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sabato 19 febbraio 2022

Il mondo com'è (440)

astolfo

Billy the Kid – Il giovane avventuriero dell’epica americana, che lo sceriffo-cacciatore di taglie il Pat Garrett presto ucciderà, immortalato al cinema da Paul Newman con Arthur Penn, e da Kris Kristofferson con Peckinpah, e Bob Dylan, era un “jihadista” del tardo Ottocento: ammazzava i cattolici, da irlandese protestante (di origine cattolica, poi passato con la madre al protestantesimo). Uccise una decina di persone (“almeno ventisette”, dice wikipedia in una voce, che  però riduce a una dozzina in un’atra) ), la prima a dodici anni: un cattolico che ha o avrebbe insultato sua madre. E continuò: non era il giovane giustiziere dei cattivi e protettore dei buoni della vulgata, ma un omicida spietato, che sceglieva le vittime secondo le convinzioni religiose, e cioè cattoliche.
Veniva da New York, dove era nato, si fece famoso in un’area degli Stati Uniti, la Lincoln County, zona di frontiera nel Nuovo Messico, un territorio arido abbandonato che a metà Ottocento era stato colonizzato da un gruppo di irlandesi, cattolici, guidati da un ex maggiore dell’esercito americano, Lawrence Murphy. La colonia prosperò commerciando il bestiame, con le colonie circostanti e con i distretti militari. Un modesto benessere che attrasse anche un imprenditore non irlandese e non cattolico, l’inglese anglicano John Tunstall, che dal Canada, sua prima terra di emigrazione, trovò più attraente la contea di Lincoln per il suo mestiere di mercante di bestiame.
Il successo negli affari di Tunstall ingelosì i cattolici, che avviarono un contenzioso legale i
contro la sua fattoria e i suoi metodi. Entrambi i contendenti assoldarono a protezione giovani  pistoleri. Tunstall tra gli altri Billy the Kid, allora diciottenne – “William Bonney”, nato Henry McCarthy, soprannominato Billy the Kid dopo il primo assassinio a dodici anni.
La legenda di Billy the Kid, come il cinema la immortala, è stata creata da Garrett, lo sceriffo cacciatore di taglie che lo scovò e lo uccise, a ventidue anni, nel 1881, poche settimane dopo la sua ennesima fuga dal carcere. Billy era diventato un assassino seriale dopo la morte di Tunstall, ucciso dagli agenti dello sceriffo della contea, per non aver voluto obbedire a un ordine di comparizione.
Questa versione di Billy the Kid in veste “jihadista”, degli ultimi biografi, sembra però contradetta dal commento che una suora della Carità, di origine italiana, che operava a Lincoln, lasciò nel diario, pubblicato negli anni 1930, dove annotava per la sua morte: “Povero Billy the Kid, termina così la carriera di un giovane che cominciò a scendere la china all'età di dodici anni vendicando un insulto che era stato fatto a sua madre”.
 
Ebrei tedeschi - Seimila ebrei sopravvissuti a Berlino nell’aprile del ‘45 non sono pochi. Anche se erano 186 mila nel ‘33, un terzo del mezzo milione di ebrei te-deschi. Ed erano a Berlino in proporzione di più fra quelli rimasti in Germania nel ‘41, alla vigilia della Soluzione Finale, 72 mila su 186 mila. Saranno soprattutto loro a suicidarsi: nel ‘42-‘43 ventimila furono deportati e settemila si uccisero. Tra i ricoverati al Krankenhaus der Jüdischen Gemeinde molti erano suicidi abortiti. L’ospedale ebraico funzionava nel 1945 perché Hitler aveva paura delle proteste, specie delle donne: la Frauenprotest delle donne “miste”, madri o mogli “ariane” di “non ariani” a marzo del ‘43 ebbe su di lui lo stesso effetto delle madri contro la eugenetica tre anni prima in Baviera - il Führer si voleva “portatore della volontà del Popolo”.
 
Eiffel – La torre, con tutte le caratteristiche iperboliche (7.300 tonnellate di ferro, in 18.038 pezzi, tenuti insieme da due milioni e mezzo di rivetti, su un traliccio portante di 18 mila grandi bracci metallici, per 312 metri di altezza, tenuta in piedi da quattro enormi cassoni di acciaio, riempiti di calcestruzzo), fu costruita in venticinque mesi, tra il 28 gennaio 1887 e il 31 marzo 1889 – in tempo per l’Esposizione Universale parigina che si aprì il 6 maggio. Malgrado i ritmi forzati, nessun incidente grave fu registrato nei cantieri della torre, per un piano di prevenzione predisposto dallo stesso costruttore. Un operaio morì, un italiano, ma per un’imprudenza commessa durante l’orario di riposo, fuori del turno di lavoro.
La torre fu costruita malgrado una vastissima e attiva opposizione in molti ambienti di Parigi, aristocratici, intellettuali, anche popolari. Per la determinazione del governo centrale di avere un monumento che riabilitasse in qualche modo l’immagine della Francia dopo la sconfitta di Sédan. E aveva individuato la “torre più alta del mondo” come segno tangibile di grandezza, preferendolo al progetto di metropolitana che Eiffel proponeva, dopo l’esito molto popolare nel mondo della costruzione a New York della Statua della Libertà – tenuta su da un’ossatura metallica progettata dallo stesso Eiffel. Una delle polemiche più insidiose, per la vasta risonanza popolare, fu aperta da un pamphlet, “La questione ebraica”, che condannava il progetto in quanto “torre ebraica”, di un ingegnere che “null’altro è se non un ebreo tedesco”. Eiffel, che non rispondeva alle tante polemiche, a questa rispose, facendo pubblicare al quotidiano “Le Temps”, che conduceva la battaglia contro la torre, questa precisazione: “Non sono né ebreo né tedesco. Sono nato a Digione, in Francia, da genitori francesi e cattolici”.
Il nome di famiglia dell’ingegnere era ben tedesco, Bönickhause. Ma di nonno, tedesco di Marmagen, che si era stabilito a Parigi trent’anni prima della sua nascita. Il nonno, trovando difficile il cognome originario, da scrivere e da pronunciare in Francia, lo aveva cambiato per Eiffel, che è la regione (oggi Eifel) di Marmagen, nella Renania-Vestfalia.   
 
Mugwump – Ritorna, nelle ricostruzioni della sua fulminante carriera politica ora che è in disgrazia presso il suo stesso partito, la battuta con cui Boris Johnson, il primo ministro inglese, conservatore, fulminò quattro anni fa, quando era ministro degli Esteri, l’allora leader laburista Jeremy Corbin: “Testa di caprone, vecchio mugwump”. Per il dizionario, mugwum è qualcuno che non sa decidersi da che parte stare, riferito ai politici. Il termine sarebbe di origine indiana: gli Algonchini lo usavano per dire “capo”. Ma fu adottato in politica nel 1884, nella campagna elettorale presidenziale, per i Repubblicani che avevano scelto di sostenere il candidato Democratico.
Si diceva, tra le due guerre, sempre in America, dei giornalisti ambigui, che s’industriavano di
promuovere da sinistra cause di destra, e viceversa.
Lo scrittore William Burroughs, di famiglia di grandi industriali, li assimila alle prostitute nel suo libro più noto, “Il pasto nudo”: “Su sedie coperte di satin bianco siedono nudi i mugwump, succhiando sciroppi traslucidi colorati attraverso cannucce di alabastro. I mugwump non hanno fegato e si nutrono esclusivamente di dolci. Labbra sottili, viola sul blu, coprono un becco affilato come rasoio di osso nero col quale frequentemente si fano a brandelli lottandosi i clienti”.  

astolfo@antiit.eu

Vita allegra, vista dal basso

Si presenta questa scrittrice di racconti con una fama da “maledetta”. Non per quello che scrive, sempre felice, anche nell’abiezione (l’alcolismo, la malattia, la vecchiaia, la crudeltà), vivace, brillante, perfino euforica, ma per le condizioni di vita. La biografia che si è costruita da ultimo, e che Stephen Emerson e Lydia Davis, che ne hanno ripreso e riproposto i racconti, un po’ dispersi, avallano, per crearle un’aura di vicinanza, di patronaggio. Di cui Lucia non ha bisogno, i suoi racconti si reggono da soli.
Minimal antemarcia, anche forse prima di Bukowsky e contemporanea di Carver - la Berlin Renaissance non dà date, ma si parte dagli anni 1960, ai vent’anni della scrittrice. Tutto in soggettiva, racconti di sé, e di cose viste, vissute, ma con arguzia e leggerezza, con occhio sempre vispo, meno monotono, specie nel leitmotiv dell’America alcolica. Ci sono due Americhe “maledette” nel secondo Novecento: una è della droga, l’altra dell’alcol, sulla traccia di Hemingway (e una terza ora del sesso – abuso, oltraggio, violenza?). Il racconto della crisi di astinenza da alcol, pur brevissimo, è insopportabile come il titolo, “Ingestibile”, né Bukowski né Philip Dick hanno esiti comparabili. 
Non un outsider, Berlin ha pubblicato a partire dai vent’anni sulle migliori riviste, “The Noble Savage” di Saul Bellow, “The Atlantic”, The New Strand”, “New American Writing”. Si appaia dai suoi editori a Cechov, o più recentemente a Carver, Jean Rhys, Alice Munro. Ma è più ai “regionali” americani che si avvicina, anzi alle “regionali” che il genere hanno illustrato, Flannery O’ Connor, Carson McCullers. Regionale, cioè meridionale, si può dire anche Berlin, che soprattutto racconta il Messico, e la Patagonia, e in America il Texas e l’Arizona, quelle delle sue tante vite che preferisce – quando ricorda il Montana, dove visse bambina, in “Temps perdu”, lo fa da meridionale, tra boschi, campi, paglia, e profonde conversazioni mute, mentre rifiuta Oakland, dove ha vissuto più a lungo. 
La ricetta – il segreto - è comune a queste scrittrici: mescolare l’alto e il basso, un esercizio di grande letteratura. Con l’invenzione continua nell’uso della lingua, il vocabolario è sterminato, e della sintassi – Federica Aceto, che l’ha tradotta, deve averci faticato molto.
Qui si racconta di Cechov, di Mishima - sul supposto passato di Berlin da operatrice sanitaria (si dice infermiera per abbreviare, ma non lo fu, cioè non pretende di esserlo stata) – e subito dopo del modo di raccontare, in prima persona, in terza, in indiretta libera. Tutto abbastanza - molto per un racconto - sofisticato. I racconti hanno titoli in francese, latino, castigliano. E si animano di tutto, anche del niente, sempre amabili. L’accudimento del padre, in casa di riposo, il degrado implacabile. Qua e là lampi della madre anaffettiva, giocatrice e ubriacona ingovernabile. Molti sono i racconti-ricordi famigliari, più di uno della sorella Sally, sposa felice da venticinque anni a Città del Messico, che vi muove di tumore. L’abbandono da parte del primo marito, quando resta incinta di un secondo figlio – abbandona Lucia per un mecenate italiano, che gli finanzia in Italia l’attività di scultore, con una fornace propria. L’idea di aborto, infine rifiutata durante la preparazione. Il Pronto Soccorso, una catena di avventure - magistrale, memorabile, il lungo, interminabile orgasmo che procura un vecchio degente rognoso per un lampo degli occhi a mandorla. La riunione natalizia di famiglia allargata, a El Paso – poi soggetto di molti film. “Un manuale per la donna delle pulizie”, il racconto che è stato scelto come titolo per la stessa raccolta in America, spiega il segreto. Donna delle pulizie è uno dei tanti mestieri che la vulgata fa esercitare a Berlin per sfamare i suoi quattro figli da tre matrimoni (senza alimenti?). Ma è un pezzo umoristico, che sfrutta il punto di vista della donna a ore, senza fatica, con divertimento - un punto di vista che torna in un altro paio di racconti: lavorare come donna delle pulizie è “proprio come leggere un libro”.
Berlin è scrittrice di rara agilità, di umorismo lieve, simpatico, brioso. Come lei stessa era, nelle tante immagini che cominciano a emergere, di rara bellezza, gli occhi e la pelle trasparenti di bambina, ben eretta anche se nella solita vita difficile accampa la scoliosi (“scoliosi, una curvatura, una gobba di fatto”), di vita affettiva intensa, benché sessualmente abusata - sempre nel canone della vita difficile, cosa non accertabile - dal nonno (materno) in Texas, uno del Ku Klux Klan naturalmente, effettivamente moglie di tre mariti diversi, ma tutti in qualche modo presenti, e madre di quattro figli, che parla lo spagnolo come l’inglese, avendo passato l’adolescenza a Santiago del Cile, regina delle feste, e sa anche di italiano. Molta cultura, e una grande fantasia, piana, agevole, “spontanea”. Oberate da una biografia lamentosa.
Come tutti gli scrittori americani Berlin ha una biografia di fatiche e privazioni, drammi psicologici e familiari, e un qualche abuso, sessuale, alcolico, di droghe. Specie gli autori femmine. Specie se del Sud. Autrice di racconti sul filo – bisognerà pur dirlo, una volta cessata la tempesta femminista – della scrittura femminile negli Usa, forte e abile nei racconti. Che tutte, tra l’altro, passano per “scrittori regionali”, o etnici.
La biografia maledetta, o almeno sfortunata, è un tema che andrebbe approfondito, della letteratura americana a partire da Poe, e incluso Melville, altro iperletterato, in parallelo con quella molto rispettabile di Hawthorne, Henry James, et al. Che bisogno denota?
Lucia Berlin, La donna che scriveva racconti, Bollati Boringhieri, pp. 453 € 18,50




venerdì 18 febbraio 2022

La tradizione vuole chiarezza

È Orlando Rolando o è Rinaldo,
il paladino di Carlo Magno?
Perché è Rinaldo
che va a cavallo del magnifico Baiardo,
il magico nero puledro.
Ma Rinaldo combatteva,
come i suoi tre fratelli
Alardo, Guiscardo e Riccardo,
figli di Aimone, contro Carlo Magno.
La tradizione vuole chiarezza
Anche all’opera dei pupi.

Africani a Roma

Un ragazzo nero sta fisso all’edicola, che dice buongiorno mentre parla al cellulare, s’indovina, al microfono, per ingannare il tempo, appoggiato indolente a una qualche macchina. Non mattiniero, andando all’edicola prima delle nove non c’è. Neanche i giorni di pioggia, o di minaccia. Né è lo stesso tutti i giorni, almeno non si direbbe, anche se lo sguardo che si scambia è fugace, per l’altezza, il peso, l’attitudine. Viene alle nove, diciamo, e ci sta fino a mezzogiorno, aspettando più che altro dei benefattori precisi, delle benefattrici più spesso, che con piacere lo ritrovano, anche se non è lo stesso, con gli africani succede, come se fossero tutti dello stesso stampo, si fermano, dicono la frase di circostanza, due, e gli danno mezzo euro, che hanno avuto cura di tenere da parte – lo trovano nelle tasche e le borse a colpo sicuro, mentre per comprare il giornale la ricerca nei portafogli o nelle tasche è solitamente laboriosa: lo ritrovano con piacere, chiunque egli sia, un incontro atteso.
Lui è tranquillo, chiunque sia nella mezza giornata. Sconta la disattenzione e anche il rifiuto, il suo poco sembra essergli molto. E tuttavia si farebbero anche lunghi giri per evitarlo. Solo che non è più possibile: non lui, ma altri giovani africani s’incontrano a ogni angolo per una piccola elemosina. Al bar, ai bar, ce ne sono altri ma questi sono stabili, sono gli stessi ogni giorno, da mesi, da anni, forse non più giovani, sono mendicanti, anche se col cellulare e ben vestiti – bene come tutti oggi: casual, un po’ usati, un po’ sporchetti. Molti sono però i ragazzi africani che per strada chiedono qualche soldo. O direttamente, oppure puliscono un pezzo di marciapiedi, mentre parlano al cellulare, anche loro, per passare il tempo, sperando in qualche centesimo nelle scodelle che seminano qua e là su dei panchetti. S’incontrano nel quartiere da tempo, ora anche nelle vicinanze, e pure in Centro capita d’incontrarne.
S’incontra così l’Africa a Roma. Coraggiosa si direbbe, dopo la lunga traversata del deserto, e quella a rischio vita del mare, che tanti morti fa. Ma anonima, e destabilizzante. Dopo averci convissuto da sempre, dagli anni delle indipendenze e delle lotte di liberazione nazionale. Di uno stesso sentimento, la stessa prospettiva. Diversa naturalmente, i poveri non possono essere ricchi, ma di fiducia comune e di senso, anche pratico. Dicono – si dice di loro – che sono rom, di qualche tribù rom. Che praticano il vagabondaggio per scelta, per una scelta di libertà. Ma nessuno ne sa veramente nulla.

Per una storia del ventennio giudiziario

Buccini è onesto ma, stranamente, questo libro del trentennale non differisce da quello, collettivo, del ventennale, che coordinò allora come supplemento al “Corriere della sera”. Non si saprebbe dire altro quindi che quanto se ne scrisse all’epoca, il 18 febbraio 2012 - con una minima aggiunta, anzi con due:
 
Il volume, ricostruzioni della scena d’allora e commenti d’epoca delle migliori penne, si vuole celebrativo, ma finisce per ampliare i dubbi sul significato storico (politico) di Mani Pulite. Sia negli effetti. Sul diritto: Ainis dice Mani Pulite “una sagra”, con abuso, della leva penale, “tanto da sommergerci con 35 mila fattispecie di reato”, mentre gli avvocati sono descritti colpevolmente impegnati a far confessare qualcosa ai clienti, per la benevolenza dei giudici. Su Milano: Aldo Bonomi si smarrisce su Milano allora e oggi, col giustizialismo, i capestri, Bossi e tutto, a meno che non se ne senta gravato. Sia sui presupposti. In particolare, qui, sulla funzione della stampa accanto a quella già controversa dei giudici.
“Goffredo Buccini, che dei giudici non nasconde niente, si dice testimone di “grida di giubilo in sala stampa quando arrivò la notizia che a Craxi era stato consegnato il primo avviso di reato”. Ma di suo, avendo procacciato al giornale l’anteprima del famoso avviso di reato, poi finito nel nulla, che fece cadere il primo governo Berlusconi nell’ottobre del 1994, assicura che non dirà mai la sua fonte: non gli viene il sospetto che sia stato strumentalizzato (il suo giornale lo è stato fin dai tempi di piazza Fontana)? Mentre il colpevolista Ferrarella produce una statistica di cui non sembra valutare la gravità: che solo due su cinque perseguiti risultarono colpevoli (e ancora: non dice che molti, la metà?, di quei due, condannati in una qualche stazione penale, furono alla fine assolti).
“C’è anche integrale la lettera che Moroni inviò a Napolitano, in qualità di presidente della Camera, senza risposta, prima del suicidio, nella quale si dice vittima di un “processo “sommario e violento”, e di una “decimazione” – come le facevano gli hitleriani. Mancano i pronunciamentos dei giudici, ma quelli non li difendono nemmeno i giudici, qualcuno anzi comincia a pentirsi”. 
 
I giudici cominciano a pentirsi, i giornalisti no. Non vogliono che piangiamo sui giornali, specie in estinzione causa gossip, vizio inguaribile?
Nessun analista, nessuno storico ha valutato, invitato a valutare, avanzato l’esigenza di valutare, il danno immenso causato da Borrelli&Co. all’Italia tutta. Non in ossequio alla legge, ma per la (miserabile) carriera di cinque giudici, tutti più o meno finiti male e malissimo. Anche Colombo nel suo piccolo, dimesso e pentito. Anche il pianista Borrelli, congiunto da ultimo a Guido Rossi, l’avvocato comunista dei ricchi. E per un ordine giudiziario più fascista che sotto Mussolini. Quante sentenze politiche a Milano, a partire dal processo Sofri? Sicuramente molte di più, e più cattive. nel ventennio fino alla caduta di Di Pietro che sotto Mussolini.
Goffredo Buccini, Il tempo delle Mani Pulite, Laterza-“Corriere della sera”, pp. 256 € 12

giovedì 17 febbraio 2022

Problemi di base ucraino-germanici - 684

spock

Gli elmetti mandati dalla Germania all’Ucraina tengono caldo?
 
Si era fatto il Nord Stream per saltare l’Ucraina (e la Bielorussia), per un motivo?
 
Il governo tedesco garantiva gli accordi di Minsk, con l’autonomia al Donbass ucraino, poi se li è dimenticati?
 
Erano tedeschi i soldi delle rivoluzioni arancione a Kiev, a favore dei profittatori di regime?
 
Perché la Germania non parla – di Ucraina e non solo?
 
Qualcuno vuole male alla Germania, lì in mezzo all’Europa?
 
Invece dell’Ucraina, la Germania si occupa del papa tedesco, che non ha mai amato: c’è un perché?


spock@antiit.eu

Se la sinistra è di destra

Si celebra Mani Pulite, che ha aperto un’autostrada al populismo di destra, tuttora dilagante nel Paese, avendo terremotato la cosiddetta prima Repubblica, cioè i partiti storici, con radici nell’opinione e nel paese, prevalentemente di sinistra, come se fosse una rivoluzione, e cioè di sinistra. E la cosa sarebbe buffa, se non fosse allarmante: che sinistra è questa, che celebra Mani Pulite?
La sinistra in Italia non solo non fa mai autocoscienza, ma continua a ritenersi con piena coscienza la parte buona del paese, lo schieramento di chi è onesto, bravo, buono, paga le tasse e aiuta i poveri. Che potrebbe andare bene come petizione, anche se con correzioni – la sinistra è impegnata sul sociale, la destra bada ai suoi interessi, e questo non è simpatico ma non porta dritto all’inferno. La petizione però si scontra con la realtà. Sono di sinistra i giornali di sinistra? tutti di padroni, bene assestati sui loro interessi, e molto manovrieri, se non calunniosi. È (era) di sinistra il ministro (Visco) che aumenta(va) le tasse dei poveri, dieci euro qua, quindici là, facendosi inviare fax – dai luoghi di lavoro – che inneggia(va)no agli aumenti, e studi che proclama(va)no felici i pagatori di tasse? È di sinistra il gossip? pettegolezzo calunnioso che in Italia si esercita non sulle questioni di letto e di corna, che non hanno mai fatto male a nessuno, ma sulla e contro la politica. Che cosa resta a sinistra se non la politica, quali altre armi ha?
È di sinistra la questione morale? La questione morale è la questione morale. Storicamente, come viene applicata. Col dimezzamento del valore dei salari per l’inflazione negli anni del compromesso storico - con Andreotti al comando…. Con la successiva appropriazione a prezzo vile dell’immenso patrimonio dello Stato – una seconda manomorta – in ossequio alle appena scoperte “leggi di mercato” (leggi di mercato?). Una giustizia penale discriminatoria – dichiaratamente, orgogliosamente. E la politica cancellata a favore di un’opinione pubblica padronale. Che questa questione morale ha presentato e presenta come rivoluzionaria.
Che ciò sia stato possibile – che una questione morale così velenosa sia stata possibile - è la tragica eredità di Berlinguer, leader mediocre, e forse luciferino, che il Partito portò alla sconfitta ed è invece la massima icona del popolo degli onesti-belli-e-buoni. La questione morale è di destra. È un regolamento di conti – una guerra per bande nel gergo di mafia. E come tutto viene dall’America, l’“etica negli affari”, il grande imbroglio degli ultimi quaranta anni, del reaganismo, del thatcherismo.
C’è anche la solita questione morale italiana, quella del deputato repubblicano Nasi, il quale, insegnava Spadolini, fu condannato a undici mesi per appropriazione di una sedia, da coloro che dieci anni prima avevano impunemente saccheggiato la Banca Romana, allora la più grande. Storia che si può raccontare anche in questi termini – la storia in Italia non è mai esplicita: Nunzio Nasi era un duro, era stato ministro di Pelloux, ma quando si apprestava a diventare capo della massoneria fu condannato per la sedia.
In termini attuali, come arma politica, la questione morale è sempre quella messa in opera dai Democratici Usa per rimuovere con ignominia Nixon, che i belli-e-buoni del grande capitale non sopportavano più. I Democratici di John e Robert Kennedy, che avevano infangato gli Usa nel Vietnam, e più volte avevano tentato di uccidere Castro, anche di persona. E ora non sanno come affogare Trump – ci provano col colpo di Stato, dopo averci provato con le attricette e con le tasse.
Non c’è in America l’autonomia del politico (bel tema, per un nuovo Max Weber), non ci può essere. Con l’effetto, dopo un lungo esercizio di questione morale, e codici etici garibaldinamente adottati in ogni impresa, di una serie di truffe impensabili se non fossero accadute: prima quelle di Enron, Cisco&co., poi di Madoff, delle dot.com, dei mutui sub-prime, ora della follia bitcoin-Nft (non-fungible-token), e delle superquotazioni di Tesla e dei cinque dell’apocalisse digitale, Amazon, Apple, Facebook, Google, Microsoft.
In Italia la cosa è di minori dimensioni - esclusa Parmalat, che resterà nell’empireo della malversazione. Ma è saldamente ancorata come un tumore nella sinistra politica, di cui sono stati o sono eroi i maggiori speculatori, con Parmalat, Cirio, Tiscali, CdbWebTech: Tanzi, il misirizzi Cragnotti, l’uomo che sempre ha dato fiducia alle banche, De Benedetti nelle sue tantissime incarnazioni (CdbWebTech è stata l’ultima di una serie: Fiat, Ambrosiano, Buitoni-Sme, Société Générale de Belgique, Olivetti per due-tre volte, Omnitel-Mannesmann), Soru. C’è chi, dopo venti anni, ancora non s’è ripreso da Tiscali a cento euro.
La sinistra può trarne beneficio qui e là, questo o quello spezzone della sinistra, ma non la verità, e quindi la sinistra nel suo complesso, come opinione e come movimento. I magistrati di sinistra in particolare ne traggono beneficio per la carriera e la notorietà, ospiti in tv, dalle dame e ai convegni, celebrati, perfino osannati, nuovi divi. Dai grandi giornali dei grandi padroni.

La colpa del sopravvissuto – e dello spettatore

Una storia “forte”, del disagio (senso di colpa) del sopravvissuto. A una catastrofe familiare. Inframezzato dagli eventi senza più senso della vita quotidiana: le amicizie generose, il vagabondaggio, l’alcol, il silenzio di chi sa. E dalla vita come avrebbe potuto essere.
Qualcosa Amalric deve al suo amico Moretti, a “La stanza del figlio”. Ma con in più, insopportabile, la vita figurata come se niente fosse stato. Ogni giorno daccapo: la donna la rivive come in solitario, come nel gioco delle carte, con le polaroid dei momenti felici rovesciate a caso, ma senza soluzione possibile del gioco - le tocca ricomporre il mazzo e smazzare di nuovo le polaroid della vita come avrebbe potuto essere.
Un racconto musicale, quindi creativo - allegro, malgrado la tristezza irredimibile del caso. Amalric si sa perseguire da tempo l’idea di una storia che si racconti col suono, più che con l’immagine. Una colonna sonora ha montato da decine di pezzi classici, da Beethoven a Messiaen. Eseguiti da provetti interpreti, da Argerich in giù per il pianismo. Sulla traccia di un dramma di Claudine Galea, scrittrice per l’infanzia e l’adolescenza, “Je reviens de loin”.
Un racconto semplice, che la critica e la promozione hanno complicato e confuso. Deprivando lo spettatore del piacere di vedere il film – se non, a fatica, a posteriori, evocando questa o quella scena, questa o quella battuta. Forse gli estensori delle tramine non vedono i film, e anche i recensori, se non distrattamente. Forse le promozioni sbagliano, a omettere il senso della trama, del racconto - per evitare l’effetto spoiler, dicono: si pensa che la “sindrome Antonioni”, della “incomunicabilità”, aiuti lo spettatore, lo affascini? 
Mathieu Amalric,
Stringimi forte

mercoledì 16 febbraio 2022

Secondi pensieri - 474

zeulig

Borghesia - Il borghese è “ciò che ha”. A Wilhelm Meister non può che apparire così, ma cos’è che spinge ad avere, cioè a fare?
È una dottrina aristocratica che il giovane di Goethe riflette e non si saprebbe dargli torto. Quella del nobile prussiano Ludwig August von der Marwitz, che col suo Kurmärchischen Kreis (Rahel Varnhagen, p.43), che combatteva la riforma borghese di Hardenberg e Stein. Non appartenendo a nessuno stato, o condizione sociale, il borghese non rappresenta nulla, cioè non è nulla. Beh, up to a point. Non è persona pubblica ma privata – ed è per questo che l’opinione pubblica, nell’era dell’opinione pubblica, è privata: la manifestazione delle idee all’epoca dell’opinione pubblica è riservata e privata, non si dichiara, non si situa, ma procede, benché ingombrante, mascherata. Questo è già più vero dell’altro. Ma non perché la borghesia sia timida e demandeuse. La borghesia si esteriorizza, dirà Wilhelm Meister, attraverso la Bildung, la cultura. Sì, ma anche qui up to a point.
 
Heidegger metafisico - L’Europa avrà vissuto il periodo più lungo di pace e più proficuo di benessere materiale di tutta la storia, ma è vuota. Il dopoguerra è vuoto di idee, di energie, perfino di fatti. Hitler con la soluzione finale e gli Americani con Hiroshima hanno amputato la storia, ne hanno troncato le articolazioni nervose. Hanno avviato la de-civilizzazione dell’Occidente – è questo il problema – e la valanga non si arresta. E non per i mezzi messi in opera ma per la volontà tranquillamente distruttrice, senza limiti, che era dietro i mezzi, che ha sconvolto ogni senso possibile di giustizia, e quindi dell’ingiusto e del nemico. Ciò spiega la sensazione di stolidità che il Filosofo dà, furbo montanaro svevo che conquista il mare calandosi in tutte le barche pronte a accoglierlo, dai domenicani a Hitler, passando per Husserl e l’indicibile ebraico. La filosofia, una certa filosofia, nonché non porre argini è invece corriva. Osserva Montale il Poeta che “il fenomenologo chiuderà ‘tra parentesi’ il mondo reale (per lui irreale), dando però attiva collaborazione a quello che succede nel mondo senza sporcarsi”. O la filosofia che Nietzsche, ancora lui, aveva già ridotto agli atti personali dei filosofi: “Questo sistema è morto e sepolto”, insegnava a Basilea, “ma la persona dietro a esso è incancellabile”.
Che è tutto il contrario di quanto intendeva dire - su Nietzsche pensatore bisogna pur dire una parola definitiva. Partendo dalla curiosa storia che Dio sta lì, con la barba, un Mosè di Michelangelo un pochino più in su nella gerarchia, oppure non esiste. Certo che esiste, sennò l’uomo che ci sta a fare? Chi lo dichiara morto, Nietzsche per esempio, è per questo motivo: che non esiste più l’uomo, in quanto Nietzsche e in quanto essere umano, rimane la bestia – non dice che Dio non esiste, dice che è esistito ed è morto. Di più ha capito Hannah Arendt, che è anche la più vera cristiana che ci sia: “Starei meglio con chi non mi invitasse a considerare il poderoso retaggio della filosofia come un semplice “errore del passato””, anche perché, “dopotutto, nessuno ha cercato di predicare la virtù cristiana dell’umiltà prescindendo dal Dio cristiano”. Ma così è dell’esistenzialismo, si può dire che è morto e sepolto, mentre Heidegger è quello che è.
Non si ha voglia di cercarlo. Nemmeno d’incontrarne la presenza sui sentieri noti, i suoi luoghi dicono abbastanza senza le sue tracce. Che sembra bizzarro, ma non senza un motivo. Tutte le verità di Omero sono “dire la verità”, e anche alétheia, lo svelamento. Non c’era in Omero la legge astratta e immutabile, e non c’era l’individuo, che tutto sa. Ognuno si lasciava andare, si lasciava fare, e la sua verità era confidarsi. Si scopriva in quanto ci si scopriva. La verità di Heidegger, prendendolo al suo stesso pensiero, è semplice: togliersi la maschera. E allora coraggio, Filosofo, parlaci di te stesso, dì quello che sai. Ma egli sicuramente non lo dirà. A nessuno lo dirà, non solo al primo venuto. In realtà lo dice con il silenzio, questo è il suo svelamento - il silenzio parla, eccome: lui è uno che non ha perso la guerra. Molte cose stanno bene in altri ambiti. La tradizione, la campagna, la vita semplice, la vita agreste, l’innocenza - anche Pasolini ne ha nostalgia e le rimpiange, con affettazione ma pazienza, sono state una sua gioventù. E la verità non si esaurisce nella comunicazione. Quella di Goebbels, la verità del nazismo, ha creato infatti un mondo di cartapesta, la propaganda. Che è un mondo reale, ma diventa di cartapesta quando è la verità di chi lo crea.

Il Da-sein è un po’ l’An-sich, che ha lunga tradizione, Esser-ci e In-sé. Negli anni 1830 tormentava il principe Peter di Büchner, un secolo dopo la Felice di Kafka. Frastornata, è vero, dalla Casa del popolo berlinese, e dalla signorina Gertrude Welkanoz, che, affascinante e irresistibile sionista, teneva le ragazze sedute per terra, artisticamente drappeggiate, ad ascoltare estatiche, in piena guerra, letture estetiche. La guerra è ora lontana, almeno sembra, ma il Filosofo Secondo si avvicina all’Eco minore dei “Filosofi in libertà”: “Ed il suo esistenzialismo,\ trasformato in misticismo,\ è finito in modi rei\ con il ‘nominar gli dei’”. Il suo linguaggio è un prato peloso, ma potrebbe anche non nascondere serpenti.
L’essenza della verità, della famosa conferenza del 1930, è che “la libertà ci rende veri”. Prima il Filosofo era per “la verità ci renderà liberi”, che invece è insidiosa. Non si può dire che la falsità ci rende liberi. E l’Esserci è, al cinema, “Being there”, con l’immortale Peter Sellers, come dire non esserci. A volte è meglio - non esserci. “Giocolini di filosofia”, avrebbe detto il leggero Algarotti. Gioca con le parole, i giochi di parole sono il cuore dell’ambiguità, bisogna scriverlo a Wittgenstein – che, anche lui, avrebbe voluto poetare la filosofia, ma sapeva solo fischiettare. Solo un Dio ci può salvare. Cioè solo Dio, il Filosofo non è politeista. è il riconoscimento onesto dei propri limiti, l’appello alla fine alla fantasia, a un po’ d’immaginazione nel mondo sordo. L’abbandono della metafisica non ha dato più immaginazione, più creatività, ma un adagiarsi nella ragione mondana.

“La cosa in sé” l’ha già trovata Lear all’inizio della follia - è l’uomo unaccomodate. L’Erlebnis era di Buber, il vissuto. Ma originariamente di Dilthey. Aufhebung, il dépassement, è di Hegel, che Heidegger non pratica. Ma poi l’esistenzialismo, brutta parola, nella sostanza è in Pitagora, la cui vera idea della perfezione è che l’esistenza sia identica all’essenza. A Parigi, lamenta il rettore Taubes, tutti vogliono lavorare su Heidegger, o su Nietzsche, anche quelli che non sanno il tedesco. E il nichilismo è saggezza di Achille Campanile: tutti fabbrichiamo un morto, ciascuno il suo.

Improvvisato e perfino imbarazzante è il Gestell, l’“imposizione”: il Gestell tecnologico che si è impadronito del mondo (natura) e ci governa, da sudditi senza scampo o via di fuga, opera perversa dell’umano apprenti sorcier. Quando è evidente il contrario: la natura (mondo) non è servile, anzi non è benigna, mentre la tecnica lo è – la tecnica l’ha inventata l’uomo, è opera dell’uomo, è sua estensione. Tanto peggio se, come opina Ferraris, la sagra del Gestell è un derivato della furba autodifesa di Speer al processo di Norimberga il 31 agosto 1946: sono colpevole, ma solo di non avere contrastato la tecnologia padrona. 

È la forza del pensiero orale, delle antiche scuole, Aristotele, Platone et al.. Di allievi e uditori non solo donne, stante il suo fascino virile, su un vasto pubblico giovanile ai suoi corsi e seminari, e nei colloqui, con Celan, con René Char, in Germania, Francia, Italia, da Roma nel 1936 alla Provenza negli anni 1960. Con le colture dei poeti, comunque affascinanti, Hölderlin, Rilke. Con la Nietzsche Renaissance.


Pensare - “Pensare è vedere”, diceva Francesco De Sanctis.

Cronache dell’altro mondo – talebane (173)

Dopo il ritiro dall’Afghanistan, il presidente Biden ha congelato i 7 miliardi di dollari che la Banca centrale dell’Afghanistan teneva in deposito nella Federal Reserve Bank of di New York.
Altri 9 miliardi di dollari in valute di riserva detenuti dalla Banca centrale dell’Afghanistan in altri paesi sono stati conseguentemente anch’essi congelati, seppure non ufficialmente.
I funzionari della Banca centrale dell’Afghanistan, formati in America durante i vent’anni dell’occupazione americana del paese, hanno provato ad assicurare che la banca ha tuttora una gestione autonoma dal governo, ora talebano. E che le riserve verrebbero utilizzate per far fronte ai rigori dell’inverno e della fame, per i 40 milioni di abitanti, e per ristabilire un qualche ordine economico - molte banche hanno chiuso, molti salari non sono pagati, l’inflazione corre, con la disoccupazione.
La scorsa settimana un “ordine esecutivo” presidenziale, un decreto, ha congelato ufficialmente il deposito della Banca centrale afghana presso la Fed. E ha preannunciato un piano per dividere la somma in due quote: la metà da accantonare per aiuti alle famiglie di americani vittime di attacchi terroristici talebani, che abbiano perseguito i talebani in tribunale. E l’altra metà da accantonare per essere distribuita come aiuto americano “a beneficio del popolo afghano”.
 

Eiffel o la torre d’amore

La torre Eiffel è la A di Adrienne, la giovane di cui l’ingegner Eiffel è stato innamorato e complice di svaghi in gioventù. Il film è, sullo sfondo della costruzione della torre al centro di Parigi, una storia d’amore, felice per essere proibito. In una Francia fuori dai clichés, in famiglia, negli affari, in provincia, a Parigi.
Un racconto doppiamente rinfrescante: una storia d’amore fatta di risate, avventure, parole, invece che di posizioni a letto, in contesti finalmente non di maniera, in campagna e a Parigi. Incatenati, certo, dalla costruzione della torre, filo conduttore di molta suspense: un mostro di ferro da milioni di tonnellate, da tirare su per 300 metri di altezza, in soli diciotto mesi, risolvendo giorno per giorno, ora per ora, problemi tecnici imprevisti – senza un solo incidente di lavoro. Un’idea anche balzana come monumento, derivata dalla Statua della Libertà americana, di cui Eiffel aveva disegnato e realizzato lo scheletro metallico – avversata da artisti e letterati, e destinata, nei programmi, alla demolizione dopo l’Esposizione Universale di Parigi nel 1889.  
Semplice, ma è un gande racconto, di cui il regista è anche sceneggiatore. Fare un film di ingegneria, ferrosa, si direbbe difficile, e invece eccolo qua, interessante e stimolante. Con un tocco importante di attualità: la sicurezza degli operai che ci lavorarono come impegno costante dell’ingegner Eiffel, non impossibile.
 
Martin Bourboulon,
Eiffel, Sky Cinema

martedì 15 febbraio 2022

Appalti, fisco, abusi (217)

Traffico ridotto per i lockdown, meno incidenti, ma Rca in aumento. È la conclusione del management UnipolSai: il “ritocco” delle tariffe è “inevitabile e improcrastinabile”. Di logica, si potrà dire d’ora in poi, “unipoliana”. Ma ben possibile stante l’acquiescenza di Ivass, l’autorità di vigilanza.
 
Il “ritocco inevitabile” del direttore generale di UnipolSai Laterza è necessario – lo dice lui stesso -  per accrescere la redditività rispetto agli obiettivi del piano triennale. Per partecipare – sottinteso – con spalle robuste al risiko bancario. E questo devono pagarlo gli assicurati?
 
Arriva la bolletta del gas del bimestre dicembre-gennaio, con la crisi energetica in corso, e costa meno, molto meno, che due anni fa, a dicembre 2019-gennaio 20220, a parità di consumi. Il gas costa lo stesso, 0,36 euro al mc. E così pure l’inverosimile “Spesa trasporto e gestione contatore” – si paga la “gestione del contatore”, cioè leggere quattro cifre. Ma il “totale imposte e Iva” si riduce di ben 47 euro. E le spese per “oneri di sistema”, il contributo che si paga ai signori dell’elettricità “verde”, da 12 a 4,6 euro.
 
In una classifica che premia le banche di settore, piccole e anche minime, prima fra le banche commerciali nella graduatoria della Vigilanza Bce viene Credem, la banca di Reggio Emilia - all’undicesimo posto nel rapporto Mediobanca per attivo tangibile. Seguita al 17mo posto da Mediobanca, al 28mo da Unicredit e al posto successivo da Intesa. Un sistema bancario solido, lo dice il direttore della Vigilanza Bce, Enria. Ma Deutsche Bank, la maggiore in Germania e una delle maggiori in Europa, viene all’82mo posto, poco prima del Monte dei Paschi (86), e di Carige, che ora si vende a un euro – con una dote pubblica di 530 milioni, liquidi.

Cronache dell’altro mondo – russe (172)

Il Russiagate, che nella campagna presidenziale 2016 e dopo legava Trump a Putin, è una “narrativa”, montata per screditare Trump. La cosa è accertata come verità di fatto, ma non è diventata materia di critica.
Lo stesso avviene per lo sviluppo successivo in corso: il romanzo Russiagate sarebbe stato progettato e coordinato dall’ufficio legale della campagna Clinton. Che avrebbe fatto manomettere da aziende specializzate le comunicazioni negli uffici di Trump, e poi, con Trump presidente, alla Casa Bianca. Le due accuse provengono da John Durham, l’ex Procuratore del Connecticut incaricato di indagare sull’origine del Russiagate dall’amministrazione Trump. Ma i sondaggi dicono che una quota prevalente di elettori Dem vorrebbe che si andasse a fondo – ad esaminare la veridicità delle accuse di Durham.
La compagnia che ha operato le intrusione è nominata come Tech Executive-1.
Un processo è stato aperto a carico dell’avvocato della campagna Clinton nel 2016, Michael Sussmann, già parte dello studio Dem Perkins and Coie. Il processo si terrà a metà maggio.

Le diavolerie della magia al Sud

Si leggono queste “ricerche” etno-folkloriche come racconti di fiaba. Ma sono solo del 1969. Annabella Rossi aveva praticato l’intervista dieci anni prima, lavorando per Ernesto De Martino a “Sud e magia”, e qui ne fa la tela di per una serie di racconti.
Il Salento, da tempo terra di gran turismo internazionale, acchittata e prospera, era ancora campo d’elezione dei folkloristi. Facevano tesoro di vecchie pratiche religiose che ancora si celebravano, in onore di San Donato, di san Paolo, e di varie Madonne. Quello per le malattie dei nervi, questo per la taranta o tarantola, la Madonna per liberare dalle catene, far fare figli e altro.
Pratiche devozionali. Residue. Ma non per gli studiosi, che ancora acculavano il Sud alle pratiche magiche. Annabella Rossi, che aveva lavorato alle interviste dieci anni prima per la ricerca seminale di Ernesto De Martino, “Sud e magia”, sul tarantismo e le tarantolate,  apre la ricerca dieci anni dopo a tutte le forme di devozione miracolistica nello stesso Salento. La stessa ricercatrice l’anno dopo sarà in grado di produrre un secondo volume sul tarantismo nel Salento, “Lettere da una tarantata”, con una “nota linguistica” di Tullio De Mauro – sulla “tarantata” in grado di scrivere. E a fine decennio 1970, con Moro rapito e tutto il resto, curava per la radio Rai una trasmissione “Sud e magia”.
Annabella Rossi, Le feste dei poveri

lunedì 14 febbraio 2022

Ombre - 601

Si mostrano in tv due affaristi che si accordano per ricattare l’Eni. Due che la Procura di Milano ha utilizzato per sette anni per processare il gruppo petrolifero, tenendo nascosta la registrazione dell’accordo criminale. Senza responsabilità della Procura.

Della Procura di Milano si celebrano invece i quarant'anni dell’epopea. Di “Mani Pulite”. Ma con circospezione ora, rispetto alle epopee dei “decennali” passati. Il “Corriere della sera” la annega in un podcast seriale, che intitola “Nebbia”, per dire “le verità nascoste nella storia della Repubblica”. Nascoste, cioè vergognose. E la puntata su “Mani Pulite” intitola “La rivoluzione immaginaria”.

A quando un podcast sul ruolo eversivo del “Corriere dela sera”?

 

Il “Corriere della sera-Roma” dà la pagina dei cinema monca: toglie in genere i cinema di qualità e di quartiere (Parioli, Centro storico, Trastevere) che più farebbero comodo, a naso, ai suoi lettori. Non per mancanza di spazio, molte righe sono recuperabili nella grafica della pagina cinema. Il confratello “la Repubblica-Roma” ogni tanto, se la pubblicità ne ha bisogno, taglia i cinema di un quarto di pagina, mezza pagina.

Questo si fa per obbligare i lettori a comprare un altro quotidiano? O per non comprare più il giornale, se dev’essere proprio del tutto inutile?

  

A Odessa, secondo città dell’Ucraina, il sindaco Trukhanov, capitano in congedo dell’esercito, ha un consigliere diplomatico. È “un calabrese”, scrive Battistini senza spiegare, “si chiama Attilio Malliani”. Odessa è sempre stata una città di merci, di incroci. Ma nella sfera ucraina, dopo la caduta dell’impero sovietico, un po’ esagera.

 

Il presidente della Corte Costituzionale Amato che dice i referendum mal congegnati (“hanno qualche difetto”) ma meritevoli di un atteggiamento comprensivo della Corte (“non bisogna cercare il pelo nell’uovo”), lo dice per favorire i referendum o per affossarli – in parte, certo? Se mal proposti, la Corte non ha scelta – non può mica promuovere i referendum.

 

Fa tenerezza più che stizza la diligenza con cui “la Repubblica-Roma” riferisce la vulgata degli atti e gesta della giunta Gualtieri, che non fa nulla. Quattro nuovi impianti e dieci centri di raccolta dei rifiuti – come se fossero una novità, i progetti. Città della scienza, Colosso, Vittoriano e Appia, “pioggia di fondi”. “Via le bancarelle da Cola da Rienzo”, un viavai di anni, tra corsi e ricorsi.

Apoteosi per gli aumenti che il consiglio comunale Pd si è votati, retroattivi. Anche perché, si spiega, si applicheranno pure ai consiglieri eletti nei municipi, anch’essi Pd. E retroattivamente, “dal primo gennaio”. 2022, si spera.

 

Non si sa invece che pensare del resoconto che lo stesso giornale dà delle risposte che la ministra Lamorgese dà alla Camera sui manganelli contro gli studenti una settimana fa. Mancano gli anarchici, ma abbondano i centri sociali e i provocatori per giustificare il pestaggio. Come se la Polizia non sapesse che i centri sociali sono da tempo istituzioni, con nome sociale, sede, statuti e organi societari. E i provocatori, perchè non manganellare loro invece dei ragazzi?  

 

Attività ridotta e ridottissima nel 2021, e utili alle stelle – nel 2021 dopo il 2020: c’è qualcosa che non funziona nelle banche, che buttano fuori ogni giorno consuntivi e piani industriali stratosferici, Bpm dopo Bper, dopo Unicredit, dopo Intesa. Il paese va avanti di notte quando i governanti dormono, usava dire dell’America Latina: è lo stesso con le banche?

 

È perfino oscena la campagna tedesca contro l’ex papa Ratzinger. Di cui i tedeschi hanno trovato infine una colpa inesistente ma insidiosa, dopo avere frugato in ogni piega dei suoi novant’anni. Ma forse si sottovaluta una cosa molto tedesca, anche se all’apparenza sembra proprio il contrario (c’è niente di più pulito della Germania?): la goduria della sporcizia.   

 

La Germania non ha mai amato il papa tedesco: c’è un perché?

 

Sui 65 mila migranti che sono sbarcati in Italia nel 2021, calcola l’Ispi, “almeno 1.600” sono morti in mare. E 31 mila sono stati intercettati e riportati indietro dalla guardia costiera libica. Sarà il Millennio dell’orrore in mare.

A tutto debito

Dopo un primo balzo a seguito della crisi bancaria nel 2007-2007, ora, dopo i lockdown e i “ristori” in tutti i paesi dell’Ocse, i paesi industrializzati, il debito cresce il doppio o il triplo da un paio d’anni del pil.
Nel dibattito a Bruxelles sul Patto di stabilità, il consenso è per abbandonare il parametro del debito pubblico sancito a Maastricht, col limite al 60 per cento del pil: il nuovo parametro sostenibile sarà al 100 per cento del pil.
Sempre più viene in considerazione anche il debito totale, non più il debito pubblico, come base di valutazione della sostenibilità, come chiedeva Tremonti, il ministro del Tesoro di Berlusconi. Con questo parametro (che avvantaggerebbe l’Italia, nel privato risparmiosa più che indebitata, in beni mobili e immobili) le economie maggiori, Stati Uniti e Cina, sarebbero sovrastate da un debito totale superiore al 300 per  cento del pil.

Ecobusiness

Si torna a pompare gas, con un programma accelerato, dopo decenni di blocchi e denunce delle società petrolifere, per danni veri o presunti all’ambiente (sussidenza dei terreni, inquinamento dell’aria e delle acque, tossicità), e processi anche celebri. Se ne fa promotore e garante il ministro della Transizione Ecologica Cingolani. Verde è tutto e il suo contrario?
“Profit e non profit finiranno per coincidere”, Arianna Alessi, Red Circle Investments. Perché, già non concidono?
L’“inflazione verde”, da accelerato passaggio dalle fonti di energia fossili alle rinnovabili, è reale e stabile – non dipende da Putin o da tattiche Opec. E peggiorerà.
“L’elettrificazione voluta dai politici”, spiega l’ad di Stellantis (Peugeot-Fiat) Tavares, avrà “conseguenze sociali profonde”. Cioè chiusure di stabilimenti e riduzioni radicali della manodopera – fabbriche, di auto e ricambi, concessionari. rivenditori, officine meccaniche. Per le aziende no: “Le aziende hanno il compito di sopravvivere”, diec Tavares, “e sopravviveranno”.

Thomas Mann a Venezia con D ‘Annunzio

Ma è D’Annunzio! Sugli altari come reliquia gay, è un racconto estetizzante, tra Wilde e D’Annunzio. Anche molto, cioè troppo: su un filo marcatamente costruito, esterno, ironico, critico. Per il tratto celebre, rivelatore dell’intenzione dello scrittore, che non anela a un corpo, ma a un modello di scrittura: “Quello cui ambiva, tuttavia, era di lavorare alla presenza di Tadzio, di prendere il fisico del ragazzo come il modello per la sua scrittura, di lasciare il suo stile seguire i contorni di quel corpo che gli sembrava divino, di trasportare la bellezza nel regno dell’intelletto, come l’aquila un tempo trasportò il pastore troiano nell’etere”, Ganimede. Un parodia della bella scrittura, che altro può essere?
Non una memoria o una confessione, ma un esercizio come un altro di abilità, di scrittura. Di un autore che, dopo il successo improvviso all’esordio, con i “Buddenbrook”, aveva passato una dozzina d’anni d’incertezze e prove fallite. Anni sui quali l’ombra di D’Annunzio trasvolava pesante. Un racconto a effetto – anche questo di tipo dannunziano. Se è vero, come Mann pretenderà nelle “Considerazioni di un impolitico”, che questa “Morte” era il libro più letto nelle trincee. Un racconto pruriginoso, il primo dei tanti di cui Th. Mann si diletterà, l’incesto, l’onanismo, l’antisemitismo. Partendo probabilmente dal romanzo di Achille Tazio, “Leucippe e Clitofonte”, che compara, atto per atto, gli amori con le donne con quelli con i ragazzi. Il tutto condendo, come D’Annunzio, e come lui asceta della penna, di uno spruzzo di personale, per un succès de scandale – e a maggior profitto dei futuri biografi.
Ma con un fondo – un retrogusto, una base psicologica? – da commedia nera. Già il titolo è antifrastico, quasi irridente. Riallacciandolo alle successive “Considerazioni di un impolitico” si capisce perché. Dove qua e là corregge letture misconcette del racconto. È letto, e ancora proposto, in chiave dannunziana, della ricerca di uno stile elevato. Mentre è una parodia, dell’autore infoiato della bellezza, dello stile elevato o ricercato. Letto in chiave romantica, adombra un Mann ingenuo, adolescente, debuttante, timido. Letto in chiave ironica, di un registro nero, si capisce meglio: Tadzio è la perfezione, inattingibile, se non a prezzo di ulcerarsi in spasmi inutili. L’ambizione di Aschenbach, “di lavorare alla presenza di Tadzio”, è sindrome estetica adolescenziale, o allora dannunziana. Ma se senza crederci, come Th. Mann ci ha abituati a consideralo, un cinico curatore dell’immagine e del successo, è una parodia, e anzi una satira. Commuove i gay come parte di una letteratura di genere, ma allora per ridere: Ganimede, l’Olimpo, il divino, la perfezione, siamo nel regno dell’estetismo più pacchiano.
L’identificazione nell’autore anziano è la prima spia. Come di Th. Mann che si distanzia, da se stesso, trasponendo i suoi precedenti tentativi di scrittura dopo i “Buddenbrook”, le trame estetizzanti, eroiche, fantastiche, in capo a un comodo bersaglio.
Thomas Mann, La morte a Venezia, Einaudi, pp. 113 € 9,50

domenica 13 febbraio 2022

Un monumento a Putin

Quando gli Alleati a Yalta si complimentarono con Stalin per essere entrato vittorioso a Berlino, Stalin bofonchiò senza ironia: “Lo zar Alessandro entrò a Parigi”. Il dittatore repubblicano e lo zar una cosa sola sono. Il popolo russo ha un’alta concezione della Russia, per avere sconfitto Hitler, nel momento del trionfo di Hitler, nel 1942, e Napoleone – che molti tengono in grande considerazione, ma chissà perché voleva sottomettere la Russia. Della Russia europea, e potenza europea, quale è stata per settant’anni col sovietismo.
Biden, che da vice di Obama era sarcasticamente contrario alle guerre americane in Medio Oriente, Libia compresa, e da presidente ha abbandonato ignominiosamente l’Afghanistan, ora vuole la Nato sul piede di guerra a difesa dell’Ucraina. Ma non prepara la guerra contro la Russia per tale eventualità. Né la preparano i due leader europei che più si agitano, tra Kiev e Mosca, Johnson e Macron. E non si sa che pensare.
La Nato contro la Russia sembra impensabile. E saranno vere le foto dei piani di Putin che la Cia ci manda ogni giorno? Prima ci mandava i fotomodelli della guardia ucraina, in genere prospere bionde. O Biden non avrà aperto il fronte Ucraina per tenere sotto controllo l’Europa - a partire dal Nord Stream 2, il gas in Europa senza Ucraina di mezzo?
È comunque vero che Biden, Johnson e Macron sono in crisi politica e di popolarità. I due europei anche a rischio posto.
Restano Putin e la Russia. Che vogliono? Che fanno? Non si sa: i diplomatici non sanno, i giornalisti non capiscono, le spie tacciono. Per ora, in Russia, è come se Biden avesse eretto un monumento a Putin. Che nessuno più contesta, né i vecchi comunisti né i liberali – Navalnyi sta zitto in prigione: la patria è in armi contro 
i “nazisti di Kiev”. 

 

Letture - 481

letterautore

Cicala – “La cicala dev’essere senz’altro greca”, è una delle fulminee verità di Meneghello partigiano sopra Asiago, dove, addormentato tra le stoppie, si sente svegliato da un suomo che si dice essere di una cicala. E vuole controllare, aprendo gli occhi. Se non che gli viene “in mente una cosa curiosa: che non ha mai visto una cicala. Anche se è facile – “basta montare su un albero dove ce n’è qualcuna che grida, perché si sa che non volano via, solo smettono di gridare, e stanno ferme”.

Perché greca? “È impossibile che i greci non abbiano sentito quanto è misteriosa. E per i misteri avevano un orecchio incredibile”. Ma: “Come si dirà in greco cicala?”

Conan Doyle - Ha scritto un articolo sulla maratona disperata di Dorando Pietri (24 luglio 1908), pubblicato sul “Daily Mail” lo stesso giorno. 

Conrad – Un assimilato prudente in vita, o un po’ venduto, che ritirò la firma contro la condanna a morte di sir Roger Casement - quando i servizi segreti britannici compilarono le turpitudini dei “Black Diaries”, di cui ancora si vergognano, a carico del patriota irlandese.

Croce del Sud – I genitori di Gianluigi Aponte, si legge del padrone e presidente di Msc, la prima flotta porta-container al mondo, e la terza di navi da crociera, prima della guerra “decisero di trasferirsi in Somalia, e gestire un hotel chiamato Croce del Sud”. L’hotel Croce del Sud esisteva ancora nel 1974, anche se impropriamente chiamato hotel – ma era l’unico a Mogadiscio in una certa stagione, il nuovissimo albergo costruito con i fondi della cooperazione essendo più o meno sempre requisito dal governo per delegazioni della lussuosa compiaciuta nuovissima burocrazia africana. Non aveva aria condizionata, e l’acqua dei rubinetti era di mare – che non lava il sapone, non lava. Aveva però un pianto intermedio aperto, il piano dell’aria. E funzionava, lì si stava al fresco.

Germania – È “la foresta che cammina” – è il fulminante ritratto che Canetti ne fa in “Massa e potere”, avendoci lavorato negli anni 1920-1930. “Il simbolo di massa dei tedeschi era l’esercito”, dice scrivendone nel 1960: “Ma l’esercito era più di un esercito: era la foresta che cammina. In nessuna parte del mondo il senso della foresta è rimasto vivo come in Germania. La rigidità e il parallelismo degli alberi ritti, la loro densità e il loro numero riempiono i tedeschi di gioia profonda e segreta”. 

Celebrando “Arancia meccanica”, il romanzo della violenza giovanile di Anthony Burgess, per i sessant’anni dall’uscita, Martin Amis ci mette di mezzo la Germania. Per la “non inverosimile idea” di Burgess che “Beethoven e Birkenau non si limitassero a coesistere” . Un’assurdità. Ma da “partito” filotedesco, sempre molto forte in Inghilterra – proprio in Inghilterra, non in Scozia o in Irlanda. L’effetto espressionista (eccessivo, provocatorio) ricercato da Burgess Amis infatti lo aggancia alla notazione che a Londra in quegli anni “le riviste letterarie erano angustiate”, tra le scosse di assestamento postbelliche, “soprattutto dalla coesistenza apparentemente sconvolgente, nel Terzo Reich, di barbarie industrializzata e Cultura Alta”. Cultura Alta nel Terzo   Reich? Sì, Heidegegr e Carl Schmitt continuano a pubblicare, ma ai margini, e un po’ collusi – Jünger si limitò in dodici anni a un “Giardini e strade”, dopo la passeggiata fino a Parigi, consolandosi con Boezio.

Giallo - “Sanctuary”, l’intrusione della tragedia greca nel romanzo poliziesco”. A. Malraux.

“Attitudine a scardinare l’impianto classico del genere giallo: si parte dalla chiarezza per approdare al mistero”. Moravia, recensione a  Sciascia, “Ciascuno il suo”. 

L’induzione Bacone, in “Cogitata et visa”, XIV. (p.80), riporta a Platone. E in “Uomo e natura”, pp.234-5 (lo stesso testo differentemente tradotto), più p.100: “Platone è il Maestro dell’induzione. Ma ha condotto solo indagini vaghe, ricavandone forme astratte”.

Il padre dell’induzione è Bacone.

Italia – È poco una nazione perché ha grandi storie particolari dietro. Analizzando le varie popolazioni europee al capitolo “Simboli di massa delle nazioni” (“Massa e potere”), Canetti conclude che “l’Italia può essere un esempio di quanto sia difficile per una nazione concepire se stessa quando le sue città sono popolate da grandi ricordi e il suo presente è volutamente confuso con tali ricordi”. C’è il mito fondante dell’antica Roma, e c’è la seconda Roma, riflette Canetti, “la Roma di san Pietro”, che però “paralizzano il sentimento nazionale dell’Italia moderna”.   

Italiano – Si producono dischi d’opera, per esempio l’album “Caruso” di Roberto Alagna, col lungo testo introduttivo, dello stesso tenore, in inglese, francese e tedesco. Resta l’italiano dei libretti e delle romanze che Alagna celebra, anche di Haendel, Hasse, eccetera, o Beethoven, in italiano.

Libro – Un “oggetto fisico tra gli altri”, J.L.Borges, “prologo” di “Elogio dell’ombra”. Non consolante: “I miei libri (che non sanno che esisto)” sono dello stesso Borges, ironico e sconsolato, in avvio di “I miei libri” (in “La rosa profonda”). 

Pseudonimo – Un falso nome non protegge e non avvantaggia, non necessariamente, ma consente di parlare di sé in terza persona, piacere grande. Meglio ancora un nome collettivo.

Selfie - Voltaire, che scrisse un brevissimo, per le sue abitudini, “Memorie” – in realtà un ritratto fuori ordinanza di Federico di Prussia – si vergognava “al ridicolo di scrivere di me stesso”.

Ucraina – Sono ucraini gli “occupanti” del Veneto dopo l’8 settembre 1943, nel racconto che ne fa Meneghello, “I piccoli maestri”. I rastrellatori di partigiani, che se presi venivano impiccati a un uncino, per la gola. 
È la sola testimonianza, in pratica, della presenza ucraina nei diciotto mesi della repubblica di Salò, le storie non ne fanno cenno – in Meneghello il riferimento è costante, non c’è tedesco senza ucraino.

letterautore@antiit.eu

A tutta rendita

La pandemia prima dell’inflazione ha rilanciato l’economia rentier, che è anche il grande business delle banche: l’emissione e la vendita dei titoli di debito, le obbligazioni, in aggiunta al credito. Il tutto in un quadro, finora, di forte espansione monetaria.
Il “Financial Times” ha calcolato che nel 2021 la liquidità delle società quotate si è accresciuta di ben il 17 per cento, per un totale di 12.100 miliardi di dollari. Di cui solo poco più di un decimo, 1.440 miliardi, è stato coperto con la vendita di azioni. Le emissioni obbligazionarie hanno totalizzato 5.500 miliardi di dollari, il credito 5.160.  Quasi nove decimi del nuovo capitale si paga insomma con interessi e cedole, la miniera delle banche.
Molta liquidità è ancora in parcheggio, in conto, inutilizzata – è il lamento che più si sente. Mantenersi liquidi è la prima reazione del piccolo risparmiatore, anche del medio, in tempi di incertezza. Ma più che crescere di quasi il 20 per cento non è possibile per l’“economia della rendita”.

Malinconia del sapiente

Una cornucopia di versi e prose liriche che Borges pubblicò per la sua compagna di vita da ultimo, Maria Kodama. “Il più intimo”, lo dice nel “Prologo”, dei suoi libri. Quasi una confessione, o un autoritratto, di sé stesso a futura memoria – la “notte” essendo la cecità incombente, come la dice lui stesso, ma anche un presentimento di morte, benché Borges abbia poi vissuto un’altra decina d’anni, spesso in viaggio, laureato e premiato, e pubblicato altri tre o quattro libri. Sempre gnomico, anche nella dedica, di “cose disparate, che sono forse, come presentiva Spinoza, mere figurazioni e facce di un’unica cosa infinita”.
Un libro d’amore malinconico. Vanitas vanitatum è il basso continuo. Su un fondo di eremitaggio. Non misantropico, la socievolezza è parte del carattere preponderante, l’amicizia, il quartiere (Palermo), la città (Buenos Aires), la famiglia (gli avi sempre importanti, di padre e di madre), la Francia, che gli ha appreso l’esametro. Ma distaccato: per “L’innamorato” del componimento omonimo non c’è arte e non c’è storia, veramente, “farò finta che queste cose esistano”. E non c’è altro, “fingerò che altri esistano. È menzogna”. Per proporsi fedele d’amore. Ma a chi, a che? Il poeta è, come l’incolpevole G.A. Bürger a Gottinga nel Settecento, di “sapienza tanto inutile\ quanto lo sono i corollari di Spinoza\ o le magie della paura”,
Una despedida, un addio. Precoce, in forma di libro d’amore, ma pieno di malinconia, di quello che fu e non è, e di quello che avrebbe potuto essere e non è stato. Dei ricordi, di ciò che fu, o avrebbe potuto essere – “a volte la memoria mi spaventa”, si dice con sant’Agostino. Ma per questo il libro più personale, meno elusivo, di Borges. “L’amore che non abbiamo condiviso” e “Il figliolo che non ho avuto” sono tra i rimpianti delle “cose che avrebbero potuto essere e non sono state”.
Un repertorio dei temi sempre cari. Borges rivede, riracconta, tutti i suoi topoi: la tigre, il leone, la Francia, l’Islanda, i vichinghi, l’amico morto, qui Manuel Peyrou, “prigioniero di una casa\ piena di libri senza più le lettere”, la biblioteca naturalmente, personaggi e geografie germaniche di sua invenzione, Gunnar Thorgilsson, l’Islanda, i Vichinghi, che non vollero scoprire un impero, la biblioteca di Alessandria, Milton, e le “Mille e una notte”, con milonghe, e coltelli.  Molte enumerazioni, per la consueta vertigine della lista, con molti elenchi, di cose, trattazioni, fantasie, monumenti, storia.
Un epicedio da vivo. In una cornice di stanchezza. Un riesame come un esame di coscienza. Della vanità, anche, del sapere. Che è stato la sua gioia: “La biblioteca di mio padre è stata l’evento capitale della mia vita”, è la penultima riga del libro. L’ultima: “La verità è che non ne son mai uscito, come Alonso Quijano non uscì mai dalla sua”.
Versi per più aspetti sempre prosastici. Insonori per lo più, rare le rime. Una poesia anche qui didascalica, raramente “poetica”, ritmica, suggestiva, espansiva (lirica, elegiaca, idilliaca, epica) – in questa edizione, con l’originale a fronte, la lettura curiosamente ispira più nella traduzione, di Francesco Fava. Versi enigmatici e didattici - enigmatici per essere didattici: la magia di Borges sarà stata quella segreta del maestro di scuola, sapiente, sorprendente.
Jorge Luis Borges, Storia della notte, Adelphi, pp.126 €12