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venerdì 7 agosto 2009

Jacko, il Mozart della disco

Riascoltare “Thriller”, il suo album di maggior successo, dopo venticinque anni, impressiona per la voce da ragazzo imberbe, se non bianca, di uno che ne aveva venticinque già compiuti. E ogni altro aspetto della sua vita scandalosa riallinea in coerenza con questa immagine – è solo strano che non la si sottolinei: la ricerca inesausta dell’infanzia che non ha avuto, la nostalgia, la sofferenza. Nevrotica, perché Jacko è stato insieme un fanciullo attardato e l’adulto che ricerca, rivuole indietro, l’infanzia. La ricerca conducendo per di più in modo sbagliato, con se stesso padre protettivo e amico, per essere già una star, invece che in un’altra figura esterna, materna se non paterna. Con questa sola piccola differenza, e con quella dell’età, durata forse troppo, Michael Jackson è in tutto la copia di Mozart, all’epoca dello show business naturalmente.
Lo scandalo in cui si è avventurato, quando non gli è stato cucito addosso a scopi commerciali, è tutto qui, nella ricerca dell’innocenza. In forme parossistiche, con le bambole, il colore, il famoso sbiancamento, la paternità accanitamente ricercata, di figli anche non suoi. Che è il dramma, seppure da loro vissuto in maniera più composta, dei suoi fratelli e sorelle, con i quali bambino compose i Jackson Five. Tutti sensibili ma gestiti da un padre avido come attrazioni, guitti da circo. Una discendenza che purtroppo ha continuato a perseguitare Michael in vita, e ora anche in morte. Una sensibilità che solo il barbaro diritto americano degli avvocati a percentuale ha potuto trasformare in pedofilia, un attacco fra i tanti ai diritti, al suo patrimonio.
La vita, e la morte, di Michael Jackson consente anche di risolvere il giallo della morte di Mozart, se non del genio. Si lega il genio con lil sacrifio dell’infanzia alla insensibilità dei padri? Sherlock Holmes inclinerebbe personalmente per il sì, ma alla fine non saprebbe rispondere. È invece evidente che non si può vivere molto né bene con un tale peso nel cuore, essere cresciuti senza affetti. E che Mozart tutto sommato è morto all’età giusta – ci ha evitato i pannoloni e il laccio emostatico: tanto dolore si sopporta evidentemente male fino ai cinquant’anni.

Quando il noir inglese si faceva a Milano

Ci fu un momento dopo la guerra in cui Milano, il “mortorio mosciano” della poetessa Giulia Niccolai, fu teatro di piccanti storie gialle, noir e di spionaggio, con Scerbanenco, e con gli inglesi Ambler e Hadley Chase, che già all’epoca conoscevano e leggevano Scerbanenco. Questa è particolarmente realista del sottobosco urbano, e del borghesismo dei laghi. Con un generale pazzo americano che da solo vale la lettura.
James Hadley Chase, Inutile prudenza

Sovietismo anti-Urss

Curioso libro sovietico su Mosca post-sovietica. Scritto e pubblicato nel 1990, Vásquez Montalbán lo volle successivamente inalterato quale “testimonianza di un’epoca”. Ma non è un libro su Mosca nel 1990, benché incluso nella Feltrinelli Traveler, non è giornalismo di viaggio né d’autore. È un viaggio, non brillante, nella memoria, e nella nostalgia: una guida molto sovietica della rivoluzione mancata, nella scultura, l’architettura, la rivoluzione, la repressione – sarà stata l’ultima volta che l’Enciclopedia sovietica ha rifatto la storia? Libro cimiteriale, pieno di statue, di liquidati, scomparsi, morti seppelliti, e di monumenti, soprattutto di Lenin. Col fascino di Dzerzisnki, che ritorna ovunque nel libro, il creatore della polizia politica, spietata e corrotta fin dal 1917.
Manuel Vásquez Montalbán, La Mosca della rivoluzione

mercoledì 5 agosto 2009

A Sud del Sud - a Sud di nessun Nord (40)

Giuseppe Leuzzi 

Si può vedere tutto in termini di Nord-Sud: la voce, la pronuncia, la presentabilità, il salario, il costo dell’insalata. Non c’è più Sud per esempio in tv, nei tg, fra i presentatori, gli attori, gli showmen, e chi c’è si camuffa, Fiorello per esempio. Bossi e Milano hanno introdotto questa chiave di lettura. Ora Milano si dice pentita, dice insomma di rifiutarla. Afferma di non avere votato Bossi. Ma l’effetto l’ha già ottenuto: il Sud è chiuso in se stesso, oppure si camuffa.

Muoiono, in una città del Nord, un anziano medico di nome Trifirò, e un giovanissimo pugile di nome Morabito. Entrambi, per ragioni diverse, molto stimati. Ma né i giornali, né i celebranti, né i sindaci che li commemorano alle esequie ne ricordano le origini. Se fossero stati protagonisti di una lite, o peggio di un furto, sicuramente l'avremmo saputo per prima cosa.

Se Riina accusa lo Stato
Riina accusa lo Stato di avere assassinato Borsellino. La politica italiana e i giornali si scatenano. Scalfaro, presidente della Repubblica all’epoca, dopo essere stato ministro dell'Interno, dice e non dice, cioè dice: “Non si può mai escludere che ci possano essere state persone, se non lo Stato, che abbiano tradito. Come non si può escludere che anche n criminale dica a volte la verità". Come no.
Scalfaro non è una novità, è sempre il monaco che dice di essere, del forse che sì forse che no. Ma i terribili familiari di Borsellino, il fratello e la sorella che sulla morte del giudice hanno montato una carriera politica, a sinistra, e la vedova, che presumibilmente è rimasta a destra con il marito, alimentano anch’esse i dubbi. E dunque un mafioso, un nano politica come Riina, illetterato e semianalfabeta, tiene in pugno avvocati, giudici, carabinieri, politici e giornalisti, e questo, ha ragione lui, è lo Stato italiano.
Di questa Italia, in effetti, non si può dire che tiene il Sud in soggezione, è al Sud quello che è ovunque. Ma, poi, è solo un aiutino ai giudici di Palermo, che vogliono condannare il generale Mori, che Riina ha catturato, e non sanno come. Un cosa avvocatesca. Certo, se poi tutto il rumore - Borsellino, Riina, Ciancimino padre, Ciancimino figlio - riesce a portare a Berlusconi... Anche solo per ipotesi. Dov'è la mafia? 

Milano
Barbara Berlusconi si organizza un’intervista, genere del tutto voluttuario, per mandare un avvertimento al suo papà: non barare con le palanche. Lo fa in linguaggio milanese, “divisione equa” tra i figli, “voglio bene al mio papà”, eccetera, ma l’avvertimento non è genere mafioso? Milano ci vuole rubare anche questa letteratura minore?

Bisognerebbe abbattere Milano. Sono vent'anni che non ci dà pace. Ci ha imposto Craxi e poi l'ha dichiarato ladro e contumace. Gli ha anche impedito di curarsi. Ci ha imposto Bossi, sono ormai venti anni, e lo deride. Ci ha privati della politica, lasciandoci i fascisti, ex, e i comunisti, ex, Ochetto, D’Alema e Veltroni, gli infausti Berlinguer boys - con la solita banda di napoletani, è vero: Borrelli, D’Ambrosio, Boccassini, quello dei calzini rivoltati, Di Pietro.

Ci ha imposto Berlusconi, ormai sono quindici anni, e ce lo impone, ma pretendendo di distruggerlo con la moglie cattiva, le amiche della moglie, le figlie, e le puttane di Bari. Per lui fa bombardare dall’estero l’Italia, ogni giorno una bordata. 

Ma che vuole Milano? Si è presi i soldi di tutti gli italiani e li ha fatto sparire, è un paio d'anni che non vediamo un centesimo. Si è presi gli scudetti della Juventus, con l’incredibile Guido Rossi, la coscienza vera della città. Che peccato abbiamo commesso per ritrovarcela sul groppone?

Stati generali con Mubarak convocati da Berlusconi a Milano per farne “la capitale del Mediterraneo”. Ci rubano anche il Mediterraneo, pure tanto vituperato. 

“Corriere della sera”, 22 luglio 2009: “Il caso Milano. Per tornare a dirigere alla Scala, Abbado ha chiesto la piantumazione di novantamila alberi”. Che sarà questa piantumazione? E di novantamila per una ragione specifica, seppure occulta? Non ottanta? O cento? E tutti a Milano? Gli alberi vogliono luce, ancorché piccoli. A un minimo di cento metri quadri l'uno, la richiesta del maestro fa novecento ettari. Non vorrà Milano piantumare il resto d'Italia?

O il numero è solo un multiplo alla Beuys? Cui si deve l'idea. “Il Foglio”, giornale allora milanese, ne rilevava “la morte” il 5 giugno 1996: “Una città che dovrebbe essere governata dal suo Politecnico, dalla sua Scala, dalla sua Banca Commerciale, dalle sue imprese, ed è invece dominata dal mostro grigio e marmoreo di Piacentini, un palazzo di Giustizia che nella sua stessa forma ricorda l'idea di uno stato oppressivo incapace di dare, insieme al rigore, aria, felicità, una prospettiva e il piacere di vivere a una libera città”. Ma le imprese di Milano sono gaglioffe - mancano i “suoi giornali” nell'epicedio. 

Milano non è morta, come si fa a dirlo? Purtroppo. Milano è la capitale della finanza, della moda, del giornalismo, dell’editoria, dell’arte, ma non ha prodotto mai nulla, un autore, un artista, un grande giornalista, un grande sarto: vende il già venduto. È la capitale della pubblicità, questo sì.

Berlusconi di Milano, il 18 luglio: “È una città sporca. Le altre città europee sono più pulite”. Questo si scriveva nel 1993, in “Fuori l'Italia dal Sud”, p. 246: le friggitorie puzzolenti spalancate su piazza del Duomo, l’adiacente piazza dei Mercanti”nascosta sotto dieci centimetri di carte, plastiche, lattine e altri rifiuti”, da anni mai spazzata, benché sia la piazza delle banche, che anno i muri scrostati e gli infissi sporchi di decenni, il centralissimo palazzo dei Giureconsulti abbandonato ai topi, con le imposte inchiodate dei bombardamenti, del 1944.

"Ah, morta Milano, mortorio mosciano", poetava la bella spiritosa Giulia Niccolai - che poi si è fatta monaca, seppure buddista.

Sandra Lonardo non ha colpa dei distacchi e i comandi alla regione Campania. Centinaia. Come del resto nelle altre Regioni e in tutti gli uffici pubblici. Ma il “Corriere della sera” la addita a colpevole. Non lo dice, lo insinua. Illustrando l’articolo con la sua foto, a la necessaria didascalia, Sandra Lonardo, presidente del consiglio regionale campano. È fotografata con Mastella, di cui è la moglie. E Mastella di che è colpevole? Qui la risposta ci sarebbe. Ma non importa.

Nel 1996 la rivista letteraria britannica "Granta" ha dedicato il n. 46 al “Crime”. Con molti ghirigori sul tema, con firme illustri, da James Ellroy a Paul Auster e Italo Calvino. Calvino chiude il volume con due paginette intitolate “La pecora nera”, che cominciano così: “C’era una volta un paese in cui tutti erano ladri”. A fronte del contributo di Calvino è impaginata la foto di un personaggio che, con sguardo ironico, tiene le mani da celebrante a fine messa. Il noto gesto che significa: “Io non c'entro”. 

La foto non ha didascalia. ma per gli italiani il personaggio è noto come Giulio Andreotti. È una bella forma di allusione, dire non dicendo. Di cui Andreotti e la mafia sono maestri. I redattori di “Granta” e Calvino hanno imparato da Andreotti e dalla mafia? O non è il contrario, che la realtà impara dalla finzione? Calvino che nel 1975, quando vinceva Berlinguer e il Pci, se ne andò a Parigi. 

L’idea del Sud 
In “Roumeli”, famoso libro di viaggi di cinquant’anni fa nella Grecia di Centro, con alcune digressioni, una, la più brillante, l’autore, lo scrittore inglese Patrick Leigh Fermor, fa sulle due anime del greco contemporaneao, il romios e l’elleno, con un lunga tavola di caratteristiche psicologiche appaiate per i due tipi. Molte caratteristiche dei romioi (leggi ròmii) sono calabresi, se non tutte: realismo, individualismo, ambizione privata, leguleismo, istinto, improvvisazione, empirismo, provincialismo, retorica classica, sfiducia nella legge, saputismo, incostanza, sensibilità eccessiva, collera improvvisa e violenta... Leigh Fermor ne elenca 64, e tutte potrebbero essere molto meridionali. La vera categoria potrebbe essere ionica, come opposta all’attica, o egea. La filologica digressione è insomma una caricatura, purtroppo non voluta. Le generalizzazioni delle psicologie nazionali sono povera psicologia e povera scrittura, per quanto pettegola. Su una caratteristica ròmia Leigh Fermor si dilunga, la stenachoria, l’acedia latina, la malinconia immotivata: “Del tutto inatteso, questo sovraccarico di energia e estroversione si inietta della più delicata sensibilità, talvolta di suscettibilità, in cui uno scherzo o uno sgarbo, anche immaginario, può rendere il mondo nero e precipitare la sua vittima nella malinconia e il languore, quasi fino al mutismo. È compito degli amici diagnosticare l’angoscia ed esorcizzarla; non sempre un compito facile. Questo demone incombente, somigliante alla tribulatio et angustia dei Salmi, i greci chiamano stenachoria”. Ma per fortuna, dice Leigh Fermor, che “il loro senso della commedia è anch'esso pronunciato”, cosa, aggiunge, “tanto più notevole in Grecia se pensiamo ai suoi vicini”, iracondi e tristanzuoli, tra i quali mette il Sud d’Italia Che invece si esprime al meglio con l’ironia e lo scherzo. Tutto quello di cui altri viaggiatori britannici si sono dilettati, per esempio in Calabria Craufurd Tait Ramage, Edward Lear, Norman Douglas - anche se è vero che l'“abito” meridionale, che si confeziona a Napoli e Palermo, si vuole tragico, e che Ramage e Douglas erano scozzesi e non inglesi. In un breve ripensamento alla sua scrittura da giramondo, Leigh Fermor rileva "una morosa dilettazione a ricordare, quando tutto è finito, squallore e tribolazione". E fa questo esempio: "Il mantello calabrese di Gissing si poggia momentaneamente sulla spalla". Ma Gissing si ricorda unicamente per il suo pellegrinaggio sulle rive dello Jonio. C'è un distinto anglocentrismo tra gli scrittori inglesi di viaggi, che più spesso sono tristi, non come Craufurd Tait Ramage, Edward Lear e Norman Douglas, che invece in Calabria si divertirono. Ma il Sud resta peculiare. Ne “I suoni del mondo greco”, che è il capitolo finale di “Roumeli”, una fantasia d’autore, Leigh Fermor sintetizza il vasto mondo che fu - ed è - greco: “La Sicilia e la Magna Grecia sono note impercettibili di musica sotterranea. L’Aspromonte è il suono del psi rovesciato (una lettera dell’alfabeto greco che ha forma di tridente, n.d.r.), il simbolo di Poseidone che si perde nella marea montante della Calabria. La Puglia e il Salento sono le parole bizantine che si restringono nella parlata otrantina. Stilo una covata di chirielesion nell’ala...". “Sei greco?” si diceva in Grecia fino a prima della Grande guerra “romios eisai?, sei romano. Erano peraltro rumi, romani, i greci per il mondo islamico, la Persia e gli arabi. Romios era per i greci greco ortodosso, elleno era pagano o, Dio ne libri, ateo. Nel greco parlato, nelle canzoni, nei proverbi, nella poesia popolare. Sono ancora chiamati rum dagli storici i possedimenti bizantini in Asia Minore. Mentre gli attuali Balcani erano chiamati Romania in Europa occidentale fino al tempo delle Crociate, e Rumelia dai turchi. Ora romios suona un po' levantino. La parola turca per gli antichi greci è yunana - ionici - e la Grecia Yunnanistan.

Delfino, la forma dell’ironia 
“La mafia non ha pensionati” è di Antonio Delfino, “Il Giornale”, 20 marzo 1995. Grande scrittore, misconosciuto, ma non minore dei tanti scrittori riconosciuti di cui la sua Bovalino è ricca. Delfino è lo scrittore che dà forma all’ironia. Non per l’impianto, sempre rispettoso del reale, ma per il guizzo, lo scarto. In parte esopico, bonario, in parte sferzante, molto calabrese. Per l’urgenza stessa dell’evento, che Delfino non banalizza mai. E anzi nell’economia stessa dell’aneddoto, talvolta abbreviato in un gesto, una smorfia, una pausa. L’aneddoto è sempre reale, e imprevedibile, traslucidato dalla verità, sotto la forma dell’ironia. Che è nel Dna dell’uomo del Sud più di qualsiasi realismo magico. L’ironia è subdola in letteratura, chiunque abbia letto “Gulliver”, anche solo in riduzione per ragazzi, sa che può riuscire noiosa, e quindi incoerentemente presuntuosa. Delfino le dà forma coerente nel racconto breve, anche micro, l’aneddoto appunto. Forma letteraria autoctona, ovunque in Calabria, in tutti i ceti e le balze, e più torno torno all’Aspromonte, l’apologo breve, anzi istantaneo, la battuta aspra e compassionata. Un’eccezione, purtroppo. Nel Novecento la Calabria in letteratura è un modo dei vinti, con l’eccezione del brio di Delfino e di alcuni reportages di Alvaro - cui però si deve lo stigma perdente, per l’esito di “Gente in Aspromonte”, durevole anche in epoca di disincanto, malgrado l’evidente barocchismo, insomma l’artificiosità. In “Partita rimandata. Diario Calabrese”, amorosamente raccolto e curato da Valerio Cappelli, il solito Savinio, che tutto prende a pretesto, usa un viaggio elettorale di tre giorni al seguito di Roberto Tremelloni nell’aprile 1948 per le sue godibili divagazioni. Spesso anche centrate. La grecità impoverita e trascurata. L’ignoranza della storia locale tra i locali, e la supponenza. L’aborto del Risorgimento nel Garibaldi senza testa di piazza Garibaldi a Reggio, e nella toponomastica: il Risorgimento ha istupidito l'Italia. Reggio è “città senza età né statura” - nel 1948, e oggi? I calabresi sono greci spuri, non avendo leventia, la “valentia”. I briganti erano i kleftes greci patrioti, i partigiani... Il suo vero Sud Savinio l'aveva del resto scritto a inizio d’anno, sul “Corriere della sera”, in un articolo intitolato “La luce viene dal Sud”: la modernità è settentrionale, l'antichità è - non era, è - invece meridionale. Un “mondo aperto, mondo sconfinato” opposto al “mondo conchiuso”. Che non è - non sarebbe - peggiore: “Significa non vivere più nell’ossessione dello sconfinato”. Anche il cattolicesimo si fa per questo apprezzare rispetto al protestantesimo, per “l’orrore della solitudine e il profondo bisogno di un mondo conchiuso”, euclideo. 

leuzzi@antiit.eu

Scandalo Sky

Fa impressione vedere i tre maggiori giornali italiani in campagna per la tv Sky di Murdoch. Alla quale vorrebbero che la Rai desse i suoi canali a poco prezzo, 50 milioni l’anno. Non è informazione, le fortune di Sky non interessano ai lettori. Semmai è informazione tardiva e distorta, come i lettori di questo sito sanno: si sta creando una piattaforma della tv a pagamento alternativa al monopolio Sky, e occuparsene con ritardo, senza neppure nominare questa piattaforma alternativa, e solo dal punto di vista Sky, è cattivo giornalismo. È dubbio che sia una campagna politica, se non perdente: in due referendum la maggioranza si è confermata per una televisione commerciale libera. Sono accordi editoriali? Fra chi e chi? E a che fine? Del gruppo L’Espresso si capisce, poiché si è detto che Murdoch potrebbe subentrare come editore, se De Benedetti, come sembra, venderà. Ma gli altri? Vogliono bene alla concorrenza?
Più impressionante ancora è che questi giornali schierino con Sky Napolitano, e che il presidente della Repubblica si lasci schierare. Che un presidente della Repubblica si occupi di un contratto Rai, questo non l’aveva fatto nemmeno Scalfaro. Come fa Napolitano a criticare la Rai per una decisione che, invece di 350 milioni in sette anni, può fargliene incassare tremilacinquecento? Di sola pubblicità. Essendo Napolitano sempre stato equilibrato e accorto, la domanda s’impone: sarà la libertà d’informazione e della stessa Rai più garantita dal monopolio Sky? Ma, per quanto uno ci rifletta, la risposta è sempre negativa. E dunque? Certo, le occasioni e il tempo non mancano mai, per il peggio.

La cosca di Macherio

In puro stile milanese Barbara, la figlia prediletta, fa un’intervista, genere del tutto voluttuario, per piantare tre croci sull’amato papi Berlusconi: la vita privata è politica, sono scioccata dai rapporti con le “minorenni”, stia attento a fare bene le parti tra i figli. La madre dopo la figlia, non passa mese che la croce di Berlusconi, se si potesse dire, non abbia un nuovo tormento.
Si capisce che, in tale famiglia, papi si facesse coccolare dalle “minorenni” in giro per l’Italia. E perfino dalla ciabattona d’Addario - una che da lui voleva il permesso per farsi una villetta, che romanticismo, prima di ricattarlo. Si capisce anche che Berlusconi non sia antipatico: deve avere sofferto molto in quella famiglia di attrici e figlie di attrici. Ma queste sono cose sue - anche se una è sua moglie, con la quale bene o male ha fatto tre figli, e una è sua figlia, cresciuta da lui.
Il punto è che questo stile milanese è quello della mafia: un avvertimento. Anche perché dice una cosa per dirne un’altra, e magari il suo contrario, per chi possiede il codice. E per l’incontinenza. La figlia lo minaccia tra le righe di fare le parti giuste tra i figli come se Berlusconi fosse al testamento, mentre è uno in pieno possesso di tutte le sue aziende, della cui proprietà e gestione può fare legalmente tutto cià che gli pare. Questo è tipico anche della mafia, appellarsi alla legge contro la legge. E non è tutto: in un periodo breve le interviste e le lettere di Macherio non lasceranno nulla di Berlusconi, né la figura politica né l’impero economico, diciamo fra cinque anni, massimo dieci, ma la famiglia di Macherio non se ne cura. Come in tutte le famiglie di mafia, che non arrivano mai a una seconda generazione.
Questa non è tragedia greca, Medea non c’entra. Qui non c’è una lei che si vendica del tradimento di lui, ma un lui che tenta di reagire all’abbandono. Mentre la figlia è da alcuni anni che vuole, fortissimamente vuole, la Mondadori. Non per altro, per diritto ereditario, essendosi la stessa, in tutti i suoi anni ormai numerosi, segnalata per niente, se non un paio di figli. Vuole la Mondadori per sistemarci i suoi giornalisti, e per questo è molto riverita, per la sua saggezza, nonché con foto lusinghiere. O,se si vuole restare alla grecità, prendere atto che le Medee sono più d’una. In Apollodoro (“Biblioteca”, I, IX, 267) Medea è una stupida pazza, che consiglia alle figlie di Pelia, re di Tessaglia, di tagliare a pezzi il padre e cuocerlo al fuoco. Per ringiovanirlo. Se non siamo in presenza di una semplice Clitennestra, che aspetta il suo eroico amrito Agamennone al ritorno dalla dura battaglia col coltello affilato.
È così, è una vera e propria cosca, quella di Macherio, piena di denti aguzzi e di stupidità. Come è della mafia, l’organismo sociale più stupido che sia stato inventato. Anche se, certo, nulla Milano deve, anche in questo, a Napoli o alla Sicilia: la “donna lombarda” della ballata topica già ne aveva i tratti, piena di violenza e nient’altro.

lunedì 3 agosto 2009

Perché Napolitano non toglie il segreto?

Quattordici stragi nei primi trentasette anni della Repubblica, e tutte impunite, è certo che c’è un segreto attorno a esse. Forse più d’uno, ma sempre c’è un Conduttore di esse al punto morto investigativo. In cui si condanna magari uno, anzi normalmente due, uno di destra e uno di sinistra, la beffarda strafottenza fu inaugurata con Piazza Fontana, con gli opposti estremismi coniati dai servizi segreti britannici. O magari con la P 2. Ma senza crederci, e soprattutto facendo capire al pubblico che non c’è da crederci.
Fanno bene dunque i parenti delle vittime a protestare a ogni ricorrenza. A Bologna però si sono ridotti a un branco di nostalgici, un tempo si diceva di faziosi, i quali ne fanno un’occasione per ricordare il piccolo mondo antico, dell’epoca del Muro, mentre invece avrebbero spalancata la strada maestra per ottenere, se non la verità, almeno il perché la verità non si può dire. Potrebbero chiedere al presidente Napolitano, che è un democratico, e personalmente sempre molto chiaro, di far aprire i cassetti a tutti gli apparati che lui stesso presiede. Dopo tanti anni, anche la ragion di Stato, ammesso che lo Stato ne abbia una, sarebbe salva. Al presidente della Repubblica fa capo in Italia tutto l’apparato repressivo, le forze armate con i carabinieri, i magistrati giudicanti e inquirenti, e indirettamente anche gli apparati di sicurezza.
Non si fa perché Bologna è una responsabilità della “sinistra”, come si è sempre mormorato e ora la destra sostiene? Dell’ordigno esploso per caso per imperizia durante un trasporto, o fatto esplodere dai servizi israeliani. È l’ipotesi meglio accreditata, ma non è più fondata delle altre. E non esclude che i corrieri fossero di estrema destra, l’ostilità a Israele era molto forte anche in questo schieramento, in una con l’antisemitismo. E d’altra parte, l’unica “prova” vera della matrice politica delle stragi è che esse siano finite tra Bologna e i Georgofili, con Gobaciov cioè, la caduta del Muro, e la fine del Pci.

La Lega delle sanatorie

Si potrebbe dire abbaia ma non morde, ma non è così: la Lega, impedendo una politica dell’immigrazione, fomenta il campo più rischioso di disordine, e anche di delinquenza. Bossi è nato politicamente, e cresce, fomentando la xenofobia, sia pure nell’aspetto di un italianofono del Sud. Salvo poi avallare, se non promuovere, le più cospicue e incontrollate sanatorie degli immigrati clandestini che abbiano uno straccio di lavoro.
Bossi personalmente ha reso impossibile, nella legge che porta il suo nome con quello del galantuomo Fini, la regolazione dell’immigrazione, negli accessi, e fra i clandestini che hanno comunque un lavoro. Ci vuole da un anno a un anno e mezzo per avere un permesso di lavoro, che dura un anno… Si può dire che era così già sessant’anni fa, agli albori della Repubblica che non sapeva staccarsi dal fascismo, specie a Milano: James Hadley Chase ci scrisse nel 1952 un romanzo giallo che ancora si vende, “Inutile prudenza”. Si può dire l’efficientismo lombardo all’opera. Ma non è materia di scherzo. L’opportunismo di Bossi alimenta l’insicurezza, il mercato clandestino (degli ingressi, delle pratiche di un anno mezzo, delle sanatorie), e la non qualificazione dell’immigrazione – chi fa un anno e mezzo di pratiche per un permesso di lavoro che dura un anno?
Una università di Milano ha dovuto rinviare a casa uno studioso indiano a cui teneva perché dopo un anno non gli aveva ottenuto un permesso di lavoro. Una sorta di girio dell'oca, seppure in età postpuberale, e non si può escludere che Bossi alla fine non sia un mattacchione. Milano dà la colpa a Roma, e anche questo fa parte del gioco, perché no. Ma, poi, questo è tutto, Milano continua a votare Bossi, anzi, con più lena.

domenica 2 agosto 2009

Ombre - 24

Per poter raccontare l’indagine sulla giunta regionale Puglia e i partiti di sinistra nello scandalo Sanità, il “Corriere della sera” ha dovuto mandare a Bari un’altra giornalista, Virginia Piccolillo. La titolare della giudiziaria, Fiorenza Sarzanini, confidente della d’Addario, solo si occupa di quest’ultima. Così si fanno i giornali, tra piccoli feudi.
Ma Sarzanini, pur nascondendole nella quotidiana storia D’Addario a palazzo Grazioli, sa molte più cose dello scandalo Sanità. Le dice en passant ma le dice - il cronista giudiziario è come lo sbirro, non si contiene. E questo significa che c’è la “manina”. Che le indiscrezioni da intercettazione provengono da fonti diverse dai due procuratori, Digeronimo da destra, Scelsi da sinistra, che manovrano le due inchieste a Bari. C’è da augurarsi che sia una manina a pagamento.

L’estero ti guarda. Il “Financial Times” pubblica l’opinione di un Geoff Andrews che dice l’Italia in declino, corrotta in (quasi) tutto il Parlamento, rigurgitante di mafia, e governata dalle puttane. Questo è quello che ne riferiscono l’Ansa, e molti giornali italiani. Senza spiegare che l’opinione non è un commento del giornale. E che lo scrivente, presentato come assistente alla Open University, la Cepu britannica, e autore di un libro “Not a normal country: Italy after Berlusconi”, espone gli argomenti di Di Pietro.

“La tecnologia rischia di far perdere tempo”, detto da Bill Gates il 27 luglio 2009 è una conferma che le scoperte sono rare. Gates ha scoperto anche che “i social network sono insidiosi, vanno usati con attenzione”. Si era messo su Facebook e aveva “diecimila richieste di amicizia”.
E Facebook, cos'è? Era un'edizione grafica dell’amico di penna dei tredicenni – mentre scriviamo sarà ben stato sorpassato da altra novità (ricordate Second Life?).

Il “Corriere della sera” dedica una pagina al malessere di Sarkozy. Decorata da cinque foto in cui, sarà un caso, il presidente francese pratica lo sport con sofferenza. Fa sempre la cosa giusta, la bicicletta, il jogging, con le guardie, con l'atletica moglie, col ministro degli Esteri verde Kouchner. E sempre a New York, dove la fitness è obbligata. Ma sempre con una smorfia. Forse per le piante degli sneaker mostruosamente rialzate.
Altrove si direbbero foto di regime. Come le nuotate di Putin, del presidente Mao, e di Mussolini che le inventò. Ma Sarkozy è al di sopra di ogni sospetto: la sinistra italiana, per non sapere cosa essere, vuole tutto, anche la destra, purché "europea".

L'università di Pisa, appena "eletta" fra gli atenei virtuosi, mette a bando 264 insegnamenti, di cui 204 gratuiti. I professori insegneranno, cioè, gratis. È una cosa pensata dalla Gelmini, e si capisce. Ma “Il Tirreno”, il giornale locale di sinistra, pretende che lo sfruttamento degli insegnanti sia un segno di eccellenza. È proprio impossibile essere democratici?

La Serracchiani, il nuovo che avanza, vuole la “linea” (“chi è fuori dalla linea s'attacchi”) e il “centralismo democratico”. Franceschini, suo compagno di oratorio, vuole gli immobili del (ex) Pci.

L'Istat dice, come ogni anno, che chi ha i soldi non paga la tasse. E come ogni anno i rappresentanti delle categorie che non pagano le tasse si difendono. Ma non dicono la verità: "Guadagno troppo, non posso permettermi di pagare le tasse".

Si arrestano a Roma personaggi titolari di caffè e altri esercizi di lusso noti per essere legati alla 'ndrangheta. Noti da tempo a tutti i negozianti vicini, a tutti i calabresi che vi si sono avventurati, e da un paio d'anni anche alla commissione antimafia. Ciò malgrado, la Guardia di finanza procede all'arresto delle persone e al sequestro dei beni su indizi presuntivi: titolari senza pedigree, investimenti senza capitali, troppi giri notarili, eccetera. Non uno straccio d’intercettazione in tutti questi anni, o un’indagine bancaria, benché il malaffare fosse notorio. Corruzione? No, i giudici e la Guardia di finanza dispongono le intercettazioni solo per fregare Berlusconi.

Par condicio in Francia, annunciano i giornali: "Verranno razionati i minuti tv di Sarkozy. Tranne quando parla come capo dello Stato".

Stati generali con Mubarak convocati da Berlsconi a Milano per farne "la capitale del Mediterraneo".
Come, non dovevamo aggrapparci alle Alpi?

A proposito dell'Inter, scrive sul “Corriere della sera” Mario Sconcerti, “negli ultimi tre anni Moratti ha ricapitalizzato per quasi 500 milioni, una cifra pazzesca”. Lo è, la follia è la sola spiegazione. Una follia molto milanese, però, di cui nessuno chiede conto, né a Moratti né all’Inter. Nemmeno Sconcerti, che pure sa molto ed è persona onesta. Il giudice che se ne occupa a Milano fa uno sbadiglio ogni due anni, per il rinvio – l’insabbiamento ha tempi lunghi.