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sabato 15 ottobre 2016

Sade divertente non piace

La vena leggera del marchese, prima della prigione e l’ossessione, della quale è eponimo. Storie anche salaci, ma briose, e più divertite che cattive. La raccolta, qui prefata da Lemaire, è stata messa assieme tra le due guerre da Maurice Heine, uno dei tre scopritori di Sade, con Apolinaire e Gilbert Lély.
Le “Storielle” riprendono il titolo di Tallemant des Réaux, i “Racconti e favolelli” sarebbero opera di un trovatore non più prude del Settecento. Le prime “Storielle” sono copiate da Mme du Noyer, l’ugonotta impenitente che frequentò anche la Provenza cattolicissima e il castello dei Sade, tra Sei e Settecento, ripresa dalle sue “Lettres historiques et galantes”. Altri sono rifacimenti dei racconti in versi alla moda ancora nel primo Settecento, di cui era specialista Jean-Baptiste Grécourt. È l’apprendistato di Sade: la formazione letteraria si faceva allora copiando. Sade ne fece in abbondanza, anche di Voltaire, Freret e D’Holbach.
Un vena boccaccesca. Heine ha riprodotto una serie di quaderni bene ordinati del lascito, nei quali ha trovato il progetto di una raccolta di racconti da intitolarsi “Il Boccaccio francese”. Si pensava i Sade legati, via Laura, a Petrarca, e invece il legame è con Boccaccio. A meno che non abbia ragione Malaparte, e Boccaccio, quello del “Decameron”, non l’accigliato filologo, abbia qualche nascosta radice francese… Un Sade simpatico, che però non piace, e va al macero.
Sade, marchese di, Storielle, racconti e fabliaux, Lindau, remainders, pp. 260 € 10,50

Problemi di base diplomatici - 296

spock

L’assedio alla Russia costò caro a Hitler, Obama ha un’arma migliore?

Gentiloni, per caso?

Gentiloni Napoleoni?

Renzi porterà martedì a Obama lo scalpo di Putin? Ecco dov’era finito

Il Parlamento è già abolito, in Italia?

È meglio Putin o meglio Erdogan, che paghiamo profumatamente – con Al Sisi? Gentiloni, ancora un sforzo

Quando i russi occuparono Berlino, Hitler non li calcolò e continuò la caccia agli ebrei. È l’egemonia che acceca?

E così ora la caccia al russo?

Il russo è l’orso, ma la pelliccia non è proibita?

E la caccia all’uomo?

spock@antiit.eu

venerdì 14 ottobre 2016

Il mondo com'è (279)

astolfo

Bible Belt – La “cintura” o “fascia” - l’area - “della Bibbia”, il Sud-Est degli Usa, fu individuata un secolo fa, nel 1919, da Henry Louis Mencken, in senso negativo, come un’area di ignoranti fanatici. La stessa Frances O’Connor, che visse in Georgia una parte degli anni di Mencken, e fu molto religiosa, racconta inorridita di una nonna che lesse la Bibbia trentasette volte stando in ginocchio, senza memorizzarla, se non per frasi fatte, e senza proporsi di capire .
Mencken, studioso del “linguaggio americano”, dell’uso dell’Inglese negli Usa, detto per questo “il saggio di Baltimora”, fu polemista in voga negli Usa prima della Guerra: bellicista  ma isolazionista, sia nella prima che nella seconda guerra, antirooseveltiano, e in chiave nietzscheana – fu l’araldo di Nietzsche negli Usa, del Nietzsche allora conosciuto, “La volontà di potenza” -  irreligioso e antidemocratico, e anche razzista.

Catalogna – Si avvia al distacco dalla Spagna, fra sei mesi, malgrado l’esito negativo del referendum,  tra un crescente scetticismo. Il particolarismo può essere asfittico. Ed è quello che temono ora i catalani, in maggioranza secondo i sondaggi: di essere preda di un gruppo di demagoghi che aprono un futuro d’incertezze, più che di resistenza e di verità, e anche di prosperità accresciuta. Lo scrittore Falcones ne è atterrito: “Ma lo sa che qui hanno perfino affermato che se fossimo indipendenti ci sarebbero meno tumori?”, spiega a Edoardo Vigna che lo intervista per “Sette”. Con meno argomenti,  ma lo scetticismo è ora più diffuso, secondo i sondaggi, rispetto al referendum di un anno fa, che rigettò la separazione dalla Spagna.

5 Stelle . Il movimento “può essere l’erede dei fascisti di Mjussolini?”, titola il settimanale politico americano “The Nation”. A sorpresa, e col punto interrogativo: la corrispondente da Roma, Frederika Randall, parte dalla conquista elettorale della capitale chiedendosi: “Il Movimento 5 Stelle ha infine preso il palazzo d’Inverno… o dovremmo dire che ha fatto la sua marcia su Roma”. Precisa che dare del fascista in Italia è un vezzo comune. Ma procede Ma con una serie concludente di argomenti.
Il movimento è nato nel 2007, quando Grillo ha varato le maniofestazioni del “Vaffanculo” - in italiano nel testo, il termine è sdoganato. Grillo lo ha lanciato e lo amministra con Casaleggio, “all’insegna di un dispotismo illuminato e della democrazia diretta”. Casaleggio era “un eccentrico, patito di fantascienza e guru del web-marketing”. Grillo promette molto a tutti ma non ha un programma economico. In politica estera è unicamente anti-euro e anti-Ue, apparentato a Strasburgo col movimento xenofobo britannico Ukip. Trump e Berlusconi, ricconi voltati in politica, sono lontani? No, Casaleggio è stato “un affarista aspirante imprenditore “, e ha locupletato il blog di Grillo con la pubblicità. Grillo è “un ricco showman”, che ne condivide l’approccio: anti-tasse e anti-regole, e in favore del capitale. Il disprezzo della politica non è di “questa” politica ma delle regole politiche. La “democrazia diretta” col voto online sul blog di Grillo ha aperto più di un varco alle manipolazioni. In conclusione, “se c’è un partito che somiglia a quello di Mussolini col sostegno dei reduci di guerra nel 1919-1920 è il Movimento 5 Stelle”. Identico il tema messianico del “riscatto dei traditi”, dalla corruzione oggi come dai pescicani allora e dai profittatori di guerra. Identica la mescola di messaggi “presi in fretta in prestito da destra e da sinistra” (qui Randall ricorda che Mussolini veniva dal socialismo). E lo stesso piglio dittatoriale  per tenere assieme un movimento disordinato”. Con il mussoliniano, si può aggiungere, “Vincere, e vinceremo”.
Il caso italiano è messo in prospettiva col discredito della politica  ovunque in Europa, in Francia, Gran Bretagna, Belgio, Spagna. Da ultimo una frecciata non gratuita: “L’Italia? Grillo in realtà non se ne cura. Sembra credere che l’Italia possa vivere nell’autarchia”.
“The Nation”, di orientamento dichiarato “progressista, social liberale”, ha 150 anni di vita, il settimanale politico più longevo.

Islam – Pratica la dissimulazione e non apprezza la debolezza – rispetta la forza. È tutto qui lo “scontro di civiltà”, o la difficoltà crescente all’integrazione, anche dopo due generazioni. Che tanto più cresce quanto più numerosa si fa la comunità mussulmana in Europa: crescendo di numero, più forte si fa il vecchio sentimento di sfida. Le incomprensioni nascono da qui. Le chiusure europee sono del resto limitate agli immigrati islamici, non al colore della pelle o ad altri diversità geo-culturali: per il revanscismo serpeggiante in quella comunità (o bisognerebbe dire confessione?).

Occidente – È in crisi in parallelo con la desovietizzazione: è entrato in crisi nel momento in cui il comunismo mondiale si è dissolto: si è dissolto pure l’Occidente, che si era conformato alla lotta al comunismo. Quello dei valori e del riarmo morale, nella cosiddetta “cultura di massa del consenso” Fatta di prosperità economica distribuita, e valori quasi religiosi di libertà. Dichiarata negli Stati Uniti, che nel 1956 adottarono il motto “In God we trust”, la fede in Dio, al posto del latino “E pluribus unum”, il crogiolo, che aveva accompagnato l’indipendenza nel secondo Settecento.  “In God we trust”, che era apparso sulle monete al tempo della guerra civile, dopo la legge del 1956 fu estesa ai biglietti del dollaro. Due anni prima era stata aggiunta la clausola “under God” alla formula del giuramento di fedeltà alla bandiera nazionale: “Giuro fedeltà alla bandiera degli Stati Uniti d’America e alla repubblica che essa rappresenta, una nazione sotto Dio, indivisibilmente, con libertà e giustizia per tutti”. Con il connesso senso di superiorità, che poi si è dileguato.
Ma già negli anni 1980, del reaganismo, delle crepe si erano aperte nel fondamento etico, nell’ideologia dell’arricchimento libero e facile, degli yuppies, come si chiamavano gli arrivisti in quegli anni, e dei consumi eccessivi, esibizionisti

Patrie – Vanno a restringersi, tanto più quanto vogliono essere autentiche, univoche cioè, e organizzate in un destino unico. È il principio del tribalismo, che sottintende al concetto di patria: Modernamente vincolato alla comunanza di lingua e di storia, ma al fondo sempre razziale, biologico. Il movimento verso le piccole patrie cresce nell’ex Terzo mondo, in Libia, in Iraq, in Siria, perfino in Libano, che  invece è nato programmaticamente all’insegna della convivenza, per un’esperienza unitaria recente e forse superficiale. E avviene nella sofisticata Europa a esaurimento della dialettica e l’apologia della Grande Patria, collante anche di realtà li linguistiche e\o etniche diverse. In Gran Bretagna, Spagna, Belgio, in Italia anche se non si dice.
La Germania fa eccezione: nel mondo tedesco il movimento è ancora centripeto. La Grande Germania è fuori agenda per sensibilità politica, dopo le guerre del Novecento, ma approssima probabilmente l’unanimità, fra le varie nazioni tedescofone.   

Velo – Se ne fa una questione di moda e accessori, mentre è una questione etica e di diritto. Chiaramente il “Corano” considera la donna inferiore – bisognosa di aiuto, ma appunto perché inferiore. Il velo non è una maniera di essere, magari di modestia femminile, o di ritrosia, o di riguardo, come è stato in varie epoche della civiltà e in varie popolazioni, di ogni religione. Il velo islamico è imposto. Per una questione di privativa: la donna deve mostrarsi solo al marito e al padre – neanche al medico. Il velo islamico non è una moda, e non è una scelta. E come imposizione è privativo, asservisce.

astolfo@antiit.eu

Dopoguerra duro per l’Italia, anche per Malaparte

Un diario di Malaparte a Parigi dopo la guerra, nel 1947-1948, non ritoccato. Scritto in francese, con alcune parti in italiano, qui tradotte da Gabrielle Cabrini. Pubblicato postumo nel 1967, e ancora inedito in Italia. “È il ritorno a Parigi dopo quattordici anni di assenza, è la scoperta di una nuova Francia”, è lo schizzo di una prefazione.
E subito è Malaparte. In poche righe vede e fa vedere la Grosse Bertha, il supercannone tedesco, all’opera su Parigi nel giugno del 1918, dove a venti anni, volontario in Francia, “nei boschi dell’Argonne e nelle trincee di Champagne”, è in licenza premio. E chi, se non lui, incontra ora di sera a Parigi, in cerca di un taxi introvabile, madame Dorange con la sua carrozza a cavalli, famosa modella di un famoso ritratto di Marie Laurencin quarant’anni prima, che lo porta a destinazione conversando amabilmente con lui a cassetta.  Lo stesso percorso che nel 1915, volontario a diciassette anni, aveva fatto a piedi guidato da “un giovanissimo ufficiale inglese”. Che si rivela il principe di Galles, il futuro duca di Windsor…
Il favoloso dell’incredibile. Nel genere gossip, con namedropping, irresistibile. Ma sempre di acuto intuito per la storia e la società. Subito dopo il duca, fa sorgere, a pranzo dall’ambasciatore Quaroni, che vi è stato confinato durante la guerra, l’Afghanistan, dove non c’è mai stato, ma è ben più vivo delle fantacronache che ci ingombrano da quindici ormai giornalmente. O più in là l’Ucraina in poche righe, che invece conosce bene, il Far West orientale, questo immenso impero polacco perduto, questa terra vaga al di là dl Dniepr, che dà della grandzza una grandezza patetica”.
Profetico, come gli piaceva, il giusto. La prefigurazione del Sessantotto ha in Sartre, “un brav’uomo”, il cui impegno è mimare la classe operaia, con l’abbigliamento malconcio, la barba incolta, la parlata asintattica – senza peraltro colpa del “sartrismo della gioventù”: “Mi sembra eccessivo scomodare Kierkegaard, Jaspers, Heidegger, il concetto d’angoscia, d’esistenza, per giustificare tutta una generazione di declassati, che non è pederasta, ma scimmiotta la pederastia, che non è povera, ma scimmiotta la povertà, che non è bohème, ma scimmiotta la bohème, che non prova alcuna angoscia ma scimmiotta l’angoscia, che ha paura del comunismo, ma affetta una certa simpatia per il comunismo, che è contro il comunismo, ma proclama che non vuole essere anticomunista a priori”. Un mimetismo non opportunista, effetto del “bisogno inconscio di somigliare all’elemento base della società moderna: la massa”.
Più sconvolgente la premonizione del ciclo politico che viviamo, all’insegna del grilismo: “Anche gli operai, un giorno, saranno padroneggiati dai piccolo borghesi, Io so quello che ci aspetta”. Anche senza i social. Saranno sopraffatti dalla folla dei piccolo borghesi, “sporca, stanca, vestita pretenziosamente, frettolosa, egoista, vendicativa, cattiva, fredda, inattaccabile”: è “la stessa folla che pretende di costruire una società nuova”. Nell’attesa, c’è la nuova vecchia classe politica, in Francia come in Italia, bolsa, incapace, ipocrita – settaria, ingiusta.
Ma più di tutto lo interessano le arti, e le cose dello spirito. Il figurativismo del Cristo in Francia, invasivo. Il parallelo, ennesimo ma convincente, tra il popolare Corneille (ragione) e il poco amato Racine (sentimento). Il sacro dell’antichità legato alla feracità, delle messi, dell’ulivo, della vigna. E perfino l’antifascismo del fascista Pirandello.

Malaparte è critico culturale colto, poliglotta, cosmopolita, informato, ottimo comparatista. Lungamente qui argomenta, sa argomentare oltre che rappresentarle vivacemente, le insopportabili generalizzazioni dei caratteri nazionali. Un “Maledetti (o Benedetti) Francesi”, la prova generale delle cronachette umorali che poi farà dei Toscani, e degli Italiani. Altro tema insorpassato è l’equivoco in cui l’Europa ha posto da fine ‘800 la cultura tedesca, fingendo di conoscerla, mentre la banalizza. Specie in Francia. Con l’esempio di Valéry che prepara un corso su Goethe - dice a Croce, che ne sapeva anche le virgole - e quindi comincerà a leggerlo... C’è già Jünger, “Giardini e strade”, la “drôle de guerre” del 1940 vista da un tedesco che non crede a quello che vede, la cui lettura consiglia ai francesi.  
Con pezzi a ripetizione d’antologia. Place de la Concorde, che si materializza in quattro pagine di delirio malapartiano. Mauriac, algido e acido. Le farfalle nere dei ghiacciai alpini, della Marmolada. Varie letture. Varie ministorie, fantasie alla scrivania: “Storia del granchio”, “Storia della capinera” (“Una capinera molto snob…”). Il presidente Doumergue che gli spiega nel 1923, all’Eliseo, che può offrigl solo un vernut: “L’etichetta repubblicana mi obbliga alla volgarità”, i presidenti eletti non sono sovrani, “siamo personaggi molto pallidi… rappresentiamo la gente minuta, la storia ci sfugge”.
Dopo la celebrazione di Parigi ritrovata, il diario fa in apertura un passo indietro: Malaparte deve vantare ripetutamente i suoi meriti di antifascista. E non per l’esibizionismo caratteriale. Arrestato undici volte in vent’anni, combattente con gli Alleati, eccetera. Nonché le origini umili – che non sono vere, ma così ritiene di doversele rappresentare: “Vissuto in famiglia operaia fino ai quindici anni, con educazione proletaria”. Questo è il punto forse più interessante. È ritornato a Parigi, la sua innamorata, malvisto dal governo francese, come un collaborazionista. Un’Italia ne viene fuori isolata nel dopoguerra e in sospetto, anche l’antifascismo. E non solo nell’altezzosa Francia.

Dice anche verità scomode per l’epoca. Accomodante, e forse opportunista, ma sempre controcorrente. Come questa, in italiano: “Quando, nel 1946, Paul Éluard”, il poeta comunista, “venne in Italia e parlando in publico disse”, in francese: “«La poesia al servizio della verità», il pubblico si mise a ridere; era quello che per più di vent’anni avevamo sentito dalla bocca di Mussolini”. Si trascura troppo la storia vera.
Curzio Malaparte, Journal d’un étranger à Paris, Folio, pp. 353 € 8,70

giovedì 13 ottobre 2016

Ombre - 337

Guerra atomica al “Corriere della sera”. Da tre giorni ormai: saremo tutti morti e non lo sappiamo? L’ha scatenta Putin, con missili e altra robaccia. È il nuovo corso Cairo? Del genere “famolo strano”.

Oggi, al terzo giorno della sua guerra atomica, il “Corriere della sera” cerca con Pino Sarcina il conforto degli Stati Uniti. Ma lì sul Potomac fanno finta di nulla: non se ne sono accorti? Questa America è inaffidabile.

Singolare raduno organizzato da D’Alema contro Renzi con Pomicino, Matteoli, Gasparri, Fini, Ingroia, Rodotà, tutti i ferri vecchi del Msi e del Pci. Anche Dini, Cesa, Bernini (? sì, c’era anche lui). L’odio acceca?

Mancava De Mita al raduno di D'Alema, ma spiritualmente c’era. E c’erano i fratelli Craxi. In memoria della Grande Riforma che affossò il padre? Ma il parricidio, neppure quello è una novità. 

Il “Corriere della sera” è l’unico giornale che non dà la lista dei comprimari di D’Alema contro Renzi. Alessandra Arachi non li ha visti? Se ne vergogneranno: se poi li punta Crozza, leggendo il giornale della casa…
Però: forse D’Alema voleva imitare Crozza.

Si fa valere come un miracolo l’aumento della produzione industriale ad agosto, dell’1,7 per cento su luglio, e del 4,1 su agosto 2015. Trascurando di dire che sono dati ballerini, di mesi a ridotta attività, ridottissima. Nel trimestre giugno-agosto l’incremento è stato di appena lo 0,4 per cento rispetto al trimestre precedente. Mentre per settembre, a pieno regime, Confindustria prevede un calo della produzione, di quasi due punti eprcetuali.

Agli stress test di fine 2015 Deutsche Bank può beneficiare di una plusvalenza di 4 miliardi di euro per una cessione che dopo dieci mesi ancora non ha completato. Sembra fantascienza ma è quello che è accaduto. Mentre altre banche non hanno potuto contabilizzare plusvalenze già incassate. Perché l’iter non era stato perfezionato formalmente. La vigilanza Bce dell’ineffabile Nouy dice che ha applicato le regole. E questa è l’Europa, che è d’obbligo rifiutare.

Negli ultimi dieci anni l’università italiana ha perso dodicimila docenti, ma di questo il partito Democratico non si occupa, guarda solo all’estero. Renzi solo si occupa di nominare 500 professori  che vengano dall’estero. Scelti da commissioni che lui stesso nominerà, “rigorosamente” estere. E di pagarli il 30 per cento in più dei professori italiani. Sembra incredibile, che Renzi pensi di poterselo permettere.

Due anni di dibattimento a Torino per assolvere il presidente del Piemonte Cota dalle “mutande verdi”. Norimberga durò solo uno, ma qui c’era da restituire la regione al Pd, e farlo confermare al Comune di Torino.  Non è andata tanto bene (il diavolo fa le pentole ma non i coperchi?), e allora tanto valeva assolvere: meglio i leghisti (Cota è leghista) che i 5 Stelle (Appendino sindaco a Torino)?

Il calciatore Pellè dà del “pezzo di merda” in tv, dove non si dà a nessuno, al suo allenatore nella Nazionale. Dopodiché si scusa, dicendo che non intendeva quello che ha detto. È il linguaggio mutuato dai social. Che è anche quello dei calciatori di prima delle scuole di dizione e portamento.

L’arbitro Brych tiene casa in Spagna. Di vacanza, ma è sentimentalmente legato: non si sente perciò di espellere due calciatori della Spagna, come dovrebbe, nella gara con l’Italia.  Non fa errori. E non è un immorale, l’avremmo saputo. Ma applica sempre lo stesso regolamento? Al rovescio. Vanno così le cose nel calcio? Quando vanno bene.

Il genio è inaffettivo

Rivisto, sembra di saperlo a memoria, talmente è schematico – corrivo? Semplice, unidimensionale: l’inaffettività del genio. Quando è stato abbandonato nell’infanzia - il genere Leonardo, Michelangelo, Shakespeare – ma non necessariamente. Più romantico che freudiano. Che Stern evidenzia nei profili jobsiani allungati, da gigante, ombra cinese stagliata su passerelle aeree, dondolante sugli sneakers molli. O con la mascella del Superman galattico, se in giacca e cravatta. Di cattiveria – spietatezza – senza maliconia, e senza residui.
Un inno, a suo modo. Si spiega che le sue due ore abbondanti siano state approntate in pochi mesi alla morte del Jobs vero.
Joshua Michael Stern, Jobs

mercoledì 12 ottobre 2016

Letture - 276

letterautore

Beat – Una letteratura di New York che si colloca a San Francisco: metropolitana, anche dura, e psichedelica, evanescente. Metropolitana in fuga. Molto radicata e storicizzata, in luoghi e date.  Profanatrice e costruttiva: molte corazze ha lacerato, altre ne ha costituite. Una letteratura performativa. Non la prima, oppiato è molto Ottocento, ma la più produttiva, perfino invadente.
Conseguente anche, come di programma, fino alla sfinimento. Letterario prima che fisico, della disintegrazione della lingua e della stessa parola, fino al monosillabo e al silenzio.

D’Annunzio – Andava volgarmente a puttane, cosa che si sottace nelle apologie – anche questo è un fatto: non ha biografi ma apologeti. Nel mentre che flirtava o vantava flirt con dame illustri, per censo, venustà o acume. Più di una volta stato chiuso in casa lunghi periodi per lo scolo.

Epistolografo prolifico, incontinente, da public relation man: scriveva con costanza, a plurimi interlocutori, ogni giorno. Con grafia curatissima, bellissima – “spadoliniana”, cioè allo specchio, ma senza svolazzi: millimetricamente regolare, da copista. L’uomo d’azione è una pausa: una divagazione, e un fiore all’occhiello, del mondano socievole.
Ma, anche, il mondo allora non aveva fretta.

Dante - È romanziere: la narrativa è il fondo più consistente della trilogia, più che l’elegia, l’invettiva, l’idillio, l’apologia. Forme peraltro strumentate in chiave narrativa, di rappresentazione più che di evocazione
In questa chiave è stato letto soprattutto nelle edizioni americane, ma come uomo dei suo tempo, di tematiche e passioni datate, anche precisamente. Non tanto per il contesto storico, quanto per la questione della fede, che nessuno ha oggi, non come allora. Mentre è proprio questo il suo sigillo immutabile. Che lui non viveva la fede come “uomo del suo tempo” – beghino? pietista? – ma nella sofferenza o incertezza, e il godimento finale ne è la prova. Era del resto allora come ora epoca di disvalori – imprecazioni, settarismi, vaffanculo, anzi ben più esiziali che i compianti elettronici che ci occupano. Anche in fatto di tenuta: l’effimero che ci opprime, di lazzi e capricci - plebei si sarebbe detto da Aristofane fino all’altro ieri - è comune a tutte le epoche, ed è quello che perseguita Dante, lo ossessiona.
  
Erodoto - Il padre della storia raccoglieva – o inventava – bufale. Anche alcune che avrebbero fatto la storia. Per esempio quella di Cinegiro, il fratello di Eschilo, di cui fa l’eroe eponimo di Maratona: Cinegiro insegue i Perisani in fuga verso le loro navi, ma muore quando, avendone trattenuta una con una mano, questa gli viene amputata. Da qui un monumento perenne nelle successive storie, di Giustino, Plutarco, Svetonio, Valerio Massimo, Plinio il Vecchio, Luciano, l’ Antologia Palatina”. Giustino giustamente gli farà amputare le due mani: prima Cinegiro trattiene la nave con una mano, e quando gliela tagliano, la trattiene con l’altra.

Italia - G.Grass, “Da una Germania all’altra”, p. 197, rimestando tra le vecchie carte degli primi anni 1950, ritrova “due o tre poesie d’Italia: “Il giardino d’Aurora”.  Grass è stato in Italia a vent’anni, dopo la guerra, quando non aveva sbocchi in Germania, mentre in Italia poté frequentare l’accademia di scultura, come era nelle sue ambizioni, anzi due accademie, a Roma e a Palermo, e a Palermo s’innamorò. Ma non mantenne l’uso dell’italiano, né familiarità con l’Italia, e anzi non ha lasciato nulla nemmeno come ricordo, nemmeno le poesie di Aurora, se non poche righe nel  memoriale “Sbucciando la cipolla”. È l’Italia che perde appeal? È la Germania che non è più curiosa?
Kipling – Ha introdotto il Terzo mondo nella letteratura. Già altri scrittori lo avevano utilizzato, Conrad come Salgari, e i tanti “salgariani”, scrittori di avventura, ma come esotismo. Kipling ne fa corretto uso come materia e come chiave di lettura: del rapporto ineguale, dell’imperialismo, della resistenza.

Monomaniaco – È l’autore secondo Carrère, in riferimento a se stesso ma non senza verità. “Il tipo murato in un manicomio” è il “soggetto” tipo di Carrère: Limonov, Dick, san Paolo, san Luca, l’ “Avversario” - sette anni questo di applicazione, l’ambizione-missione di una vita: la vita di un folle che si pretese medico per quindici anni, e poi sterminò la famiglia. Ma l’autore . l’autore in genere, non Carrère - ha più di un connotato in comune col “tipo da manicomio”, a una sola dimensione, ripetitivo. E tanto più tanto meglio.

Morante . Si celebra la scrittrice alla trasmissione a premi di Rai 1, “L’eredità”, con un quiz tratto da una lettera a un’amica, nella quale formula una domanda che è “un vera dichiarazione d’amore”. La domanda è una delle quattro: “Stai bene?” “Hai dormito?” “Hai mangiato?” “Sei contenta?” La risposta è una delle quattro. Gli scrittori è meglio non frequentarli?

Proust – La stima che sempre più spessa lo ricopre, ne ricopre la “Ricerca”, sembra ispessirlo con un che di rancido, non più vivificante. La mostra sulla contessa di Greffhule, che a New York il Museum at Fit, il Fashion Institute of Technology, ha aperto, “Proust’s Muse, The Countess Greffuhle”, e che lo steso istituto pubblicizza generosamente online, ne conferma un ispessimento museale. È una mostra di lunghe didascalie e dei bozzetti dei tanti vestiti, firmati e suoi, che la contessa indossò o ordinò. Forse l’effetto patina è stimolato dal tipo di culto: altre mostre di vestiti e paramenti riescono a far risorgere un’epoca, la disposizione dei capricci della contessa meno - sembra che non ci sia niente sotto, anche solo un amore adulterino.

Roma – Nella prefazione 1957 alle “Passeggiate romane” di Stendhal, Moravia trovava Roma deserta: “Roma, oggi come ai tempi di Stendhal, è la sola capitale europea che non abbia una vita notturna”. Alla vigilia della “Dolce Vita”.
Roma è la sola città italiana che abbia una vita notturna, altrove alle sette plana il silenzio, eccetto che neo due o tre locali alla moda. Ma non ha buona stampa, soprattutto presso i romani. Lamentare, lamentarsi è parte di Roma?

Speranza – Ma è la virtù del romanziere. Molto diffusa quindi in quest’epoca disperata così piena d romanzi. È la virtù tonificante del romanziere, anche il più disperato di suo. Un’arte che richiede un’applicazione “matta e disperata, e costanza. Insonnie, ulcere, intrattabilità (isolamento).A rischio deragliamento. Tutto ciò non può essere mosso che da una forsennata speranza – fede.

Stendhal – Come Trump, voleva acchiappare le donne con il sesso. Lo consigliava anche, attesta il suo amico di una vita Mérimée: “Se vuoi una donna, prendila”. Ma era regolarmente tradito dalle sua amanti. O lui le trovava traditrici. E forse era solo un onanista – non c’è Stendhal nella vita (corrispondenze, confidenze, memorie) delle sue amate, o nella rete di informazioni, pettegolezzi, aneddoti degli ambienti che frequentava.

letterautore@antiit.eu

Sul mistero di scrivere

“È nella natura della narrativa non essere buona a molto se non è buona in sé”. A volte Flannery O’Connor sembra procedere per freccette, caudate, con la mossa del cavallo, o della sorpresa. Ma è il suo modo di procedere “accorto”, tra le forze straripanti da cui è mossa e che riesce a mettere in moto. Narratrice singolare e narratrice sempre, anche quando parla, come più spesso negli otto saggi di questa raccolta, di cose aride, i romanzi del romanziere, la narrazione del narratore, e perfino le tecniche espressive, da maestra di scuola,di scrittura - “Mistery and Manners” è il titolo originale, “Sul mistero di scrivere” il sottotitolo italiano.
Il personaggio sembra sovrastare sainte-beuvianamente l’opera. Di vita breve e inferma, e vastamente produttiva, in campi plurimi d’interesse: l’allevamento in fattoria, gli studi, la scrittura, una cospicua presenza pubblica, tra interviste, conferenze, lezioni, socialità intensa, e una vasta sostanziosa corrispondenza. Di profonda, articolata, cultura. Di eccezionale – professante – fede cattolica, senza distinguo. “Cattolica è il suo brand, tanto più eccentrico nel Sud biblico. “La Chiesa e lo scrittore di narrativa” è uno dei testi. “Il romanziere cattolico nel Sud protestante” un altro. Ma arguta, vivace, brillante, acuta, insomma l’Autrice, in ogni parola.
“Di solito l’artista deve soffrire certe privazioni per usare il proprio dono con integrità”.  “L’arte è una virtù dell’intelletto pratico, e la pratica di qualsiasi virtù richiede un certo ascetismo”. “Lo scrittore deve giudicare se stesso con l’occhio e la severità di un estraneo. Il profeta che è in lui deve vedere l’anormale”. “Nessun’arte è sommersa dall’io; al contrario, nell’arte l’io dimentica se stesso”. Sono solo poche righe, di una mezza paginetta: “Secondo me, di solito è una qualche forma di dilatazione dell’io a distruggere il libero uso di un dono”. “San Tommaso chiamava l’arte «ragione in atto». È una definizione molto fredda e molto bella”. E la pagina non è finita. O a quella seguente: lo scrittore è pretenzioso, che non sa nulla della vita? “Chiunque sia sopravvissuto alla propria infanzia possiede abbastanza informazioni sulla vita per il resto dei suoi giorni”.
Attratta dall’irragionevole, nel quale riscontra la superiora razionalità del mistero - della fede: “Gli assunti a fondamento sono quelli dei principali misteri cristiani”. E: “L’argomento della mia narrativa è l’azione della grazia in un territorio occupato in gran parte dal diavolo”. Ma più in generale: “Compito della narrativa è incarnare il mistero attraverso le maniere”, anche se “il mistero cera un grave imbarazzo per l mentalità moderna”. Crociana, senza saperlo: “Quando si scrive, si vede come il modo di costruire qualcosa governi il suo significato globale e ne sia inseparabile. La forma dà al racconto un significato che qualsiasi altra forma cambierebbe”.
Henryjamesiana, e insieme praticante e critica dei “reboanti scrittori di San Francisco” – in realtà di New York: la dannazione intellettuale è metropolitana, non dei fiori né psichedelica. Molto attiva anche nel business accademico delle scuole di scrittura. Che critica nel terzo saggio, “Scrivere racconti”. Che però è una lezione…
Un libro giustamente di culto, scoperto da Ottavio Fatica nel 1983, con prefazione “storica” dello stesso traduttore. La cui traduzione è qui riedita - la traduzione in realtà di gruppo, del corso di inglese della Seti, Scuola Europea di Traduzione Letteraria, coordinato da Fatica, un gruppo nutrito, di tutte donne. Con un’introduzione di Raimo che è forse il miglior saggio italiano sulla O’Connor.

Flannery O’Connor, Nel territorio del diavolo, Minimm Fax, pp. 150 € 8

martedì 11 ottobre 2016

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (303)

Giuseppe Leuzzi

Ci sono Fiscon e Muraro, due veneti, Odevaine e altri toscani, molti romani naturalmente, ma non c’è un meridionale nel processone Mafia Capitale. Che fanno, Pignatone e Prestipino, dormono?

Dovrebbero prendere esempio da Milano, dove, al comando di Ilda Boccassini, non c’è corruzione né altro reato se non c’è un calabrese di mezzo, un possibile ‘ndranghetista o un suo parente.
Però, anche a Milano è vero: non ci sono camorristi né mafiosi. La droga per esempio, di cui Milano è ghiotta, la più grande consumatrice pro capite in Europa, ci arriva come la manna dal cielo.

Frank De Boer da calciatore ha più volte detto no alle squadre italiane. Al Napoli in particolare, benché post-Maradona. Uno tra gli olandesi pregiati di un tempo, quando andavano forte in Italia. Da allenatore invece, essendo disoccupato in Spagna, la sua patria calcistica di adozione, ha trovato appetibile la collocazione a Milano, all’Inter. Dove fa sfracelli – non ne vince una. Pagato bene, e stimato: un onore per la città. C’è sempre un Nord più Nord.

L’integrazione è sottile
“Fu Marcel\ ma non era francese”: il “Marcel” che era e non era è Mohammed Sceab, il coetaneo, concittadino ad Alessandria d’Egitto e compagno di studi di Ungaretti. Fino a Parigi, dove i due, uno di famiglia libanese e uno italiano, apolidi di fatto, erano approdati nel 1913: nella patria di adozione, di scuola e di formazione. L’integrazione fu però difficile, forse rifiutata di fatto, fatto sta che la meta agognata precipitò Sceab alla depressone, fino al suicidio. Dopo aver distrutto con cura tutti i suoi quaderni, nell’alberghetto des Carmes dove alloggiava con l’amico.
Luca Mastrantonio ne fa il ritratto sul “Corriere della sera” venerdì 30 settembre, come di un evento ordinario, scontato se non obbligato. Un approccio non diminutivo, non sbagliato: l’integrazione è delicata – lenta, minimale. Ogni meridionale emigrato a Milano, a Verona, a Pordenone  ne fa l’esperienza da un quarto di secolo a questa parte. 

I venti del Sud
“Qui abbiamo l’aria” è verso rivendicativo, e grido di dolore (“non abbiamo nient’altro”) di Otello Ermanno Profazio. Ma in un certo senso è vero: qui, nel Mediterraneo, abbiamo i venti – ancora per molto?
Grecale o Levante? Un vento infido, non freddo, non da tramontana, ma insinuante e penetrante, che dura tre giorni, torce gli alberi, li fa ululare, forse dal dolore, e abbatte i raccolti, senza riguardi per il tempo giusto. Alcuni lo chiamano grecale, altri levante. Ma sono la stesso vento, più o meno: un vento di Nord-Est. Rispetto al punto di mare prossimo a Creta dove convenzionalmente si situava il centro della Rosa dei Venti.
Il Gracale (o Levante…) spira da Nord Est a Sud Ovest. Così, sempre prendendo a riferimento la costa cretese, a Sud Ovest della quale c’è la Libia, è Libeccio il vento opposto, da Sud-Ovest verso Nord-Est – lo Scirocco, che sta per vento di Sud-Est Nord-Ovest, è il vento che viene dalla Siria.
Il Maestrale, da Nord-Ovest a Sud-Est, è desunto da maestra o via maestra, con riferimento a Roma, e a Venezia.

La mafia dell’antimafia
Dei 14 arrestati per intrallazzi su Malpensa uno potrebbe avere agganci meridionali, perché figlio di immigrati dalla Calabria. È l’unico di cui si parla. L’unico di cui la Procura di Milano fornisce ai servizievoli cronisti di nera i “materiali”, che sono le intercettazioni.
Una Procura retta da napoletani nobilissimi, Greco, Boccassini. Non è quindi Nord contro Sud, Milano vs. Calabria – Milano sempre si sceglie avversari a portata. È uno dei vicoli ciechi in cui la protervia dei giudici ha ridotto la Procura antimafia, la grandissima idea di  Falcone. Una sorta di Fbi antimafia. Che fu sbrindellata, tra lazzi e calunnie di ogni tipo, in  un centinaio di piccole Procure, tra Palermo e Belluno in uguale maniera, la provincia più “babba” d’Italia. Per servire alla carriere di un paio di centinaia di giudici, Procuratori capo antimafia e vice. Mentre la Procura antimafia nazionale si sollazza a  non fare nulla in un bellissimo palazzo di via Giulia a Roma, popolata da un’altra trentina di carriere eccellenti, con la scorta per la dignità del ruolo – un autista personale e una macchina d’ufficio. 
E si arriva alla Procura antimafia della effervescente Boccassini, venuta alle cronache al funerale di Falcone, testimone eccellente dei tradimenti che lo avevano messo nel mirino di Riina. Boccassini gli altri giudici non hanno voluto a capo della Procura, e allora si sfoga con la Procura Antimafia: le  basta trovare nel malaffare un calabrese, anche remoto – non ci sono napoletani a Milano e in provincia, né siciliani, com’è noto, e gli innumerevoli lombardi non hanno nome, sono comparse, di contorno.
Onorano Falcone e Borsellino a ogni passo mentre ne fanno ludibrio.

Una breve per De Luca assolto, il presidente della Campania, dopo diciotto anni. “Vincenzo De Luca è stato assolto nel processo Sea Park, su presunte irregolarità nella realizzazione di un parco acquatico a Salerno”. E' tutto, diciotto anni non sono niente. Dopo diecine e centinaia di paginate contro.
Da ultimo del resto la presidente dell’Antimafia Rosy Bindi aveva definito De Luca qualche mese fa  “impresentabile” alle elezioni. Non si è scusata dopo l’assoluzione,
Va bene che De Luca e Bindi sono compagni di partito. E che Rosy Bindi è anche buona cattolica, con un pelo sullo stomaco quindi alto così. Ma che c’entra l‘Antimafia?

La scoperta della Grecìa
Con garbo, con cognizione, Patrizia Giancotti ha scoperto per radio Rai 3 l’area grecanica a Sud di Reggio Calabria, e ne ha fatto l’oggetto anche di una monografia, “Filoxenìa”, per l’aspetto che più l’ha colpita, l’ospitalità. Forse era la maniera migliore di proporre una diversità culturale, che per quanto sfiziosa è sempre meridionale e quindi sospetta. “Scoprendola”, l’esploratrice si mette al sicuro.
Ma l’antropologa torinese ha fatto di più: ha saputo far parlare questa diversità. Morente ma non lamentosa. Con linguaggi attuali, che tutti intendono. Avrebbe potuto con poco sforzo fare di più: allargare il campo al recupero della tradizione ortodossa. Molti conventi e santuari sono stati retrocessi dalla popolazione, dai suoi sindaci, a comunità ortodosse di rito greco. Ma restringendo l’obiettivo alla sola veduta antropologica, coglie molte sorprese, in quella che in apertura chiama “una sorta di finis terrae del continente europeo”.
Tutti sanno suonare uno strumento. Tutti sanno ballare – Giancotti si muove qui sull’intuizione di Diego Carpitella, l’etnologo di Reggio che privilegiò la comunicazione musicale. Si coltiva il talento e la socievolezza, l’agape, che significa “amore”, per i vicini e i lontani. E per la terra. Una bambina si ascolta di dieci anni, che si dice: “Io guardo in giù”, da Bova, la colonia greca del V secolo a.C., che sta sui mille metri, “e guardo in su”, verso l’Aspromonte, "e mi vengono i brividi”. La bellezza del paesaggio fa venire i brividi.
Tito Squillaci, pediatra volontario spesso all’estero: “Noi non siamo un’enclave, un gruppo sperso di immigrati greci. Noi siamo la realtà residua di tremila anni di storia. Ma la lingua non è più veicolare…. Si insegnano i numeri, i canti, le poesie… “ Parla sempre in greco con le figlie, da quando sono nate. La figlia lo chiama da Cambridge, e col padre parla greco. A Cambridge fa il dottorato sui contatti linguistici tra il greco di Calabria, dell’area grecanica, e l’area romanza: la gente parla italiano nel senso che traduce i vocaboli ma con la struttura greca.
Di Pavese al confino a Brancaleone, non distante, Giancotti ricorda una lettera. “Di una squisita cortesia. E questo ha una sola spiegazione che qui una volta era greco”.

leuzzi@antiit.eu

Amore francescano tra libertini

Era più basso di Marie de Régnier, alla quale indirizzava queste lettere, “Suora Notte” è lei, e per questo tiene il rapporto su un registro francescano? D’Annunzio è monomaniaco, ma le sue seduzioni non sono senza sorprese. Marie aveva all’epoca dell’incontro, prima della grande guerra, 38 anni, a fronte dei suoi 50, ma una carriera erotica se possibile più spregiudicata, forte di un matrimonio in bianco col poeta Henri de Régnier, figlia del poeta de Heredia, poetessa e romanziera essa stessa di gran nome, con lo pseudonimo Gerard d’Houville.
È a lei che questa edizione impreziosita a cura di Nicola Muschitiello rende giustizia, evocandone la presenza allora ammirata nelle lettere parigine. Tanto quanto poi è stato l’oblio: “Morirà nel 1963”, nota Muschitiello, “quando c’erano già i Beatles!”, in totale amonimita. Sono vicini ad Arcachon, sulla costa atlantica, dove D’Annunzio vive “poveramente” con i cavali e i levrieri. Che anche Marie ama. Un incontro galante solo per il potenziale erotico dei due, niente più di fuggevoli contatti, e occhi persi negli occhi. E tuttavia, un’altra dimensione di D’Annunzio, quasi ludica. La franca libertina “Gerard d’Houville” leggerà attentamemnte “Il piacere”, di cui mimerà alcune scene nei suoi romanzi. E s’indurrà a leggere Jacopone, poiché lo cita in una poesia.
Impreziosita è l’edizione - qui in originale, con traduzione e fac-simile - delle lettere giù pubblicate privatamente nel 2000 da Luciano Triglia, che le aveva rinvenute e acquistate a un’asta, nel dicembre 1993, al parigino Hôtel Drouot.
Gabriele D’Annunzio, Buona sera, cara Notte, Filema, remainders, pp. 104, ill.. € 4,65

lunedì 10 ottobre 2016

Secondi pensieri - 280

spock

Anti – “Ogni anti- deve provenire dal medesimo fondamento essenziale di ciò di cui è anti-”, è assioma  del terzo dei “Quaderni neri!” di Heidegger. In particolare in fatto di religione: l’ateo è in qualche modo deista, eccetera.
Se è vero, è rischioso: l’antisemitismo sarebbe semita? Non lo è. Ma pensare che possa esserlo?

Banalità - La banalità del male di Hannah Arendt è da intendere nel senso di “normalità”. Di senso comune, corrente. Come può essere quello di mafia nel Mediterraneo. O di eugenetica presso i popoli del Nord, che eliminavano – ed eliminano – i vecchi e i malformati. Corrente nel caso dell’antisemitismo negli anni 1930. La banalità di Heidegger e del suo antisemitismo è di essere normale è la tesi di Jean-Luc Nancy, “La banalità di Heidegger”  Tanto più per essere blando, scontato, accettato tranquillamente senza mai porsi una domanda. Allineato anzi sui “Protocolli di Sion”, l’antisemitismo “più banale, volgare, triviale e torbido”. Ma così, non per cattiveria, non c’è nemmeno bisogno di indagare se Heidegger abbia letto i “Protocolli”: erano nell’aria del tempo.
La banalità-“normalità” antisemita è di una certa cultura, che specialmente nel Novecento ha attaccato e corroso l’Occidente – e tuttora lo insidia. Ed è la non banale “cultura tedesca”. Da Lutero in poi per motivi religiosi. Dall’Ottocento per motivi culturali – dall’antifilisteismo all’antisemitismo il tereno di coltura è lo stesso. Per Heidegger – come per Thomas Mann – l’Europa e l’Occidente sono impegnati “in un formidabile autoannientamento delle proprie forze e delle proprie tendenze”. Anzi, è in questa deriva che si innesta il loro (anche di Thomas Mann) antisemitismo “banale”, in quanto sarebbe l’ebraismo ad avere dirottato e portato a mali passi – l’“autoannientamento” – l’Europa e l’Occidente.
Questo perché l’Europa non ha accettato l’egemonia tedesca? L’argomento non è filosofico e quindi è per questo trascurato, ma è ineliminabile. Tanto più che in Heidegger arriva alla non trascurabile insistenza –quasi un augurio – che la fine è meglio dell’agonia, che il naufragio è indispensabile a un “nuovo inizio”. Che non è naturalmente, nell’auspicio, ebraico, ma occidentale, europeo, tedesco. Si potrebbe – dovrebbe – dire “umanista”, ma questo non è necessariamente in programma.

Heidegger – Tutto è in lui –tum e Art von, una specie di: impreciso.

Heidegger è Marx anche per questo: 1) entrambi sono antislavi.
2) comune è l’analisi storico-religiosa: “Il cristianesimo è sorto dall’ebraismo. Nell’ebraismo esso si è disgregato” potrebbe averlo scritto Marx.
3) ugualmente escatologici. La rivoluzione - la catastrofe – anche Heidegger ritiene indispensabile e augurabile al “nuovo inizio” che dopo la guerra continuamente prospetta, da tedesco indomito.  Di cui faceva levatrice il “russismo” invece della classe operaia, ma allo stesso effetto. Nel terzo volume che si pubblica dei “Quaderni neri” Heidegger giunge alla conclusione che “solo il Russentum ci potrà salvare”, il Volk russo dopo aver inseguito vanamente quello tedesco: tutto ciò che è russo, il carattere russo. La “russità” si sottrae alle determinanti europee o occidentali, al dominio della tecnica. In questo senso, si direbbe tutto il contrario di Marx, al comune disprezzo degli slavi. Ma il Russentim è la leva della sua salvezza.

Immortalità– La chiave dell’immortalità è lasciare un fantasma, argomenta un personaggio di Queneau ossessionato dalla morte. Ma è indeciso, tra lasciare la coscienza di sé, oppure farla morire, lasciare un sembiante.

Male - È banale nel senso che è normale – corrente. Non ci vuole molto per uccidere, né di mezzi né di volontà, nemmeno uno scatto d’ira, l’ex moglie, il socio, l’amante, il malato incurabile, il down. Sì, del down si fa anche scientificamente, nella eugenetica: molte volte il male si ritiene perfino virtuoso. Era banale in Germania durante la guerra eliminare gli ebrei, roba di cui nemmeno si parlava in famiglia, se non per denunciarli, anzi con buona coscienza dei più.

Nietzsche – Era tutto nella “Volontà di potenza” fino agli anni 1960, quando Adelphi e Gallimard accettarono di pubblicarlo in originale e per intero, e organizzarono il gruppo di C oli e Montanari, che ci lavorarono dal 1963 al 1970. Ma questo non può occultare quello, sebbene si tratti di compilazione. Postuma. Di autori non affidabili, principalmente la sorella, poi nazista. Le cose ci sono.
Il Nietzsche di mezzo secolo di cultura europea, compreso il “Nietzsche” voluminoso di Heidegger,  è quello della compilazione, “La volontà di potenza”.

Normalità – Viene tra virgolette, nel senso di impreciso, incostante, non vero. Come la verità e gli altri concetti affermativi – peraltro in disuso, resta solo “”verità” e, più raro, normalità.
La verità si approssima per aggiunte, marginalmente. Non più per scostamenti, partendo da assiomi. È più vero – normale – questo o quel procedimento? È più produttivo ma inconclusivo, di programma.

Razzismo – Quello spirituale – Evola, Heidegger – o storico-metafisico, non è meno razzista di quello naturalista o biologico. Non è banale - la pelle, l’odore, il colore, le forme, etc. – e non è spregiativo. Può anche non proporre gerarchie. Ma la differenza approfondisce.
Tanto più quando la differenza si prospetta come superiorità: la superbia è il primo dei peccati capitali, il più comune si direbbe – il meno costoso, faticoso.
Nello stesso Evola il razzismo è come in Heidegger per quando concerne gli ebrei – e alla fine nel non apprezzato, da entrambi, Hitler: espressione di una razza o cultura materialista, e per ciò stesso inferiore, anche se non si fanno graduatorie, rispetto a quella ariana.

È di fatto comune agli “inferiori” – le razze inferiori – come ai “superiori”. Nel momento antirazzista, di resistenza o ribellione, come argomenta Sartre in “Orfeo nero”, ma stabilmente: è un tatuaggio indelebile. Molti risentimenti politici, a mezzo secolo dalla fine del colonialismo, si radicano nella differenza, a preferenza dell’integrazione.


Selfie – È letteratura sentimentale. O altrimenti psicoanalitica, terapeutica. Per questo materiata di figure materne - e paterne - e di sesso. Di una terapia che è, a sua volta, materiata di letteratura più che di sintomatologia o fisiologia. E ha in effetti andamento circolare, da circolo vizioso. Come narrativa e, probabilmente, come terapia.  

spock@antiit.eu

Il romanzo dall'analista

Non bisogna tentare il diavolo, la madre dello scrittore lo dice sempre, la celebre Hélène Carrère d’Encausse, accademica di Francia, ma lui lo fa. Della madre, del rapporto per più versi teso con lei, parla liberamente qui. E lungamente della lingua russa, Ersatz materno, con la quale ha un rapporto conflittuale, per quanti sforzi faccia non riesce a padroneggiarla e spesso la dimentica – mentre è la lingua che “impersona” la madre, storica e politologa dell’Unione Sovietica. Del padre non parla, ma sì del nonno materno, figura surrogativa, alla quale infine farà ascendere tutta l’ereditarietà, quella negativa, che lo imprigiona. In una con la storia di una paternità incerta, con la donna che ama e pure lo ama. Il trutto è condito da schzzi di pornografia (il racconto “L’Usage du «Monde»”, che il giornale “Le Monde” pubblica anche a parte in rete).
L’insalata sa di seduta psicoanalitica, di programma terapeutico. E probabilmente lo è – dopo dieci o quindici anni di terapia, tre volte a settimana, l’analista può avere ben consigliato lom scrittore di fare dei fantasmi un romanzo, a uso pubblico. Ma per quanto lo scrittotre parli di sé, alla fine non ne sappiamo molto. Né di lui né della mamma, tanto meno del padre, anche sotto l’aspetto del nonno. Forse la cura non è buona – Carrère dice da ultimo che è “il libro di una depressione”, ma non è vero niente: in questo libro riesce a girare un film su una realtà invonsistente, un sobborgo senza storia di Mosca, rilegge le lettere di venti e trenta pagine che il nonno scriveva alla nonna, ha incontri “storici” con la madre celebre, e vive la sua storia d’amore più intensa e più complessa – non è l’energia che gli manca. Forse l’esercizio è urticante, e per questo non liberatorio, per il lettore ma anche, all’evidenza pur dovendolo ritenere un bugiardo, all’autore.
Un tenativo di uscire d’analisi appassionante ma alla fine catastrofico: esagerato, inutile. È una confessione pubblica liberatoria? La chiesa da tempo non la pratiuca, il narcisismo prevale, il primo dei peccati capitali.
La chiave analitica è anche nel racconto porno. Una dichiarazione d’amore, conclude lo stesso Carrère, che invece avvia una dolorosa separazione, “il principio del piacere essendosi scontrato col duro principio di realtà”. L’estate di due anni fa”Le  Monde” ha esumato questo piccolo fait divers, evento di cronaca letteraria. Il 20 luglio 2002, nell’edizione datata 22 luglio, “Le Monde” pubblica in appendice un racconto erotico di Carrère, “L’Usage du «Monde»”. Che deve esere letto il girono dell’uscita dalla compagna dello scrittore, nel treno da Parigi a La Rochelle, dove lui l’aspetta. Una specie di regalo a sorpresa. La cosa va al contrario. È Carrère che deve di corsa rientrare a Parigi, e poi prende il treno per la Rochelle, quello che avrebbe dovuto prendere la sua compagna. Dove nessuno legge il racconto. E la cosa è registrata da due reporter che “Le Monde” ha mandato allo stesso scopo, per vedere l’effetto che fa. Nulla di eccezionale, se non che nell’occasione, per una serie di disguidi, l’autore scopre che l’amata, benché inamoratissima, lo tradisce, e anzi aspetta un bambino, non suo. Commentando l’’affare due anni fa, Carrère lo chiama “un dispositivo perverso”: “Abbiamo vissuto una specie di 11 settembre privato, e io ho ricevuto una lezione sferzante: quando si gioca al demiurgo, che si tenta come io ho fatto di controlare il reale, il reale si vendica, e senza pietà”. Una conclusione da analista..
Il racconto Carrère pubblicò su “Le Monde” con l’e-mail - che ripete nel romanzo - e quindici anni più tardi continua a ricevere posta sull’argomento,di tono “piuttosto positivo”. Ma “Le Monde” dovette nel 2002 consacrare una pagina della posta dei lettori, e il suo stesso commento, a fare ammenda. Non per motivi moralistici. Il racconto, telescopato a distanza dall’autore sulla sua amante, è oltraggioso e frigido - sembra Moravia: “Mi piace che la letteratura sia efficace, mi piacerebbe idealmente che sia performativa, nel senso in cui i liguisti definiscono un enunciato performativo, l’esempio classico esendo la frase «dichiaro guerra»…. Da “buon ossessivo”, commenta lui stesso.
“Il tipo murato in un manicomio”è il suo “soggetto”, Carrère rivendica in apertura. E ha ragione, il lettore va a Limonov, Dick, san Paolo, san Luca, l’“Avversario”, un mitomane che infine stermina la famiglia, un racconto che ha preso sette anni di lavoro. Anche qui Carrètre ne ha uno, la prima storia della compilazione: l’ultimo  prioniero di guerra in Russia, un ungherese seppellito per quasi mezzo secolo in un manicomio. “Un’ultima storia di reclusione, e sarà la storia dela mia liberazione”, proclama accettando l’incarico di coprire l’evento. Ma non è così che funziona: il selfie non è una cura, più uno scava e più s’infogna – è un racconto come un altro, spettacolo.   
Emmanuel Carrère, La vita come un romanzo russo, Einaudi, pp. 275 € 12
L’Usage du “Monde”, free online
http://medias.lemonde.fr/medias/pdf_obj/nouvelle2.pdf

domenica 9 ottobre 2016

Problemi di base evolutivi - 295

spock

Cosa c’entra il violino con la selezione naturale?

E il burqini?

L’esame di coscienza come c’entra con l’evoluzione: la subisce, la favorisce?

E la classificazione – raccolta, selezione, denominazione, gerarchizzazione - dei dati?

Lo stesso “Beagle”, nave attrezzata?

La selezione non andrà a un certo punto all’inverso, che il selezionato se la rifà col processo evolutivo?

E in questo ruolo – attivo, rivoluzionario, originario - interrompe o affina la selezione?

A un certo punto la selezione divenne, anche con Darwin, la sopravvivenza del più adatto (forte), e dunque il razzismo è biologico? Cioè: la biologia è razziale?

spock@antiit.eu

Stupidario democrat

“Con la crisi economica, con la crisi bancaria, con la crisi occupazionale, c’era proprio bisogno di dividere il Paese con uno stupido referendum su una stupidissima riforma?” – f.to: Renato Brunetta.

La “tenuta democratica” è “il tema prioritario” per Bersani. Cioè: crolla la democrazia. Eppure quest’uomo aveva vinto un’elezione. Quella della legislatura in corso, dove tutti hanno potuto fare un governo, solo lui non c’è riuscito.

Senza contare che questo crollo minacciato dela democrazia lui, Bersani, lo ha votato. Almeno tre 
volte.

“Il notaio resta uno strappo che va ricucito. Non fu un incontro sereno per i consiglieri”, dice Enrica Battaglia dopo l’assoluzione di Marino. La consigliera Battaglia fu una dei 26 che sfiduciarono Marino, il loro capopartito, dal notaio: il Pd cacciò Marino, il suo sindaco di Roma, dal notaio, per consegnare la città a Virginia Raggi. A Virginia Raggi.

Renzi ha stanziato 75 milioni per assumere 500 professori universitari tra gli italiani all’estero, e pagarli il 30 per cento in più dei professori italiani in Italia, in deroga alla legge. Pensa di poterlo fare.

Renzi sceglierà lui a suo piacimento i 25 presidenti di commissione che daranno le 500 cattedre col 30 per cento di stipendio in più. Tutti “rigorosamente” stranieri. Anche questo pensa di poterlo “rigorosamente” fare. Ma forse è un caso di cretinismo più che di democratismo.

Bersani, D’Alema, Emiliano, Marino creano comitati per il No, e si spendono in giro per l’Italia. Non si sa con quali risorse. M il 5 dicembre, almeno, si metteranno da parte? No, si sa: se anche perde, il No vincerà lo stesso.

Cappucetto rosso senza fronzoli

“Il Sole” chiude la serie domenicale dei “Racconti d’autore” con una chicca. “Cappuccetrrto rosso”, “Barbablu”, “Il gatto con gli stivali”, “Cenerentola”, “La bella addormentata”, “Pelle d’asino”, “Pollicino” (“Puccettino”).le favole di Charles Perrault tradotte da Collodi in forma scorrevole. Da rccontare e da leggere. Ancora oggi, a un secolo e mezzo, quasi, di distanza. Ed è l’unica edizione in commercio – accanto a quella ormai classica, 1975, di Adelphi, che accompagna Perrault con alcune traduzioni da madame D’Aulnoy e madane Le Prince de Beaumont.
Carlo Collodi, I racconti di fate, Il Sole 24 Ore, pp. 79 € 0,50