Cerca nel blog

sabato 19 novembre 2011

Zazie è uno scandalo nel Duemila

Una serie di “rovesciamenti” molto quenoviani nelle due giornate particolari di Zazie, liberata dalla madre che ha infine un ganzo con cui spassarsela: il bambino-adulto, l’adulto-bambino, l’uomo-donna, la donna-uomo, etc., e il treno (il metrò) immobile. Un testo singolarmente fresco dopo sessant’anni, il vero racconto di dialoghi che s’innestano sempre vivaci. Che oggi non sarebbe possibile: lo scherzo di Queneau sarebbe un racconto per adulti.
Una rilettura che dice da sola la “fine della storia”, l’abisso che il Duemila ha scavato. Rispetto ad anni, i 1950, non specialmente scorretti (il film che Malle ne ha ricavato sarebbe oggi per tutti?). Il Duemila sarà il secolo della correzione totale, politicamente, moralmente? Orribile ideologia, forse non furfantesca, ma castrante.
Il testo è fresco naturalmente in francese, la traduzione di Franco Fortini è traditrice, al solito dell'umorale poeta. E per di più emolliente - vaselina.
Raymond Queneau, Zazie nel metrò

Il partito neo guelfo pigliatutto

Si voterà nel 2013, o quando sarà, ma è come se si fosse votato e avesse vinto il partito che non c’è, il partito neo guelfo, di Milano e Bazoli. Nel fossato aperto dal Pd contro Berlusconi, con comici, giudici, giornali, manifestazioni di massa, l’avvocato s’è infilato lesto, e senza pestare i piedi a nessuno, s’è preso tutta la posta: il governo, la politica, l’opinione.
Un capolavoro di tattica in una strategia di lungo corso. Abbozzata da quasi tre anni. Dapprima con la cooptazione di D’Alema. Poi in solitudine, ma con ali marcianti molto forti: il “Corriere della sera”, con l’opinione laica, e il vecchio confessionalismo lombardo, quietamente militante. E col progetto non peregrino di prendersi il partito di Berlusconi, la parte più sostanziosa di esso, senza Berlusconi. Col consenso alla fine dello stesso Berlusconi, che, come si vede, ne è sollevato. – ci saranno stati patti parasociali, sicuramente sì, ma sono marginali.
È Milano atto terzo. Dopo la Lega, dopo le “riforme” televisive di Berlusconi, la “sana amministrazione”. Si farà, dicendo e non dicendo, evitando la spettacolarizzazione. Molte cose, poco alla volta. Potendo contare per un certo periodo sulla “cattività” dei due partiti maggioritari: quello antitasse di Berlusconi, e quello dell’art. 18 del Pd, cioè della Cgil.
Si può anche dire che il Pd ha fatto la campagna e il partito neo guelfo s’è presa la vittoria. Ma è pure vero che la campagna di Bersani non aveva argomenti, a parte l’antipatia di Berlusconi, mentre il partito neo guelfo ne ha. Non pirotecnici, non è nello stile di sacrestia, ma pratici e solidi: pensioni, lavoro, investimenti. La presa di possesso dell’Italia da parte di Bazoli è avvenuta mentre Bersani riduceva il Pd al picchetto di cinque minuti, quanto c’è voluto per riempire una foto sui giornali, contro la casa di Berlusconi a Roma.
Il passaggio di mano da Berlusconi a Monti potrebbe aprire una interessante diaspora. I molti berlusconiani laici, ex socialisti, ex repubblicani, ex liberali, potrebbero non condividere le vedute del partito neo guelfo in tema di salute, scuola, famiglia, e confluire nel Pd. Ma per ora c’è solo il “veni,vidi, vici” bazoliano.

Niente più indignati, i banchieri sono al governo

Ora che si trovano davanti un governo di banchieri, caso unico al mondo, gli indignati italiani lasciano le piazze e non s’indignano più. Nulla a che vedere con Wall Street, dove chi protesta contro i banchieri si fa sbattere dentro senza che neanche lontanamente si possa parlare di governo dei banchieri. E senza nemmeno mezza promessa di una futura carriera nel Partito - che negli Usa non c’è, non per nulla sono una democrazia. Ecco perché: in Italia vige ancora il centralismo democratico, gli indignati s’indignano se lo ordina il Partito. E il Partito ha spostato l’indignazione sulla fermata dell’autobus davanti alla casa di Berlusconi a Roma.
Qui, per essere obiettivi, l’indignazione non è molta. La mobilitazione è stata vivamente consigliata dal segretario Bersani, ma la risposta è tiepida. Per l’ultima foto a colori per i giornali dei grandi editori (banchieri, speculatori) c’era giovedì una sparuta dozzina.

venerdì 18 novembre 2011

Secondi pensieri - (81)

zeulig

Coscienza – Trascurare la coscienza è andare in giro senza braghe, bisogna quindi contenersi. Ma non va trascurato neanche l’epitaffio di Martin Buber per Landauer, uno del Soviet di Monaco nel ‘19 che il socialista Noske ridusse alla ragione uccidendoli tutti, settecento e più: “Gustav Landauer combatté nella rivoluzione contro la rivoluzione per la causa della rivoluzione”. Con la coda:“La rivoluzione non lo ringrazierà per questo”. La coscienza ogni tanto dorme.

Guicciardini asserisce non potersi “tenere Stato secondo coscienza”.

Fisica – È sempre più metafisica, presuppone un qualche Dio. Dal tempo dei buchi neri, e sono ormai cinquant’anni, quando il loro teorico John A. Wheeler diceva: “È ormai chiaro che la fisica da sola non spiegherà mai la fisica”. La fine del tempo? L’inizio? Erano assurdità per Kant già negli anni 1760: “Vane indagini” e “assurdità”, roba da “visionari della ragione”, da “regno degli spiriti” alla Swedenborg. Già molti anni prima dei neutrini più veloci della luce del Cern-Gran Sasso, nel 1967, Koestler poteva scrivere: “Per chi non nutre pregiudizi, il neutrino ha davvero una certa affinità coi fantasmi”- il neutrino della bomba omonima. Si può capire il collaboratore della ministra Gelmini che la fisica pensava ancora fisica, con una galleria tra Ginevra e l’Aquila: era ancora positivista.

Logica - Può essere illogica – per Bacone “più che alla ricerca della verità, serve a sistematizzare gli errori”.

Rivoluzione – È finita, nel senso che non è in agenda (le “primavere” arabe più che altro ne confermano la stanchezza). Ma è sempre stata ambigua nella filosofia della politica – benché l’università di California la insegnasse (la insegna tuttora?) a Berkeley, per dieci o ventimila dollari l’anno. Una tappa, di non si sa che viaggio, di cui si voleva l’ultima. Classista, conservatrice, sovietica, mondiale, indifferentemente.
Michelet può spiegare la disaffezione, che nella rivoluzione vide la “rivelazione”, un fatto divino, un’apocalisse - e De Maistre, che ci vide l’opera del diavolo. Mentre per Rivarol il devoto che crede ai preti e l’irreligioso ai filosofi sono entrambi creduloni - e i rivoluzionari che credono nella rivoluzione? ma Rivarol è un reazionario.

Romanzo unico della Rivoluzione del 1789 resta I vagabondi, non ce n’è altro. Di Frances “Fanny” Burney, la figlia del dottore musicofilo: specialista di storie italiane, Evelina, Cecilia, Camilla, era turista a Parigi nell’89 e dopo, ma non visitò il museo Carnavalet, dove la ghigliottina era stata fatta di ossa umane – era turista controvoglia: “I viaggi rovinano la felicità”, diceva, “non si può più guardare un edificio in Inghilterra, dopo aver visitato l’Italia”.

La filosofia illuminista, per quanto laica e scientifica, non può non affascinare i duri della storia. Ma non nutre la rivoluzione - anche in Francia, nutrì Napoleone. Oppure sì, nutre la rivoluzione ma nel senso del trickster beffardo, per frantumarla.
C’era questo antefatto quando lo storia idealista sancì i primati, confondendo la tradizione e ridicolizzando la ragione. C’è ancora chi imputa le guerre ai capitalisti avidi di mercati e materie prime, e le rivoluzioni alla classe operaia, ma per un difetto di vista. “Lei è ora marxista?”, Camus chiedeva nella Resistenza. “Sì”. “Sarà dunque un assassino”. “Lo sono già stato”.

Non è che fare, ma che vogliamo. “La fede non pensata”, dice sant’Agostino, “non è niente”. All’altro estremo, Palazzeschi poteva irridere impunito: “Io non temo l’uguaglianza. È il paradiso di Marx sulla terra, un affaretto assai modesto in verità”. È il fuoco corto del conservatore.
L’acqua sempre bolle a cento gradi centigradi, e a zero gradi sempre ghiaccia. Ogni atomo nell’acqua si comporterà in maniera diversa dagli altri, miliardi di atomi per quanto l’acqua sia poca, e se pensa penserà di essere diverso, immaginerà percorsi e traguardi differenti, che forse fa, la fisica non lo sa. E tuttavia nei sistemi complessi il risultato è uno solo: bollore o ghiaccio, vittoria o sconfitta. È la magia di questo risultato d’insieme, ottenuto dalla coscienza ragionata e dalla volontà, che entusiasmò il metodico Kant a settant’anni: “Un evento simile”, sostenne dell’‘89 nella “Disputa delle facoltà”, “non consiste in fatti o misfatti importanti degli uomini, in seguioto ai quali ciò che era stato grande fra gli uomini divenne piccolo, e ciò che era stato piccolo divenne grande… No, non è affatto questo! La rivoluzione di un popolo ingegnoso può riuscire o fallire. Può essere piena di tali calamità e atrocità che un uomo giusto, anche se potesse essere sicuro di effettuarla con successo, non si deciderebbe mai a ripetere l’esperimento a un prezzo così alto. Ciò malgrado, una tale rivoluzione trova una simpatia molto vicina all’entusiasmo. Un tale fenomeno nella storia dell’umanità non potrà mai essere dimenticato: esso dimostra che nella natura umana esiste un’inclinazione e una disposizione al meglio che nessun politico mai avrebbe potuto prevedere riassumendo il corso delle vicende precedenti”.
Che si può dire però all’inverso: la rivoluzione può essere paciosa, ma non trascurare la disposizione al meglio. T.E.Lawrence, hitleriano e comunista aristocratico, era del parere che “non bisogna fare la rivoluzione per dare il potere a una classe, ma per dare una possibilità alla vita”. È diverso? Sì.

Solitudine - La solitudine, dice Mannheim in “Ideologia e utopia”, è coscienza che “non ricopre l’Essere circostante”. O non voleva dire il contrario, che percepisce tutto del circostante ma non l’Essere? È un vuoto di sé. Si fa tanto stando soli, si osserva, si analizza, si capisce. Per una semplice questione d’impiego del tempo, non sapendo che dirsi, o non volendo.

Storia – È labile. E si trova nei Salmi che “la morte non conosce memoria”. Ma la Bibbia è a volte anticristiana. Il poeta Celan lo sa: “Angelicata\la storia sta\col servo liberato”. Né c’è presente senza futuro. Senza memoria cioè del presente. Che è il segreto pure della scrittura: l’autore scrive per rinascere. Con l’invenzione dei posteri, del classico. La storia è effetto e causa dell’immortalità: “Nevica storia”, direbbe il signor Bok di Malamud.
“Torniamo all’antico, faremo un progresso” è Petrolini. Insensato, anche se non si parte da zero. Ma la memoria annulla il tempo più di quanto lo ricostituisca, il presente soggettivo sovrapponendo allo stesso vissuto. È la falla di Freud: il ricordo è ricostituzione, del presente. Che è necessario, per restaurare l’io, come arte, prodotto, parola e azione - che dice Michelet: “Di che è fatta la storia se non di me?” Mentre la sola certezza storica è all’opposto: non c’eravamo prima, non ci saremo dopo. Niente e nessuno è eterno.
Eccetto la storia? Che a volte è il busto di Giano di Spengler impenetrabile, “un volto al passato, uno all’avvenire”, l’angelo di Benjamin. O di Paz deluso: “La condanna è il tempo, la pena la storia”. La “tenia del tempo” irrita pure il gentile Edward Morgan Forster. Che senso ha in effetti il tempo, a parte l’ansia del prima e dopo, l’attesa e il ricordo, e della fine? Un secondo può contare più d’un giorno. Ma nella storia, spiega Lévinas, “l’uomo scopre oggi ciò che trasforma e fa svanire il passato”.
Ecco la storia che cos’è: il tempo che scompare. Il tempo perde nella storia l’irreversibilità – è qui pure il fascino del cristianesimo, e dell’Occidente, che la Croce affranca: a ogni istante è un inizio, e nella moltiplicazione del tempo e delle decisioni s’innesta la libertà. È questo il passato-per-l’avvenire, direbbe Heidegger. Quando finisce la speranza finisce la libertà, con o senza Occidente. ”Siamo ostaggi dell’Eterno nella prigione del Tempo”, sottilizza Pasternak tolstojano, “nessuno fa la storia, la storia non si vede, come non si vede crescere l’erba: la guerra, la rivoluzione, i re, i Robespierre sono i suoi stimolanti organici, i suoi lieviti”. Alla tedesca, ridetto da Mannheim: “Essere e presente non sono che la struttura di una coscienza utopica della temporalità. Una totalità di senso articola gli eventi e costituisce il principio costruttivo del senso storico”. E del senso mistico, ideale, ideologico. Del pudore, l’umore pacifico, l’amore sessuale, la simpatia, l’amore materno, la norma di giustizia e verità, la Religione, la Speranza e la Fede nell’Eternità di Herder.

Tempo – È una limitazione dell’essere finito, o non la relazione dell’essere finito con Dio? Non assicura l’infinito, ma introduce un al di là dell’essere, come amore, procreazione, socialità, come dice Lévinas. E ci mette in contatto quindi con Dio – perché farne a meno? “Niente affoga il passato, niente lo risolleva\dal suo baratro”, se si vuole, con Alda Merini, la Poetessa.

zeulig@antiit.eu

L’epica crepuscolare dei vinti

“Tentare invano di suonare”, già all’inizio della carriera di scrittore: l’amarezza senza reti (senza nemmeno la guerra, di cui Roth sarà grande narratore, se non appiccicaticcia alla fine, senza crisi, politica, sociale). Autobiografico? Con l’eccesso di astio, verso la donna, il giornalismo, l’arte (il cinema)?
La frase semplice di Roth, soggetto, predicato, complemento, ha effetto inevitabilmente crepuscolare. Può solo esprimere il riserbo, la contenutezza (per pudore, per morosità) di coloro che non combattono, o sbagliano senza alternative, cioè si dichiarano “vinti”.
Joseph Roth, Zipper e suo padre

giovedì 17 novembre 2011

Il governo benedetto

Leggendola col giornale forse più simpatetico, “la Repubblica”, la formazione del governo Monti è uno sgradevole già visto. “Due ore al Quirinale (due ore e mezza, n.d.r.) per trovare l’accordo sul ruolo di Passera”, Casini voleva per lui tre ministeri. Poi c’è l’intoppo Piero Gnudi, “protetto da Casini”, che anche per lui vuole un ministero. Poi c’è lo scoglio Esteri: “Monti vorrebbe Massolo o Aragona, Napolitano invece suggerisce Terzi di Sant’Agata”, per compiacere Fini. Anna Maria Cancellieri è “una prefetta di ferro”. È appena arrivata a Roma da Parma, e dice: “Ho avuto l’impressione di un bel gruppo di lavoro molto coeso”. Tre ministre sono poche, ma sono “di peso” – sembra una battuta berlusconiana. E “hanno le perle in comune” – altro berlusconismo. La Severino, poi, è avvocatessa di suo suocero Caltagirone, suo di Casini. Sotto il titolone: “Il governo dei 18 professori”, che invece ha 17 membri. Di cui sette professori: quattro consulenti, gli altri tre con deleghe al nulla.
Sembra una cronaca di regime. Non del ventennio, di vecchio regime democristiano. C’è anche il Vaticano benedicente, nella cronaca di “Repubblica”, del governo nel suo insieme, e dei tanti ministri buoni praticanti. “Festeggia il Forum delle associazioni cattoliche. C’è un «filo» bianco che lega l’esecutivo tecnico al cuore della Santa Sede e delle gerarchie vaticane”. Cancellieri è “prefetto di ferro” anche per il Vaticano, che pure dovrebbe conoscere un po’ di più la storia. E “Ratzinger apprezza la squadra Monti”, il papa in persona.
La sgradevolezza è che questo non è il conformismo della parrocchietta, ma di giornalisti molto ferrati, Liana Milella, Goffredo De Marchis, Francesco Bei, Alberto D’Argenio, Marco Ansaldo, Orazio La Rocca. Di un giornale che si vuole alfiere della società civile, coscienza della nuova sinistra democratica. Non è il vecchio telegiornale di quarant’anni fa. Anche l’editore di “Repubblica”, De Benedetti, che monopolizza il ”Corriere della sera” per dichiarare la sua fede neo guelfa, fin dalla prima ora, deluso dal Pd, di cui era stato la prima tessera, sembra più che altro un revenant.

Figli in carriera nel nome di ma contro i padri

Chiara Moroni che si mette con Fini, l’accusatore forse più feroce di suo padre, più dei giudici di Borrelli. Mario Calabresi che sbarca al giornalismo col gruppo l’Espresso, il circolo di punta Cederna-Scalfari nella criminalizzazione di suo padre. Benedetta Tobagi, che pure sottotitola “Storia di Mio Padre” la sua storia rosa sul terrorismo, “Come mi batte forte il cuore”, che si mette coi mandanti morali dell’assassinio di suo padre, senza mai farne cenno. Sono casi forti di una rivolta radicale: crudele, anzi cannibalesca, di figli che letteralmente straziano i padri. Anche perché non si saprebbe ridurla a casi isolati.
Benedetta Tobagi, Mario Calabresi, Chiara Moroni sono i casi più noti di figli che tradiscono i padri, ma non sono i soli. Il fatto si può dire anzi generazionale, non c’è più continuità nella famiglia, non solo nei mestieri e le professioni ma anche nei principi, che un tempo si perpetuavano per imprinting, naturalmente, senza un indirizzo pedagogico preciso.
Non è una colpa, in certi termini: un figlio non è obbligato a calarsi nei panni del padre, e anzi è meglio se non lo fa. È giusto ribellarsi, è giusto avere una vita propria. Non c’è scandalo in questo. Anche se, nei casi in esempio, tutt’e tre sono figli di genitori rispettabilissimi – compreso il commissario Calabresi, che pure fece male le indagini sugli attentati di Milano nel 1969, alla Fiera e alla Banca dell’Agricoltura, con la pista anarchica (ci saremmo risparmiati tanti lutti?). Non si può però pretendere d’indossare i panni del genitore nel mentre che lo si tradisce, per tradirlo meglio. Specie nelle professioni, giornalisti, medici, professori, magistrati.
Non si saprebbe farne loro una colpa anche per un altro motivo: sulla via del pentimento i percorsi sono molteplici – c’è pure un Sofri che si mette coi suoi persecutori. O si può dire che siano le ragioni di mercato: va il libro della pietas che cancella la verità – che però è la melassa berlusconiana, che attraverso Mondadori (Calabresi) e Einaudi (Tobagi), edulcora i veleni. Certo non è opportunismo.

Contro la svastica, apologia dell’impero

Ripubblicato per i cinquant’anni in supereconomica, è il romando della storia filosofica o controfattuale , del “se…”. L’Asse ha vinto la seconda guerra mondiale. Ma anche gli Alleati possono averla vinta, secondo un romanzo incuneato in quello principale – o almeno gli angloamericani, l’Urss qui non c’è. L’oracolo non ha preferenze in proposito, l’“I-Ching” o “Libro dei Mutamenti”, la “saggezza millenaria cinese”, che segna la verità della storia nei suoi momenti. È il romanzo più famoso di Dick, e il più fumoso – è l’unico dei suoi libri di successo di cui non è stato possibile fare il film.
L’Asse dunque ha vinto la seconda guerra mondiale, ma qui siamo al punto in cui si rompe. Una lettura sempre attraente dopo mezzo secolo. Con sorprendenti anticipazioni. C’è già l’opzione tra pacifica dell’America californiana, invece di quella transatlantica dell’America del New England. C’è già la Fortezza Europa, ben prima dell’euro: la presidia il Reich. Sono i tedeschi a fare, nel 1962, lo sbarco sulla Luna, anzi giù su Marte. Mentre in Africa, che hanno desertificato, sperimentano i trapianti le staminali. La Germania ha anche risolto “il problema degli anziani”, con l’eutanasia. C’è già Speer invadente, prima del suo autorilancio. C’è già il Grande Orecchio, il controllo diffuso attraverso confidenti e intercettazioni. C’è già, nel romanzo fattuale all’interno di quello controfattuale, la Cina “gigante”, il cui risveglio viene dagli Usa con televisori a un dollaro, le autostrade, le fabbriche, l’atomica: “E quel mercato, formato da una massa sterminata di cinesi, mise in movimento le fabbriche di Detroit e di Chicago”.
Il romanzo si legge per lunghi tratti anche sull’ironia, solitamente indigeribile nella narrazione lunga. Compresa l’ironia involontaria di un Giappone colto, civile, mite - la sola parte del romanzo che ha suscitato qualche riserva negli storici, seppure controfattuali, e nei critici. Le generazioni emergenti del Giappone, dei giovani ma anche del vecchio saggio Tagomi, “che non ricordavano i giorni prima della guerra, e nemmeno la guerra stessa”. E simboleggiano “la speranza del mondo”, la fine della guerra. La copertina di questa riedizione riprende un giornale tedesco che parla di truppe francesi in missione Unifil-Onu nel Sud del Libano – il moderno Stato imperiale della giustizia e dell’umanità. Che riecheggia la filosofia apatica, fatalista, dell’oracolo: “Perché lottare? Perché scegliere? Se le alternative sono sempre le stesse”.
Per molte cose il libro si rilegge però col sorriso. Tocca ancora al conte Ciano ammansire le belve naziste, “un uomo intelligente, affidabile, molto coraggioso, completamente votato alla distensione internazionale”. Gli Stati Uniti erano in declino “fin dalla prima guerra mondiale”: l’ideologia americana è la negazione, l’impero americano è riluttante. L’America californiana conquistata è una grande Napoli malapartiana: vi si trafficano falsi, copie, contraffazioni, cimeli, ricordini, memorie, “ogni cosa” – non sesso. L’unico americano che resiste in cuor suo, dopo aver fatto la guerra, è un ebreo che pensa e parla yiddisch, ed è alla fine apatico, fatalista, sembra un calco tedesco. Il Giappone, cessato l’effetto ironia, è quello della macchietta, che s’inchina sempre, arretrando. Quando non rientra nel solito Oriente – il Giappone può’ essere indifferentemente cinese… L’Occidente vi è curiosamente in disarmo, di fronte a un Oriente da burla. Mentre la Germania è un mondo a parte, come un giardino zoologico, un recinto di bestie feroci, imprevedibili.
È un romanzo più citato che letto? In chiave sovversiva, la storia controfattuale è solo ipotetica. “La svastica sul sole” si può dire invece – è – un’apologia imperialista, per quanto sottile. Non per nulla l’Urss nel 1962 è scomparsa, non se ne dice nulla, solo un paio di righe, a proposito di von Paulus che vince a Stalingrado. I veri nazisti, può argomentare un personaggio italiano, in una parte della storia in cui è ancora credibile, “erano uomini mille volte migliori degli industriali come Krupp e dei banchieri”, e insegnarono il valore della manualità, “la dignità del lavoro” – “per la prima volta ho visto le mie mani”.
Philip K. Dick, La svastica sul sole, Fanucci, pp. 302 € 4,90

mercoledì 16 novembre 2011

Il governo Monti-Passera, una farsa gonfia di tragedia

Il governo Monti-Passera nasce come una farsa. Nei tempi, nei personaggi (la giovane Cancellieri all’Interno, Piero Gnudi alla Gioventù…). Non per caso: il presidente Napolitano, che lo ha voluto, intende la “coesione nazionale” come un sostegno della destra a un governo che – dichiaratamente – si propone a capo del centrosinistra. Non se ne capisce la logica, e questo è il motivo di maggiore preoccupazione. Che i mercati hanno registrato immediatamente. Mentre Obama ha acuito i timori, dicendosi ora “molto” preoccupato per la tenuta dell’euro.
Cioè, la logica c’è, ed è quella dell’“impunità” che una certa politica pretende e di cui può godere nell’opinione pubblica per una sottostante ragnatela corruttiva, con le grandi proprietà e le grandi banche. Che può valere per l’Italia ma non naturalmente per i mercati, le banche, i fondi, gli operatori finanziari. Questo significa che l’Italia non si tirerà fuori dalla crisi dell’euro, e non tirerà l’euro fuori dalla crisi: ogni provvedimento di questo governo, anche minimo, andrà contrattato e ricontrattato allo sfinimento. Anche per l’esclusione conclamata del Sud (un sottosegretario, Catricalà, alle scartoffie, e un ammiraglio amico del presidente), mentre il Centro è ridotto a presenze tecniche, Clini, Barca, Catania. La posizione cruciale dei banchieri nel governo, Monti, Giarda e l’inquietante Passera, con Elsa Fornero (entrambi della stessa banca... ), potrebbe essere di ulteriore ostacolo. La farsa tanto invocata potrebbe finire in tragedia molto presto.

Il banco salterà a dicembre

Ma che combina Napolitano? Dà il governo graziosamente al partito neo guelfo ambrosiano. Parente prossimo della Csu bavarese. Al riparo delle grandi banche, Intesa e Unicredit. Che non lo mollerà più, perisca l’Italia con tutti gli italiani. Che tecnici? Questi sono funzionari, di un’imprenditoria ben precisa, della politica.
È questo che Soros prevedeva al suo solito infallibile ad agosto, in un articolo sulla “New York Review of Books” che questo sito ha censito, come “il climax della crisi”? Improbabile – probabilmente si riferiva all’effetto dello smobilizzo in massa dei titoli italiani effettuato dalle banche tedesche. Non c’è da almanaccare: Napolitano al solito s’è fatto abbindolare, allo snodo decisivo sempre sbaglia. Questa volta dall’Europa asfittica della Merkel. O forse dall’eterno pregiudizio antiberlusconiano: la scenetta della Merkel con Sarkozy, due mediocri in tutto, anche come attori, lo deve avere abbattuto. 

martedì 15 novembre 2011

Quando il Sud impresentabile è Milano

Un pamphlet che a suo tempo fece rumore, e riletto è un boomerang. È un attacco scomposto all’unione monetaria (euro), scambiata per l’apocalisse, evento mostruoso di forza terrificante. L’arte dell’invettiva non ha limiti, e tutto può rendere plausibile: su questo il libro fa opera di verità. Ma è falso – è sbagliato, e quindi è falso. Sfiora la verità dove si vuole reticente, perché teme l’accusa di razzismo: dove collega l’“impresentabilità del Sud” alla perdita d’identità. E invece oggi, brutta nemesi, il Sud è l’Italia, che il Nord Europa rifiuta e percuote brutalmente. Ed è un’Italia che il Nord ha violentato, Milano, che da un ventennio la governa.
Non che l’antropologa si privi di marchiare il Sud propriamente detto. Ha una teoria del “sudismo” come corruzione che fa perfino sorridere, passando sopra l’evidenza della corruzione nella sua Milano e nel Nord in genere, dalla Svizzera alla Scandinavia. C’è anche la teoria (anch’essa nordica? il nicodemismo è infettivo) che ogni evento nasce da un complotto.
Ida Magli, Contro l’Europa

Troppe coincidenze (non) fanno un complotto

Dopo una giornata di respiro venerdì – quando Berlusconi ancora non si era dimesso – lunedì sono scesi in campo, dal primo mattino, Weidmann, Schäuble e Olli Rehn, e la penalità per il Btp è tornata al nuovo record, quasi cinque punti e mezzo sul corrispettivo tedesco. I tre non hanno detto nulla di scandaloso, anzi hanno ribadito il già detto: l’Italia deve fare le riforme, l’Italia deve farcela da sola. Ma sapendo benissimo che per il solo fatto di ribadirlo avrebbe messo l’Italia in difficoltà. I tre sono tutte persone molto rappresentative infatti, e responsabili: il presidente della Bundesbank, il ministro delle Finanze di Berlino e il commissario europeo all’Economia Olli Rehn, tedesco di complemento. Sicuramente non hanno parlato a vanvera.
Naturalmente non c’è un complotto a danno dell’Italia. Un complotto sui mercati finanziari è anche impossibile, troppi i soggetti da coinvolgere. Ma i tre hanno parlato, che potevano benissimo non parlare: hanno scelto di parlare. E questo è tutto. Anzi no: i tre sono da tempo in posizione tale da sapere che i mercati si sarebbero necessariamente messi sulla loro traccia, ci sono perfino degli automatismi per questo. È il concetto di complotto che è fuori tema. Se due o tre persone che possono decidere decidono una cosa, per esempio far vendere i Btp alle loro banche e impedire alla Bce di comprarli, gli altri si adeguano, non sono mica stupidi. Senza complotto.

Fallimento mascherato a Unicredit

Nessun dubbio che Unicredit sia fallita, ma può non dirlo, e ricostituirsi con lo stesso nome, senza discontinuità. Da due anni non paga dividendi (quello 2010 sul 2009 era simbolico), per la quarta volta in tre anni chiede un aumento di capitale, questa volta per la cifra record di sette miliardi e mezzo (la metà di tutti gli aumenti, in un colpo solo), ha perso nel terzo trimestre quasi 500 milioni, a cui si sono aggiunte cancellazione per ben 8,8 miliardi, di tutte le spese faraoniche sostenute dalla gestione Profumo per creare la famosa banca europea, o transborder. Ma non si dice, e anzi se ne fa un vanto, nelle cronache e nei commenti.
La possibilità per la seconda maggiore banca di fingersi in bonis non è un male. Le banche di deposito non possono comunque fallire, e un trauma non è necessario. Ma l’informazione giusta ci vorrebbe. Per i depositanti, per i sottoscrittori, e per gli azionisti. Questi hanno perso in tre anni più di quanto abbia potuto perdere un azionista Alitalia, cioè praticamnte tutto l’investiment, se partivano dal 2008. E invece l’informazione è solo fatta dai padroni, nel caso la stessa Uniredit-Mediobanca. O, peggio, cronisti e commentatori non possono criticare Profumo, l’artefice del crack, perché si è dichiarato democratico, e anzi voleva fare il ministro.

lunedì 14 novembre 2011

Aridatece la fermata!, f.to Bersani

Bersani aveva pronte una serie di richieste per il momento in cui Berlusconi usciva di scena. E le ha subito messe in onda, online e nelle sue varie radio e televisioni. Una chiede il ritorno della fermata del bus in via del Plebiscito, dove Berlusconi risiede. “Invocato da abitanti e commercianti”, hanno segnalato con grandi articoli il “Messaggero”, il “Corriere della sera Roma” e “la Repubblica”. Abitanti che però non ci sono, l’unico residente in via del Plebiscito è Berlusconi. Mentre i negozi sono due. Di cui uno apre soprattutto su via del Corso.
Perché il fatto è degno di nota? Perché dice che con questa opposizione non si va lontano. Si pensa inventiva ed efficace con queste trovate, di cui non vede la miseria. Ma soprattutto perché conferma il riflesso condizionato. A venti e passa anni dalla caduta del sovietismo la parola del segretario è legge. Non c’è una Spectre, certo. Nessuno organizza né obbliga nessuno ad andare in strada per via del Plebiscito a raccogliere firme di cui non gli interessa nulla e che non servono a nulla – e che comunque non raccoglie: in nessun momento della giornata nessuno ha chiesto nulla, la foto devono averla fatta all’alba, come per i nudi quando erano proibiti. Ma la mobilitazione è lo stesso compatta. Soprattutto nei giornali.

Problemi di base - 80

spock

Che c’è dopo la fine del tempo? E prima?

Che c’era prima del tempo?

Chissà com’era la tradizione nel passato?

Se “nessuna saggezza può venire dalla rimozione dei rifiuti”, come vuole il filosofo (Franco Cassano), non sarà Napoli la capitale della filosofia?

Se la modernità sostituisce i rifiuti al passato, Napoli non ne sarà l’epicentro?

È il mistero che ha alimenta il mondo, o il mondo che si crea il mistero? Per ringiovanirsi?

Si simula ciò che non è, si dissimula ciò che è: Dio è simulatore, o dissimulatore? Sia pure onesto.

spock@antiit.eu

Santo subito

Inni a Monti dai giornali degli affaristi, “Repubblica”, “il Messaggero”, “la Stampa”, e da quelli di Milano, “Sole 24 Ore” e “Corriere della sera”, commossi, ispirati. Per un uomo che è stato solo commissario europeo negli anni 1990. Non è un buon viatico. Monti promette “sviluppo e equità”. Ma sulla fiducia dei padroni, rotti a tutto, e dei buoni credenti di Milano: dichiararlo “santo subito” per portarselo poi al guinzaglio.
Leggere per credere. Le mosse consigliate, anzi obbligate, che i loro giornali unanimi danno per scontate sono la tassazione dei piccoli (case e una tantum), e la vendita delle aziende pubbliche. Che porterebbe, la prima, alla caduta della domanda, l’unica forza che ancora tiene attiva l’economia. Ma bisogna essere un po’ robespierristi. Anche per coprire i grossi-piccoli affarucci che sono in agguato nella vendita accelerata delle aziende pubbliche.
Monti è un freddo, e quindi non se ne lascerà traviare. È questa la scommessa del presidente della Repubblica, che sa di quale pasta è fatto l’antiberlusconismo di comodo che ora festeggia. Come tutti, sa che le nuove tasse andrebbero a ridurre il disavanzo, non il debito. Con il rischio, appunto, di ridurre le entrate complessive. E naturalmente sa che il pareggio di bilancio non si ottiene con nuove tasse ma con la riduzione dello spread sui Btp.
Ma Monti è anche un uomo di Milano, Napolitano dovrà vigilare molto per tenerlo sulla strada giusta. Che è una sola, da troppo individuata (da troppo tempo: impraticabile? e perché?): 1) rimettere in moto l’Italia, stagnante dal 1992, vent’anni, portando finalmente alla crescita il pil, quindi la sostenibilità del debito; 2) mantenere il debito nei limiti già segnati da un bilancio da sempre in attivo primario, senza aggravare pericolosamente questo attivo. Ma per far crescere l’Italia bisognerà rifare le leggi del lavoro (mobilità) e della previdenza (costo del lavoro).