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sabato 2 marzo 2019

Appalti, fisco, abusi (147)


Si promuove sui media Tim, una società di servizi inesistenti, fallita di fatto, se non come gestore della rete telefonica, il vecchio monopolio. Senza una politica commerciale – ha un sito impraticabile, e il 187 ha messo in disarmo. Alfiere della raddoppio del canone rete, due anni fa. Nonché del mese di 28 giorni, poi - dopo due anni - dichiarato illegale.

Si finanzia con 6 mila euro l’acquisto di un’automobile tutta elettrica da 50 mila euro, “per ridurre l’inquinamento”. Si costringe il cittadino medio, speculando sulla protezione ambientale, a finanziare un ristretto numero di riccastri, quelli che possono permettersi una seconda o terza macchina semi-inutilizzata (non ci sono le colonnine per la ricarica delle batterie), da 50 mila euro.

Dopo l’austerità come rimedio sbagliato anti-crisi, la Germania ha imposto quattro anni fa il bail-in, un rimedio alla crisi delle banche “affrettato, punitivo, dannoso” ora a giudizio di tutti – svalutare o azzerare le obbligazioni emesse per finanziarsi, e i depositi sopra i 100 mila euro (azzerare i depositi…). Un errore ci può stare. Ma 26 paesi erano con la Germania per il bail-in, e questo dice lo stato della Ue.

Prenotazioni bloccate delle visite specialistiche negli ospedali romani a scadenze variabili – si aprivano le “finestre” (si bloccavano le prenotazioni) per sei mesi, poi per tre, poi per uno, adesso si va a caso, bisogna  chiedere ogni giorno. Ma i Cup hanno centralini finti, i numeri sono sempre bloccati.

Cronache dell’altro mondo 26


Indici di gradimento negativi, si stoppa subito lo scandalo della deposizione in diretta tv di un ex avvocato di Trump contro Trump. Un avvocato di nome Cohen, tirato fuori da Trump dal recupero crediti, che si fa giudice morale non è piaciuto, ai bianchi e nemmeno ai neri, al secondo giorno non se ne parla più: il moralismo è etnico, e bennato. Il partito Democratico, che ha voluto Cohen a testimoniare solenne in Congresso, fa finta di nulla.
Da oltre due anni una Procura Speciale, di cui l’avvocato Cohen si è fatto testimone,  indaga sui rapporti fra Trump e la Russia. Con molti mezzi, senza risultato.
Le Procure speciali sono dei paesi in guerra o totalitari - la giustizia è una sola nei regimi costituzionali. Ma in America sono pregiate.
L’esito del Russiagate però si sa già. Il Procuratore Speciale non proverà nulla, a quel che si capisce, ma tutti potranno dire che Trump è al soldo di Putin. Come per la Commissione Warren, l’indagine speciale sull’assassinio di John Kennedy e i due assassinii susseguenti, dell’assassino di Kennedy, e dell’assassinio dell’assassino - dentro una stazione di polizia. L’America vive di verità nascoste, e se ne compiace. Per questo ha molte polizie “speciali”, Cia, Fbi, Nsa e una dozzina di altre.
L’istruttoria “speciale” sui rapporti Trump-Russia è stata azionata da una spia inglese. Una ex spia che vende i suoi servizi, che la Cia ha comprato. 

Il giallo del giornale comprato


Una “scalata” a un quotidiano. A un giornale quotidiano.  Una “scalata” a un giornale quotidiano? Ma non è follia, è materia di giallo – questo primo giallo di Corrado Augias, allora con Daniela Pasti, lui ex capocronaca di “la Repubbblica”, lei redattrice. Non molti anni fa.
Un giallo trasposto subito poi al cinema, da Carlo Vanzina. Con Gian Maria Volonté nei panni del direttore che non si arrende – Scalfari, l’allora direttore di “la Repubblica”. Con le musiche di Morricone. Un film prodotto da Berlusconi, che uscì quando Berlusconi acquistava Mondadori, dopo averla salvata comprandole la fallimentare tv, Retequattro.
Un giallo molto retrò, ma di non molti anni fa, i primi 1990. Una furibonda lite seguì tra De Benedetti, il padrone attuale, che aveva comprato anche lui Mondadori da altri aventi causa, e Berlusconi - finita con la divisione: a Berlusconi la casa editrice con i periodici, a De Benedetti la quota Mondadori di La Repubblica-L’Espresso (che poi si prese per intero scontando una vecchia nota di pegno di Scalfari e Caracciolo). Si compravano giornali. Si litigava per comprare giornali. Periodici che ora vanno alla chiusura, “Panorama” e “L’Espresso”, mentre la corazzata “la Repubblica” macina perdite benché stringa a ogni passo la cinghia.  
La rilettura ha un fascino surreale. Augias e Pasti immaginano un giallo che di lì a poco si sarebbe realizzato nei fatti. E poco dopo, già dieci anni fa, sarebbe stato un giallo in sé, un rebus - comprare un giornale? Ma in filigrana, non voluta dagli autori, c’è già la perdita di peso dell’informazione giornalistica, dell’industria giornalistica come informazione, che poi approderà al satira di Eco, “Numero zero”.
Corrado Augias-Daniela Pasti, Tre colonne in cronaca

venerdì 1 marzo 2019

Il Re Fuso

La Raggi Virginia sindàca
Di Roma trasformata in cloaca
L’eccidio delle Fosse Ardeatine
Prese per fossa delle Aleutine
L’orrore trasformando in errore

Ombre - 453

“Il problema vero è la distruzione della classe media, unica guardiana della democrazia”: è l’analisi della crisi greca che fa a Nicastro, sul “Corriere della sera”, Petros Markaris, il giallista greco-tedesco che si vuole comunista.
 
Il debito pubblico italiano è cresciuto dal 2014 di 138 miliardi, quello tedesco è diminuito di 63. L’economia tedesca è cresciuta, ben fuori dalla crisi del 2008, quella italiana ristagna, sempre nella crisi.

Pina Montanari, l’assessora dimissionaria all’Ambiente, la settima o ottava dimissionaria di due anni e mezzo, non le manda a dire alla sindaca Raggi, si fa fare un’intervista dal “Corriere della sera” e afferma: “A Roma hanno prevalso gli amici di Lanzalone, sono loro che governano la città”. L’avvocato Lanzalone è l’affarista tutore, su mandato di Grillo e Casaleggio, della sindaca Raggi, arrestato per corruzione nell’affare dello stadio della Roma. Silenzio di tomba dal Campidoglio: saranno morti asfissiati dai propri miasmi?

I 5 Stelle che scendono in Sardegna in dieci mesi dal 46 a meno del 10 per cento dei voti – a Cagliari al 6 per cento – dicono il voto irrelato all’offerta politica. Tanta volatilità svuota il voto di senso politico, bisogna rifletterci.

L’exit poll delle regionali in Sardegna è sbagliato di quasi quindici punti. Cioè non è sbagliato, è artefatto. È l’opera di un consorzio di specialisti, compresi Piepoli e Noto. Volevano rincuorare il Pd, per una notte e una mattina? Gratis?

Stella deride sul “Corriere della sera” Solinas, il candidato di destra in  Sardegna, sul filo di “Chi l’ha visto?”, oscurato da Salvini. Poi questo Solinas prende quasi un voto su due, dodici o tredici punti sopra i voti delle liste che lo sostengono. Giornalismo militante – e pro Pd o 5 Stelle? Giornalismo seduto, dell’ideuzza da elezeviro – domani è un altro giorno?

Ci sono morti, anche drammatiche, alberi sradicati a migliaia, treni fermi nella campagna aperta, al freddo, di notte, senza acqua né altro conforto per i viaggiatori, ma il Tg 1 è in flessibile: prima il papa, poi Salvini e Di Maio, con tutti gli altri dichiaratori, dodici minuti, che in tv sono un’enormità, e finalmente le notizie. Poche, svogliate. Si può capire che gli italiani odino Renzi, che l’abbonamento Rai ha messo in bolletta.

Francis Fukuyama è un profeta screditato, avendo statuito la fine della storia con la fine dell’Urss. Ma dice bene della sinistra, presentando il suo ultimo saggio,”Identità”, della sinistra divenuta liberista: “È difficile vedere la differenza tra un cancelliere socialdemocratico come Gerhard Schrōder e una democristiana come Angela Merkel”. O l’ineffabile Bersani, ora sinistra estrema, con le sue “lenzuolate” di liberalizzazioni.

Un autogol al primo minuto, e un rigore contro che non c’è al 101mo, record di durata per una partita di calcio, mentre il suo miglior calciatore e il più pagato si rifiuta di giocare: l’Inter è sicuramente sotto malocchio, uno potente. Il problema è: cosa ha fatto l’Inter per meritarsi tale fattura?

Santevecchi racconta sul “Corriere della sera” di un giovane calciatore della squadra cinese di Zhang, il padrone dell’Inter, protagonista di imprese calcistiche già storiche per la Cina, confinato per un anno in un “campo di rieducazione” perché islamico, e ribattezzato con nome cinese. Senza scandalo, né in Cina né in Italia né all’Inter. Si dà per scontato che la Cina, per essere diventata il polmone dell’economia globale, sia un paese normale: tutto vi può succedere.

L’Italia ha superato la Francia, che per tradizione tesaurizza in oro, negli investimenti nel metallo prezioso. Da una diecina d’anni – dal 2009, documenta Leonard Berbeni su “Liberi tutti”, il supplemento del “Corriere della sera”. Gli italiani sono stati sempre grandi risparmiatori, i più risparmiosi al mondo con i giapponesi. Ma preferivano il mattone e i Bot, cioè impieghi redditizi. Ora prevale la sfiducia, se l’impiego è non per un guadagno ma per la sicurezza – come in tempo di guerra.

L’impegno per gli investimenti pubblici, contro la politica Ue di austerità, si ferma dinnanzi al primo appuntamento: no Tav. Schizofrenia? Dilettantismo? Corruttela (“rifamo gli appalti”?)


I candidati “democratici” in Ucraina, che l’Occidente democratico appoggia contro la Russia, sono plutocrati e anche delinquenti – bancarottieri, concussori. Morire per questa Ucraina?

Bruciante sboccio della pubertà

Un barone in vacanza al Semmering, la Cortina della bassa Austria, solo e annoiato, si studia di rimorchiare “una di quelle donne ebree”, chissà perché ebree?, “un po’ formose” - e ancora:  “di borghesia ebrea benestante”. In mancanza di meglio: è l’unica presenza femminile in albergo. Facendo leva su figliolo di lei. Sull’attrazione, paterna e avventurosa, che sa esercitare nel ragazzo.
Zweig è per Mittner “lo scrittore che ha introdotto in letteratura la psicoanalisi”. Qui scrive uno dei tanti racconti-operetta della Vienna da operetta Fine Secolo, fine Ottocento - anche se nella trenodia mitteleuropea si immortala come “Grande Vienna”, la città di Freud, che Zweig dichiarerà “grande amico e maestro”, e del movimento letterario Jung Wien. Poi l’aneddoto piccante - si dice per dire - diventa dramma. Che infine si risolve per il meglio: dal boccio irrequieto della pubertà un giovane è nato. 
È un racconto che Zweig pubblicò nel 1911 insieme con altri tre sotto il titolo “Erstes Erlebnis – Vier Geschichten aus Kinderland”, la prima  esperienza, quattro storie dal mondo dei bambini.  Nel solco aperto da Wedekind, 1891, “Risveglio di primavera”, con Hauptmann, “Hanneles Himmelfahrt”, 1893,  l’ascesa al cielo di Hannele, Hesse, “Sotto la ruota”, 1904, e Musil, “I tormenti del giovane Törless”, 1906.
Bruciante è la cifra del racconto: il segreto del titolo, il “veleno della seduzione”, le lacrime. Il “cacciatore di gonnelle” è un vero cacciatore, uno di quelli “sempre colmi di passione” e “costantemente in agguato”, “sempre pronto e decisi a seguire le trace di un’avventura fin sull’orlo dell’abisso”. Fiuto, passione, tracce, avventura, abisso, l’intruglio è del dramma. Ma con una psicologia femminile che sembra d’improvviso adusta, anzi polverosa: se non proprio una rivoluzione, una mutazione antropologica – o bisogna dire ginecologica? – è intervenuta, è in atto. Certo, Zweig non ne ha colpa, il mondo di Vienna si vuole immutato, immutabile.  
Resta la parte parallela dell’adolescenza turbata. Dell’emancipazione dell’adolescente dal limbo infantile. Un esercizio della psicologia dello sviluppo.
Stefan Zweig, Bruciante segreto, Adelphi, pp. 113 € 10

giovedì 28 febbraio 2019

Secondi pensieri - 378

zeulig


Conoscenza – “L’eccesso di conoscenza ci rende insicuri”, è tema brusco di Georg Groddeck, “Questione di donna”. Il dottor Groddeck aveva fama di taumaturgo e ciarlatano. E si esprime oracolare in questo suo primo saggio, “Questione di donna”. Ma gli argomenti ci sono: “Il mondo può vivere senza sapere, l’uomo può pensare senza la conoscenza. Essa è un pericolo per chi ha scoperto una nuova verità. Perché la verità non si può sapere, ma soltanto credere. E che cosa potrebbe essere più incredulo del sapere?”
Con la coda velenosa. “Il sapere è eternamente sterile. Soltanto il dubbio sparge a piene mani il seme della speranza nel cuore dell’uomo. Da esso scaturisce divina l’idea e si protende verso la luce…. Il conosciuto è inattaccabile. Il mondo muore, quando diventa sapiente”.

Galileo - Fu rivoluzionario per credere alla rivoluzione dei pianeti, per il resto era papalino. E qui era forse l’insidia per i suoi sofisticati accusatori: Galileo stava alle cose che vedeva. E coltivava l’eleganza: la misura e l’ordine nelle cose riflettono la loro verità.

Machiavelli aveva anticipato Galileo. Hobbes, che aveva tradotto Tucidide, e Grozio ne applicarono il metodo al corpo politico, Spinoza all’etica, Leibniz alla terza, o seconda, guerra di successione al trono di Polonia.

Leggere – “Il leggere e lo scrivere cancellano le differenze nel conoscere”, G. Groddeck, “Questione di donna” (“L’Impero Bizantino”).

Machiavelli – Se ne registra un imprevisto ritorno, in studi e “biografie” (Asor Rosa, Michele Ciliberto, Francesco Marchesi, altri), come antidoto all’antipolitica, che è il fondo del contemporaneo populismo. Come di un notaio della politica, della politica come scienza o arte. Come tale era stato vissuto nei secoli anche dagli anti-Machiavelli professi, da Federico I di Prussia a Carl Schmitt - per non dire dei “machiavellici” mascherati, da Carlo V a Mitterrand.
Asor Rosa, “Machiavelli e l’Italia. Resoconto di una disfatta”, mette a confronto vantaggiosamente – ma ci vuole poco – Machiavelli con l’Italia di oggi, la sua Italia con quella che viviamo. Nulla di nuovo, ma in una prosa curiosamente poco machiavelliana, ispirata e quasi profetica. Ciliberto lo vuole fuori dall’“armonia rinascimentale”, uomo e pensatore delle disarmonie – dei conflitti, le tensioni, le sconfitte. Anche se era storico, e storico ferrato? Non ha interesse filologico e la storia dice ciclica. Ma inerte? No, immutabile come la natura umana, e come essa “accidentale”, di forme variegate. Un disincarnato, al contrario del Machiavelli corpo e spirito di Asor Rosa,  pessimista: si fa il bene per caso e per necessità. “Ragione e pazzia” Ciliberto intitola il suo studio, di un uomo e intellettuale che viene sulle ali di Lucrezio e Savonarola, e avvia “tangenze” con Giordano Bruno.
Machiavelli è un pretesto.

Machiavelli è l’uomo dei suoi anni. Compresi tra due date memorabili, 1492-1526, dalla morte del Magnifico - al cui omonimo Lorenzo II è dedicato il “Principe”, il Medici che lo ha bandito da Firenze dopo la Repubblica – al Sacco di Roma. Scanditi dalla “calata” funesta dei francesi di Carlo VIII e dall’invadenza ispanica, nefasta sotto ogni aspetto, allora e dopo. Allora, negli anni della “grande catastrofe”, Asor Rosa la registra, per i destini dell’Italia. Alla quale l’attività politica e le scritture di Machiavelli sempre si rapportano. Da intellettuale più che da uomo pratico o d’azione, conscio dei suoi limiti, ma non per questo meno appassionato.
Sa che lo Stato si edifica sulle masse, la forza è eversiva solo se ampia. E “non ci lasciano spostare un sasso”, constata col suo “compare” Vittori: l’intellettuale-massa è solo.

Il suo principe è un condottiero, uno che fatica, rischia ogni giorno la morte, e si esercita in accortezza, nella politica, gli affari, i matrimoni, per poi magari, quando ha conquistato una città o una signoria, perderla di colpo. Non per il fato, o la superiorità del nemico, ma per essere quello che è, un avventuriero. Uno cioè che vive la vita – oggi si direbbe: produce reddito. Anche il principe è solo, ma per essere senza masse.

Machiavelli viene, come Hobbes, da guerre endemiche, anche civili. E operò e scrisse per – a favore di – un “dovere di libertà”.
È, con Hobbes e Marx, un grande liberale realista. Un libertario cioè - il liberalismo conseguente è libertario. Allegro furioso del vivere libero ma realista, la virtù dice insieme golpe e lione, sa che il bene può giovarsi del male.
Gli svizzeri “godonsi”, spiegava a Vettori, “sanza distinctione alcuna di uomini, una libera libertà”. Sa che la libertà può essere suddita.
Esorcizzava il potere, non lo insediava o imponeva – restò inapplicato per questo. Non ne ha ricette, eccetto che la passione, o ideologia, repubblicana. Intraprese la costruzione d’un nuovo Stato a partire dal nulla, con la follia dell’utopista rivoluzionaria. Non ce la fece. Lui non era un capo, altri non ce n’erano - Cesare Borgia non era male, se matò mezza dozzina di tori selvaggi in una volta, ma è personaggio da western.

Il Nord popolava di dei, dove è “residuo di libertà e antiche virtù”, quei popoli non avendo potuto “pigliare i costumi di francesi, spagnoli, italiani, le quali nazioni sono la corruttela del mondo”. In quello che fu il posto delle utopie. A lungo fu il Nord posto di utopie, la mitica Thule scoperta da Pitea di Marsiglia, gli Iperborei, gli Atlantidi, un non luogo.

Non era machiavellico. Altrimenti avrebbe scritto sermoni edificanti, vite di santi – l’Aretino lo faceva, per infinocchiare il papa. Un “Antimachiavelli” è invece ottima opera machiavellica.
Fra gli anti-Machiavelli si segnala il Possevino, il gesuita di origini ebraiche che viaggiò molto per la Moscovia. Uno che, scoprì Puškin, “non aveva mai letto Machiavelli, lo criticava per sentito dire”.

Un concetto del machiavellismo è stato  elaborato negli anni 1960 dal Machiavelli Studies Center dell’università di Washington: del politico come stratega, la cui passione è “vedere” la storia nel suo farsi, non curandosene o lasciandone a altri la cura, malgrado l’attivismo, o l’attivismo della fantasia, con amici e corrispondenti.

Puritanesimo – Un puritano trova sempre un puritano più puritano di lui, è vecchia saggezza. Il puritanesimo è una forma di estremismo (fondamentalismo), non una serie di leggi né una scala di valori.

Storia – “Il mestiere dello storico è serissimo, patetico, inutile e terribile”, Sergio Luzzatto: “Quando si cerca di farlo con serietà  e metodo la posta è alta.  Ma la storia non è maestra di nulla, e lo storico, fra le tante cose che non riesce a fare, non può medicare le ferite. È inutile perché non cambia il passato, e terribile perché insiste su queste lacerazioni”.

zeulig@antiit.eu

L’imperialismo zoppo - cronache dell’altro mondo 25

Il Trump “bugiardo, razzista e truffatore” del suo ex avvocato Michael Cohen apre un’altra lunga stagione dei veleni, almeno fino a fine 2020, a fine mandato di Trump. Che l’avvocaticchio a percentuale contro le assicurazioni, e pentito di comodo, potrebbe aiutare a rivincere - la deposizione sgraziata non mancherà di spargere risentimenti razziali. Se non lo porterà prima alle dimissioni o al carcere.
La novità della deposizione è la conferma dell’aria da marcio impero nella quale gli Stati Uniti si ravvoltolano. Col finto puritanesimo. Con l’elezione di Trump e con l’esecrazione di Trump – non una sola esercitazione critica sul “fenomeno Trump”. Con i continui processi politici e lo svuotamento del voto – il “tiro al piccione”, o lame duck, l’anatra zoppa, esercizio caratteristico dei media americani, è ora inesauribile, perfino preventivo. E soprattutto con la scelta del partito Democratico di fare lo show Cohen solenne il giorno in cui Trump provava a disinnescare la minaccia coreana. La mina più pericolosa per la pace mondiale secondo l’opinione che gli stessi Stati Uniti da un decennio hanno imposto al mondo.
Una vicenda di squallore morale, quella di un avvocato “contingency”, senza scrupoli per definizione, eretto a moralizzatore. Ma non privata, né domestica: anche questo conta e conterà nel ruolo degli Stati Uniti nel mondo. Se non per l’Europa, che “esiste” poco e male, sicuramente per gli asiatici, da Beirut a Tokyo.
Per più segni bisogna prendere atto di un mondo non più americano: la pax imperiale a stelle e strisce è in fase regressiva, acuta, rapida. Di programma col remissivo Obama, di fatto con l’aggressivo Trump. 
Questo apre degli spazi, per esempio all’Europa. Oppure dei vuoti.

Un incesto da Nobel


La confessione di una passione incestuosa. Italiana in realtà e non africana - tra due giovani italiani a Tunisi. Improvvisa e bollente, per lunghi anni. Poi di colpo spenta, in un reciproco ignorarsi, e nella sciatteria, dei corpi e delle anime.
Una confessione non eccezionale, se non per la trasgressione – il racconto è del 1930. Ma faciliterà il Nobel per la letteratura nel 1937, uno dei tanti Nobel francesi venuti dal nulla.
Roger Martin du Gard, Confessione africana, Adelphi, pp. 62 € 6

mercoledì 27 febbraio 2019

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (389)

Giuseppe Leuzzi


Solinas, nome che più sardo non si può, il primo autonomista sardo al potere dopo decenni, è l’uomo della Lega. Il primo partito della Sardegna è la Lega – non in percentuale, il primo nominalmente è il partito Democratico, ma sì nel sentiment. Si realizza la modesta proposta del nostro “Fuori l’Italia dal Sud”, 1992, di un trasferimento in massa del Sud al Nord. O è l’inverso, il Nord che finalmente occupa il Sud, per davvero?

Solinas del resto, segretario del partito Sardo d’Azione, è già senatore della Lega, da marzo.  Mentre Salvini, il capo della Lega, diventava senatore della Calabria – subito dichiarando: “Adoro il peperoncino e la ‘nduja”, che i calabresi non usano, non specialmente. Ma della Calabria Salvini è stato dichiarato senatore perché, delle quattro circoscrizioni in cui era candidato, è stata quella dove ha avuto meno voti. E perderà il seggio, a vantaggio della candidata di Forza Italia, Fulvia Caligiuri, la presidente di Confagricoltura Cosenza, dopo il ricalcolo del voto – diventando senatore del Lazio, la seconda circoscrizione che gli ha dato meno voti?

È mafia anche in Olanda. Alessandra Coppola documenta sul “Corriere della sera” la potentissima industria dell’ecstasy, una miniera d’oro criminale. Che in un paese piccolo densissimameme popolato si penserebbe non clandestina. Ma due libri la consacrano, “Macro Maffia”, di Wouter Laumasn, e “Maffia Paradijs”, di Koen Voskuil, due giornalisti. E non la limitano alle pizzerie “italiane”, né alla ‘ndrangheta – l’inchiesta calabrese “Pollino” ha portato due mesi fa a molti arresti ma senza effetti sul business.
  
“La stagione della caccia”, il film di Rai 1 sulla storia pirandelliana di Camilleri, della vendetta inacidita, è praticamente parlato in siciliano, senza sottotitoli. Si parla molto siciliano e napoletano in televisione, specie nei serial. Non lombardo o veneto, come voleva la Lega. Non gli conviene? Non si capirebbero – gli altri e loro stessi?

Grecale, il vento che ha ucciso nel week-end tante persone e sconnesso i trasporti, “la bora del Sud”, periodico e violento, tre giorni di freddo e gorghi, tortuosi, imprevedibili, così battezzato perché verrebbe dalle isole ioniche della Grecia, tra Zante e Corfù. è in realtà l’effetto dell’aria fredda del Nord Europa che si scatena al contatto con i climi miti del Sud. Correnti più violente perché vi penetrano da una sorta di gola, la strettoia del Quarnaro in Croazia, “dove l’aria si comprime e accelera”, dicono i climatologi. Oppure s’infilano tra il Montenegro e l’Albania. Dal Quarnaro il grecale si abbatte sulle Marche, l’Abruzzo e il basso Lazio, superando agevolmente l’Appennino, montagna molle. Dalle isole ioniche sulla Puglia e la Calabria, ionica e tirrenica – ma si fa sentire anche sulla Sicilia orientale, e fino a Malta.
Un’eredità “greca” indigesta – solo dannosa. O si convalida l’ipotesi nordica che i greci erano iperborei?

Il populismo dei ricchi
Il populismo è dei ricchi? In Italia sì, il suo principio e fondamento è la Lega. Che spopola a partire dalle regioni più ricche, la Lombardia e il Veneto, e dilaga in Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana, Liguria. Ora cresce anche al Sud, in Sardegna dopo l’Abruzzo, ma con jiuicio. A un Sud comunque che la recepisce per il suo messaggio elitista, contro le invasioni, eccetera.
Si vuole l’ondata politica populista legata al risentiemnto. Dei poveri o marginali, dei licenziati, dei disoccupati di lungo periodo, dei giovani lasciati fuori dalla globalizzazione, dalla “finanziarizzazione”, dal capitalismo selvaggio che si erige a mercato. Questo è certamente il caso del coagulo britannico che ha portato alla Brexit, dei gilets jaunes francesi, di molto movimenti di eestra e estrema destra in Grecia e Spagna, oltre che nell’Est Europa. Mentre nei paesi più ricchi, Germania, Olanda, Svezia, è il nazionalismo identitario, quando non razzismo, contrio l’immigrazione.

Più inetti che poveri
Quanto se la passa male il Sud? Non molto. E quello che gli manca è tutto causa sui, per colpa sua. Per la politica specialmente, inefficiente e corrotta in troppi casi, al limite del ridicolo – l’attesa spasmodica del reddito di cittadinanza il Sud sempre avvinto alla politica come elemosina. E per la Funzione pubblica, l’amministrazione, la burocrazia, in massima parte essa stessa espressione dell’elettorato, tanto spietata nei dettagli minimi, le forme, le formule, quanto inerte o incapace nel fare, sia pure riparare una strada o un ascensore.
Di questo si può solo dire, non c’è il dato certo – ma è sotto gli occhi di tutti. Avendo visto “Le Iene” domenica anche in abbondanza e nello scoramento: un ospedale che spende il doppio di uno di Milano che ha il doppio dei suoi posti letto, 800 milioni per 400 posti letto contro 400 per 800, ha gli ascensori fuori uso, da anni, non ha i primari, ha crepe e sporcizia dappertutto, e una dirigenza nominata senza concorso che non sa o non vuole fare un bilancio, e non sa altro che pagarsi lo stipendio, a Locri, la prima colonia greca, sede di Tribunale e di Procura. Un ospedale creato dalla famiglia Laganà, Mario potente democristiano della corrente di Colombo, nominato nel 1980 fra i cento uomini più potenti d’Italia, poi passato alla Margherita e al Pd, e la figlia Maria Grazia, chirurgo nello stesso ospedale, e senatrice Pd. Che resistettero anche alla mafia: Maria Grazia è vedova di Francesco Fortugno, sindaco e primario dell’ospedale cittadino, professore a Medicina a Catanzaro, assassinato in qualità di vicepresidente del consiglio regionale.  
Locri dopo Polistena la domenica precedente. Un ospedale creato dalla passione e la cura nell’ultimo Novecento, non millenni fa, di due politici di eccezione, benché di opposto credo, il rosso Girolamo “Mommo” Tripodi e il nero Raffaele Valenzise. Si dice barbarie, l’insorgenza democratica non governata, anarcoide. Ma la stupidità esiste anch’essa, perché escluderla - ci sarà la stupidità di ritorno, come c’è l’analfabetismo di ritorno? Si diceva un tempo buttarsi la zappa sui piedi, avere un tesoro e buttarlo via. 
Sul reddito invece ci sono le cifre, la tabella Eurostat che compara il reddito (le cifre sono del 2016) in parità di potere d’acquisto (Pps), oltre che in valori tabellari. Calcola cioè il valore reale del reddito, in base a ciò che può comprare – la spesa alimentare, poniamo, in Calabria o in Sicilia, che costa meno della metà di quanto può costare a Roma o Milano, le quotazioni immobiliari, gli affitti, e i servizi, di utilità domestiche, sanitari, di trasporto, di svago:
L’Italia è uno dei paesi europei dove il reddito è meglio distribuito. Non ha nessuna delle aree europee, una ventina, con un reddito pro capite superiore a quello medio europeo del 150 per cento in più (nel Centro-West Londra la sperequazione arriva al 611 per cento). E nessuna delle aree europee con un reddito pro capite inferiore a quello medio europeo del 50 per cento e più – la Francia ne ha una, anche se è un dipartimento d’oltremare, nell’Oceano Indiano. In Italia il 62 per cento della popolazione vive con un con un reddito pro capite in Pps superiore a quello medio Ue. Vanno sopra Bolzano (149 per cento), la Lombardia (128), Aosta e Trento (122), l’Emilia-Romana (121), il Lazio (110), e altre cinque regioni. Vanno sotto Marche (93), Umbria e A bruzzo (84), e il S ud, fra il 60 e il 70 per cento del reddito medio Ue in Pps. Senza contabilizzare l’economia sommersa, che non paga l’Iva né i contributi sociali, e quella illegale.
Vanno meglio dell’Italia solo alcuni paesi piccoli, Belgio, Danimarca, Olanda, Austria, Lussemburgo, Finlandia, Svezia. E la Germania: 82 per cento sopra la media, la vecchia Germania Federale con Berlino. In Spagna solo il 36 per cento della popolazione aveva nel 2016 un reddito pro capite in Pps superiore a quello medio europeo. Peggio andava in Gran Bretagna: 43,7 milioni, su una popolazione di 65,6 milioni, erano sotto la media Ue, il 66,6 per cento. E in Francia: 48,1 milioni, il 72 per cento della popolazione, sotto la media europea.
Se il Sud si sapesse governare sarebbe sicuramente fuori dal sottosviluppo. Ma non è tutto: molto valore aggiunto delle produzioni locali va al Nord per insipienza.

C’è il Nero d’Avola, doc di Cermenate, Como, e il Primitivo di Manduria dop di Varese, che nei supermercati dominano gli scaffali, non c’è un Valpolicella di Canosa di Bari. Anche l’olio d’oliva si serve di Crescenzago, Milano, nelle tavole calde e paninerie del Sud. In bustina, dove il valore aggiunto è della bustina. Sui vini il valore aggiunto è la denominazione, magari conquistata con investimenti. Ma di fatto non controllata né protetta.

La stagione della caccia al povero
Emerge nel pirandellismo di Camilleri, manifesto su Rai 1 con “La stagione della caccia. C’era una volta Vigata” un distinto profumo di classismo. Che, essendo il regista e scrittore dichiaratamente e totalmente impegnato per le buone cause, va ascritto alla “sicilitudine”, a un certo modo di vedere la Sicilia (“Vigata” sta per Sicilia). Che si vuole ed è tradizionale, bozzettistico, e quindi virato al “povero e cornuto”. Col “galantuomo inetto ma simpatico”. Il mondo dei vecchi notabili. Cui è subentrato il “fascistone”, l’equivalente meridionale del “ghe pensi mi”, “faso tuto mi”, il decisore a tutto campo, conservatore e autoritario, in società e negli affetti, ma di grande cuore e intelligenza – prototipo Montalbano. Il filmato tv ne dà prova plastica. I marchesi sono stupidi ma non cattivi, i poveri invece lo sono, non stupidi ma cattivi.
È un topos, un difetto in realtà, della narrativa localistica? Tanto più ristretto l’orizzonte, o il fuoco dell’obiettivo, tanto più si riduce lo spazio con la speranza? È il difetto del localismo folklorico. Stringere il fuoco dell’obiettivo non implica aria fritta, o scadimento dell’immagine, anzi – Dostoevskij, allora, Flaubert? Il cliché sì.
Il successo così largo, malgrado la difficoltà linguistica, di queste narrazioni lo conferma: è una fruizione facile, la Sicilia che gli italiani si aspettano.

leuzzi@antiit.eu

C’era il Levante, tra intrighi e ardimenti

C’era il Levante, di intrighi e ardimenti
L’avventura estrema di un’avventuriera. Dalla vita eccentrica all’inversomile, testimone una Annemarie Schwarzenbach per una volta divertita nel racconto “Beni Zainab” della sua prima raccolta, 1933 - poi pubblicata postuma col titolo “La gabbia dei falconi”:  un ritratto vivace, come di una zia pazza, nel momento in cui “fonda” fuori Palmira una sua propria tribù di beduini, i Beni Zainab.
Il racconto è di un’avventura comica finita in tragedia. Che un’avventuriera francese nel Levante fa di se stessa, anni 1920-1930, delle lotte tra i servizi segreti francesi e inglesi per il dominio della regione, Egitto, Palestina, Siria, Iraq. Del matrimonio di comodo con un mussulmano per il capriccio di entrare alla Mecca nel pellegrinaggio. Di compiere un sacrilegio, niente di meno. Nel territorio allora impenetrabile del rigidissimo Ibn Saud, che stava costruendo il suo regno a partire da Gedda e la Mecca sulla base del fondamentalismo wahabita. Accusata a Gedda della morte del marito di comodo. Salvata dalla lapidazione, dopo una prigionia infetta durata dal 21 aprile al 25 giugno 1933,  all’ultimo momento utile, dall’ambasciatore francese Roger Maigret, al quale il libro è dedicato. Scritto l’anno dopo i fatti, “prigioniera a Parigi”, che dopo l’avventura saudita non la vuole più in Siria e non vuole ridarle la cittadinanza. Pubblicato nel 1947, quando Marga si è ristabilita in Francia e segue altri affari - morirà assassinata un anno dopo a Tangeri, da ignoti, sul suo yacht, a 55 anni sempre piacente.
Un racconto pieno di “cose utili”, ancora oggi. Gli intrighi europei, tra baronesse e militari, per il controllo del Levante. Il matrimonio mussulmano. L’harem - una vita sciocca e meschina, povera. Il wahabismo – il fondamentalismo saudita. Il moderato rinnovamento avviato da Saud. La reggia con mobili scompagnati da rigattiere e fili elettrici pendenti – erano pendenti ancora nei tardi 1970 in albergo a Riad, la capitale che non aveva alberghi, un appartamento appena intonacato sopra un magazzino, nel quale bisognava entrare dalla terrazza perché la porta era bloccata dalla serratura rotta. La colonizzazione ebraica, che ha già fatto un giardino della Palestina desertica. Il mercato degli schiavi neri a Gedda – nei tardi 1970 erano neri i soli manovali al lavoro a Gedda, a erigere muri, a bitumare le strade. Con una presenza ancora distinguibile dell’Italia: il Banco di Roma a Gerusalemme, la nave “Dandolo” da Suez a Gedda, il direttore delle saline di Massaua, profetico, o solo esperto, su cosa l’aspetta a Gedda.
Un racconto subito e volutamente capriccioso, nel ritmo, nelle cose, nei punti di vista. Arrivata in Siria dal Cairo, Marga è considerata dai connazionali francesi, che controllano quella parte del Levante, una spia inglese. Tra baronesse e ufficiali di Sua Maestà, di cui è l’amica e, lascia intendere, qualcosa di più. Una fedelissima dell’Action française, al punto da non essere ammessa in chiesa alla comunione del figlio. Marga è infatti madre, di almeno due figli, e moglie, del conte d’Andurain – di suo fa Jeanne Clérisse, francese di Bayonne, paesi baschi, detta “Marga” dalle Orsoline in collegio. Una foto la mostra longilinea, mora, di eleganza stravagante. Il risvolto la dice sempre in fuga, già a quindici anni con un ufficiale. A diciassette, nel 1910, le biografie la dicono sposa del biscugino Pierre d’Andurain, ricco e ecccntrico – che risposerà in chiesa dopo un divorzio per finta e il matrimonio “passaporto” . In Argentina faranno gli allevatori di cavalli, così raccontano. Al Cairo, siamo nel dopoguerra, 1925, aprono un salone di bellezza, “Mary Stuart”. In Siria, un paio d’anni dopo, rilevano un albergo, lo ribattezzano “Zenobia”, la regina di Palmira, e ne fanno un must per turisti intellettuali. Per i locali Marga diventa “la castellana di Palmira”, nonché signora del “deserto siriano, che percorre continuamente, comprando cavalli, prestando denaro”.
È a Palmira, forse per la noia, che decide di intrufolarsi nel pellegrinaggio alla Mecca. Oltre che di costituire una propria tribù di beduini – per incamerare le rendite che il governo francese paga ai beduini per sedentarizzarli. Un’originale alla ricerca dell’originalità, di molti precetti, morali e legali, ma senza scrupoli. 
Il romanzesco è in ogni piega, anche minima, anche di questo racconto del pellegrinaggio. Sul modello, questo riconosciuto, di Gertrude Bell, la prima donna laureata di Oxford, archeologa, scrittrice, politica e agente segreto di Sua Maestà in supporto a Lawrence d’Arabia, la “madre dell’Iraq”, il regno che creò per la dinastria hascemita, scacciata dall’Arabia, disegnandone anche il territorio, col compasso e il righello.

Marga d’Andurain, Il marito passaporto, Fandango, pp. 329 € 17,50

martedì 26 febbraio 2019

Recessione (77)


La produzione industriale è in calo crescente: meno 2,6 per cento a novembre (con un calo di quasi il 20 per cento di produzione del settore automotive, gruppo Fca e industrie che lavorano per le case tedesche). A dicembre il rallentamento è minore, dello 0,6 per cento, ma gli ordini sono in vistoso calo, sia in Italia (meno 3,6 per cento) sia all’estero (meno 7,6)

Continua la ripresa dell’occupazione, ora al 58,5 per cento nella media del 2018. Ma è rallentata, rispetto alla crescita degli anni precedenti, 2015-2017, quando è aumentata mediamente di 230-240  mila posti l’anno: nel 2018 è cresciuta della metà, 125 mila unità.

Al 58,5 per cento della forza lavoro, occupazione è in in Italia dieci punti sotto la media europea.

Continua a ridursi, ancora nel 2018, il tempo di lavoro medio per occupato, e l’effetto reddito, la distribuzione del reddito attraverso il lavoro. La sottoccupazione è diffusa, e con essa un reddito da lavoro insufficiente.  

La Germania non è in recessione “tecnica” perché l’ultimo trimestre si è chiuso invariato, dopo il calo del terzo trimestre. Ma di fatto lo è: vende ancora all’estero ma non in Germania, e produce meno.

L’Ifo, l’istituto tedesco della congiuntura, registra un calo della fiducia degli operatori e stima persistente la stagnazione dell’economia per altri due trimestri.


Pirandello a Vigata, classista


Un racconto pirandelliano, la vena forse più corriva di Camilleri – oltre alle due più note, di Montalbano e dei romanzetti “di costume”. Di una vendetta consumata fredda, come vuole la frase fatta, ma insoddisfacente benché riuscita, e terribile. Filmato dal regista del “Barlume”. Quindi molto caratterizzato, di personaggi a una dimensione, esagerata. Ma qui bilanciato, la ricerca dell’effetto è contenuta.
Una programmazione fuori del consueto per Rai 1, tra soft porn, accentuando il lato sexy che Camilleri non disdegna, e vendette private. Che il pubblico apprezza, poiché ha seguito in massa il film.
Un curioso classismo dell’iperprogressista Camilleri il film evidenzia rispetto al racconto: i ricchi, o nullafacenti, sono buoni, i poveri cattivi. Il circolo dei nobili è di personaggi vacui ma simpatici. I marchesi Peluso non sono arroganti né stupidi – lo sono, ma non nell’equilibrio del racconto. Razzista è la loro serva cuoca, che non vuole in cucina “’sta pezza nigura”, la cuoca nera che il Peluso emigrato si porta dall’America. I contadini del marchese, marito e moglie, si prostituiscono con grazia, per mettere a frutto la sua mania dell’erede maschio.  
Roan Johnson, La stagione della caccia. C’era un volta Vigata

lunedì 25 febbraio 2019

Problemi di base bankitaliani - 474

spock

Perché è così difficile chiedere un conto in banca, tra colloqui, fax, email, lettere raccomandate, telefonate non risposte, e spese, spese, spese?

È solo inefficienza o il risparmiatore va torchiato?

Perché in America si può fare un piano di accumulo finanziario per i figli e in Italia no?

Perché con i fondi d’investimento in Italia si perde sempre?

Perché con le obbligazioni in Italia ci si rimette sempre?

È il mercato infetto, sono gli italiani stupidi?

Perché distruggere il risparmio?

Che ci sta a fare la Banca d’Italia?

spock@antiit.eu




A cavallo con Montaigne, scettico papista

Un viaggio in Italia che avrebbe potuto farsi meglio per Montaigne, con più soddisfazione, “a Cracovia o in Grecia per via di terra”. I Balcani meglio di Roma? Per Montaigne sì, perché di Roma sapeva tutto o quasi, “e non c’era lacchè che non fosse in grado di dare notizie su Firenze e Ferrara”. Questo nei programmi. Ma poi la curiosità fa tesoro anche dell’Italia, anche di Venezia e Firenze in un secondo momento, dopo un primo di delusione, e di Roma.
Montaigne viene in Italia per le acque, le cure termali. Ma di fatto per allontanarsi dalle divisioni religiose in Francia, acuite dopo la strage della notte di San Bartolomeo nel 1572. Fra settembre 1580 e novembre 1581 intraprende un tour europeo che lo porterà a Parigi e poi, “attraverso la Svizzera e la Germania”, che anch’esse fanno parte del titolo, in Italia – il viaggio interrompe alla notizia della sua nomina a sindaco di Bordeaux.
Montaigne, tentato a lungo dalla Riforma, ha deciso di restare nella chiesa, senza obiezioni, senza porsi dubbi, per un motivo politico: perché la ritiene una istituzione necessaria. Ma non smette lo spirito critico. Nel viaggio in Francia fino a Épernay e Plombières, poi in Svizzera a Basilea, Baden e Sciaffusa, quindi, via Costanza, a Augusta, Monaco, Innsbuck, il Brennero, ogni tappa o conversazione è segnata da discussioni in latino con ministri e teologi sui temi di fede controversi: predestinazione, ubiquismo, eucarestia, immagini, matrimon misti. A Épernay si fa spiegare da un gesuita già celebre, lo spagnolo Juan Maldonado, che è inutile dividersi su questioni teologiche. Vuole andare a Zurigo (non potrà perché c’è la peste) unicamente perché è città tollerante in fatto di religione – non va a Ginevra di proposito, per evitare il fanatismo. S’intrattiene a lungo compiaciuto a Basilea, perché può discorrervi con i tanti allievi di Sébastien Castellion, il fautore della tolleranza che celebrerà nei “Saggi”, di cui conservava in biblioteca il “Catechismo” e la “Disputa intorno alla presenza del corpo di Gesù Cristo nella cena”.
Per questi interessi, il motivo del viaggio si è ipotizzato potesse essere un tentativo di elaborare un progetto di pace religiosa. La stessa menzione di Cracovia, a Rovereto, subito dopo il passaggio in Italia, come meta preferibile, è legata a questa ipotesi: Cracovia come Basilea e Zurigo era rifugio degli emigrati per motivi di religione.   
Un altro motivo del viaggio è stato trovato nella compagnia. Montaigne era accompagnato dal fratello minore, il ventunenne Bertrand de Mattecoulon, di 27 anni più giovane, dal cognato, Bertrand de Cazalis, vedovo di sua sorella Marie, da un d’Hautois, gentiluomo lorenese, che non si sa chi sia, e dal diciassettenne Charles d’Estissac. Essendo il giovanissimo d’Estissac, maggiore di Montaigne in fatto di titoli, latore di missive del re Enrico III e di Caterina dei Medici, si è ipotizzato che la missione del viaggio fosse la sua, una missione diplomatica, a cui Montaigne si sarebbe aggregato. Ma la cronaca è di Montaigne. Tenuta per la prima parte, fino a metà soggiorno a Roma, febbraio 1581, da un segretario sconosciuto, assunto probabilmente a Parigi, e poi da Montaigne. Nella seconda parte in italiano, lingua allora veicolare del commercio e della cultura. 
Di fatto è un viaggio “per curare il mal della pietra e il male della Francia” - Fausta Garavini. Molte tappe, Plombières, Baden, Abano, Bagni di Lucca sono per le acque.Come cronaca di viaggio sembra superficiale, per il temperamento curioso e apparentemente  svagato di Montaigne, poco applicato. Se non nella riflessione. Di cui il viaggio abbonda, anche se con approssimazioni e superficialità. Montaigne è saggista colto e asistematico, è il suo appeal: osservatore, realista, e quindi soggetto a errori. La cucina tedesca dice migliore di quella italiana… - scambiando la presentazione, le strutture di accoglienza per viaggiatori, con la qualità dei cibi.  
Si viaggia a cavallo – “la postura in cui mi trovo meglio, sia da sano che da malato” (“Saggi”). A Bagni di Lucca, dove va per le acque – e organizzerà una festa campagnola… -, prende a scrivere in italiano, corretto. L’itinerario in Italia fa tappa a Trento, Verona, Vicenza, Padova, Venezia, Ferrara, Bologna, Firenze, Siena e Roma. Quindi Siena di nuovo, Bagni di Lucca, Firenze di nuovo, Lucca, ancora S iena e Roma, e il ritorno a tappe forzate, saputo della nomina, via Parma, Piacenza e Milano, verso il Moncenisio.   
Perente le discussioni teologiche, resta la curiosità per le novità tecniche, in ogni luogo visitato, compreso il girarrosto a Bressanone. Gli orologi a Basilea e Landsberg, i mulini ad acqua a Sciaffusa, i canali artifiali a Costanza e Augusta, i giochi d’acqa a Tivoli, il dispositivo idraulico per prosciugare le paludi nel retro-Versilia. Di ogni acqua sono registrate le caratteristiche, colore, temperature, sapori, usi terapeutici.
Un testo documentario. Ma con notevole verve narrativa. Specie a Roma. Le rovine lo deludono, la sua Roma stava in piedi. Ma vede e ne scrive molto. L’udienza papale alla Ridolini: due passi, genuflessione, benedizione, due passi, genuflessione, benedizione… Una circoncisione. L’esecuzione del bandito Catena. La corsa di Carnevale sul Corso. La messa papale, “affare di pompa più che di devozione” – con i vescovi, i cardinali e lo stesso papa seduti a conversare tutto il tempo del rito. L’esposizione delle teste di san Pietro e san Paolo, mostrati, “ancora con la carne, il colorito e la barba”, a san Giovanni in Laterano, “lasciando ogni tanto cadere una tenda dietro la quale sono le teste, l’una accanto all’altra, il tempo di recitare un’«Ave Maria», e subito rialzano la tenda”. Ha anche un colloquio col Maestro del Sacro Palazzo, per riavere indietro i “Saggi”, confiscati all’arrivo e censurati, con l’indicazione dei passi da emendare: l’elogio di Giuliano l’Apostata e di alcuni poeti eretici, la condanna della tortura, l’uso della parola “fortuna”, l’utilità per i giovani di aprirsi alle esperienze, la necessità di un’anima monda per una preghiera efficace – non ne terrà conto, ma dirà le sue mere opinioni. Uno scettico fedele.
Michel de Montaigne, Viaggio in Italia, Bur, pp. 534 € 13

domenica 24 febbraio 2019

Il mondo com'è (368)

astolfo


Figlio unico – La limitazione delle nascite è vecchia, allimpianto solo razionale, e poi invece sempre problematica. La Francia ha maturato un forte vuoto demografico tra Otto e Novecento col “sistema dei due figli”, per evitare la dispersione del patrimonio familiare. Un gap cui ha dovuto rimediare con continue ondate di immigrazione, dalle Indie francesi, dall’Italia e la penisola iberica, e infine dal Nord Africa. Convertito in un “sistema dei tre figli sotto la presidenza Pompidou negli anni 1970, per incrementare la demografia, gli assegni familiari su tre figli portando al livello di uno stipendio iniziale, quindi consentendo alla donna che volesse avere figli di non lavorare.  
Figon - Personaggio dimenticato ma emblematico della Francia dei “servizi d’azione”. Dei servizi segreti che non si fanno scrupolo di uccidere - tuttora attivi, in Africa e in Oceania. Se ne parlò molto alla sua morte, a metà gennaio del 1966, poi è scomparso dalla storia e dalla memoria. Se ne parlò, va anche detto, in chiave francese, se e perché lui stesso fosse stato eliminato dai servizi francesi. Mentre non se ne parlò, non molto, e solo nei circoli di estrema sinistra, per il delitto di cui era stato esecutore e\o animatore a fine ottobre del 1965: il rapimento e l’assassinio di Mehdi Ben Barka, un oppositore del re del Marocco Hassan II – il rapimento fu “spettacolare”, nei pressi della rinomata brasserie Lipp. 
Se ne parlò anche perché era un personaggio della Parigi intellettuale, editore e produttore, benché reduce da tre anni di manicomio, e undici di prigione, per aver sparato a un poliziotto in un tentativo di truffa fallito. Aveva attirato Ben Barca nella trappola con la proposta di un film sulla resistenza marocchina. 
Poco dopo l’agguato a Ben Barka, Figon fu trovato morto nel suo appartamento, e l’inchiesta subito chiusa per suicidio. Ma ucciso, si è poi saputo, da un amico, Christian David, “le beau Serge”, altro pregiudicato, nonché prosseneta e trafficante, arruolato nel Sac, il service action dei servizi segreti francesi, come torturatore in Algeria.
“Il bel Sergio” ha avuto anche un passaggio italiano. Fu infatti fatto transitare dall’Italia, sulla via per l’Africa e poi l’America Latina, dalla “famiglia” Guerini, una mafia corsa specializzata in contrabbando di sigarette e prossenetismo. In fuga dalla Francia per avere ucciso, due settimane dopo la morte di Figon, un commissario, Maurice Galibert, durante una “discesa” di polizia alla cinque del mattino su un bar parigino per arrestare un altro delinquente comune di cui invece era stata accertata la partecipazione al rapimento di Ben Barka, Julien le Ny.
In Brasile, David non fu ricercato dalla polizia francese. Finito in un carcere americano per traffico di eroina, è solo dopo venti anni, nel 1985, che viene estradato in Francia per l’assassinio del commissario. Sarà condannato anche in Francia, ma dopo quattro processi invalidati, per un motivo o l’altro.

Marx – È in grande spolvero, mai tanto reinterpretato-riproposto come dopo la caduta del Muro. Quasi che il sovietismo lo avesse liberato, lui e non le vittime del marxismo-leninismo. Non era un dottrinario? Lo era ma in politica: combattivo, fazioso. Non un apocalittico, la storia lo intrigava e lo divertiva. Nessuna “legge” si trova formulata nelle sue opere. Induttivo al contrario, descrittivo, storicistico. Di vita avventurosa: vige ancora la lettura del personaggio ideologo, teorico, dottrinario, ma la vita conta, e contano gli interessi extrapolitici.
Carlo Galli, fra i tanti, “Marx eretico”, ne ha colto il dato essenziale: Marx è uno di metà Ottocento. Uno della politica risolutiva. Hegeliano a metà, fino ai trent’anni. Ma più che altro, di Hegel si fece vessillo, bandiera, copertura. Di fatto non ha mai studiato, non come uomo di scienza o filosofo. E mai, si può aggiungere, è stato preso sul serio come politico – il leninismo è altra cosa, si potrebbe dire antimarxiano.
Un grande scrittore, si può anche dire, di politica. Ma un incompiuto teorico. E un politico confusionario, tanto quanto fazioso. Collezionista di sconfitte più che di vittorie, e queste mai pratiche, portate a effetto. Una sorta di eterno adolescente, si può aggiungere leggendolo, specie gli scritti giornalistici, che tanto gli piacevano, quelli “storici”, polemici, e la corrispondenza, un allegrone e un compagnone,

Ritorna rivoluzionato, e quasi “gossiparo”. Ma è vero che aveva un lato debole. Un “inedito” del “Che” Guevara, pubblicato da “Il Manifesto nel 1974, ne faceva questo ritratto: “Marx, per quel che se ne sa, era e restò monogamo tutta la vita. Ma non pensò mai di fare in proposito dissertazioni morali. Anche se a volte insorgevano divergenze fra lui e Engels. C’è una lettera a Marx nella quale Engels protesta perché, avendo egli comunicato la morte della sua compagna, Marx invece di dirgli una parola di conforto gli risponde chiedendogli di non so che lavoro. La moglie di Marx, che pare fosse una vera militante, era però una piccolo borghese, o di piccola nobiltà tedesca, mentre Engels conviveva con la governante, o domestica. Visse con lei tutta la vita e quando essa morì per lui fu una tragedia. Vedete come anche in quel tempo un rivoluzionario avesse le sue debolezze, giacché non pensò mai di sposarla. Insomma, quando questa sua compagna morì, la moglie di Marx pensò che non fosse il caso di condolersi ufficialmente per la morte di una persona che non era la vera moglie del loro amico”.
Non tutto collima nella realtà col “Che”. La compagna di Engels non era una domestica. Né la moglie di Marx una casalinga inacidita: era donna e consorte amichevole e colta. Mentre è vero che Marx scopava con chi capitava – stantuffò perfino Lennchen, la tozza servetta di casa, tanto da farle un figlio. E che con Engels scantonava da questi temi, preferendo il witz, la politica, e le richieste di soldi (quanto al “Che”, volendo restare nel gossip, era un Guevara parenti dei Lynch, i latifondisti argentini).

La vera biografia resta da fare, che pure è semplice. Marx era uno che capiva una diecina di lingue, corrispondeva con migliaia di persone, leggeva i giornali di tutto il mondo. E non ha mai fatto la fila per il burro, benché disoccupato. Fu un vittoriano. Sottolineava le parole, e le virgolettava, con la stessa enfasi della regina Vittoria. Mentre la nobile moglie Jenny prendeva gli appunti e copiava per lui. Comprò il piano per le figlie. S’innamorò di una ragazza Bismarck e di altre principesse giovani. Sedeva nella sala di lettura del British Museum accanto ai Sobieski Stuart, che vi avevano un seggio di diritto, essendo stati dichiarati eredi della defunta dinastia - a Londra si celebravano all’epoca le dinastie, ogni sorta di dinastie. Fu membro all’università del Borussia, che diventerà il circolo dell’elmo chiodato. Capiva le ragioni dell’impero, e mai lavorò, facendosi mantenere dai compagni e da Engels. Benché vittoriano simpatico - non frustava le donne che s’immaginava di scopare.  
Si è così detto tutto. Si può aggiungere che fu marxianamente figlio del tempo, gli anni fra il 1851 e il 1862, quando rintanato nella biblioteca al British Museum ponzò i quattrocento articoli per la “New York Tribune” e la “New American Cyclopedia” e la critica dell’economia, mentre i tribunali disgregavano il comunismo e la corsa alla ricchezza subentrava con la pace alla scoperta dell’oro in California.
Non fu buon politico: collerico, fazioso, dispettoso. Non un agitatore, era un pantofolaio. Ma era cattivo politico perché era cattivo comunista. Non fu marxiano specialmente nell’analisi del lavoro, le condizioni del lavoro ai suoi anni. Non solo in Ford alla fine, e in Owen all’inizio, ma nella Cadbury, alla Rowntree e in ogni altra azienda quacchera, in molte società cattoliche e in quelle socialiste del mutuo soccorso, l’Ottocento ricorreva al lavoro per migliorare l’igiene e l’istruzione, o il rispetto di sé. Finché il lavoro non fu disseccato nel plusvalore. Di cui le critiche presto sono emerse con Eduard Bernstein, e poi con Rosa Luxemburg, semplici, Marx le avrebbe sottoscritte: il moderno proletario è sempre povero ma non pauperizzato, la crescita della ricchezza non viene con la diminuzione del numero dei capitalisti ma con la loro moltiplicazione – si potrebbe fare un partito di massa dei ricchi, non fossero tanto ricchi da farsi passare per poveri. E lo slogan “i proletari non hanno padri” non è vero, purtroppo. Ma questo era contro l’interesse del Partito a farsi Stato.

Neutralità – È esemplare solitamente nella considerazione politica. Ma non c’è onore a restare neutrali in tempo di guerra. La Svizzera ha lucrato sui persecutori e sui perseguitati. La Svezia arricchì fornendo a Hitler l’acciaio, via Norvegia. Una legge di Solone toglieva la cittadinanza a chi in una sommossa non parteggiava per nessuna delle due parti.

astolfo@antiit.eu