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sabato 23 settembre 2023

Il mondo com'è (466)

astolfo


Aigun
– Il Trattato di Aigun è l’ultimo dei cosiddetti “trattati ineguali”, compromessi che Giappone, Cina e altri paesi dell’Estremo Oriente dovettero accettare con le potenze europee e gli Stati Uniti nella seconda metà dell’Ottocento fino alla prima guerra  mondiale, fortemente sfavorevoli, e quindi , prima o poi, da rivedere o scardinare. Fu concluso nella città di Aigun, oggi Aihui, nella Manciuria Settentrionale, sulle sponde del fiume Amur, dal plenipotenziario russo Nikolaj Nikolaević Murav’ëv –Amurskij con i rappresentanti della dinastia imperiale cinese dei Manchù-Qing – Murav’ëv, generale e diplomatico, fu insignito per l’occasione del titolo e del nome di conte Amurskij, dal nome del fiume del fiume dove era stato firmato l’accordo. Il trattato riconosceva alla Russia la sovranità su oltre 600 mila chilometri quadrati di Cina, garantendo comunque alla Russia l’accesso al Pacifico, e modificava a favore della Russia il confine, che ora scendeva lungo il fiume Amur. Un accordo successivo, la Convenzione di Pechino nel 1860, ampliò  la sovranità russa fino alla parte meridionale del Territorio del Litorale e del Territorio dell’Ussuri. Il Primosrsky Krai estesamente nominato come parte della Federazione Russa post-sovietica, o regione del Litorale , allora denominato Manciuria Esterna. Nella regione Mosca costruì subito una capitale, denominandola Nikolaevsk sul’Amur, poi sostituita da Chabarovsk, sull’Amur e l’Ussuri, infine, nel 1888, da Vladivostok, direttamente sul Pacifico, sulla costa del mar del Giappone, al confine con la Cina e con la Corea del Nord.

Orest Adamovië Kiprenskij – Luigi Serafini, l’artista autore del “libro più strano del mondo”, il “Codex Seraphinianus”, si dice felice e soddisf atto, in un’intervista su “la Repubblica”, di essere vicino di un artista russo a Roma, sepolto a Sant’Andrea delle Fratte, in una cappella: “Ottimo pittore, fece tra l’altro il ritratto di Puškin”. È Kiprenskij, pittore romantico per eccellenza, che dopo il ritratto di Puškin nel 1827 tornò in Italia, dove era stato in precedenza, negli anni di formazione, e dove ebbe più vasta fama, se non fortuna. Lavorò soprattutto a Napoli: dipinse tra l’altro un quadro che ben figura ancora al Palazzo Reale, “Bambini pescatori napoletani”, e un “Letture politiche”, un quadro comprato in Russia (ora alla Galleria Tret’jakov, a Mosca), ma ribattezzato “Lettori di giornali a Napoli”, il titolo di Kiprenskij ritenendosi allusivo ai moti politici del 1830.
Più che per i suoi quadri, Orest Kiprenskij fu famoso, o famigerato, per le sue storie d’amore. A  Roma, dove sbarcò verso i trent’anni, ebbe un legame con la modella di nudo all’Accademia. Finché la modella non fu trovata morta in casa sua. Bruciata viva, nell’incendio dell’appartamento. Qualche giorno dopo anche il servo dì Kiprenskij, un giovane romano, morì in ospedale, dove era stato ricoverato. Le due morti passarono agli atti, dopo varie indagini, non persuasive, come accidentali in seguito a incendio. Ma la voce pubblica voleva Kiprenskij autore della duplice morte. Il pittore dovette lasciare Roma. Provò a Parigi, ma anche a Parigi le voci sulla duplice morte di Roma lo rincorsero. Tornò allora in Russia, nel 1823. Aveva 40 anni.
Prima di lasciare Roma aveva sistemato la figlia della modella morta, Anna Maria, “Mariuccia”, Falcucci, di dieci anni, in un convento di monache per orfani, con una soma per il suo mantenimento. Kiprenskij aveva dipinto Mariuccia in un quadro anch’esso famoso, “La bambina con una ghirlanda di papaveri”, d’impianto caravaggesco. Sette anni dopo, nel 1830, tornò a Roma, riprese Mariuccia dal convento, e se la mise in casa, lei di diciassette anni, lui di quarantasette. Sei anni dopo, nel 1836, passò al cattolicesimo romano, e se la sposò.
Non era stata una relazione felice, neanche quella con Mariuccia. I vicini e i conoscenti romani registravano liti continue. Anche perché Kiprenskij aveva cominciato a bere.
Kiprenskij morì tre mesi dopo il matrimonio, di polmonite.  Qualche mese dopo Mariuccia dava alla luce la loro figlia Clotilde. Quindi vendette tutti i quadri del marito che si trovò in casa all’Accademia d’Arte di San Pietroburgo, compresa “La bambina con una ghirlanda di papaveri”.
Un poemetto con lo stesso titolo del quadro di Mariuccia vaga in rete postato nel 2015 dalla scuola di Scrittura Creativa dell’Università di Edinburgh, anonimo, ma “da Orest Adamovich Kiprensky”, compitato erroneamente Kaprensky.   

Marnix de Sainte-Aldegonde – All’Oudezijds Voorburgwahl di Amsterdam c’è una chiesa per cui la tolleranza ha sfidato la gravità. La chiesa è all’ultimo piano dell’aereo edificio, completa di altare, ambone, panche e sedie per centinaia di persone, nonché balconata lungo entrambe le fiancate, per le donne e le persone di riguardo, ma camuffata, benché dedicata a san Nicola, protettore della città. Era di rito cattolico, che la tolleranza non tollerava, ancora nel Settecento, per cui si andava a messa e ai sacramenti facendo la spesa nei magazzini sottostanti. La città viveva ancora politicamente, malgrado gli statuti di tolleranza a fii commerciali, nello spirito di Marnix, l’autore dell’ “Alveare di Santa Romana Chiesa”, che la satira anti-romana aveva annegato nell’invettiva.
I signori di Santa Aldegonda erano savoiardi. Di cui i Savoia favorirono il passaggio a Bruxelles al seguito di Margherita d’Austria – nota anche come Margherita d’Asburgo, la figlia naturale di Carlo V con la l’amante olandese Giovanna van der Gheynst, sposata brevemente ad Alessandro dei Medici detto il Moro, presto assassinato da Lorenzino, poi a Ottavio Farnese, quindi detta anche Margherita di Parma. Philippe de Marnix de Sainte Aldegonde, il “gladiatore della fede” calvinista, che sposerà una Philippotta, si era formato alla teologia nei paesi del vino, a Dôle, Pavia e Bologna. Ma vi apprese la Riforma, e molto operò e parlò per Guglielmo il Taciturno, o Guglielmo I d’Orange, il conte d’Orange che capitanò la rivolta olandese per l’indipendenza dalla Spagna,  l’iniziatore della Guerra degli Ottant’anni, dopo averlo convinto che con la causa della Riforma facilitava l’indipendenza.
Il polemista Marnix affascinerà lo storico Quinet, che ne scrisse l’apologia. Dove lo elegge a “spirito eroico”, “atleta della verità” e “distruttore della menzogna” - lui che tante ne scrisse sul papa. E personalmente, nell’entusiasmo per Marnix, una sorta di alter ego, si spinse a dichiarare il cattolicesimo un nuovo paganesimo. Ma fu Marnix a cedere Anversa ad Alessandro Farnese, a Ferragosto del 1585, dopo un anno d’assedio, e l’Olanda gli imputò la resa a tradimento. E poi Marnix è nel Brabante belga – cioè, se non è libero pensatore, è cattolico.

Ptilonorinchidi – Sono uccelli australiani che fanno un’unione d’amore molto curata e variegata. Ernst Jünger li richiama nel romanzo thriller “Un incontro pericoloso”: “Il maschio adorna stupendamente, con fiori, penne e sassi colorati” il nido d’amore, “il luogo destinato alla soddisfazione del suo estro”.


Ussuri – L’11 settembre di 55 anni fa, nel 1969, si concludeva con un cessate il fuoco l’ultima guerra Cina-Russia, allora le due grandi potenze comuniste. Un conflitto a bassissima intensità, che in tutto avrebbe fatto 58 morti e 94 feriti ( 500-1.000 i morti secondo le fonti sovietiche, 68 secondo quelle cinesi), di confine, per alcune isole del fiume omonimo, che però allo scoppio, il 2 marzo, aveva fatto tenere un terzo conflitto mondiale, le due potenze essendo entrate in guerra minacciosamente determinate. Una serie di accordi successivi, nel 1991, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, nel 1994 e nel 2004, hanno riconosciuto la sovranità cinese sulle isole contese.


astolfo@antiit.eu

Morire d’amore

Due ragazzi spensierati a Giarre, Catania, nel 1980, di amicizia troppo intima per amici e familiari, vengono uccisi, con due colpi di pistola - la protesta del nascente movimento omosessuale si concretizzerà nell’occasione nella fondazione di Arcigay. Dagli atti delle varie inchieste e dalle memorie che ne seguirono Beppe Fiorello ricava una narrazione svelta, sempre ben caratterizzata, specie nei legami familiari stretti dei due ragazzi,  e delle loro amicizie, sempre equilibrata malgrado la lunga durata del film, senza stereotipi. Con una ricostruzione apparentemente semplice dell’epoca, benché di fatto molto articolata, tanto risponde con esattezza a chi ne ha personale memoria.
Il titolo è naturalmente riferito al rapporto fra i due ragazzi, prima benedetto poi esecrato, ed è preso da una canzone di Battiato, non correlata alla vicenda. Sono le immagini, i colori, i suoni, i tempi, l’ambientazione, non la colonna sonora, a dare spessore e tonalità al film. Un’opera prima da regista, del “fratello minore” ma già cinquantenne, come da film-maker di esperienza.
Beppe Fiorello, Stranizza d’amuri, Sky Cinema

venerdì 22 settembre 2023

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (538)

Giuseppe Leuzzi


La famiglia di Inès Cagnati (v. sotto, “La donne del Nord”) è una delle tante, venete e romagnole, centinaia di migliaia, che hanno bonificato per Mussolini, morendo di malaria, l’agro romano, e anche le paludi pietrose del Sud-Ovest della Francia, dove pure erano disprezzati, e  senza l’ausilio di una Opera Bonifica – qualche ruspa. Non molto temp fa, tre le due guerre, meno di un secolo. Un altro motivo per dire il Nord ora ricco perché era povero, e il Sud povero perché era ricco, favorito dalla natura – è, era, vita grama nella Padania, che tanto si magnifica.
 
L’ex ministro leghista Castelli lascia la Lega  perché “con Salvini c’è stata una deriva meridionalista”. Non è vero: al Sud Salvini Premier ha avuto nel 2022 un quinto\un sesto del voto ottenuto al Nord, dal Piemonte al Friuli e alla Romagna. Ma per il lecchese Castelli non basta. Si continua a sottostimare la Lega.
 
“Non so perché i contadini aragonesi trattano bene i loro muli ma in modo indecente i loro asini. Se un asino non si muoveva era piuttosto normale dargli un calcio nei testicoli”. Orwell se lo chiede in “Omaggio alla Catalogna”, il racconto della sua disillusione da volontario nella Guerra di Spagna. Ci si chiede spesso dov’è l’eredità aragonese al Sud. Al tempo degli asini evidentemente c’era.
 
La “donna del Sud” il padre di Corrado Alvaro lodava, dice lo scrittore in “Memoria e vita”, “con un linguaggio aperto, fiorito”. Ed  “esse «si spaccavano dalle risa», come egli diceva” – “non c’era che lui a saper fare ridere le donne più bisbetiche come sanno essere bisbetiche e virili le donne da noi”.
 
Agosto capo d’inverno
Agosto è “capu d’‘nvernu” nella (vecchia) sapienza calabrese – e siciliana: “Austu e riustu, capu ri ‘mmernu”, agosto e ferragosto capo d’inverno. Sembra bizzarro, soprattutto dopo  la siccità prolungata e la grande calura di questa estate, ma Corrado Alvaro ne sottolineava la proprietà in una nota, “Agosto”, pubblicata su “L’Approdo” invernale, il n.1, gennaio-febbraio 1952: “Agosto, capo d’inverno, dice il proverbio”, per la luce declinante: “C’è un tratto rosato e turchino al tramonto. Il sole pare illuminare la terra di striscio”. Per le prime piogge: “Le nubi si sono schierate sui monti.  Scompaiono, riappaiono. Pioverà, sospira la città”. Per il senso del tempo: “È il mese che si fugge e che si cerca. È l’estate piena, e già declina. I giorni sono più brevi, altrimenti i campi arsi non potrebbero sopportare più a lungo il sole. Al  mattino le piante sono rinfrancate e vegetano buttando i getti nuovi. Spuntano nell’arsura nuovamente i fiorellini semplici. È la rugiada che scende provvidenziale nella notte…”. Per la filosofia inevitabile della vita. “È il gran mese, che sembra interminabile ma che lascia il dubbio di non avere profittato abbastanza dei suoi frutti che ormai ci sono tutti quanti, dalla pesca all’uva e alla nocciola. È il mese pieno e ricco”. Per tutti: “Anche per i più poveri c’è da mangiare. Nel sud le siepi offrono un frutto al passante, il ficodindia”. Anche ora – quest’anno in ritardo, a settembre.
 
La donna del Nord
Inès Cagnati, la scrittrice francese che ha raccontato la vita grama della famiglia di origine, figlia di immigrati poveri, due braccianti, lui, Ruggero, di Refrontolo (Treviso), e lei, Teresina, di Vicenza, emigrati in Francia, nella regione arida e paludosa del Sud-Ovest, con cinque figlie, ricorda anche una legione di zie, tutte secche e vestite di nero: “Ognuna di noi ha una zia per madrina. Potrebbe essere divertente se le mie zie non fossero tutte vestite di nero da quando le conosco e se non si avesse questa impressione di essere accompagnate  da fantasmi neri”.
La narratrice non se ne fa una ragione : “Trovo molto triste di essere stata battezzata così. La mamma dice che non si poteva fare altrimenti, che tutte le zie zie sono così e non c’è niente da fare, ed è vero”.  Tanto più deprimente in quanto  “le nostre madrine non ci offrono mai niente.
Alla madre, che “adora i romanzi d’amore”, glieli presta la zia Gina. “Perché anch’essa li adora, ed è strano perché la zia Gina è sempre secca e vestita di nero. È spaventosa a vedere. Tutte le mie zie sono così, e io ne ho molte. A vederle tutte insieme si penserebbero un esercito immobile di ceri in lutto. Anche i cani se ne accorgono”. Un giorno che vennero a casa tutte insieme il cane si è gettato davanti alla porta di casa, e là, la testa ritta verso il cielo, le zampe tese, ha cominciato urlare a morte….”.
 
Il Nostos  rivisitato
Nel testo tanto seminale quanto trascurato, “Memoria e vita”, la ventina di pagine messe giù nel 1942, alla morte del padre, Corrado Alvaro fa, oltre che il quadro di una società locale, il suo paese di origine, San Luca, a fine Ottocento e cinquant’anni dopo, anche un ripensamento dell’emigrazione, e del “ritorno”, il nostos. Che più diretto spiega nel componimento poetico che accompagna la memoria, “Il viaggio”: “Sono tornato al mio paese\ e ho ritrovato tutto come prima”, ma come morto, “tutto era fisso, era bianco\ e sorridente nella morte”. Ci trova anche l’inimicizia, e l’invidia – si è brindato vent’anni prima al suicidio del fratello: “I figli simili ai padri\ e i padri simili ai nonni.\ Ma erano molto meno allegri\ e molto meno felici,\ e molto più poveri\ e molto meno amici”.
Anche il padre ultimamente lo guardava con sospetto: “Quanto a me non mi capiva più, e disse una volta che non sembravo nato nel nostro paese” – “Memoria e vita”.
 
Cronache della differenza: Napoli
La Procura di Napoli è la più grande d’Europa, 9 aggiunti e 102 sostituti. Non la maggiore popolazione da servire, 1,4 milioni – la Procura di Milano ne serve il doppio, quella di Roma quasi tre volte tanto. La più grande zona criminale d’Europa? Il più grande impieghificio? Il nuovo Procuratore Capo Gratteri ha esordito dicendo che non tollera colleghi che arrivano in ufficio alle 10 di mattina, o che arrivino martedì mattina e se ne vadano giovedì pomeriggio, in barca.
 
Il giudice Gratteri è calabrese. E un Procuratore Capo calabrese a Napoli non depone bene – col precedente, il giudice Cordova, altro candidato residuo alla Procura Nazionale Antimafia come Gratteri, finì a rissa. Napoli non apprezza la Calabria sotto nessun punto di vista, e nemmeno la Calabria Napoli. Sarà stato per questo che la Calabria era l’area più desertificata del Regno di Napoli o delle Due Sicilie.
 
Per portare Maradona a Napoli, tredici miliardi di lire, il presidente del club Ferlaino tempestò e ottenne la fidejussione dal Banco di Napoili. Poi il presidente del Banco Ventriglia ci ripensò, “perché in città c’era stata una sollevazione popolare”, contro lo spreco.
 
Ma Ferlaino fu “più lesto”, spiega a Monica Scozzafava sul “Corriere della sera”. Corse in banca, prese la fidejussione e lasciò Napoli. La protesta però “costò il licenziamento della persona che materialmente mi aveva consegnato il documento”. Quando si dice il destino.
La città ha entusiasmi non prevedibili.

250 nuovi vigili urbani, assunti all’inizio dell’anno, hanno dovuto comprarsi la divisa, perché il  Comune non ha ancora avuto il tempo di fare la gara d’appalto. Questa è una notizia. Un’altra è che la divisa è costata 70 euro, tutto, panno, fodera, fili e manodopera.
 
Si celebra per qualche ricorrenza il ricordo del batiscafo “Trieste”, che per alcun decenni gli  scienziati francesi Piccard, padre e figlio, usarono per esplorare gli oceani ad altissime profondità. Un gioiello che vollero costruito, negli anni 1950, a Castellammare di Stabia, La Campania ha una nobiltà metalmeccanica – ora perpetuata  dall’avionica – di cui si parla poco nelle polemiche Sud-Nord. Napoli, il napoletano, si vogliono magniloquenti – “magnogreci”, come disse l’Avvocato Agnelli di De Mita. La capacità di “riparare ogni cosa”, che il filosofo tedesco Sohn-Rethel gli riconosceva, non li appassiona. I cinesi invece ci hanno costruito un impero, ricchissimo, in pochi anni.
 
“A metà ‘800 Gragnano vantava 100 pastifici che producevano oltre 1.000 quintali di pasta al giorno”. Unità funesta?
“Nel 1800 a Gragnano anche la larghezza delle strade e l’altezza dei palazzi erano studiati per favorire l’essiccazione ottimale della pasta”.
 
Tutto a Napoli “esplode”, e quindi “esplode la protesta” nei titoli in tv e nei giornali anche per il reddito di cittadinanza, di cui la città e viciniori sono stati beneficiari massimi. Ma 500 in piazza, benché mobilitati da Cgil e Pd, non sono grandi numeri. Nei confronti del grillesco reddito di cittadinanza la città si può dire riflessiva – ci sono limiti alla stupidità.
 
Sono invece “solo 200 al corteo per Caivano”, contro le reiterate violenze sulle due cuginette di 13 e 10 anni. Quelli delle associazioni e i centri di solidarietà contro la violenza sulle donne. E il grande cuore?
 
“La Campania Felix della maturità”:  il diplomificio d’Italia. Delle licenze liceali. Con corsi anche  accelerate, quattro anni invece di cinque. Basta iscriversi a uno dei 90 e più licei parificati di Napoli e provincia. La “cintura di Napoli”, lo 0,4 per cento della superficie nazionale, concentra il 50 per cento dei diplomifici italiani, 46 istituti private.
La scuola come business. Ma sempre con la fissa della “copia”, invece di un lavoro ben fatto, a proprio nome.
 
Si parlava “napoletano” nel Regno. Rilliet, il medico svizzero che raccontò una spedizione militare di Ferdinando II in Calabria nel 1851, nota degli albanesi che incontra la loro “lingua particolare”, senza “nessuna analogia con il napoletano, che gli abitanti parlano eccezionalmente quando si trovano con uno straniero”.

leuzzi@antiit.eu

Il sogno di Almodovar

La prima scena è il sogno gay, dell’angelo carnale, l’adolescente musicante. Poi in trenta minuti Almodovar in stato di grazia vara un nuovo genere di film, del film-racconto invece del film-romanzo (una diversa versione del film a episodi del cinema italiano di cinquanta-sessant’anni fa), coniugando il melodramma, la sua passione, col pornosoft, e col western.
Proprio con un duello al sole, fra due vecchi giovani amici di bisboccia in Messico, col vino e a letto, poi killer a pagamento, poi separati, da una vita ormai, “venticinque anni”. L’uno sceriffo, esecutore della legge inflessibile, l’altro cowboy nel suo ranch – il sogno “casalingo” dell’uno che l’altro rifiutò. Ma la passione è inalterata.
Pedro Almodovar, Strange way of life

giovedì 21 settembre 2023

Berlusconi santo subito – 35

Non c’è solo il passaggio di Bianca Berlinguer (Berlinguer…) a Mediaset, che solo qualche anno fa  si voleva cancellare per referendum, c’è perfino una campagna di riabilitazione dei cosiddetti “giornaloni”, tra essi soprattutto “la Repubblica”, quotidiano già aduso, con Scalfari e dopo, a 5-6 articoli al giorno contro, a voler riabilitare il buonanima. Non proprio, non dichiaratamente, ma è un’altra faccia che si presenta. Con bei nomi a supporto: Camilla Cederna il settimanale feminile, Marino Perniola “il Venerdì di Repubblica”, Donata Scalfari in intervista fiume con Cazzullo sul “Corriere della sera”.
Donata, la figlia minore del Fondatore, già lei stessa per la verità nel “tg delle figlie”, quello montato da Mentana per Berlusconi, dice che era tutto una farsa. Dopo Craxi, le ricorda Cazzullo, “l’altro grande nemico fu Berlusconi”. “Papà lo trovava molto simpatico”, è la risposta, “molto divertente. Prima della guerra di Segrate per il controllo di Mondadori e di Repubblica, si vedevano spesso ad Arcore: Confalonieri suonava al piano le canzoni che piacevano a mio padre, Berlusconi le cantava” - e poi gli illustrava il suo “scannatoio” (ma la visita dei boudoir è raccontata come uno scherzo).
“D” ripropone un’intervista che Camilla Cederna, nientemeno, fu mandata dall’“Espresso”a fare a Berlusconi imprenditore edilizio sconosciuto nel 1977, un anno dopo l’uscita di “la Repubblica”- quando la ricapitalizzazione già s’imponeva. Un compitino, che Cederna svolge senza genio: “Un uomo non tanto alto, nemmeno una ruga, dai modi gentili. E siccome è la sua prima intervista, è felice di raccontarmi la sua vita felice”. Pensare: Berlusconi diede la sua prima intervista a “L’Espresso”. E vi si potè fare l’apologia: “Si ritiene l’antitesi del palazzinaro, si ritiene un progressista, è cattolico e praticante, ha votato Dc; e «se l’urbanistica è quella che si contratta fra costruttori e potere politico, la mia allora non è urbanistica»”. I pareri dei concorrenti sono l’opposto, ma Cederna non ha voglia di credere a loro. È un ottimista, conclude, vuole fare una tv ottimista, finanzia Montanelli per consentirgli di fare “Il Giornale”, massima sua aspirazione sarebbe diventare presidente del Milan, e parlamentare europeo, “ci tiene anche a coltivare al meglio la sua figura di padre, cercando di avere frequenti contatti coi suoi figlioletti”.
Definitivo il primo lancio della serie, sul “Venerdì di Repubblica” a Ferragosto: un ricordo di Marino Perniola, “studioso originale e filosofo «eretico», di sinistra ma non marxista”, quello che allora, anni 1960-1970, si diceva un “sitazionista”, un battitore libero. Ma limitao a una sola sua tesi, da analista del Sessantotto,  del “movimento”: “È stato Berlusconi a fare il Sessantotto”, questo il titolo. Non a farlo, propriamente, per l’anagrafe non poteva. Ma a realizzarlo: “Il Cavaliere realizzò le idee rivoluzionarie degli anni Sessanta. A modo suo…”, questo il sommario. L’occasione c’è, la ripubblicazione di un testo di Perniola, “Berlusconi o il ’68 realizzato”, la presentazione è lusinghiera.  
L’odio è ancora forte. Basta leggere quanto si cita sui giornali delle memorie di Sarkozy, e della sua comare Merkel – una specie d’imbecille, che ha rovinato la Francia delle periferie e ha rovinato la Libia per rovinare l’Italia. Ma il Berlusconi deve morire si sta trasformando in un Berlusconi santo subito. Compresi i figli. Comprese le odiate sue aziende – che non hanno mai licenziato nessuno, nemmeno i  giornalisti.

America fredda, da scuola creativa

Un bus scolastico che cade nel burrone con tutti i bambini – il “dolce domani” è quello che non ci sarà per i bambini di un paese di montagna dello stato di New York, freddo, nevoso. La storia è della guidatrice, sopravvissuta. Di  qualche familiare in colpa. Di un avvocato a percentuale fra i tanti precipitatisi da New York  nel borgo sperduto tra le nevi, che studia una “causa civile di risarcimento”, innocentando la guidatrice per fare condannare “l’amministrazione comunale, o il distretto scolastico o lo Stato o chiunque altro dotato di tasche profonde e piene di soldi”.
L’impianto narrativo vuole da 40 a 80 pagine l’uno per spiegare cosa fanno o pensano e perché alcuni dei personaggi. Il genitore in colpa, un meccanico ex tenente in Vietnam, è uno che seguiva col pick-up il bus, e ha visto l’incidente, ma nel mentre che si affannava col pensiero sulle tette e le cosce dell’amante. L’avvocato invece ha la figlia drogata all’Est, che però si rifà viva a New York avendo contratto l’Aids – tema d’obbligo allora, il romanzo è del 1990. Sessanta pagine sono lasciate alla ragazzina unica sopravvissuta, in sedia a rotelle, vittima o orfana di pratiche paterne incestuose. Un ultimo capitolo è di tecnica narrativa della suspense, con un rodeo fra macchine rottamate. Oltre al fumo, la cocaina e altre sostanze, l’alcol scorre a litri, in compagnia e da soli.
Il libro è diverso dal film, non è un legal thriller. È presentato come una storia dell’America della piccola borghesia, di campagna e di città, sperduta tra periferie senza carattere e ambizioni sfumate. Ma non attacca, in nessun momento, in nessun personaggio. Sarà stato un esercizio di “scrittura creativa”: come la donna che guidava lo scuolabus finito nel burrone può ricordare l’evento, mentre si occupa del marito paralizzato, come un avvocato contingency vive e pensa, furbo ma disperato, come vive un paese, di case  singole e disperse, in America, o in un’officina meccanica un ex tenente del Vietnam, che cosa fa una moglie bella e sempre giovane con un marito diventato obeso e inetto.
Russell Banks, Il dolce domani, “Corriere della sera”, pp. 273 € 9,90

mercoledì 20 settembre 2023

Secondi pensieri - 523

zeulig


Confini – La riflessione, il pudore, esteriorizzazioni comuni, sono limiti. Necessario l’uno, naturale, forse, l’altro. Lo stesso il garbo e l’onore (lealtà) nelle relazioni, dovuti e forse anch’essi naturali, in qualche modo o misura (non sono stati inventati o derivati).
 
Dio – Senza Dio il mondo è senza ancoraggio e senza prospettiva – è il senza Dio, il “Dio è morto”, di Vattimo. Vaga, per natura deperisce e non ha legge se non quella del più forte – robusto, resiliente, armato (la guerra in Ucraina lo mostra evidente, e più dalla parte della difesa, che è una difesa militare nel quadro di un’offensiva strategica, di lungo periodo, geopolitica). La scienza non è un Ersatz, ha ampiamente dimostrato la sua indifferenza a bene e male, alla distruzione in uno con la creazione, anche quella “a fin di bene”, anche ora nella transizione ecologica - è un mezzo, non una provenienza o una direzione, un criterio.  
 
Leviatano – Hobbes, che moriva nel 1679, lo ha trovato in Swift, che ne aveva scritto nel 1667, “I viaggi di Gulliver”? Ernst Jünger lo ipotizza analizzando “I viaggi” di Swift, “brillante e feroce satira delle Istituzioni sociali e dell’umanità in generale”: “I viaggi di Gulliver si fondano sul fatto che nella società vi sono grandi e piccoli, e non solo da un punto di vista anatomico” (E. Jünger, “La forbice”, §72).
 
Dono – Marcel Mauss o chi per lui ha codificato una economia del dono. Forse in un tempo o in un mondo senza possesso, se mai è potuto esistere (ma la società, la distinzione prima del patto, il tu e io, non è manifestato come possesso?). Col dono non si costruisce niente, e si possono creare ostilità: chi è stato nel bisogno, se aiutato, non necessariamente è riconoscente, non apprezza chi lo ha aiutato, o raramente,  forse più spesso ce l’ha in odio.
Funziona come strumento di potere. Ma allora perde le caratteristiche del dono – gratuità, generosità.  
 
Eroe – La parola e la figura retorica più ricorrente: è eroe indifferentemente chi aiuta un nuotatore in difficoltà e chi salva un naufrago in mare in tempesta. Specie se il salvatore è delle forze dell’ordine. Un richiamo non corrispondente al significato e senso di eroe (“chi dà prova di grande valore e coraggio affrontando gravi pericoli e compiendo azioni straordinarie”, Treccani”): Ma rispondente, evidentemente, a un bisogno. Di ordine. 
 
Mentire - Si può mentire per necessità in Kant, e anche in in L.Lombardi Satriani, “Menzogna e verità”, 297: “Per il folklore meridionale l’uomo deve essere leale, non può ingannare, raggirare, mentire, deve mantenere fede alla parola data: «L’omo ala parola, li voi (i buoi) ali corna»”. La menzogna quindi costituisce reato. Però, la condizione di necessità esime dall’obbligo di non mentire: “‘N tempu di guerra menzogna come terra”.
È, di fatto, molta parte del bene. In senso figurato, fantasticare, sognare: “Magnanima menzogna, or quand’è il vero\ sì bello che si possa a te preporre?” – T.Tasso, “Gerusalemme liberata”, II, 22.
Mentre nella quarta passeggiata delle “Fantasticherie di un passeggiatore solitario”, Rousseau propone una tassonomia della menzogna, per scoprirsi bugiardo senza limiti nel tempo stesso in cui
più faceva proponimenti di essere sincero e leale. Mentiva senza danno altrui?
 
Ottimismo – Nasce dalla capacità critica, dalla ragione. Più o meno (meglio o peggio) del pessimismo, che viene ritenuto la sola saggezza? La vicenda umana è indifferente.
Baudelaire ha straordinaria, costante, carica positiva, benché i suoi temi siano il peccato, il male, la malattia, la morte. Quanto pessimista, al confronto, l’entusiasmo di Rimbaud, e non per la vicenda umana.
 
Pessimismo – Richiede grandi energie, e anche creatività: Leopardi, Nietzsche, Baudelaire, Kierkegaard, grandi scrittori, e instancabili, e molto profondi, sono grandi pessimisti.
Nietzsche ne celebra l’utilità scrivendo a Erwin Rohde il 15 luglio 1882: “Il mondo è povero per chi non è mai stato abbastanza malato per godere di questa «voluttà dell’inferno»”. In precedenza, in due frammenti postumi, del novembre-dicembre 1878, diceva del pessimismo che, nutrito da “infelici raffinati, come Leopardi”, può rendere l’esistenza tutta intrisa di “dolce miele”. Per una sorta di snobismo, vendicativo. Ma soprattutto per il fatto di dichiararlo – se di vendetta si tratta, allora è un boomerang: “La loro vendetta, il loro orgoglio, la loro inclinazione a pensare tutto quanto soffrono, la loro arte nel dirlo: tutto questo non è –di nuovo – dolce miele?”. Così come “l’ascetismo è non di rado una scelta fatta per sottile epicureismo”.
In uno dei “Frammenti postumi 1881-1882), scritto su una copia dei “Saggi” di Emerson, il pessimista Nietzsche è apodittico: “La capacità di soffrire è un mezzo eccellente di conservazione, una specie di garanzia per la vita: per questo il dolore si è conservato; esso è utile quanto il piacere. Mi viene da ridere quando ascolto gli elenchi di sofferenze e di miserie, con cui il pessimismo cerca di dimostrare la sua legittimità – Amleto e Schopenhauer e Voltaire e Leopardi e Byron”. Il pessimismo è un genere che Nietzsche stigmatizzerà in un frammento ancora due anni dopo: “La specie Hölderlin e Leopardi: sono abbastanza duro per ridere della loro perdizione”.
Leopardi comunque opera per la “gloria”, come dice in più di un punto. Artefice, di opere come opposte alla grazia, o disgrazia. Come poi sarà di Baudelaire: il poeta (il creatore) non può essere pessimista.
 
Possesso – Va con la personalità. È stato a lungo, tra Sette e Novecento, imputato a una concezione del potere, di classe, tra chi ha e chi non ha. In realtà ha, deve avere, anche “chi non ha”, il povero, l’incapiente, l’impossibilitato. È un’estensione mentale prima che pratica, che va con la coscienza di sé - la coscienza indotta dal fatto stesso di esistere, ben prima della formazione o educazione, tanto meno dell’ideologia.
 
Predestinazione – Abiure, secessioni, guerre, molti morti, molte durezze e molta teologia per che? Per un esercizio beffardo della coppia “filosofica” Fruttero&Lucentini, nell’acclamato saggio “Il significato dell’esistenza”: “«Predestinazione o libero arbitrio?»” Siamo sempre lì”, fanno dire a una affannato prete anglicano in fuga sull’Orient Express. E da che? Dalla tentazione. Il reverendo, sposo devoto al suo Paese e padre di due figli, alla stazione di Vicenza ha avuto un turbamento, per il capostazione. E non perché il capostazione avesse un particolare appeal: “Era un uomo di forse cinquant’anni, di sta tura media,….”, ma qualcosa “nel suo stesso portamento stanco e ingobbito, nell’inclinazione disincantata del berretto, nel pigro movimento del braccio che dondolava la paletta” ha catalizzato nello sventurato “confusi impulsi e languori”. Quanto basta per riportare la dita “a Democrito, e al suo continuatore Epicuro. Per Democrito, se gli atomi ti portano a Vicenza, il capostazione non te lo leva nessuno. Per Epicuro, invece, non è detto al cento per cento: puoi anche finire a Portogruaro”.
 
Viaggio – “I viaggi prolungano la vita”, Corrado Alvaro.

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Il femminino unitivo - l’eterno femminino gesuita

Una consacrazione della femminilità, un secolo fa, a opera di un gesuita – non irriverente, considerando l’attenzione, per quanto cauta, di Ignazio di Loyola per le donne al suo tempo. E una riflessione costante nella sua costante “ricerca di senso” al mondo, all’universo - nella caratteristica “visione cosmica unitaria”, pur basata sempre sul reale, sul “fenomeno”, “Il Femminino ovvero l’unitivo” è l’ultimo capitolo della summa del paleontologo e filosofo gesuita, “Il cuore della materia”. Ed è anche “la formula più incisiva ed efficace per definire l’esito delle sue riflessioni sull’elemento femminile”. Riflessioni che Teilhard aveva avviato durante la Grande Guerra, dove aveva servito come barelliere: negli intervalli del servizio annotava le riflessioni occasionali, e le mandava alla cugina Marguerite, che le custodisse “in caso di”. La cugina non gli risparmiava  commenti, il materiale si accumulò, e una volta smobilitato un saggio pres e forma, “L’Éternel feminin”.
Questo saggio, forse oggi il suo più attuale, però non si può leggere, nemmeno in francese: Teilhard de Chardin è un contemporaneo “nascosto”, un po’ dimenticato, ma una ventina di titoli sono ancora fruibili nel mercato vintage, “L’Eterno Femminino” no. È, spiega l’Associazione, “un vero poema in prosa, nel quale ispirandosi al cap. XXIV dell’Ecclesiaste, che tratta della Sapienza, e sostituendovi il termine di Eterno Femminino, attraverso un susseguirsi di significati analogici, affronta il tema dell’amore. Indicandolo come forza di unificazione ne segue le successive fasi di sviluppo che vanno dalle attrazioni primordiali tra gli elementi fisico-chimici, alla forza riproduttiva nel mondo vivente, alla funzione spiritualizzante che l’amore può assumere a livello umano, alla forza salvifica che gli ha attribuito Cristo. Il femminino, presente fin dalle origini del mondo, è stato, «il lieve fremito che ha insinuato negli atomi… l’inquietudine oscura e tenace di uscire dalla loro annichilente solitudine, per agganciarsi a qualcosa fuori di essi»”.
È, si può dire, il leitmotiv del papa in cattedra, Francesco, il papa gesuita. Ma con qualcosa in più, il sesso. La sintesi dell’Associazione dà nota di molte riflessioni di Teilhard de Chardin sul tema. Una in particolare è speciale, nell’ultimo saggio a carattere autobiografico, “Il cuore della materia”: “Mi sembra indiscutibile (de iure e de facto) che nell’uomo - anche votato, e per quanto votato sia, al servizio d’una causa o d’un Dio – nessun accesso alla maturità ed alla pienezza spirituale sia possibile al di fuori di qualche influsso ‘sentimentale’ che venga a sensibilizzare in lui l’intelligenza ed eccitare, almeno all’inizio, le sue potenze d’amore. Come non può fare a meno della luce, dell’ossigeno o delle vitamine, l’uomo – nessun uomo – può fare a meno del Femminino…”.
In una “Note de retraite”, appunto da pensionato, sembra anche prefigurare il presente, individuando un “falso femminismo”, che rischia di sopprimere l’evoluzione e la crescita  del femminile – il femminile ha questo dono, attira gli uomini e attira Dio.
Associazione Italiana Teilhard de Chardin, Il femminino ovvero l’unitivo, online

martedì 19 settembre 2023

Problemi di base di mercato - 769

spock


Extraprofitti delle banche con i tassi alti oppure con i costi moltiplicati, per i correntisti?
 
Perché tenere la liquidità in banca, a disposizione della banca, costa così tanto?
 
Perché i fondi comuni d’investimento perdono sempre, anche quando le Borse sono ai massimi?
 
Il libero mercato libera i tori (i ricchi)?
 
E le pecore?
 
C’è un mercato per tutto ma non per tutti?


spock@antiit.eu

Calabria bizantina, un monumeno di Orsi

Nel 1929 Orsi, già in pensione a Rovereto, dopo i quasi quarant’anni in cui aveva inventato, letteralmente, l’archeologia magnograca in Calabria (Locri, Crotone, Cirò, Sibari, Nocera Terinese). e anche in Sicilia, riunisce su suggerimento di Zanotti Bianco iI contributi che era venuto elaborando sul periodo bizantino della Calabria. Su chiese e monasteri dei monaci basiliani. Un patrimonio che in piccola parte, la Cattolica di Stilo, avev contribuito a recuperare e restaurare. Che poi sarà rivalutato recentemente, con i fondi europei per le culture minoritarie. Oltre la Cattolica, aveva studiato le chiese di San Giovanni Vecchio, sempre a Stilo, di Santa Maria di Tridetti a Staiti,  Santa Maria di Terreti, S. Adriano a San Demetrio Corone, in area albanese, il complesso Siberene a Santa Severina, il Patirion di Rossano. Quasi tutto il patrimonio bizantino poi recuperato, si può dire, con le sole esclusioni della chiesa e i monasteri di san Giovanni Therestì sopra Bivongi, e la Roccelletta di Borgia. Ora anch’essi restaurati. E una serie di monumenti in parte catalogati ma ancora in rovina. mancando un Paolo Orsi: la Panaghia di Caminia, l’eremo di Monte Stella. E altri semiabbandonati: il tempietto di San Giorgio a San Luca (di devastazione recente…), e rovine sparse sull’Aspromonte.
Un regalo. Donzelli ha ristampato qualche anno fa la riedizione 1992 del volume originario di Orsi (1929), per la cura di Carlo Carlino, con le foto d’epoca e i rilievi dell’assistente d Orsi, Rosario Carta. Una pubblicazione fuori commercio per gli Amici del Comune di Stilo, che la libreria Chiari di Firenze rende disponibile su amazon.
Paolo Orsi, Le chiese basiliane della Calabria, Donzelli, pp . 233, ril., ill,. € 19

lunedì 18 settembre 2023

Letture - 531

letterautore


Bocca al cucchiaio
– L’editore Bompiani ne fa un rituale contadino nelle memorie (“Dialoghi a distanza”), a proposito di Corrado Alvaro, uno dei suoi autori, di cui rileva: “Quel chinarsi continuo diventava rituale come i lamenti delle prefiche”.
 
Italo Calvino
– Fu “trinariciuto”: nel 1948 riduceva Orwell a “libellista di second’ordine”, scrivendone a Geno Pampaloni. In linea con Togliatti – “un’altra freccia aggiunta all’arco sgangherato della borghesia anticomunista”. Poi naturalmente ci ripenserà: “Che si sia tardato ad ascoltarlo e comprenderlo non fa che provare quant’era in avanti rispetto alla coscienza dei tempi”. Ma “La fattoria degli animali” fu un successo istantaneo e planetario all’uscita, nel 1945. E si voleva già nel titolo una favola, genere da Calvino prediletto, “Animal Farm. A fairy Tale”.
 
Cappello
– Fa, avrebbe dovuto fare, la rivoluzione, dopo aver fatto l’imperialismo? “Intorno a questo cappello, mentre la nave attraccava, si svolsero i suoi pensieri: i cappelli europei di tutto il mondo, sparsi fino ai confini della terra, come il segno di un dominio e un privilegio, come se coi cappelli si svolgesse un’intera civiltà e un modo di pensare: l’Europa, il suo potere di livellamento, la sua civiltà esclusiva, la sua forza”. Il protagonista di “L’ultima delle mille e una notte”, il racconto di Corrado Alvaro della raccolta “Il mare”, il lestofante Mosco, si salva per nave da Parigi a Costantinopoli. Dove, ha letto su un “grosso titolo” di giornale, “Mustafà Kemal sta per decretare l’abolizione del fez”. E dove un suo compare lo attende “sotto un cappello grigio a tese larghe che gli parve un casco coloniale”.
Il cappello è la civiltà, continua Alvaro. Sulla banchina Mosco incontra poi un vecchio che aspettava la gente allo sbarco e non vendeva altro che “quattro fiori di stoffa gialla e rosa”: “Parve a Mosco che quest’uomo fosse il simbolo di una civiltà intera, un essere ozioso contro la cui razza l’Europa faceva una delle sue conquiste. Quegli offriva delle rose, questi offrivano un cappello. Due cose che apparentemente si equivalevano, due cose oziose, e in esse erano due civiltà”.
Alvaro è stato da giornalista a lungo in Turchia, un’esperienza da cui trasse un libro di successo, edito da Hoepli nel 1931, “Viaggio in Turchia”. Sbarcò a Istanbul quando Kemal Atatürk decise di proibire il fez, e ne fa nel racconto una divertita anamnesi. Ma insiste sul fatto simbolico: “I cappelli, le automobili erano altrettanti segni di civiltà che non vuol morire, che si nutre della morte delle altre civiltà, che le adatta a sé e le uniforma, che vivrà fino a quando vi saranno delle terre da scoprire e da occupare. Occupare con qualunque segno”.
 
Grecanico
– La parlata greca nell’estremo lembo della Calabria, prospiciente capo Spartivento, Gerhard Rohlfs, che la studiava da vari decenni, rilevava nel 1969 limitata ai “piccoli centri isolati di Roghudi e Gallicianò, frazione di Condofuri” – mentre a Bova e Roccaforte, paesi più consistenti, Vua e Vunì in grecanico, la grecità rilevava “oggi quasi estinta”. Poi è venuta l’Unione Europea, con la protezione delle minoranze linguistiche, e molto si è potuto recuperare, un’ora di greco alle medie e le targhe stradali soprattutto, e i festival estivi – meglio è stato fatto in aree non grecaniche, col recupero di templi, conventi e riti greco-ortodossi.
 
Guerra - “Ormai eravamo vicini al fronte”, annota Orwell in “Omaggio alla Catalogna”, il ricordo del suo volontariato nella guerra civile in Spagna, subito dopo lo sbarco a Barcellona, “abbastanza vicini da percepire il tipico odore della guerra, che, per la mia esperienza, è un odore di escrementi e di cibo in putrefazione”.
 
Guerra di Spagna – “Circa duemilatrecento combattenti inglesi partono per la Spagna e, nel solo triennio 1936-1939, pubblicano settecentotrenta opere tra romanzi, raccolte di poesie e resoconti giornalistici (Emilio Sanz de Soto, “Les écrivains et la guerre d’Espagne”, “Le monde Diplomatique”, aprile 1997). Una guerra scritta.
 
Mazzini – Lo citano - lo ricordano - ormai solo le destre, il suo “Dio, Patria, Famiglia” è la trinità dei conservatori, secondo i manuali di Destra e Sinistra. E il cardinale Ravasi: sul “Sole 24 Ore Domenica” riprende il suo “Doveri dell’uomo”. Il cardinale si vuole pietoso?
Un’eclisse sintomatica? Di che? Dell’Italia unita – monarchica, piemontese? Dei doveri, repubblicani – nell’età dei diritti?
 
Narciso - È sdoppiato in Corrado Alvaro: è 
una coppia, e non esprime la superbia ma l’amore, come scoperta costante. “Conosco di te ogni cosa\ senza dirmelo, come d’una\  sorella andata sposa” – “Narciso”, in “L’Approdo Letterario”, n. 8, ott.-dic. 1959 (ora nella raccolta “Il viaggio”) – “non c’incontreremo più se ci perdiamo”.

 
Orwell – Il suo “Omaggio alla Catalogna” viene corretto dai traduttori, e anche dagli editori inglesi, come se non sapesse scrivere. Gli editori “da un certo momento hanno «corretto» il testo tradendo, quasi certamente, l’intenzione dell’autore”, sbuffa l’ultimo traduttore del ricordo della guerra di Spagna, Francesco Laurenti. In “Omaggio alla Catalogna”, spiega Laurenti, “Orwell crea una lingua modesta, ma non sgangherata (improntata all’economia linguistica e alla ripetizione), capace di parlare a tutti”. Per una “sua ambizione di letteratura socialista. Una lingua quasi orale e «demotica», ovvero quotidiana e tendenzialmente colloquiale”. Che rifletteva anche la composizione mista delle formazioni  di volontari, “la dimensione di peculiare eteroglossia, quasi postbabelica, che caratterizza il Fronte Popolare. Da attento osservatore degli accenti della lingua parlata e dello spelling, ripropone la molteplicità di voci ricorrendo ad accenti volutamente impropri e a trascrizioni «propriamente errate»”. Un fatto quasi sempre non tenuto in conto dai suoi traduttori, quasi fosse uno scrittore della domenica, da “nobilitare” con le regole della grammatica e della compitazione. Ma anche, ultimamente, dai suoi editori.   
 
Puglia – Non è teatrale? “La Puglia allora non era di moda”, commenta Cazzullo con Lino Banfi, che intervista sul “Corriere della sera” come “il grande vecchio” della scena: “Modugno passava per siciliano, Arbore per napoletano”. Allora negli anni 1950-60, all’avvio della carriera di Banfi in teatro. “Non avevamo tradizione teatrale”, risponde Banfi, “non abbiamo avuto Pirandello o Eduardo”. Dopo non ce ne sono stati molti, Banfi, Abatantuono da lontano, e Checco Zalone.
 
Roma – “Roma è una città che dei giorni pare dimenticata, abbandonata, morta, né più né meno che Palmira o Pompei.”, Corrado Alvaro, incipit del racconto “Quel giorno” (in “75 racconti”), di settanta-ottanta anni fa.
 
11 settembre – È sinonimo di Torri Gemelle, il primo atto di guerra subito dagli Stati Uniti sul proprio territorio. Ma è anche, lo era prima, la data del rovesciamento e l’assassinio di Allende in Cile, uno de tanti interventi, diretti o mascherati, degli Stati Uniti nel mondo nel dopoguerra. Quest’anno, ricorrendo i cinquant’anni dell’evento, l’11 settembre cileno è stato ricordato. Ma senza gli Stati Uniti – solo una spolveratina di Kissinger, degli anti-Kissinger. I due eventi nella stesa data si potrebbero collegare – astralmente?
 
Zona Lausberg – Dal nome del “romanista” (linguista) tedesco Heinrich Lausberg, che l’ha individuata e classificata un secolo fa (“I dialetti della Lucania meridionale”), è un’area dialettale lucano-calabrese, nella fascia delimitata figurativamente da Maratea-Senise-Tursi a nord, in territorio lucano, e Diamante-Orsomarso-Castrovillari-Cassano a sud che ha due tratti distintivi del sardo: il sistema vocalico e la conservazione delle –s e –t finali della coniugazione latina - il latino “cantas”, tu canti, è  “cändësë” in area Lausberg, “cántas” in sardo.


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L’antico greco in Salento e Calabria

“Saggi di storia linguistica” è il sottotitolo. Una serie di ricerche sulle “parlate italogreche (Calabria e Salento) nel complesso dell’Italia dialettale di oggi” - per Calabria intendendosi la parte Ulteriore, dai golfi di Lamezia e Squillace in giù. Rohlfs sosteneva convincentemente che queste persistenze - “grecanico” in Calabria, “grikò” nel Salento - sono derivate da sostrati antichi e non da colonizzazioni recenziori, bizantine, neogreche. Per alcuni costrutti che sono greci e non neogreci. Qui fa l’ipotesi che le persistenze non siano dei secoli della Magna Grecia ma della cristianizzazione, il greco essendo stato la lingua della prima evangelizzazione. Il cui uso sarebbe stato perpetuato in Calabria e Salento (le due regioni si sono scambiate la denominazione, Calabria, come è noto, era un tempo il Salento odierno) dai primi monaci e poi dai conventi. Una tesi che ritiene confermata dalla localizzazione del dialetto greco nel Salento, in un’area ristretta e omogenea, una sorte di isola: “Nel Salento si tratta, nella sua estensione originaria, di una regione unita, alquanto grande, che si stacca nettamente dal territorio linguistico romanzo – e si estende precisamente fra i due centri dell’antica grecità nel territorio messapico: Καλλίπολς e ‘Υδρους”, Gallipoli e Otranto.
Ricerche semplici, quasi tutte sull’uso comparato dialettale fra le tante località delle due aree, di serie di proverbi, sentenze, modi dire di uso comune. Appassionante, nel discorso per il conferimento della cittadinanza onoraria a Bova, in Calabria, la lunga elencazione di nomi, di persone, animali e cose, toponimi, modi di dire ritracciati tali e quali in Grecia, nell’onomastica e toponomastica classica e odierna. Specialmente elaborata la toponomastica greca nel Salento.
Con molte mappe dei luoghi citati. E indici dettagliati dei nomi, onomastico e toponomastico. L’ultimo saggio, circostanziato, è sul gioco dei dadi – degli astragali.
Gerhard Rohlfs, Calabria e Salento, Longo, pp. 208, ill. € 25

domenica 17 settembre 2023

Ombre - 685

Von der Leyen e Metsola per affrontare il problema migranti, socialisti per l’impossibile via libera. Mai fare accordi con i governanti africani è il mantra di Borrell e Iratxe Garcia, i due spagnoli che capeggiano l’uno la politica estera Ue e l’altra il partito Socialista al Parlamento europeo. Che dalla Spagna vengano lezioni di democrazia sembra difficile. Ma trovano eco immediata in Elly Schlein, oca giuliva: mai fare accordi con i “dittatori” africani. Anche se l’unico, e funzionante, è stato fatto da Minniti, del (vecchio?) Pd, il partito che pare sia di Schlein.
 
“’Ndrangheta dominatrice assoluta della scena criminale”, alla luce di una “struttura coesa”, “delle sue capacità militari”, “e del forte radicamento nel territorio” – così, con queste citazioni, “Il Sole 24 Ore” può sintetizzare il rapporto annuale della Dia, la Direzione investigativa antimafia. È un mantra della Dia, che lo ripete ormai da vent’anni, da quando ha scoperto la ‘ndrangheta. Ma tutta questa “scena criminale” in Calabria? Sarà di fatto la regione più ricca in Italia.
 
In particolare la ‘ndrangheta della Dia domina, oltre quello della droga, i mercati del Superbonus e del Pnrr. Qui però non ci vuole intelligenza, oltre che violenza? O entrature? Abitando a Roma, si direbbe che il Superbonus sia stato monopolizzato piuttosto dal Vaticano, che ha potuto mettere sul le enormi cubature inutilizzate dei tanti ordini ormai esausti, comprese le chiese sconsacrate. Con la garanzia, molto vaticana, che le pratiche (istruttorie, licenze, permessi, cessione crediti etc.) sono istantanee, e inattaccabili.
 
Il debito pubblico mondiale ammonta a 235 trilioni di dollari (235 mila miliardi), calcola il Fondo Monteraio Internazionale. In calo per il secondo anno consecutivo, ma sempre superiore ai livello pre-covid – la spesa pubblica si è impennata per rivitalizzare l’economia dopo il covid. È comunque il 238 per cento del pil mondiale. Il mondo vive su una bolla.
 
“Se pensiamo che nel 2025 la Nigeria sarà più popolosa di tutta l’Unione Europea capiamo a che cosa stiamo andando incontro”. Semplice, no? Ma lo dice Marion Maréchal, della famiglia Le Pen, e quindi non esiste.
 
“La sinistra italiana è l’unica forza politica al mondo che vuole tassare di più i suoi elettori, ma questo è un altro discorso”, Aldo Cazzullo sul “Corriere della sera”. No, è il discorso. Di un’insipienza, dai tempi di Berlinguer, cinquant’anni fa – quando Di Mattia e Desario alla Banca d’Italia ammonivano che il risparmio era anche operaio (ma anche Carli, col “debito pubblico tesoro degli italiani”). Ammonivano a nessun effetto, la sinistra è dei signorini, che come i muli vanno col paraocchi. Con le tasse dirette e la pioggia di tasse indirette – le “patrimonialine” che si inventano per “fare il bilancio”, che tutti paghiamo, ogni poche settimane
 
L’Italia è nata col debito. Che ogni pochi anni la mette in crisi. Il fatto è ricorrente – e noto: è in tutte le storie economiche, molto chiara la più economica di tutte, di Carlo Cipolla, “Storia facile dell’economia italiana”, negli Oscar. Ma aggravata dall’entrata nello Sme-euro senza un consolidamento preliminare. Ciampi e Draghi confidavano nel “vincolo esterno”, nella virtù imposta da Francoforte, che invece ha acuito la questione debito.
 
Le donne non si fidano, una (quasi) su due, se ha risparmi, li tiene liquidi sul conto. All’indagine Unicredit si dichiara “avversa al rischio” quasi una donna su due, il 43 per cento. Si può criticarle, se non si fidano dei fondi comuni, che tanti danni hanno provocato e provocano, che le banche tanto raccomandano, e quasi impongono – un terzo, un terzo e un terzo?
 
Quando Bianca Berlinguer era in Rai il suo programma era mediocre e gli ascolti modesti. Ma nessuno lo diceva. Ora che è passata a Mediaset, subito Aldo Grasso (“non ho bisogno di guardare il suo programma, è al solita pagliacciata”), condanna il programma, la sua carriera in Rai, e perfino
il nome.
 
Milena Bertolini non si pente di nulla dell’incredibile Mondiale nel quale ha affossato la Nazionale femminile di calcio. Tre o quattro gol in fotocopia, tutti di testa su corner, altrettanti in superiorità numerica. Anzi, dà la colpa alle ragazze che diceva di voler proteggere e valorizzare. E poi critica il nuovo allenatore,”un ritorno al patriarcato”. Può fare peggio del matriarcato?
 

L'occhio di Marx su Silicon Valley - con l'Ia torna il lavoro

L’industria tecnologica o Silicon Valley è un posto dove “il denaro gener a denaro con una facilità che che avrebbe fatto piangere Andrew Carnegie”. In una forma di capitalismo di “carattere nevrotico”, che con una mano patrocina e finanzia partiti e politiche progressiste e con l’altra preserva e impone “una struttura sociale profondamente iniqua”. Per un  difetto di origine. “Internet è un caso particolarmente forte di un’industrtia basata sull’innovazione finanziata dal governo. Ci sono voluti miliardi di dollari di denaro pubblico e decadi di gestione pubblica per creare la rete. Quando la nuova infrastruttura cominciò a funzionare, i privati se ne sono appropriti, destinandola a un uso puramente commerciale. “Ora subiano le conseguenze di quella decisione. Un internet dominato dal profitto viola la nostra privacy, amplifica la propaganda estremista, e intensifica varie specie di ineguaglianze sociali”.
Anche dal punto di vista industriale, è un settore che ha creato poche strutture solide. Il costo crescente del denaro per effetto dell’inflazione, e il rallentamento conseguente dell’economia, anche per effetto del covid, hanno ridimensionato le valutazioni, e ridotto i margini: “Centinaia di migliaia di operatori del settore sono stati licenziati”. Era un settore peraltro presto diventato maturo. La via d’uscita delle criptomonete si è presto sgonfiata. Lo stesso il metaverso. Ora si punta al rilancio con l’intelligenza artificiale, ChatGPT, Midjourney, etc. Che potrebbe avere, quest’ultima, un impatto socialmente positivo: “È importante notare che l’IA generativa è una tecnologia ad alto impiego di manodopera”.
Tarnoff, un economista che ha cominciato a lavorare proprio nella Silicon Valley, nella tech industry, recensisce due libri sulla storia del settore, ma con una vasta esperienza critica pregressa – è autore di numerose pubblicazioni socio-storiche, ultimo “Internet for the People”.
Marx che c’entra? Ha insegnato che la storia “ha una struttura”. Che non è “una sequenza puramente casuale di eventi che possono essere espressi come la somma di scelte individuali”. Ci sono anche limiti e vincoli.  Specie quelli economici, di “come la società produce le cose di la rete ha bisogno”. Un “approccio materialista” che torna specialmente utile nell’industria tecnologica, la quale non si mitizza nelle figure di questo o quell’innovatore, Steve Jobs o Mark Zuckerberg, ma è fatta di idee, mezzi, strutture, e fallimenti.
Ben Tarnoff, A Marx for all seasons, “The New York Review of Books”. 21 settembre