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sabato 1 giugno 2019

Il problema non è il debito, è la spesa

Liberato dall’incarico, il capo-economista del Fondo monetario internazionale all’epoca del “salvataggio” della Grecia e della crisi del debito italiano, Olivier Blanchard, riconosce che si è fatto “troppo” e male. Troppo nel senso dei tagli e dei vincoli. Nel nome di che cosa?
Blanchard non lo dice: non dice da che nasce e a che serve il rigore, selettivo – a te sì a me no. Dice però, giusto, che il problema è dell’economia, delle politiche economiche:”Il debito non soltanto è sostenibile ma tende a ridursi senza bisogno di tagli alla spesa o aumenti di imposte”, se l’economia marcia. Il problema è dei governi, compreso quello europeo. Il punto debole dell’Italia è la qualità della spesa: che dovrebbe andare in investimenti invece che in spese correnti, a beneficio presunto di questa o quella categoria, come si è fatto con gli ultimi quattro governi, con esito nullo o negativo – cresce solo il debito.
Blanchard dice anche quello che tutti sanno, ma che Bruxelles nega, alimentando la spirale negativa dei mercati sull’Italia e le sue banche: che il debito italiano è perfettamente solvibile. E aggiunge che Bruxelles (ma intende Francoforte, la Banca centrale europea) fa male a mettere sotto tutela sempre le banche italiane. Semmai

Bruxelles alimenta la speculazione

Non c’è dubbio che il debito italiano è più solvibile (garantito) di quello greco, e non c’è bisogno di dire perché. Ma quello greco si quota a premio su quello italiano – lo spread sui Bund tedeschi è minore. C’è una ragione? Sì: l’Italia paga l’insolenza delle autorità di Bruxelles per la gioia degli investitori. Pagano il Tesoro italiano, e le banche italiane, il cui ingente patrimonio in Bot va conteggiato al ribasso. Una doppia speculazione, grazie a Bruxelles.
L’effetto è perverso degli interventi di Bruxelles a gamba tesa, soprattutto, se non soltanto, sull’Italia. Altrove no. In Germania è zero, silenzio. In Francia pure, in Spagna, nella stessa Grecia. Ma qui il problema è delle opinioni pubbliche nazionali, dei media.
Altrove gli interventi di Bruxelles  vengono lasciati alle burocrazie ministeriali. In Italia invece vengono sparati dai media – anticipati, gonfiati, spettegolati, tra chi ha detto, chi non ha detto, chi ha fatto, chi non ha fatto, eccetera. “Notizie” di cui in genere non si capisce nulla, ma sì che sono “cose gravi”.
Può essere cupio dissolvi, una volontà perversa di morte. Ma non  sembra: è che il giornalista, soprattutto quello economico, è in Italia un cucciolo obbediente, che fa quello che gli dicono.

La mafia quale è

Ritorna coinvolgente Bellocchio, e incatena l’attenzione. Ma non alla maniera dei “Pugni in tasca”, in quella del thriller legale hollywoodiano – anche se la storia è nota ai più, e gli esiti pure.
L’argomentazione vola spedita, gli attori sono tutti nel ruolo, convincenti, il ritmo riesce a creare l’attesa.
Memorabile il processo. I processi cui il pentito Buscetta vuole testimoniare, ma uno è particolare, quello in cui accusa Andreotti, “smontato” dall’avvocato Coppi. Che lo spettatore erige però a avvocato della mafia. Ottime anche le ricostruzioni dei processi a Riina e i Corleonesi (che si erano potuti vedere in una vecchia tramissione in diretta differita di Rai 3) o, prima, il megaprocesso di Falcone, con i giudici incapaci di dominare il dibattito, preda degli oltraggi della plebaglia mafiosa. E finalmente un film di mafia che fa vedere i mafiosi per quello che sono, bestie parlanti.
Con qualche svarione: Falcone non era un giudice arcigno, sprezzante, era anzi partecipe, vispo: aveva lo sguardo sorridente, non viveva nella morte. Buscetta qualche difetto ce l’aveva, per esempio le tante mogli, o la “spensieratezza”, non era un eroe.
Marco Bellocchio, Il traditore

venerdì 31 maggio 2019

L’Italia indebitata dalla “riforma Visentini”

Il fisco in vigore ha fatto 45 anni, ha fatto molti danni, quando sarà cambiato sarà sempre troppo tardi, e un suo cambiamento potrebbe essere la chiave per intaccare l’indebitamento crescente dello Stato, che tanti lutti provoca a chi è indebitato, alle stesse banche creditrici, e agli italiani tutti in quanto debitori in solido, nonché per sbloccare l’economia, che ha reso sempre più asfittica, col cuneo fiscale e la voracità insaziabile del fisco, il più oneroso e improduttivo di tutto il mondo conosciuto..
Il debito è cresciuto a passi da gigante con la “riforma Visentini”. Negli stessi anni – nel 1975 compare per la prima volta il disavanzo pubblico, come lo documentò l’allora funzionario della Banca d’Italia Vittorio Barattieri, appena 25 miliardi di lire, che però hanno fatto valanga. La “riforma Visentini” he creato l’economia in nero o in grigio, di evasori per legge (elusori) o per convenienza di tutti, prestatori d’opera e utenti. Che si valuta attorno a un quinto del pil, al 20 per cento: La cui emersione, solo dovuta, risolverebbe d’un colpo tutti i problemi della finanza pubblica.
Una riforma che andava riformata subito e invece è sempre in vigore. Perché paga chi non ha – chi ha relativamente poco – a vantaggio di chi ha, attività in nero o comunque privilegiata dalla “riforma”, come elusione (spese di produzione,  eccetera). Il tutto a danno  della produzione e a vantaggio dei servizi, commerciali o di altro genere, inevitabilmente a basso valore aggiunto (creazione di reddito, altro che non quello del percettore). La manifattura ad alta intensità di manodopera è per questo scappata via dell’italia, mentre prosperano le attività d’intermediazione, per lo più parassitarie.


Il mondo com'è (376)


astolfo

Brexit – La regina Vittoria, la massima esponente, si può dire, dell’inglesità, al tempo dell’impero, del massimo splendore, era tedesca, con qualche antenato scozzese.

Riccardo Cuor di Leone è creazione inglese dell’Ottocento. Prima, e di suo, era un normanno a tutti gli effetti. Di lingua francese, non praticava il sassone, che non conosceva. Scriveva – anche poesie – in provenzale.

Cosenza – È stata fatale a molti condottieri. Alessandro il Molosso, il re epirota, nel 330 a.C. dopo aver conquistato tutta la Magna Grecia. Alarico,il re dei Visigoti, nel 410, dopo il sacco di Roma. Ibrahim II, nel 902, l’emiro di Ifriqiya (Tunisia), che aveva conquistato la Sicilia e parte della Calabria, e si accingeva a risalire la penisola. Si può dire una sorta di baluardo per l’Italia contro i conquistatori.

Non lontano, a Martirano, morì il primogenito di Federico II di Svevia, Enrico, Suo primo erede, da lui ancora in vita nominato re di Sicilia e di Germania, col nome di Enrico VII. Enrico in Germania, lontano dall’influenza paterna, prese il partito dei feudatari ribelli, e poi della Lega Lombarda. Il padre lo destituì dai titoli regali con l’accusa di alto tradimento. Che avrebbe comportato l’esecuzione, ma Federico II la tramutò nella carcerazione a vita. Nel trasferimento dal castello-prigione di Nicastro a quello di Martirano in Calabria, Enrico si suicidò buttandosi da un dirupo. Era chiamato “lo sciancato”, per una zoppia rimediata cadendo da ragazzo da cavallo. Ed era butterato dalla lebbra, contratta pare per contatto, con donne portatrici sane. Una storia alternativa lo vuole morto invece di malaria, ma sempre a Martirano. Federico II lo fece seppellire con onori regali nel Duomo di Cosenza. Anche questa morte si può dire difensiva: il Sud, dopo essere stato, inutilmente, longobardo, non fu con Enrico VII tedesco – o lombardo?


Lucien Laurat – Pseudonimo di Otto Maschl, viennese, uno dei più convinti e maggiori esperantisti e insieme un militante marxista, tra i fondatori del partito Comunista austriaco nel 1921. Nonché, nello stesso anno, del partito Comunista francese, per i rapporti intensi che intratteneva col suo fondatore, Boris Souvarine.
Nello stesso 1921, e fino al 1923, fu il corrispondente a Berlino di “L’Humanité”, il giornale del Pcf. Ma nel 1923 fu imprigionato in Francia, catturato alla frontiera mentre tentava di uscire clandestinamente, per sospetta attività sovversiva. Liberato dopo quattro mesi, sempre nel 1923 raggiunse Souvarine a  Mosca. Dove divenne specialista del russo, traduttore, e professore di Economia all’Università dei Lavoratori Orientali. Alla morte di Lenin, fu tra gli oppositori di Stalin e Zinoviev, insieme con Angelo Tasca, Karl Radek e August Thalmeier. Fino al 1927, quando scampò all’arresto a Bruxelles, e poi a Parigi. Trasmetteva da Mosca notizie a Souvarine a Parigi in esperanto.
Fu uno degli animatori anche dell’associazione a-nazionale mondiale della lingua, la Sta, Sennacieca Asocio Tutmond, dal pre-congresso internazionale di Dresda nel 1919, quando aveva vent’anni, a quello di Praga nel 1921, che portò alla fondazione della Sat.
In Francia continuò instancabile l’attività politica, nella posizione che poi si dirà “trockista”, cioè critica. Dapprima nel Pcf, responsabile dell’economia alla scuola di formazione della Cgt, la Cgil francese. Ma progressivamente se ne allontana. Nel 1930 è tra i fondatori di un raggruppamento autonomo dal partito Comunista. Tre anni dopo entrava nella Sfio, il partito socialista francese, creandovi la rivista “Le combat marxiste”. Nello stesso tempo restava legato a Souvarine, uno tra i più assidui collaboratori della rivista “La Critique Sociale” da Souvarine fondata nel 1931, con Queneau, Bataille, Simone Weil. Aderendo anche al Cercle Communiste Démocratique dello stesso Souvarine, in posizione  critica verso l’incipiente stalinismo – i due riuscirono, con un larga mobilitazione intellettuale, a far liberare Victor Serge a Mosca.
Mobilitato nel 1939 come francese, e presto prigioniero, riuscì a evadere. Per finire collaboratore di pubblicazioni collaborazioniste. Escluso dalla Sfio, ci rientra alcuni anni, ma senza più suolo politico. Vivrà fino al 1973, senza più storia.

Riforma Visentini – È l’insieme di norme che regolano il fisco dal 1974. Di cui subito di poteva dire:
“I capitalisti, che Constant voleva privare, al pari dei lavoratori, dei diritti politici, si confermano razza padrona d’ogni virtù e hanno con la ritenuta alla fonte l’arma che fiaccherà per sempre gli antipatrioti. Metà dei cittadini, i salariati, paga l’imposta sul reddito prima ancora di percepire lo stesso reddito, l’altra metà può pagare quando e quanto vuole. Oppure, con un’evangelica fuga in Svizzera, può non pagare. Ciò che si sapeva si conferma: si può essere un piccolo funzionario e rientrare, per aver pagato le tasse, fra i centomila italiani ricchi. Uno che non può più fare i ponti e neanche andare al ristorante.
“La riforma fiscale è lusinghiera col personale d’ordine, che sbalza in alto nei registri del fisco. Ci si può sentire per questo patrioti, onorevoli se non onorati, e quasi ricchi. Ma questo succede perché il professor Visentini ha eliminato i ricchi.
“«Un buon tributo lascia sempre gli individui nella posizione relativa in cui li trova», è saldo precetto di scienza delle finanze. Ma l’avvocato onorevole professore Visentini ha tolto i ricchi dagli elenchi delle tasse. Non hanno busta paga e, talvolta, i milioni li incassano all’estero, quindi nulla se ne sa. Anche i meno ricchi che lavorano in proprio, che incassano in contanti. E intanto si scontano dal reddito l’automobile, la benzina, le bollette, i viaggi, il ristorante, e l’istruzione, compresi i libri che costano tanto. Il che fa sempre comodo: più si spende, meno tasse si pagano, il fisco progressivo diventa la loro rendita, si lavora col fisco - si lavora per modo di dire, lo slogan dei ricchi, se ne avessero bisogno, sarebbe: “Non lavorare, lo Stato pensa a te”.
“Ci sono questi buchi nel fisco inflessibile della riforma Visentini, che sono veri e propri tesori, in quanto non si esauriscono come le miniere ma si ricostituiscono, e anzi si moltiplicano. Il fisco come investimento, bisognava pensarci, la moltiplicazione del capitale attraverso lo Stato, Marx sarà invidioso. Le professionalità si stanno affinando, un bravo fiscalista vale già più del miglior chirurgo.
“L’arciliberale Bruno Visentini, che tutto ciò ha disegnato, apprezzato avvocato dei ricchi, uomo di principi morali, e per questo cocco di Berlinguer, è riuscito a creare uno Stato patrimoniale democratico. Le fortune, se non la ricchezza del Paese, saranno realizzate attraverso le rendite fiscali. E ci si arricchisce progressivamente, seppure in rapporto inverso: più ricchi i più ricchi.
“Questo non sarà sempre possibile. Le spese facili dei nuovi ricchi spingeranno l’inflazione a livelli insostenibili per i ceti medi, creando nuovi poveri che lo Stato non avrà più soldi per sussidiare. Di scarsa saggezza è la legge pure per i padroni: le tasse anticipate dalle imprese strangoleranno le imprese e il lavoro. Le imprese dovranno mantenere lo Stato se danno lavoro, e questo tra non molto sarà intollerabile. L’onesto lavoratore sa che guadagna quel netto, lo vorrà giustamente aumentato, e per questo s’incazzerà col padrone. Che però deve dare allo Stato, tra imposte, tasse e contributi, la stessa cifra che dà al lavoratore, e questo presto lo farà fallire. Anche perché lo Stato è vorace, e con la ritenuta alla fonte ha ora un rubinetto aperto cui attingere, ne vorrà di più.
“Il professor Visentini, che è contrario alla spesa dello Stato insaziabile, gli ha messo in mano l’arma letale. Ma nel frattempo un nuovo assetto sociale sarà maturato. Il professore ha statuito che il paese sarà terziario, commerciante anzitutto e delle libere professioni, è lì che si creano le rendite fiscali, si fanno i soldi. La classe operaia lasciando centrale nell’area del corner”.
È pur vero che Visentini, essendo laico, non può fare molto nell’Italia cattolica. Non per esempio nel caso della famiglia. La famiglia italiana paga sul reddito un’imposta che è tredici volte quella della famiglia tedesca, e sette volte quella francese. Ma la colpa non è dei laici repubblicani. È che l’Italia è il paese della Democrazia Cristiana e del Vaticano, che, via la Corte Costituzionale da loro espressa, hanno stabilito essere l’individuo e non la famiglia l’unità patrimoniale. Questo va contro l’ideologia matrimoniale, e conferma la natura diabolica della chiesa: si capisce che tutti corrano a separarsi, e che i patti paramatrimoniali ostativi si moltiplichino. Inoltre, costituisce un caso per la polemica sul capitalismo, se l’individuo è privilegiato in ambito protestante o non di più in ambito cattolico. Infine, ristabilisce condizioni di equità. Per l’economia politica, Nietzsche l’ha già spiegato, la parabola del ricco epulone e il povero Lazzaro si presenta invertita: è il ricco che merita il premio”.


astolfo@antiit.eu

L’inutilità della guerra – racconto di Resistenza

La Francia e la Germania come la Bella e la Bestia della favola. Una favola della Resistenza, oggi lettura dell’obbligo a scuola, pubblicata alla macchia nel 1940, dopo essere stata destinata a una rivista clandestina, “La pensée libre”, che Vercors e Jean de Lescure progettavano, ma che la Gestapo aveva sequestrato prima che il primo numero uscisse, e subito di larga lettura, anche fuori della Francia, malgrado il regime di censura. Una breve prosa, con una lunga introduzione di Gabriella Bosco, che è il racconto del racconto.
Nato alle lettere come caricaturista, per via delle “21 ricette pratiche di morte violenta”, che nel 1922, a vent’anni, disegno per addolcire una ragazza di cui s’era innamorato  - salvo smuoverne invece il riso, suo e degli altri amici. E autobiografico a cinquant’anni, per interposta persona, “Io, Aristide Briand”. Ha esordito, subito famoso, con questo racconto. Quando il partito Comunista francese in guerra lanciò una rivista culturale, “La pensée libre”, cui lui aveva aderito e altri invece no, scrisse il primo numero da solo, insieme con Pierre de Lescure, e tra i tanti scritti del primo nmero incluse questo “Silenzio del mare”. Era il suo primo racconto, a quaranta e passa anni. “La pensée libre” fu però sequestrata dagli occupanti tedeschi prima dell’uscita. E allora Vercors pensò, con Lescure, alle Éditions de Minuit, che pubblicherà le maggiori opere letterarie francesi negli anni dell’occupazione tedesca. Jean Bruller di nome, per il suo proprio anonimato scese Vercors, il gruppo delle Prealpi nel Delfinato. Personalità forte, grande organizzatore negli anni della Resistenza, finirà nel 1991, dimenticanto.
Una favola vera. Un racconto surreale reale. Che si apprezza di più conoscendo l’aneddoto che ne è esca. “Vercors”, la sua famiglia, la casa di famiglia al paese, aveva un inquilino indesiderato, un militare tedesco, durante l’occupazione. Che però  era beneducato, servizievole, premuroso, salutava sempre per primo, offriva senza iattanza cibi e leccornie. Un giorno che il futuro Vercos lo incontrò mentre passeggiava con un amico della Resistenza, il tedesco salutò gentile, e Vercors fece finta di non vederlo. Insomma, un modo fuori dai canoni di essere nemici. La militanza di “Vercors” comincia con questo racconto controcorrente, sulla logica Amico\Nemico, d’immediata larga popolarità..
Vercors, Il silenzio del mare, Einaudi, pp. XXIV + 51 € 8

giovedì 30 maggio 2019

Il complotto giudaico-massonico

Succede di scrivere un blog in cui si parla di ebrei e di massoni. Blogger si rifiuta di pubblicarlo. Dopo vari tentativi si scopre che non c’è più la linea. E non è possibile ristabilire il contatto. Non funziona nemmeno il cellulare, dando segnali bizzarri: “sei offline”, “non registrato sulla rete”, etc.
Il sito è stato appena visitato da Israele, con duemila contatti in un giorno – un rastrellamento periodico, semestrale. La cosa quindi si fa inquietante. Il telefono fisso non funziona, se non per i numeri locali: non si può chiamare fuori dalla piccola comunità nella quale si risiede. Questo dentro casa. Il cellulare fuori casa prende. Ma appena dentro il portone di casa non prende più: quindi non è il campo. C’è tutto per un complotto – il complotto giudaico-massonico.
Poi si scopre che la piccola comunità non è nuova a improvvisi black-out di campo. Che si risolvono, anche dopo pochi minuti – anche qualche giorno: bisogna solo aspettare.

Sotto il sole nero tutto


Un addio al mondo. In versi, l’ultima forma che di Scalfari si sarebbe attesa. Malinconico, nella vena dell’“Ecclesiaste”, del “sole nero” degli strizzacervelli: Eugenio, che appariva ingordo e solare, si vuole invece saturnino, fin dalla prima immmagine che propone, di sé bambino al balcone sul mare: “La mia malinconia” emerge alla memoria, “e anche il mio risentimento\ e la voglia di compensare\ non so quale torto subito”. Una confessione – ma da divano? L’uomo non è noto per farsele mancare – lui stesso proseguendo nella versificazione non può nasconderlo, e anzi ne fa celebrazione. Scalfari poeta del resto dice tutto.
Tutto il ripensamento si svolge in soggettiva, un selfie, l’ennesimo, a futura memoria. Per un epicedio nemeno indispettito: rassegnato – a “Madama Morte, che tutto ha creato”. Come scendendo da una curiosa delusione, che la vita dell’uomo non è eterna. “Nell’accecante buio del sole”, tristezza degli ossimori. Anche perché – se – “l’Io non esiste,\ è una superstizione,\ o una caricatura,\ una maschera…..\ Oppore un prigioniero?”.  Ma allora bisognerebbe vedere di chi o di che cosa. Manca la coscienza, o l’avocazione del ben fatto: la buona coscienza.
Questo nel programma. Di fatto, molti versi – non la raccolta di una vigta, ma una sorta di diario in versi da vegliardo. Che non dicono molto per le antologie, ma dell’uomo sì, sotto la pretesa “Paura dell’Universo”. Di uno che ha fatto molto, non per caso è stato costruttore e distruttore di molte realtà in mezzo secolo e oltre. E lo sa: “Io lo chiamo Io,\ è il mio padrone ed Io di lui,\ cambiamo di continuo e sempre insieme”. Non c’è dissociazione, non c’è inadeguatezza. Anzi, è uno che sotto la malinconia si è preso molto. “Adoro il ballo”, dice nella sola confessione verace - libera: “L’uomo stringe a sé la donna\ ne sente il corpo intero.\ Fremiti di piacere\ …Nessun amplesso. Balli col Divino\ come le Ninfe un tempo\ sotto il cielo stellato”.
Eugenio Scalfari, L’ora del blu, Einaudi-la Repubblica, pp. 90 € 9,90

mercoledì 29 maggio 2019

Problemi di base - 488

spock


Di Maio alle idi di maggio?

Un bel tacer non fu mai detto?

Non piace al papa il Crocefisso in mano a Salvini: è un eretico?

È eretico Salvini o il papa?

E se Salvini si facesse monaco?

Cantano i Grilli solo d’estate?

Bisogna salvare la legislatura per salvare il vitalizio?

Ci sono scuole per tutto, perché non una parlamentare?

spock@antiit.eu

Una Commissione di speculatori

La Commissione europea manda un avviso al governo italiano sui vincoli di bilancio . Oggi come ieri, ne manda uno ogni pochi giorni. Lo preannuncia, dice e non dice, fa capire che il fatto è grave, anzi gravissimo, anzi forse no. È l’incongruenza – la colpa – maggiore di questa Europa, dell’euro e dei vincoli di bilancio: di essere destabilizzante di programma, per istituto.
Un esecutivo europeo in scadenza, anzi già scaduto, bene o male si è votato, manda a dre, che cosa esattamente non si sa, ma qualcosa di grave. E non si sa nemmeno se lo ha mandato a dire, e a chi, ma alle agenzie di stampa sì, subito, anzi prima che subito.
Tanta pubblicità deleteria ha alla base la politica inece che l’interesse personale: si tiene un atteggiamento rigido contro un certo governo, e uno lassista per un altro, anche quando i parametri sono uguali, ugualmente deteriorati. E si è giunti perfino a privilegiare chi faceva peggio rispetto ad altri che solo sgarravano di un decimale.
Bruxelles, il governo Popolare-Socialista di Bruxelles, agisce dichiaratamente contro il governo italiano giallo-verde. La cosa non viene notata in Italia, perché i media sono contro il governo, ma è un abuso.

L’euro è un invito alla speculazione

L’euro è stato costruito con due errori. Che se non sono riparabili, potrebbero-dovrebbero portare alla sua dissoluzione.  Uno è la catena della “pubblicità” istituzionale, fra le tante istituzioni che governano l’euro, con gli effetti annuncio che ne fanno una moneta da mendicanti in cortile. Non si è mai tanto straparlato di una moneta, da parte delle istituzioni che governano la stessabmoneta, come dell’euro, benché abbia solo tre lustri di vita. Ne possono straparlare i Liikanen, o come si chiama, gli Olli Rehn, i Weidmann, in genere i tedeschi, di nazionalità o di complemento, per fini anche di parte, e bisogna pagarne il conto.
Il danno è evidente. Alla stessa politica della giusta informazione, della pubblicità degli atti pubblici, che viene piegata a beneficio della speculazione, del mercato delle voci. Ma di più, evidentemente, alle banche e alle economie prese di mira. L’esigenza di pubblicità – rendere pubbliche le istanze, i dibattiti, e le decisioni  - che è benemerita, è disastrosa in materia monetaria. Per un “mercato” cioè che vive di voci – anticipazioni, indiscrezioni, preannunci, intenzioni mascherate (c’è anche questo, molti commissari Ue giocano sporco).  In materia monetaria la discrezione è la regola.
Questi comportamenti sono sanzionabili per legge: l’insider trading, la distorsione del mercato, l’aggiotaggio. In diritto internazionale configurano un atto ostile. Ma l’ideologia dell’euro ha silenziato, oltre i media, anche la giustizia. E poi, non siamo in una Europa unita, tutti una famiglia eccetera? Tutto è permesso, ma a danno di alcuni.
L’altro limite dell’euro riguarda un aspetto che è soprattutto italiano: la mancata stabilizzazione dei debiti nazionali prima del varo dell’euro. Un errore – anche Ciampi commetteva errori, anche Prodi – che può riuscire fatale all’Italia, per soffocamento. Il consolidamento è ora difficile, e anzi, secondo le prefiche dell’euro, impossibile. Certamente lo è nell’attuale fase dell’Unione, molto mercantilista sotto la guida di Merkel (mors tua vita mea, la Germania anzitutto). Una moneta ben governata lo consentirebbe, e anzi lo imporrebbe.
Ma il problema peggiore che l’euro pone - e il fiscal compact che gli sta dietro - è l’abolizione della  discrezione, che in materia monetaria è invece essenzale – ne è la sostanza, la moral suasion. Peggiore perché risolvibile, se non per legge, come dovrebbe, almeno per un minimo di accordo politico. Ma non si fa e non si farà.
Il difetto peggiore di questa Europa, di cui non si vede la fine neanche con la punizione del voto, già dismesso, dopo appena 48 ore di apnea, è il “gioco al massacro” delle sue “autorità”, sotto la maschera del dovere istituzionale. Di fatto, è come se l’euro fosse stato costituito per giocare a favore della speculazione, fonte quale è inesauribile di indiscrezioni e minacce.

La donna vacca

La maternità surrogata è oggi “lasciate i poveri fare il lavoro sporco, dove costa meno (o è più conveniente) arruolarli”.  Una pratica marginale, per alcuni poveri – e per alcuni ricchi no? Il core business è sempre quello delineato “a fine Ottocento, quando larghe fasce del movimento eugenetico coloniale, altolocato, spesso a guida femminile, in Europa e negli Stati Uniti argomentarono che il modo migliore per realizzare il potenziale della gravidanza – cioè una futura “razza”di successo, ottenuta con la “virtù” sessuale, l’“igiene” bianco-suprematista  - era per lo stato di disciplinare economicamente tutta l’attività sessuale che non rientrava in quell’orizzonte. In quanto brave socialdemocratiche, queste progressiste “femministe” volevano uno stato-nazione che si obbligasse a nutrire, alloggiare, educare e addestrare le fatiche gestazionali  nel suo territorio, e specialmente il frutto di quelle fatiche”.
Questo il messaggio – il saggio è politico, non tecnico né scientific. Una nuova eugenetica, contro la vecchia. Rivoluzionaria. Ma ridotta all’orizzonte della gestante, che una volta si sarebbe detto dell’egoismo. Una contraddizione proposta – anche vissuta? – con sicumera, e autoreferenziale, molto.
Lewis si rifà a Marx, al “Manifesto dei comunisti”, per l’“abolizione della famiglia”. Ma non ha nulla di marxista. Ha riferimenti di vario genere, fino a un incolpevole W.E.DuBois, che non c’entra. Ma non nel nome di popoli o classi o generi oppressi o negletti. Nel nome di alcune autrici, che però non sono madri, tanto meno surrogate: Toni Morrison, per esempio, o Ursula Le Guin. E “Elena Ferrante”, che ama citare, per la quale, ammesso che sia femmina, la maternità è “un quid fatto di materiale vivente che continuamente amalgamava e stendeva la sua sostanza vivente per consentire a due avide sanguisughe di nutrirsi” - “una terribile metafora”, commenta la stessa terribilista Lewis.
La cosa più strana di questo manifesto per la maternità surrogata, fuori da ogni nozione di famiglia, è che Lewis è essa stessa espressione della migliore-peggiore white suprematist progressive feminist classe che dileggia – andasse a raccontare il suo libro in Asia o in Africa le donne la prenderebbero a randellate, Sophie Lewis, che di professione fa geografa, meglio di tutti dovrebbe saperlo. Qui fa il caso dell’ospedale Akanska in India, per l’infertilità – che si pubblicizza come clinica dell’infertilità, ma offre madri indiane giovani selezionate per la gestazione surrogata: un caso che è tutto meno che esemplare, commendevole. 
Ma non è questo il punto, forte-debole, non nella storia, nè nella società: è il ragionamento assurdo.  La femminista londinese è una che si fa bella, più di quanto si mostra in foto, con l’“épater le bourgeois”, sparandole grosse, roba otto-novecentesca. La surroga ci sarà, piena, con l’umanità artificiale, cioè col post-umano. Il mammifero, finchéé c’è, ha  cara la maternità, il rapporto privilegiato, e la figliolanza - poi, certo, come i dinosauri, anche i mammiferi si estingueranno....
“Feminism against Family” è il sottotitolo. Volendosi il femminismo una rincorsa, c’è sempre bisogno di una nuova frontiera, di un muro da abbattere. Sarebbe utile “denaturalizzare il legame madre-figlio”: niente di naturale in questo, molte madri non sentono nessun legame.
Attualmente la surroga viene considerata marginale, un mercato costoso, per mandatari ricchi, e gestanti povere. Una tecnica sociale, spregiudicata. Ma è un qualcosa “fuori dal quadro familiare” e questo basta a santificarla. La proposta è per “una piena surroga, nel senso di una domanda di surroga reale”, non servile, non contingente: “Una comune, una proliferazione di relazioni piuttosto che la continuazione di una logica proprietaria, biogenetica, familiare nucleare privata, che è il nostro modello principale di parentela”.
L’obiettivo è scardinare la famiglia, e in essa “l’esclusività e la supremazia dei genitori ‘biologici’ nelle vite dei minori”. Scardinando la maternità: “La maternità è potentissimo edificio ideologico”. Ma con l’effetto di ridurre la donna a fattrice, riproduttrice?
Dopo il maschio, sempre più un soprammobile, l’abolizione dunque della femmina. A che effetto? L’uguaglianza? Di chi , per chi, con chi? La logica è illogica, a volte. La donna hembra della zooterminologia ispanica è l’ultima cosa cui si penserebbe – l’ultimo sviluppo positivo.
Con una copertina diabolica e anzi infernale.
Sophie Lewis, Full surrogacy now, Verso, pp. 224, ril., € 19,50

martedì 28 maggio 2019

NO DICE

Si è allontanato tirando la testa sotto l’ala del mantello. Nemmeno irritato. Levento è del resto senza storia, un contatto tra la gente che si affollava sulla scala per uscire e quella che l’ingombrava indecisa se affrontare la pioggerella. Una stretta al braccio, e la sua faccia semicalva, la faccia del vecchio direttore della “Voce”, che passa dal sorriso alla smorfia. Sera spiegato:
   - Ho confuso la sua voce con quella di un amico. - Devo averlo guardato male, non un'ombra di riconoscimento dalla sua parte, perché ha voluto essere preciso: - L'avevo confusa con quella di Tommaso. So che è morto, ma sentendola mi sono detto: “Non è vero, eccolo qua”. Mi scusi, sono un po’ scosso. Uno spera sempre. - E se n’è andato, palla beccheggiante sui piedini a punta, in direzione di villa Medici. La sua occupazione è visitare le mostre.    Conosco questi tipi, sono inossidabili, si commuovono a registro, per la morte dell’amico come per un quadro rustico di Charles Moulin, così come ansano sul culo sformato dalla sedia, ma restano agili, e più in forma di tutti.
    Conosco questo Tommaso, devo averne letto qualcosa, non ricordo che. La televisione ne mostrò la figura a punto interrogativo, in atto d’irridere Lacanotteri e altri invertebrati della psiche, la pelle stretta alle ossa robuste, il passo ferrigno celato nelle taglie di crescenza. Gli abiti contribuiscono, se grandi, al travaglio dello spirito. Con il baffetto a v nel mezzo faceva l’avventuriere in paletot. Un posatore. Uno che, avendo in uggia la vita che si è scelta - gli uomini se la scelgono, gli esseri umani, che sono Surrogatori (non Super-erogatori, strizzacervelli! Surrogatori): fondare il proprio mondo, che poi è la Storia, è la loro attività - le dà un tocco di romanticheria, con sapienti fotoritratto, che richiedono pose di minuti ripetute, e passioni inesistenti, qual è quella del gioco.
    Si dice del gioco che è pulsione indomabile. Qualcuno lo apparenta al sesso. E, forse involontariamente (per confondere sesso con amore, che in effetti è nostra inestricabile costrizione mentale), ci azzecca: il sesso brucia, quando c’è, ma può non esserci. Io l’ho provato a lungo, da ragazzo passavo notti intere al poker, avvelenato dal fumo e dalla grappa, e quando ho smesso ho smesso: semplicemente avevo trovato di meglio in quelle ore. È così di tutte le passioni. La passione è del genio, diceva Emily Dickinson, vedovile vergine del Connecticut, maestra del de-catesserasillabo:
Genius is the ignition of passion,
non intellect, as is supposed”.
Ma la maggior parte dei suoi significati nel dizionario sono di afflizione, fisica, evangelica, teatrale, musicale, morale. E Stendhal, che ne fu propagandista, era onanista. Non vale giocare se la voglia di vincere manca, anzi la perdita è certa. La mancanza è coltivata, concimata, amorevolmente consumata e ricomposta, per innesti a gemma sempre più sottili di mano ferma nella regione sottocorticale, ed è un repartee con la morte che per l’autore sarà gioco, per il lettore è lamento e tormento. Per Tommaso un’esibizione di dépense, di prodigalità, e di lutti in capo ai sarcasmi sul primitivismo e lo studio delle strutture. Da tempo Kant ha ristabilito il principio, qual era in antico, che le buone azioni sono spassionate.
Ho proposto io stesso di andare a vedere che c'era sotto. Partii da un articolo commemorativo di Oreste Del Buono, che una volta aveva incontrato l’autore, e con lui aveva discusso dell’inglese no dice invece del francese rien va. I luoghi dell’autore vi apparivano sereni: Arma di Taggia, Sanremo, Vico, Firenze - Roma anche, ma vi fu infelice. L’articolo era buonissimo: le riprese a memoria a distanza di anni sono sempre migliori degli articoli scritti a caldo. No dice è colpo nullo al gioco dei dadi. L’uomo è stato lavoratore di precisione, instancabile, poiché ha lasciato scritte alcune migliaia di pagine limatissime. Faticatore anche, avendo tradotto migliaia di pagine da lingue ostiche. Ma nessuno sa co-ùm'era. Ho provato a entrare nel personaggio. In quel misto di eccentricità e solitudine, quella che oggi si chiama crisi dell’identità, tragediografie vecchiotte alla Pirandello, perché lo scrittore, l’artista, deve esibire un che di diverso e di maledetto. Per saprofitismo, condizionamento ambientale: uno diventa quelli con cui si accompagna, oblomov da Giubbe Rosse. Il suo più sincero estimatore ne onorò la morte con la celebre citazione di Blok, tradotto peraltro da Poggioli:
“Perché al mondo che mai c’è di meglio
Del perder gli amici migliori?”.
Ma ci ho rinunciato. I suoi amici, anche i letterati, i suoi congiunti, ogni altro suo avente e dante causa sono probabilmente persone ordinarie, che vivono da persone ordinarie, con i problemi e la saggezza di tutti. Non morti a una vita precedente, non vivi in una futura, né oggi nelle spoglie di Gesù, e nemmeno dell'Imperatore. Forse è un caso di vita che imita la letteratura. Tale il carattere tale il discorso, dicevano i greci antichi, ma si può rovesciare: prigioniero del suo discorso. Ma poi gli italiani, che non amano la letteratura, vorrebbero viverla: la vita in metafora. La metafora, similitudine abbreviata, è inoffensiva, anzi economica. Ma è dire una cosa con un’altra. Tutto è immagine e desiderio di qualcos’altro, una deriva incessante (troppi ma, la logica è in difetto?). Per compiacere, forse. Per complesso d'inferiorità, avendo gli italiani perso come cattolici la modernità. O perché l’italiano è segno d’aria, sostiene Alvi, doppio quindi per legge astrale, maschera mista di maschere: astuzia, seduzione, vanteria, disperazione. La scienza contribuisce, se la quiete è solo un caso speciale di moto, e i linguaggi solo immagine. Ma la natura esiste. Sia pure una volta sola, come vuole l’economia del pensiero. E la deriva costante turba il labirinto.
I letterati, ha scritto qualche filosofo tedesco, hanno per missione di trarre dall’arte, che essi stessi non possono realizzare, lo spirito per la vita dell'epoca. Sono vati - Tommaso fu sedicesimo premio Gabriele D'Annunzio, dopo averne con furia frantumato le radici. Un vaso. Un uomo che è immagine, tutto e solo contorno. Non c’è carne, sotto quella silhouette, ma un vuoto che si trascina articolato. L’andatura di tre quarti lungo i muri, per timore degli spazi. Temono, queste persone, la cui tragedia è il coniuge, l’azienda, la scuola (gli allievi, i colleghi professori), il condominio, lo Stato, il marocchino al semaforo. E si consolano: dolce è la sconfitta. Non dissimulano, soffre anche la maschera. L'avventura è questa. Lo spazio è una convenzione, il tempo di sant’Agostino, l’immagine è luce, oppure ombra, la donna è l’immagine delle donne, vorace soggettiva, e i poveri sono ricchi, i ricchi sono poveri, il gioco è la vita. Surrogati succedono a surrogati, anche la retorica è iper. La notte è febbrilmente operosa per scacciare il vuoto reale, della natura. La carne è sterile nelle lettere. E si arriva al no dice.
Non ne ho scritto, infine, non me ne ricordo. Mi ha ammutolito. Era il suo ideale, la Muta - che forse era la moglie, ma muta diceva, “silenzio”, la musica di Mozart, e il silenzio “armonia di tutte le armonie”. Non c’è alternativa - a meno di non togliere il disturbo - quando non viene il male incurabile. E anche questa non sarebbe una storia, se non fosse che io non ho parlato, non parlo. Che cosa può aver sentito il vecchio direttore per confondermi con lo scrittore? Perché ho deciso di tacere? Tacere per sempre. Beh, è per dispetto di essere caduto nella trappola della metafora. Non c’è il gioco, non salva lo scherzo. La verità è dura, foss’anche il vuoto. Il vuoto esiste, checché ne pensino i fisici e i politici, il nulla. Si va al lavoro, si prendono i pasti, si legge il giornale, si fanno anche progetti e si vedono gli amici, ma nulla accade. Strana figura, il nulla che accade, ma così è.

Il Partito Tedesco

Il Partito tedesco candida Weidmann alla presidenza della Banca centrale europea. Non lo candida il governo o la stampa tedesca, lo candidano alcuni media italiani – ne fanno circolare il nome. Di uno, il presidente della Bundesbank, che si è distinto negli anni della crisi italiana del debito, a “prevedere” cataclismi ogni pochi giorni, in pubblico, con annunci pubblici, contro ogni obbligo di riservatezza delle autorità monetarie.
Weidmann è stato premiato per questo, all’istituto Jensen a Firenze. C’è un Partito Tedesco in Italia. Di persone che non si defilano, pieni cioè di buone ragioni. Lo si vede in attività in queste ore anche contro un eventuale accordo tra Fiat.Chrsyler e Renault: per motivi che non sappiamo ma che saranno che alla Volkswagen non piace. Questo partito sarà pure una buona cosa, ma un presidente di banca centrale che critica in pubblico le politiche monetarie è pericoloso: se non è connivente con la speculazione, è un utile idiota.
Weidmann di suo non ha peraltro titoli alla presidenza della Bce. Se non la presidenza della Bundesbank. Non ha esperienza di banca e non ha studi specifici. Alla Bundesbank è stato mandato da Angela Merkel, perché era l’unico della sua segreteria ad avere un’infarinatura economica – un diploma, non la laurea, in Economia. 

Rinnovare il liceo classico, tornare all’antico

Un programma di lavoro e quasi una consulenza, per il mantenimento delle lingue classiche nei licei.  Con la consueta verve, ma con seriosità, il classicista di Siena espone le ragioni per cui è utile mantenerne l’insegnamento. Le ragioni sono quelle programmatiche dell’ opera, che la quarta di copertina sintetizza.
“Sempre piú spesso a chi si occupa di discipline umanistiche – e soprattutto classiche – viene chiesto: «A che cosa serve?» Dietro questa domanda agisce una rete di metafore economiche usate per rappresentare la sfera della cultura («giacimenti culturali», «offerta formativa», «spendibilità dei saperi», «crediti», «debiti» e cosí via). A fronte di tanta pervasività di immagini tratte dal mercato, però, sta il fatto che la storia testimonia una visione ben diversa della creazione intellettuale. La civiltà infatti è prima di tutto una questione di pazienza: e anche la nostra si è sviluppata proprio in relazione al fatto che alla creazione culturale non si è chiesto immediatamente «a che cosa servisse». In particolare, è proprio lo studio dei Greci e dei Romani a meritare questa pazienza: soprattutto in Italia, un paese la cui enciclopedia culturale è stata profondamente segnata dall’ininterrotta conoscenza dei classici. Se si vuole mantenere viva questa presenza, però, è indispensabile un vero e proprio cambiamento di paradigma nell’insegnamento delle materie classiche nelle nostre scuole”.
Un cambiamento radicale di enciclopedia culturale somiglia infatti a un cambiamento di alfabeto”. Con  una proposta su come migliorarne l’insegnamento. Anzitutto rinnovandolo, ma rispetto alla “sciagurate” leggi degli ultimi venti anni, che lo vogliono alla moda, delle tematiche, dei personaggi, come se fosse la lettura del giornale. Mentre un  vero rinnovamento vuole il ripristino di un monte ore da “vero liceo classico”. E il cambiamento della valutazione finale, la “traduzione”. Che non può esere di un testo (magari di autore mai letto o più  meno sconosciuto, per rendere la prova più ardua), ma la prova di una cultura.
“L’Italia e la cultura umanistica” è il sottotitolo: Se non leggeremo piú l'Eneide perderemo contatto non solo con il mondo romano, ma anche con ciò che è venuto dopo. Perdere Virgilio significa perdere anche Dante, e cosí via.
Maurizio Bettini, A  che servono I Greci e I Romani?, Einaudi, pp. 148 € 12

lunedì 27 maggio 2019

Salvini democristiano

Era il proposito di Bossi già nel 1992, di sostituirsi alla Dc, e Salvini potrebbe ora averlo realizzato. La Lega-lega Nord, razzista, liberista, campanilista, ha viaggiato per trenta anni sul 4 per cento. Con la Lega nazionale di Salvini riconquista le percentuali Dc, e più o meno gli stessi elettori  specie nel Veneto, in Lombardia, in Sicilia, in Piemonte, e nelle ex regioni rosse. Lui stesso lo conferma, seppure velatamente, con l'ipotesi in campagna elettorale di aderire nel nuovo Parlamento al gruppo dei Popolari, i Dc europei- è con l'esibizione di giaculatorie e rosari.
Questo sarebbe anche il suggerimento di Steve Bannon, suo consulente non ufficiale. L'ipotesi di Salvini è stata respinta da Angela Merkel? Non è vero - si è detto in Italia, ma Merkel non si è pronunciata, anche perché la Lega non ha fatto domanda formale di adesione, e comunque la Dc tedesca deve recuperare a destra.
Con Salvini dentro e i Liberali dall'esterno, una nuova maggioranza è possibile per i Popolari a Straburgo, più omogenea rispetto a quella con i socialisti, e con più spazio di manovra. Lasciando cioè liberi gli stessi Popolari, nel mentre che garantiscono lo spostamento a destra, che è il loro imperativo in questa congiuntura politica in Centro Europa, di occupare a sinistra lo spazio che i Progressisti monopolizzavano, salvando l'anima popolare.
Resta il problema per Salvini degli alleati in campagna elettorale.  Non con Orban,  che è già con i Popolari. Ma sì con Le Pen, la quale non può fare lo stesso passaggio, anche a destra la Francia si vuole laica - è Macron è confluito con i Liberali. Le Pen, però, si ritiene indebitata con Salvini, da cui avrebbe avuto la spinta al sorpasso su Macron sullo scivoloso - in Francia - terreno dell'immigrazione.

È il dopo Berlusconi


La successione a Berlusconi è fatta suo malgrado. L’ha impedita in tutti i modi, perfino azzoppando la sua maggioranza in favore dei 5 Stelle a Roma e a Torino, città di centro-destra, negli anni in cui lui stesso era per legge impedito, e ora i suoi elettori hanno deciso diversamente. Il cent ro-destra torna maggioritario, ma con le percentuali invertite tra il partito di Berlusconi e la Lega.
Il ritorno al centro-destra sarà probabilmente impossibile finché Berlusconi resta in campo, per un problema di ego. Ma non c’è alternativa, come sanno tutti quelli che fanno politica sul territorio, a Roma, a Napoli, nella stessa Milano di Berlusconi, Tajani, Carfagna, Parisi.
Berlusconi vanta il voto europeo, in recupero rispetto ai primi sondaggi, alla sua personale campagna. Ma il risultato è quello: il suo partito ha le dimensioni della vecchia Lega.

A Di Maio non resta che il Pd


E adesso, povero Grillo? Sarà difficile la ripresa del governo con un partner che raddoppia i voti e l’altro che li dimezza: le condizioni di partenza si sono ribaltate.
La crisi di governo è inevitabile: Salvini fa il moderato, ma non vorrà – non potrà - non imporre la sua agenda: grandi opere e riforma fiscale per i redditi medio alti. L’esito della crisi è però uno solo, dal punto di vista costituzionale, quindi del presidente della Repubblica, cui tocca la decisione: un governo 5 Stelle-Pd. A guida forse neutra, o tecnica,  o costituzionale, quello che si vuole, ma è l’unico possibile in Parlamento in alternativa a quello in carica. Il centro-destra non ha i numeri – ed è su questo che Salvini spiega il “non possumus”, in realtà inteso a sfiancare Berluconi.
5 Stelle e Pd hanno più punti di contatto che non 5 Stelle e Lega: sul sociale, sull’ambiente, sull’accoglienza o immigrazione, sulla stessa politica europea. Mai 5 Stelle dovrebbero abdicare alla politica del “nuovo”, su cui si fonda la loro maggioranza relativa in Parlamento. 

Nord e Sud divisi dal sovranismo

Col sovranismo è sempre Europa. Sarebbe, se davvero il plenum a Strasburgo vedrà una forte partecipazione, di sovranisti – bisogna vedere quanti ne avrà eletti l’Est-Nord Europa, in aggiunta ai lepenisti e ai leghisti. O comunque la loro partecipazione al governo dell’Europa, in Commissione a Bruxelles e nelle commissioni parlamentari a Strasburgo. Con meno lassismo, probabilmente, delle gestioni Popolari-Socialiste che hanno finora governato la Ue. Ma sarebbe un’Europa più divisa di ora, fra regole e omissioni, fra Nord e Sud.
Ciò è importante soprattutto per l’Italia. Che si suppone abbia votato in larga misura Salvini per distanziarsi dai cosiddetti diktat di Bruxelles. Particolarmente severi con l’Italia. Ma l’Italia è “borderline” costantemente da almeno un quinquennio rispetto alla media economica e ai criteri di bilancio europei. E di questo sono soprattutto insoddisfatti e critici i sovranisti dell’Est-Nord Europa. Difficili alleati quindi dei sovranisti latini, specie degli italiani.      

Il problema è l’immigrazione invasiva

La crisi non c’è, se non dell’immigrazione. Ha votato sulla questione immigrazione buona parte dell’Europa, compresa l’Italia e, fra i paesi a noi più vicini, la Francia, la Gran Bretagna, il Belgio, l’Austria, e la stessa Germania. Nel senso di politiche restrittive soprattutto, ma anche – vedi i successi del partito Democratico in Italia, e dei socialisti in Spagna - dell’accoglienza, sia pure non indiscriminata.
In Europa non è un problema di razzismo - quale si può supporre, sottinteso, negli Stati Uniti, fronteggiati dalla “invasione” ispanica. Il no all’immigrazione viene da paesi da tempo molto aperti ai flussi extraeuropei, la Gran Bretagna, la Francia, il Belgio, l’Olanda, la Svezia. Perché ora è un problema di flussi incontrollati e su abusi.
Un paese come l’Italia, che ha gravi problemi economici, di occupazione, di reddito, di investimenti, di innovazione, si concentra sul problema immigrazione - al punto per questo, curiosamente, di votare per Salvini contro il numen loci, ad Arcore contro Berlusconi, a Bettola contro Bersani. Non è solo – non può esserlo – per la distorsione imposta dai media, che non parlano di altro: il problema all’evidenza si pone. Da affrontare, in un modo o nell’altro – Salvini di fatto segue Minniti. Ma non nel senso dell’accettazione indifesa, quale sembrano preconizzare il terzo settore, che dell’accoglienza ha fatto una (piccola) miniera, e gli ecclesiastici, i quali pure sanno di che si tratta, a cominciare dal papa argentino.  
Il voto a Lampedusa e a Riace spiega bene la questione. Non ci sono comunità più accoglienti, per destino (Lampedusa) o per scelta (Riace), ma con limiti: accoglienza sì, invasione no. Il medico di Lampedusa è il più votato, ma per le amministrazioni si vota Lega.
Dall’Africa, in particolare, i flussi sono anche criminosi, sia pure solo per il “pizzo” della traversata del Mediterraneo. Capitalizzando su fake news  ormai stantìe, la fame e le persecuzioni. La fame in Africa non c’è stata e non c’è – fu invenzione di Madison Avenue al tempo della guerra del Biafra. E i regimi criminosi – carcerieri, torturatori – non sono più di due, forse tre. O allora tutta l’Africa, compreso il Nord Africa e il Sud Africa, è colpevole sui diritti civili, per la corruzione.

Leonardo iecnologo

Una superba riedizione per il quinto centenario di uno”speciale” già apprezzato. Con alcune curiosità dimenticate. La “Leonardesca” è una, la grande mostra milanese che Mussolini volle, all’apice del consenso ma in regime autarchico e in prossimità della Guerra mondiale, dal 9 aprile al 22 ottobre 1939, come “testimonial del primato tecnologico e industriale” italiano – la fantasia non ha limiti, ma non senza ingegno.
Altri aspetti: il naturalista per hobby, il pacifista che immaginava, disegnava e realizzava nuove armi, l’idrologia di Milano – a cu Milan si rifà oggi. E tutto il noto: l’anatomia accurata, “meglio di una tac”, le macchine utensili (qui effettivamente all’origine di un primato italiano), e naturalmente il genio artistico, poi in larga misura dissipato nelle sperimentazioni.
“Focus”, Leonardo il più grande, pp. 146, ill. € 7,90

Ombre - 464

Si discute di Renault-FCA come di una possibile alleanza. Ma con i gruppi francesi nessuna alleanza è stata mai possibile per un’azienda italiana, dalla Citroen a Alitalia e ai cantieri. C’è la globalizzazione ma la Francia è sempe la stessa, molto nazionalista. La Francia compra (in Italia di tutto, banche, moda, parmigiano, vetro…) ma non può essere comprata. È l’Europa – non si compra nemmeno in Germania. Mentre si può comprare di tutto negli Stati Uniti, e perfino in Cina.

Renault tratta l’acquisto di Fiat-Chrysler. Chje è ancora berne o male un milione di auto bene o male prodotte in Italia. E il nucleo dell’automotive, il comparto metalmeccanico trainante dell’industria. Per “Il Sole 24 Ore” una breve. Anche la Confindustria è anti-Juventus?

Un quarto dei dipendenti dell’azienda dei trasporti di Roma vanno a fare gli scrutatori: cinque giorni di pacchia con doppia paga. Quasi tutti sono autisti.

Padre Spadaro, per conto del papa, così dice lui, scaccia Salvini dalla chiesa. Voleva alzarmi una bella palla? 
Un teologo, per giunta del papa, che dice non cristiano un cristiano, è  esagerato  e anche stupido. I gesuiti sempre vogliono essere speciali, anche ora che sono papi, ma a volte non ci capiscono.

La Vigilanza Bce, sotto la direzione di Danièle Nouy, si è servita di Blackrock per gli stress test delle banche – che hanno condannato molte banche italiane. Di un fondo che investe seimila miliardi di dollari, anche nelle banche - anche in quelle italiane. La questione viene ora ridotta a una piccola politica, a un’impuntatura della Lega, anche se non c’è più scandalo di questo. Si dice che il pesce puzza dalla testa, e così quello della corruzione. La Vigilanza Bce affidata a un fondo speculativo.

È sempre più Usa-Cina come Usa-Giappone trenta-quarant’anni fa. Si ripropone con Huawei lo stesso schema adottato negli ani 1980 nei confronti di Sony. Dal walkman alle cassette dei film: Sony era meglio ma lo standard doveva essere americano..
La contesa Usa-Cina ripropone lo stesso schema di quella Usa-Giappone: libertà d’iniziativa fino a un certo punto, poi gli standard dell’innovazione devono essere americani, siano pure inferiori alla concorrenza.

Anche il Giappone era cresciuto copiando – copiava persino le vetrine, persino le sedie dei bar… - ma finendo per essere più elegante e innovativo, avendo risparmiato sull’avviamento. Specie sui prodotti da esportazione – il Giappone negli anni 1980 vendeva molta elettronica, ma nei suoi uffici regnavano montagne di carte, e nelle sue banche i cassieri facevano il conto col pallottoliere.

“Erasmus, cibi sicuri. Tutti i meriti della Ue”, vantano Milena Gabanelli e Luigi Offeddu sul “Corriere della sera”: “Sequestri di merci pericolose, sanzioni a chi inquina, e biglietti aerei sedici  volte meno cari rispetto al 1992”. È molto? Considerato che i biglietti aerei e l’Erasmus non dipendono dalla Ue. Mentre dipende dalla Ue una politica agricola e alimentare che suscita sdegno nei paesi effettivamente ecologici, come l’Australia o la Nuova Zelanda. Del latte ai mangimi della  Baviera, o della carne francese agli estrogeni di cui i nostri scaffali sono pieni. Per non dire delle contraffazioni, legali ai termini Ue, per la potenza dello lobbies commerciali – “il mercato è sacro”. Di cui molta Italia fa le spese.

Ma è vero che Gabanelli e Offeddu sono “questa” Europa. Mentre l’Europa si difende stranamente da sé, come ideale, come forza sentimentale e razionale. Vessata e sminuita, anzi distrutta, dai suoi laudatori allo stesso modo dei suoi detrattori - parlano lo stesso linguaggio: gli dei delle piccole cose, per lo più nocive.

L’anno scorso avevano cacciato Marotta, l’amministratore delegato, senza nemmeno avvisarlo. Quest’anno ha cacciato l’allenatore, fingendo una commedia degli addii. Entrambi vincenti. In questo Alberto Agnelli sembra su zio l’Avvocato, che anche lui cacciava i manager che sapevano fare le automobili, per ultimo Ghidella. Ma l’Avvocato si dilettava di “fare i bilanci”, col fido Romiti – avere ogni anno un po’ di ciccia sull’osso da dare ai parenti dell’accomandita. Alberto Agnelli fa invece i bilanci in perdita.

La Famiglia Agnelli è stata dannosa alla Fiat. L’ha presa da Valletta sessant’anni fa che era il terzo o quarto produttore mondiale, in gara con Volkswagen, e l’ha portata al fallimento. Marchionne l’ha salvata e rilanciata, seppure rimpicciolita. Ora tocca alla Juventus? Le aziende familiari a volte sono dannose.
Nel mentre l’Italia, che era una paese da tre milioni di autovetture l’anno, si è ridotta a un milione,  quando le vendite vanno eccezionalmente bene.

Raffaele Simone, linguista esimio, collaboratore apprezzato di “la Repubblica”, analizza la questione immigrazione in uno studio circostanziato. “L’ospite e il nemico”. Ma di questo di studio non si sa nulla, benché in circolazione ormai da sei mesi. Nemmeno che sia uscito. Clandestino come la sua materia di studio, benché sia pubblicato da Garzanti. Non un cenno, nemmeno sul suo giornale, per non dire un’ospitata da Fazio – Simone è dello schieramento Dem. Eppure dice cose interessanti, sull’immigrazione di massa, aggressiva, e sull’accoglienza.  O è clandestino per questo? Si capirebbe allora perché la sinistra perde le elezioni.  

Si moltiplicano gli articoli su Jeff Koons per la quotazione record di una sua scultura, 91 milioni di dollari per il “Coniglio” in acciaio temperato. “7” dell’altra settimana con fiuto o con fortuna aveva venerdì un servizio sullo scultore da Carrara in contemporanea con l’asta record.  Ma nessuno dice che Koons aveva sposato Cicciolina, e ne ha avuto un figlio, Ludwig Maximilian. Anche il gossip è perbenista?

Quando la Germania fregò il risparmio italiano

Singolare confessione di Salvatore Rossi, l’ex direttore generale della Banca d’Italia, a “la Repubblica”: “Berlino ci ha ostacolato nel salvare le nostre banche”. Dopo avere salvato le sue banche, con ingentissime risorse pubbliche, ha imposto il bail-in alle banche degli altri paesi, perfino retroattivo, spiega. E riflette: “Si potrebbe attribuire alla Germania questo pensiero: ‘Noi abbiamo salvato le nostre banche, adesso non diamo il permesso agli alti di salvare le loro’”. Si potrebbe? Il direttore generale della Banca d’Italia ha ancora paura.
Ma forse è una maniera, per questi “europeisti” d’un pezzo, di affossare l’Europa nei momenti e nei gangli delicati: la scorrettissima politica bancaria finalmente denunciata, alla vigilia delle elezioni. Quando è evidente a tutti che la Germania di Merkel ha dell’Europa una concezione mercantilista: tirare l’acqua al suo mulino, fregare gli altri. E che un vero europeismo, non questo “germanizzato”, nei media bisogna dire più che nella Banca d’Italia, doveva e dovrebbe consistere nel disinnesco della “naturale tendenza” ad approfittarsene.
C’erano regole per i salvataggi, bancari compresi, anche prima, a cui la Germania non si è attenuta (e non si attiene). E non si possono imporre regole europee valide solo per gli altri, e per loro anche retroattivamente. Questa non è Europa e non è nemmeno politica, è solo ignoranza – o connivenza.
Singolarità nella singolarità: la confessione di Rossi viene con la candidatura al vertice della Bce di Jens Weidmann, il giovanottone senza carriera e senza titoli che Angela Merkel ha messo a capo della Bundesbank. Lo stesso che con dichiatazioni contro l'Italia a settimane alterne ne ha fomentato la crisi finanziaria - finché Draghi non lo ha messo a tacere (il capo di un banca centrale che attizza il disordine monetario è stato una novità assoluta).