti e militanti mobilitati a “immortalare” un lancio di qualche materiale, far rimuovere una palina della fermata del bus, o farcela rimettere, dirgli “scemo, scemo!” all’entrata o all’uscita, rare, le attese erano lunghissime, nella speranza magari di un terremoto con epicentro il palazzo. Si sono volatilizzati con la sentenza Esposito, come a una parola d’ordine. Ci sono stati perfino, al Testaccio a Roma, quartiere più di ogni altro romanoscettico, gruppi di “vicini” volenterosi che hanno preparato ed esibito cartelli e striscioni a sostengo di Letta, davanti a casa sua, quando fu silurato da Renzi.

Disoccupazione giovanile – È effetto della formazione continua? Della “troppa” conoscenza, della rete, dell’elettronica? Nelle società ricche sì, anche se non esclusivamente. Dal nerd al geek, i branché fuori dal mondo, i compusaputelli, e ora al a neet, trent’anni niente scuola e niente lavoro, non c’è evoluzione ormai da due generazioni. Anche nel gusto per le sigle, le tipizzazioni: fanno parte delle lamentazioni, genere che si rilancia, da mortuario a lavorativo. Sono i “bamboccioni”. Che cercano lavoro, e lo vogliono “preciso”, ma non sanno quale. È come se l’elettronica, con l’illusione di una formazione continua e illimitata, buona a tutto, svilisse gli istinti vitali.
L’adolescenza protratta fa più danni che benefici. Se mantiene curiosi e svegli nei saperi, addormenta però la volontà, la voglia e la capacità di decidere. Se fa ora materia di studi sociopsicologici, ma è pure ovvio: la formazione continua ha benefici sicuri, ma anche danni sicuri. Le generazioni che si “sono prese tutto”, quelle cosiddette del Sesantotto, teorizzavano il rifiuto del lavoro ma lo cercavano attivamente e lo creavano.

Fanatismo – Si chiama fondamentalismo una pratica religiosa radicale e intollerante. Come se fosse la radice, il nucleo proprio, del fatto religioso. Mentre ne è un rifiuto. Una manifestazione di incongruità, a opera di mestatori nel nome della religione.
Esulando dal fondamentalismo contemporaneo, essenzialmente islamico, e quindi soggetto a giudici e pregiudizi politici, anche opportunistici, se ne ha la riprova nel cristianesimo delle origini. Nel quale, accanto all’esercizio pacifico della religione, quale l’impero romano assicurava, sono sorte nell’Alto Medio Evo, quando la chiesa di Roma doveva confermarsi depositaria della fede, le vite dei santi, le leggende e i reliquiari sulle persecuzioni e i martirii: come se la cristianità fosse stata tutta romana.
È bensì vero che il cristianesimo si affermò e prosperò con simili leggende.

Fascismo – Non ha sulla coscienza solo Matteotti, e poi i Rosselli. Il 9 giugno 1924 Piero Gobetti fu aggredito all’uscita da casa e percosso con danni irreversibili. Dopo che, l’1 giugno, Mussolini aveva telegrafato al prefetto d’Adamo: “Prego rendere nuovamente difficile vita questo insulso oppositore”. È il giorno prima del rapimento di Matteotti. Il 5 settembre 1925 Gobetti è nuovamente picchiato dagli squadristi, al ritorno da un breve viaggio a Parigi. Decide di esiliarsi nella capitale francese, ma scompensi cardiaci acuti insorgono e pochi mesi dopo muore.

1989 – Sarà, due secolo dopo il 1789, il nuovo spartiacque della storia. Non solo per la caduta del Muro, che si va a celebrare tra qualche settimana. Ma anche per Tienanmen, il massacro comunista delle manifestazioni di protesta a Pechino, di cui gli Usa decisero di non tenere conto. È la consacrazione della globalizzazione, disegno politico prima che economico. Gi Usa avevano aperto i mercati occidentali alla cina come contraltare all’Urss da una parte e al Giapone dall’alra, e a Tienanmen decisero che gli american dovevano poter continuare a fare la spesa, di abbigliamento,. calzature, casalinghi e giocattoli coi prodotti cinesi ai discount a poco prezzo  - c’era Bush e non più Reagan, ma non avrebbe cambiato nulla: fu l’esame di maturità della globalizzazione.

Occidente - Il concetto politico più usato in mezzo secolo di storia dopo la guerra è caduto in disuso col 1989. Con Tienanmen e la caduta del Muro: con la globalizzazione. Che è più di un’organizzazione tecnica dei mercati, una World Trade Organisation aperta a tutti, è un’ideologia: l’ideologia della non-ideologia. Per cui non c’è più il “patrimonio di valori” che facevano l’Occidente: la libertà, al democrazia, i diritti civili. C’è l’indifferenza.
È caduto in disuso come valore e anche come schieramento. Se non, episodicamente, se si vuole riaffermare un legame speciale con gli Usa, come “volenterosi”. Non c’è dibattito, e non c’è nemmeno concordanza. Semplicemente si è tornati alle vecchie decisioni e patti di potenze, anche piccole e piccolissime.  

astolfo@antiit.eu

Le sirene di Céline

Fa senso leggere in copertina “un inedito”. Avveniva nel 1998, quando la figlia dello scrittore, Colette Destouches, “scopriva” il racconto fiabesco che il padre aveva scritto per lei a tre o quattro anni, e la madre, Edith Follet, aveva illustrato. Sullo stile mille e una notte: Mouck, piccolo vagabondo, si perde nel deserto, incontra un gigante, poi una principessa strega, un visir, un genio, che gli inventa il mare, dove guidato dai nanetti trova infine le sirene.
Il genere fiabesco sarà sempre un’ambizione di Céline, al fondo di una scrittura che passa agli annali per sulfurea. Era un tenero. Un tardivo omaggio di una moglie e una figlia di cui lamenterà con insistenza l’estraneità – le sirene che tanto cercherà nei pantomimi, i balletti, le féeries.
Céline, Storia del piccolo Mouck

domenica 21 settembre 2014

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (219)

Giuseppe Leuzzi

Si viaggia per città meridionali belle e bellissime, Palermo, Agrigento, Siracusa, Catania, Bari, Reggio Calabria, ben tenute, perfino pulite, la stessa Napoli. Che si deducono anche vivibili, dalla démarche, direbbe Balzac, decontratta dei residenti. Con l’impressione di fare una cattiva azione.

“I film di mafia sono i nostri western”. Lo ricorda Mariarosa Mancuso - attribuendone la saggezza a Pasquale Scimeca - in avvio alla recensione di “Anime nere” su “Sette”, ma non convince – la recensione stessa non è convinta. Per almeno cinque motivi. Gli indiani qui sono i meridionali stessi. I pellerossa sono stati riabilitati, i meridionali non se ne parla. Il western è avventura, questo Sud è abiezione. Il West è bello e bellissimo, spazi larghi, animati, acque trasparenti, luce, il Sud è desolazione. Il West è una frontiera, il Sud è inteso un limite e una condanna..
Questo Sud è il serbatoio di un mercato editoriale, questo sì. E di un filone ancora più ricco di cinema e tv. In questo senso è il “nostro West” – nostro della Rai, di Milano (l’Aspromonte era il West già per Bocca e “L’Europeo” dell’11 settembre 1955, per una serie di delitti, culminati nell’assassinio del maresciallo dei Carabinieri Sanginiti, originati da una vicenda di gelosia, o storia d’amore tradito).
    .
“Anime nere”, cupissimo film, due ore di violenze, è stato finanziato dal Parco dell’Aspromonte a scopo promozionale. Per non far venire nessuno? Un’ottima idea: i (pochi) fruitori del Parco non possono che complimentarsi, promozione geniale.

Con Pitagora le donne si avvicinano per la prima vota alla filosofia: Della serie: la donna del Sud?

Storia e libertà
Si continua a non fare storia al Sud. Né documentaria, né sociale, né culturale. Se non per stereotipi: la feudalità, i Borboni, la chiesa, e ora la mafia. Sempre nella retorica stentorea “classica”, annettendosi Omero, Apollo, Oreste, etc. Voltaire, “Trattato sulla tolleranza”, ne sapeva la ragione, al § 9. “Dei Martiri”: “Nulla è più comune presso i popoli conquistati che mettere in circolazione delle leggende sulla loro gloria passata, così come, in certi paesi, certe famiglie miserevoli si fanno discendere da antichi sovrani”.
La storia - farsi la storia - va con la libertà. Di spirito, di condizione. Il Sud non è suddito, giuridicamente no, di fatto sì.

Tuttomafia
“Soldi della mafia cinese «girati» alle ‘ndrine”, titola “Il Sole 24 Ore” domenica 14. Questa ci mancava, la ‘ndrangheta a Pechino. Anche se lo scambio avviene a San Marino.
Ma l’inchiesta, tra San marino e Milano, “sfida le future risultanze processuali”. Importante è la “verità” subito, qui.

Gay Talese ha in “Ai figli dei figli” – il suo padre fittivo, emigrato saggio da Maida, ha – la mafia in quanto “organizzazione politica”, seppure criminale, “un’arma politica in una società prevalentemente contadina che era apolitica”: “Veniva incontro a un bisogno di potere in una casse popolare senza potere, i cui mutevoli governanti stranieri e invasori erano all’oscuro o non preoccupati della loro povertà e miseria”. Il problema è che la mafia in Calabria, prima della Repubblica, non c’era.

L’Aspromonte parlato a metà
C’è molto ma poco dell’Aspromonte nel film di Munzi, “Anime nere” – celebrato dai trailer, e dal regista stesso, come un’apoteosi della Montagna. Due terzi abbondanti delle riprese sono, tra interni ed esterni, ad Africo Vecchio e Africo Nuovo, ma la montagna non c’è. Se non per qualche scorcio tra il livido e il pietroso. Il paese non c’è, eccetto le donne sfatte ai lutti. E soprattutto, benché il film sia recitato in dialetto, con pronunce e battute piuttosto fedeli, manca il linguaggio. La speciale forma espressiva locale del paradosso, connaturata anche ai bruti, più spesso nei toni dell’understatement. Del non detto, dell’alluso. E l’impellenza, quasi un obbligo, di mitizzare i fatti, seppure minimi. Che invece si espande in narrazioni interminabili: minute, ripetute, divaganti. Una sorta di Sterne al naturale, e pure con la stessa cifra ironica: per il gusto del rovesciamento, dello scarto.
Ha voluto il colore ingrigito, stagnato, il regista di “Anime nere”, per sottolineare la violenza sordida della sua storia – che non è quella dell’autore del romanzo dallo steso titolo, l’africoto Criaco. Nella quale ogni dieci minuti fa scannare, scuoiare, tagliare teste, seppure di animali, tirare a pallettoni contro insegne, cristiani e ossa di morti, seppure di animali, o quantomeno con la pistola. E vuole il film una testimonianza dell’Aspromonte e una prova-verità – “da Africo si capisce meglio l’Italia”. Ma l’Aspromonte non c’è. Munzi dice di aver passato un anno ad Africo per studiare le psicologie, e che ha fatto lavorare molti attori “presi dalla strada”. Dal film non si vede, ma i titoli di coda sono pieni di messaggi affettuosi per un mucchio di gente, presumibilmente di Africo, i nomi sono locali. Che probabilmente resteranno delusi. Per qualche incongruenza evidente: un allevatore e imprenditore agricolo (ha bellissime carciofaie in serra) si cura con la “polvere dei santi”, alla medicina mescolando la polvere di calce o cemento che raccoglie sotto il busto reliquiario di San Leo ad Africo Vecchio. Le donne sono stupide e inerti. Tre famiglie di scemi, molto violenti, sono tutto. Sullo sfondo dell’abusivismo di necessità da cartolina - le case non finite perché bisogna pagare il mutuo alla banca: la “vita di sacrifici” del piccolo calabrese oggi è pagare la banca, per trenta e anche più anni.
Un film delude sempre chi lo fa, eccetto i grandi professionisti. Molto si gira e moltissimo poi si taglia. Ma quello di Munzi è il film di una carneficina, di animali quando non aveva a tiro cristiani, e di ossa di animali in assenza di bestie vive. L’Aspromonte manca. Dice bene Barbara Bobulova, l’unica “straniera” del cast: “Questo film è raccontato in un modo che potremmo essere in un altro luogo, il male coinvolge tutti”. Manca soprattutto il linguaggio, in quello che pure è il punto forte del film: il parlato in dialetto. Munzi ha deciso di far parlare il film in dialetto, con dialoghi veloci, al punto, che aiutano. Che tuttavia restano un che di sovrapposto. Per una mancanza - malgrado lo sguardo lampeggiante di Marco Leonardo, uno dei fratelli della carneficina. 
I selvaggi non ridono
I dialoghi sono giusti, nel dialetto stretto dell’Aspromonte, sintetici, gnomici, parasintattici. Opera probabilmente di Gioacchino Criaco – se non degli africoti cui Munzi dedica il sentito grazie. Ma si privano della comunicazione muta (gestuale, facciale) che al cinema viene bene e fa la forza dei capolavori del genere, di Coppola, Scorsese, Ferrara, dello stesso Garrone in Gomorra, il prototipo. E dell’irrisione implicita, l’understatement, l’allusione costante. C’è un linguaggio calabrese, se non propriamente aspromontano, che ha questa complessità, e il film se ne priva. Al punto che sembra professarsi non veritiero, “recitato”.
L’irrisione, la beffa, lo sdegno si possono dire la cifra di questo linguaggio calabrese – con l’esclusione di Alvaro e di Strati: Répaci, Perri, Pedullà, Vollaro, Delfino, Scalfari, Zappone, Gay Talese, anche a ben guardare, e malgrado se stesso, Abate, come già nel Settecento l’abate Conìa, e nell’Ottocento Gian Lorenzo Cardone, autore dell’inno antiborbonico, “Il Te Deum dei calabresi”, e il liberale Antonio Martino, il primo pentito dell’unità, insieme con l’abate Vincenzo Padula. Non cinica, anzi sempre entusiasta, e per questo cattivissima, per la delusione. Un altro filone etnico è la protesta, anarchica, anche violenta. Censita più spesso tra i “franchi narratori”, Luca Asprea (Carmine Ragno), Vincenzo Guerrazzi. Ma anche, in chiave politica, partitica, di Répaci, Leonetti, Strati, Abate e, sembra di capire, Criaco, l’autore del romanzo da cui è tratto “liberamente” il film. Al netto, beninteso, della bolsa retorica dominante della “classicità” (Omero, Oreste, “la culla della civiltà in Italia” e altrettali”), del conformismo risorgimentale e dell’afflizione dei “vinti”.
I selvaggi e le scimmie, usava dire, non sorridono. Ma chi sorride oggi? Con la civiltà il sorriso si è diradato, con la civiltà di massa. Con una certa concezione della civiltà, che si vorrebbe democratica e invece è razzista. Esclusivista e non inclusiva, dominante, anzi unica, e faziosa, e al fondo razzista – i primi razzisti sono le vittime del razzismo, quando lo introiettano come critica superiore o civiltà. Il riso invece in Calabria, terra e gente naturaliter democratica, da sempre, non dispiaccia agli storici dell’inesistente feudalesimo, resta forte. Fortissimo. O lo era fino a ieri, quando ancora ci si esprimeva. In una regione semibarbara: irresistibile, di tutti, per tutti - la cifra del linguaggio.
D’altra parte, è l’accumulo della distruzione esso stesso umoristico – sarcastico? Visto in Calabria, “Anime nere” fa ridere.

leuzzi@antiit.eu

La natura ragiona, o il Dio degli tsunami

Se non fosse un libro ben fisico, ben rilegato e copertinato, si supporrebbe un miraggio. Sul “confronto”, come oggi si direbbe, tra Aristotele e Platone. Nel Quattrocento. Sul senso di una parola di Aristotele, se la natura “delibera”, cioè ragiona (“ragionare o non ragionare – ovvero deliberare, che dir si voglia”, taglia corto Bessarione), oppure no, è meccanica. Una polemica tra grecisti, che allora erano greci, i pochi a Roma. Di uno dei quali, Teodoro Gaza, l’antiplatonico, non si ha più il testo. Un libro per metà in caratteri greci. Con un’introduzione di Eva Del Soldato che procede con lunghe citazioni in greco e in latino, non tradotte, e in francese. Con nota critica e note, dottissime, di Ivanoe Privitera. E tre saggi a corredo che anch’essi citano liberamente dal greco e dal latino: lo “Scriptorium Bessarionis” di Pier Davide Accendere, che redige anche la bibliografia, “Bessarione e la stampa”, allora agli inizi, di Concetta Bianca, la “Iconografia di Bessarione” di Fabrizio Lollini, il saggio rivisto dello stesso Lollini per il catalogo della mostra napoletana su Bessarione vent’anni fa. E dunque un libro prezioso.
Il tema è se Aristotele ammette che anche l’arte “delibera”. Sì. Ma allora anche la natura delibera, poiché Aristotele, nella “Fisica”, pur attribuendo alla natura la praxis, l’iniziativa, e all’arte la  poiesis, la semplice operatività, in realtà non distingue, stabilisce Bessarione nel testo breve di confutazione del perduto Gaza: va al suo fine come una freccia scagliata da un arciere, in questo caso Dio – il dio dunque dei terremoti, degli tsunami. Forse a malincuore, poiché lui è per Platone e quindi allora, col suo maestro Gemisto Pletone, antiaristotelico. Ma Aristotele è il faro della dottrina romana, e Bessarione ha scelto Roma, ne è cardinale. Nel testo lungo, “La natura e l’arte”, il cap. VI della raccolta che pubblicherà in lode di Platone, “In calumniatorem Platonis”. Dove anticipa la conciliabilità di Platone non solo con Aristotele ma anche con Cristo, che sarà poi sviluppata, da ultimo da Simone Weil.
È un libro bello per la figura che propone. Un’occasione per riaccostare o scoprire, grazie anche alla cronologia efficace di Marino Zorzi, una figura straordinaria di filosofo, filologo, teologo, umanista, politico, Di una delle poche figure che capivano l’assurdità di una divisione, e anzi una ostilità radicale, per una “e” e una “i”, del filioque e della omoiusia. Che al concilio di Ferrara-Firenze, 1437-1442, propose e fece sottoscrivere un atto di unione – poi rimasto agli atti. Fu per questo cardinale, e quasi papa: entrò papa al conclave del 4 aprile 1444 alla morte di Niccolò V, con otto voti su quindici, ma la barba indispose i cardinali…(fu eletto il primo papa Borgia, lo spagnolo Callisto III: se Bessarione fosse diventato papa invece dei Borgia?) – ricandidato al conclave del 1471, quando era sui settant’anni, fece eleggere Francesco della Rovere, Sisto IV, suo protetto e suo confessore. Soffrì la caduta di Costantinopoli, effetto della divisione tra Oriente e Occidente, e tentò più volte con missioni oltralpe di coalizzare la cristianità contro i Turchi, senza successo. Fece aprire a Messina due cattedre di greco, che il locale monastero basiliano avrebbe finanziato, di cui sarà allievo Pietro Bembo, e ci nominò Costantino Lascaris. Promosse la riscoperta e pubblicazione dei classici greci, e personalmente ne costituì la più grande biblioteca, il fondo principale della Marciana a Venezia, a cui la trasmise con donazione in vita. Come leggere fantascienza.
Bessarione, La natura delibera. La natura e l’arte, Bompiani, pp. 320, ril., ill, con testo greco a fronte € 26