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sabato 11 agosto 2012

Giustizia

L’Artico gelido
Giudice dovendo
Masiello Salvatore
E Vives salvare
Biblico si fece
E salomonico disse
Il teste dell’accusa
Valido a metà.

Fuori Berlusconi,
l’occasione c’era
infine di levarci
i giudici dai coglioni,
Berlusconi ritornato
Fa il giudice indemoniato,
che sragiona moltiplicato.

Il mondo com'è - 105

astolfo 
Effimero – Così qualificato spregiativamente da Beniamino Andreatta quando divenne ministro del Tesoro con Spadolini nel 1982 e cominciò a tagliare le spese degli enti locali fuori controllo (“Si paghino l’effimero”), fu l’invenzione nel 1976 di Renato Nicolini, assessore alla Cultura a Roma. Che aprì le piazze e ogni spazio urbano comune, i monumenti, i viali, i prati, le grandi ville pubbliche, alla fruizione dei cittadini per spettacoli e l’impiego del tempo libero. Del tempo a occhi aperti. Un’idea di grande impatto urbanistico, che mutò la sociologia e la fruizione delle città rapidamente in tutta Europa. Compresi i paesi del Centro-Europa che meno avevano praticato le piazze e ogni altro spazio di vita in comune. Nulla a che vedere con le isole pedonali, altra invenzione romana, del primo centro-sinistra, poi furono trasposte in centri commerciali. Prima dei centri commerciali propriamente detti, successivi, i “non luoghi” per antonomasia della contemporaneità. 
 
Europa – L’Europa certo finirà, come tutto. Doveva finire sotto Mosca, l’America l’ha salvata. Ora potrebbe finire sotto i gialli, perché no - Céline già li temeva, erano la sua ossessione prima degli ebrei. O i marziani, i mussulmani, gli americani, del Sud. È paradossale per l’Europa inabissarsi con la Germania, che a lungo e con furia se n’è voluta dissociare, ma la storia, direbbe Benedetto Varchi, “vive quasi infinite volte”, in infiniti modi. E in infiniti modi muore, le storie finiscono. L’Europa stessa, piccola ma ricca, la più ricca al mondo, e presuntuosa, ora vuole farsi perdonare, ma non sa di che, ama compatirsi. Come una vecchia baldracca, senza più attrattive, che sospira sulla porta di farsi fare generosa da ognuno che passa. “L’Europa non ha più misteri, nessuna profondità, è morta”, disse nel 1936 Lou Andreas-Salomé, settantacinquenne lucida e vigorosa, levatrice di pensatori e poeti. Nazionalismo e imperialismo ne sono il cuore, figli dell’Ottantanove: missione del dotto, fardello, destino, civiltà. I tedeschi sono venuti ultimi a questi inciuchimenti, e recalcitranti. Non c’è altra storia. L’Europa ne ha tratto profitto, ma ora non se la fila più nessuno. Giusto quanto basta per farle spendere soldi che ha accumulato. 

 Germania – “La Germania è cresciuta con l’Europa”, va ripetendo Martin Schulz, il presidente del Parlamento europeo, per esorcizzare lo sciovinismo tedesco, come sempre benevolente. Ma si può solo intendere in questo senso: la Germania si è arricchita con l’Europa. In altri non è possibile: la Germania, benché sempre benevolente, non guarda fuori. Con un misto di ammirazione e invidia (deprecazione). Si prenda l’Italia. Non c’è al mondo popolazione (e cultura) più filo italiana di quella tedesca. Che dell’Italia gusta e copia la musica, la pedagogia, la cucina, lo stile di vita (informale). Ma a suo agio si trova nel mondo cupo del Centro-Europa, anche se affollato di slavi, rom, magiari, e tedeschi non graditi. Che la scimmiottano. E, perché no, in fondo pensa di fare a meno dell’Italia, come di un accessorio, confondendola magari col sole o con le canzoni, di cui pure è tanto appassionata. Sostituibile con Essaouira e altri luoghi ameni, dove non si canta ma c’è il catering fresco di Germania. La Germania è sempre benevolente, ma intollerante.

 Giornalismo– Il migliore è il non detto. Quello che si evita di scrivere. È una professione censoria? Anche. Ma il miglior giornalismo è quello che si evita di leggere, più che di scrivere. È immaginario. L’opinione pubblica è immaginaria. 

Imperialismo – La missione fu a lungo di civiltà. Nonché in Africa, ancora in Algeria, ancora a metà Ottocento. Gli scienziati politici inneggiavano alla conquista. Quando già si sapeva. Thackeray, l’autore della “Fiera della vanità”, dedicava a Abdelkader “Il falco in gabbia”, un’ode, e si fondavano in America cittadine El-Kader, in onore del Giorgio Washington dell’Algeria. Il “Manifesto dei comunisti” era in tipografia, quando Engels disse “la conquista dell’Algeria un evento fausto e importante per il progresso della civiltà”. Tocqueville concordava, seppure all’inizio dell’impresa, e quando Bugeaud non aveva fatto sentire la sua mano pesante di generale napoleonico, rapinatore, massacratore e, pare, violentatore – ma il conte in anticipo avallava, nel 1841, da esperto al Parlamento di Parigi, la distruzione delle coltivazioni e delle scorte alimentari, la distruzione dei villaggi, e le deportazioni di massa, vecchi, donne e bambini inclusi, in campi di concentramento, se non già di sterminio, che Bugeaud si apprestava a lanciare. E tuttavia non erano i beduini “briganti”, “taglieggiatori” e “mercanti di schiavi”, come diceva Engels a fine 1947? Lo erano. Robert Byron, “Viaggio in Afghanistan”, subisce questo dialogo: “A quale governo appartenete?” “Al governo dell’Inglistan.” “Inglistan? Che paese è?” “È la stessa cosa dell’Indostan.” “L’Inglistan è una parte dell’Indostan?” “Sì.” - Potrebbe essere stato. Ma cosa sarebbe l’India se non fosse stata inglese? Non la più grande democrazia del mondo. E forse neanche in via di sviluppo, zavorrata dalle caste e gli odi religiosi, umida, sporca. Alla stessa maniera di Kipling se non fosse nato in India, se fosse cresciuto nella cameretta di “A lume spento” in patria.

Italia – È Roma e la chiesa. Anche. Ancora molto, malgrado la frontiera eretta al Tevere dallo Stato Italiano dei massoni, che ora si dice abbia “liberato” la chiesa dall’identificazione. In Italia ne ha presente il riferimento solo Galli della Loggia. Fuori d’Italia l’identificazione è luogo comune. Specie nei paesi divisi dalla Riforma, quali la Germania, l’Olanda e la stessa Gran Bretagna. In Germania l’antitalianismo è luterano. Nell’“Ulisse” Joyce fa dire al suo alter ego giovane e filiale Stephen: “Io sono il servo di due padroni, uno inglese e uno italiano. Lo Stato imperiale Britannico e la Santa Chiesa cattolica Apostolica Romana”. Arbasino, il social scientist degli anni del terrorismo, fu antropologo in casa vent’anni fa coi “Paesaggi italiani”, capace di registrarvi e decifrarvi spezzoni di comportamenti e di linguaggi a lui estranei. Al meglio, vi era il Flaubert delle frasi fatte (anche Flaubert si pretendeva sommerso, pretendeva che le sue cose si scrivessero da sé), intervallate da estratti tragicamente limpidi delle ultime lettere di Aldo Moro - nonché dal raffronto scandaloso (tragico) tra l'ultima lettera di Moro (“il mio sangue ricadrà su di voi, sul Partito, sul Paese”) e ‘'ultima lettera di Maria Antonietta di Francia. Moro, chiosa Arbasino, dimentica tra l’altro di maledire i suoi assassini. E nemmeno venti anni sono passati, da quando “il papa si metteva in ginocchio davanti alle Brigate Rosse”. Esemplare di un tipo molliccio di umanità è anche il personale ritorno a Milano dello scrittore, intitolato “Stagioni morte”. L’Italiano, al meglio, è insomma del tipo salveminiano, anche se Arbasino è portato, per formazione e ricordi personali, più verso il tipo crociano. La diatriba Croce-Salvemini, fra il corpo sano con bubboni, o il corpo irrimediabilmente malato - che a occhio, senza essere medici, non avrebbe ragione di essere, se non per la ricreazione delle anime belle, giacché‚ dopo tutto l'Italiano vive e lavora. Arbasino fa molto credito a Pasolini delle “Lettere luterane”, l’ultimo scritto edito in vita: si fa strada l’istinto di morte. La depressione potrebbe venire da lontano. Oppure no. Potrebbe venire dall’abbandono della robustezza rustica per un vuoto modello urbano. Sempre il contadino in Italia è, come diceva Sismondi già nel 1809, “tanto superiore al cittadino quanto questi lo è al gentiluomo”. Approssimazione per approssimazione, infatti, la censura colpisce da sempre in Italia anche il gentiluomo. Che Machiavelli prima di Salvemini ha bollato: “Gentiluomini sono chiamati quelli che vivono delle rendite delle loro possessioni... Questi tali sono perniziosi in ogni repubblica”. Altrove, per esempio in Inghilterra, la civiltà è posta a credito del gentiluomo, per non avere invidie o rivalse da far valere – Tocqueville ne faceva il perno dell’ “impero” britannico, della superiorità costituzionale e morale dell’Inghilterra nel primo Ottocento. Galli della Loggia, che pure spazza allegramente via frasi fatte e stereotipi, e riscopre infine il carattere notabilare, fortemente oligarchico, della nostra borghesia, imputa il limite a “una complessiva forte subalternità del modello borghese a quello nobiliare”. Proprio quella subalternità che, dove s’è realmente data, in Inghilterra, ha prodotto il radicalismo tory e ha dato, a giudizio di Tocqueville, molti vantaggi a quella democrazia. L’oligarchia è tenuta su dalle banche, i modelli culturali della nostra borghesia sono i palazzinari e mastro don Gesualdo, con le rubinetterie d’oro. Le buone maniere non hanno mai fatto male a nessuno. L’Italia vi avrebbe avuto un ottimo serbatoio, paese urbano da tempo immemorabile. Poteva farne la sua specificità, è un paese unico in fatto di tradizioni, non fossero essere negate per una falsa democrazia. Gli ex mezzadri toscani che alla Borsa merci di Firenze dietro piazza della Repubblica trattavano negli anni 1950-60 le loro merci come al mercato, in capannelli, tra un bicchiere di vino e l’altro, rubizzi, le mani callose, avevano mediato dai padroni i vestiti e il vernacolare misto, col giusto grado di realismo. Lo sgonfiamento del debito pubblico, il “tesoro nascosto delle famiglie italiane” (Guido Carli), introdurrà delle incertezze? 

astolfo@antiit.eu

La verità sulle due morali, e l’Italia

Sono due, segreti, i motivi di attrazione del racconto – ben sceneggiato ma non sorprendente. Uno è personale, la trasparente autobiografia di Soldati, figlio vittimista di madre castrante, pronubi i preti in collegio. L’altro è un fatto etico e sociologico, di sociologia politica e della famiglia: la gioventù e la gioventù negata, la libertà e il bigottismo (oggi della stessa libertà), la natura e l’educazione, le due morali, le due Italie. Un piccolo miracolo, duraturo.
Mario Soldati, La verità sul caso Motta

venerdì 10 agosto 2012

Problemi di base - 111

spock

Vendola con Buttiglione?

Questa Juventus che controlla tutti gli arbitri, le partite, l’antidoping, e i giudici, come mai si fa sempre condannare?

Perché non prendere sul serio la Bundesbank?

Perché Angela Merkel dovrebbe essere nazista, se è merkeliana?

Perché i draghi, che sputavano fuoco, ora scodinzolano?

E se intercettassimo Travaglio? O Nuzzi?

Ora che si pente anche il diavolo, che ce ne facciamo di Dio?

Ma con chi Conte ha concordato il pareggio? Col suo vice?

E chi Conte ha omesso di denunciare, il suo accusatore?

Artico e Palazzi, che tanto si divertono con la giustizia sportiva, hanno rinunciato alle loro prebende?

spock@antiit.eu

Il cretino non muore e ritorna integrale

Ce n’è per tutti, la stupidità è, come la peste, contagiosa. Fruttero e Lucentini dicono il cretino soprattutto imperturbabile, un Napoleone solitario, in campo aperto, senza alcuna considerazione del nemico. Ma è tra noi. Nella superstizione, e nel rifiuto della superstizione. Nella Crisi, di Coppia, del Traffico, della Sinistra, della Fiducia, della Credibilità, Occupazionale e della Rai, delle Vocazioni Religiose, dell’Editoria, dei Servizi Segreti, del Romanzo, della Giustizia. Nella speculazione in Toscana che si può fare se in accordo col Pci-Pds e col clero, “i due pulpiti che più volentieri tuonano contro l’egoismo, il profitto, il mercato, la speculazione e via pontificando”. Con un barone rosé che è molto Umberto Eco. Fruttero e Lucentini di divertono ancora, il lettore pure.
Una serie di divagazioni già ripubblicate in tre volumi separati e in uno di sintesi, che si rieditano riattuali, nulla si può dire perduto in trent’anni. Fulminante l’apologo in tempo reale di Mani Pulite, dove il discorso sulla carrozza del re, attorno alla quale tutti “mangiano”, si allarga ai falsi invalidi, i falsi forestali, i bidelli assenteisti, i ferrovieri, gli infermieri, gli operatori culturali, gli insegnanti, gli impiegati postali “sparsi neghittosamente in ogni anfratto della Penisola”, intollerabilmente.
Carlo Fruttero, Franco Lucentini, Il cretino, Oscar pp. 933 € 13

giovedì 9 agosto 2012

Bovary capovolta

Curioso romanzo violentemente antifemminista – curioso per una scrittrice americana: il rovesciamento di Bovary.
Edith Wharton, Ethan Frome

Letture - 105

letterautore

Classici – Dario Fertilio documenta sul ”Corriere della sera” la lunga serie di rifiuti autorevoli del miglior Joyce, quello dell’“Ulisse”. Da Virginia Woolf a Fantozzi e Coelho, passando per Armando Plebe, Raffaele La Capria, Oreste del Buono e un non altrimenti noto Roddy Doyle. Dev’essere un classico estivo. C’erano una volta gli ossicini che sparivano in un bicchiere di Coca Cola, per animare le cronache estive, ora c’è l’Olimpiade, e anche l’“Ulisse”. Meglio, no? Però l’“Ulisse” si legge sempre con piacere. Si traduce anche, ora a cura di Celati, per la quarta volta.

Editoria – Si rilegga “Il giardino dei Finzi Contini”. O “Gli indifferenti”. O uno qualsiasi dei libri di Parise. Non si andrebbe oltre la prima pagina. Se si fosse un redattore editoriale, di quelli che fiutano il libro dalle prime righe. La qualità dei “Finzi Contini” non si vede dalla prima pagina, né quella degli “Indifferenti”. Anzi, il numero degli slow starter è incalcolabile, gli editori che dicono che si regolano dalla prima pagina dicono scemenze. E sono nomi, Eco, Calasso, lo stesso Ammanniti dalle tirature milionarie, che felicemente riempiono le librerie - che ogni libraio attende con trepidazione.
Poi ci sono le sortes vergilianae, il libro “scoperto” aprendolo a caso. Nulla di male, quella del redattore è, alla fine, una professione onesta, E, come tutte, vuole oggi un po’ di glamour – di battute, di understatement (lo dico e non lo dico), di esagerazioni.
È vero però che in casa editrice non si legge, si va a naso. Ma questo naso ha poco a che fare con l’opera in sé in attesa di essere pubblicata. Per metà è un agente, per la narrativa straniera, che vende titoli che già hanno avuto successo fuori, bloccandoli col resto del catalogo. E questo spiega perché gli scaffali delle librerie sono riempiti di romanzi tradotti, costati molto di più di un’opera prima italiana, che nessuno si sogna di leggere. L’altra metà va a fiuto (a naso) col mercato: opere trendy, di generi alla moda, opere da scuole di scrittura, con annesso agente letterario, nel quadro di “progetti” o “pacchetti”, e rilanci garantiti industrialmente (anticipazioni, prefazioni, recensioni, promozione in libreria) di autore già noto e\o affermato. Sono queste le prime “impressioni” che contano in casa editrice, e le ultime.
La soluzione redazionale è un autore garantito. O “ciò che vuole il pubblico” – il trend è generalmente il successo occasionale di un certo genere, questa estate per esempio il sexy. Col supporto naturalmente delle redazioni culturali dei giornali, dove non c’è più il critico accademico né quello militante, ma un interfaccia del redattore editoriale.
È un pieno che è un vuoto. Non sono molti i casi, ma nemmeno pochi, di testi inediti leggibili, e anche migliori di quelli pubblicati. Magari dello stesso scrittore. Un nuovo mestiere si potrebbe delineare in questo vuoto per chi non conosce nessuno, sia autore affermato o esordiente: il primo crei una sorta di agenzia di collocamento, cui i secondi possano accedere per un fee, non necessariamente in denaro. Un servizio reso, un segno di affetto, un contributo all’innovazione in letteratura. Gli editori sono soprattutto pigri.

Intercettazioni – È l’unica voce di spesa pubblica in aumento, documenta l’Eurispes. E bisognava pensarci: la letteratura italiana contemporanea, fatta dal buco della serratura, è pubblica. Come tutto ciò che fa il mercato in Italia, che sempre sa di sovietico.

Sul “Fatto” del 2 agosto Marco Travaglio, nella sua rubrica “Per conto terzi”, dice che le intercettazioni fanno bene a tutti. Ai mafiosi e ai corrotti perché li condanniamo, agli onesti perché rendiamo loro giustizia. “La categoria dei «non indagati» è troppo vasta”, dice Travaglio: “Chi sarebbero i soggetti «terzi» da tutelare? Tuti i non indagati o solo le persone che non c’entrano nulla con le vicende di cui s’indaga, ma si ritrovano intercettate casualmente sul telefono della persona coinvolta e intercettata?” E fa l’esempio del macellaio che telefona a Napolitano, diverso da Napolitano che risponde a una chiamata di Mancino, l’ex presidente del Senato.
“Comicità pura”, dice lo stesso Travaglio. Anche a questo era da pensarci: il vaudeville come genere di ritorno.

Pasolini – Il suo “Io so” voleva dire che non sapeva. La precisazione di Matteo Cerami alla “Stampa” è solo da segnalare per il tono seccato della stessa – da parte di un congiunto stretto del poeta, autore con Mario Sesti nel 2005 del film documentario “La voce di Pasolini”. Come avrebbe potuto? Non l’avrebbe nemmeno voluto – il poeta non è un questurino.
Il film di Cerami e Sesti documentava anche l’ultimo progetto di Pasolini, intitolato provvisoriamente “Porno-Teo-Kolossal”, per evocare il rifiuto totale in cui il poeta ha vissuto la sua ultima vita – “Porno-Teo-Kolossal” sarebbe seguito a “Salò Sade”. Di cui trace ben solide ha lasciato in “Petrolio”, poi pubblicato postumo, documentariamente ben significativo, anche se la scrittura è di getto e non rivista.

letterautore@antiit.eu

mercoledì 8 agosto 2012

L’occhio scomodo dell’uomo rivoltato

La vita infine di Lucette Almanzor, sposa di Céline. Molto céliniana, con una madre diciassettenne, medium, commessa da Patou, sposata da ultimo a Nizza con un Pirazzoli, che vive per il sesso, gli abiti, il gioco, e deruba la figlia. Un esserino fragile quale s’immagina una ballerina classica, che in effetti si rompe subito il ginocchio. Ma d’acciaio, è attiva ancora ai novant’anni, e non rinuncia a una nuotata in acque gelide - in Danimarca Céline doveva spezzare il ghiaccio per farla entrare in acqua. Che lo scrittore monopolizzerà da morto - censora energica dei libelli antisemiti, insensibile alle proteste (da ultimo di Riccardo De Benedetti, “Céline e il caso delle «Bagatelle»”). In vita era più spesso scorbutico, villano, “pazzo”, e sempre a caccia di donne, di prostitute in mancanza di altro - bello e elegante solo nel ricordo dei primi incontri, dopo il successo del “Viaggio”.
Con le memorie occasionali va un ritratto non superficiale di Céline, il più verosimile, benché sintetico, per lampi, fra quanti ne sono stati tracciati. Con numerosi cameo, Camus, Nimier, Morand, Dubuffet, Lili Dubuffet, e un sorprendente Sartre che chiede favori a Céline.
Un saggio di Francesco Piga chiude il libro. In Céline individuando “un nicciano puro”, conclusione cui arriva da studioso dello stesso Nietzsche: “I ritagli dalle opere e dalle interviste di Céline appaiono come in forma di aforisma. Un ulteriore legame con un pensatore fraterno, l’inattuale Friedrich Nietzsche”. Di Céline si danno vari radicamenti: Rabelais naturalmente, Dostoevskij, Schopenhauer, l’espressionismo, l’impressionismo, perfino il buon soldato Šwejk. Nietzsche è più congruo. Ma nello spirito dell’epoca, gli anni 1930, tragici già nell’attualità, non solo ex post. Céline non viene da nessuna scuola, è un autodidatta anche allo stato civile, può solo essere compagno di strada, involontario.
Lucette l’ha capito e a suo modo lo dice. Céline è l’uomo rivoltato di Camus – che non l’ha riconosciuto ma probabilmente l’aveva in mente. Lo scrittore che con più insistenza e meglio ha raccontato il suo mezzo secolo nei connotati storici, la deiezione e l’abiezione. Di prima mano. Gli è mancato l’opportunismo, l’ha fallito con i libelli - ma forse era destino, della passione anticonformista. Con lo sguardo implacabile dell’ironista irriducibile, quello che conosce le debolezze del linguaggio. La realtà vivendo scomoda - quale certamente è, ma a un occhio scomodo (critico, sperimentato, esercitato).
Lucette Destouches, Véronique Robert, Céline segreto, Lantana, pp. 140 € 14,50

L’unica spesa in crescita, le intercettazioni

La spending review trascura le intercettazioni. Taglia le borse di studio, poche diecine di milioni, e i sussidi agli handicappati, ma trascura le intercettazioni, che invece fioriscono. Le trascurano anche, caso singolare, i grandi giornali. Forse perché ci guadagnano – o pensano di guadagnarci (chissà se la gente non compra più i giornali perché non ne può più di intercettazioni). Il “Corriere della sera”, “La Stampa”, “la Repubblica”, ce l’ha solo nella cronaca di Torino, e perfino “il Messaggero”, che invece un tempo, quando non era parte della maggioranza, si scandalizzava.
È una spesa non irrisoria, 284 milioni nel 2010, dice l’Eurispes. E l’unica in crescita, di un quarto negli ultimi cinque anni, fino al 2010. Napoli ha il record della spesa, Salerno, che confina con Napoli, una delle più risparmiose. E quindi non se ne capisce la ratio. L’unico dato certo è che le intercettazioni fanno il giornalismo italiano, non ce n’è altro.

martedì 7 agosto 2012

È il discorso che fa la realtà

Un anno fa Deutsche Bank vendette 7 miliardi di euro di Btp, lanciando lo spread alle stelle d’un colpo. Prodi si disse “scandalizzato”. Nessun altro. Succede di aver avuto per dieci anni un’Alfa Romeo che non ha mai dato un fastidio. Analoga cilindrata tedesca, più cara, ha invece avuto in tre anni cinque inconvenienti. Non gravi, alcuni anche coperti dalla garanzia, che però implicano noie e tempo perduto. Ma la macchina tedesca è sempre migliore, e ha un mercato di seconda mano, che l’Alfa non può avere.
Non contano i fatti, contano le parole. Cioè, oggi, la pubblicità e il marketing. Nietzsche, che lo profetizzava, sarebbe impazzito prima.
Conta anche l’indolenza. Si parli di violenza, è solo mafiosa. Anche se due delitti su tre sono di tipo urbano metropolitano. Si parli di abusivismo, inevitabilmente sorge il fantasma di Agrigento, con palazzine e rifiuti tra i templi – l’area archeologica meglio protetta e fruibile del mondo. La Germania, invece, ha sempre ragione: è il Nord.

Il contratto sociale è morto

Un argomentato “Ribellarsi è giusto” - Dio non c’entra, è aneddotico. È la violenza che approda al femminismo. Ci mancava e Luisa Muraro riempie la lacuna. Non per scelta, per ovviare “alla morte della responsabilità politica”, ma il fatto c’è. Ce ne vuole. Un po’, il “quanto basta” del(la?) farmacista, come “forza della consapevolezza”. Per rompere la bonaccia sul tabù liberista che ci sta consumando, una forma di potere distruttivo. Una violenza sottintesa, come una riserva, che la filosofa trae da una scritta murale, “Dio è violent”, dove la vocale finale è stata sbiancata, come per eliminare il genere della divinità, e fatta seguire da “e mi molesta”.
Argomento non nuovo, da ultimo con l’“uomo rivoltato” di Camus, la “disobbedienza civile” di Arendt, il “partigiano” di Jünger – prima del novantacinquenne Ottolenghi. Anche tautologico. “Ciò che nella cultura postmoderna contribuisce maggiormente al potere del potere è la voglia di avere successo in prima persona”. Ma “il desiderio di protagonismo potrebbe essere il nostro punto di forza”. Se “si traduce in politica”. E c’è anche, ancora, la “virilità”. Il meglio è negli interstizi, nei lampi che attraversano l’assunto.
Dio, per cominciare. Non si nomina mai invano: il vezzo “di tirare in ballo Dio non ci fa uscire necessariamente dal razionale, anzi certe volte è il contrario: c’è infatti una ultragenerosità razionale di Dio, se così posso esprimermi”. Ottima espressione. La guerra giusta o umanitaria che funziona al rovescio: per evitare la guerra in Libia non si sono spesi nemmeno cinque minuti di lavoro diplomatico, “una novità… che suona come una campana a morto per il diritto internazionale”. E la fine del contratto sociale? “Il contratto sociale è un’idea morta. La storia ha voltato pagina”. Non che ci sia stato. Si dava a credere che ci fosse, e oggi questo non è più consentito: “Il contratto sociale è un racconto inventato all’inizio dell’età moderna per dare un fondamento laico (invece che religioso) alla umana convivenza e giustificare, senza fare ricordo a Dio, lo stato dei rapporti di forza tra uomini e donne, ricchi e poveri, stranieri e cittadini. Siamo animali simbolici e c’è bisogno di racconti; questo era un racconto ben trovato e ha funzionato”. Ora è “diventato indegno di credito” - nello sbriciolamento della Auctoritas, avrebbero detto Alessandro Passerin d’Enrtrèves e Hannah Arendt.
Luisa Muraro, Dio è violent, Nottetempo, pp. 75 € 6

lunedì 6 agosto 2012

“Senza di me…”, la barbarie della Markt-Demokratie

Dunque, siamo alla merkeliana “democrazia di mercato”. Che oggi, un giorno qualsiasi, si manifesta in questo modo. La Francia spinge l’Italia a chiedere lo scudo europeo – cioè a buttarsi nel baratro. Monti spiega ai partiti della maggioranza che la Germania vuole l’Italia sotto tutela. Il capo dei cristiano-democratici bavaresi, il terzo partito tedesco, per la terza volta in tre giorni critica la Bce (“lavora per salvare l’Italia”) e l’Italia. Lo stesso i ministri del partito Liberale, che con la Csu bavarese sostiene il governo Merkel – i ministri liberali criticano a staffetta. Monti critica sullo “Spiegel”, settimanale tedesco, il governo tedesco che non sa avere una politica. Tutti i partiti e i giornali in Germania criticano Monti, facendo appello agli ideali e alla pratica della democrazia, e al vincolo dell’opinione pubblica.
Non è un dialogo tra sordi. Ogni intervento ha un fine preciso: politico, speculativo, di potere. È la mancanza totale di una qualsiasi prospettiva o visione europea dei problemi. Che nasce da un ceppo evidente: l’incapacità politica tedesca di orientare e condurre a buon fine gli istinti animali della popolazione, come già in altre epoche decisive della storia, negli anni 1910 e 1930. Con la Francia a seguire – ormai da un secolo – senza capire.
L’Europa tedesca sta distruggendo la democrazia e se stessa, mentre si pretende democratica. Non c’entra il nazismo, che c’entra, c’è stato una volta e basta per tutti. C’entra la “Marktkonforme Demokratie” di Angela Merkel, che è la peggiore politica immaginabile in questa Europa infine disarmata. Per almeno quattro motivi: 1) dà vantaggi enormi alla Germania. 2) a spese degli stessi partner che la fanno prosperare, e 3) alimenta lo sciovinismo “popolare”, 4) da cui poi si dice condizionata.
Questa Markt-Demokratie viene classificata come populismo, ma è stupidità, o avventurismo. Ci sono naturalmente in Germania forti interessi europei, e sono prevalenti. Ma come sempre in questo paese di temporali, gelo e afa, tacciono. Non manca anzi chi vuole la Germania ricca principalmente in virtù dell’Europa, più che delle accreditate virtù tedesche, la parsimonia e la temperanza – i tedeschi non sono parsimoniosi e sono intemperanti. Un ipotetico muro al Brennero, peggio che al Reno, sarebbe la fine dell’industria tedesca, di una buona metà se non di tutta. Ma l’industria tace.
I partiti tedeschi si dicono alla rincorsa di un’opinione fortemente autarchica – “vedreste, senza di me”, va dicendo la Merkel nei colloqui internazionali. Che però loro stessi hanno creato, non consentendo una soluzione, mai, di un qualsiasi problema, a partire dalla Grecia. Monaco è probabilmente la città più filoitaliana in Germania e in Europa. La circostante Baviera è diventata ed è la regione più ricca della Germania – dell’Europa, del mondo - grazie alla simbiosi col Lombardo-Veneto. La Csu è un partito bavarese. Il leader della Csu critica ogni giorno l’Italia per non perdere la Markt-Demokratie. Creando problemi enormi all’Italia. E quindi domani alla Baviera. Mentre strizza l’occhio: “Senza di me…”

Ombre - 141

I draghi veri
Non sputano fuoco
Parlano tedesco

Alex Schwazer, bello, fortunato, ricco, famoso, che si dopa sembra uscito dall’ultimissimo romanzo di Markaris, “Prestiti scaduti”. Si dirà della vita che imita la letteratura. E della stupidità?

Ci voleva Prodi, un Prodi risvegliato da Monti alla politica attiva ora che il posto al Quirinale sembra preso dal professore, dal bocconiano, per dire quello che tutti vedono – sul “Messaggero” di domenica. Che il capo della Bundesbank è l’uomo della Merkel, e che non ci sono luci in fondo al tunnel perché il tunnel è occupato da un pesante tir tedesco.

“Senza vergogna” si chiede Claudio Sabelli Fioretti su “Io Donna” come mai Napolitano protesta contro le intercettazioni a Palermo e non protestò contro le intercettazioni all’Aquila. E magari non capisce davvero la differenza.

Quando l’Ilva inquinava, i giudici lasciavano correre. Ora che l’Ilva è a regola i giudici sequestrano gli impianti e incarcerano i dirigenti. Sempre dalla parte del torto?

C’è un presidente socialista in Francia? Non si direbbe. Quello che si vede è un ometto, al guinzaglio da un alano femmina, petto e mascella nerboruti. Un figurante in un doppio rovesciamento di ruoli. Lui, in proprio, si limita a cacciare i rom. Come faceva Sarkozy, per dirsi uomo di destra.

Perché si parla della solitudine della Bundesbank quando Weidmann ne è presidente solo perché è l’economista della cancelliera Merkel? Per strabismo? Per conformismo. A che cosa? A “la Germania ha sempre ragione” – le macchine tedesche sono buone eccetera.
È il problema del politicamente corretto, che elimina ogni giudizio. È il problema di Milano, che ne è l’interprete, e con esso oblitera l’Italia, che domina.

E Palazzi che prima accetta un patteggiamento in cinque mesi (tre più 200 mila euro) per Conte, poi lo vuole squalificato per quindici mesi - il patteggiamento sportivo si fa sulla metà della pena base? Mentre l’accusatore Carrobbio, reo di avere anche scommesso, è punito con quattro mesi, molto meno di ogni altro pentito. Per Siena-Novara Palazzi ha voluto puniti con Conte i due collaboratori ora con lui alla Juventus, e nessun altro, né del Siena né del Novara.
Questo Palazzi, genio del pagliettismo, dev’essere diabolico: con chi Conte avrà concordato il pareggio, da solo?

Radio Rai segue ogni notizia del processo a Dell’Utri, la convocazione della figlia di Berlusconi, la convocazione di Berlusconi, reiterando ogni volta in dettaglio le accuse – i sospetti dell’accusa: 1) Berlusconi ha comprato il silenzio di Dell’Utri sulla trattativa Stato-Mafia, così, con la maiuscola, o in subordine, 2) Berlusconi ha pagato Dell’Utri per pagare la mafia. Poiché Berlusconi controlla la Rai, non sarà lui che si fa fare i processi?

Berlusconi convocato a Palermo alla vigilia di Ferragosto sa di carnevale. E lo e. Ma perché non pagherebbe lui i giudici palermitani, straordinari festivi compresi, se tanto si divertono, invece di addebitarceli?

Una giustificazione minima c’è, alla convocazione di Berlusconi a Palermo alla vigilia di Ferragosto: A corto di follow-up sul nuovo processo, Palermo ha ottenuto comunque la prima pagina. Gratis?
Ma è possibile: l’onorabilità di giudici e giornalisti non ha più prezzo, è roba da trivio.

Monti va a Parigi e con Hollande difende l’euro e l’austerità – le tasse. Poi Hollande va a Londra e candida Parigi all’Olimpiade del 2024. Sicuro di averla, in quanto capitale europea, dacché Monti ha liquidato la candidatura ormai riuscita di Roma per il 2020. Sempre nel segno dell’austerità.

L’Italia e Draghi promossi da Geithner, venuto apposta dal’America. Pronto a dirlo con un annuncio pubblico. Allora la Germania corre ai ripari, e col portavoce e Schaüble, fa lo stesso annuncio. Che potrà non avere effetti pratici, ma conferma che l’Europa marcia solo con la sponda Usa. Non per altro, per la miseria politica.

La prescrizione alcuni magistrati vogliono abolita, che ognuno sia processabile a vita. Ma molti giudici al processo, e anche molti Pubblici Accusatori, la usano per condannare senza veramente condannare.

La memoria non ama lo snobismo

Curioso campionario di snobismo estremo, se c’è questa disciplina. Di un io totale, che tutto rade, eccetto un vago rimpianto del tempo che fu, e di Schumann naturalmente, con i Lieder. Beniamino Gigli è un nano, Maria Caniglia, Gino Bechi, Gianna Pederzini roba per le matinées delle signore. Forse averli ascoltati nell’Alessandria che non c’è più avrebbe dato un’altra consistenza alla memoria, che non dà i voti (primi i Lieder?).
Bisogna rivederli, gli effetti della memoria. Nel caso di Terni anche dello sradicamento. Ma la memoria mal si concilia con lo snobismo, già nel noto caso – ogni memoria si sa che ora si vuole proustiana.
Paolo Terni, In tempo rubato

domenica 5 agosto 2012

La logica paradossale di essere più cose

Acqua fresca? Sì. Dire l’ineffabile, cogliere l’imponderabile, senza tuttavia senza tuttavia ridursi all’ossimoro, il gioco di parole che le cose dice col loro contrario. Si forma e si percepisce per immedesimazione. Con un tratto semplificato. Di due immagini accostate. Su cose meglio che su persone – che però sempre più si impongono, in forma di nascite, morti, malattia, infanzia. Messo in circolo sessant’anni fa dalla cultura beat col Buddismo Zen, lo haikù non cessa di stupire.
Superba antologia in pillole, di una ventina di poeti, a partire da Bashō. Con gli ideogrammi originali, la trascrizione dei suoni, una bibliografia e una illuminante presentazione sulla “logica paradossale”, per cui ogni cosa è anche un’altra – sottile rabbuffo all’antico riduttivismo di Roland Barthes, “L’impero dei segni”, che lo haikù dice “facile, futile, breve, ordinario”.
Haikù, a cura di Leonardo Vittorio Arena, Bur, pp. 110 € 5,90

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (138)

Giuseppe Leuzzi

A Nazzareno P., un anno dopo
La luna ha l’alone
È tempo di scirocco
L’aurora è trasparente

Il maestro Muti, approfondendo la conoscenza dei giovanissimi musicisti calabresi che da alcuni anni coltiva, partendo dal nucleo iniziale dell’Orchestra di Fiati di Delianuova di cui ebbe ad ascoltare occasionalmente un dvd, si dice colpito dalla serietà professionale di “giovani di 22-23 anni, ma anche ragazzi di otto anni”. Che si distinguono “per la disciplina artistica e la partecipazione totale alla musica e la severità del loro approccio, specialmente significativa quando si hanno appena otto anni”.
Come si perde il carattere maturando? A scuola? Nella sottopolitica? Tramutandosi nella lamentela.

Elido Fazi scrive un ricordo di Gore Vidal sul “Messaggero”, pezzo forte un premo letterario internazionale a Crotone festeggiato nel “migliore ristorante della città”. Lo scrittore chiese uno scotch, dopo un quarto d’ora si vide recapitare dal cameriere uno scotch-type, un nastro adesivo, su un piattino. Aneddoto inventato, forse per dire che Vidal beveva. Ma perché addebitarlo al “miglior ristorante di Crotone” senza cadere nel ridicolo? Perché si può.
E perché Crotone s’intigna a dare premi internazionali?

Il disgraziere
Sudismi\sadismi.C’è nei giornali ormai da alcuni anni, anni di depressione, un giornalista specializzato in disgrazie. C’era un tempo quello del terrorismo, della mafia, della corruzione, ora della casta. Ma c’è sempre, costante, quello che segnala e rabbuffa le disgrazie del Sud. Tutte in qualche modo volute e meritate. Non solo nei giornali, questo è genere in cui eccelle anche “Striscia la notizia”, forse perché ha corrispondenti quasi tutti al Sud e nelle isole. Non c’è opera pubblica mal riuscita o abbandonata a metà, che non venga segnalata con spreco di spazio e adeguatamente rampognato. Tutti muoiono negli ospedali del Sud. Crollano i palazzi mal fabbricati al Sud. Le opere pubbliche costose sono abbandonate al Sud.
Ora, uno penserebbe che solo al Sud succedano certe cose, mentre invece succedono anche al Nord. Opere pubbliche che collassano all’inaugurazione, per esempio nel bresciano, nel bergamasco, a Firenze (edifici importanti e costosi, come il Comunale, e il palazzo di Giustizia). Oppure abbandonate a meta strada. Per non dire delle opere pubbliche interminabili, da decenni – la Salerno-Reggio perlomeno già s’intravede. Morti sospette negli ospedali. Acque a aria avvelenate. Ma non “fanno notizia”. Le notizie sono compensazioni?

L’odio-di-sé
È irresistibile nel “gattopardismo”, che tutto fa nascere e morire in Sicilia, tutto il peggio. Del romanzo fortunato di Lampedusa e dei tanti epigoni, tra i quali purtroppo primeggia Sciascia. Su altri argomenti incline alla riflessione, anche dolorosa, sul peggio del peggio in Sicilia Sciascia cavalca (quasi) allegro. E magari lui sapeva già, era un appassionato di ricerche storiche, che neanche la mafia è siciliana, ce l’hanno portata, innestata, indirizzata e usata i “piemontesi”. A cominciare dai “pugnalatori” – un giallista che manca l’essenziale? No, era il pregiudizio.
Il proprio sentimento del protagonista-narratore, Salina-Lampedusa, è ambivalente. Ha grande opinione della Sicilia ma spesso è sfottente. Nella stessa pagina può dire la Sicilia “questa America dell’antichità”, contesa da Fenici, Greci, Romani, e insieme che “l’aspetto vero della Sicilia, quello nei cui riguardi città barocche e aranceti non sono che fronzoli trascurabili” è “un’aridità ondulante all’infinito, in groppe sopra groppe, sconfortate e irrazionali”. Ma le inclinazioni di Lampedusa, seppure contrastanti, contano poco: il fatto è che la Sicilia è il “Gattopardo”, inerte e opportunista.

È indotto, anche sotto le forme all’apparenza innocue e benevolenti della diversità del Sud, della sua specialità, quali la sicilitudine e la napoletanità. Che invece sono nei fatti delle patologie. Il discorso ormai classico al centro del “Gattopardo”, in cui il principe Salina, “il Principe”, teorizza al funzionario piemontese l’inguaribile diversità della Sicilia, è farcito di locuzioni avulse, di prestiti o anticipazioni (nel 1860): “classe dirigente”, “manifestazioni oniriche”, “enigmi del nirvana”, “formazione di miti”. Tanto più bizzarre in un uomo che, pur pensandosi fuori dal mondo, vive come uomo medio – e anzi giudica, molto piccolo borghese.

Don Pirrone, il gesuita del “Gattopardo”, facendosi l’elogio dell’aristocrazia, di cui è saprofita, rileva che ognuno è spregiatore di un altro, l’aristocratico del mondo, il professore del maestro, il religioso del laico, il gesuita del religioso. Il disprezzo come risarcimento e protezione, a difesa dalle esazioni che comunque il mondo (la società) impone – a difesa dal “pizzo” della società. “Non ci sono che gli zappatori”, conclude, “a essere disprezzati anche da loro stessi”. E il siciliano, il meridionale in genere?

Non c’è tanto aspro rifiuto di casa, di Milano e della Lombardia, come in Gadda. Gli dispiacciono pure il gorgonzola e le facciate delle case. Nonché i borghesi costretti nel tinello a contare i denari. Ma senza disprezzo. È un rifiuto in un rapporto critico – non inguinale, direbbe l’Ingegnere.

leuzzi@antiit.eu