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sabato 23 marzo 2024

Il mondo com'è (474)

astolfo


Meticciato
– Seguiva un meticoloso ordinamento, linguistico e anche sociale, a seconda delle percentuali di “sangue” misto col “sangue” bianco – di incroci genitoriali. La categoria e la classificazione nascevano in dipendenza dell’occupazione europea del continente americano e della tratta degli schiavi dall’Africa (il Battaglia non lo registra prima del Cinquecento), e successivamente della colonizzazione dell’Africa e dell’Asia. Assumendo nomi anche variabili a seconda dell’area geografica di mescolanza etnica.
Il creolo, più ricorrente al femminile, nasce dal connubio di una donna africana, o già creola di suo, con un caucasico. come il bianco era chiamato prima del politicamente corretto. Appellativo ricorrente in letteratura, in un quadro celebrativo, di armonia dei tratti, portamento, riservatezza, eccetera. Nei Caraibi e in Sud America creolo sono – erano - i nati da un bianco e un’amerindia, per lo più – un incrocio tra bianco e amerindio. In Australia tra bianco e aborigena – non se ne conoscono tra aborigeno e bianca.
Creolo dicendosi il fifty-fifty, il meticciato si classificava per quarti di sangue non bianco: mulatto (due quarti), quarterone, ottavino. Per aggettivo percentuale nella più precisa lingua inglese: terceron (un terzo di sangue “nero” – incrocio tra bianco e mulatto), quadroon (un quarto di sangue “nero”), o quarteronquintroonsextroon, hexaroon, octaroon, decaroon, hexadecaroon (un sedicesimo “nero”) e avanti fino a venti. Si prenda l’octaroon octoroon: si riferiva a una persona con un ottavo di derivazione africana-aborigena. Cioè chi aveva un nonno bi-razziale. Cioè, un bisnonno africano e sette bisnonni europei. Un caso del genere era il poeta russo Puškin – che pure era considerato, e si considerava, avere tratti somatici negroidi, come allora si diceva, capelli, colorito, labbra.
Nei Caraibi la classificazione seguiva gli stessi criteri con una terminologia diversa. Costee era un quarto nero. Mustee ci aveva un ottavo di ascendenza africana. Sacatra il viceversa, chi era per sette ottavi nero o africano e per un ottavo bianco o europeo.  Fustee un sedicesimo nero – col diminutivo mustifino-mustifini, un trentaduesimo nero.
Fino a non molti anni fa i meticci si credevano sterili, per questo motivo furono detti mulatti. Una credenza che per le donne equivaleva a licenza, per Baudelaire e non solo.
 
Mary Edmonia Lewis – Oggi dimenticata, fu una scultrice romana del secondo Ottocento (1844-1907), con studio-bottega in piazza Barberini, che dispiegò una vasta attività, di cui rimangono le testimonianze però solo in America. Di manufatti, di cui è iniziata da pochi anni la rivalutazione, con la riscoperta della scultrice nel quadro del “rinascimento africano”. Era infatti una afroamerindia, nata cioè in America da genitori di origine africana e indiana. Presto stabilita a Roma, quando aveva vent’anni o poco più, nel 1865: vi fece poco studio e molta pratica. A Roma risiedette ed operò per quasi quarant’anni, fino alla morte, nel 1907 (è seppellita nel cimitero acattolico del Testaccio), con un laboratorio aperto, sulle orme di Canova, anche ai turisti. Ma soprattutto lavorò per committenze americane, di personalità o istituzioni. Molte sue opere sono state rintracciate negli Stati Uniti dopo la sua recente riscoperta nell’ambito dell’African Renaissance, e si è accertata la sua partecipazione nel 1876 alla Centennial Exposition di Filadelfia, l’esposizione del centenario dell’indipendenza – con un marmo monumentale, del peso di quattrodici quintali, “La morte di Cleopatra”. Fu una scultrice di segno neoclassico.
Era nata nel 1844, da padre haitiano, di mestiere valletto, presso famiglie ricche, e madre della tribù degli Ojibwe - di Missisauga, località al Nord egli Stati Uniti, oggi in territorio canadese. La nascita potrebbe essere avvenuta nel 1842, stando alle varie date da lei fornite per i documenti – uno porta anche un impossibile 1856. Il nome alla nascita era Edmonia, Mary è una sua aggiunta. Wildfire era il suo nome nella lingua della madre – il fratellastro maggiore era Sunshine.
Anche il padre è incerto: potrebbe essere stato Robert Benjamin Lewis, uno scrittore afroamericano di cose etniche – ma Samuel, il fratellastro più grande di una decina d’anni, nato in Haiti, si diceva nato da un “francese delle West Indies”, quindi da un haitiano. Rimasta presto orfana, di madre e di entrambi i possibili padri (Samuel Lewis morì nel 1847, Robert Benjamin Lewis nel 1853), fu cresciuta con Samuel per quattro anni da due zie materne, vicino le cascate del Niagara, dove le due donne esercitavano una piccola, attività commerciale, vendendo souvenir indiani (cesti, mocassini, ricami) ai turisti. Nel 1852 Samuel partì per San Francisco, a caccia dell’oro. Edmonia restò nella custodia di un Capitano S.R.Mills. Samuel fece fortuna rapidamente, e quattro anni dopo, nel 1856, poteva pagarle il New York Central College, per la preparazione al liceo, una scuola battista abolizionista. E nel 1859 un liceo in Ohio, l’Oberlin Institute, una delle prime scuole che ammetteva donne e non bianchi. Ne sarà espulsa, senza diploma, nel 1863.
Già a New York sarebbe stata “dichiarata selvaggia”, a suo dire. A Oberlin, su mille studenti, quelli di colore erano solo trenta. E, a dire di Edmonia, non potevano intervenire in classe né parlare nelle cerimonie pubbliche. L’uscita da Oberlin era stata in sostanza un’espulsione. Nell’inverno del 1862 fu accusata di avere avvelenato due compagne, somministrando loro nel vino speziato la cantaride – un afrodisiaco. Ci fu un processo e ne uscì assolta. Ma subito fu accusata di nuovo, questa volta di furto di materiali agli artisti in forza alla scuola. Anche questa volta f assolta. Salvo essere accusata di nuovo di furto, questa volta genericamente. E a questo punto lasciò la scuola – che l’anno scorso le ha dato il diploma honoris causa. È considerata la prima afroamericana, con radici native, ad avere riconosciuto lo status di artista in senso generico. A Roma non ha mai avuto nessun problema di tipo giudiziario.
Dall’Ohio passò a Boston con l’idea già definita di praticare l’arte. Ricevette vari rifiuti ma uno scultore rinomato, Arthur Brackett, che era anche un acceso abolizionista, la prese nel suo studio.  In un anno o poco più di attività, Edmonia Lewis vi sbozzò molti soggetti, e anche, in chiave di partecipazione indiretta alla Guerra Civile in corso al Sud, i busti di John Brown e del colonnello Robert Gould Shaw.
“Non starei una settimana rinchiusa nelle città, se non fosse per la mia passione per l’arte”, scriveva a un’amica. Ma poi passò tutta la vita a Roma.
Riscoperta dal revival di studi afroamericani, Mary Edmonia Lewis è in qualche modo rappresentata (lei come un’altra afroamericana romanizzata nel secondo Ottocento, Sarah Parker Remond) da Igiaba Scego nel personaggio Lafanu Brown, in “La linea del colore”.
 
Polyamory – Una combinazione di greco (poly, molti) e latino (amor), l’Oxfrod Languages la dice “la pratica di impegnarsi in multiple relazioni romantiche (e tipicamente sessuali) col consenso di tutte le persone coinvolte”. Relazioni multiple “pubbliche”, comunicate e consentite, non clandestine. Per wikipedia è l’amore di più di una persona nello stesso tempo, “con rispetto, fiducia e onestà per tutti i partners coinvolti”. Il vecchio libero amore, o “relazione aperta”. Con “rigetto dell’opinione che l’esclusività sessuale e relazionale (monogamia) sono i prerequisiti per relazioni d’amore”. Ne fa ampi uso la pubblicistica lgbtqia.
L’origine della parola si fa risalire a un articolo Morning Glory Zell-Ravenehart, una profetetessa del Neopaganesimo, sarcerdotessa di una Church of All Worlda, “A Bouquet of Lovers”, pubblicato su “Green Egg Magazine” a maggio del 1992. L’Oxford English Dictionary invece lo fa risalire al newgroup alt.polyamory creato su Usenet, la prima rete internet, da una Jennifer L.Wasp nel maggio del 1992.
 
Sarah Parker Redmond – Afroamericana, ostetrica, fu attiva in Italia, a Firenze e a Roma, dove infine si stabilì, nel secondo Ottocento. Accompagnata da una famiglia molto conosciuta a Roma, dove aveva aperto e gestiva un albergo rinomato, l’Hotel Palazzo Moroni, nei pressi di San Pietro, in Borgo Vecchio, 165 – ora via della Conciliazione, 51.
Nata a Salem nel 1826, in una famiglia di afroamericani abbienti, e attivi abolizionisti, presto si era legata al movimento, al seguito del fratello maggiore Charles - la sua figura è riemersa di recente, nel quadro degli studi di storia afroamericana. Accompagnandosi alle leader dell’abolizionismo, le americane bianche Susan Anthony e Abby Kelley Foster, in tour di conferenze per i diritti delle donne e contro la schiavitù. Insoddisfatta, nel 1858, tre anni prima della Guerra Civile, si trasferì a Londra, dove visse otto anni, sempre parte attiva del movimento contro le discriminazioni razziali e di genere.
Benché affluenti, i Remond non aveva vita facile a Salem. Provarono a iscrivere i figli a una scuola privata, che i rifiutò. Quando infine Sarah e le sorelle furono accettate in un istituto per ragazze non segregato, furono poi di fatto espulse perché il comitato scolastico decise di iscriverle, sì, ma a un corso separato, per soli neri. Nel 1835 la famiglia si spostò nel Rhode Island, uno stato meno segregazionista, a Newport, sempre per dare un’istruzione alle figlie. Ma la scuola non le accettò – l’istruzione si avviò in una scuola privata aperta e gestita da afroamericani. La famiglia ritornò allora a Salem, dove Sarah proseguì la sua istruzione da autodidatta.
Presto cominciò il giro delle conferenze. Ma anche in questa circostanza subendo l’umiliazione di alloggi “separati”, e poveri. Nel 1853 divenne un personaggio pubblico per essersi rifiutata di prendere posto in una sezione segregata dell’opera di Boston, l’Howard Athenaeum. Aveva comprato per sé e alcuni amici i biglietti per il “Don Pasquale”, ma arrivando a teatro il gruppo si trovò confinato in un’area separata. Sarah rifiutò il posto, e fu cacciata, a spintoni giù per le scale. Fece causa per danni e la vinse, con un rimborso di 500 dollari, cifra enorme, il riconoscimento della direzione del teatro di avere avuto torto, e l’ordine di “integrare” tutti i posti a teatro.
A Londra, dove l’aveva preceduta il fratello maggiore Charles, si trovò più a suo agio. Specie con le altre donne del movimento abolizionista. Ci visse otto anni. Conobbe e frequentò Mazzini. Su suo consiglio, si presume, decise di trasferirsi in Italia. Lo fece nel 1866, a quarant’anni, con lettere di presentazione di Mazzini. Che la indirizzò a Firenze, allora capitale, dove fu accettata alla scuola ospedaliera di Santa Maria Novella: poté studiare Medicina, e due anni dopo si diplomò ostetrica. A Firenze anche sposò, il 25 aprile 1877 (il certificato di matrimonio è online), a 52 anni, un Lazzaro Pintor, di 43 anni, di origine sarda, che è registrato come impiegato, ma potrebbe anche sere stato, allora o in seguito, “pittore di strada” – Sirpa Salenius, la biografa di Sarah Remond nella recente riscoperta, sintetizza così l’evento: “Il 25 aprile 1877, all’età di 50 anni come l’atto di matrimonio certifica, sposò un impiegato italiano, Lazzaro Pintor, che successiv
amente divenne un artista. Era nato nel 1833 in una famiglia alto-borghese. Entrambi il padre e la madre avevano lauree in legge…” - che sembra un po’ raffazzonato, ascrivendo Lazzaro ai Pintor del secondo Novecento, e insieme al vagabondaggio dell’artista di strada, mentre la prima donna avvocato in Italia arriva mezzo secolo dopo.  
A Firenze ebbe ospite la sorella Caroline, sposata Putnam. E dopo di lei il nipote, Edmund Quincy Putnam, con la moglie Gertrude Agnes Elliston. Dopo Porta Pia si stabilì a Roma, in piazza Barberini 6. Qui la ricorda Frederick Douglass, lo scrittore afroamericano che sarà la massima autorità in fatto di desegregazione e di african renaissance, quando visitò l’Italia nel 1887. Con più calore ancora Douglass ricorda “Gertie”, la nipote acquisita della “dottoressa”, questo il suo titolo, che gestiva e animava l’Hotel Palazzo Moroni.

astolfo@antiit.eu

La vendetta per facilitare la fuga

“Le Fosse Ardeatine e la Liberazione ottant’anni dopo” è il sottotitolo. L’eccidio si lega alla Liberazione: i tedeschi si affrettarono a trucidare chi gli capitava a tiro per lasciare prima Roma. Un aspetto poco indagato della vicenda, ma la verità dei valorosi Kesselring, Kappler e Priebke: ammazzare chi capita e scappare, l’istinto nomadico era ancora forte nella tribù - la verità della storia, che stranamente gli storici non mettono in rilievo, è che Kesselring, Kappler e ogni altro sapevano da tempo di doversi ritirare, di molto e a velocità. Disorientando i cecchini e ogni altro piano di attacco. Le Fosse Ardeatine, forse il più grade eccidio nella guerra – dopo quello di Stalin a Katyn – non si spiega altrimenti: dieci italiani uccisi, italiani qualsiasi, per ogni tedesco morto a via Rasella non era una regola, nemmeno nel Reich di Hitler.
Un volume che riporta quegli eventi alla loro dimensione vera, pratica, effettiva. Al di là del diritto di guerra, e della stesa immoralità tedesca, hitleriana. È la parte migliore della collazione a più voci – una intuizione dell’ad del gruppo editoriale, Corrado Corradi: far parlare i familiari ancora in vita delle vittime. E il racconto prende vita, oltre l’abominio. L’altro pregio è la documentazione fotografica: ben scelta – significante – oltre che abbondante.
Molinari, il direttore del quotidiano, ricorda altre due persone speciali, due sopravvissuti, Arrigo Paladini e Pacifico Di Consiglio. Gli storici Gentiloni, Portelli, Piccioni, Gotor mettono gli eventi in prospettiva.
Ottavio Ragone-Conchita Sannino (a cura di), Roma 1944
, “la Repubblica”, pp. 240, ill., gratuito col quotidiano

venerdì 22 marzo 2024

L’Occidente a due velocità

Mentre procede il “disaccoppiamento” delle “catene di valore2 (catene produttive) – essenzialmente il disaccoppiamento dalla Cina promosso dagli Stati Uniti – si rileva, tra i paesi ricchi, un divario rilevante di crescita dell’economia tra gli Stati Uniti e l’Europa. Il Fondo Monetario Internazionale stima per il biennio 2023-2024 una crescita del pil americano del 2,5 e del 2,1 per cento, mentre quello europeo si limita allo 0,5 e allo 0,9. Nel 2025 il divario secondo il Fmi si restringe, ma secondo l’Ocse persisterà.
Sei i fattori del divario. La stretta monetaria ha pesato e pesa di più in Europa, che ha un sistema produttivo legato al credito più che ai finanziamenti sul mercato. Il post-covid ha visto una forte ripresa dei consumi in America, mentre le famiglie europee hanno ripreso nella pandemia l’abitudine al risparmio. Lo shock sul mercato dell’energia conseguente alla guerra russa all’Ucraina ha colpito l’Europa. L’amministrazione Biden ha avviato vasti programmi di spesa pubblica, per un disavanzo suppletivo di 8,8 punti di pil nel 2023, e di 7,6 nel 2024- 2025. Mentre in Europa la manovra corrispettiva è dimezzata, a 3,3-3,7 punti di pil. Le sovvenzioni industriali dei piani di rilancio americani hanno portato in America molti investimenti europei, originariamente previsti in Europa. Il crollo del commercio mondiale nell’ultimo quinquennio ha colpito l’Europa perché più esposta sui mercati internazionali: l’America è ancora un mercato continentale, l’interscambio col resto del mondo è un quinto del pil (il 21 per cento), mentre l’Europa ne dipende per un terzo (il 32 per cento) del pil.

L’Europa arranca nella produttività

Chi lavora meglio, più produttivamente, in Occidente: gli Stati Uniti o l’Europa? Un tema trascurato, la produttività, del lavoro o dei materiali, in termini di resa per unità di costo. In America si stima la migliore performance dell’economia rispetto all’Europa come l’effetto della migliore produttività. L’investimento in nuove tecnologie in rapporto al pil è stato nel 2022 il 3,7 per cento negli Usa e il 2,3 nell’Eurozona. La spesa in ricerca e sviluppo, sempre in rapporto al pil, è stata nel 2012 del 3,5 negli Usa e del 2,3 nel’Eurozona. Il tasso di formazione dello stock di capitale (escluse le abitazioni) in rapporto al pil è stato nei vent’anni 2002-2022 il 2,4 per cento annuo negli Usa, l’1,7 nel’Eurozona. I brevetti per milione di abitanti nel 2023 sono stati 40 negli Usa e 28 nel’Eurozona. L’economista Patrick Artus, specialista di questi calcoli, stima che la produttività pro capite nel primo ventennio del millennio è cresciuta del 43 per cento negli Stati Uniti e del 10 per cento nell’Eurozona.
Di parere opposto è l’“Economist”, che alla produttività comparata ha dedicato un’indagine quattro mesi fa. Secondo l’“Economist” gli Stati Uniti hanno registrato un’impennata nella produttività nel decennio 1995-2004, per la diffusione della tecnologia informatica. Ma dal 2011 hanno ripreso a soffrire di un “declino secolare” della “produttività manifatturiera”. Sia nei beni durevoli sia nei non durevoli.
Secondo le misurazioni della rivista, tra il 2000 e il 2011 la produttività manifatturiera americana è cresciuta del 45 per vento, contro il 38 per cento Ue (senza la Gran Bretagna). Nel decennio successivo, tra il 211 e il 2022, è invece declinata, di un 5 per cento, mente in Europa è cresciuta di un altro 21 per cento.

Quel delitto è mio

Una gara fra attrici, piccole e grandi, per imputarsi l’assassinio del produttore sporcaccione, “assurgere agli onori della cronaca”, e quindi uscire dall’anonimato o l’oblio e tornare al palcoscenico, con una propria sceneggiatura dell’evento, e poi altre produzioni di sicuro successo di pubblico.
Una trama gogoliana, di una vecchia commedia disimpegnata, boulevardière, del 1934, già al quarto o quinto adattamento al cinema. Ozon la rende gradevolissima con la velocità, e lunghe memorabili caratterizzazioni di Fabrice Luchini, il giudice vanesio e scemo, e Isabelle Huppert, la vecchia attrice che si rigenera contendendo l’assassinio alla giovane svagata Nadia Tereskiewicz.
Nella sua filmografia di successo il regista di “8 donne e un mistero” e di “Potiche”, della satira delle donne fatta dalle donne, infila un’altra grassa risata, con un pizzico di suspense.
François Ozon, Mon Crime – La colpevole sono io
, Sky Cinema

giovedì 21 marzo 2024

La pax americana a rischio indecisi (indipendenti)

Con due ottantenni in gara, entrambi con problemi, la prossima presidenza americana sarà una delle più imprevedibili. In politica interna, sull’immgrazione e sullo stato della giustizia, e di più in politica estera – è a rischio la pax americana, il governo morbido che gli Stati Uniti esercitano sul mondo, con la finanza, gli scambi, e le presenze militari e le azioni belliche diffuse in tutto il globo, ora nei confronti della Cina, della Russia, e dell’islam. A meno di un colpo di scena, che porti uno dei due in carcere, o lo dichiari ineleggibile – ipotesi da non escludere: la politica a Washington sempre più somiglia a quella dell’antica Roma, e non solo per i campidogli nei quali si recita.
C’è una disaffezione marcata del voto popolare. L’identificazione degli elettori nell’uno o l’altro dei due grandi partiti, il Democratico e il Repubblicano. A un sondaggio Gallup il 43 per ento degli elettori si è definito “uncommitted”, indipendente. Erano il 18 per cento nel 1950, e il 30 per cento nel 2000. Si è quasi dimezzato il voto dichiaratamente democratico: al 27 per cento, dal 45 per cento del 1950 (il 33 per cento nel 2000). L’identificazione col partito Repubblicano è scesa dal 31 al 27 per cento (era al 28 per cento nel 2000).
Il voto non schierato, dunque, conterà molto nell’elezione del nuovo presidente. Ma la campagna sarà agguerrita, perché molti soldi vi saranno spesi di un nuovo tipo di organizzazione, i Pac, Poltical Action Comimittee, che possono raccogliere e spendere liberamente fondi, accanto alla campagna elettorale ufficiale, per l’uno o l’altro dei candidati o anche contro – ma senza farli confluire nella capacità di spesa delle campagne ufficiali, solo raccordandosi con esse. C’è un FF Pac (Future Forward Usa Pac) pro Biden, e un MA GA (Make America Great Again) pro Trump, un Teamsters Pac (sindacati) pro Biden, e un National Rifle Association Pac pro Trump. Circa duemila di questi Super Pac hanno riportato sottoscrizioni per oltre un miliardo di dollari a fine febbraio.
Ma, alla fine, si sa che il presidente sarà scelto da cinque Stati, non grandi, 45 milioni di abitanti in tutto (sui 430 totali, un dieci per cento), né influenti economicamente, ma swinging, nei quali cioè il voto cambia a ogni elezione, determinando il “voto elettorale” dello Stato, da aggiungere (con peso diverso) al voto popolare: nel 2016 hanno eletto Trump su H. Clinton, con propensione netta, nel 2020 Biden su Trump. Sono Pennsylvania, tredici milioni di abitanti, Georgia, undici, Michigan, dieci, Arizona, sette, e Wisconsin, sei. Gli “indipendenti” tra i votanti, cioè non iscritti ai partiti, sono in Pennsylvania attorno al 20 per cento, in Georgia, Michigan e Wisconsin attorno al 30, e in Arizona al 40.

Cronache dell’altro mondo – truffatrici – (259)

Ammontano a 10 miliardi di dollari le frodi domestiche l’anno scorso, secondo i dati pubblicati dalla Federal Trade Commission, l’Antitrust americano.
La cifra di 10 miliardi è ritenuta approssimata per difetto: “Molte persone, per la vergogna, o per il timore, di essere incolpate o derise, si tengono segrete le truffe di cui sono state vittime”.
I metodi sono per lo più sofisticati. Sempre sfruttando l’“isolamento sociale” e i “bisogni insoddisfatti” (per o più di reddito, di disponibilità): contanti, carte prepagate, criptovalute, informazioni personali. Con richieste dirette (denaro per un congiunto – il nipote o pronipote – o un amico in difficoltà) o schemi di guadagno, per soldi-subito, una volta accertato il bisogno di liquidità.
Le truffe hanno più successo di quanto si pensi. Il novanta per cento di un’indagine demoscopica specifica si è detto in grado di fiutare e prevenire le truffe,  ma più del venticinque per cento ha anche detto di esserne stato vittima.
Generalmente colpite sono persone che vivono da sole. Che quindi non possono discutere o controllare le proposte. Spesso anziane. Ma l’età incide in percentuale minore della solitudine: non sono gli anziani le “vittime tipiche di truffe”.

Ma quanti film (e quante canzoni) sono di Morricone

Tre ore con Morricone, personaggio semplice, e musicista straordinario perché semplice. Condotte dallo stesso Morricone, novantenne giovanile, in chiave biografica. Piene di belle canzoni e colonne sonore famose. Oltre che delle testimonianze solite dei biopic: Gianni Morandi, che a Morricone arrangiatore deve i grandi successi dei suoi inizi, Quentin Tarantino, Clint Eastwood – “la sua musica mi ha reso un attore complesso” - Bernardo Bertolucci, Verdone, Piovani, Bruce Springsteen,  Pat Metheni, entrambi entusiasti, Edoardo Vianello, Barry Levinson, Oliver Stone, lo stesso Tornatore, per il quale fece  la clonna soora che guidò la riedizione di “Nuovo Cinema Paradiso” – quella che conosciamo, molto più compatta di una prima che era caduta nela disattenzione. E Roland Joffé, il regista anglo-francese (con pratica dell’italiano) di “Mission”, film praticamente rimontato sulla musica che Morricone scrisse, dopo essere stato girato con altro, roboante, accompagnamento musicale. 0
Una narrazione ordinata, come il personaggio  – si fa seguire per gli eccezionali momenti musicali,  come sono nati (casualmente), come si sono sviluppati, come sono stati applicati, non per colpi di scena, rivelazioni o avventure. Partendo dagli inizi: bambino indirizzato alla tromba dal padre, che la suonava di professione. Al conservatorio di Santa Cecilia in varie classi, infine in composizione con Petrassi. Sempre suonando la tromba, la sera agli avanspettacoli o in qualche comparsata tv, p. es. col Quartetto Cetra o al Musichiere. Il rapporto filiale con Petrassi, che ne disapproverà lo “scadimento” di compositore a musiche da cinema, ma lo seguirà sempre. Arrangiatore di moltissimi successi della Rca, per Morandi, Mina, Paul Anka, Edoardo Vianello, Gino Paoli. Dipendente per un giorno della Rai, il tempo di sapere che le sue musiche, da dipendente, non potevano essere eseguite alle radio e le tv della stessa Rai. L’esperienza di Nuova Consonanza, con la sperimentazione di suoni “concreti”, di materiali poveri. E le colonne sonore, per cui è diventato famoso: ne ha composte “cinquecento”, una numerazione alla “Don Giovanni” ma prossima alla realtà. Candidato sfortunato cinque volte all’Oscar, poi Oscar alla carriera, nel 2007, e quindi Oscar in concorso con “The Hateful Eight”, l’ultimo film di Tarantino, anch’esso rimontato sulla sua colonna Sonora.
 Con molte foto e filmati d’epoca. Di Morricone in famiglia, con Petrassi, con Sergio Leone, con Pasolini, (anche “Uccellacci e uccellini” si apre e si svolge sulla sua musica), agli esordi, suonatore di tromba. Tre ore dense di cose.


Giuseppe Tornatore, Ennio, Rai 1, Raiplay

mercoledì 20 marzo 2024

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (554)

Giuseppe Leuzzi


Da Bossi a Salvini, maestri di scuola

La Lega al governo ha appena varato un decreto contro i “troppi 100 e lode al Sud”, alla maturità, integrando il diploma con i test Invalsi, che gli stesi test, dopo venti anni, vengono riconosciuti non del tutto affidabili, e comunque da revisionare. Inattaccabili, perché sono test in cui “Milano” fa meglio del Sud, ma – si vede – non vanno più bene nemmeno a “Milano”, alla maturità.
C’è il razzismo in Italia. E c’è fra Nord e Sud più che contro gli immigrati, che bene o male vengono accettati: per motivi umanitari, e perché sono utili e anche necessari, e per di più costano poco. Tra italiani invece c’è razzismo. Non del Sud verso il Nord, ma del Nord sì. All’ultima maturità, 2023, due licei hanno registrato un numero di 100 record: il classico “Orazio” di Bari, con otto 100, di cui quattro con lode, in un’unica classe, e l’Itis “Fermi” di Modena, con sette 100, di cui quattro con lode. Su Modena nessuna osservazione, vituperio su Bari.
L’Invalsi, Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione, è un istituto pubblico. Creato nel 1999 dal ministro Luigi Berlinguer, lo stesso che ha che ha cacciato la storia e la geografia dalla scuola, per scopiazzare le high school americane (una delle tante scopiazzature americane degli ex comunisti). È operativo da vent’anni, dapprima speriementalmente. Poi perfezionato dalle ministre di destra Moratti e Gelmini, le privatizzatrici dell’università e le scuole. Valuta le conoscenze a freddo, con elaborati e domande al computer. Le risposte analizzando non si sa con quale criterio, specie quella d’italiano – le alre prove sono di matematica e d’inglese. Prove per le quali, come per i quiz al test di Medicina, una preparazione sepcifica, che nulla a che vedere con la cultura, viene predisposta in alcune scuole.
L’insegnamento e l’apprendimento sarebbero un’altra cosa. E comunque non si fanno a macchina e non prescindono dal dialogo. Fatto è che i vilipesi 100 e lode del ud poi risytano i migiiori laureati delel migliori univevrsità – che naturalmente sono al Nord.
Da Bossi a Salvini sembrerebbe impossibile, ma il sapere è leghista, anche lui.


La mafia dell’antimafia
Sì, l’indagato, nello scandalo delle indagini patrimoniali abusive, mette le mani avanti - deve difendersi. Forse anche, probabile, lancia “avvertimenti”, cioè minaccia, benché sia un ufficiale di polizia – tenente della Guardia di Finanza, specializzato in informatica. Ma dice cose che tutti sanno - lui le dice.
È impressionante l’intervista di Pasquale Striano al quotidiano “La Verità: Ho fatto 40 mila accessi (intrusioni nei conti, n.d.r.), non 4 mila. Ma agivo su ordine dei pubblici ministeri”. E aggiunge: “Alla Dna (Direzione Nazionale Antimafia, n.d.r.) si pensa poco alla mafia e molto al potere”.
Su Striano c’è una indagine penale. La Procura di Perugia lo persegue per l’ipotesi che abbia utilizzato il suo ruolo di capo del gruppo informatico d’indagine sulle Segnalazioni di Operazioni Sospette (Sos) della Uif, Unità Informazioni Finanziarie (portale Infostat-Uif) della Banca d’Italia, per compilare dossier scandalistici con un certo numero di giornalisti. Indagato come lui è il magistrato in pensione Antonio Laudati, in qualità di ex responsabile delle segnalazioni nella Direzione Nazionale Antimafia. Per la diffusione di queste intrusioni sono indagati anche otto giornalisti. In totale sono indagate quindici persone.
L’intervista di Striano è difensiva, contro la Procura di Perugia (“loro”) che indaga: “Io di segnalazioni di operazioni sospette (le Sos) non ne ho visionate 4.000, come dicono loro, ne ho visionate 40.000. Era il mio lavoro. Io ero una persona super professionale che acquisiva notizie a destra e a sinistra. Lo ammetto, anche con metodi non sempre ortodossi. Ma non mi devono far passare per quello che non sono”, cioè un ladro di dati, da condividere (a pagamento?) con alcuni giornalisti.
Questo non interessa, è parte di una difesa giudiziaria – “Non hanno capito nulla dei numeri che hanno dato, non sanno quali fossero le procedure, non sanno nulla. Il mio lavoro era di fare attività Antimafia e di farla bene. Di occuparmi di fenomeni che potevano essere calzanti: gli affari dietro al Covid, i bitcoin, i nigeriani. Ho fatto sempre ed esclusivamente questo”.
Ma poi va oltre, sulla Direzione Nazionale Antimafia, che conosce bene, dal di dentro: “Non ha motivo di esistere. Se la Dna fosse come la ha concepita Falcone, così come la Direzione investigativa antimafia per cui ho lavorato – e non sono uno che sputa nel piatto dove ha mangiato – allora sarebbe diverso. Ma purtroppo lì ci sono uomini che non sono più in grado di fare le indagini. Io ho evidenziato a chi di dovere le criticità e non cercavo gratificazioni”.
Anche questo può andare bene: la Dna non fa indagini, le coordina. Ma “poi”, continua l’ufficiale, “non lo scopro io, esisteva una lotta tra magistrati. Una gara a chi era più bravo, a chi era più bello, a chi aveva più potere”. Specie sul suo lavoro, che era al centro di molte “invidie”: “Non solo invidie interne, perché lì a livello nazionale c’è un macello”, tra Procuratori.
Sono sempre i giudici del metodo Palamara? I primi riscontri dicono di sì. E qui si tratta dei livelli massimi, non di piccole carriere. Laudati ha fatto sapere dai suoi avvocati che lui agiva su impulso del Procuratore Nazionale, che era Cafiero de Raho. De Raho, ora senatore, vice-presidente della Commissione parlamentare (Antimafia) che indaga sulle intercettazioni, ribatte agli avvocati di Laudati, ma non ritiene di doversi dimettere da questo incarico.
Cafiero de Raho è ora senatore grillino. Senatori (del Pd) sono stati i suoi predecessori, Franco Roberti e Piero Grasso. Utilizzare la politica per fare carriera (fece scandalo a suo tempo la modalità con cui, per la nomina di Grasso, fu impedita la candidatura di Giancarlo Caselli), uscire dalla carriera col massimo, Procuratore Nazionale, utilizzare la carica per avviarne un’altra senza soluzione di continuità (cinque anni, due anni, un anno – ai manager si richiede, perfino agli allenatori di calcio), e maturare un secondo, ricco, vitalizio, tutto questo non è edificante. E la mafia?
P.S. A proposito di mafia. Cafiero de Raho ha fatto il balzo alla Dna sacrificandosi a Reggio Calabria quattro anni, dal 2013 al 2017. Durante i quali non è mai uscito di casa, per non “infettarsi”, come disse una volta (“si vive soli, la nostra vita è in ufficio. La società è collusa o compiacente”).
Il nobiluomo è uno dei tanti napoletani giurisperiti che si sacrificano per qualche anno in Calabria, specialmente Reggio e Catanzaro sono indigeste, per un motivo – sono destinazioni scelte, non imposte: sono sicuri poi con l’antimafia di fare carriera. Ma come si governa una città e una provincia, mezzo milione di persone, disprezzandole? Per quattro anni Cafiero de Raho non ha potuto giocare a tennis, non trovava a Reggio un partner affidabile.
 
Cronache della differenza: Calabria
Nella fiction Rai “Mameli”, il genovese Nino Bixio parla calabrese, denunciano i social. Invece è l’unico personaggio convincente, l’unica interpretazione riuscita – gli altri parlano romano: l’unico che parla con cadenza genovese. Amedeo Gullà, l’attore che lo interpreta, è calabrese, è vero – e er questo non può “fare” altro?
 
“Ho fatto un’esperienza politica che mi stava portando al suicidio”, l’imprenditore Filippo Callipo confida a Carlo Macrì sul “Corriere della sera” dopo l’ennesimo “avvertimento” contro la sua azienda a colpi di pistola: “Tremenda. Vedevo cose contro natura, accettarle era impensabile. Quella breve parentesi seduto sugli scranni del Consiglio Regionale mi ha sconvolto il cervello.…,Non ero andato lì per avere privilegi. Invece sono stato tradito dalla mia stessa coalizione di centro-sinistra”. A parte gli “scranni”, un mondo infetto, irrecuperabile?
 
Si tenta da qualche anno (sull’onda del boom della pizzica in Salento?) il recupero della tarantella, con scuole, festival, feste. E – per maggior richiamo? – la si vuole stranamente ballo della ‘ndrangheta. La quale è stata creata dalla Repubblica, quindi da poco, ed è mafiosa nel senso di bruta e ignorante. Mentre si trovano tarantelle in composizioni e compositori della migliore specie, perfino in Chopin, “Fantasia in Fa minore op. 49”, 1841. O in Rossini. E in tanti russi, Stravinskij, Prokof’ev.
È curioso un mondo che cerca i suoi quarti di nobiltà nella delinquenza senza onore, recenziore.
 
“I calabresi hanno un senso della fatalità” – molta Calabria riemerge nel diario in pubblico di Corrado Alvaro, “Quasi una vita”: specie in tarda età - molte annotazioni sulle origini sono del 1939 e posteriori.
“Concepiscono la loro vita sull’argine delle loro fiumare che presto o tardi travolgono ogni cosa. «Piegati, albero, che passa la piena» è nostro motto”.
 
Ma è ormai molto tempo che le fiumare non travolgono più, una settantina d’anni – saranno state canalizzate opportunamente. E allora? Il “senso della fatalità” c’è sempre: è l’accettazione della mafia, del “discorso sulla mafia”.
 
“Corruzione del popolo al mio paese”, è ancora Alvaro, subito dopo: “E del popolo basso, né artigiano né contadino né pastorale” - “Paese mio, dolce e feroce\ esperto ed insano”, è un frammento di “In viaggio”.
 
Vincenzo Sofo, europarlamentare FdI, marito di Marion Maréchal, la nipote di Marine Le Pen con la quale è in rotta, ora vice di Éric Zemmour nel partito di estrema destra Reconquête, “Il Sole 24 Ore” lo ricorda milanese ma “nato «da sangue 100 per cento calabrese»”, e “per un’azione dal gusto dannunziano nella terra d’origine dei suoi genitori” nel 2014. A sostegno di Sgarbi, che contestava il no ministeriale alla richiesta milanese di illustrare l’Expo con i Bronzi di Riace, inscenò al Museo di Reggio “un rapimento simbolico delle statue dei due guerrieri”. Calabrese in effetti più che milanese, per la “veduta”, il bel gesto.
 
Emily Lowe, la viaggiatrice inglese di metà Ottocento, prima capitano donna di una nave, nella memoria di viaggio che le diede la celebrità che cecava, Unprotected Females in Sicily, Calabria and on the Top of Mount Aetna (1859), vi sbarca dalla Sicilia come alla “terra che pericoli romanzeschi proteggono dall’invasione dei viaggiatori”.

leuzzi@antiit.eu

Amori gelati a Milano

Tre avvocate, tre generazioni, s’immaginerebbero faville  e invece fanno quello che una volta si chiamava la “scrittura femminile”: s’incapricciano, si lasciano, oppure no, cose da boudoir. Divorziste, hanno passioni adulterine, più o meno travolgenti, e maternità abortite, spontaneamente e non. Il tutto nel gelo diMilano, uffici, caffè e abitazioni d’architetto, roba nuda spigolosa.
Un regista e un cast d’eccezione non ci possono nulla.
Nella rotazione Rai, con le tante Napoli, Sicilia e Matera d’obbligo, tocca a Milano, dopo Genova, Torino e Bari. Se l’ambientazione è veritiera, si può prendere la miniserie come un documento d’epoca, glaciale.
Simone Spada, Studio Battaglia, Rai 1, Raiplay

martedì 19 marzo 2024

Letture - 546

letterautore


Dante
– L’“Inferno” Flaiano vedeva come una massa di italiani che rompono i coglioni agli altri italiani”.
 
Era reazionario, non conservatore, sostiene Marcello Veneziani, “visto da destra”, nel dibattito pubblico su “destra” e “sinistra” in politica tenuto alla “Scuola Fo di Cittadinanza” un anno fa (ora in “Destra e Sinistra”, a cura di Domenico De Masi): “Dante non era conservatore, era reazionario, perché Dante sognava il Sacro Romano Impero”. E ancora: “Dante sognava la grande tradizione, era a disagio nel suo tempo e immaginava nostalgicamente un ritorno ai padri. La sua stessa passione per la lingua italiana, di cui appunto è diventato innovatore e fondatore, è correlata al suo legame fortissimo con il mondo classico e latino”.
Veneziani interviene sulla critica che De Masi aveva mosso al ministro della Cultura Sangiuliano, che Dante voleva il primo conservatore: “Proprio lui che rifiutò il latino e impose la lingua nuova”. Veneziani continua obiettando: “Per lui la lingua latina è la lingua dei padri, il volgare è la lingua delle madri, e quindi sono entrambe importanti”, la tradizione e l’innovazione.
 
Inghilterra
- Il plenipotenziario Majskij ha insignito il re d’Inghilterra dell’ordine di Lenin” – N. Berberova, “Il quaderno nero”, marzo 1942.
 
Machiavelli
– “Uno sconfitto”, lo dice Giacomo Marramao in “Destra e Sinistra”, la serie di conferenze tenutesi al cinema Farnese di Roma tra febbraio e marzo del 2023. E “Il Principe” “un messaggio in bottiglia”, da naufrago: quando ha scritto “Il Principe” Machiavelli “non contava più nulla, non era più il segretario di Stato, il ministro degli Esteri della Repubblica fiorentina, ed era costretto a vivere in esilio”.
 
Massoni
– Sono, erano a Parigi negli anni della guerra, di destra, la Grande Loge, e di sinistra, il Grand Orient.
  
Mosca
– “È difficile trovare un’altra capitale come Mosca”, viene detto da Famusov, un personaggio della commedia di Griboedov, “Che disgrazia l’ingegno”, 1823, in tono di apprezzamento. Bulgakov riprende la notazione un secolo dopo, in tono semiserio, in “Mosca, la captale nel blocknotes”, annegata nell’inflazione, monetaria e di nepman, arricchiti della Nuova Politica Economica, di mercato, appena aperta.
 
Politica
- Una scienza - la scienza di una pratica – nata anche questa nella disgrazia, nel disagio. Il termine nasce con Aristotele, col trattato omonimo, argomenta sempre Marramao, scritto da Aristotele “quando era precettore di Alessandro Magno: in un momento in cui ormai la Grecia era sottoposta al dominio macedone e il miracolo della polis ateniese solo un ricordo del passato, destinato ad essere sostituito dal sogno imperiale e dalla koiné ellenistica dell’impero alessandrino”.
 
Pound – “Lavorare meno, lavorare tutti”, la key-note del suo “ABC dell’economia”, 1933, è di Keynes, 1932: “lavoreremo meno per lavorare tutti”?
 
Rinascimento russo – a Ottobre del 1939, da Longchêne vicino Parigi, dove abitava esule da quindi anni, Nina Berberova, dopo avere registrato con disappunto due mesi prima l’alleanza Molotov-Ribbentrop, fa questa riflessione: “Il Rinascimento russo di fine Ottocento-inizio Novecento si distingue dai «soliti Rinascimenti» per la consapevolezza che aveva di essere condannato. Fu un Rinascimento che presagiva la sua stessa morte. Resurrezione e morte. Inizio e fine, nello stesso arco di tempo, della storia della cultura russa. Un singolare fenomeno russo”.
 
Russia – “I russi piangono molto”, Nina Berberova, “Quaderno nero”, marzo 1942, dopo il bombardamento alleato di Billancourt (Parigi) – “perlomeno assi più dei francesi, che non piangono mai”.
 
“Com’è possibile non impiccarsi”, ancora N.Berberova a febbraio del 1942,  all’arrivo a Parigi della notizia che la poetessa Cvetaeva si è impiccata a Moscal’11 agosto, “se l’amata Germania bombarda l’amata Mosca, se i vecchi amici hanno paura d’incontrarsi, e non c’è niente da mangiare?”
La Russia si è modernizzata (europeizzata) guardando alla Germania e con i suoi principi e generali – e un po’ all’Italia.
 
La Russia la letteratura “sottomette alla politica”, nota Berberova nel “Quaderno nero”, a proposito di una censura imposta alla prima pubblicazione de “Il dono” di Nabokov nel 1937 su “Sovremennye Zapinski”, “memorie contemporanee”, la rivista russa degli emigrati che si pubblicò a Parigi dal 1920 al 1937: i socialisti-rivoluzionari che editavano la rivista omisero il quarto capitolo, la biografia di Černyševskj, considerato un’icona inavvicinabile. Berebrova ricorda la censura nel ritratto di Vladimir Zenzinov, il socialista-rivoluzionario che pretese la censura. E commenta: il “potere delle tenebre” che allignava anche nell’emigrazione “continuava una vecchia tradizione russa”.
 
Stato
– Il termine è invenzione di Machiavelli, può dire risoluto Marramao (“Destra e sinistra”, p. 123), citando in appoggio l’incipit del “Principe”. “Tutti li stati, tutti e’ domini che hanno avuto et hanno imperio sopra li uomini, sono stati e sono o repubbliche o principati”. Aggiungendo: “È la prima volta che si usa il lemma Stato, che più di un secolo dopo Thomas Hobbes, nel ‘Leviatano’, riprenderà affermando l’equivalenza tra i termini State, Civitas e Commonwealth”.
 
Strindberg
– Pubblicò “L’apologia di un pazzo” dopo l’impegno della moglie (la terza, Harriet Bośse) di non leggerla. E la moglie non la lesse, malgrado lo scandalo che la pubblicazione aveva creato – pur vivendo ancora quasi settant’anni (fino al 1961). L’“Apologia”, 1893, porrebbe essere per i temi, se non per la scrittura, di un secolo dopo, fine Novecento: un uomo sopraffatto economicamente, socialmente e sessualmente dalla dona.
 
Tolstoj
– Ossessionato dal sesso. Così lo dice N. Berberova in una due riletture sorprendenti che ne nel “Quaderno nero”, pp.39-40): “Ho riletto ‘Il Diavolo’. Oggi ci appare chiaro che Tolstoj era ossessionato dal sesso. Vedeva il sesso nella musica, nelle cosce robuste delle contadine, in un bel vestito, nella Venere di Milo”, Anche “Padre Sergio” si può aggiungere, racconto dell’ultimo Tolstoj - che non lo pubblicò ma non lo distrusse: una sorta di autocoscienza.
L’altra notazione è, malgrado il tanto impegno sociale, di una sorta di misantropia: “Ho riletto ‘Guerra e pace’. L’ho sempre pensato e ora sono convinta che questo libro non ha eguali quanto a obiettivi realizzati. Ecco alcune osservazioni: l’umanità del romanzo è paragonata:1) alle formiche, 2) alle api e, 3) alle formiche. Si tratta forse di una svista? Oppure è il risultato di un disprezzo inconscio di Tolstoj per l’umanità?”

letterautore@antiit.eu

Anime morte a Mosca

Personaggi della Mosca della Nep, la Nuova Politica Economica, di mercato, sperimentata nella Russia sovietica dal 1921 al 1928, di arricchiti con le mani sempre piene di pacchi di rubli, le loro mogli e amanti ingioiellate, macchinone, conti non pagati, e della bohème, la povertà di Bulgakov. Nonché delle tante furbizie per guardarsi dai controlli occhiuti di funzionari ossuti della burocrazia Sovietica, con montagne di moduli, da cento domande, subito protocollati in uscite, e quindi perduti. O le razioni per classi, da lavoratore d'assalto, da accademico...

Una sorta di scoperta, tra il divertito e l’ammirato, del provinciale Bulgakov, appena approdato nella capitale “senza pari”, da Kiev dove era nato e cresciuto, e dopo alcuni anni da medico condotto. in Ucraina nella provincia di Smolensk, e negli Urali, a Vladikavkaz. Già autore di racconti, Bulgakov decide a trent’anni di trasferirsi a Mosca e di abbandonare la medicina per dedicarsi alla scrittura. Racimola qualcosa per vivere con questi “taccuini”, che pubblica qua e là. A Mosca non ebbe vita facile, materialmente prima ancora che per i problemi che avrà sempre con la censura, specie come autore teatrale, benché benvoluto da Stalin.
Prose modeste. Ma allegre. E senza politica: i burocrati rivoluzionari sono presi in giro allo stesso modo come i riccastri della Nep. In un capitolo rifà anche Gogol’, altro grande russo di Kiev, “Le anime morte”, in chiave contemporanea, tra le sgangheratezze del regime che tutto controlla - un sogno che è una satira radicale, più che un tributo al conterraneo. L’ammirazione per Mosca, da provinciale inurbato, è però genuina, benché limitata alla pietra (piazze, palazzi). E condizionata dalla miseria - la proletarizzazione. Un tributo a una città svanita.

Una edizione riccamente illustrata, con un centinaio di foto e la topografia di ogni racconto.
Michail A. Bulgakov, Mosca, la capitale nel blocknotes, Excelsior 1881, remainders, pp. 255, ill. € 7,25

lunedì 18 marzo 2024

Secondi pensieri - 529

zeulig


Bene – È la risultante di una concezione ordinata e progressista – teleologica – del mondo. Del “Giudizio” di Kant soprattutto, più che di sant’Agostino – fino alla deriva hegeliana. E di Candido.
 
Globalizzazione – Ha rovesciato il mondo. L’ha proposta e gestita l’Occidente – gli Stati Uniti di fatto, l’Europa l’ha subita (l’Occidente è poco europeo) – a scopi di maggio profitto. Ma ha liberato il resto del mondo, aprendo le porte al commercio, senza dazi né contingenti, e ha portato al declino o eclissi dell’Occidente stesso. Comunque ha creato un altro rapporto di forze, rompendo l’equilibrio plurisecolare dalla navigazione oceanica e le scoperte in poi, dal ‘400.
Le sanzioni contro la Russia, gesto isolato dell’Occidente, e lo stesso conflitto, una guerra Nato per procura, alla Russia per mezzo dell’Ucraina, cadute nel nulla nel Resto del Mondo ne sono un esempio: una guerra che, a differenza di quelle del Novecento, non si può più dire “mondiale”, per nessun verso. Compresa forse la minaccia nucleare. L’Occidente finisce da apprendista stregone: ha aperto i cancelli del mercato al mondo – per guadagnare di più, non per generosità naturalmente ma nemmeno per disegno politico – e in pochi anni ne è diventato una parte, non più il tutto: non decide e non governa.  
 
Felicità – Prima che nella Costituzione americana era in Aristotele, come si sa, che alla eudamonìa ha dedicato lunghe considerazioni - e si direbbe la pone al centro della sua etica. Ma la più pratica la dà nel trattato “Politica”: “Da che cosa dipende la felicità? La felicità è costituita dalle seguenti parti: buona nascita, abbondanza di amici, ricchezza, abbondanza di figli e buoni figli, buona vecchiaia, buona condizione fisica. Cioè: bellezza, forza, statura alta, atleticità, oltre a fama, onore, fortuna e virtù”. Come un medico che ordinasse tuta la farmacia.
 
Intelligenza artificialeEmilio Segré era scettico, ancora negli anni 1970, dal punto di vista neurologico, delle ricerche sui neuroni. Eco ne parla nel 1991 come un dato di fatto, a proposito dei frames, schemi di azione (andare al ristorante, alla stazione, aprire l’ombrello) conoscendo i quali un computer è in grado di capire diverse situazioni. Anche di gestirle, si direbbe, già negli anni di Eco, p.es. il navigatore. Ma di capire nel senso di riflettere? No, di recepire, che è diverso. Le ultime applicazioni d’intelligenza artificiale, ai testi, fanno pena – gli input non sono all’altezza di essere intelligenti.
 
Natura – È incoercibile. Nella sua costruttività\distruttività – imprendibile, indomabile. Ma è un mezzo. “Usare la natura come mezzo” è di Kant, “Critica della facoltà di giudizio”, Einaudi, p.264,  per realizzare attraverso di essa la libertà.
 
Ortodossia – Le buone azioni vi contano meno delle parole – Dio raggiunge con la preghiera (le fede).
 
Storia - Luigi XIV, che non si lavava, non era figlio di Luigi XIII? È possibile: la regina Anna d’Austria potrebbe averlo fatto con un amante, o non averlo fatto. La sua gestazione fu tenuta nel mistero da Richelieu, che la odiava per tanti motivi, tra l’altro perché faceva figlie femmine. Ma ciò non è indifferente alla storia, la Francia sarebbe bastarda. O no, cioè sì, è la storia che è bastarda: la materia essendo ignota, è la terra nata da un uovo, in Australia, o da una goccia di latte?, tutti siamo figli in realtà di NN - se la storia degli uomini fosse scritta dalle loro donne, ci sarebbe assai poco da studiare, celia Alvaro. La storia universale è quella di Borges, storia di un uomo solo: dell’uomo senza la donna, che ora si rivela e rifiuta i figli. Se il cuore ha una storia, si spiega che la storia sia scienza dell’infelicità umana: gli uomini, e le donne, non si amano. Gli aztechi cavavano il cuore agli uomini vivi per ridare energia al mondo. Temevano l’entropia.
Il movimento si vuole autonomo, sempre la rivoluzione si fa in avanti. E la realtà è sempre anacronistica. È anarchica. Ecco dov’è l’autonomia della classe operaia: c’è e non c’è, figlia anch’essa di padre ignoto. La storia è l’attività attraverso cui si realizza la libertà, il fine assoluto del mondo, si può marciare con Hegel, perché no, e Croce, quel convinto hegeliano: la storia del mondo è la storia della libertà dell’uomo. C’è da crederci. Che altro? Ma la storia è anche rimozione. Memoria selettiva, per conservare la libertà - rimuovere è muoversi, senza rimozione è un mondo di statue, figure senza ombre. Storia è imparare a ridere delle ori-gini. Delle genealogie. Della questione dell’essere. Ma bisogna ricordare che si rimuove, il rifiuto della storia non esime. Il rifiuto di quale storia?
La storia è del passato, non c’è dubbio, lo attesta il filosofo Gentile. Dove si trova di tutto, la storia è una puttana vecchia. Non da buttare: nei cambiamenti la tradizione pesa, e il modo d’essere, più che l’ideologia e i programmi. Ma i giorni trascorsi non tornano, se non nel ricordo. Che è asfittico, spiega Yourcenar: “La vita passata è una foglia secca, screpolata, senza linfa né clorofilla, crivellata di buchi, lacerata e sfrangiata, che, vista in controluce, presenta soltanto lo scheletro delle sue nervature sottili e friabili. Ci vuole un certo sforzo per renderle un aspetto carnoso e verde”. È un classico: “Il campo della storia mi è sempre sembrato simile alla valle di Giosafat, un campo pieno di ossa; ed ecco, erano molto secche”, lo diceva già Hamann – Johann Georg  Hamann, concittadino, amico, beneficiato, ma disistimatore di Kant, autore della massima: “Solo la discesa all’inferno ci apre la via dell’apoteosi”.
Secondo il Burckhardt di Cantimori la minoranza, vinca o perda, fa la storia in ogni tempo. Chateaubriand è apocalittico, forse in colpa per aver scopato tutte le signore: “La storia è il braccio secolare della vendette dei popoli”, dice. Mentre Vattimo sostiene che la storia ricorda solo ciò che ha vinto, ma va bene lo stesso. La fanno gli uomini, si capisce. La storia è lo stampo che l’uomo libero appone al destino, Jünger attesta che le ha viste tutte, la storia autentica non la possono fare che uomini liberi: “È lì che si trova la sostanza della storia, nell’incontro dello uomo con se stesso, cioè con la sua potenza divina”. La storia parte dall’ozio. Per il bisogno di battere la noia. Quando l’ominide si stancò di vivere in branco, saltellare, ruminare, accoppiarsi, come le scimmie oggi, e prese a ululare alla luna, modulando poi l’urlo, scagliare pietre, affilare selci. Da qui la luna nella poesia: è un reperto protostorico. Finché Marx insuperabile, filosofo della storia, ne ha fatto la libertà, e la scienza insieme della libertà. Perfino il giornale di Giolitti la diceva Grande Vergine.
 
Uguaglianza – “
Uno vale uno” in diritto, una bestialità nel resto.

zeulig@antiit.eu


L'elogio della femminilità

Sorprese , cose viste, emozioni della scrittrice, russa emigrata, quarantenne, “somigliante a Katherine Hepburn”, vedova dello scrittore Chodasevič, sposa dal 1936 di un V.N.M., a Parigi durante la Guerra e fino a qualche anno dopo. Tra il 1939 e il 1950. A Longchêne, a due ore da Parigi. Con due pause in Svezia. Anni ridotti “allo stendhaliano lectutre et agriculture” – l’unico piacere possible sotto la Restaurazione, “dopo la caduta d Napoleone”.
Il quaderno si apre col patto Stalin-Hitler. Una conferma per gli emigrati di stare dalla parte giusta, e l’inizio di nuove disgrazie. Prima a opera dei francesi, poi dei tedeschi occupanti, quando la Germania invade l’Unione Sovietica – i russi emigrati vengono censiti, molti reclusi in campi di concentramento, altri arruolati come forza lavoro, in quanto anti-comunisti.
Il diario registra la vita degli emigrati russi nella guerra, le cene tra amici, le serate di poesia, feste e balli, e anche la miseria, dei tanti finiti male per malattia, alcol, miseria. Con commedie e sceneggiate. Per lo più per promuovere raccolte fondi per i letterati poveri, “per attrarre le persone facoltose (soprattutto ebrei generosi e di buon cuore, gli emigrati russi non si interessavano alla letteratura o erano troppo poveri)”.
Ricordi di un mondo com’era. Di Blok, che Berberova studia, Belyi, Gor’kij, che l’ha ospitata a Sorrento nel 1925, Tolstoj, Strindberg. E di Nabokov (da lei stimato – sarà la prima e massima filologa del fenomeno “Lolita” – ma non popolare tra gli emigrati), il Nobel Bunin, Chodasevič, Merežkowskij, Zajcev, Remizov, Rozanov, di passaggio Erenburg, “funzionario sovietico” . Con una peculiare attenzione alla massoneria, alle due massonerie: di destra. Grande Loge, e di sinistra, Grand Orient, intercambiabili, divisioni cioè bonarie, ma non senza rilevare che “la massoneria politica ebbe un ruolo fondamentale” nell’avvio della rivoluzione russa, nel 1917 (e sottolineare: “Non fecero mai parte della massoneria le seguenti persone: Chodasevič,  Merežkowski, Bunin, Remizov, Zajcev, Muratov”).  
Particolari le annotazioni sulla guerra: i bombardamenti, prima tedeschi, subito poi alleati, le notti nei rifugi, gli sfollati. “Quanto più rimbomba l’artiglieria, tanto più cantano gli usignoli, ogni notte…. (nel rifugio) i bambini tremano…le fragole sono mature e tutte nere…”. O le donne e la guerra - questione sempre omessa: che fare? “Tricotez”, consiglia Colette, fate la calza.
Con poco di se stessa, ma impregnante. In Svezia, ospite di due gentildonne nella loro villetta estiva, dalle notti bianche, riesce una notte, sola ai remi, a vincere la fobia dell’acqua che la perseguita da una vita. A Natale del 1941 i bambini di un tagliaboschi spagnolo, un dei profughi della guerra civile che la Francia aveva internati, vanno a casa di Nina e il marito per cantare le canzoncine, due ragazzi e due bambine, Anita di tre anni e Ramona di sei, con tromba e tamburino, “tutti con vestiti puliti e in ordine”, e un groppo di lacrime le sale agli occhi: regala a Ramona un nastro e glielo annoda sulle trecce a coroncina – “era come se in lei convergessero tutta la compassione, la tristezza e la bellezza de mondo”. Conosceva Ramona: “Un mese fa l’incontro con la piccola mi ha liberato – grazie all’ammirazione, alla compassione, alla rassegnazione – da uno dei miei stati d’animo più opprimenti, dalla sensazione di aridità e di gelo”. In poche righe, con discrezione, il cruccio di una vita, la mancata maternità – Ramona, incontrata per caso dal lattaio un mese prima, coi suoi stracci, coi “suoi occhi mansueti”, aveva scatenato una tempesta, “era comparsa per risvegliarmi, per capovolgere le morte stratificazioni dentro di me, per togliere via dall’anima il sangue e la muffa”.
Tardi, nel 1949, brusco il congedo dal marito, l’enigmatico V.N.M.: “L’uomo con cui continuo a vivere (smetto di vivere):\ non è allegro,\ non è buono,\ non è tenero.\ Non riesce a combinare nulla. Ha dimenticato tutto quello che sapeva fare. Non ama nessuno e anche gli altri smettono a poco a poco di amare lui”. Ma con un elogio della femminilità che la fa tanto più grande oggi, nel deserto del viragismo – “se un giorno scriverò di me, dovrò dire di non avere mai sofferto del fatto di essere nata donna”, etc. etc..
Un estratto dalle più ampie memorie, (“Il corsivo è mio”), con un “regesto dei nomi più rilevanti.
Nina Berberova, Il quaderno nero
, Adelphi, pp.175 € 12

domenica 17 marzo 2024

Ombre - 711

Il debito americano è raddoppiato in dieci anni in rapporto al pil, dal 60 al 120 per cento. E cresce di 100 miliardi ogni dieci giorni. Ma di questo non si fa caso – giusto in “controluce”, una noticina di Graziani, della redazione Finanza&Mercati del “Sole 24 Ore”.
 
La quota del debito americano detenuta da investitori esteri si è dimezzata nei dieci anni, al 25-30 per cento del totale. Chi più aveva investito in Usa più ha disinvestito: Cina, Giappone, petromonarchie. Troppa voglia di menare le mani, in America?
 
La “Duilio” abbatte due droni, forse Huthi, forse non ostili, a 2 miglia di distanza, sul Mar Rosso, e la cosa si racconta come una epopea, e  una guerra vinta. È solo fantagiornalismo – ma esulta anche il capo di Stato Maggiore, che pure è un ammiraglio, Cavo Dragone? O ci siamo persi la nozione di cosa è una guerra?
 
Insiste il presidente francese a voler inviare soldati in Ucraina. Come se questo non fosse entrare in guerra, anche senza dichiarazione. Insiste perché sa che non si può fare e non si farà, oppure, anche lui, perché non sa che cosa è – sarebbe – una guerra contro la Russia?
 
Una stelloncino anodino sul “Sole 24 Ore” per Meloni che pure porta al Cairo la commissione di Bruxelles (la presidente Von der Leyen), niente sul “Corriere della sera”. Pregiudizio politico non può essere - non per “Il Sole”, che non è Pd, non dichiarato. Distrazione? Ignoranza? Meloni è riuscita ad avviare una politica mediterranea europea. Nientedimeno.


Sembra niente, ma è una politica che la Ue ha sempre evitato - quando non l’ha rifiutata, negli anni 1980, quando l’Italia con insistenza la proponeva. Nella distrazione, anche allora, della Francia, che aveva, come ha, rapporti variamente stretti col Nord Africa occidentale.
 
È strano che le presidenziali russe non siano contestate sui dati, sull’affluenza prima ancora che sulle percentuali di vittoria di Putin, sul voto all’estero, sul voto online. Mentre si magnifica la resistenza, che è consistita in una molotov buttata da una donna impacciata. Non c’è materia, o le intelligence occidentali non fanno gli straordinari?
 
Il 23 agosto ricorre il 75mo del patto Molotov-Ribbentrop: Stalin si mette con Hitler per prendersi mezza Polonia - grazie ai tank tedeschi (con la Finlandia non ce l’ha fatta). La Russia è fatta in una certa maniera.
 
Roma "riqualifica" (decide di utilizzare) l'Ex Arsenale Pontificio, una grande superficie di pregio sul Tevere. Dopo 154 anni. Il Campidoglio è probabilmente il più grande proprietario immobiliare e fondiario d’Europa, se non del mondo, e un soggetto pubblico fra i più indebitati.
 
Il Congresso Usa non sta a sottilizzare: TikTok è americana? No? come si permette, 200 milioni di followers americani! Cinesi che fanno business in America? E se la prende, al ribasso. Semplice, il mercato funziona cosi.
 
Ma un ragione ci vuole. E allora, siamo puritani: Tik Tok diseduca i figli. Con un padrone americano non li diseduca, come fanno Instagram e Meta, parola di Congresso. Ipocrisia non è, come spesso succede con i puritani, anzi è sfacciataggine.
 
Il Procuratore della Repubblica (il Procuratore Generale di Perugia) che nega di avere fatto quello che ha fatto (un richiamo alla Procura della Repubblica della stessa città) è proprio il magistrato italico: presuntuoso e violento, che vuol essere reputato furbo.
 
Il papa l’ha sparata grossa sull’Ucraina - tanto grossa che forse ha qualche problema. Ma si può capirne il candore – dal “Candido” di Voltaire – a fronte della pervicace ipocrisia del conflitto, che non c’entri la Nato. 


Solo due righe per dire che la Nato è presente e opera in Ucraina –perché lo ha detto un ministro polacco, come fosse un mezza calzetta. Quando la Nato non solo finanzia e arma l’Ucraina, ma la guerra ha provocato. E alimenta anche con soldati: si sa che tuta l’artiglieria è Nato, dai missili e droni ai calcolo trigonometrico del puntamento, che non s’impara leggendo le istruzioni.
 
Blogger (Google) ha sospeso un post sulla povertà in America, un anno e mezzo fa (senza comunicarlo), in automatico, perché “non rispondente ai codici della comunità”. Cioè perché ricorreva, tra virgolette, il termine “bianchi neri”, in uso al Sud alcuni decenni fa per dire i bianchi impoveriti, o poveri. L’inciampo è stato trovato dopo vari tentativi: sostituendo “bianchi neri” con “bianchi a pallini neri” (un altro dei termini in uso) il post è passato. Un politicamente corretto convoluto – si suole dire barocco, ma questo è proprio stupido.
 
La spesa per il gioco d’azzardo in Italia nel 2022 è stata di 136, virgola qualcosa, miliardi. A cui vanno aggiunti 20 miliardi per il gioco illegale o irregolare. Sono i numeri del “Libro Blu” dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Alla faccia del paese povero dell’avvocato Conte.

Ferrari vince contro tutto

Un film forte, su tre temi drammatici. La determinazione dell’imprenditore:  Ferrari ingegnere nasce artigiano e diventa industriale, con mercato mondiale, sia perfezionando il prodotto sia superando continui buchi finanziari. Le bigamie forzate di anni ancora recenti in Italia - il divorzio arriverà a gine 1970: di Ferrari come di De Sica o di Coppi, per stare alle più note – con tensioni violente in entrambe le situazioni. La scarsa o nessuna sicurezza delle corse automobilistiche, sia per i piloti sia per il pubblico: Castellotti muore in circuito, de Portago, in testa alle Mille Miglia, una vittoria che doveva essere il biglietto da visita per la Ferrari sul mercato mondiale del lusso, provocando una strage di bambini per un sasso che squarcia una gomma (la Mille Miglia anticipata nei titoli di testa con materiale d’epoca è epica,  ma quanta insicurezza sulle strade di tutti – “tra galline e bambini” si dice nel film).
Un racconto molto ben sceneggiato e montato. Girato a Modena. Con prove eccezionali di tutti gli attori, specie di Penelope Cruz, un cult, la moglie trascurata di Ferrari, e di Adam Driver, Ferrari. Presentato a Venezia, è stato del tutto trascurato (che occasione persa con Penelope Cruz, ruolo e interpretazione) – forse perché Mann vi ha presieduto una dozzina d’anni fa la giuria?
Michael Mann, Ferrari, Sky Cinema