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sabato 26 agosto 2017

Israele torna al Medio Oriente

Una delegazione va a incontrare Barzani, il capo tribù indipendentista dei Curdi iracheni, con la promessa di un sostegno militare e diplomatico di Israele a un Curdistan unito, curdo e siriano, e forse anche iraniano e turco. Ai progetti comuque di indipendenza dei curdi. I quali sono il primo dei tanti nemici del leader turco Erdogan. Con il quale Israele professa solida amicizia, e anzi una alleanza di fatto contro l’islam sciita – dominante alla froniera Nord di Israele..
Israele si rituffa in Medio Oriente con una politica levantina. Lo stesso tra i due blocchi. Contrario all’accordo con l’Iran per il nucleare, il governo israeliano esibisce da qualche tempo una sorta di rottura dei rapporti, da semrpe privilegiati, con gli Usa. Da ultimo il suo primo ministro è stato a Mosca a trattare la soluzione siriana con Putin. Quella sirana e anche quella iraniana: a Putin, alla cui reputazione internazionale Israele può dare un forte contributo, chiede la fine dell’antisionismo iraniano, attraverso gli Hezbollah, il movimento sciita già terrorista localizzato in Libano e in Siria.
C’è per ora curiosità nelle cacellerie europee sulla politica mediorientale del governo israeliano. Ma con qualche preoccupazione. Una politica mediorientale di Israele è sempre stata giudicata necessaria, prima o poi. Ma in integrazione con l’Occidente. Il cammino intrapreso sa più di percorso sotitutivo. 

C’è rimasta solo la Dc

In Sicilia – dove secondo Sciascia succede quello che poi succederà in Italia – la preparazione delle elezioni è una rincorsa al Dc. Si dice al voto del mafioso di complemento Cuffaro, “vasa vasa”, ma la corsa è al Dc. Sotto le vecchia strategia del centro, che le elezioni si vincono al centro. Ma con un solo centro: di candidati che siano, siano stati, o possano essere, democristiani.
Non c’è solo l’intesa sorprendente tra Orlando, vecchio pretendente alla leadership della vecchia Dc, Renzi e Alfano. Anche Berlusconi va su quella linea con Armao. E pure la destra, con Musumeci: non solo gli ex finiani, Dc di complemento nel linguaggio di Andreotti, ma anche la Lega di Salvini nel suo tentativo “italiano”.
La vocazione della Lega è del resto antica: “La Lega non siederà né a destra né a sinistra”, ci dichiarava Bossi alla vigilia delle elezioni politiche del 1992 che l’avrebbero consacrata (G.Leuzzi-S.Romano, “Elezioni, istruzioni per l’uso”), “ ma esattamente al posto della Dc”. Non c’è candidato buono se non sa di (ex) Dc. La cosiddetta Seconda Repubblica, non dichiarata, si chiude con una Restaurazione, non dichiarata ma altrettanto solida. 
La Sicilia evidenzia in realtà un dato di fatto di molte elezioni, comunali e regionali, e molti governi, Letta, Renzi, Gentiloni. Sotto la guida del presidente della Repubblica ex comunista Napolitano i primi due, ma tutti con distinte note di monocolore (ex) Dc.
Si dicono i partiti morti, ma allora solo quelli di sinistra e quelli laici. Al “centro”, cioè alla Dc, la politica è viva e come.
Ciò spiega la disaffezione crescente degli elettori di sinistra e dei moderati laici. E il successo per altri versi inspiegabile di Grillo e i suoi, un enorme voto di protesta – sicuramente lo è stato a Roma.

La politica truccata

Il bello della politica è dunque il trucco. Se Macron, pure giovane e senza rughe, ricorre all’estetista per diecine di migliaia di euro mensili. Con punte perfino istrioniche o maniacali in Berlusconi e Trump – seppure fortunamente a spese proprie - tra riporti, maschere, foto velate, trattamenti periodici. Mentre Putin dà l’idea di cure rivitalizzanti alla gerovital, quali sono in uso in Oriente.
La cura non è nuova delle apparenze nella politica. Il caso per eccellenza resta quello di  Luigi XIV – per il.resto poco pulito e qualcuno dice puzzolente, per l’igiene che allora si trascurava. Nella moda odierna è però nuova, fatta l’eccezione Macron - forse “marito della moglie”, che invece è in età e si tiene su coi trattamenti. Esprime una sorta di dittatura generazionale. Magari suffragata da elezioni libere ma del genere: senza di noi non c’è governo, non c’è politica.
Ciò avviene a opera di personaggi che si direbbero non “storici”, a parte forse Putin. Anzi più mediocri che non. Che tuttavia raccolgono consensi e voti. La politica è fatta di trucchi, ma non è di questi che si parla. È la politica generazionale? In effetti, i giovani non contano, al lavoro, nella previdenza, e nella politica. A meno che, qui, non siano giovani vecchi, come ce ne sono tanti negli ultimi governi italiani.  

Čechov si purifica all’inferno

Un racconto dell’inferno, e un altro Čechov,  il medico positivista, all’opera per il benessere dell’umanità. Un viaggio-inferno escogitato in chiave resurrezione, da una vita incolore e disimpegnata, nella Russia anni 1880.
Un racconto: “L’isola di Sachalin”.mantiene, malgrado la frantumazione, una sua dignità di racconto. Di un’isola dei morti, di deportati e ex deportati – sull’esempio dell’Australia che Čechov non cita, ma senza la fertilità del clima e del suolo. Il cui progetto è dovuto a un agronomo e filantropo di cui Čechov ha stima: Michail Semënovič Micul’ dice “uomo di grande forza morale, grande lavoratore nonché ottimista e idealista appassionato”. O del male effetto del bene, che a ben guardare è il filo rosso di Čechov.
Una raccolta di articoli. Il volume riproduce una serie di corrispondenze di Čechov, da “inviato speciale” di “Novoe Vremia”, Tempi Nuovi, nel corso del 1890, a trent’anni, poi riprese in volume – c’era la censura sotto gli zar, ma era altra cosa che sotto Stalin, o Breznev. Il giovane Čechov è un medico, non un giornalista, ma dà qui il meglio dell’uno e dell’altro.
Non manca la “letteratura” in questo lungo reportage, la divagazione. Benché Sakhalin sia un mondo in cui Puškin e Gogol’ sono “incomprensibili e inutili”: “L’anima” vi “è invasa da quel sentimento che forse ha già provato Odisseo mentre navigava per mari sconosciuti”. Ci sono anche immagini di bellezza: le donne Ainu, con le labbra tinte di blu, le contadine della valle dell’Arkaj, gli uomini Giljaki, beati e depressi. Ma sono dosi omeopatiche, escrescenze minate da un fondo sinistro, di violenza, anche istituzionale, e corruzione. Čechov non è radicale, e anzi lavora protetto dalle autorità, .ma le cose che dice parlano da sole.
Sakhalin era cinque colonie penali. Un carcere all’aperto, dove l’impero trasferiva, ai lavori forzati, migliaia di detenuti. Il 21 aprile 1890 Čechov partì in treno. Fu a Sakhalin, impegnatissimo nella ricerca socio-sanitaria sul campo, da luglio a ottobre. Il ritorno fece via mare, approdando in Russia l’1 dicembre.
La corrispondenza è una prima e ancora valida testimonianza dell’estrema varietà di luoghi e popolazioni della Siberia. Ma è soprattutto un’anamnesi socio-sanitaria insuperata – benché poco narrativa e piuttosto ripetitiva nella sua interezza - delle condizioni di vita dei detenuti. Il medico Čechov compilò circa diecimila schede sui suoi colloqui con i detenuti e le loro famiglie, su ogni aspetto della vita nel bagno penale. La metà, poco meno, dell’intera popolazione carceraria viveva in situazioni tipo famiglia, per metà legittime per metà di fatto. Ma ciò non alleviava la durezza della feportazione. Per freddo, o caldo umido, e stenti.
Ciò che resta del monumentale reportage sono gli aspetti che ancora pedurano, non solo nella remota Sakhalin. Della legge applicata a caso. Della burocrazia ottusa, malvagia per stupidità. Dell’abiezione senza rimorso. Specialmente contemporaneo il suo intellettuale: “C’è nella nostra diletta patria una grandissima povertà di fatti e una gran ricchezza di ragionamenti d’ogni specie”. Di sé del resto Čechov scriveva, mentre concepiva il viaggio, al suo editore Suvorin: “Non abbiamo scopi né immediati né lontani,  nella nostra anima c’è il vuoto assoluto. Non abbiamo concezione politica, non crediamo nella rivoluzione,  non abbiamo un Dio, non temiamo i fantasmi e, quanto a me, non temo neppure la morte né la cecità”.
Anton Čechov, L’isola di Sakhalin, Adelphi, pp. 464 € 22

Il mondo com'è (314)

astolfo

Narcotraffico – È la vera – più ampia, più aperta – globalizzazione. Democratica e multietnica – non più legata, come ancora nel passato recente, all’etnicità: la mafia siciliana, quella cinese, quella irlandese, quella ebraica, quella albanese, nigeriana, eccetera. “La Lettura” costruisce un atlante domenica 20  che coinvolge atutti i continenti,. Europa, Americhe, Asia, Africa, tutte le classi sociali, e tutte le nazionalità in forma apolide, da cittadini del mondo, di casa in ogni luogo del pianeta. Presso Bordeaux una banda di greci e moldavi è catturata con un carico di cocaina giunto in barca dal Sudamerica. Il Messico lavora con la Cina. Bande internazionali - multietniche - controllano i porti di approdo. I regolamenti di conti sono anche multietnici, a Roma come a Tolosa o a Barcellona. Tra africani, asiatici, est-europei, ispanici, italiani è indifferente. Tra islamici e cristiani mescolati. A Marsiglia tra mafiosi siciliani e calabresi trapiantati.

Processioni – Si è chiuso con un’assoluzione il processo a carico di Edoardo Lamberti Sorrentino a Reggio Calabria avviato due estati fa per calunnia e concorso esterno in associazione mafiosa a proposito degli “inchini” di santi e madonne  in processione ai mafiosi di paese. Lamberti Castronuovo aveva sfidato, con una lettera aperta il corrispondente reggino del “Corriere della sera”, che ne aveva scritto suggestionato da un video dei Carabinieri, a provare che alla processione nel paesino aspromontano di San Procopio c’era stato un inchino a un mafioso. Per questo articolo – Lamberti Sorentino è anche giornalista, anche lui – la Procura di Reggio Calabria lo aveva incriminato, su sollecitazione dei Carabinieri. Ora è stato assolto. Lamberti Castronuovo non è di San Procopio, è di Reggio. Dove è un personaggio della sinistra prodiana, ma rispettato da tutti. Medico, docente universitario, è il fondatore e gestore del centro di accertamenti diagnostici  che fa testo in città. Ha fatto molta politica, accanto al sindaco benemerito di Reggi Italo Falcomatà venti anni fa, e poi da candidato sindaco per il nenonato partito Democratico, ora assessore pronviciale alla Legalità. Ed è giornalista a tempo perso, da editore della tv locale, Reggiotv. Da giornalista, in realtà, aveva sfidato l’incauto corrispondente a provare l’inchino mafioso nella processione di San Procopio.
Altre assoluzioni in casi analoghi ci sarebbero state in Sicilia, coinvolta anch’essa due anni fa negli “inchini” dei santi ai mafiosi.

Usa-Russia – Si gioca curiosamente a ruoli invertiti la vecchia sfida Mosca-Washington. Rilanciata da Washington, ma poi subita, tutto l’opposto della politica aggressiva degli Stati Uniti durante la guerra fredda, contro la ben più temibile Unione Sovietica, sotto la strategia del containment, del contenimento della spinta offensiva sovietica. La questione delle intromissioni di Mosca nella campagna elettorale americana, e nei diritti di voto, attraverso imperscrutabili hacker ne è un segno lampante – una fake news, allo stato (ma la questione è aperta da due anni), da manuale.
Più significativo, e più denso di conseguenze, è l’abbandono americano della strategia di contenimento della Russia di Putin in Europa orientale, in Medio Oriente e nel Nord Africa. Dal tempo di Obama. Che in Europa orientale ha abbandonato in pratica l’Ucraina alla divisione, dopo averne fomentato il nazionalismo antirusso – una scelta incomprensibile in un paese a metà russo, nella storia e nella demografia. E nel Medio Oriente si era limitato all’accordo con l’Iran per il nucleare, ma come a lavarsene le mani. Il quadro della regione ora è questo. Una guerra contro il califfato che si combatte poco e male, in Iraq e in Siria. Una guerra in Afghanistan, in corso stancamente ormai da quindici anni, che non si può vincere e non si vorrebbe perdere. L’estraniamento con Israele. Un rapporto non chiaro con la Turchia di Erdogan: troppo islamico il presidente  turco, troppo autoritario, alleato fedele? La sovversione in Libia e in Egitto. Tutte aree di conflitto, lasciate aperte a Putin. Che vi si ritrova power broker, perfino nel conflitto Israele-Palestina e nella guerra al califfato, che tanti morti ha provocato in Occidente. Senza nessuno sforzo, nemmeno militare - se si eccettua il calderone siriano, dove un intervento stabilizzatore era solo necessario,. Risucchiato dal vuoto di potenza. Da ultimo probabilmente chiamato a colmarlo anche in Egitto, da quarant’anni pilastro solido dell’Occidente.

Volontari – Furono molti gli europei che combatterono, arruolandosi volontari, contro Napoleone negli anni dal 1803 al 1815, nell’esercito inglese. Di fatto contro gli effetti della rivoluzione, compresa la coscrizione, la leva obbligatoria, che i rivoluzionari e poi Napoleone vollero imporre. Nominalmente contro guerre giudicate di occupazione, in Spagna e nel Regno delle Due Sicilie. Arruolamenti quasi tutti però di gente del popolo, più che di ideologi o di spossessati dell’ancien régime.
L’arruolamento rivoluzionario in Europa ha tradizione consistente. La rivoluzione francese suscitò adesioni e migrazioni un po’ da tutta Europa – così come, mezzo secolo dopo, la “rivoluzione italiana”. Non ci fu per la rivoluzione bolscevica, per la guerra mondiale allora in corso e per la marginalità geografica della Russia. Ma ci fu per la Germania di Hitler, che alla capitolazione contava ancora mezzo milione di arruolati di varia nazionalità, compresi molti italiani.
L’arruolamento con l’Inghilterra contro Napoleone fu diverso per più di un motivo. I volontari furono inquadrati e addestrati come truppe ordinarie. Furono impiegati secondo piani militari e strategie classiche, non di guerriglia di volontari. E rappresentarono una parte importante dello schieramento britannico. Alla discesa in campo contro Napoleone, all’inizio del 1804, le “unità straniere” nell’esercito britannico contavano 17 mila unità, un decimo del totale – erano peraltro in prevalenza truppe coloniali, la maggior parte erano canadesi. Quattro anni dopo erano 35 mila, il 18 per cento dello schieramento. A settembre del 1813 se ne contavano 54 mila, il 20 per cento. Erano truppe molto impiegate sul terreno: nella seconda,metà del 1813 ne morirono 16 mila, in battaglia o per malattia, 11.600 disertarono, 10 mila furono dismessi, perché invalidi. Erano venuti soprattutto dal Mediterraneo: “Le leve Calabrese, Siciliana, Italiana (piemontese, n,.d,r.), Maltese e Greca erano unità straniere con distinti caratteri nazionali”, nella sintesi dello storico militare canadese René Chartrand: “Uomini e ufficiliaerano spesso patrioti  che volevano liberare le terre d’origine dalle truppe napoleoniche con l’aiuto britannico. La gestione interna delle unità era di solito assicurata nella lingua dominante di ogni corpo”. Delle circa venti unità straniere, europee, censite da Chartrand, sette erano italiane. Il Calabrian Free Corps, reputato il migliore, è quello che prende più attenzione di Chartrand. Una Leva Italiana, o Reggimenti Italiani, formati dai prigionieri di guerra che si dichiaravano ostili a Napoleone .- non molto quotati nella gerarchia britannica e tra gli storici. Una Legione Piemontese, anche questa composta di prigionieri italiani, ma tutti piemontesi, sotto il comando del conte piemontese St.Martin d’Aglié. Un Reggimento Siciliano, e un corpo Volontari Siciliani. Molti italiani, almeno 120, militarono nel reggi,mento svizzero Watteville, uno dei migliori- molto impiegato anche in Calabria, contro Murat, nel 1808-1810.
Altri corpi arruolati nell’esercito britannico erano di tedeschi, croati, svizzeri, albanesi, greci, maltesi, corsi.  

astolfo@antiit.eu 

Il giallo breve, beffardo

Una lettura quasi obbligata, dopo che il “Corriere della sera” nel suo settimanale ha demolito l’autore, decretando la sua ultima fatica “il peggior libro dell’anno”. Nel mentre che lo offre e lo promoziona in serie in edicola. Un autore peraltro molto importante, dice wikipedia: Patterson è lo scrittore più ricco al mondo, pur essendo partito da un’estrema povertà familiare. Ha scritto almeno 180 best-seller, al ritmo oggi, a settant’anni, di 12 l’anno, con vendite cumulative nel mondo per almeno 300 milioni di copie. Ora li scrive, come questo, anche in “formato ridotto”, una sua specialità (“Patterson Bookshots”), per una lettura più rapida, di un’ora invece che di due – e per mettere più fieno in cascina finché l’onda va.
Quella dello scrittore venuto dal nulla fa parte del folklore americano – il vecchio schema del’eroe-profeta-santo-guerriero. Ma la lettura di questo mini-Patterson, invogliata dall’inconsueta stroncatura, non è deludente. Il sottotitolo, “So chi ha ucciso mio figlio”, sa di cronaca rifatta – si tratta di un ragazzo stroncato da una pasticca alla disco – e ha un effetto un po’ spoiler. Ma il ritmo regge: le sorprese sono, quasi, a ogni capitolo. E il plot è in un certo senso eccezionale: è uno scherzo, raro - nel thriller, Carter Dickson eccettuato, non si scherza: qui si arriva alla beffa.
Coautore figura Max Di Lallo, probabile trascrittore del fluvial bestesellerista. O è viceversa, il giallo è di Di Lallo, e Patterson ci mette la firma? Parlando di bestseller la figura dell’autore in effetti scolora.
James Patterson, 113 minuti, Corriere della sera, pp. 160 € 4,90

giovedì 24 agosto 2017

Letture - 313

letterautore

Amore – “I poeti del Seicento scrivevano come se si potesse dare via per sempre il cuore. Questo non è vero secondo gli psicologi moderni, ma si può arrivare a provare il dolore e la disperazione a un grado tale da dover ritrarsi di fronte alla possibilità di ulteriori esperienze”, Graham Greeene, “Missione confidenziale”, 96.
Borges – “Non ci vuole molto sforzo per capire che i suoi personaggi sono per lo più pazzi”, è il tema di un vecchio saggio di William H. Gass, il joyciano americano autore di calembours e doppi sensi, per lo più sessuali, che la “New York Review of Books” ripropone. “Questa è, per molti aspetti, una conclusione confortante”, conclude.
Gass ne rifà la  biografia. A cominciare dalla fanciullezza, che lui pensò sempre di aver vissuto “in un sobborgo di Buenos Aires, una periferia di strade avventurose e visibili tramonti, mentre quello che era certa era che veniva allevato in un giardino, dietro cancelli e solide inferriate, e in una illimitata biblioteca di libri inglesi”.  

Céline – L’ultimo scrittore che amava le donne, ne dipendeva, si vede anche dalla numerosa corrispondenza con tante donne, e ne è stato vittima. Le mogli Edith e Elizabeth (la dedicataria del “Viaggio”…) ne distrussero la corrispondenza e ogni oggetto che lo ricordasse, foto, regali. La prima ne ha cancellato anche la memoria. La seconda lo ha recuperato in vecchiaia con un paio di interlocutori, ma forse per soldi, per beneficiare della fama. La terza – o quarta – moglie, Lucette, tuttora vivente, di 105 anni, ne perpetua il culto, ma la relazione fu forte soprattutto di disgrazie (fuga, prigione, isolamento) e di vecchiaia.
Il nuovo marito ebreo per il quale Elizabeth abbandonò l’innamoratissimo Céline, che tentò per un paio d’anni di riconquistarla, conterà pure qualcosa per la deriva antisemita successiva – più che i concorrenti sleali alla Società delle Nazioni, le famose massonerie (su cui peraltro è stato cattivissimo Albert Cohen ).

Cultura – “I brut digitali stanno vincendo”, decreta Severgnini in apertura di “7”. Alla pagina seguente Lilli Gruber è invece fiduciosa: “Non ho nostalgia della Terza Pagina. La cultura è ovunque”. Anche nella spazzatura, certo. Nella mafia, nel nazismo. Che cultura?

Gandhi – Arundhati Roy lo vuole un nazionalista hindù, parlandone con Luca Mastrantonio sul “Corriere della sera”. Non un uomo di pace. E un nazionalista “spaventosamente reazionario”: patrocinava il sistema delle caste – che del resto è la realtà dell’India, la più grande democrazia del mondo non si è mai proposta di debellarlo.
Per l’occasione si ricorda allora che, vivendo in Sud Africa, Gandhi si classificava bianco per viaggiare sui treni negli scompartimenti riservati ai bianchi.
In effetti è una guerriero della pace: della non violenza ha fatto l’arma decisiva per l’indipendenza dal dominio britannico.

Gobetti – Di “Ada Gobetti «la resistente»” – “Il Sole 24 Ore” – la prima biografia è di un’americana, Jomarie Alano. Ancora suppliscono gli Usa – un tempo la memoria italiana era coltivata da tedeschi, inglesi e francesi. In Italia non si studia? O allora che cosa?

1967 – “Il ’68 cominciò nel ‘67” è un bon mot  di Wallce Stevens o altro poeta di cui s’è persa la memoria. Ma non è solo un gioco di parole. Il ’67 è la Summer of Love, tra Essaouira e la California. I figli dei fiori a San Francisco, Timothy Leary e l’Lsd. I Beatles e St.Pepper,  Monterrey a sud di San Francisco: tre giorni di musica nuova, Hendrix, Janis Joplin, Ravi Shankar,  Art and Garfunkel. Abbie Hoffman e Jerry Rubin attaccano Wall Street indondandola di dollari falsi, alla testa del movimento Youth International Party, che avvia il movimento Yippie. Muore il “Che” e nasce il mito.
Si susseguono le celebrazioni dei cinquant’anni.Non senza fondamento. Una notte di febbraio del 1967 è stata vista dalla Terra l’esplosione di una stella avvenuta 174 milioni di anni prima - esisteva l’uomo, in embrione? L’8 maggio 1967 è arrivata una nuova galassia, milioni di stelle. Ma a Haight Ashbury si faceva nel 1967 un giro turistico, si chiamava Hippie Hop, e lo offriva la Gray Line, per pochi dollari.
Ma non c’è solo il ’67, si va a scalare. Il ‘68 è il ‘67, l’estate hippie, e il ‘66, la rivolta di Berkeley, o il ‘65, i provo, la minigonna e i capelloni. E poi sarà il ’69, l’autunno caldo.

1968 - La primavera del ’68 era in realtà la primavera di Praga, chiusa dopo Ferragosto dai carri armati sovietici. È il fatto che caratterizza più il ’68, più delle rivolte e manifestazioni studentesche, che si è obliterato per opportunità politica - per non “dividere la sinistra”. 
Il Sessantotto fu un movimento di libertà, corale, in buona misura anche universale.

Poesia – Ci perde o ci guadagna sul web?.“L’Espersso” ne tratta diffusamente, optando per lo svilimento. Ma sul web la poesia non è peggio, se non è meglio, di quella editata, e si suppone quindi meditata. Assicura in più una audience. Che per la poesia, nel tempo della velocità, non è da poco.


Saggezza – “Quanto incomprensibile, abissale, dolorosa e allegra è la vita” è saggezza di Clara Sánchez – su cui “Corriere della sera” e “Oggi” hanno unito le forze per mandare l’opera omnia in edicola.

letterautore@antiit.eu

Il Nuovo Modello Fiat

Arriva Marchionne e si scopre la Fiat. Non un genio della finanza, giusto uno che ne capisce, bastava poco. Che la Fiat si poteva compare Chrysler coi soldi della Chrysler. E che la Fiat aveva un tesoretto che non sapeva di avere. Vari tesoretti.  Per mettere in valore la Ferrari. La Cnh. Ora Maserat e Alfa Romeo. E perfino Magneti Marelli. Per non dire di Jeep. Tutti miracoli, in certo senso. Chrysler in mano a Mercedes stava portando al fallimento la Mercedes stessa. Jeep in mano a Renault era solo un peso morto. Ma Marchionne non ha fatto nessun miracolo, ha solo messo in pratica una conoscenza minima del mercato.
Liberati dall’avvocato Agnelli, che tutto aveva confidato a Romiti, la famiglia Agnelli-Exxor finalmente gongola, dopo il fallimento incombente, e incassa, decine di miliardi di euro di sopravvenienze. Dopo trent’anni di bilanci stentati, fatti con svednite dei gioielli, mentre il core business automomotive andava in sfacelo. Il patrimonio netto di famiglia, nella finanziaria Exor, cresce da qualche tempo a passi da canguro grazie a Marchionne, e quest’anno farà un balzo di ben il 50 per cento.
Si misura l’abisso tra il vecchio capitalismo Mediobanca, di cui Romiti era il guardiano a Torino, con le Gemina, le Rcs e altri bilancini ragionieristici, e un minimo d’intelligenza economica. Il Nuovo Modello di sviluppo, di cui l’Avvocato si dilettava, era così semplice.

Il giallo al tempo dei magnaccia

Un inedito di tanto autore non può che sorprendere. Ma più sorprende un senso di povertà o angustia, di tanta violenza per nulla. Di fronte alla criminalità di oggi globalizzata: miliardaria, anonima.
Questa è una storia di magnaccia. Uccidono anche con le mani. Non abbastanza per fare un noir oggi. La – sardonica? involontaria? – parodia di uno dei cardini del mercato lo riscatta in parte: il cattivo è da manuale di economia. Una figura schumpeteriana, un magnaccia monopolista: vuole il monopolio dei bordelli per potere poi fare i prezzi, e a questo scopo riduce l’offerta. La scarsità crea a suo modo, eliminando col vetriolo le ragazze di strada. Ma non è che i monopolisti veri battano strade serafiche.
È scorretto, è la sola novità: i cattivi sono “una negra” e “un negro”, le puttane fanno le puttane, i killer sono rifiuti, anche fisici. O allora la sorpresa è di come è cambiata non la criminalità ma la percezione della criminalità. Della criminalità criminale di una volta rispetto a quella glamour di oggi, eroicizzata.  
Un’altra sorpresa è che, in tanta mediocrità, qui c’è ancora il sesso. Che invece è scomparso dalla globalizzazione in genere, non solo da quella criminale, dove solo i soldi eccitano. Con periodiche scene di sadismo, come in ogni storia inglese – qui anche per mano femminile.
James Hadley Chase, La tratta delle bianche, Giallo Mondadori, pp. 203 € 6,50  


mercoledì 23 agosto 2017

Problemi di base logici - 352

spock

Cosa vediamo quando guardiamo?

Cosa diciamo quando parliamo?

E se taciamo?

Cosa stringiamo quando stringiamo

Che cosa argomentiamo quando argomentiamo?

È la stessa cosa se “io non perdo mai, o vinco o imparo”  lo dice Mandela oppure lo dico io?

Nel dubbio astenersi, da cosa?

Annullarsi nel dubbio può essere un piacere, e che altro?

spock@antiit.eu

Ritorno al nonsense

Si ripubblica, con un saggio di Paolo Mauri, la fraccolta delle rime di Scialoja. Di un artista – pittore prima che poeta, anzi poeta a tempo perso, per divertimento e per i nipoti – che non si voleva prendere sul serio, e di questo faceva divisa, Artista del gioco, anche nella grafica e nella pittura, esplora sulla carta tutte le possibilità del linguaggio, Una sorta di esemplificazione – possibile – dei giochi di parole cui pensava Wittgenstein come il proprio del linguaggio.
Si chiamano filastrocche, per lo più, di rime e cadenze dal ritmo facile. E sempre di sorprese: una sorta di limerick italiano si può dire che Scialoja ha inventato, anche se fuori dalla metrica dell’originale. Il titolo è suo, e vuole dire proprio questo: riacquistare i sensi delle parole avendo smarrito quello proprio – classificato, definito .
L’edizione originale è del 1989. Mette assieme i sei libri di rimette pubblicati da Scialoja a partire dal 1971, quando aveva quasi sessant’anni, fino al 1985. Con testi scritti dal 1961 al 1980. Nelle edizioni originali le poesiole si accompagnanvano alle ilustrazioni dell’autore.
Toti Scialoja, Versi del senso perso, Einaudi, pp. XX-290 € 13

martedì 22 agosto 2017

Ombre - 379

Dopo Roma e Torino, Berlusconi fa di tutto perché il suo schieramento non vinca le elezioni in Sicilia, dove viene dato vincente, ampiamente. Dopo di me il diluvio, a ottant’anni e passa? Una furbizia napoletana, cioè suicida? Ma Berlusconi è ben milanese.

I terroristi dell’Is a Sidney non hanno potuto caricare la valigia con la bomba sull’aereo perché pesava troppo.   Avevano gà passato i controlli? A volte il terrorismo è facile.

Questa dei terroristi arabo-australiani è una storia che non si capisce bene. Avviene sempre in area britannica, che tutto confluisce in una spy-story, in genere mediocre. Di tutti furbi, però, eccetto i lettori.

Due pagine del “Corriere della sera” e quattro pareri autorevoli di esperti su come combattere il terrorismo islamico dei camion-killer. Ostruire i viali con alberi di quercia su grandi vasi (Stefano Boeri). Con fossati d’acqua (Benedetta Tagliabue, “vedova del catalano Miralles”). Con aiuole e orti rialzati (Pistoletto), Con l’ironia: colori, corni e grandi croci (Mimmo Paladino). Ma non per ridere, il giornale ci apre, il secondo o terzo giorno dopo la strage di Barcellona..

“L’Espresso” propone ai lettori di sintonizzarsi, in base a una serie di quesiti, sulla sinistra che vorrebbero, la sinistra politica. Offrendo queste cinque opzioni: sinistra felpata, sinistra sconnessa, sinistra bastonata, sinistra immaginaria, sinistra selvaggia. Divertente, per chi? Il settimanale della “prima tessera del Pd” ci specula, tiene sotto la sinistra per sterilizzarla – dividerla, deprimerla, ossificarla.

“L’Espresso” su fa spiegare la politica italiana in Libia da un esperto francese, cioè del paese che più e peggio ha fatto in Libia, e contro l’Italia in Libia – una guerra, a meno di un ultimatum. Un esperto peraltro di nessun  nome, Filju, definito “ex alto diplomatico francese”. Nient’altro, solo il titolo. C’è un partito francese ancora in Italia? Pagato?

“la Repubblica” celebra, mezza pagina, l’autista di Occhetto alla morte. L’autista di Occhetto. Goffredo De Marchis lo celebra commosso. Un giornale del tempo che fu?
    
Bizzarro riesame sul “Corriere della sera” di Fubini su quanto le aziende “perdevano” e ora da qualche tempo non perdono più per i tweet fulminanti di Trump. Le aziende non perdono niente, semmai perdono “i mercati”, detti un tempo parco buoi - chi gioca in Borsa al traino delle voci. I “mercati”, invece, dice Fubini, “a volte sbagliano ma non mentono”. Non mentivano anche quando seguivano Trump, magari per paura?

Che dire della Corte Costituzionale tedesca che denuncia la Banca centrale europea alla Corte Europea perché la Germania non ha guadagnato abbastanza dalla crisi? Nulla, non se ne dice nulla. Ma non bisogna sottovalutare la Germania, c’è sempre del metodo nella sua follia.

La denuncia della Corte suprema tedesca si segnala per il silenzio con cui è stata accolta. A  Bruxelles e nella neo napoleonica Parigi. Nemmeno a Roma, ovviamente. Ma pensare si può. Che sarà dura, con questa Germania, a meno di un cataclisma.
Augurarsi un cataclisma? Segno buono non è.

Il dualismo Nord-Sud parte dai Normanni

È la raccolta di studi che sancisce l’origine del dualismo economico tra Nord e Sud Italia nella monarchia normanno-sveva e poi dei d’Angiò – “Regno di Sicilia e Italia centro-settentrionale dagli Altavilla agli Angiò (1100-1350)” è il sottotitolo. È anche il modo come il Centro Europeo di Studi Normanni ha celebrato nel 2011 il centocinquantenario dell’unità – Galasso pubblica gli atti dell’apposito convegno a Ariano Irpino.
David Abulafia, cui si deve la prima ipotesi in tal senso, la riespone con le solite cautele di studioso di archivi, ancorato alle carte. Sulla premessa che è stato a lungo difficile rivedere documentalmente la conquista normanna - “latinizzazione” - del Sud, poiché a loro favore vigeva un pregiuzidio razzista. specie in Inghilterra, per “l’idea di una comune impresa normanna” nelle isole britanniche e al Sud, in “dibattiti imbevuti non poco di idee razziali” – molti “insistevano pesantemente sulle origini scandinave dei normanni”, insomma pantedesche.
Le carte emerse sono poche, spiega Abulafia, di porti e agenti del Nord Italia, e anche transaalpini, corrispondenti del Sud, le carte del Sud essendo intonse o mancanti. Ma il poco emerso va tutto in quell senso. Le prime testimonianze finora emerse del primo periodo, di viaggiatori arabi, descrivono un Sud anche manifatturiero, oltre che fornitore di grano e cotone. Le prime doocumentazioni cartolari che vanno emergenedo, nota Abulafia, confermano questo assetto  - Feniello, “L’Italia mussulmana”, dice la Sicilia, come la Tunisia, le “Manchester e Lancaster” dell’undicesimo secolo nel Mediterraneo.
Poi su questo fronte è silenzio. Il regno meridionale si stacca dall’evoluzione prima comunale e poi signorile delle città e i ccrasali del resto d’Italia. Chiudendosi e frantumandosi nell’ordinamento feudale. E sempre più specializzandosi nelle produzioni agricole. Che consentivano, nota Abulafa, alle città del Centro-Nord di sopravvivere mentre si dedicavano alle manifatture e al commercio, piuttosto che alla produzione di granaglie. Lo stesso modello, si può aggiunmgere, si è riprodotto nei primi decennia della Repubblica, che il Nord ha prosperato col mercato del lavoro a buon mercato offerto dal Sud.
Una serie di saggi (Azzara, Cuozzo, Houben, Tocco, Orlando, Bresc, sintetizzano fuori  dall’agiografia i perodi e i luoghi, I Normanni, gli Svevi, gli Angiò, Venezia e il Regno, e la Sicilia.tardomedievale. Nicola De Blasi analizza il dualismo anche nella lingua letteraria del Duecento – ma è più un pluralismo, o una frammentazione - allo sciogliete le righe dalla lingua madre latina (e al Sud greca).i
Giuseppe Galasso (a cura di), Alle origini del dualismo italiano, Rubbettino, pp. 311 € 15

lunedì 21 agosto 2017

Non possiamo dirci islamici

Perché non prendere atto che l’islam è una religione militante? Oggi, non nel Quattro o Cinquecento, quando militava l’Inquisizione cristiana. Che gli attentatori di Parigi, Barcellone etc., non sono islamici fanatizzati, da digiuni e preghiere, ma ragazzi di periferia, che vogliono solo dire “Waffa Europa”, e lo fanno con l’islam. Che ogni loro atto suscita entusiasmo, per quanto camuffato,  orgoglio, e non pietà, tanto meno vergogna, in tutto il mondo islamico, anche europeo. Che l’islam è religione di stato, dalla Turchia alla Malesia e all’Indonesia, oltre che nei paesi arabi e in mezza Africa. Che l’islam subsahariano e asiatico, nello stesso Pakistan e in Malesia, è stato comprato, in modi perfino grossolani, dai campi da polo ai marmi e le cristallerie delle moschjee, oltre che con un numero incalcolabile, diecimila? ventimila?, madrasse, scuole di Corano in arabo, in chiave nazionalista, revanscista, antioccidentale?
C’è la libertà di culto, di cui l’Europa non vuole privarsi. Ma non a costo di cancellarsi. Il controllo dei centri di spesa islamici, compresi i mullah, spesso rozzi uomini di mano, è necessario. Le famiglie devono essere tenute corresponsabili delle azioni dei figli, che mai denunciano: di nessuno dei ventenni terroristi è stato mai denunciato l’allontanamento, la deviazione. La correità familiare sa di Sippenhaft, l’istituto penale teutonico di cui l’ultima applicazione fu nazista, contro i congiurati del 1944, ma bisogna rompere in qualche modo l’omertà totale e tranquilla. Si pratica, con larghezza, contro le famiglie estese dei amfios, anche presu
La dissimulazione è una virtù nell’islam combattente, cioè nell’islam, e bisogna difendersene. Bisogna che gli immigrati sappiano che non si può andare a vivere in un paese per distruggerlo. Le comunità islamiche, e gli islamici in Italia, specie i clandestini e i criminali, sono prontissimi ad avvalersi delle leggi italiane, ma non hanno mai dato un contributo alla legge e alla giustizia. Sono comunità religiose? No, sono politiche.  

La convivenza è necessaria e noi ce ne facciamo un merito. Ma l’islam non la contempla. E noi del resto non vogliamo nulla dell’islam. Né il diritto di famiglia. Né quello fiscale (la decima – zaqat – ai religiosi). Né gli usi, eccetto forse i dolci e le spezie. Un mondo che non ha diritti civili e di libertà. Checché ne pensino le donne islamiche.

L’Inghilterra delle spie

C’è  l’Inghilterra che avevamo dimenticato: un’isola, aggredita da “sporchi continentali”,  “clandestini” – “vi infilate in casa nostra come vermi”. Non è il solo anticipo, o insight  d’autore . L’eroe – come di consueto in G. Greene - è il progenitore di Smiley e di tutte le spie coi calzini bucati della guerra fredda made in England. Il protagonista D. - non ha nemmeno nome - così si spiega: “Uno degli effetti del pericolo, dopo un certo tempo, è di uccidere le emozioni. … Nessuno di noi può più odiare….e neppure amare”. Mentre la compagna adibita al suo controllo, agente a Londra, in missione speciale, di una Potenza orientale dove non c’è da mangiare e nemmeno da scaldarsi e si fanno le file, ha “un viso raggrinzito” – il mal di fegato era diffuso tra i compagni, ora si può dire. C’è già la scuola di lingue, poi un classico dello spionaggio. E a un certo punto la Storia, in entrambi i sensi, del romanzo e dell’avvenire, sta “nelle calze di una bambina sfruttata”, la sguattera dell’albergo a ore.
C’è anche la “tecnica”. L’amante viene buttata tra le braccia della spia – per spiarlo – “solo nei melodrammi”, roba per ricchi snob, D. non se la permette. E c'è l'ebreo di maniera, quale ricorreva anteguerra - il romanzo è del 1939, Greene non lo ha modificato. 
Uno sberleffo alla spy-story, genere inglese - e all’Inghilterra quale è? Un “divertimento” - Greene classificava le sue narrazioni in romanzi e divertimenti – nato come “parodia del romanzo di spionaggio”. Che compiutamente staglia però la sua tipica figura di umile disadattato, indifeso, tanto più per questo vicino a Dio e alla grazia – benché professamente laico in questo caso.
Graham Greene, Missione confidenziale

domenica 20 agosto 2017

Secondi pensieri - 316

zeulig

Beatificazione – “L’orgoglio è la concupiscenza più orribile, meritare la beatificazione è non meritarla”. Il filosofo Vincent Carraud ha stroncato sul nascere, su “LeMonde”, la proposta di Scalfari di santificare Pascal: “Non si è niente meritato da Dio che la propria disgrazia”.
È un punto di vista di molti cattolici. Per esempio di Graham Greene, che ne ha fatto la materia dei suoi romanzi – si salvano i reietti. Un romanziere che si definiva “un protestante che trova più utile fare il protestante nel seno della chiesa cattolica”. È una posizione in effetti protestante, o da teologia negativa.
La questione in specie è forse poco seria. È Scalfari, un non credente, che propone la beatificazione di Pascal. Al papa Francesco, che dice di sapere poco di Pascal, ma promette che sosterrà l’iniziativa. Stroncata da Carraud che è invece un buon credente. Ma allora a spese della pratica ecclesiastica: è santo chi vuole, si è sempre saputo – bisogna volerlo, e non per sé, non tenendolo nascosto.
Non c’è del resto più orgoglioso di Scalfari, la sua proposta non è leggerezza senile. Anche nella fattispecie: è uno che vanta come assistente spirituale il papa

Devozione – È una proiezione. E un dialogo con se stessi, per interposta immagine o santità, immagine di santità - di perfezione. Ognuno si sceglie il santo e la vergine nella cui storia o semplice immagine, quella di un luogo e di un artista piuttosto che un’altra, e vi proietta aspettative e sconforti. È il “meccanismo” della religione, all’origine del senso del divino, un transfer. Che però riconforta. Si rinnova, auto propulsivo. È già una consolazione: il devoto è (tornato) alla speranza.

Eroismo –Sboccia, per talea, dall’umiltà? È la versione della teologia negativa, che solo umiliando se stessi di fronte a Dio si diventa eroi – perché solo l’uomo imperfetto, più vicino al male,è quello che più ha bisogno di Dio, e forse lo trova. Ma il contrasto è solo apparente con la tradizione dell’eroe, la cui apologetica lo vuole sempre di nobili origini, seppure a volte nascoste, e sentimenti. E di volontà inestinguibile, nelle peggiori avversità, fino all’insensibilità. Il comune denominatore è l’eccezionalità. Che viene naturalmente ex post: dell’eroe dopo la creazione, del santo dopo la beatificazione.
L’eroe non esiste, si crea. L’eroismo è l0esito di una volizione, costante, insistente. Se umile, allora per la  causa, come un additivo.

Magnetismo – Quello animale esiste, avendolo sperimentato di persona. In più occasioni, e non per obnubilazione. Di tale che sorprendendovi vi fa credere di essere quello che voi pensiate che sia – figlio di, amico di, vicino di casa…. – normalmente per chiedervi soldi in cambio di qualcosa. Un’attrazione di pochi minuti, però effettiva, efficace. O di tale specialista del piede che in realtà è un praticone, il cui soggiogamento è invece più duraturo. Forse perché ha studio con accertata celebrità medica della stessa specialità. Che soggioga con la loquela sicura. Di una diagnosi forse uguale per tutti, ma specialmente dedicata. E di prescrizioni complesse che tanto più appaiono intelligenti e risolutive. A partire dalle scarpe ortopediche da comprare nel negozio d’angolo, gestito da un suo connazionale o parente, suo comunque famiglio, che allarga la suggestione fino a  rifilare scarpe un numero inferiore al vostro, non  avendo disponibilità di quello giusto – scarpacce da manovale edile a caro prezzo. Una fiducia inalterata anche se vi ha congedato con ricevuta fiscale inutilizzabile ai fini fiscali e assicurativi, poiché non è intestata a un dottore,  specialista del settore.
La dipendenza medica è diffusa, e duratura.

Morte - “Ogni arte si fonda su un certo grado di felicità”, statuisce Stendhal, principio oscuro malgrado l’apparente chiarezza, da cui però trae la più grande verità, “allo stesso modo come da un antro oscuro esce un gran fiume”. Ma filosofava più oltre: “E se non può esserci spazio, se non può esserci cioè vuoto, se l’unica sostanza reale tutto occupa, è un inganno dei sensi il non essere; anche la morte è un inganno, come il muoversi, come il mutare”. Lui però non lo credeva, e in effetti non si può.

Il giorno che la Du Barry fu mandata al patibolo, e ci andò urlando e dimenandosi, vecchia di cinquant’anni e molti amanti, la plebe ne ebbe soggezione, e Robespierre sospese la ghigliottina. La quieta accetta-zione della morte da parte dei veri gentiluomini aveva fatto della rivoluzione una religione.

Le foto del delitto Casati il 30 agosto 1970 prolungarono l’estate lubriche. E non per le pose scomposte, né per necrofilia, ai più ignota, ma per il desiderio che incarnavano fisico, una voglia d’essere cui la morte aggiunge e non toglie. Un trionfo del corpo, in ogni suo dettaglio, elargito ora ai più e inconsutile, quando per i moralisti è putridume.
La bellezza di Dostoevskij che “salverà la terra”, la bellezza dei corpi. Anche morta, si vede. E se il corpo è lo spirito, come vuole san Paolo, la cosa è intrigante: la carne sarà debole se lo spirito è debole, ma se è forte, allora c’è dietro uno spirito forte.

Sensi – Si riscoprono nelle loro specifiche qualità, in realtà per delimitazione e non per estensione. L’olfatto, dopo l’udito e il tatto, e dopo il lungo dominio della vista – la gola no, è relegata a all’estetismo deteriore della televisione-pubblicità, tra digestione e show-off. Si riscoprono i sensi in via analitica e quasi divisoria, l’uno escludendo l’altro. Come nel Cinquecento si celebravano i “blasoni”, la bellezza di un arto del corpo. Una sorta di riscoperta all’incontrario, eliminando il già noto. La nuova conoscenza è come un andare a tentoni, quale si immagina all’origine della riflessione – ci sento, sento urla, parole, suoni, scoppi.

Stocastica – È l’ultima. unica, scienza umana: la verità dell’incertezza – di cui però la conoscenza dovrebbe accontentarsi:  della possibilità, l’approssimazione. “L’homo sapiens è stato solo una possibilità”, tra tante, si intende dire. Che è a sua volta solo una possibilità. Di cui però ci si accontenta. Di una possibilità al quadrato, cioè. Meglio del fatto che l’homo sapiens c’è, c’è stato, e le altre possìbilità no.
La  realtà è il possibile o l’evento? L’uno e l’altro, si dir ebbe, ma l’incerto piace di più. Sembra più robusto, più gonfio., E fa “più conoscenza”. 


Tutto – È nel vuoto, nell’assenza? Che cosa vuole dire non dire nulla? Tutto? L’umanità è relazionale, e avventuriera: si chiede e si risponde, e non arriva mai a dirsi soddisfatta. La filosofia è un domandarsi. La scienza pure. L’artigianato probabilmente pure, dalla zappa al relais, e ogni attività ripetitiva.

zeulig@antiit.eu

Il gesuita impolitico al tempo della Lega

Il cardinale di Milano e il vescovo calabrese discutono venticinque anni fa con Nunnari, giornalista calabrese, del ritardo del Sud. Martini ne trova le ragioni, non avendo una conoscenza diretta del Sud,  nella chiave socioeconomica allora dominante, dello sviluppo “dipendente” e non autonomo. Senza tenere conto delle specificità locali: i modelli imposti “non hanno tenuto conto della storia, dell’identità culturale, dei valori propri della gente del Sud, ma sono stati imposti dal di fuori, second logiche ed esigenze decise altrove”.
Venticinque anni fa Milano era sotto il segno della Lega, che ne ammorberà la storia successiva. Il libro-intervista dice più di Martini, benché non detto, che del Sud e della questione meridionale da “riconciliare”.
Il libro, che la collana delle opere avviata dal “Corriere della sera” ha espunto, dice in realtà il pensiero del cardinale di Milano contro la Lega. Ma sommesso. Il prelato della accoglienza non fu altrettanto loquace al tempo del leghismo trionfante - per Realmonte?  Un no indiretto, sussurrato, mentre Martini era solitamente netto, ma in materia biblica e agiografica, non politica.
Il cardinale era un gesuita che non amava la politica, e ha governato Milano nella svolta particolaristica e quasi razzista da alieno: biblista biblico, millenaristico, esoterico,
Giuseppe Agostino-Carlo Maria Martini (a cura di DomenicoNunnari), Nord Sud. L’Italia da riconciliare
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