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sabato 20 agosto 2022

Secondi pensieri - 491

zeulig

Aforisma - È il genere più in uso nei social, la saggezza spicciola, condita dall’inatteso. Ha sostituito i proverbi, che si volevano saggezza classica, sperimentata. Ora al contrario con un che di sorprendente, umoristico, leggero. Come se alla saggezza si sostituisse la conoscenza, la scoperta, meglio se casuale - di più effetto

La rilettura di Nietzsche partendo dai social è devastante: curiosa, come di un compagno di merende. Imbattibile, forse.

Colpa – Tutto è colpa da un po’ di tempo, anche senza peccato. Fra Trieste e Vienna fino a un certo punto, diciamo la “Mitteleuropa”, per l’inenarrabile senso di colpa freudiano, le censure del Super-io (“Il Super-Io si esprime essenzialmente come senso di colpa e manifesta una straordinaria durezza e severità nei confronti del’Io” - tipo non passare l’esame, o perdere una gara?). Poi in Germania naturalmente, e dalla Germania, non identificata, la colpa ha fatto valanga: nascere è colpa, vivere è colpa, fare è colpa, e non fare. Che però un antropologo, uno che abbia contezza delle più remote o isolate tribù umane, avrebbe difficoltà a convalidare. È l’esercizio in effetti di un mondo anche abbastanza largo, pressappoco il cosiddetto Occidente, ma tra l’Europa, quella di qua dal Dnepr e dal Donec, e gli Stati Uniti. Senza cioè l’Occidente-Nato, inteso come missione militare e di civiltà, nel mondo asiatico “americanizato” con l’occupazione militare nel secondo Novecento, Giappone e Corea del Sud. E senza l’ex Commonwealth britannico, Australia e Nuova Zelanda (la Nuova Zelanda che ha pure una tradizione autoctona di colpa, per carenze di pettorali i Maori e i giovani senza nessuna ragione).

È una colpa strana, senza responsabilità. Che si assimila di fatto a una condanna. Senza necessità di colpa – la colpa è sempre personale.

Perché il ceppo teutonico (anglosassone) da cui il concetto origina (o il ceppo è ebraico?) vuole una colpa senza colpa? Psicologicamente e politicamente è un asservimento – la via più solida per l’asservimento.

Destra-Sinistra – Una dialettica politica ormai senza significato (contenuti), se non l’autoidentificazione, con anatema dell’avversario. È di sinistra il giustizialismo, che era il pilastro della destra. O il ristorante a 5 stelle, a 100 o  200 euro. È di destra il lavoro, il salario, la protezione del potere d’acquisto.

La “scrittrice poetessa, naturalista e ricercatrice in Storia e Filosofia della Scienza a Cambridge”, dove non si ricerca quasi niente, Helen Macdonald, che può assicurare su un pilastro della sinistra, “la Repubblica-Robinson”: “Il mondo è un luogo sempre più oscuro a causa dell’emergenza climatica, della diminuzione di biodiversità e dell’ascesa delle destre”, dice in realtà una sinistra non “critica”, come la sinistra si vorrebbe e dovrebbe, solo un flatus vocis - la sinistra critica si chiederebbe perché c’è una “ascesa delle destre", se c’è.

L’eguaglianza, che era il pilastro della sinistra (Bobbio), ora è – residualmente – di destra. La sinistra si è spostata sul “merito” e sul liberismo – il darwinismo sociale più grezzo, vinca il più forte. I tradizionali fattori identificativi sono saltati. Sotto l’etichetta di populismo, molti valori della sinistra storica – illuminista, socialista, marxista - sono ora di destra. Per primo il diritto al lavoro, pure costituzionale – e alla pensione. Alla giusta retribuzione sul lavoro. Mentre la sinistra protegge e promuove la peggiore esperienza storica del liberismo, come affarismo. Dalla banca  all’alta finanza, alle retribuzioni, al posto di lavoro, all’orario. Con il sindacato, tradizionale zoccolo di sinistra, autolimitato a questioni marginali.

La deriva di sinistra sui “diritti”, dal politicamente corretto al no gender e alla cancel culture, o in America la critical frace theory, è per esempio monopolistica e intrinsecamente totalitaria. Questi “diritti” non ammettono “deviazioni”: nascono come correzioni di errori e soprusi, ma si vogliono assoluti e impositivi. Benché, più che innovativi, fortemente divisivi – come è proprio dei totalitarismi in petto. E una fuga un avanti, non innocente, mentre sono cancellati i diritti reali, al lavoro, alla mercede, alla salute – la precarizzazione, perfino teorizzata a sinistra, oltre che praticata, è la perdita del “diritto di avere diritti”, è il diritto dell’uomo paria, uno schwa, un niente.

I diritti non sono selvaggi, nascono da storture che vanno corrette. Ma cancellare la storia è un’assurdità. O cancellare la poesia, Omero, Dante, Shakespeare. O incoraggiare, come fa in America una coorte di chirurghi e psicologi, gli adolescenti a cambiare sesso, un non piccolo business, perché così la loro personalità si arricchisce – a spese degli stessi adolescenti. Qui siamo al crimine: il no gender è un business, che viene vantato come diritto di libertà, dalla sinistra politica. Così come lo è stato per cinquant’anni la libertà di aborto, a qualsiasi stadio della gestazione, per una sentenza che lo statuiva in un singolo specifico caso.  

C’è sempre stato il rischio che per libertà s’intenda la licenza. Ma il libertinismo era piuttosto selettivo e nient’affatto democratico, come i “diritti” si propongono.  

Resta di destra, nel senso tradizionale del nazionalismo, la questione immigrati. E sul piano normativo, quella femminile, con le quote rosa, la parità retributiva, il gender gap, l’aborto, la famiglia. Ma la differenza è più di accento (insistenza, radicalità) che di sostanza: non c’è destra-sinistra su questi temi, non in Italia, non in Europa – c’è negli Stati Uniti, che però sono un’altra storia e un’altra cultura. 

Natura – Sottostà all’ambientalismo come bestia in gabbia – “proteggere la natura”, si dice, come di qualcosa di gracile o di unico che si vuole preservare, con la buona volontà. Mentre è la natura che conduce il gioco, o le danze, determinando le condizioni della sopravvivenza, o del miglioramento, quelle di base e quelle di adattamento. La natura comunque sa salvaguardasi in ogni situazione, e più spesso provoca le situazioni inattese di fronte alle quali l’essere umano si ritrova indifeso.

L’obiettivo dell’ambientalismo è la protezione-prosecuzione dell’esperienza umana nel quadro naturale. Un modo di rapportarsi alla natura che non sia suicida.

Ombra . Il guardiano di cui non ci si libera, un carceriere che ci vincola anche senza catene né manette, come sperimenta Nietzsche-Zarathustra  nell’episodio omonimo, “L’Ombra”?

Non si può sfuggire alla propria ombra, saggezza ora in uso per Heidegger e altri “errori”, o come usava dire al proprio destino, e anzitutto una cosa è per sé stante: parola che significa frescura, refrigerio, che chi vive nei climi caldi trova il beneficio in natura più incomparabile.

La virtù, pure semplice, dell’ombra dev’essere difficile, non solo in pittura: il sole è a premio, anche nei paesi caldi. L’Italia per esempio non sa farne uso, relegandola al più al Sud, a una mania meridionale. Oppure è concetto difficile, almeno a giudicare dall’esperienza personale, nella sua funzione, i suoi benefici. Avendo trascorso due terzi della vita in Toscana, a Roma e a Milano, si può testimoniare la difficltà, costante negli anni, insormontabile, di far valere il semplice concetto che, nella stagione calda, è meglio evitare il sole diretto. Far valere la virtù di tenere le imposte chiuse, invece che spalancate – anche a Roma e Firenze, che pure hanno adottato le “persiane”. Considerata tutt’al più come fissazione o pratica “da meridionali”. Difficile, anche da quando, da qualche anno, i governi raccomandano alla popolazione di evitare di esporsi nelle ore meridiane, le senza ombra.

Bizzarra è anche l’inesistenza dell’ombra nell’architettura contemporanea. Applicata anzi a eliminarla, abbattendo alberature spesso studiate appositamente, di specie e in posizioni da assicurare un’ombra contro la calura, per fare posto alla pietra – né ne ha concezione l’architettura dei boschi verticali, che solo s’ingegna di costruire artificiosi fogliami senza terra.

L’ombra Nietzsche-Zarathustra pensa di seminarla, correndo su peri i monti della “citta delle vacche pezzate” (Sils-Maria), ma niente, l’ombra gli resta appiccicata. E sì, gli sembra anche che abbia “gambe più lunghe” delle sue. Che poi gli parla, da essere inquieto, “più dell’ebreo errante”. Nietzsche la consola come se fosse un “delinquente catturato”: “Hai mai visto come dormono i delinquenti catturati? Dormono tranquilli, godono la loro nuova sicurezza”. Non un tranquillo paradigma, che l’ombra sia inquiete, o riposata, come il corpo o l’oggetto che segue.

zeulig@antiit.eu

Cronache dell’altro mondo – razziste (211)

Trump accusa la giudice Laetitia di razzismo. La giudice è afroamericana.

La cancel culture è specialmente indirizzata a riformulare la storia americana dal punto di vista razziale.

La Critical race theory, la teoria critica della razza, in uso in molte università, adotta la terminologia marxista per adattarla alla razza invece che alle condizioni della produzione: la razza come fondamento della storia. E propone di considerare l’inizio della storia americana non più lo sbarco dei “Padri Pellegrini”, i puritani britannici, ma il primo sbarco di schiavi dall’Africa – alcune celebrazioni sono state tenute di questo evento, come fondativo della nazione.

La parola “negro” è fortemente bandita dal lessico, anche nei classici. Anche “nero” non suona bene. Ma la distinzione non è mai stata così netta, cioè così legittimata, fra “afroamericani” e americani, da una parte e dell’altra. Non per le funzioni, o il, ceto sociale, per il colore della pelle.

Alla vita come in montagna

Simbolicamente, “la Montagna è il legame fra la Terra e il Cielo”. Daumal vi inscrive (immagina)  avventure alpine per analogia, “il modo dei poeti”, dove niente è vero ma tutto è veridico. Con l’alpinismo vero e proprio, di cui era praticante: questa edizione è arricchita di brevi materiali dei quali il più importante è l’abbozzo di un “Trattato di alpinismo analogico”, la pratica alpinistica vista coma pratica di vita, di tutti e di ognuno (gli altri materiali inediti sono un abbozzo di introduzione, e annotazioni per servire a due dei capitoli già scritti). L’opera è incompiuta, ma il senso è chiaro: l’alpinismo come arte della vita, per analogia.

Dell’analogia o dell’immaginazione – “Romanzo di avventure alpine non euclidee e simbolicamente autentiche”, come recita il sottotitolo? O del monte Analogo come il monte della Vita: la vita vista come un monte da scalare. Il divino non sta in montagna, chiede Daumal? Sinai, Nebo, gli Olivi, il Golgota, fino all’Olimpo. 

Un trattatello più arzigogolato (noioso) che spiritoso, ma attraente. La similitudine (analogia) tra montagna e vita è scontata, ma non c’è narrativa che sappia così bene, puntuale e sintetico, utilizzare il linguaggio pratico dell’alpinismo. Daumal è stato autore di molte esperienze. Orientalista (indianista), dopo essere stato surrealista, seguace di Gurdjieff, studioso del sanscrito già da ragazzo, esperienza condivisa a l’università con Simone Weil, infine, dopo la guerra, “patafisico”, esponente di primo piano e più prolifico del Collège de Pataphysique. Apprezzabile soprattutto per gli apprezzamenti che suscita, e le riedizioni, testimone di una ricchezza culturale forse in esaurimento: non c’è già più altra letteratura che sappia ancora apprezzare tanta fantasia.  

René Daumal, Il Monte Analogo, Adelphi, pp. 143 € 20

venerdì 19 agosto 2022

Wall Street, Russia, Taiwan, la Cina si allontana

Non vanno più bene i rapporti Stati Uniti-Cina, dopo il covid, e con la guerra in corso della Russia all’Ucraina. L’asse finanziario e produttivo, e per molti aspetti diplomatico, (Iran, Corea del Nord), che ha legato i due paesi per trent’anni, dopo Tienamen e fino ancora di recente, negli anni turbolenti di Trump, sembra anzi dissolto con la presidenza Biden – al vertice in Cina è sempre Xi, presidente quasi-a-vita.

Dopo l’abbandono della Borsa a Wall Street da parte di molti gruppi cinesi, ora sono gli organismi statali, come la banca centrale, che smobilitano le posizioni in dollari e in titoli Usa. Mentre, non richiesto, e senza altro scopo che di irritare gli Stati Uniti, il regime cinese sostiene la Russia nella guerra all’Ucraina, economicamente, con gli acquisti di petrolio, e perfino di gas,  diplomaticamente e anche militarmente.

In questo contesto, l’esibizione militare (navale, aeronautica) attorno e sopra Taiwan, non è più percepita solo come una manifestazione di rappresaglia contro al visita della Speaker dei Rappresentanti, Nancy Pelosi. Si teme che Pechino stia provando una sorta di embargo, o di quarantena, attorno all’isola.

Il ridicolo del Superuomo

“Ciò che è femmineo, ciò che discende da servi, e in particolare tutto l’intruglio plebeo… oh, schifo! Schifo! Schifo!”. Da “elevato” a “elevati”, a “uomini superiori” - uomini, non donne. È il verbo di Zarathustra, che a tratti si ricorda anche dell’“eterno ritorno”, checché esso sia, ma poco, il più delle quattrocento fitte pagine è per il Superuomo.

Zarathustra è “un risvegliato”, Budda, che a trentasette anni, qualcuno più dell’età canonica, rifà il Gesù dei Vangeli. Con la novella: “Io vi insegno il superuomo!”, col punto esclamativo. Ecco, Zarathustra non è quello, è un altro, il novello Superuomo (Colli e Montinari lo traducono in questa edizione col minuscolo, ma in tedesco naturalmente è maiuscolo), “Zarathustra è il senza Dio”, l’uomo nuovo, l’Elevato.

“Un libro per tutti e per nessuno”: Nietzsche voleva con “Zarathustra” il suo Hauptwerk, il suo testo memorabile, e in effetti: non si capisce molto, se non lasciar cadere le braccia. Beati gli insonni, perché presto si appisoleranno. “Il creatore non voleva guardare se stesso, e allora creò il mondo”, così parlò Zarathustra. Dalle “verità” infinite, interminabili. Sofferenza, incapacità, stanchezza hanno creato “tutti gli dei e i mondi dietro il mondo”. Con l’elogio dell’aristocrazia, al § “Del leggere e scrivere” – proprio della nobiltà di censo e di corte: “Che a tutti sia lecito leggere, finisce per corrompere non solo lo spirito ma anche il pensare”. Per arrivare al nobile Grillo dei 5 Stelle: “Voi guardate verso l’alto, quando cercate elevazione. E io guardo in basso, perché sono elevato”. Ma c’è così tanto “spirito” in questa elevazione, non sarà troppo? E tutto questo è il Superuomo. Perbacco!

Non si può scherzare con Nietzsche, che finirà pazzo. Ma prenderlo sul serio, novello Zarathustra? “Nell’amore è sempre un po’ di demenza. Ma anche nella demenza è sempre un po’ di ragione”. Nietzsche, si dice, è uno scrittore, epigrammatico. Veramente è fatto valere come pensatore, rivoluzionario. Ma anche come scrittore, “vaste programme”. Qualche volta, certo, ci azzecca, ha scritto molti volume di battute a effetto. Non è un filosofo, usa ora dire. Da ultimo da Sossio Giametta, suo alter ego, nonché traduttore in italiano, dove è stato incoronato con l’opera omnia in edizione critica, in Italia e non in Germania, col suo ausilio. Ma non c’è filosofia che ne faccia a meno. Soprattutto di Zarathustra. Che uno allora prova a rivedere, dove ha sbagliato alla prima lettura, e gli cascano le braccia: è peggio. Un ammasso di tutto e di niente, un’esibizione di sapienza, del tipo nemmeno evangelico ma indiano (d’America, pellerossa), “così parlò Zarathustra” come “augh! ho detto”.

Certo, resta il mistero della “città detta «Vacca pezzata»”, su cui molto esegesi si è fatta e si fa, mentre non è che Sils-Maria, allora semplice, e povero, alpeggio di greggi in Engadina. Il luogo scelto per scrivere “Zarathustra”, il rifugio prediletto prima di Torino, che lo porterà al deliquio e al delirio. Ma non succede a tutti, non solo a Zarathustra-Nietzsche, “di saltare gli scalini” salendo le scale, solo che non per questo uno “si elegge”.

Un caso di solo contro tutti? Mai disperato però, sempre all’attacco, semmai troppo pieno di sé. Con altri argomenti, è come leggere don Chisciotte, quella specie di Brancaleone concettoso che s’inventava i nemici per inciamparvi dentro. L’impressione è ineliminabile, da subito. Di Nietzsche errabondo, e solo contro il mondo, anche fra i tanti che gli volevano bene e si facevano carico delle sue bizzarrie, qualche volta ritraendosene spaventati, come Lou Salomé, Rée, con Meysenbug, altri pazientando, fino alla fine, Köselitz-“Gast”, Rhode, il buon pastore Franz Overbeck.

Molte le parole famose - sentenziose: “Alcuni vogliono, ma i più sono soltanto voluti”. Contro “l’amico di casa” di gratta memoria, da Hebbel a Heidegger. Dall’alto della “elevatezza”: “Oh solitudine, tu patria mia, solitudine! Come a me parla, tenera e beata, la tua voce!”, Contro la “voluttà”, per la “sete di dominio”. Lo spirito è “uno stomaco guasto”. ”La volontà libera – perché volere è creare”. Fustigatore di ogni debolezza, e anche del poeta. E perché il poeta? Perché “s’industria ad accusare la vita con le parole” – come se “accusare la vita” non fosse alla radice di Nietzsche-Zarathustra. “L’umo è il più crudele degli animali”. “Tutte le cose buone si avvicinano ricurve alla loro meta: esse fanno la gobba come i gatti”. Cioè: bisogna procedere guardinghi – oppure no, non è elevato? Apocalittico anche, naturalmente – “Ti amo, eternità”.…etc.. Anche se, fra i tanti umori, con qualche gustosa anticipazione. Sulla letteratura selfie: “Tutti parlano presso di loro, nessuno è più capace di intendere”. E con qualche buon racconto tra le pieghe. Per esempio “Il mendicante volontario”, che parla con le mucche – ce n’erano molte in Engadina allora.

Nietzsche è, si sa, buon scrittore, anche ottimo – si fa leggere. Ma si (ci) trascina in queste quattrocento fitte pagine in un gorgo di metafore, immagini, iperboli, ingiunzioni, allusioni, sempre ultimativo, per non si sa bene che cosa. “Nietzsche e le donne”, come si suol dire, naturalmente è il tema più ricorrente di questa annunciazione. Che dire?, “La felicità mi corre dietro” è una massima delle meno praticate. “Ciò avviene perché io non corro dietro alle femmine. Ma la felicità è femmina” – beh, questa è inaspettata

Un ampolloso calco dei Vangeli – “in verità, vi dico”, etc. “Dio è una supposizione” è l’unica tesi-affermazione. Ma “Dio è un pensiero che rende storte tutte le cose dritte”: chissà che vuole dire. E “volere libero”? Con molte verità apodittiche, in serie, di effetto immediato, ma poi? “I rimorsi insegnano a mordere”... Insomma, niente saggezza, di cui pure si vuole pieno – un rivoluzionario pieno di saggezza? “Nel primo amico si deve onorare anche il nemico” – anche qui, che vorrà dire? “Nel proprio amico bisogna avere anche il proprio miglior nemico”. Intende forse sfidare il massimario di Schopenhauer (nello scemenzario donne lo supera di sicuro, specie al § “Delle donne vecchie e giovani”, ma a che fine - a parte il sorriso? “Per troppo tempo nella donna si è celato lo schiavo e il tiranno”. È vero? Può essere, in qualche caso, anche in molti casi, ma che “verità” è questa, da letto? “La donna non è ancora capace di amicizia; gatte sono ancora le donne, e uccellini. O, nel migliore dei casi, giovenche”.

Un’opera senza dubbio eccezionale, ma rilascia solo fumo (visto le rovine che presenta). La volontà di potenza è l’ultimo punto del § “Della vittoria su se stessi”, un esercizio personale di superamento.

Zarathustra a un dato momento si ritrova solo in mezzo a frammenti di uomini, una grandissimo orecchio, una gobba. Forse soffriva di vertigini?

La nota editoriale spiega che “Zarathustra”, nato per caso, tra una raccolta di aforismi e l’altra, come poema in prosa, con “l’esposizione della «dottrina» in un tono tra il ditirambico e il biblico, fino a esiti di carattere lirico”. E che “Zarathustra” è la composizione che più tiene Nietzsche occupato, dentro e fuori di quanto poi è confluito nei quattro libri canonici che compongono il trattato-poema, “La sezione «sentenze e intermezzi» di «Al di là del bene e del male» si trova quasi interamente nei quaderni e taccuini di lavoro per lo «Zarathustra»”. Lo stesso Nietzsche attesta, in “Ecce homo”, che “la parte conclusiva fu compiuta esattamente nell’ora sacra della morte di Richard Wagner a Venezia”, danzando, s’immagina, per la gioia. Dobbiamo leggere Niezsche come un umorista nel profondo, un ironista incorreggibile? Il filosofo affaccendato come Diogene nella botte se la rideva in realtà sotto i baffi?

Colli ne parla in apertura come di un’opera drogata, “un ciceone” – il ciceone, orzo triturato, acqua e menta, che ristora le dee è anche filtro amoroso di maghe malintenzionate. Dev’essere una droga con la scadenza, perché è stantia. Colli dice che è roba per iniziati: tutti possono partecipare alla festa (leggere), “tutti i cittadini, senza distinzione di classi” (stiamo parlando dell’antica Atene, della processione misterica da Eleusi a Atene), ma “pochi soltanto saranno iniziati sino alla visione in cui culmina il rituale misterico”. Rileggendo l’introduzione dopo i quattro libri di Nietzsche sembra un Colli arrampicato sugli specchi, scivolosi, a disagio. “Il contenuto razionale di «Così parlò Zarathustra»”? “Spogliandolo di ogni immagine e di ogni magia”, non della faticosa stilistica?, “ritroveremo precisamente le stesse tesi, gli stessi giudizi che leggiamo in altre opere di Nietzsche: valutazioni sul presente e sul passato, sulla religione e sulla morale, perfino un’identica dottrina sugli affetti e sulle passioni”, solo il superuomo non troviamo negli altri scritti, “ed è naturale, perché il superuomo non è una dottrina, bensì un mito”. Nietzsche, incapace di filosofia, si voleva creatore di miti: vaste programme? Colli continua, chiarendosi le idee: “Se si vuole esprimere in termini concettuali il superuomo, si stringe poco tra le dita, qualcosa di inconsistente, anzi qualcosa che suona ridicolo”.

“Canto irridendo ogni compassione”. E poi? “Un libro per tutti e per nessuno” è il sottotitolo, un redazionale ad effetto, questo sì.

Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi, pp.XVII + 414, 2 voll. € 16

 

giovedì 18 agosto 2022

In graduatoria a scuola con i punti comprati

Si comprano i punti per le graduatorie a scuola, dei supplenti e dei titolari, grazie a un fiorente mercato imbastito dalle università on line. Dove non c’è bisogno di studiare, ma per alcune migliaia di euro si ottiene la laurea. Buona a ogni effetto giuridico. Arricchita, se uno intende dedicarsi all’insegnamento, da un congruo numero di “punti” – giusto per scalare le classifiche.

I punti (“crediti”) così guadagnati sono estensibili anche ai laureati normali, basta pagare – nemmeno molto: alcune centinaia di euro.

Sembra inverosimile, e invece è la realtà - la miseria - della scuola. Dove i laureati in legge continuano a poter insegnare l’inglese, e quelli in architettura matematica.

Una miseria condivisa in eguale misura dal governo, all’istruzione sempre rigorosamente democristiano, e dal sindacato. Una misura giusta che l’ultimo ministro ha adottato - stava per adottare? – per stimolare l’aggiornamento degli insegnanti, con l’introduzione della figura del “docente esperto”, un numero chiuso ancorché consistente, ottomila, una qualifica che viene con una dote consistente, è contestata dai sindacati della scuola: se ci sono soldi, devono essere per tutti.

Il tarantismo, a fine Settecento

Sulla tarantola ragguagliava il professor Koreff, medico a Berlino, il poligrafo romano Francesco Cancellieri, nel 1817, con questa lettera. Che è un libro oggi di 388 pagine, che Cancellieri apre rimemorando i giorni passati a Roma col dottore, grato “di godere della vostra, piacevole ed istruttiva conversazione, unitamente a quella dell’amabilissma, ed ornatissima madame de Custine”.

Una testimoninaza ancora importante perché affrontava il tema del tarantismo, “non curabile, che col suono e con la danza”. Come lo avrebbe già trattato “il facetissimo Berni”. Spiega cosa sono le “tarantole”,  e le caratteristiche, la sintomatologia e gli effetti del tarantismo. Dando conto delle ricerche più erudite, e delle credenze - Vi sono tre varietà de’ suoi colori, e diconsi perciò AlbaStellata, Uvea, che il Volgo suol chiamare ZitellaMaritata, e Vedova. Il suo morso è venefico, benchè alcuni credano innocuo quello della Zitella, cattivo l’altro della Maritata, e pessimo quello della Vedova.”

Una testimonianza delle curiosità in cui si risolveva la scienza ancora a fine Settecento. Il volume reca anche la testimonianza su un evento di tarantismo di un sacerdote medico, Domenico Sangenito, di Lucera, che sarà alla base della ricerca di De Martino sul tarantismo. La testimonianza del religioso era stata già pubblicata, nel 1693, da Antonio Bulifon, uno studioso, scrittore ed editore francese stabilito in Napoli, in una raccolta di “Lettere memorabili, istoriche, politiche ed erudite”. Che ne avrebbe poi dato comunicazione al Cancellieri. Fra le tante, è la supposizione più circostanziata, che è stata tenuta in conto da De Martino.

David Koreff era l’amante in titolo della marchesa, con la quale aveva viaggiato dalla Svizzera all’Italia in qualità di pedagogo del di lei figlio Astolphe.

Cancellieri, scrittore di vari argomenti, i più storici, era bibliotecario in Vaticano.

Francesco Cancellieri,  Lettera di Francesco Cancellieri al ch. Sig. Dottore Koreff, Professore di Medicina nell’università di Berlino: sopra il Tarantismo, l’Aria di Roma e della sua Campagna ed i palazzi pontificj entro, e fuori di Roma, con le notizie di Castel Gandolfo, e de' paesi circonvicini, Archive.org, free online

mercoledì 17 agosto 2022

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (500)

Giuseppe Leuzzi

La tarantola – questa è sfuggita a De Martino – è dello Zarathustra di Nietzsche, al § “Della tarantola”, specificatamente. La tarantola è la cattiveria: “Punizione ha da esserci e giustizia – così essa pensa”. Dopo aver morso Nietzsche?

Sulla tarantola ragguagliava il professor Kasper medico a Berlino, amante di madame de Custine, che se lo era portato in viaggio in Svizzera e in Italia come pedagogo del figlio Astolphe, e a Roma era stato da lui conosciuto e frequentato, il poligrafo romano Francesco Cancellieri, nel 1817, con una “Lettera di Francesco Cancellieri al ch. Sig. Dottore Koreff, Professore di Medicina nell’università di Berlino: sopra il Tarantismo, l’Aria di Roma e della sua Campagna ed i palazzi pontificj entro, e fuori di Roma, con le notizie di Castel Gandolfo, e de’ paesi circonvicini”. Una lettera che è un librone, con bibliografia. Questo De Martino lo tiene in conto, per la testimonianza che reca di un sacerdote medico, Domenico Sangenito, di Lucera – riprendendola non da Cancellieri ma da Antonio Bulifon, uno studioso, scrittore ed editore francese stabilitosi in Napoli, che la comunicazione di Sangenito aveva per primo ripreso nel 1693, in una raccolta di “Lettere memorabili, istoriche, politiche ed erudite”.

Muore a Rosarno Norina Ventre, “mamma Africa”. Norina Ventre, 94 anni, trent’anni fa aveva organizzato a Rosarno una mensa per gli immigrati dall’Africa e dall’Est Europa. Una iniziativa allora di avanguardia, in un paese che aveva sempre votato a sinistra. Quando per la Befana del 2010 ci fu la rivolta dei migranti, Ventre organizzò un corteo di solidarietà, di “rosarnesi di buona volontà”. La rivolta scoppiò in effetti a Rosarno, invece che in Capitanata, a Baia Domizia o nel Veneto, altri luoghi di sfruttamento della manodopera stagionale, proprio per essere stato questo posto all’avanguardia nel riconoscere dignità ai migranti, anche se non paghe adeguate. Ma è per questo diventato per i media il nome dello sfruttamento.

Un nubifragio ha colpito il 12 agosto con la stessa intensità e modalità Scilla e Stromboli. Saranno la rocca e il vulcano gli Scilla e Cariddi di Omero? Scilla in effetti guarda Stromboli, e non Messina o Capo Faro.


La stazione degli onorevoli

C’è un treno, uno solo al giorno, che raggiunge il reggino da Roma in quattro ore invece di sei. Comodo. Solo che si ferma, prima di Villa San Giovanni (per la Sicilia) e di Reggio, a Rosarno invece che a Gioia Tauro. In una stazione minuscola, cioè, di difficile accesso, non servita (toilette, sottopassaggio, taxi, anche il cellulare ci prende poco), invece che nella stazione di riferimento da sempre della popolosa piana di Gioia Tauro, verso la quale convergono da tempo le comunicazioni del circondario. E perché? Ragioni tecniche, qualche cervello che Rosarno ha e Gioia Tauro no?

No. Rosarno è il terminale tirrenico della strada a scorrimento veloce Tirreno-Ionio, Rosarno-Gioiosa Jonica – voluta e fatta realizzare da Sisinio Zito, il senatore di Roccella Jonica, finitima di Gioiosa, socialista. Nel 2010 era senatore di quel distretto invece la dottoressa Maria Grazia Laganà, del Pd ex Margherita, figlia di Mario Laganà, deputato Dc, vedova di Francesco Fortugno. il dirigente sanitario e esponente della Margherita ucciso, si suppone, da interessi mafiosi. I suoi collaboratori convinsero facilmente Fs ad abbreviare i tempi, almeno per una corsa al giorno, e a fermare il quasi Freccia Rossa a Rosarno. Guadagnando qualche minuto per il trasferimento sullo Jonio, e per affermare localmente, nel distretto di Locri, il proprio potere.

La senatrice poi ha avuto delle disavventure giudiziarie, ma la corsa speciale si ferma sempre a Rosarno. Solo, sono state aggiunte altre fermate, per clientela ridotta e ridottissima, il più delle volte senza un solo passeggero, da Lamezia in giù, compresa Gioia Tauro.    

Il paradiso dei commissari

Il neo presidente della Regione Calabria Occhiuto ha interrotto il commissariamento ex governativo  della sanità, ormai decennale, senza un solo risultato positivo e con qualche danno, prendendo su di sé la responsabilità della gestione, con gli stessi poteri commissariali. Poi evidentemente ci ha preso gusto, e ha deciso di commissariare tutti i depuratori della regione, “per vedere se funzionano”.

I depuratori funzionano, al limite della capacità, ma Occhiuto ha ordinato una serie di accertamenti dei Carabinieri, sulla base della sentenza europea 2014\2059, per la quale tutti, più o meno, i depuratori italiani sono fuori norma, in modo che un qualche verbale gli dia la base giuridica per commissariare. A che fine, se i depuratori, nei loro limiti, funzionano? Per nominare dei commissari – dare una serie di stipendi da 100 e anche 200 mila euro, più i privilegi annessi, auto di servizio, autista-attendente eccetera. I prefetti hanno fatto valanga, i commissariamenti prefettizi. Si sono fatti fino ad ora a volontà per mafia, sfruttando le pieghe della pur puntigliosa legge in materia. E il loro successo ha fatto scuola.

I commissariamenti prefettizi, però, restano il vero eldorado, Occhiuto avrà una serie concorrenza.

Si prenda un sindaco rimosso amministrativamente per mafia dal Prefetto, su ricorso – non rituale, non pubblico, su una confidenza - di un concorrente politico sfortunato. Al quale i tribunali riconosceranno poi i requisiti di onorabilità, e quindi la possibilità di ricandidarsi alle prime elezioni dopo il commissariamento. Che vince col 97.84 per cento dei voti, su una percentuale di votanti perfino elevata, 2.757 sui poco meno dei 3.800 aventi diritto. Il Prefetto allora rilancia, nuova Commissione di accesso antimafia, forte di tre pezzi grossi: un vice–prefetto e due ufficiali dei Carabinieri. C’entra la mafia? Evidentemente sì, ma non si sa da quale lato.

Il fatto di cui sopra succede a Scilla, sindaco malcapitato Pasquale Ciccone, lista civica di centro-destra. Che s’illustra, il giorno dopo l’accesso militare antimafia, o due giorni dopo, nell’alluvione pre-Ferragosto, rimettendo il borgo in piedi in due giorni. Ma dopo essersi dato per vinto al prefetto, affidandosi, a 63 anni, alla divina provvidenza. E dopo aver spiegato che i tre commissari non si sono insediati per accertare reati ma per impedirgli di amministrare. Senza altre motivazioni che le accuse di qualcuno “che era abituato a ottenere vantaggi e oggi si sente bistrattato”. Uno che magari “conosce per esempio un colonnello della Finanza”. Uniti dalla massoneria – “organizzazione di fratellanza”. Un bel ritrattino, su cui tutti sono stati muti, prefetto e commissione di accesso.

Il caso singolo evidentemente non si può contestare - può darsi benissimo che la maggioranza bulgara che ha rieletto il sindaco di Scilla sia azionata da mafie. Ma il commissariamento per mafia non avviene per reati contestati agli eletti, il sindaco o i consiglieri, per quelli ci sono i rinvii a giudizio. Avviene su voci, sospetti, parentele anche non riconosciute, e sulle informative dei Carabinieri (dei loro informatori). Anche se la legge è precisa, per lo scioglimento richiedendo “concreti, univoci e rilevanti elementi sui collegamenti degli amministratori con la criminalità organizzata”.  Il commissariamento è un premio straordinario, costoso, ai tre commissari. Provoca solo danni alle amministrazioni commissariate, due anni di niente. E normalmente non viene seguito da nessun provvedimento legale, cioè fondato su reati e contestato ritualmente.

L’argomento non è appassionante – la buona amministrazione – e questo sito se ne è dovuto occupare già troppe volte. Ma è lo snodo principale dell’estremo ritardo di buona metà, forse tre quarti, della Calabria, insieme con la poca iniziativa (“non c’è il bisogno”) - le ‘ndranghete ci sono, ma è roba da Carabinieri.

Alla vigilia delle elezioni 2013 il senatore Luigi De Sena, Pd, vice-presidente della Commissione Nazionale Antimafia, già “superprefetto” della Calabria , già vice-capo della Polizia, spiegava a un convegno di Assindustria a Reggio Calabria che la Commissione Antimafia aveva fatto uno studio sugli scioglimenti amministrativi dei consigli comunali per mafia, dal quale era risultato che in uno solo degli “oltre 200” scioglimenti comunali erano stati rilevati problemi di natura penale.

L’abuso dei commissariamenti non è neanche, conoscendo direttamente alcune delle situazioni, un arbitrio dei prefetti. Non ci sono più i “prefetti di Giolitti”, del Giolitti di Spadolini, il “ministro della malavita” di Salvemini. No, sono piccoli funzionari, alla Lamorgese per intendersi, che si coprono le terga appena si menziona la parola “mafia”. Tanto meglio in quanto la copertura è remunerativa oltremodo, e dà potere. Un piccolo ma distruttivo drappello del piccolo esercito vittima – loro non lo sanno, ma ne sono vittime, se non altro nella dignità – dell’antimafia di professione. Basta la parola, e zàcchete, lo fece cappone.

Il problema del Sud è che non c’è il bisogno - 2

Questo è vero sicuramente della Calabria che una volta era quasi ricca, prima e dopo la guerra, fino alle mafie, agli anni 1960: la provincia di Reggio, la parte tirrenica, da Gioia Tauro al capoluogo, compreso l’allora catanzarese (ora Vibo Valentia) finitimo, attorno a Nicotera, il sito del primo villaggio turistico in Calabria, un Club Méditerranée poi Valtur, con la parte meridionale delle Serre e il monte Poro che guardano Nicotera. Una parte ora imbruttita e perfino desertificata - Scilla è un’eccezione, costruita e mantenuta contro venti e tempeste.

Si prenda Reggio Calabria. I Bronzi, attrattiva mondiale. Un museo archeologico secondo solo a Napoli. Il lungomare. Lo Stretto, incomparabile. Fare il bagno nello scenario dello Stretto è effettivamente qualcosa di straordinario - ferma è sempre la memoria dei due pullman dell’orchestra di San Pietroburgo, in sosta sul lungomare per le foto ricordo, e degli orchestrali che a un certo punto si precipitarono tutti in acqua, uomini e donne, in brache e sottovesti, come ubriachi. Dove un minuscolo Lido si apre, per lo più non praticabile, voluto da Mussolini.

I Bronzi valgono bene  4-5 mila visitatori al giorno (le domeniche gratis sono venticinquemila), ma dove dormire, a Reggio o nei dintorni? I posti letto in città si contano – tutto il mondo vive di bed-and-breakfast, Reggio Calabria no. Voli charter, vacanze tutto incluso? Cosa sono? All’aeroporto atterrano tre aerei al giorno, due da Roma e uno da Milano, che ora si vorrebbero ridurre a due, e anzi chiudere lo scalo. Una città che avesse i Bronzi e il porto si farebbe scalo crocieristico: una giornata a terra, anche mezza giornata, di mille crocieristi fa 100 mila euro di fatturato, fra ristoranti, agroindustria locale, artigianato locale, Reggio no, il porto, vuoto ora che non serve più i traghetti per Messina, si contenta di usarlo quando capita col business micragnoso dell’“accoglienza”, trenta o quanti sono euro per immigrato.

A Zungri, sul Poro sopra Nicotera (dietro l’iperaffollata Tropea) l’unico insediamento umano dell’età del bronzo, continuativo fino ai bizantini, è lasciato alle cure di gruppi di volontari. Promuovere studi? Magari delle università che ormai abbondano anche in Calabria? Organizzare il sito? Promuoverlo? Promuovere l’accoglienza  gli accessi, i servizi, la vivibilità?

Non lontano, a Nardodipace, megaliti si ritrovano elevati in muri e in colonne. Come non detto. I dolmen britannici e normanni, meno suggestivi, sono una miniera, di studi e ipotesi oltre che di visitatori incantati, sulle Serre interessano agli storici di paese – ottime persone certo, entusiaste, almeno loro.   

Il divario – la deriva di certo Sud – si è accresciuto con l’abolizione delle gabbie salariali. Che in un paese unito sono illegali, e non hanno senso neanche economicamente. Ma in un paese unito economicamente. Di fatto, i contratti nazionali hanno diviso il mercato del lavoro, invece di unificarlo, e hanno creato al Sud, in molte aree, situazioni di forte privilegio. Lo stesso stipendio, sia pubblico sia privato, non compra lo stesso in Lombardia e in Calabria, in area urbano-metropolitana e in area agrourbana. Con un costo minimo di abitazione (acquisto, costruzione, affitto), e l’economia di scambio e di sussistenza. Lo stipendio di un insegnante, di un impiegato comunale, di un metalmeccanico, del netturbino, non è “uguale” a Milano e in un paese o città al Sud. Dove consente di spendere per la casa, in automobili, per l’istruzione dei figli, e di risparmiare. Un esito è la riluttanza del diplomato o laureato del Sud a lavorare al Nord, dove l’offerta è sempre inesausta – e quando è obbligato, se è statale o delle Poste, a brigare per tornare il prima possibile al Sud.  

(fine)


L’amore di Hölderlin, grande scrittrice

Il grande amore di Hölderlin, la sua platonica “Diotima”, Susette Gontard, dà vita per corrispondenza a un amore di grande sensibilità, e finezza letteraria, per lettori remoti – senza le lutulenze del romanticismo già dispiegate ai suoi anni, fine Settecento. Hölderlin è stato precettore di un figlio di Susette, che presto lo ha ammirato leggendone la prima redazione dell’“Iperion”, e le poesie che gli veniva pubblicando Schiller. Hölderlin ha 25 anni, Susette, madre di quattro figli, altrettanti, con la complessione di una ragazza, molto avvenente. Il rapporto che si è stabilito tra i due non si sa, malgrado le innumerevoli ipotesi dei tanti biografi. Ma quando, quattro anni più tardi, Hölderlin lascia – deve lasciare – precipitosamente casa Gontard, senza neppure prendere congedo dal suo datore di lavoro, un’accesa corrispondenza si accende tra i due, fino alla morte di Susette quattro anni più tardi, nel 1802, a trentatré anni, di rosolia. Di cui rimangono le lettere di Susette, custodite dagli eredi di Hölderlin, mentre quelle di Hölderlin, eccetto un paio, risultano distrutte negli anni 1920 dagli aventi diritto Gontard.

Non c’è probabilmente una corrispondenza amorosa femminile della potenza di questa di “Diotima” – forse nei frammenti di Saffo. Per una sensibilità raffinata, modesta e insieme intraprendente. E riflessiva, piena di buone ragioni, amorevoli e ragionevoli. Per tutte l’identificazione, con terrori e scongiuri connessi, di Hölderlin nel “Tasso” di Goethe, che l’amore tormenta alla follia.

Reitani ricostruisce in un’ampia prefazione la vicenda di Friedrich e Susette, gli eventi storici e quelli familiari, personali, gli ambienti, Francoforte, Homburg, i bagni termali, le guerre napoleoniche, le amicizie, dell’uno e dell’altra, che anch’esse introduce nella vicenda, per corrispondenza o di persona, la temperie culturale – in mezza pagina, con pochi nomi, dà forte il senso della libertà femminile in quegli anni. Col sussidio di una cospicua documentazione di immagini, di persone e di autografi. Una lettura a sé stante, e un’altra storia anche, come un romanzo, di grande presa.

Ma le lettere di Susette soverchiano tutto. Passano evidentemente per una testimonianza di e su Hölderlin, ma si leggono come un grande racconto d’amore, di (scritto da) Susette Gontard. Che non ha scritto altro, che si sappia, ma queste lettere bastano.

Friedrich Hölderlin-Susette Gontard, Lettere d’amore, Oscar, pp. LXXI + 129, ill. € 10

 


martedì 16 agosto 2022

Il re del fiasco

Il re del fare fiasco è il sensato e bel colonnello Horse, che ha fatto fiasco soltanto per tre mesi di seguito con la maliziosa Nina Viganò, costringendosi infine a lasciarla illibata, per quanto lo concerne. Horse, cavallo, è pseudonimo stendhaliano di gentiluomo inglese a Parigi irrefutabilmente assortito, colonnello e cavallo vanno insieme. Il colonnello spendeva sempre di più, ma non abbastanza. Non per l’illibatezza di lei, debuttante in società. Che lo attendeva conciliante, e lo lasciava inturgidito.

Nina è esistita, Elena Viganò detta Nina, nata nel 1793, ballerina e cantante, figlia del coreografo Salvatore Vigano, presto famosa sulle scene europee. Turbava Stendhal, che aveva quasi vent’anni più di lei. Che si turbava di tutte ma di lei scrive più volte: “La presenza di una graziosa ballerina concentra ogni sera su di sé l’attenzione degli animi disincantati o privi di fantasia che riempiono la balconata dell’Opera. Con le sua movenze leggiadre, audaci o inconsuete, risveglia l’amore fisico e forse procura a essi la sola cristallizzazione possibile. Più una ballerina è celebre e logora, più vale. Da qui il proverbio di palcoscenico: “Riesce a farsi pagare chi non ha trovato nessuno che la volesse per niente”. Queste ragazze rubano una parte di passione ai loro amanti, e sono capacissime di amarli per puntiglio – le parole in corsivo scrivendo in italiano.

Il colonnello, che nessuno specialista è riuscito a inventariare, è anche Stendhal, che vi si specchia disincantato o privo di fantasia, e alla bella Nina ripetutamente ritorna nella fantasia amorosa. A tutti è dato il compiacimento - la delectatio, dicevano i confessori - interminabile. “Come possiamo non collegare sentimenti affettuosi e generosi alla figura di un’attrice”, diceva Stendhal, “i cui lineamenti non hanno nulla di eccezionale ma che ogni sera guardiamo per due ore mentre esprime i sentimenti più nobili, e che non riconosciamo in altro modo?” Ma non molte donne hanno amato Stendhal – a suo dire nessuna.

L’illusione dell’Occidente

Si scorre come una nenia, la laudatio del defunto nella tarda romanità. Certo, l’Occidente è diritto, democrazia, tecnica, capitale. Ma queste non sono armi, non sono nuove (sono della romanità, repubblicana e imperiale) e non sono esclusive. Oggi meno che mai, con la globalizzazione.

Questo di Schiavone è un saggio politico, ma sembra una breve storia, di cose antiche. S’intende Occidente, e Schiavone lo sottintende molto chiaramente, come altro, guida e controllo, se non dominio, di Europa e Stati Uniti sul resto del mondo. E questo con la globalizzazione, che gli Stati Uniti hanno elaborato e imposto, più non è vero.

La globalizzazione ha cambiato la carte. È stata una strategia commerciale: sfruttare il lavoro a buon mercato dell’Asia. Ma era anche un atto politico dovuto, l’apertura del commercio al mondo intero. E in pochi anni ha riequilibrato secoli di storia, senza armi, con la tecnica e col commercio (la vecchia dottrina di Benjamin Constant): ora tutti sanno fare tutto, tutti hanno un reddito minimo accettabile, e quindi non ci sono più primazie. Che non sono più tecniche, non sono più economiche, e quindi non sono nemmeno culturali. Anche perché, la democrazia cos’è, un Palamento eletto, da non si sa chi, a favore di non si sa chi (la rappresentanza è problema irrisolto da qualche secolo ormai)? I capitali non sono più scarsi, il problema è di rifiutarli - sceglierli. La tecnologia non è più esclusiva, trent’anni ne hanno cambiato il pattern, lo schema: le licenze sono state fertili non più solo di sfruttamento, miriadi di studenti futuri ricercatori hanno invaso l’America, compresa la figlia del temibile presidente Xi, e l’Europa, molta innovazione, molti primati, sono asiatici, indiani, coreani, giapponesi, cinesi. La filosofia non c’è più per l’universo mondo, e nemmeno per l’Occidente, semplicemente non c'è, o la religione, altre esperienze parlano altrettanto bene e anche di più.

Si inaugura così, con trionfalismo ormai vuoto, a meno che non si legga come trenodia, una collana “Faustiana. Il destino dell’Occidente”, una collana in sei volumi, che lo stesso Schiavone ha ideato. L’Europa è una storia semplice: ha avuto col Rinascimento la riscoperta di Roma (la Roma certo grecizzata), poi l’illuminismo con l’idea di democrazia, e la rivoluzione industriale col vapore, che nell’Otto-Novecento la hanno dato un primato industriale, e culturale (politico). Ma poi?

Sono anche pochi gli interessi convergenti di Stati Uniti e Europa nell’Occidente residuo di oggi– come gli Stati Uniti stano cercando di spiegare da un quarto di secolo a questa parte, dai tempi di Clinton. Forse solo il bisogno europeo, o ansia, di difesa militare - da che? dalla solita Russia, lo schema delle favole, della vergine e l’orso, o della confrontation da guerra fredda. Con un ombrello americano, peraltro, sempre più sghembo: la risposta “occidentale” contro la Russia in Ucraina è tutta a carico dell’Europa, salvo per le forniture militari a Kiev, utili a rinnovare gli arsenali obsoleti.

Usava dire dell’Oriente fantastico, che l’Occidente s’inventava. Ma l’Occidente tende anche a inventare se stesso. Basta contentarsi, se non altro un nuovo campo è aperto alla narratologia, dell’Occidente fantastico?

Aldo Schiavone, L’Occidente e la nascita di una civiltà planetaria, Il Mulino, pp. 184 € 15

lunedì 15 agosto 2022

Breve storia dell’Fbi, la polizia politica americana

Il partito Repubblicano fa polemica sull’uso politico dell’Fbi, dopo la prequisizione in massa della residenza di Trump in Florida. Dell’Fbi come di ogni altra agenzia di polizia governativa, e specialmente dell’Irs, la Guardia di Finanza (civile) americana.

Polemizza non solo l’ala trumpiana del partito, anzi: la polemica è stata sollevata dal probabile futuro antagonista di Trump per la candidatura a presidente, il governatore della Florida DeSantis.

Non si dice, perché gli Stati Uniti sono uno Stato di diritto, ma l’Fbi è sempre stato una polizia politica. Per i molti decenni di gestione del suo fondatore, Edgar Hoover, fino alla sua morte, nel 1972 (a capo dell’Fbi sotto otto presidenti, da Coolidge a Nixon), e dopo. Con le indagini fatte, anche pretestuose, oppure evitate anche se necessarie.

Da ultimo l’Fbi si muove “a sinistra”: ha salvato dalle indagini Clinton prima, poi Hillary Clinton, e il figlio del presidente Hunter Biden, e ha terremotato Trump in continuazione, col Russiagate prima, poi con la “frode” fiscale, “accertata” con indiscrezioni ai giornali prima delle indagini, e ora con la perquisizione. Il Russiagate era la fabbricazione di una spia inglese, commissionata e pagata dalla campagna elettorale di Hillary Clinton.

La storia vede invece l’Fbi come una polizia politica di destra, anche di estrema destra, fino agli anni della presidenza Carter, 1976-1980 - montò vari scandali a carico di un fratello e altri familiari del presidente. Una polizia attiva e capace contro le mafie della costa Est, quella irlandese e quella italiana, ma soprattutto impegnata contro ogni forma di dissidenza – allora inevitabilmente di sinistra.

Fu l’Fbi a preparare i dossier per la carcerazione senza processo e senza condanna di numerose personalità della cultura nei primi anni 1950, centinaia di personaggi, da Chaplin in giù. E fino al 1965 dispose dossier a carico di Martin Luther King, che non protesse malgrado le minacce - fino al suo assassinio (che si giunse a poterglielo imputare). Nei tardi anni 1960 demonizzò i movimenti di protesta, bianchi e neri. Sempre ha spiato i politici a fini di ricatto, per le abitudini censurabili moralmente, secondo l’etica cosiddetta puritana, comunque inattaccabile, fatti di sesso o di alcol – fatti o chiacchiere in eguale misura. Non protesse Kennedy ed evitò di indagare realmente sul suo assassinio – dopo che in intruso qualsiasi, Jack Ruby, era stato lasciato libero di uccidere, nel posto di polizia, l’assassino di Kennedy, due giorni dopo.

L’Fbi è una polizia politica. Forse incorruttibile, il controllo interno è acuto, acuto essendo il carrierismo, sicuramente politicizzata. Che però è la corruzione peggiore.

È un fatto che la più grande democrazia ha la più grande e invasiva polizia politica. 

La colpa di essere, non Mitteleuropa

Rivivere la Mitteleuropa, che meglio vive nel ricordo, come nostalgia - la dissoluzione dell’impero asburgico ha dato qualcosa in più a ognuno dei componenti, ma ha tolto loro il piacere, e l’orgoglio, di stare insieme. Magris la rivive qui nel ricordo del pittore Vito Timmel, in origine Thümmel, anzi von Thümmel. Che finirà in manicomio e qui può dare sfogo alla disperazione, essendo senza colpa – uno dei tormentoni della Mitteleuropa, del suo periodo “critico” a Vienna: “La colpa era là, la colpa è all’inizio”, una tara, “prima di tutto - fare è innocente, essere è colpa”.

Un racconto in realtà, dialogato, con qualche didascalia. Magris ha voluto provare la forma teatro per l’ennesimo dei suoi esercizi della memoria, ma il “teatro” è tutto qui: una sorta di bonario processo, in cui ognuno ricorda. Un esercizio in nostalgia, di un tempo già ben italiano a Trieste ma ancora mitteleuropeo, i primi decenni del Novecento. Un omaggio anche al pittore Vito Timmel, di cui è fanoso un Ciclo Teatrale. Magris lo evoca in occasione di una mostra celebrativa – che in effetti sarà organizzata, quasi vent’anni dopo, nel 2018 (questa sua “La mostra” è stata invece messa in scena due anni dopo, nel 2003, da Calenda, con Herlizka nel ruolo di Timmel).  

Claudio Magris, La mostra, Garzanti, pp. 74 € 7,23

domenica 14 agosto 2022

Ombre - 628

L’aggressore di Rushdie è o non è dei pasdaran? O dei servizi iraniani? Legarlo a Teheran, o agli affiliati Hezbollah libanesi, lo farebbe un terrorista. Come se non esserlo, essere un americano islamico cresciuto nell’oltranzismo (fondamentalismo) iraniano non fosse peggio.

Con discrezione ma sensibilmente, all’unisono, i “grandi giornali”, compresa “la Repubblica” che la vorrebbe fascista, hanno migliorato le foto che propongono di Giorgia Meloni: ben proporzionata, quadrata, rassicurante, etc. Da quando ha fatto l’intervista alla tv americana in buon inglese. Li ha conquistati con l’inglese – i giornali italiani sono piuttosto provinciali? Già intravedono un giornalismo facile con un presidente del consiglio donna?  

Sono migliorati, dopo l’intervista, anche i sondaggi, già lusinghieri per Meloni. Se prima i consensi erano al suo ruolo di opposizione, a capo dell’unico partito di opposizione nell’eterno governo di tutti, ora parrebbe che il glamour ha ancora peso.

A Roma il Riesame sgonfia le trame e  le mazzette della sindaca di Terracina. Invisa al giudice di Latina che ne aveva ordinato l’arresto, all’indomani della chiamata alle elezioni. All’arresto facendo seguire per una decina di giorni una serie di indiscrezioni al “Messaggero” e a “la Repubblica” sulle malefatte della sindaca. Una palla alzata per il partito di Meloni – la sindaca ne è devota? I giudici non hanno giudizio.

“Compatibilità” è la parola chiave del futuro governo di Giorgia Meloni – doppia profezia di Verderami sul “Corriere della sera”. Ma veramente è una rinascita, di Ugo La Malfa, risuscitato - la compatibilità è stata per trent’anni di La Malfa, il nemico della spesa pubblica, cioè il “non fare”.

“Blitz nel feudo di Trump. L’Fbi sequestra documenti. Nel mirino l’assalto a Capitol Hill e frodi elettorali”.  No, nel mirino sono le carte riservate che Trump potrebbe non avere restituito agli Archivi Nazionali. L’ “informazione” così redatta è di una giornale di destra.

 Accanto, altro titolo “montato”: “Recuperato il jet caduto dalla portaerei americana. Tensione per il passaggio di navi russe dall’area”. L’area è una zona del mare Jonio prospiciente la Calabria da millenni sulla rotta mediterranea dal Bosforo, la Turchia mediterranea e la Grecia verso il Mediterraneo occidentale. Le navi russe “avvistate” sono una petroliera, una delle tante che purtroppo navigano, e un battello di ricerche marine. Minaccia nucleare?

Il diversivo russo serve a distogliere l’attenzione dal caccia americano “caduto” in mare mentre  atterrava sulla portaerei? Un modello di aereo da ripescare a tutti i costi, a tremila metri di profondità?

Letta, “Anima e cacciavite. Per ricostruire l’Italia”, che titolo è, che slogan? Si dirà confuso come il Pd?

Casini, già stampella e vice-presidente del consiglio di Berlusconi, contende a Bologna una candidatura a Gianni Cuperlo, già giovane di belle speranze di un Pd militante.  All’anima del Pd?

17 mozioni, diciassette, contro Schröder nella Spd e nessuna passa. Troppo filorusso? Ma la Russia è lì, bella grande, la Germania lo sa, che vent’anni fa celebrò Putin al Bundestag con un gran battimani. La guerra è sempre brutta, ma ci sono delle ragioni, evidentemente.

Basta un’intervista, televisiva, a una rete americana, Fox News, in inglese, peraltro “fluente” è vero, per fare di Giorgia Meloni una statista. E lo sarà senz’altro, chissà – la concorrenza non è folta – ma basta sapere l’inglese per fare il presidente del consiglio in Italia? Siamo cresciuti nel boom, anni 1950-1960, con l’idea di “Chiasso” e dell’inglese, siamo ancora lì?

Dopo che “I versetti satanici” divenne “Versetti satanici”

Una mattina del 1989, di “un martedì soleggiato a Londra”, una giornalista della Bbc di cui Rushdie si fa un cruccio ora di non ricordare il nome, a lui sconosciuta, senza nemmeno spiegare da chi ha avuto il suo telefono, linea riservata, lo chiama per chiedergli: “Come si sente uno che viene  a sapere che l’ayatollah Khomeini l’ha appena condannato a morte?”

Era una mattina qaualsiasi, il problema di Rushdie erano i rapporti con la moglie, un matrimonio sbagliato, in crisi dopo appena un anno, che era lì con lui in casa, un impegno con la Cbs per la tv del mattino, e il funerale di Bruce Chatwin nella cattedrale ortodossa in tarda mattinata. Tutto naturalmente viene sconvolto dalla notizia della condanna, il programma Cbs, che diventa una diretta sul terrore, le mute dei giornalisti alla Cbs e sotto casa, che rendono impossibile il ritorno, i pensieri della famiglia, in India, a Berkeley, e altrove a Londra con la prima moglie, perfino il rapporto coniugale sembra prendere un’altra strada. Solo il funerale è come doveva essere.

Il settimanale ripubblica il racconto che lo stesso Rushdie aveva scritto dieci anni fa del suo passaggio alla “morte civile”,  pensando probabilmente di essere fuori dalla minaccia: il racconto di come la condanna di Khomeini aveva cambiato la sua vita è svolto in forma leggera, più ironica che drammatica, nella cifra di Rushdie. Che probabilmente all’epoca pensava di averla scampata, e prova a svelenire. Chiedendosi se la condanna (fatwa) di Khomeini non sia stata generata da un equivoco. “Il titolo del libro era stato sottilmente distorto dall’omissione dell’iniziale «I». «I versetti satanici» era un romanzo. «Versetti satanici» erano versi che erano satanici, e lui era il loro satanico autore”.

Il testo della fatwa era però ed è incondizionale: “Informo il prode popolo mussulmano del mondo che l’autore del libro «Versi satanici», che è contro l’Islam, il Profeta e il Corano, e tutti quelli implicati nella pubblicazione che erano a conoscenza dei suoi contenuti, sono condannati a morte. Chiedo a tutti i Mussulmani di giustiziarli dovunque li trovino”.

Volendo forse disinnescare la questione, Rushdie spiega in dettaglio come la storia dei versetti satanici nasce da uno studio di storia negli anni di università sugli inizi di Maometto come profeta, quando da mercante avveduto e fortunato prova a essere accettato dal notabilato di quella che sarà la Mecca - una città allora guardata e protetta alla porta da tre divinità femminili. I versetti sono quelli che Maometto porse ai notabili in un primo momento, in onore delle tre deesse - dopo il rifiuto dei notabili ci ripensera, e punterà su Allah, dio minore, sposo di una delle tre deesse, Al-Lat. Una storiella come tante, ma estratta dal canone (storie e storie) di Maometto: tutto qui, senza offesa (solo al piacere della lettura, non un gran romanzo)..

Salman Rushdie, The Disappeared, “The New Yorker” 10 settembre 2012, free online