Cerca nel blog

sabato 10 settembre 2016

Problemi di base europei - 292

spock

Sfrutto meglio l’Europa stando dentro o stando fuori?

O non sarà un atto d’amore, questo va e vieni dell’Inghilterra?

I tedeschi ogni anno sono di meno, sarà un buon segno?

La Germania è sempre più islamica: una Germania islamica sarebbe meglio di una tedesca?

Boom edilizio in vista con gli alloggi sociali per le ragazze madri della poligamia?

Ma non c’è il rischio che gli islamici arrivino infetti, via Grecia o Italia?

Europa, non sarebbe più giusto Oiroland?

Sarebbe il greco più indoeuropeo del tedesco?

Mogherini si nota di più in divisa con l’elmetto oppure con la gonna?

spoc@antiit.eu

Il nazionalismo è infettivo – 2

La politica è un continuum: non si può alimentare il nazionalismo, anzi lo sciovinismo, e poi dire “prendiamoci tutti i siriani che ci servono”. Il cittadino tedesco a questo punto della storia reputa i siriani peggio degli italiani, e dei mediterranei o latini. E vota contro la cancelliera Merkel che vuole un milioni di immigrati all’anno.
L’irritazione e i sarcasmi di Weber e Schaüble contro Renzi e Hollande a Atene riflettono la pochezza della politica tedesca al governo da oltre dieci anni, dei governi Merkel, e in generale dei governi post-Kohl della Germania riunificata, “tedeschi di Germania” direbbe il comico. Governi peraltro a questo punto insostituibili: il virus ha infettato l’elettorato, più destra chiama più destra.
I collaboratori eminenti della cancelliera Merkel mostrano di non aver capito la lezione del Meclemburgo, piccola (il numero di votanti è esiguo) ma significativa: se gli altri sono merda, inaffidabili, criminali, e vivono alle spalle della Germania, beh non li vogliamo. Tutti gli altri, gli arabi, i mussulmani, gli asiatici, gli africani, anzi questi peggio dei latini o mediterranei che siano – che almeno dannod a mangiare e bere a poco prezzo e bene. .
Non c’è sorpresa nel voto tedesco. Che non è di protesta ma è nell’alveo scavato dai governi Merkel – “la colpa è degli altri”. La sorpresa è semmai nella moderazione di Alternative für Deutschland, che ha vinto le elezioni. Che è un partito di destra, ma non nei toni di Weidmann o Schaüble, collaboratori eminenti di Merkel, sconsiderati. Ai quali l’Europa deve la sua povertà, forse senza ritorno - niente di meno.

L’amore triofa a New York made in Italy

La felicità del racconto. In tutte le chiavi: horror, porno, criminale, pìcaro, avventuroso, sociale, e naturalmente sentimentale. Di Fulvio le possiede tutte, pur iscrivendosi in quest’aultima. Con gusto, con misura. Quella del feueilleton, genere ingrato in italiano, che Di Flvio padroneggia – Dumas l’avrebbe invidiato: un racconto breve s’innesta sul precedente, in una sorta di caleidoscopio sempre vivo e in tema, racconti brevi, il lettore non sfugge, è incatenato, viene l’abiezione dopo il romantico, il comico dopo il drammatico, attraente, divertente. Con un po’ di Frank Sinatra, protetto dalla mafia, un po’ di Leone, “C’era una volta l’America”, un po’ “Il silenzio degli innocenti”, e il Bernstein di “West  Side Story” in Fred Astaire dal vivo, mentre la radio esplodeva, e Hollywood provava il sonoro. In parallelo con “Martin Eden”, l’amore tragico dei morti di fame, e “Zanna bianca”. Ma non sono citazioni, non è un romanzo postmoderno: Di Fulvio si spìnge fino a scopiazzare, ma fa tutto roba sua, che alla lettura trascina.
Perfino l’ambientazione “globale”, di maniera, che le scuole di scrittura impongono si vivifica: New York è credibile. Lo storione è del sogno americano che si critica, che in realtà trionfa. Anche la New York intessuta di mafie è anni luce dal tutto amfia che ci opprime – non ci sono giudici per fortuna e solo qualche poliziotto sbandato. Molto più che “una storia d’amore e di gangster” come lì’auore la sintetizza - “ci sono i gangster e c’è l’amore”, può congratuarsi l’impresario che porterà la storia in teatro, ma ci sono moltissime altre cose. .
Luca di Fulvio, La gang dei sogni, Oscar, pp.573 € 11,50

venerdì 9 settembre 2016

Letture - 273

letterautore

Bovary – È maschio, si dice. La controprova è in “Gemma Bovery”, la commediola di Anne Fontaine.. – o del romanzo grafico di Posy Simmonds su cui il film si basa. Dove “Bovery-Bovary” è tutta nella fantasia di lui, il panettiere-narratore-prestigiatore della situazione. Con la sintesi finale nei tre uomini, il marito, l’amante, il narratore-Trickster, allineati dopo il funerale di Emma, che non sanno che dirsi e che pensare, senza più l’“oggetto” vivo della loro romanza, ma testimoni a vario titolo della romanza stessa..
In effetti, “Madame Bovary”, a leggerlo, ha tutta l’aria di una fantasia maschile, e quasi una vendetta – una difesa da una pulsione irreprimibile.
Una delle prime prove di Flaubert, “Un parfum à sentir ou les Baladins”, ne è anche la “prova generale”. C’è nelle città, professa autorevole il sedicenne futuro autore di “Bovary”, “un’atmosfera corrotta e avvelenata che vi stordisce e vi inebria, qualche cosa di pesante e di malsano, come queste grigie nebbie della sera che planano sui tetti. Mazza (la protagonista, n.d.r.) aspirò quest’aria di corruzione a pieni polmoni, la sentì come un profumo e per la prima volta; comprese allora tutto ciò che c’era di largo e d’immenso nel vizio, e di voluttuoso nel crimine”. I biografi dicono “Mazza” il ritratto di Mme Schlésinger, Élisa, una donna dagli amori plurimi di cui Flaubert, da ragazzo e poi a lungo, si sarebbe voluto la grande passione. Élisa-Mazza-Emma, non è nemmeno un gioco per enigmisti. “Un parfum à sentir” è, stringato e crudo, quasi un manifesto, un’anticipazione degli spasmi di Emma Bovary. In forma scopertamente di femmnicidio, per quanto consentaneo: il ragazzo (Flaubert) è geloso, cattivissimo.

Dante – Non sarà anche scandinavo – oltre che islamico, e un po’ tedesco? I viaggi nell’altro mondo si facevano nel Duecento anche in Norvegia, nel “Draumkvedet” e in altre saghe – v. Peter Davidson, “The Idea of North”..

Don Giovanni – E.T.A. Hoffmann ne fa l’essenza del desiderio, che legge come lo spirito della vita, e insieme il suo demone, distruttivo. Ma non nel personaggio eponimo, quello che si intende per “don Giovanni”. Non nell’opera di Da Ponte e Mozart: qui, sostiene, “don Giovanni” è piuttosto donna Anna. Il don Giovanni dell’opera è spompato e inappetente. Anche frivolo, ma senza mai un desiderio , nemmeno di frivolezza. È donna Anna che vive vittima l’amore. Bruciata, dice Hoffmann, che ne fa anche la vera protagonista di Da Ponte e Mozart, dal “fuoco di una sensualità sovrumana”. In una serie di arie l’una iù intensa del’altra: “Crudele”, “Lascia o caro,\ un anno ancora allo sfogo del mio cor”, “Non mi dir bell’idolo mio!”….

U. Eco La sua vena è quella iniziale, scherzosa. L’allegria di “filosofi in libertà”, prima produzione di Eco studioso-scherzoso, come lo ricorda anche Vattimo, suo più giovane compagno di studi. Una raccolta di  rimette e filastrocche facete, farcite di fumetti satirici, firmate con lo pseudonimo joyciano Dedalus, per un volumetto numerato oggi assai prezioso messo assieme dalle edizioni Taylor (Marianne Abbagnano). Ripubblicata un paio di volte in “edizioni non venali”, e poi inclusa nel “Secondo diario minimo”

Fruttero – È scrittore dickensiano. Non abbastanza “diffuso” come il modello, libero come avrebbe voluto, il lavoro in Einaudi l’ha represso, ma lo è al fondo, con un che di nostalgia. È di Dickens “A che punto è la notte”, titolo poi celebre di Fruttero e Lucentini, Il rifacimento di “Edwin Drood”. Il tono apparentemente disinvolto della narrazione.

Gesù ebreo – È un tropo ricorrente tra gli autori ebrei, anche di Israele – da ultimo Amos Oz, “Giuda”. Già nel 1981 Geza Vermes, storico, “Jesus the Jew”, riesumava e sistemava in questo senso la figura del Cristo. Di cui, contrariamente alla tradizione ebraica che, al meglio, lo liquidava come un maestro cinico errante, della disprezzata cultura “greca”, lo ricollocava nell’attivismo carismatico in auge in Galilea nel primo secolo della nostra era. E su questa base gli riconosceva i titoli evangelici di profeta, messia, figlio di Dio, signore. Dandogli a suo modo credibilità, all’interno della storia culturale ebraica.
Oz si rifà invece a un filone letterario che da un secolo circa è (ri)fiorito, ai margini del rifiuto ebraico del Cristo. Chiama il suo protagonista Shmuel Asch, in omaggio allo scrittore Sholem Asch che nel 1939, nel romanzo “Il Nazareno”, aveva tratteggiato Giuda come l’agente del Cristo: Giuda tradisce perché Gesù ne ha bisogno per completare il suo disegno – per diventare l’innominabile Cristo.

Hemingway – Si celebra infine nuovamente il suo lato vitalista, amicone, ipersocievole per i novant’anni del primo romanzo, “Fiesta (Il sole sorge ancora)”, che è sempre stato e resta il suo più proprio. La depressione finale, per impotenza a scrivere e alcool, l’una in dipendenza dall’altro, e il suicidio, il salto saturnino. è quello che emerge nella sua vita spensierata ai trent’ani, quando il padre si suicida.
Romanzo a chiave, di sé e dei suoi amici del “jet set” insabbiati tra Madrid e Pamplona a metà anni 1920, “Il sole sorge ancora” è il suo lato giornalistico, amicone, degli anni in Europa, e poi, subito dopo la guerra, tra Cuba e la Florida. Robusto, anche nella scrittura (professionale), il suo terzo romanzo, tre anni dopo il primo, a trent’anni, “Addio alle armi”, sulla sua guerra mondiale diciottenne sul fronte italiano, che stranamente non si cita nella tanta letteratura per il secolo della Grande Guerra, ma si legge sempre come un capolavoro, e un documento storico.,

Italiano – Il “carattere italiano” Dickens assomiglia in “Giù con la marea” (ora nella raccolta “Guardie e ladri”) ai fiumi di montagna, “che sono come il loro carattere nazionale: ora assai docili, ora sfrenati improvvisamente a rompere gli argini, ora di nuovo in calare”.

letterautore@antiit.eu

La difesa europea parla lingue diverse

Una difesa comune europea in quattro punti annuncia Federica Mogherini a Andrea Bonanni su “Repubblica”. In qualità di Alto Rappresentante per la Politica Estera e la Sicurezza (Pesc) dell’Europa, nonché vice-presidente della Commissione di Bruxelles. L’utilizzo nei casi urgenti dei battlegroups” le unità militari congiunte da tempo addestrate per interventi rapidi. Il ricorso all’art. 44 del Trattato di Roma, che delega a gruppi di Paesi il compito di condurre azioni militari in nome dell’Unione. La creazione a Bruxelles di una sorta di Stato Maggiore europeo. La messa in comune di tutti o parte degli investimenti nazionali per la difesa.
Mogherini si dice fiduciosa. Perché la sicurezza e l’altro fronte aperto per l’Europa, accanto all’economia. E perché la Ue è cerca un rilancio, per la celebrazione fra sei mesi dei sessant’anni del Trattato costitutivo di Roma.
La proposta è un passo avanti. I predecessori di Federica Mogherini, Solanas e la baronessa Ashton, non hanno nemmeno fatto una proposta. Ma non ci sono novità: la difesa comune è sempre tabù. Si dice che non la volesse la Gran Bretagna, che ora è fuori. Ma non la vuole neanche la Francia: il primo progetto di unione europea, dopo il carbone e l’acciaio (Ceca, 1950), fu la difesa (Ced, 1954), ma naufragò per un referendum ostile in Francia..
Lo stato della difesa comune europea è sempre quello di un saggio che questo sito ha redatto una diecina d’anni fa, e riproposto proprio per l’incarico assunto da Mogherini:
Il segno di un’Europa unita ma non troppo, l’Europa è solo quella delle convenienze, immediatamente calcolabili. La difesa sarebbe anchè’esa conveniente, come la libera circolazione (Schengen), ma non abbastanza. E poi parla lingue diverse – a maggior ragione oggi che non c’è più l’Inghilterra.

Camilleri nudo è freddo

Alla qurta, o quinta puntata, si conferma un arcano: molto ha fatto il cinema per Montalbano, la serie di Sironi e Degli Esposti, con la Sicilia. Qui non c’è la Sicilia, e le donne dei brevi ritratti, benché sceneggiate sugli aneddoti sempre amabili di Camilleri, non attaccano.
Neanche sul lato boccaccesco, che Camilleri predilige forse più di Montalbano (ha una serie lunga di romanzi e racconti “francesi” o d costume: “Pensione Eva”, “Il tailleur grigio”, “Il tuttomio”, “L’intermittenza”, “Le vichinghe volanti”…). O è l’ora di cena: restano sullo stomaco anche i nudi.
Emanuele Imbucci, Donne, serie tv, Rai Uno

giovedì 8 settembre 2016

Trump è tentazione bianca, e nera

C’è più della propaganda nei sondaggi a pagamento alle presidenziali americane, oscillanti tra Hillary Clinton e Trump. C’è la componente razziale. Che in America è complessa, anche se di relativa costanza, e non conformista.
Su questa base non ci dovrebbe essere partita, a prima vista. Clinton è popolare presso le minoranze. Ed è forte di un voto bianco che negli anni è diventato sempre più democratico, dal 38 per cento del 1968 al 46 per cento del secondo Clinton, 1996, quello del boom di Borsa, e al 45 per cento del primo Obama, 2008. Ma non è certa di mantenere il voto bianco, teme l’astensione. E non è certa più del voto nero – latino sì ma non nero – che nelle precedenti elezioni è stato a grande maggioranza democratico. E senza il voto nero, non vince.
Da qui a due mesi molto può succedere, ma nasce da qui il galleggiamento di Trump in campagna elettorale, malgrado l’aggressività.
Tradizionalmente, decide la presidenza il voto dei bianchi del Mid-West. Presso i quali nelle primarie Clinton si è mostrata debole. E d’altra parte Sanders, che è sembrato in sintonia con questo ceto medio, e molto appoggiato dai progressisti del Nord, ha per questo mostrato una debolezza del partito Democratico: è stato un fenomeno “bianco”, non appoggiato dai neri, e avversato da molti di essi, quelli impegnati in politica - per una questione non marginale: la riduzione del peso elettorale dei “grandi elettori” che Sanders voleva.
D ‘altra parte, gli afroamericani – americani da più generazioni che i latini – è solo da dopo-Kennedy che votano a maggioranza democratico: dal 1964, il plebiscito per Lyndon Johnson, a Obama.  E ora sono indispensabili. Il partito Democratico non è quello delle classi medie, contrariamente a quanto si dice, ma del ceto bianco medio-alto, per reddito o professionalità, e delle minoranze etniche. Ma anche tra i ricchi una “maggioranza silenziosa” si è ingrossata, che dubita della capacità di tenuta di Hillary Clinton (la non apprezzata esperienza al Dipartimneto di Stato), e del suo multiculturalismo.

L’inverno demografico

L’Europa non cresce, nella demografia come nell’economia. La crescita della popolazione Ue, Gran Bretagna compresa, è stata dello 0,33 per cento l’anno nel primo decennio del millennio, e di una percentuale più che dimezzata, lo 0,15, nel quinquennio successivo. Con un saldo negativo per la Germania, di 2,1 milioni di abitanti nel quindicennio, da 82,8 milioni nel 2000 a 80,7. Positivo per l’Italia, di 3,7 milioni, da 57 milioni a fine 2000 a 60,7 a fine 2015 – ma al censimento del 2011 poco meno di 1,3 milioni di residenti non si sono registrati, immigrati di prima generazione. Doppiamente positivo per la Francia e la Gran Bretagna, da 61 a 67,2 , e da 59 a 64 milioni, rispettivamente, nel quindicennio.
Per la Gran Bretagna ora, con l’uscita dalla Ue, la crescita potrebbe sgonfiarsi: la maggior parte dell’immigrazione recente in Gran Bretagna viene da altri paesi Ue e dagli Usa. Nei vent’anni dopo il 1995 gli immigrati euro-americani si sono quasi quadruplicati, da 900 mila a 3,3 milioni. Quasi tutti in età lavorativa – gli altri sono titolari d’impresa o di rendite, per i quali Londra è un paradiso fiscale. 
In demografia è sempre inverno per l’Europa. Non è gelata per la presenza di una fetta sempre più larga di popolazione immigrata, che è quella che sostiene il (poco) sviluppo demografico. Una quota che era già, a fine 2015, il 6,3 per cento dell’intera popolazione (immigrati di seconda generazione, quindi stabilizzati, nati nei paesi europei di residenza). Con punte dell’8,3 per cento nei sei paesi fondatori dell’Unione Europea più la Gran Bretagna. E del 7,5 per cento nei paesi del Nord Europa (i quattro scandinavi, più l’Irlanda). – al Sud e all’Est Europa la quota scende attorno al 2,5 per cento.
Per l’Italia il contributo demografico dell’immigrazione potrebbe non bastare più ad arrestare il declino demografico: il 2014 ha segnato un record negativo delle nascite dall’unità d’Italia, e il 2015 lo ha peggiorato, con soli 488 mila parti. La tendenza alla contrazione è in atto da un trentennio, è cioè alla seconda generazione, e quindi il trend negativo è da ritenersi consolidato: il declino è una spirale, meno nascite ieri riducono la fertilità oggi.
La Francia ha messo fine a un secolo e mezzo di declino demografico negli anni 1970 con una politica di forte incentivo alla natalità – gli assegni per tre figli sono il corrispondente di una retribuzione “femminile”. Ma anche la Francia ha circa sette milioni di immigrati.
In dettaglio, paese per paese, la presenza della popolazione immigrata pesa a fine 2015 per queste percentuali. Tenendo presente che i primi tre Paesi, e l’Irlanda (in parte anche Londra), registrano molte residenze di comodo ai fini fiscali. E che in Francia, dove l’incidenza della popolazione immigrata è certamente superiore a quella dell’Italia, risulta ridotta per una politica della cittadinanza più generosa che in Italia, specie per chi è nato in Francia:
Lussemburgo  45,9 per cento
Svizzera          24,2
Cipro              17,1
Austria            13,2
Irlanda            11,9
Belgio             11,6
Spagna             9,6
Germania          9,3
Gran Bretagna  8,4
Italia                 8,2
 ……….
Francia             6,6

Ma negli Usa ne arrivano di più

Con una popolazione che è poco più della metà di quella europea, 320 milioni contro 507, e un pil uguale, sui 17 mila miliardi di dollari, gli Stati Uniti continuano a essere le terra d’elezione degli immigrati: 43 milioni ne sono arrivati nei quindici anni del millennio, legali e illegali, a fronte dei 21,1 entrati nella Ue, più o meno forzosamente. Oggi sui 4 milioni ogni anno, dopo aver registrato un calo negli anni della crisi, 2007-2011.
Gli immigrati, di prima e seconda generazione, sono oggi il 13,3 per cento della popolazione Usa. Un’incidenza superiore a quella di qualsiasi paese europeo.
Gli immigrati arrivano negli Usa soprattutto dal Sud America, attraverso la frontiera incontrollabile con il Messico, lunga 3.169 km.. E costituiscono anche negli Usa un problema politico, uno dei dominanti della campagna presidenziali. Ma sono gestiti. Senza morti – non le migliaia che si registrano alla frontiera Sud dell’Europa. E senza gli isterismi: filo spinato, cavalli di frisia, muri, sentinelle armate, ronde.  
È vero che gli Usa hanno una tradizione in materia di accoglienza, essendo stati lo sbocco principale dell’emigrazione europea del secondo Ottocento. E uno sbocco sempre regolato: si poteva sbarcare negli Usa con documenti a posto su navi da straporto certificate. Dal 1836 al 1914, oltre 30 milioni di europei sono emigrati negli Stati Uniti, secondo le statistiche del Census Bureau americano. E almeno 5 milioni dall’Asia – benché dal 1882 una legge impedisse l’ulteriore immigrazione dalla Cina - e dall’Africa.
Questa la graduatoria degli arrivi negli Usa dal 1820 al 2000
Germania         7 milioni
Messico           6
Gran Bretagna  5
Irlanda              5
Italia                 5
Canada             5
Austria-Ungh.    4
Russia               4
Filippine            2
Cina                  1
Svezia               1

Ombre - 332


Apple taglia la corda. Nessuno si lamentava delle cuffie col filo. Ma forse non sappiamo quello che non vogliamo finché la Compagnia non ce lo spiega (“New Yorker”).

Si accredita – da ultimo Stefano Folli, pur accorto notista, su “Repubblica” – a Raggi e Grillo il 67 per cento del voto dei romani. Mentre questo è solo un capolavoro di Berlusconi. Il voto romano di Raggi e Grillo è stato il 35 per cento, e anche questo grazie a Berlusconi, e a D’Alema.

Richiesta di mandare le sue sedute conciliari in streaming, come da strombazzato impegno elettorale, la presidente dell’importante municipio di Monteverde a Roma, la grillina Crescimanno, si rifiuta, e con lei tutti i consiglieri 5 Stelle, non uno escluso.

Internet non piace ai grillini. Silvia Crescimanno posta un “nuovo curriculum”, perché il primo era di due righe. Che ci impiega quattro minuti per aprirsi. Forse per (non) dire che a 34 anni non ha mai lavorato.   

È l’ora dei muri, la Ue non ha fantasia. Piccoli, che non costino – quanto costano è l’unico problema che l’Europa si pone. Londra se n’è andata, ma non traligna: un muro si costruisce a Calais – chissà a che fine - come suo primo atto dell’orgoglioso standing alone, ma in economia.
La Francia glielo fa fare, accetta l’invasione, ma purché Londra se lo paghi.

Roma discute animatamente se cacciare o no la neo sindaca Raggi. Ma il blog di Grillo è imperturbabile: “Il problema dell’Europa è l’euro”, è il suo tema di discussione. Molto trasparente.

Una grande inchiesta a quattro mani del “Corriere della sera” constata desolata “soltanto 14 condanne (e pochi mesi di carcere)” per cinque terremoti. Perché non si condannano gli autori dei terremoti?

Il vice di Raineri che non conferisce con lei, capo di gabinetto, ma sempre e solo con Raggi, la sindaca. Il capo della segreteria Romeo, “un un funzionario di VII livello”, come un insegnante, che si triplica lo stipendio, contro ogni regolamento, e si prende la delega sulle aziende comunali, un mezzo impero. La sindaca che si fa avallare le illegalità da pareri tecnici “amici”.
Stupefacente intervista della giudice milanese Raineri, che doveva fare la vice-Raggi a Roma:
Come non detto.

Racconta Raineri pure di Cantone, il capo dell’Autorità nazionale anti corruzione, Anac. Che all’istante accontenta Raggi, bocciando come da lei richiesto la di lei nomina del capo di gabinetto, l’indigesta Raineri: convoca il consiglio, un consesso di alti giurisperiti, appena arriva la richiesta (un 31 agosto…), e in un paio d’ore redige e trasmette il parere che Raggi voleva.
Come non detto.

E che dire di questa Raggi che si fa bocciare dal giudice Cantone una sua nomina?
Soprattutto non si dice che questi grillini sono di un certo generone romano, quello del sottobosco politico, piccoli impieghi, piccoli appalti, piccole consulenze, i “venditori di polizze” di genitori frustrati, ma ugualmente fascistelli.

L’Aquila, la città terremotata per eccellenza, che ancora piange il terremoto, sindaco in testa, benché sia stata ricostruita in pochi anni al 90 e oltre per cento, ha il record della slot machines, una ogni 83 abitanti. La consolazione può essere facile.

Dopo i milanesi della giunta Raggi, anche il professor Perotti, consulente di palazzo Chigi, abbandona Roma. E al “Correre della sera”, organo cittadino, affida una serie di critiche a Renzi che lo aveva chiamato nella capitale. Tali da consentire a Yoram Gutgeld di fare dieci punti per il governo, tante sono le obiezioni superficiali di Perotti che il consigliere di Renzi può agevolmente ribattere. Un gioco della parti, o Roma si sta emancipando?

Parlando di Mario Monti, Brunetta si dice “costretto a riconoscere la sua perversa intelligenza”. I giornali lo prendono per un elogio. Monti pure.

Le esportazioni cinesi verso gli Usa nei primi sette mesi hanno ammontato a 251 miliardi 738 milioni di dollari, su circa 1.300 miliardi. Il 20 per cento del totale: è un asse.

Fatta la riforma delle pensioni, con l’andata in quiescenza quattro anni più tardi, tutti vogliono ora fare prestiti ai pensionandi ritardati. Tramite lo stesso Inps: chi vuole, può anticipare la pensione di quattro anni, con un mutuo bancario, impegnandosi a rimborsarlo al costo del 10 per cento per venti anni. Sembra di sognare: il 10 per cento, per venti anni…
Si capisce perché Tito Boeri all’Inps.

L’1 settembre Samsung ritira il Galaxy Note 7 - “esplode”. Il 4 settembre Euronics pubblicizza sull’“Espresso” in quattro costose pagine il Galaxy Note 7. Riflessi lenti?

Le dimissioni di Minenna & co., i dirigenti milanesi cooptati dall’amministrazione  grillina a Roma, sono imputate dai grillini ai “poteri forti”. Intendendo: Milano, la finanza, etc,. Ma allora si erano affidati ai “poteri forti”?

Ancora più sorprendente: i grillini a Roma denunciano i poteri forti, e nessuno gliene chiede conto. Nessun giornalista, nessuno degli innumerevoli commentatori: chi sono i poteri forti, che cosa volevano che non hanno avuto?
Anche soltanto una domanda: che cosa è stato deciso, o non è stato deciso, dalla giunta comunale che noi non sappiamo?

Più sorprendente ancora: Minenna & Co. sono stati nominati dalla sindaca Raggi ma sono estranei al suo mondo. A quello personale, del passato para neo fascista, e a quello del blog di Grillo. Quali primarie avevano fatto Minenna & Co. per esser cooptati da Raggi? quale praticantato? che referenze avevano?

Abbandonata dai milanesi, Raggi si è liberata subito a sua volta di una torinese indigesta, il Capo del Personale, Laura Benente. Ha aspettato che Benente andasse il ferie, ad agosto, e l’ha dimessa. Tutti questi “femminicidi” - Benente, Raineri - Raggi perpetra perché vuole assolutamente al suo fianco Salvatore Romeo, l’impiegato comunale di VII livello. Che miele spargerà questo Romeo?

Per caso – la protesta di alcuni ragazzi – si scopre che il carcere minorile di Roma, Casal del Marmo, 50-60 detenuti, è accudito da 83 guardie carcerarie. Che naturalmente “non bastano”. E se si facesse una dota a ogni ragazzo con lo stipendio di una guardia e mezza?
O il carcere è come le opere pubbliche di Keynes, serve a “creare lavoro”?

Il Nord apollineo e nero

Un repertorio di tutte le inagini e sensazioni del Nord in tutte le arti, le culture e le età, di uno studioso scozzese di nascita, cresciuto in Scozia e in Spagna. Un teatro della memoria lieve, benché ossessivo – è come si presenta, “una meditazione sulla solitudine, l’assenza, la quiete”. Di un accademico che è studioso di poesia.
“The Idea of North” è in origine il documentario radiofonico di Glenn Gould, il pianista, che fu anche intellettuale eclettico, con molti interessi, sul nord del Canada, “un posto per un’umile meditazione, un salutare e onnipresente promemoria dei limiti del potere umano sui luoghi”. Che gi scultori olandesi Dalziel e Scullion hanno ripreso in un multiplo, l’ago della bussola incastonato nel perspex, materiale “ghiacciato”, trasparente e duro.
Il Nord oscilla tra il regno paradisiaco degli Iperborei – il dominio di Apollo, dio del sole, della luce - e il deserto ventoso, nero, ghiacciato, dall’antichità romana in poi, fino a  Dante - che Davidson cita con eleganza, in italiano - e a Petrarca. E più dopo la Riforma, quando la scissione irrecuperabile tra Nord e Sud si operò. Ma la terra dei morti è al Nord già nell’“Odissea”, tra i Cimmerii, e poi semrpe. Fino ai Franchi, che esentarono dal tributo Finisterre in Bretagna perché i suoi abitanti dovevano traghettare le anime dei morti. “Ab Aquilone omne malum”, come san Gerloamo traduce Geremia, sarà vero anche per lo scrittore tedesco Adso, ottavo secolo, “Sull’Anticristo”, e quattro secoli dopo per Saxo Gramaticus, lo storico dei Danesi. Gli stessi Vichinghi avranno vedute negative del Nord, e i Finnici. Nel “Kalevala”, epica nazionale finnica, ricorre “la buia terra del Nord\ il posto che si mangia l’uomo\ e affoga il compagno”. La strada all’inferno va al Nord, dice Davisdson a un certo punto. I suicidi venivano seppellettiti sul lato Nord deel chiese, come gli scomunicati e i neonati senza battesimo. Alcune chiese medievali avevano una Porta del Diavolo aperta a Nord.
Sintetizzando la vasta rassegna, “The Idea of North” è quella di un destino più che di una missione, di un posto di meditazione a auterità.  Questo prima della Riforma, che segnò la divisione del “mondo” (cristianità) fino ad allora unito, nella polemica poi costante tra Nord e Sud. Ma, anche dopo, senza iattanza da parte di Davidson – senza la iattanza della Riforma.
Un dettagliato excursus di poeti , scrittori, pittori, compresi Dino Buzzati e Claudio Magris: Auden a lungo, Nabokov, il pittore Eric Ravilious, per il senso remoto e arcano, per le lunghe estati in Ingmar Bergman, Emma Tennant, e “Insomnia” di Skjoldbjaerg (non in Hamsun, Hamsun è assente dalla rassegna), per l’esilio in tanti, da Ovidio a Maldelstam, per i fenomeni soprannaturali nei classici greci e romani, e in Basho, per i fantasmi ovunque – il Nord è comunque la terra senza confini tra morti e vivi. In tutti i Nord, anche del Giappone e della Cina. C’è pure la chiesetta mediterranea, “italiana”, costruita dai prigionieri italiani alle Orcadi nella seconda guerra. E naturalmente il celebrato “passaggio a Nord-Ovest” per raggiungere l’America, rischiosissimo e per questo pregiato, quando più comode rotte a più grate latitudini erano in uso – il Nord come sfida.
Il Nord è anche tesori pregiati. L’ambra, già in Egitto un paio di millenni prima di Cristo, l’ambra baltica, e a Troia (Achile ha capelli “ambrati”). Le pelli nel Rinascimento e dopo: l’ermellino, lo zibellino, la lontra. Con l’avorio di tricheco, e la polvere di unicorno, rimedio universale, specie contro gli avvelenamenti.
Un viaggio senza pregiudizi e senza odi, come ci si aspetta dall’uomo colto. Davidson non è un filogo del passato, è ben attento all’attualità, ma senza il bisogno di gridare o gerarchizzare. Un errore tuttavia l’italinista Davidson lo fa (il solo?): il papa dell’anno 1422, quando a Roma di fecero statue di neve (leoni) era sì Martino V, ma Martino V non era olandese, era il principe Ottone Colonna – fu olandese il breve papa Adriano VI, un secolo più tardi.    
Peter Davidson, The Idea of North, Reaktion Books, pp. 299, ill.. € 11,84

mercoledì 7 settembre 2016

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (300)

Giuseppe Leuzzi

Nord e Sud sono divisi nettamente e per sempre dalla Riforma. Peter Davidson, lo studioso scozzese che ha repertoriato tutte le “idee del Nord” (“The Idea of North”), lo dà per scontato, p. 43.: “La mappa delle relazioni fra Nord e Sud fu catastroficamente ridisegnata con la Riforma”, e dall’una e dall’altra parte “leggende nuovamente fiorirono su posti raramente visitati”.
Ma è un pregiudizio del Nord.

Muti pellegrino
Ogni anno, in settembre, prima di iniziare la nuova stagione di concerti e opere a Chicago e in giro per il mondo, sento il bisogno irrefrenabile di assorbire nuove energie dalle antiche radici delle due regioni da cui provengo: la Campania e la Puglia”, scrive il maestro Riccardo Muti sul “Corriere della sera”, iniziando a raccontare di come si sia trovato, turista fra i tanti una domenica a entrata gratuita, a suonare il pianoforte al museo di Capodimonte: “Molfetta, le grandi Cattedrali romaniche, Castel del Monte, misterioso maniero di Federico II, Napoli, mia città natale, e molti altri luoghi del grande Sud, a turno, ridanno vigore e entusiasmo alla mia attività di «musicista pellegrino”.
È “pellegrina” al Sud anche la musica.
Non c’è questa mancanza delle radici altrove: il Sud, sradicato, ne ha forte la nostalgia.

Il notabile Camilleri
Camilleri è nei lunghissimi selfie che si auto dedica, o in una con Saverio Lodato, una reviviscenza del – e un monumento al - notabilato, che il Sud ama, ma purtroppo non lo salva, e forse lo perde.
Camilleri è un notabile fluente narratore dell’era dei notabili. Meglio se di notabili. Non c’è altro nei suoi ricordi, sparsi per tante sue opere, e addensati in “La linea della palma”. Di quando ancora c’era nei paesi il circolo, di professionisti borghesi dabbene, avvocati, dottori, baroni, occasionalmente geometri ma impresari, nullafacenti, con l’unghia del mignolo lunga - segno del non lavoratore. Residuo e scimmiottamento del circolo dei nobili, con la sola occupazione di giocare a carte, nelle pause degli interminabili racconti e sceneggiati, in chiave sempre “boccaccesca” (buffonesca). I personaggi sono maschere, inalterabili, di loquela macchiettistica, come a un teatrino dopolavoristico, alla buona, tra parenti e sodali riconoscenti..
Le narrazioni del circolo, nella “Targa” e altrove, gli vengono gradevolissime. E gli apprezzamenti, mentre si professa in continuazione comunista, di emeriti fascisti, nonché di molteplici democristiani, intelligenti, colti, timorati di Dio, e se uomini di potere allora a fin di bene. Così era nel vecchio notabilato: galantuomo non mangia galantuomo. E più nel “fascistone”: il notabile nella sua ultima espressione, che non necessariamente doveva essere stato mussoliniano, ma sapeva risolvere tutto “tra amici” (questo è il carattere di cui Sciascia, e anche Camilleri, danno credito alla “vecchia mafia”, con più di una verosimiglianza: il mafioso tende a imitare il notabile, l’uomo di fiducia che non si pone domande). .
Nello stessa impalcatura socio-psicologica Camilleri proietta la sua biografia politica. Da sempre si vuole da sempre comunista, fin da ragazzo e sotto il fascismo - come gli ha rivelato il Vescovo, di cui era assiduo in quanto chierichetto. S’inventa anche una giornata con Vittorini muto, che era andato a trovare all’improvviso a Milano, nel 1948 o all’incirca, il giorno in cui fu scomunicato da Togliatti e dal Pci, che se lo prede sottobraccio e cammina con lui all’impazzata per Milano, come ripassasse quella che sarà “Conversazione in Sicilia”. Ma le prime poesie gliele pubblica Alba De Cespedes su “Mercurio”, e i primi racconti Aldo Garosci su “L’Italia socialista”.
Grande è nella sua memorialistica il numero dei fascistelli. Necessariamente, trattandosi di compagni d’infanzia e di scuola. Ma la sua vasta memorialistica dei democristiani eccellenti comprende anche Scelba e Andreotti. Mentre non ricorre un solo comunista. Benché stia sempre all’erta, all’ultimo messaggio politicamente corretto, cioè del Partito. Anche dopo che il Partito è morto, fino alla demolizione di Ciampi, il miglior presidente della Seconda Repubblica (uno scivolone?). Compromissorio.  La sezione comunista viene aperta a Porto Empedocle sotto l’amministrazione alleata per i buoni uffici del vescovo. Anche sul piano dei rapporti con la cultura dell’isola, da cui a lungo Camilleri si è estraniato: il rapporto non facile con Sciascia diventa una galleria di aneddoti mortali all’Immortale – il conformismo, questo di Camilleri non piaceva a Sciascia.
Notabile è anche il gusto dell’aneddoto. Tutto sempre speciale, per la verve narrativa. Per il taglio dell’aneddoto,  bonario e comunque, in qualche modo, condivisibile  Per i personaggi e le storie, tutto sempre speciale, anche se irrilevante: comico, tragico, commovente, repulsivo.

La mafia insorgenza democratica
Si legge e si vede nei “Beati Paoli”, il romanzone della malavita siciliana del Sette-Ottocento, di un secolo fa: le mafie sono un “prodotto” popolare. A mano a mano che la società si “sfarina” le mafie si allargano, in quell’indistinto popolare o “democratico” molto amato dai Carabinieri e dalla cultura un tempo comunista, che è il loro brodo di coltura.
Oggi separare il crimine è molto difficile - impossibile praticamente. La separazione tra “noi e loro”che fino a non molti decenni fa isolava le mafie e le teneva in soggezione, sull’esempio del Montalbano dei film, non è più attiva, dopo decenni d’incuria da parte dell’apparato repressivo, e quindi di una legittimazione – del bisogno, della povertà, della giustizia sociale. Le mafie sono mezzo imborghesite, si intrufolano, si mettono di traverso, by-passano, attraverso la pubblicistica e lo stesso apparato repressivo, soprattutto occhiuto col malaffare o il disordine “civile”. Mentre una volta tramavano a distanza, e sempre nel timore. Le borghesie hanno perso forza e difesa, avendo perduto l’autostima. I mafiosi erano isolati e tenuti a distanza, sono ora ovunque, nelle squadre di calcio, nella banda, nelle feste, al bar e in pizzeria, e fin nelle processioni. ,

Non è un fatto “di sangue”, di dna. Non è un fatto di bisogno. Non è un progetto politico. Che cos’è la mafia?
È un “fatto” politico, un esito: una deriva della democrazia. Si arriva alla mafia nella discesa della partecipazione popolare al potere, quando alcuni prendono la scorciatoia della violenza. Perché non c’è altrove? Perché altrove “gli altri”, borghesi, nobili, “feudatari”, imprenditori (industriali, commercianti), grandi e piccoli, professionisti, artigiani, lavoratori, non abdicano. Il cosiddetto ceto medio, comunque intermedio, in qualche modo si difende. Obbliga lo Stato a difenderlo. Non sceglie le professioni, lo Stato (Scuola, Interno e Giustizia), l’emigrazione,
La deriva democratica è il caso di Napoli, vistosamente preda del malaffare dopo essere stata “nobilissima”, e più della Sicilia. Più delicato, ma più recente e percorribile, per il cedimento della nascente borghesia, è il caso della Calabria. Un approccio repubblicano meditato e produttivo fu spazzato via cinquant’anni fa da quella che poi sarebbe stata la ‘ndrangheta. In assenza di una qualsiasi salvaguardia dell’apparato repressivo, i figli mollarono tranquillamente il “territorio”, per le professioni, lo Stato (Scuola, Interno, Giustizia) e l’emigrazione. Lasciarono ai nuovi ceti, che di deriva e in deriva approdano alla mafia – si è arrivati ora alla “formazione” o adescamento adolescenziale: si cresce violenti. In parallelo è andato il degrado dei servizi, cemento della comunità: delle professioni (medico, avvocato, tecnico), e dei mestieri (falegname, imbianchino, muratore, idraulico, carpentiere, potatore…). Della qualità e responsabilità. E, peggio, dell’impegno – la cosiddetta testardaggine.
In Sicilia la nobiltà - il cosiddetto feudalesimo – è stata soppiantata dalla classe verghiana della  “roba”, ma nel senso deteriore. Corleone, importante centro vitivinicolo e pecuario, con un assetto sociale diversificato e stabile, dopo gli “infeudamenti” del Seicento del vice-regno di Napoli coi soliti banchieri genovesi, che colpì anche la città (i corleonesi a un certo punto “si riacquistarono”), è stata lasciata nel dopoguerra ai mafiosi (Liggio, Navarra, Riina…), dall’assassinio impunito di Placido Rizzotto in poi, 1948 - già prima del 18 aprile. Castelvetrano, da un paio di decenni feudo di Matteo Messina  Denaro e del suo compare Tonino Vaccarino, ha inventato e produce l’uva Italia, e ospita una “cappella Sistina” - la chiesa di san Domenico ricca di affreschi e di statue, in straordinaria scenografia.
Virgilio Titone, saggista di Castelvetrano, autore di almeno due opere pregevoli in tema, “Considerazioni sulla mafia”, 1957, e “Storia, mafia e costume in Sicilia”, 1964, si arrovella sull’interrogativo. Ma, irato, giunge alla conclusione che la mafia è il sangue marcio. Un’assurdità. Da tutti i punti di vista, anche del polemista.

leuzzi@antiit.eu 

Recessione - 53

Per quattro italiani su dieci la ripresa – debole – dell’economia si è interrotta.
Anche per l’Istat.

Anche la Francia è ferma. E un nugolo di economie europee si muove di uno o due decimali, 0,1-0, 2.

Si riduce la disoccupazione ma per effetto della riduzione della forza lavoro: molti, soprattutto donne, rinunciano a cercare lavoro.

Record tedesco delle partite correnti con l’estero - superiore anche a quello della sterminata Cina: sarà quest’anno di 310 miliardi. Ma non è una buona notizia. Nemmeno per la Germania.
Sono partite correnti le importazioni-esportazioni e i movimenti di capitali. Tutti corrono a mettere soldi in Germania, sottraendoli agli investimenti produttivi, nel loro proprio Paese e nella stessa Germania. Che non ne può beneficiare, se non per la (sempre più esigua) riduzione degli interessi sul debito pubblico. Le esportazioni largamente in eccesso sulle importazioni significa che i tedeschi non spendono: non ne hanno i mezzi, per i bassi salari, o sono indotti a non spendere.  

L’ammodernamento dell’industria italiana, il piano Industry 4.0, già adottato da quasi tutti i governi dei Paesi Ocse, ritarda in Italia,. Doveva essere varato ad agosto ma il governo non  stato un grado di approntarlo.
È il programma d’intervento pubblico per l’ammodernamento tecnologico: robotica, big data, stampa 3 D

La musica è rapinosa

La musica è la passione dominante e il tema preferito dello scrittore, che si cambiò il terzo nome, Wilhelm, in Amadeus in onore di Mozart, e fu agli inizi direttore d’orchestra, dopo aver studiato fuga e contrappunto – dall’organista polacco Podbieski, l’originale del personaggio Abraham Liscot del “Gatto Murr” – ed essersi esibito come bambino prodigio al piano. Qui sono quattro racconti brevi, tratti dalla raccolta “Il maestro di Tartini e altri racconti musicali”, Passigli, 1984.
La musica è, in tutte le sue manifestazioni, quintessenza del divino-diabolico hoffmanniano. Specie nel ritratto del “Signor Gluck”, uno schizzo enigmatico del compositore. E nella rappresentazione del “Don Giovanni”, una sorta di autobiografia in nuce, o un esperimento in autocoscienza: della vita come impulso, desiderio, che soverchia ogni altra passione, e anche le difese più solide, e dell’essenza demoniaca del desiderio, distruttiva.

Curiosa, e quasi contemporanea, la rappresentazione di Nord e Sud, di Germania e Italia, nelr acconto “Il gorgheggio”: della formazione di un remissivo cantante tedesco per mano di due sorelle italiane, cantanti di temperamento.
E.T.A.Hoffmann, Racconti musicali, Il Sole 24 Ore, pp. 79 € 0,50

martedì 6 settembre 2016

Il mondo com'è (275)

astolfo

Arabi-israeliani - Maometo nasce e si consolida come leader spirituale e politico delle tribù arabe in alleanza con le tribù ebree forti a Medina, dei Nadir, i Qoreishi e i Kainukkà.

Giustizia islamica – È il fondamento e il punto interrogativo dell’islam: l’islam è la sharia, la buona giustizia, ma quale, in che forme, dato che la giustizia è un fatto storico?
In questo senso prospettava la questione a Teheran nel 1980 l’ayatollah Behestì, ministro della Giustizia di Khomeini (quattro anni dopo vittima di un attentato dei fedayin del popolo, formazione islamica antikhomeinista, che fece saltare i quattro piani del ministero). Behestì era stato incaricato da Khomeini di adeguare il diritto alla vita contemporanea – il digiuno rituale, il lavoro in pubblico delle donne, la guida dell’auto, il divorzio e i minori, etc.). Behestì, che parlava francese, inglese e tedesco, era stato imam di una moschea per emigrati a Amburgo. .
Bausani, “Islam”, lo conferma, p. 152: “I primi problemi che sorsero nella comunità musulmana al suo espandersi dopo la morte del Profeta”, incredibilmente rapido e vasto, “furono soprattutto di organizzazione giuridica”. E a p. 172: “La vera riforma l’islam avrebbe dovuto averla nella sharia, ma è proprio qui che non l’ebbe mai, ché anche le più estreme sette eretiche, e anche spesso i mistici più arditi, restarono, in sostanza, sempre fedeli (e fedeli, intendo, anche nell’impostazione mentale) a quel modo di ragionare giuridico che ha le sue più lontane origini in costumanze tribali di una primitiva comunità araba”. Behesti rappresentava una cultura non araba, e urbana.
Bausani continua, p. 173: “Nell’unità sostanziale della sharia, unità di norme concrete, come unità di spirito che l’informa, sta il segreto della “uniformità musulmana”. E “l’apparente grande «tolleranza» dell’islam”. Che portava il pio studioso a concludere: “Questo punto andava precisato con la massima chiarezza per meglio comprendere certi aspetti  del modernismo musulmano e, perché no, anche certe sue restrizioni mentali”.

Immigrazione Ue - Un buon quinto della popolazione europea è immigrata, tra prime e seconde generazioni: il 18,8 per cento della popolazione in età lavorativa (15-64 anni) nel 2014. Immigrati da fuori Europa e anche dall’Europa, da un Paese all’altro. Meno della metà di essi ha voluto o potuto avere la cittadinanza, l’8,1 per cento della popolazione. La cittadinanza ristretta, escludendo anche i figli di immigrati nati in Europa, caratterizza il fenomeno in Europa, a differenza degli altri Paesi di forte immigrazione, come gli Usa, il Canada, l’Austrialia, i paesi latinoamericani.
L’incidenza dell’immigrazione è più ampia nel “cuore” dell’Europa, i sei Paesi fondatori della Comunità (Italia, Germania, Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo) più l’Austria e la Gran Bretagna. Quasi uno su quattro, il 23,9 per cento della popolazione, è di origine recente non autoctona.  E di questi sempre meno della metà hanno la cittadinanza - un 4,6 per cento proveniente da altro Paese europeo, il 5,5 da fuori Europa.
L’incidenza dell’immigrazione è di poco inferiore per il Nord Europa (i quattro scandinavi più l’Irlanda): il 22,7 per cento. Anche in questi paesi l’acquisizione della cittadinanza è ristretta, all’8,5 per cento sul totale della popolazione.
L’incidenza degli immigrati sul totale della popolazione scende molto nel Sud Europa (Spagna, Portogallo, Grecia, Malta, Cipro), e nell’ex Europa dell’Est, la ribollente Ungheria compresa: rispettivamente al 16,1 e al 4,7 per cento.  

Negli ultimi quindici anni, gli anni del Millennio, 2000-2015, la popolazione immigrata in Europa, comprensiva dei nati in Europa da genitori immigrati, è cresciuta di 17,1 milioni. Con un’accelerazione, contrariamente alla percezione che se ne ha, nei primi due lustri, quando è cresciuta di 17,7 milioni, mentre nell’ultimo lustro l’incremento si è limitato a 3,4 milioni.
L’incremento di questi ultimi cinque anni si è concentrato però nel “cuore” (v. sopra) dell’Europa, e questo condiziona il percepito: 3,1 milioni (0,6 il Nord Europa, meno 0,3 il Sud Europa, immutato l’Est). Nel primo decennio l’incremento è stato di 11,4 milioni nel “cuore” dell’Europa, di 1,2 al Nord, di ben 5 milioni al Sud, e di 0,1 all’Est.

Occidente – L’“Iconologia” di Cesare Ripa ne dava già una visione riduttiva, nella riedizione del 1619. Le figure che illustrano i punti cardinali assegnano all’Occidente quella di un vecchio insonnolito, le labbra serrate in silenzio, che trascina teste di papavero, sotto l’occhio della stella della sera.  

Roma – Nell’inverno 1422, papa il principe Ottone Colonna, Martino V, si fecero statue di neve -  leoni - per le strade di Roma.

Sionismo antisionista – C’è stato ma è dimenticato. In Israele equivale a tradimento: Amos Oz, “Giuda”, ne fa la figura centrale del romanzo, uno Shaltiel Abrabavanel, che pure era a capo della comunità ebraica a Gerusalemme, ma nel corso della guerra e dopo viene isolato, e si isola, al punto da non riuscire più a parlare con se stesso, per essersi opposto all’indipendenza di Israele a carico degli arabi che Ben Gurion realizzava (Oz usa un doppio registro, del suo Giuda facendo l’artefice, con la denuncia, del cristianesimo, e quindi su Abrabanel proiettando l’ombra del Salvatore). Una posizione che Oz personalmente sostiene, ma rappresenta come bislacca, essendo stata vinta dalla storia.
L’Abrabanel di Oz sarebbe Judah Leon Magnes, l’influente rabbino americano emigrato in Palestina tra le due guerre, morto l’anno dell’indipendenza di Israele. Sionista antisionista fu tra le due guerre lo scrittore russo “Ha’ad Aham”, al secolo Asher Ginzberg, che da Londra, dove era emigrato ai primi del secolo, nel 1922 si trasferì Palestina, sempre da avversario di Herzl e del “focolare” ebraico.
Oggi su quella posizione sono pochi intellettuali: Oz e qualche altro romanziere, il giornalista Gideon Levy, collaboratore di “Internazionale”, il poeta Shabtai.

Ucraina – Il primo Stato (regno) russo fu fondato, è noto, a Kiev, attorno all’850. Lo fondarono avventurieri scandinavi. Rus’ erano per gli slavi del Volga, del Don, del Dniepr, l’attuale Russia-Ucraina-Bielorussia, i vichinghi o normanni.

Wahabismo – L’islam praticato e diffuso dall’Arabia Saudita, dove è fiorito nel secondo Settecento, è una dottrina rigorista e tradizionalista pre-greca, anteriore all’influsso della cultura greca su quella  islamica, dei secoli IX-X. Con la netta proibizione di cose che l’islam non considera proibite, come il caffè e il tabacco, e di ogni culto - compreso, in anni non recenti, quello di Maometto, che li portò a distruggere la sua tomba a Medina. È forte anche nell’India mussulmana. Ma s’identifica bizzarramente con la dinastia saudita. Coi regni modernizzatori dei figli di Ibn Saud, e con i loro lussi stravaganti, compresi il gioco d’azzardo e la finanza.

astolfo@antiit.eu

Pilato vittima, pure lui, degli ebrei

Gesù è “il Nazareno”, “vale a dire il santo”, spiega Anatole France: “Non pare si conoscesse un paese di Nazareth nel primo secolo dell’era cristiana”. Un racconto laico, ma non irridente: sfiora la bestemmia e l’antisemitismo ma si tiene entro limiti.
France si rifà, nota Sciascia, a Tacito, che non dimentica i cristiani - li ricorda nella persecuzione di Nerone – ma non li apprezza e anzi li disprezza. E alla “Guera giudaica” di Flavio Giuseppe – è in Flavio Giuseppe l’errore di dire Pilato “procuratore”, mentre era “prefetto”.
Ponzio Pilato è vecchio, pensionato in Sicilia, dove possiede terre. Ce l’ha con gi ebrei, avendo speso la sua vita attiva a Gersualemme senza migliorare la posizione. Di Gesù il Nazareno non si ricorda. 
Con una nota di Sciascia, che ha voluto anche tradurre il racconto, e lo dice “racconto perfetto (uno dei più perfetti che il genere annoveri)”, ma è la parte migliore del libriccino.
Anatole France, Il procuratore della Giudea

lunedì 5 settembre 2016

Il nazionalismo è infettivo

Merkel cade – potrebbe cadere – per la sola cosa buona che ha fatto, una politica europea per l’immigrazione. Non per la crisi economica, con la quale continua a soffocare l’Europa. Né per la (quasi) guerra alla Russia, per liberare” l’Ucraina consegnandola si suoi maneggioni.
Non avverrà: l’elettore tedesco idealizza il centro, e proprio per questo ama ridimensionare il partito più forte, per timore dell’autoritarismo e della corruzione che vengono con l’inamovibilità. Poi, dopo una “lezione”, riprende il suo sentiero proprio. La storia ormai lunga della Repubblica Federale ne ha fatto un pattern ricorrente: l’elettore ridimensiona il partito più forte, votando per un partito congenere. Un tempo per i liberali, anche per i Verdi. Ora evidentemente per Afd, Alternative für Deutschland. Ma per un periodo, come campanello d’allarme.
Il modello potrebbe adesso non funzionare più? È possibile. Ma la Germania non è l’Italia o la Spagna, o la Grecia: i partiti hanno ancora un funzione presso l’elettorato, non si sono dissolti per i movimenti. È però anche vero che Afd va molto oltre ogni altro voto di protesta in passato.
Una novità sicura c’è, ed è che Afd è l’effetto del nazionalismo. Coltivato dalla democrazia cristiana tedesca in campo economico, con le astiose campagne ormai decennali contro i paesi mediterranei, Italia in testa, si ritorce ora contro il partitone di governo sulla questione immigrati – di cui la Germania ha gran bisogno.

La crisi dei migranti tragicomica

In Europa c’è “questa crisi dei migranti tragicomica”, dice a Mantova lo scrittore albanese Kapllani, emigrato doppio, dapprima in Grecia poi in fuga negli Usa. E così è: una tragedia, con migliaia di morti, montata per neghittosità e false argomentazioni. Basta elencare le politiche, cosiddette, della immigrazione.
Il contrasto dei ricongiungimenti familiari, che sono invece il modo più sicuro e produttivo per stabilizzare l’immigrazione. La discriminazione dell’immigrato stabilizzato, con un reddito sufficiente, i figli a scuola, una residenza: il suo figlio nato in Italia – in Europa - non può essere cittadino, mentre è nell’interesse dell’Italia – dell’Europa - che lo sia. La polemica e le interdizioni contro le donne immigrate che fanno il bagno di mare vestite. Mentre se ne ammette la poligamia, l’escissione, e la patria potestà intesa come forma di schiavismo. L’islam sia avversato come fatto religioso, privato, mentre se ne tollera - a fini antirazzisti, anticolonialisti, antimperialisti certo - la radicalizzazione dal pulpito, a opera di imam brancaleone.

Secondi pensieri - 276

zeulig

Alienazione – Tema nuovamente tabuizzato, dopo l’insistente percorso dal feticismo delle merci di Marx alla reificazione di Lukáks e Benjamin. Per irrilevanza? Non c’è stata probabilmente altra epoca di un così articolato, invasivo, feticismo delle merci come nell’epoca contemporanea: da parte dell’offerta – via google e la tesaurizzazione-cognizione di ogni riposta tendenza personale – e da parte della domanda, che nel possesso sembra esaurire ogni pulsione intellettuale e passionale.

Ateo – “Nemico personale della Provvidenza” lo vuole Stendhal, professando l’ateismo. O non l’uomo della provvidenza, sua propria? La sua battuta celebra in argomento – “quello che scusa Dio è il fato che non esiste” – è, dopo il gioco di parole, irriflesso, una nostalgia, irriflessa, e un senso di privazione. Come del padre naturale, che “non ha avuto”, benché presente in casa.

Cinema – L’operatore Walter Benjamin vuole come un chirurgo, che “taglia nel corpo del paziente”. A differenza del pittore, che invece è un mago, il pranoterapeuta che cura “imponendo le mani”. Le immagini nelle due tecniche sono ricavate in modo diverso: “copiate” dalla pittura, modellate sul naturale, ricostituite dalla fotografia e dal cinema.

Complotto – È caratteristicamente un argine e anzi un’arma contro la libertà. Ed è un mito moderno, coetaneo dell’Illuminismo, quello storico. Ne è un anticorpo? Un esito?
Si può dire lo spirito della contemporaneità, più della guerra civile - della guerra di tutti contro tutti piuttosto che della convivenza e l’unitarietà - che ne è un esito.
Guénon lo riporta al Cinquecento, alla rottura dell’unità (cristiana) con l’insorgere della miscredenza, e con la stessa Riforma, da cui sgorgarono le nuove sette, gli Illuminati etc. Ma il complotto, l’idea storica del complotto, gesuitico, massone, rivoluzionario (giacobino), controrivoluzionario, e pure quello sionista o semita, datano dal Settecento, dall’Illuminismo storico.
Come se l’Illuminismo avesse liberato le coscienze, che però non sanno pensare liberamente, e ripiegano verso un terreno-recinto conosciuto, ancorché aborrito. Dove si sottomettono – il complotto è riflessivo, interiore più che esteriore, anche se si configura dati esterni e “reali” – con buona giustificazione.

Coscienza – È un problema, sempre lo stesso, da quando si è formata: come può la mente immateriale influenzare i corpi materiali, e viceversa?

Fede – Può essere nel nulla? Quella luterana (agostiniana, in parte) è che l’insignificanza diventa la fonte della salvezza. E la fede si rappresenta piuttosto come disperanza – l’esito che W.Benjamin intuisce quando con Weber lega la Riforma al capitalismo, e il capitalismo caratterizza per l’“espulsione della disperanza” – “il capitalismo è una religione senza precedenti che offre non la riforma dell’esistenza ma la sua completa distruzione”.

Inferno – È assurda l’eternità della pena – così come del premio paradisiaco. Cioè inconcepibile, se non per assurdo logico, e accettata soltanto come espressione retorica, una forma di superlativo.
Assurda anche l’immutabilità, che è invece la vera morte.

Origine – È mobile. Non è un punto fisso a partire dal quale qualcosa ha inizio, ma un punto di riferimento, come un prisma multi riflettente – uno ghiommero, una sorgente. L’origine è le origini.

Relativismo – È irragionevole. È come dice Benedetto XVI: “Il relativismo generalizzato (cognitivo, classico, etc.) impedisce di definire un qualsiasi insieme di criteri su basi razionali”.

Sostantivazione – Invalsa con la filosofia tedesca, soprattutto quella dell’infinito verbale, per la semplice maiuscola del semplice verbo, per di più con l’uso sassone delle terminazioni indicative (coniugazione), è indebita: non definisce, e quindi non indica, ma “indefinisce”.
I grammatici la considerano un uso soprattutto italiano. Ma in un quadro di riferimento esclusivamente romanzo – lo spagnolo la usa anch’esso, ma in forme e quantità ridotte. Nel ceppo germanico, l’inglese vi fa raramente ricorso, e solo alla forma aggettivale. Neanche in tedesco la forma verbale è in uso, non nella letteratura né nella colloquialità, ma sì nella prosa filosofica.

Teologia – All’opposto di Carl Schmitt, della politica che non può essere che teologia (“con il teologico scompare il morale, e con esso l’idea politica, e ogni decisione morale e politica viene paralizzata nell’aldiquà paradisiaco di una vita immediata e naturale, e di una corporeità libera da problemi”), Benjamin le dà nelle “Tesi sulla filosofia della storia” il ruolo dello schermo, del cache-sex, dell’illusorio: è il ripiano degli scacchi dell’automata del barone von Kempelen, che vinceva agli scacchi, sotto il quale un nano scacchista muoveva le pedine – il nano scacchista è il materialismo storico, che assolda i servizi della teologia.
Tra i due opposti, Schmitt e Benjamin corre una diversa concezione politica, ma anche di cultura e tradizioni. L’astuzia della storia è di non avere astuzia – non sempre, spesso, di tanto in tanto.

Traduzione – È nelle lettere e nei linguaggi l’analogo del meticciato. Sembra che lo escluda, si traduce per mantenere le differenze, rimarcarle. In realtà è come dice Benjamin nel “Compito del traduttore”, che c’è interpenetrazione tra le lingue che si traducono. Nel senso dello stesso Benjamin: nella traduzione di Baudelaire in tedesco, la lingua tedesca stessa cambia per l’entrata nel suo alveo della poesia francese. Effetto tenue, ma non unico. Più consistente è la formazione linguistica e terminologica. Nella forma dell’interpenetrazione, reciproca.

Verità - L’opinione certamente è più vera: ha un autore dichiarato, e si argomenta.
Vuol essere apodittica, e quindi come? Extrasensoriale? Astorica? Oggettiva (insoggettiva)? 

zeulig@antiit.eu

Walter Benjamin a fumetti

Non sembra possibile “fissare” Walter Benjamin, pensatore fluido (oggi liquido?), ma la mini guida ci riesce: ne documenta le passioni e ne sintetiza – abbastanza – la riflessione. Sulla produzione artistica. La teologia politica, pre-schmittiana. La traduzione. La “metacritica” linguistica. L’interpretazione. Il fetisicismo delle merci. L’aura (“il fenomeno unico della distanza, per quanto un oggetto possa essere vicino”). Gli incontri: con Simmel, che lo introduce all’esperienza urbana contemporanea, con Wöllflin, che rifiuta, con Alois Riegl, George, Kafka, Baudelaire, Grandville, Brecht. Le amicizie, con Adorno, con Brecht. I debiti con Brecht: l’Ermattungstaktik e la Jetztzeit: la “tattica dell’attrito”, in realtà della “porosità” (ispirata da Napoli), per scivolare come l’acqua nel “millennio oscuro”, per flessibilità e anonimità, e il tempo del “qui e ora”, del presente che passa, instancabilmente. I viaggi, le Baleari, Parigi naturalmente, per l’epopea dei “passages”, le gallerie commerciali, e Napoli, che gli suggerisce la “porosità”, spaziale e temporale, degli ambienti, le cose, le persone.
Notevole – non ci si era pensato – che Heidegger non lo menzioni mai, benché lo abbia probabilmente incontrato, già all’università a Friburgo, nel 1922.
Howard Caygill-Alex Coles-Andrzej  Klimowski, Introducing Walter Benjamin, A Graphic Guide, Icon Books, pp. 177 € 7

domenica 4 settembre 2016

Il Sansone Berlusconi - 21

A tre mesi, quasi, dal terremoto ancora rovine: non ci sono più berlusconiani a Roma, Parisi li cerca e non li trova. Nemmeno come fiduciari, futuri onorevoli e forse ministri. Sono disanimati sotto le macerie. O allora sono disorientati. Scoraggiati. Irritati. Questo soprattutto: dopo ave fatto trionfare la sindaca Raggi sono lì che si mordono le mani, avviliti. Con un dubbio: e se l’uomo dei miracoli fosse un ciarlatano?
Nell’avvilimento emerge perfino la teoria dell’uomo cattivo. Non una novità, e anzi uno dei pilastri dell’antiberlusconismo di professione, ma sì nella casa della fede: la teoria che Berlusconi non ha creato l’area di centro-destra, liberale, pragmatica, aideolgica, ma se n’è appropriato e l’ha svilita. Senza mai concludere nulla. Nulla più di un sospetto, ma suffragato dal fatto stesso che ora i professionisti dell’antiberlusconismo tacciono.
Roma non si riprende dalla balzana campagna elettorale di Berlusconi, tutta in favore di Raggi: troppa stupidità, si dicono i berlusconiani, per essere un errore. Non tenere conto dei sondaggi, chiarissimi. Dividere il proprio voto in tre al primo turno, per mandare al ballottaggio i due concorrenti, Pd e 5 Stelle. E al ballottaggio far vincere, anzi stravincere, i 5 Stelle. Facendo diventare i 5 Stelle il secondo partito d’Italia, benché in perdita di consensi.
È troppo, in effetti, vista dall’esterno: non si può fare la somma di tutti gli errori di Berlusconi nella campagna elettorale. Troppi per non corrispondere a una volontà di affondare tutti – i suoi? L’uomo del resto tira i remi in barca: vende Premium, vende il Milan, e magari qualcos’altro che ancora non sappiano (Mediaset?).
A Roma questo si vede in special modo. A Milano Parisi avrebbe potuto vincere, anche agevolmente, e alla fine ha fatto un onorevole quasi pari. Ma a Roma si è manifestata una volontà di disfatta, e non è stato il blackout di un momento.
L’appello al voto “contro Renzi” è stato una castrazione senza anestetico. Ora Berlusconi ha Grillo sopra di lui. E forse nemmeno questo gli dispiace.
Roma ha così a presidenti di circoscrizione ragazze ventenni, che hanno votato per la prima volta. Un affronto indigeribile, anche per i più devoti. E una sindacatura debole, che però non può avere un’opposizione berlusconiana. Tutte, le ragazzette e la sindaca, imposte dalle truppe sparse di Berlusconi. Che voleva probabilmente assomigliare a Sansone, anche per i capelli, e alla fine c’è riuscito: ha fatto “morire” tutti i filistei, suoi devoti.
Si può fare la storia di Berlusconi in vari modi. Uno, quello del successo politico, è semplice: ha avuto successo quando ha fatto il bambino de “il re è nudo” – senza essere un bambino. Si dice: un imprenditore come un altro. Questo no. Chi ha tentato la via facile, a suo parere, della politica, Montezemolo, Della Valle, ha fallito con vergogna: di giudizio corto oltre che sprovveduto  – Montezemolo malgrado una campagna di sostegno gratuita del “Corriere della sera”, della “Stampa” e del “Sole 24 Ore”. Cè di peggio. Ma questo non lo assolve.