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sabato 19 giugno 2021

Cronache dell’altro mondo – religiose, razziste e sessuali (123)

Discutono i vescovi americani se interdire dalla Comunione, cioè dai sacramenti, il presidente Biden. Cioè se scomunicarlo, perché non vieta la legislazione anti-aborto. Come se non fosse il presidente eletto da tutti gli americani. Una volta la colpa era personale. Per i vescovi americani è solo politica.
Ciò non toglie a Biden, buon cattolico, il desiderio d’incontrare il papa, in un’apposita visita a Roma, con cerimoniale delle grandi occasioni. Per praarare la quale farà passare dal Vaticano fra una settimana il suo segretario al Dipartimento di Stato Tony Blinken, al coperto di una missione diplomatica nelle capitali europee.  
Festeggia l’America oggi il “Juneteeth”, la festa di un 19 di giugno, quello in cui la legislazione  anti-schiavitù penetrò anche in Texas, il 19 giugno 1865, proclamata dal generale unionista Gordon Granger. Una sorta di festa della liberazione. Ma privata, osservata da alcuni eser cizi e da molte associazioni, Fino a giovedì: il 17 giugno Biden l’ha dichiarata festa federale, cioè nazionale.
Lo stesso giorno, oggi 19 giugno, il SNCTM di New York, sigla che sta per “sanctum”, riapre dopo il lockdown. È un sex club, “che si estende su tre piani tutti seta e velluti”, informa “D”, il settimanale femminile di “la Repubblica”, ad accesso limitato e riservato, al costo minimo “che va da 500 dollari (per i single) agli 8 mila di un tavolo privato”. Più salato per le coppie, “1.500 dollari se si varca la soglia per la prima volta, 2.250 se si è di ritorno”.

Il terrorismo della buona coscienza

Rivisto, in programmazione su Sky Cinema, questo film che ha confuso i critici, e quindi inevitabilmente la prima visione, ha invece una linea netta, anche se impopolare: interroga l’Europa, il “luogo della ragione e della libertà” dice a un certo punto la protagonista, sui suoi limiti, sulla “buona coscienza” di sé. Un esito difficile. Anche perché la vicenda procede su un equilibrio sottile. Ed è parlata in polacco prevalentemente, cioè nella lingua di un Paese che lo spettatore sa che da qualche tempo si distingue per la chiusura allo straniero - dopo avere alimentato per un paio di decenni l’emigrazione, in Italia, in Germania e in Inghilterra. La protagonista, una poetessa polacca che vive in Italia, attorno a Volterra, figlia di una coppia di ebrei sopravvissuti a Auschwitz, premio Nobel, finisce rinchiusa dal maresciallo dei Carabinieri suo ammiratore dentro la gabbia-monumento ai morti dei lager eretta nella piazza della cittadina.
Alla notizia del Nobel conferito alla poetessa, il sindaco, spronato dal maresciallo, vuole celebrarla come concittadina onoraria illustre. Il giorno della cerimonia è funestato da un attentato kamikaze islamico a Campo dei Fiori a Roma con moltissime vittime. La poetessa  sconvolge la vita della comunità facendo l’elogio alla festa della diversità, dell’accoglienza, dell’islam, degli arabi, e la critica dell’Europa, annunciando il rifiuto del Nobel, finendo col definire l’attentato “un’opera d’arte”. Lo spettatore non avverte subito la stonatura, molti in fondo con qualche anno d’età rivivono ancora com meraviglia l’attacco all’America con gli aerei dirottati nel 2001. Ma è l’esca a una libertà di giudizio che si rivela una prigione.
La donna, apparentemente libera, col marito, i nipoti, la figlia, l’amante, è rigida: chi l’ha sostenuta diventa un nemico in città (il sindaco, in campagna elettorale, è criticato, il figlio del maresciallo, bullizzato come “marocchino” perché sua madre è siciliana, finisce in ospedale, al suo amante egiziano distruggono il locale), ma lei rifiuta anche un piccolo passo, la semplice precisazione che non intende spalleggiare il terrorismo. Finché il maresciallo, ubriacandosi per riuscire a farlo, non la rinchiude – lei, che è stata la luce della sua vita applicata di servitore dello Stato.
Non è sinistra e destra. È sinistra senza senno: piena di sé, e quindi dogmatica, autoritaria. Incapace di parlare con la figlia, lo spettatore rivede la poetessa ex post, volgare con l’amante dopo le distruzioni (“hai bisogno di soldi?”), supponente con l’inviato di “Le Monde”, venuto apposta da Parigi per chiederle la rettifica.
La recitazione, affidata da Borcuh a solidi attori  di prosa, notevolissmi l’italo-inglese Vincent Riotta che fa il maresciallo, e l’italo-olandese Lorenzo De Moor nei panni di Nassir, l’amante egiziano giovane, è del resto una chiave scoperta della “trama” del film, del suo senso. Due personaggi sicuramente “di sinistra” ma asciutti, anche Enzo Catania nel ruolo del marito servizievole, “in pantofole”,  contro l’eloquio inarrestabile – pieno di sé - di Krystyna Janda, la poetessa.  
Jacek Borcuh,
Dolce fine giornata, Sky Cinema

venerdì 18 giugno 2021

Letture - 461

letterautore

Bernhard, Thomas – Il “New Yorker lo mostra giovane: bello, tonico, curato, sorriso di sfida. Di sofferenza quindi autoinflitta, se non per gabbare il lettore – il lettore è un masochista. Era un bel ragazzo, nel senso che si curava, voleva piacere, avere successo, e visse comodo. Si fece vittima e santo a freddo: il personaggio misantropo, di misantropia come fonte o chiave del successo.
 
Big Bang – È anzitutto letterario, visione di poeta, catastrofico, di E.A.Poe, nel racconto “Eureka”. Ottant’anni prima che fosse concepito, in qualche modo, razionalmente.  
 
Calvino – “Scoiattolo della penna” è definizione di Pavese in una lettera a lui indirizzata, il 29 luglio 1949, in risposta a una critica benevola ma maliziosa di “Tra donne sole”. Non sufficientemente meditata dagli studiosi di Calvino.
 
Dante – È (anche) linguista: è il tema di una “tornata” di studi dell’Accademia della Crusca martedì 15: “Non solo italiano. Dante, il De Vulgari Eloquentia e le lingue: una lezione per l’Europa?”. Che Francesco Sabatini, il presidente onorario dell’Accademia, illustra sul “Corriere della sera”: “Perché Dante è padre (anche) delle lingue d’Europa. Ne studiò la natura. E definì una carta degli idiomi conosciuti”. Il tutto mentre intensificava la sua partecipazione alla politica cittadina, di cui sarebbe poi stato vittima a vita. no studio e un’analisi che Sabatini dimostra dotto, versatile, uno dei primi della disciplina, dopo Tertulliano, sant’Agostino, sant’Ireneo di Lione, sicuramente il primo e il maggiore dell’epoca moderna.  
 
Hemingway – “È lo Stendhal del nostro tempo”, annota Pavese perentorio il 14 marzo 1947 nel diario, “Il mestiere di vivere”. Ma più avveduto che entusiasta, cinque giorni dopo lo spiega: “Stendhal-Hemingway. Non raccontano il mondo, la società, non dànno il senso si attingere e una larga realtà interpretando a scelta, a volontà – come Balzac, come Tolstòj, come ecc. Hanno una costante di tensione umana che si risolve in situazioni sensorio-ambientali rese con assoluta immediatezza”. E “su questa costante han costruito un’ideologia, che è poi il loro mestiere d narratori: l’energia, la chiarezza, la non-letteratura.
“Flaubert sceglieva un ambiente; loro no.
“Dostojevskij costruiva un mondo dialettico; loro no.
“Faulkner stilizza atmosfere e mitologizza; loro no
“Lawrence indagava una sfera cosmica  l’insegnava; loro no.
“Sono i tipici narratori in prima persona”.
 
Quanto avrà influito la fine di Pavese, il solitario, l’anti-Hemingway-personaggio, su quella di Hemingway? Hemingway, che sapeva molto dell’Italia, specie dai suoi estimatori, Fernanda Pivano in testa, sapeva di Pavese, del “Mestiere di vivere”? - Pivano, allieva di Pavese al liceo, il suo gognin, faccino, era stata da lui indirizzata alla lettura di Hemingway, oltre che di Whitman et al..
 
Hitleriano – L’h si rappresenta con l’“hitleriano”, un soldato germanico in divisa con l’elmetto sotto la croce uncinata rossobruna, nell’“Abecedario” di Munari, opera del 1942. Una cui copia è andata all’asta ultimamente per 4 mila euro. Uno scivolone del designer elegante e distaccato quale Munari sarebbe stato per mezzo secolo dopo la guerra. Che nel dopoguerra provò a sostituirlo con “hangar”. Stefano Salis però lo giustifica, sul “Sole 24 Ore Domenica”, causa autarchia: per illustrare l’h, “Hotel, per autarchia, non si poteva usare, Hangar idem (e poi chi lo ha visto)”, mentre il milite tedesco sì.
 
Letterato americano – È, si vuole, tragico, perlomeno drammatico. Non uno che sta seduto a leggere e a scrivere. E.A.Poe, il primo scrittore americano professionale, che viveva di scrittura, ha inventato anche il personaggio: inventore di se stesso, come sarà poi i ogni scrittore americano, con rare eccezioni. S pecie il narratore, meno il poeta, è uno che d ve avere un passato a tinte melodrammatiche, aver provato vari mestieri, manuali di solito, avere superato vari handicap, o infelicità, familiari, amicali, personali, aver avuto incontri, o attraversato circostanze, miracolose e possibilmente misteriose. E  poi un professionista serio, tanto che per stare al passo della professione deve ricorrere all’alcol o alla droga. Ed è americano, non un viaggiatore – anche i più vagabondi: Hemingway, Fitzgerald, lo stesso Melville (Henry James non è “americano”).
 
Manzoni – Di “fantasia nera” secondo Giovanni Macchia. Non solo nella peste, del romanzo e della “Colonna infame”. Pessimista in effetti – pessimista più che depresso.
 
Parti – Nicolas Bouvier, “La polvere del mondo”, incontrava settant’anni fa nella campagna di Mahabad, nel Nord dell’Iran presso il lago di Urmia, Azerbaigian occidentale, solo “contadini che non parlano che il curdo, lingua iraniana molto vicina al pehlvi dell’epoca dei Parti”. Pehlvi o pahlavi. Poi parlato “in Persia”, secondo il Petit Robert, il dizionario francese, “sotto la dinastia dei Sassanidi”, quindi a partire dal III secolo d.C. fino alla conquista islamica.
Parti-parsi, i fedeli dello zoroastrismo che ancora si contano in qualche parte dell’India?
 
E. A. Poe  - Si voleva autore di “arabeschi”, dietro l’orrore.  Il primo scrittore professionale americano, che vuole cioè vivere dei suoi articoli e racconti, dovette soprattutto combattere, già allora, anni 1830-1840, per essere considerato uno scrittore e non un pubblicista da poco. I suoi racconti del terrore intitolava “Racconti del Grottesco e Arabesco”, per immetterli, con quest’ultimo termine, nel filone letterario mainstream, farsi prendere in considerazione dai critici, e non come autore di storie da pochi cents - mentre “scriveva” proprio queste, storie di eccessi, anormalità: con “arabesco” si autodefiniva, e lo scrisse, scrittore elegante, raffinato.    
 
Ebbe a esecutore letterario Rufus W.Griswold, un amico-nemico che ne fece il personaggio postumo, a metà tra il demoniaco e il folle. Un letterato di poco spessore, anche sfortunato (epilessia, tubercolosi, un’esplosione di gas, una figlia in un treno deragliato, abbandonato dalla moglie, la terza, mentre moriva di tbc), restato negli annali per il personaggio Poe. A Griswold se ne deve anche il nome: Poe evitava i cognome Allan, dei genitori affidatari, firmando Edgar Poe, Edgar A. Poe, e E. A. Poe, fu Griswold a sancirlo come Edgar Allan Poe. Un personaggio di cui Poe, scrivendone anni prima, notava: “Cadrà nell’oblio”, o ricordato solo come “il servitore infedele che abusò della fiducia”. Poe era anche un mentalista? 
 
Shakespeare – È poco elisabettiano, sia nel comico che nel tragico. Pavese, anglista entusiasta, grande lettore anche di Shakespeare, non lo dice ma lo sottolinea (“Il mestiere di vivere”, 14 ottobre 1943): Shakespeare è soprattutto witty, si diverte con le parole, e immaginoso - “ha delle dubbie  scene senza immagini” ma “ne ha di ricchissime”. E anche (ib., due giorni dopo): “I commediografi elisabettiani traggono il comico soprattutto dagli eventi (scherzi, tiri, lazzi, etc.) Shakespeare soprattutto dalle parole (wit, battute, freddure, etc.).”

Viaggio – “Che sia qui il belo del viaggio: riscoprire il proprio luogo?”: Pavese, che non viaggiò, giusto a Roma, e giusto per lavoro (non sa e non dice niente di Roma), se lo dice “riscoprendo Torino, dopo 24 ore di assenza”. Gli amanti di viaggi scritti possono essere molto sedentari.

letterautore@antiit.eu

La cancellazione degli europei dall’Europeo

Francia, Germania, Inghilterra, Belgio, Olanda, i paesi con più immigrati da più tempo, hanno un calcio espressione delle comunità immigrate, arabi, africani, turchi, albanesi, sudamericani: due terzi e più degli effettivi, in proporzione più che inversamente proporzionale alla quota degli immigrati e la loro prima generazione sulla popolazione totale. La Francia e il Belgio sono diventate grazie agli immigrati “potenze” del calcio. Non si può dire sia un fattore etnico: un turco o un marocchino è “diverso” (struttura, mentalità) da un sudamericano o un africano come un europeo. C’è una sorta di “cancellazione” dell’europeo, nell’atletismo come nella produzione e nel commercio, nelle politiche, nella creatività.
C’è una sorta di compiacimento in questo, di esaltazione. La Francia dei campioni, ‘Mbappé, Pogba, Kanté, Benzema, fa il catenaccio contro la Germania, che in effetti si fa temere: il terzino più impegnato è il centravanti Griezman. Limitandosi a un paio di contropiedi in tutta la partita, grazie allo scatto di ‘Mbappé – tanto confuso quanto veloce. Ma il match si svolge tra fastidiosi peana dei commentatori. Dall’inizio alla fine, dello speaker e del tecnico, alla Rai e su Sky. E l’indomani sui quotidiani – dream team è l’elogio meno eccessivo. Il giornalismo è pigro, e gli italiani copiano volentieri dai francesi, che non si risparmiano un vanto. Ma: il calcio è solo un mercato di talenti – quelli della Francia tutti franco-africani? Al punto che bisogna gonfiarne qualcuno?

Cronache dell’altro mondo – elettorali (122)

Bisogna avere o non avere un documento che attesti l’identità del votante? Si discute su questo a Washington dopo l’eccesso di votanti alle ultime presidenziali. Non la tessera elettorale, quella è inconcepibile – la Costituzione non prevede un obbligo di voto, il voto è una libera scelta. Un documento che attesti che X ha votato, che quindi non potrà votare o aver votato altrove: una carta d’identità o documento equiparabile.
Dal 1965 vige il principio “una persona un voto”, ma il diritto di voto non è automatico, bisogna essersi iscritti alle liste elettorali, e un controllo non è possibile, tramite la circoscrizione elettorale e il documento d’identità. L’ultima proposta Democratica - rigettata, per ora, dai Repubblicani - propone come documento le fatture dell’elettricità o del gas.
La revisione della legge elettorale è impantanata al Congresso su questo nodo. La carta d’identità, anch’essa non prevista dalla Costituzione, è risentita come un’invadenza di polizia, e comunque non sarebbe prerogativa federale ma dei singoli Stati. Che uno per uno dovrebbero approntare apposita legislazione.
Il voto come libera scelta implica che ci si iscriva nei ruoli dei votanti se si vuole partecipare al voto. L’iscrizione non è automatica: c’è il diritto di voto universale, ma temperato, da istruzione, fedina penale, residenza. E anche, indirettamente, dal ridisegno frequente delle circoscrizioni elettorali (“gerrymandering”), quando i collegi sono uninominali – più spesso sono statali.
L’iscrizione è però libera: la residenza non è più requisito per il diritto di voto. La Corte Costituzionale ha stabilito nel 1972 che bastano trenta giorni di residenza prima del voto, ed esclusivamente per motivi logistici. Un obbligo più lungo di residenza viola il 14mo Emendamento, alla voce equal protection clause – chiunque si trovi dentro uno Stato ha diritto alle leggi di quello Stato. In teoria ci si può spostare da uno Stato all’altro per influenzare il voto – in pratica sarebbe stato fatto in Georgia alle ultime presidenziali, e in Pennsylvania.
Ogni stato stabilisce le regole, per il voto e per l’eleggibilità. Specifici emendamenti costituzionali stabiliscono che il diritto di voto non può essere condizionato da razza, colore, sesso o età (dai 18 anni in su). Ma l’alfabetizzazione può essere dirimente: sul diritto di voto i controlli ortografici delle iscrizioni sono decisivi.

Il liberalismo è un rinoceronte

“L’avventura del liberalismo” è il sottotitolo. Non una novità, ma un contravveleno in un tempo di nazionalismi, fino al razzismo che si riteneva sconfitto o scongiurato.
Tutte le idee politiche sono unicorni, creature ideali immaginarie. Il liberalismo è all’apparenza il meno gradevole, un rinoceronte, massiccio, sgraziato, aggressivo. Ma si tiene bene in piedi, e di fatto non fa grandi danni. Gopnik ne fa la storia, da Smith e Hume a Emma Goldman. Fino alla globalizzazione, con gli eccessi che ognuno vede, nella finanza e nel commercio. Tra filosofia, letteratura e idealismo politico, talvolta con impegno diretto nell’azione.
Nulla di non noto, ma ben raccontato. Senza una posizione preliminare, precostituita, ma radicalmente liberale – il liberalismo è, al fondo, anarchia: “Il liberalismo non è una teoria politica applicata alla vita. Piuttosto, è ciò che sappiamo della vita applicato a una teoria politica”.
Un “unicorno” adattabile, ma realistico – non opportunistico.
Adam Gopnik, Il manifesto del rinoceronte, Guanda, pp. 288 € 20

giovedì 17 giugno 2021

Ombre - 566

Il senatore Petrocelli, 5 Stelle, presidente della Commissione Esteri del Senato, si dichiara a Concetto Vecchio di “Repubblica” filocinese confermato, come il patron del partito, Grillo. In contrasto con il governo. Dove agli Esteri è ministro un altro 5 Stelle, Di Maio. La politica estera italiana appaltata ai 5 Stelle? Che sanno dov’è la Cina? O è l’irrilevanza del Parlamento, e anche degli Esteri, sulla politica estera italiana?
 
“Ci hanno proposto di fare mio padre beato”:  Aleida Guevara, figlia del “Che”, resuscitata a Palermo dal sindaco populista Orlando, ex potentato Dc, non se ne perde una. Ma è possibile che dica la verità, in Sud America tutto è possibile.
La chiesa del resto, sempre restia, da qualche tempo insegue i santi, una beatitudine non si nega a nessuno. C’è stato anche chi, il decano di San Lorenzo in Lucina, voleva santa Grace Kelly.
 
Colle Romito, a Ardea, dove un pazzo ha ucciso due bambini, e l’anziano passante che li proteggeva,  “è un bel comprensorio di case basse, villettine col giardino, case di villeggiatura della piccola borghesia romana degli anni 60”, rimemora Roberto Morassut, già capo del Pd a Roma e sottosegretario di Conte per l’Ambiente e la Tutela del territorio, sul “Corriere della sera-Roma”: “Allora, quando c’erano solo prati, venivano gli attori”. Allora, con i prati, “Colle Romito era un terreno della principessa Sforza Cesarini in uso civico per il pascolo, poi lo lottizzò”. Così, senza più: da uso civico alla lottizzazione.
 
La libraia romana Laterza è protetta cautelativamente dalla Digos perché non ha voluto mettere in vendita il libro di Giorgia Meloni. Questa  la notizia delle cronache romane, “Corriere della sera”, “la Repubblica”, “il Messaggero”. Senza scandalo per al censura – di un libro innocente, a termini di legge e anche di buon gusto
Come già nel 1969, quando Feltrinelli non vedeva i libri Rusconi. Il tipo di libri che poi venderà Adelphi, ora “stella” della stessa sinistra – confusa più che maneggiona?
  
Per quattro ani non ha fatto nulla, al quinto ha affidato centinaia, migliaia di appalti, piccolo-medi ad altrettante imprese. Appalti da poco ma che “valgono” molto: ripavimentare venti metri di Campo Marzio, strada stretta, può richiedere due settimane di lavoro, invece che due giorni. A 100-200 voti ad appalto, fanno la maggioranza alle elezioni in autunno: si dice che la sindaca Raggi sia una sprovveduta, ma non lo è – perché sarebbe allora la beniamina del furbissimo Grillo?
 
Prima del lockdown, fino a metà 2019, quello tedesco era il governo Ue che più spendeva a sostegno dell’economia, l’1,5 per cento del pil nazionale,  i due quinti di tutta la spesa Ue – l’Italia spendacciona veniva quint’ultima, con lo 0,3  per cento del pil. Non si può farne torto alla Germania in questo caso, non si avvantaggia a danno di altri. È solo più perspicace, soprattutto nella lettura delle regole Ue. L’opposto dell’Italia, che non sa nemmeno come spendere, né per che cosa – non spende gli aiuti Ue alle aree depresse, solo i due quindi di quanto le toccherebbe.
È un problema di lingue, l’Italia non le – ma le regole Ue non sono tradotte anche in italiano?
 
Ad Alba, centro della Resistenza, nei racconti di Fenoglio e nella storia - ricorda Cazzullo a proposito di “Bella ciao” che non era “una canzone comunista” - “la Dc aveva il 60 per cento, il secondo partito era il Pli, e il terzo il Pri”. C’è una storia, che pure sarebbe allettante perché variegata, che non si fa: chissà perché. Vige ancora la censura culturale del Pci?
 
“E la burocrazia è tale per cui qualsiasi altro paese è più facile del nostro”, spiega a Morvillo sul “Corriere della sera” un manager che ha deciso di ritirarsi su un’isola remota dell’Egeo, riadattare un rudere e costruirsi una minima attività per la sopravvivenza. “Ovunque” è più facile: incontestabile, anzi tutti concordano, anche i burocrati. Ma anche questa riforma, che troverebbe d’accordo tutti, non si fa: quelli che vuole rovinare Giove li fa prima impazzire.
 
Crisanti, il microbiologo di Padova, chiacchierato chiacchierone in tv e social in questo anno e mezzo di covid, dice a Trocino sul “Corriere della sera”: “L’Italia si avvia ad avere più morti di tutta Europa e la mortalità più alta per 100 mila abitanti. Anzi, sulla mortalità siamo i peggiori del mondo”. Beh, questo è vero.  
 
“Il Sole 24 Ore” confida al cattivo “Mephisto” l’elenco delle magagne dei giudici. Ma, benché “diabolica”, la lista resta impressionante: “Durata dei processi da medaglia olimpica, tiro alla prescrizione, mosca cieca nell’attuare l’obbligatorietà dell’azione penale e la separazione delle carriere. Tra PM che agiscono come questurini – che è ben altro mestiere”. E “salti in politica e marce indré… Intoccabili. Ala faccia della grande maggioranza di colleghi che lavorano con passione, in condizioni umilianti”. Ma davvero, la passione? e le condizioni umilianti?
 
Boris Johnson s fa fotografare mentre nuota vigoroso nelle fredde acque della Cornovaglia – lasciando a terra i calamitosi “vecchietti” altri leader del mondo, del mondo occidentale. Naturalmente il fascismo è altra cosa, ma i simboli del potere si vede che soni uguali, anche nella democratica Inghilterra - adesso manca a Johnson la mietitura, delle messi autoctone, della “restituita” Inghilterra extraeuropea.
Dire tutto il mondo è paese è un errore. Però.
 
La Cina prova  a radicarsi in Europa e in Sud America con i regimi populisti, cioè “fascisti”, Orbàn, Maduro, Bolsonaro, etc. Fa senso che un regime comunista, l’ultimo comunismo, vada in cerca di fascisti nel mondo. L’autoritarismo li cementa: è proprio il destra-sinistra che non si poteva nemmeno menzionare negli anni del Pci e del Pcus-Urss.
 
La nuova dirigenza alla Cassa Deposti e Prestiti, succeduta ai grillini, trova in sede camerieri in livrea per i dirigenti, hostess per gli ospiti, ascensori riservati ai dirigenti. Magari non costano molto  ma danno un’idea, terribile: confermano che il Nuovo e Nuovissimo di Grillo &co. è solo un “fatti in là che mi ci metto io”, dei più mediocri contro i meno. Come si fa a immaginare in una grande azienda camerieri in livrea,  per il caffè dei dirigenti, nel 2021?  

L’unità venne lottizzata

Una celebrazione in tono minore, la presa di Porta Pia, l’unità completata, Roma capitale. Non per la pandemia. Forse perché non c’è molto da celebrare, dopo centocinquant’anni il papa fa più Roma che l’Italia. La mostra d’altra parte documenta Roma come conquista e piazza dell’Italia che non vorremmo, fanfarona, presuntuosa, e corrotta: la grande novità di Roma Capitale è la speculazione edilizia, lottizzazioni e costruzioni, la moltiplicazione del denaro.
Al visitatore la mostra richiede molto tempo, tante le didascalie da seguire, ma con un senso da subito di eccessivo, di retorico. O allora un ritratto antifrastico della capitale, come era e come si è voluto che diventasse. D’impianto celebrativo, che però riesce regressivo, deviante. La nascita di quel grasso niente documentando che caratterizza la capitale. Non il suo modo di essere papalino, pacioso e violento, ma la politica, la burocrazia e l’informazione di cui è centro e che sanno di falso, e di sciocco – peggio: di falso sciocco. Gli sventramenti, le speculazioni, a partire da re Umberto, la pacchianeria di un’architettura imperiale, fuori da ogni canone e ogni gusto - eccetto il cattivo gusto: il palazzo di Giustizia, il Vittoriano, le mostruosità immaginate per la Galleria, che poi si trascurarono. “Lottizzano Villa Ludovisi”, Henry James scriveva a un’amica spaventato, “pensate, Villa Ludovisi lottizzata.” Si finisce frastornati dalle declamazione di testi interventisti dannunziani per la Grande Guerra, la grande ecatombe - un fanatismo sottolineato dalle folle oceaniche a piazza Venezia ai piedi del Duce, benché fuori tempo massimo sugli anni della mostra.

Una “mostra nella mostra”, come vuole il dépliant, è quella del conte Primoli, il napoleonide alla moda tra Parigi e Roma tra Fine Ottocento e la Grande Guerra, che fu fotografo moderno, interessato a tutto, e ha lasciato una ritrattistica e una serie di “istantanee” storicamente significative, e sempre vivaci.
Roma. Nascita di una capitale 1871-1915
, Museo di Roma Palazzo Braschi

mercoledì 16 giugno 2021

Appalti, fisco, abusi (203)

Atlantia fa i salti in Borsa e si annuncia un maxi-dividendo, grazie ai guadagni realizzati con la vendita di Autostrade allo Stato. Ottima nazionalizzazione, per i Benetton e soci.
 
Tim aspetta il 16 giugno per recapitarvi la bolletta che è scaduta l’8 giugno. Per poi fatturarvi il 5 per cento per ritardato pagamento. Furbo, no?, come diceva Lucia Joyce del babbo: farsi un paio di milioni di euro  a bolletta, per dodici mesi, per entità unitarie modeste, anche se nell’arco dell’anno sono diecine di euro (ma non abbastanza per ricorrere ad Agcom, l’Autorità di controllo. Dopo aver tentato di contrabbandare su 28 giorni il mese di abbonamento, facendo un anno di tredici mesi.
Tim sarà pure una società fallita da tempo, come argomentava Grillo agli esordi del “vaffa” – una quindicina d’anni fa. Ma sa fare sempre danni.
 
Non è rimedio al piccolo sopruso Tim la bolletta elettronica. Tim ve la manda allegata alla mail,  ma non potete aprirla senza l’accesso a My Tim. Che non è ammesso se non se non siete utente wifi, modem, fibra etc.. Sembra strano, ma è così, basta accedere a My Tim.
 
Lunghe code agli esercizi obbligati, alle Poste e in farmacia, mentre l’utente – in genere la utente – s’intrattiene amabile del più e del meno con gli addetti - più spesso le addette. Le conversazioni sono specialmente lunghe in farmacia, che ora sono soprattutto empori di prodotti della fitness o di bellezza. Chi l’ha detto che dalla peste si esce migliori? Normalmente peggiori, anche molto.
 
Le attese, alle Poste e in farmacia, si allungano anche perché gli addetti sono ridotti: sono stati ridotti un anno e mezzo fa, e lo sono anche ora alla riapertura. Dove c’erano due farmacisti – due farmaciste – ce n’è solo uno. Alle Poste gli sportelli funzionanti sono mediamente due terzi di prima. Dimezzare il personale al banco, o anche solo ridurlo di un terzo, è un’ottima strada per guadagnare: l’epidemia non è venuta per male, non per tutti.

Proust intimo

Per il centocinquantenario della nascita di Proust una strenna, per proustiani e non; un libro bello, e soprattutto ben curato, da Luc Fraisse, proustologo paziente oltre che infatuato. I racconti, più che altro tracce di racconti, sono così così.
Le novelle inedite sono testi dispersi, rintracciati dal proustologo geloso Bernard de Fallois, un personaggio dell’editoria parigina, “inventore”,  editore e curatore di Simenon, scopritore di Joël Dicker. Recuperati dai suoi archivi due anni fa, nel 2019, un anno dopo la sua morte. De Fallois è stato depositario unico, per oltre mezzo secolo, dell’autorizzazione ad esplorare i manoscritti dell’autore della “Ricerca”.
Sono frammenti o progetti di racconto, per lo più, o altrimenti non  definiti. Proust escluse questi testi, di cui non perfezionò la copia, e sui quali non tornò più a lavorare, dalla sua prima raccolta di racconti, “I piaceri e i giorni”, 1896, quando aveva venticinque anni: sono quindi scritti della sua prima gioventù. Di cui il curatore può rimarcare notevoli anticipazioni di temi e personaggi della “Ricerca”. Molto evidenti, perfino porno, sono le tematiche legate all’omosessualità proibita, specie nei due testi centrali: “Jacques Lefelde (lo straniero)” e “All’inferno”. In quest’ultimo il diavolo discute con un “conte Quélus”, che ricorda Caylus, l’amasio di Enrico III, e anticipa Charlus, dell’amore delle donne e di quello “socratico”. Ammette che certi gusti possono produrre “repulsioni fisiche”, ma i due poi si assolvono: “Chi oserebbe dire che il disgusto non è eminentemente relativo?”. Anche se il caso esemplificato, la passione per le feci, è un po’ trasgressivo.
La fascetta editoriale originale, dell’edizione Folio, dà il vero senso del repêchage: “Il diario intimo che Proust non ha scritto”. Più per questi aspetti inconsueti nella penna di Proust. Più evidente nei frammenti l’indicazione subliminale che le ragazze di cui cerca l’amicizia agli Champs-Elysées sono ragazzi.

“La moralità cristiana, all’occorrenza cattolica, pesa”, nota Fraisse. Senza però sviluppare la traccia. Che è strana, almeno vista con gli occhi di oggi, ma è vera: Proust, di famiglia ebraica benché non praticante e anzi laica, ha in tutta l’opera costanti riferimenti religiosi e morali, e solo cristiani, cattolici. Una moralità che pesa – questo probabilmente Fraisse intende – sulle abitudini sessuali. Ma qui, nei racconti, nei frammenti giovanili, non del tutto.  
Marcel Proust,
Il corrispondente misterioso e altre novelle inedite, Garzanti, pp. 184, ril. € 20

martedì 15 giugno 2021

Ecobusiness edilizio

L’Imu, la patrimoniale sulla casa in vigore da quasi trent’anni, è un incentivo all’antropizzazione, alla crescita edilizia dei Comuni. Nei luoghi di vacanza  che in Italia sono al 90 per cento luoghi marittimi. L’interesse delle amministrazioni comunali è di moltiplicare le costruzioni, sia pure di uso molto saltuario o occasionale. Favorendo l’immobiliare da tempo libero con piani di urbanizzazione anche costosi, ma intesi come investimenti a rendita, per le casse comunali.
Una ricerca sul catasto dei Comuni marittimi confermerà sicuramente questa percezione – quanto (non) si è costruito dal 1992 a oggi.
Nello stesso tempo, l’Imu contribuisce a spopolare i Comuni di montagna e di campagna. Di emigrazione. L’Italia è stato un paese a forte emigrazione interna, nelle varie ondate storiche del Novecento - e ancora, in Sicilia e in Calabria, nel Millennio, con la ripersa dei “treni della speranza”, i Flixbus, vent’anni fa. In contemporanea con la crescita del senso e dell’orgoglio delle “radici”, questa emigrazione non implicava l’abbandono delle case di origine. Che invece l’Imu, aggravata dalla recente costosissima imposta per la fornitura elettrica, rende onerose. L’Italia degli ottomila Comuni, che se ne faceva il segno distintivo e un po’ anche l’orgoglio, è già un’Italia in forte abbandono, in Abruzzo, Calabria, Sicilia, e nei luoghi alpini remoti, dalla Carnia all’Appennino ligure-piemontese.
La desertificazione è già un fatto. I Comuni che regalano case fanno sempre meno notizia, sono una realtà triste. 

Lo sport è pubblicità

La Cina scopre lo sci perché ha vinto la gara per l’Olimpiade invernale 2022, fra sette mesi. Maestri di sci vengono formati, piste vengono apprestate, con consulenti di ogni nazione, impianti di risalita e altre attrezzature vengono importate. All’insegna del solito slogan: in questo caso di un incomprensibile “Trecento milioni di persone scoprono il ghiaccio e la neve”. Si cerca anche di creare un atletismo cinese della neve, ma con scarsi risultati.
La Cina scopre come si costruiscono, mantengono e usano le piste perché ne ospita la fiera quadriennale. Un business e una vetrina. Un caso estremo della globalizzazione, non lasciarsi mancare nemmeno le briciole – un caso d’ingordigia. Ma più è un caso fra i tanti dello sport ridotto a veicolo pubblicitario, sui media e sui social – un “evento”.
È già successo con il calcio a Dubai e negli altri principati della penisola arabica. Che non hanno squadre di calcio, e nemmeno  giovani che lo praticano, tanto poco sono popolati, ma gestiscono Mondiali, Supercoppe e ogni evento-business legato al calcio. Inteso come evento televisivo, per la vendita della pubblicità in televisione.

La difficile storia del Pci con Mosca

Utile carrellata sui rapporti del Pci, di Togliatti e poi di Berlinguer, col Pcus, il partito Comunista Sovietico, e con la dirigenza sovietica, specie negli anni di Stalin, fino al 1951, dello storico romano dell’Europa Orientale, presidente della fondazione dell’Istituto Gramsci, ex Pci. Togliatti era per il disinnesco della guerra civile 1943-45 (volle e fece l’ amnistia), e per una via democratica al socialismo, attraverso elezioni. Su questo irremovibile alle pressioni interne al suo stesso partito (Secchia e altri). Ma non un “dissidente”, come poi si sarebbe detto, nei suoi anni non c’erano i “dissidenti”. Né uno che praticava la “doppiezza”, il doppio linguaggio, che naturalmente con Mosca non avrebbe avuto senso, i russi non erano stupici. Gioca alla dissimulazione, arguisce Pons. Con molti esempi di fatto. E senza nascondere che Togliatti fu sempre al fianco di Stalin, anche dopo morto: fu contro la critica di Krusciov al XXmo congresso del Pcus, nel 1956, e fermamente a fianco dello stesso Krusciov nello stesso anno nella repressione della rivolta ungherese. Ma la sua argomentazione ha qualche punto debole. Non marginale.
Non era ancora tempo delle “vie nazionali” al comunismo. Questo è vero. Se ne parlerà sul finire degli anni 1950: in concomitanza con la decolonizzazione, si sarebbe cominciato a ipotizzare e propagandare alleanze con le borghesie nazionali - i Fronti Popolari anteguerra anche in situazioni non eccezionali. Ma in Jugoslavia e in Italia – e in Francia - Mosca da tempo  si era acconciata di fatto a quello che sarà il modello delle vie nazionali.
Non è poi vero, non può essere vero, quale che sia la validità della documentazione su cui opera Pons, che nel 1951 Togliatti opponesse a Stalin la distensione. Nel 1951, racconta Pons, Stalin si convinse che lo scontro con l’Occidente avrebbe presti degenerato e chiese a Togliatti di trasferirsi a Mosca e dirigere il Cominform, l’organizzazione di propaganda costituita da Mosca nel 1947, in sostituzione del Comintern, o Terza Internazionale, tra i partiti Comunisti di Urss, Italia, Francia, Polonia, Ungheria, Romania, Bulgaria – e Jugoslavia, poi espulsa, l’anno dopo. Togliatti credeva invece nella distensione – la morte di Stalin lo aiutò a declinare la no apprezzata designazione. Ma la “distensione” sarebbe intervenuta qualche anno dopo, a opera della dirigenza sovietica.
Una storia del Pci – dopo Striano - ci vuole. Tanto più una come questa, “Visioni e legami internazionali del Novecento” è il sottotitolo. Però, forse, partendo dalle macerie, non dal palazzo, di cui accertare (o non accertare, se non occultare) le crepe.
Silvio Pons, I comunisti italiani e gli altri, Einaudi, pp. 376 € 32

lunedì 14 giugno 2021

Secondi pensieri - 451

zeulig


Colpa “Heidegger vide arrivare la peste per tempo”, la “peste nazista”, “e trovò la parola esatta per nominarla: destino”. Che a lui “apparve grecamente in una prospettiva d’incolpevole colpevolezza” – Sergio Givone, “Metafisica della peste”, XVI. Comodo. Ma se la colpa è un destino, allora non c’è etica – volontà attiva, responsabilità. Giudizio – quindi nemmeno filosofia, che è comunque un pensare selettivo (ordinato, regolamentato).
Nel caso di Heidegger, del suo “nazismo”, si scenderebbe a un’irrilevanza totale, di ogni pensiero e perfino forma di pensiero.

 
Fede È la forza nell’abbandono, nella derelizione. Del Cristo abbandonato in croce, di Giobbe perfino perseguitato dal suo Dio.
L’amore vuole fede. La vita vuole fede, non in altro da sé, in se stessa. È il volano dell’esistenza, della vita che quotidianamente si conduce.

 
Felicità È possesso? È successo? È disposizione mentale, una somatizzazione, in positivo - nei fatti c’è, ricorrente, il ricchissimo infelice, il carrierista insoddisfatto. Con un problema: il pensarsi felice va contro lo scongiuro, che non è pratica superstiziosa o magica ma una sommatoria, di stati mentali e reali  – si può essere felici solo con moderazione, e pensandosi sempre sotto la mannaia della disgrazia (“così e non peggio”)
La sua “formula” è quella semplice, e quasi da ridere, di Erodoto, del racconto “Policrate e Amasi”, o dell’impossibilità di essere infelice. Il tiranno di Samo, di ricchezza e fortuna proverbiali, e perciò stesso in prudente attesa (lo scongiuro) di un disgrazia altrettanto grande, viene consigliato dal suo alleato il re dell’Egitto Amasi di procurarsi qualche dolore, privandosi di qualcosa a cui più tiene. Policrate non ci riesce, l’anello cui più teneva che ha buttato in mare gli viene restituito dentro un pesce che  suoi cuochi stano cucinando. Amasi si dissocia dall’alleanza, e presto Policrate, dopo tanti successi, viene soverchiato dai persiani. 

 
Grazia “C’è perché non c’è. È la sua assenza a evocarla e reclamarle, ponendola per negazione. Vale per la grazia quel che vale per Dio. Non se ne può parlare se non dopo aver portato a fondo l’impossibilità di parlarne” – Sergio Givone, “Metafisica della peste”, 27, a proposito di Camus, “La peste”, un proposito che dice comune all’ateo e al religioso del racconto: “Secondo l’assunto di una dialettica negativa che Rieux e Paneloux condividono”.
 
Male - È umano, “esclusivamente umano”. Ed  è del corpo. È la filosofia di E.A.Poe , “Ombra” (“Presentimento e memoria del Male”). Il Male è esclusivamente cosa dell’uomo. Principio del Male è il tempo, un guscio floscio, vuoto.
Ciò contrata, naturalmente, con l’essere. Per pensarlo, e scriverlo – ragionarlo, comunicarlo.
 
Natura – Lo “stato di natura” non esiste. Cos’è lo “stato di natura”? Seppure si fa delle leggi, la natura senza remore non ne tiene conto, e non in via d’eccezione..
 
La sua intronizzazione oggi è riduttiva. Si veda in Leopardi. Tanto avanza nel “deserto”, il “vuoto”, il “nulla” quanto più investe la natura dell’accertabilità scientifica, in un quadro materialista. Poi, però, “natura crudel”, “nemica scoperta degli uomini, e degli altri animali”, “serpente a sonaglio” in agguato pronto a ingoiare gli innocenti animaletti.
Leopardi come Rousseau: la natura è perfetta in quanto maligna. Creativa e distruttrice insieme. L’uomo è naturale, ma in che misura (non) lo è?
 
 
Tradita dall’aspirazione ecologica, giusta ma elementare, che fa del naturale il bene, l’“ordine naturale” trasponendo a norma. Con conseguente rovesciamento. La vita è natura, la migliore conservazione o condizione di vita è quella naturale sono evidenze, ma non immediate. Non andrebbero recepite come immediate: l’ecologia vera, producente, quella attiva, dev’essere intelligente, critica, umana. “Naturale” nel senso della bioinspirazione e non della biomimetica (copiare i procedimenti naturali). Il mezzo secolo di protezione ambientale o riduzione dell’inquinamento, sono una politica industriale. Come la sintetizza l’etologa Emmanuelle Pouydebat: materiali ad alta resistenza dai ragni, nanomateriali dalle spugne, adesivi da rane e gechi: “La più piccola alga unicellulare può essere coinvolta nel razzo Columbia per resistere meglio al rientro nell’atmosfera e la nanostruttura delle ali delle sublimi farfalle  morpho ispirare nuovi pannelli solari fototermici”.
 
È in Lucrezio la legge di Lavoisier, o della conservazione della massa. Della natura che si trasforma ma non perisce: “Ciò che si vede non perisce dunque fino in fondo,\ poiché la natura ricava una cosa dall’altra e non lascia\ che se ne generi alcuna se non grazie alla morte\ di un’altra”, “De Rerum Natura”, I, 262-264.
 
Religione – È il primo dato storico. Le sepolture del Paleolitico superiore, 10-40 mila anni fa, lo segnalano. E il più costante. In tutti i continenti e le “civiltà”. La vita dei morti in  Africa, dove (Madagascar) si pratica il famadihana , il “giramento” periodico delle salme. Il faraone come il sole in Egitto. Le legioni della salvezza,  a partire da Zarathustra – che la Bibbia media. L’illuminismo che la nega - la parte dell’illuminismo che la negò (finito nella Dea Ragione, robespierriana, massonica, fino allo spiritismo-spiritualismo, così diffuso ancora oggi nel  mondo  anglosassone, nella “cultura” materialista. Il postumano di Rosi Braidotti è, a dargli credito, una sorta di panteismo – di divinizzazione della “natura”, dell’esistenza.  
 
Stoicismo – “Religione che non ha che un sacramento, il suicidio!”, la voleva Baudelaire, “Razzi”. Di contro alle tante oggi professioni di stoicismo, alla Scalfari, che sono piuttosto partiche, se non professioni, di epicureismo. Si trascurano gli stoici classici, in antico, quelli che professavano a ragion veduta: è il pensiero del pessimismo radicale.
Molto stoicismo in realtà, già nel Settecento, è epicureo. Una sorta di gioco al calcio “di rimessa”: guardandosi le spalle, prudenti e allarmati, per meglio, quando lo spazio si apre, se c’è l’occasione, fulmineamente colpire.


zeulig@antiit.eu

Cronache dell’altro mondo - speculative (121)

Si investe nell’azionario come non mai a Wall Street. La Bank of America calcola che due terzi degli investimenti finanziari siano in azioni, il 64,4 per cento. Al picco precedente, che finì nella crsi del 2007, l’azionario (tutti speculatori) si prendeva il 56 per cento dell’investimento finanziario complessivo.
Continua impavida la sfida dei piccoli investitori agli hedge fund, su titoli sui quali i fondi con più fondamento puntavano al ribasso. Dopo GamesTop, la società texana di giocattoli semifallita di cinque mesi fa, hanno puntato e vinto su Amc, società dell’intrattenimento, anch’essa semifallita. In perdita da anni, piena di debiti, e con patrimonio netto negativo. Un titolo che gli hedge fund non a toro avevano dato per spacciato, anche per l’evidente sopravvalutazione di Borsa: quotava a metà maggio 57 dollari, per una capitalizzazione di 29 miliardi, 23 volte i ricavi. Un’assurdità. Ma Reddit ha mobilitato milioni di piccoli investitori, sulla piattaforma Robinhood, che in pochi giorni hanno fatto guadagnare al titolo il 600 per cento. Grazie però, a un certo punto, proprio agli hedge fund: alla leva delle ricoperture forzate cui gli hedge sono stati costretti per non subire le perdite miliardarie a termine di cinque mesi fa - in Borsa come a un braccio di ferro.

I topi di Proust

L’autore del “Manifesto del rinoceronte” (gli ideali politici sono unicorni, creature perfette immaginarie: il liberalismo, in tempi di populismo, sovranismo, nazionalismo, è un animale buffo, ma merita una breve brillante storia) s’interroga sul riferimento costante dei biografi di Proust a un suo vizio, come si diceva una volta: di avere a volte bisogno per “venire”, nei bordelli omosessuali che frequentava, di topi tenuti affamati e liberati all’improvviso in coppia, in modo che si azzannassero. Gopnik è incredulo – “che vizio è?”, sembra che si chieda. Ma non mette in dubbio che questa passione ci sia. Si chiede invece a lungo in dettaglio come la notizia di questo vizio di Proust sia nata.
La fonte sono stati tre scrittori: Gide, che ne parlava con Proust, Jouhandeau, sulle confidenze di un tenutario di bordelli, e Cocteau, in tarde - trenta, quarant’anni dopo - reminiscenze. Più un paio di testimonianze di più o meno anonimi frequentatori o magnaccia. Una voce come tante, conclude Gopnik, che sembra fondata, su fonti certe, le quali però, quando si va al riscontro, non si trovano. Che può non dispiacere, il pettegolezzo contribuisce alla fama, ma non aggiunge e non toglie nulla al vero Proust.  
L’unica fonte diretta in effetti è Gide. Che nel minuzioso “Diario” annota un paio di conversazioni con Proust, in casa di Proust, sulle pratiche omosessuali, ma senza menzionare quali - e sull’opportunità di scriverne, come Gide avrebbe voluto, mentre Proust no, e anzi le ridicolizzerà nel barone Charlus. Ma, non menzionata da Gopnik, la fonte possibilmente di prima mano dei ratti è Jacques-Émile Blanche, il ritrattista ora famoso per il ritratto di Proust giovane, che nelle memorie, “Mes Modèles. Souvenirs littéraires”, dice di Proust che si dilettava a farsi smuovere le viscere da un gerbillo, un ratto.

Che Proust frequentasse bordelli maschili è notorio. E molte pratiche sono state documentate nel 2012 da una mostra nella galleria d’arte parigina  “Au bonheur du jour”, con un catalogo illustrato curato dalla stessa animatrice della galleria, Nicole Canet, sotto lo stesso tiolo della mostra, “Hôtels garnis, garçons de joie, prostitution masculine - Lieux et fantasmes à Paris de 1860 à 1960”. Molte immagini sono dell’Hotel de Marigny, che Proust regolarmente frequentava. Questo bordello era tenuto da un Albert Le Cuziat, modello di Jupien nella “Ricerca”: un personaggio cui Proust era attaccato. I mobili odiosamati di casa Proust, la parte che aveva voluto per sé in una puntigliosa divisione col fratello Robert alla morte dell’odiosamata a madre, nel 1905, regalerà nella primavera del 1917 a Le Cuziat “Jupien”, per ammobiliare il piccolo hotel Marigny in rue de l’Arcade n. 11, trasformato in bordello gay. Cosa si faceva a Parigi mentre la guerra marciva accanto.
Adam Gopnik, Proust and the Sex Rats, “The New Yorker”, free online

domenica 13 giugno 2021

Genitori

Si vive con il padre e con la madre e poi a un certo punto non più. Sono incapacitati, o sono malati, col tempo muoiono.

Il misogino Strindberg si fa compagnia da solo

Meglio solo che male accompagnato, si dice. È volgare. Strindberg non lo dice e certamente non lo pensa, ma lo fa, si avventura solo in città. Solo, senza cioè l’eterna diatriba coniugale per cui è famoso, o dell’amore impossibile tra le mura, solus ad solam (chissà che Strindberg non abbia letto D’Annunzio, era l’astro montante delle lettere europee negli anni della sua maturità e di questa narrazione – o Strindberg, come Ibsen, e fino a Hamsun, come gli scandinavi in genere, si vogliono isolati, autoctoni). Se la misoginia non è una posa, una trovata per épater le bourgeois.
Non è il primo caso, poiché si comincia con sant’Agostino, ma non è scontato, di autobiografia come invenzione - è ben un genere letterario. Questo è speciale per il solito tema di Strindberg: le derive della convivenza, per cui si finisce martiri, tollerando il brutto, oppure ipocriti, tollerando le violenze piccole e grandi e le ingiustizie, per quieto vivere o remissività, avviliti per amore di pace e sensi di colpa – oggi si ditrebbe, da uomini, con un certo compiacimento, il trend essendo della donna che lamenta l’uomo. Paranoici infine, dopo tanti errori non contestati, avendo rinunciato a se stessi.
A Strindberg è stata addebitata la paranoia figlia della misantropia. Che però questo libretto smentisce, giocando la misantropia sul suo terreno – del resto sono le donne, seppure è vero che l’hanno distrutto in casa, a creargli un monumento in teatro. Strindberg si situa solo, e si fa la sua città: la storia, i giardini, le case, le prospettive, gli amici che non ha, quelli che ha. Che di più creativo? Immagini tutte vivaci, con un monumento a Stoccolma tra i tanti (e a Balzac, a Goethe, al libro di devozioni cattolico, all’infanzia e all’amore per l’infanzia, e viceversa al piccolo mondo degli anziani) in questo deserto di solitudine, che l’autore spesso sottolinea.  
Di un  maledettismo, bisogna pure dire, ben governato, misoginia compresa – genere sottile, di cui Bergman sarà figlio  “legale”. La disperazione? Ha ‘dda venì, per ora scriviamo. Però è divertente – Strindberg può esserlo.
Una nuova traduzione, di Franco Perrelli, avrebbe rinfrescato quella vecchia di Andrea Petricca.
August  Strindberg, Solo, Carbonio, pp. 120 € 13,50