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giovedì 24 gennaio 2008

Non è Mani Pulite e può essere peggio

La reazione scomposta di Mastella e il mercato dei senatori monopolizzano l’attenzione, ma col fallimento di Prodi troppe cose vanno indietro. A Mani Pulite, si dice. Ma è peggio: il golpe giudiziario non portato a termine a Milano si completa in questa crisi col definitivo sbriciolamento della politica, che è la sola arma della giustizia. Restano i valori di destra, anche se sotto la forma dei Chavez e degli Ahmadinejad cari a certa mugwump, gli avvoltoi della sinistra: un calcio ai politici sarebbe plebiscitato in Italia, e in quella che conta, al Nord e al Centro, più che nell’Italia stracciona.
La sinistra, già minoritaria, si frantuma e si restringe. La sinistra, già minoritaria, si frantuma e si restringe. L’unico motivo che trova alla crisi è la legge elettorale, e questo dice tutto: è l’unica accusa che ancora sa formulare contro Berlusconi, Berlusconi è l’unica “cosa” di questa sinistra. Stanno a sinistra i capi dei partiti personali, Mastella, Di Pietro, Dini, e i senatori in crisi di coscienza, Fisichella, Turigliatto, Rame. Mentre l’ex Pci, Ds-Pd compresi, non ha ancora elaborato il lutto, localmente Togliatti è ben vivo. Il partito Democratico, sola alternativa a Berlusconi, va così a un naufragio peggiore delle attese. Che Prodi sfidi Veltroni con una lista propria interpartitica è da commedia di Pulcinella. Che Prodi tenti d’impedire a Napolitano, con la sfiducia al Senato, un ministero delle riforme, per andare invece subito al voto col suo governo dimissionario, questo è un suicidio da disperazione. Che questi mesi gli servano per rinnovare le grandi cariche di nomina pubblica è il segno evidente della degenerazione di questa politica, di una generazione e uno schieramento.
Tutto crolla in una settimana, perché era già marcio – tutto quello che non è Berlusconi e Fini. Il 16 gennaio imperavano ancora la spazzatura di Napoli e il papa alla Sapienza. Il 15, o il 14, i giudici di Milano che si protestavano “socialmente inutili”, l’humour dei balordi. Ma un mese prima, o due, Di Pietro e l’Associazione magistrati ultimavano: “Via Mastella dal governo”, a sostegno di De Magistris. Il dottor De Magistris, cui poi il Csm oserà togliere la giurisdizione, voleva condannati Prodi e Mastella, per un affare di massoneria sanmarinese….
L'esame di coscienza che la sinistra non si fa – da laici bisognerebbe dire autocoscienza? - è surrogata sempre con la sostituzione della questione morale alla politica. Cioè con la delega della politica ai giudici, i quali non hanno cultura democratica, e quando sono bravi sono sbirri: calcolatori, prepotenti, ingiusti. La colpa è persistente, ed è quindi evidente che la sinistra è sotto ricatto: lo vedono tutti che la corruzione si persegue solo in alcuni casi - e in altri è proprio della giustizia, quanta sporcizia nella Mani Pulite. I giudici sono il distillato del potere, l’Ersatz di democrazia che occupa la “seconda” Repubblica, dalla Rai al Csm e alla sanità (sindacati). Che non fa le cause, non condanna e non assolve, ma è il cuore dell’antipolitica. Una giustizia che definire politica sarebbe un complimento: è solo golpista, spesso non innocente. Ci sono colpe naturalmente, ma non è la politica che genera l’antipolitica. È ormai evidente che l’antipolitica – i giudici e i giornali, con i loro padroni – vuole distruggere la politica.

martedì 22 gennaio 2008

Prima della rivoluzione viene Mastella

Il 7 novembre del 1917, quando i bolscevichi s’impadronirono del potere a Mosca, la cosa passò inosservata in Italia. Giusto poche righe sul “Corriere” e l’“Avanti!” tre giorni dopo per darne notizia - il 24, poi, il ventiseienne Gramsci condannerà il fatto come una “rivoluzione contro “il Capitale”, “Il Capitale” di Marx, nell’edizione milanese dell’“Avanti!”. Così oggi, su tutti i giornali campeggia Mastella. Mentre il mondo va a rotoli.
Il 1917 si può capire: c’era stata da pochi giorni Caporetto, e l’Italia aveva quindi altro cui pensare. Ma tra Caporetto e la Rivoluzione d’ottobre c’era anche spazio per il signor Bonaventura, che debuttò sul “Corriere dei piccoli” il 28 ottobre. Oggi c’è spazio per Sarkozy, se la superbella Carla Bruni potrà o no accompagnarlo in India. E ancora per il papa, se poteva o non poteva andare alla Sapienza. Si può pensare che l’Italia abbia l’occhio anamorfico, e le cose le veda di sbieco. Oppure che sempre l’Italia, anche quella gloriosamente laica del Risorgimento, sia parrocchiale.

E' caduta senza reti

C’è la crisi della banche, e l’impossibilità di tenere le posizioni speculative a termine sui derivati, dietro l’uscita precipitosa dei capitali dalle Borse. Più che l’insufficienza del pacchetto fiscale di Bush, che impegna nel rilancio della domanda in America l’1 per cento del pil e non il 2-2,5 per cento come atteso, la fuga dalle Borse viene dalla maturata certezza di fallimenti bancari a catena, il salvataggio della Northern Rock a Londra non ha fatto testo. E dall’impossibilità di tenere le posizioni speculative al rialzo sulle materie prime, specie sul petrolio, a fronte della recessione e del crollo della domanda. Che colpirà fondamentalmente anch’essa le banche. Da qui la fuga precipitosa, nella convinzione che nessuno può a questo punto farci nulla, né le banche centrali né il G 8 o altra autorità di coordinamento.
Quella del 21 gennaio sarà stata la prima crisi, dopo il 1929, senza possibilità di governo, malgrado le tante reti di salvataggio apprestate. Le politiche monetarie, con cui la Fed e la Bce hanno governato brillantemente l’11 settembre e altre crisi, si ritengono oggi del tutto inadeguate alla profondità della voragine aperta dai mutui senza garanzia, che si aggrava ora con a mano a mano che le ricoperture con i derivati si manifestano in perdita – le operazioni sui derivati maturano progressivamente, e solo dopo un certo periodo si sa se si è guadagnato o perso.
La recessione, che il governo americano ha tentato di disinnescare col suo pacchetto di sgravi fiscali, e che nel quadro del crollo del 21 gennaio è l’aspetto minore della crisi, ha però innescato il crollo in arrivo dei derivati. Le operazioni sui prodotti finanziari derivati, swap, opzioni, future, tecnicamente servono a coprire un rischio oppure a diluire un debito. Sono swap gli accordi per la conversione di titoli, se ne classificano centinaia di tipi, una forma di riassicurazione. Future è un contratto con consegna differita, e in genere mai effettuata, di merci o valute, un gioco puramente speculativo. Che può funzionare anche al ribasso, ma allora con conveniente anticipo.

Crisi da copione, della commedia dell'arte

Rivista in sezione e nella tempistica, la crisi è da copione. Il partito Democratico vuole elezioni subito, per schiacciare la contestazione diessina, e prima di un congresso che ridia peso agli ex Dc rispetto agli ex Pci. Il processo all'Udeur, provocato da un esponente Pd, e la contemporanea convocazione dei referendum, fa scattare il grilletto Mastella, già dichiaratamente caricato comntro i rederendum stessi. Due mesi ora si perderanno per l'inutile constatazione che non si può rifare la legge elettorale - o anche per farla, ma su base fortemente bipolare e maggioritaria, seppure col proporzionale. Quanto è necessario per aprire i comizi elettorale e votare a maggio o a giugno.
Nei fatti si va per improvvisazione. Il Procuratore Capo di Capua è bene un signore capace di arrestare tutto l'Udeur. Mastella ha tutto da guadagnare e niente da perdere dalla elezioni. Veltroni invece potrebbe perdere tutto subito: l'inveitabole sconfitta dle centrosinistra sarà anche la sconfitta del Pd, anche se dal 25 per cento del voto salisse al 30 invece di scendere al 20. Ma è bene questo un copione, quello della commedia dell'arte, con personaggi eterni che "improvvisano", cioè si ripetono.

Berlusconi non vuole il governo della crisi

Meglio un governo delle riforme, ma che duri qualche mese. Possibilmente non con Prodi, per evitare che si riqualifichi uomo di centro, e non più arcigno alfiere di tasse e balzelli. Ma comunque evitare le elezioni subito. Che lo spingerebbero a prendere il governo del paese in un altro periodo di profonda crisi economica internazionale. Sarebbe ora Berlusconi a volere assolutamente evitare le elezioni nel 2008.
Berlusconi, che non esterna volentieri i suoi pensieri ai collaboratori, questa volta s’è lasciato andare. È una malasorte, avrebbe detto sorridendo, vincere le elezioni ogni volta al peggio di una crisi economica mondiale, nel 2001 con la Germania in ginocchio, ora con gli Stati Uniti all’orlo del fallimento. “Se la sbrighino loro”, dice in sostanza, e si appresterebbe a confermare al presidente della Repubblica nelle consultazioni. Chiedendo elezioni anticipate solo per l’apparenza.
Berlusconi segue insomma la regola della vecchia Dc. Nei governi di coalizione proporzionali la Dc volentieri si ritirava in secondo piano, mettendo avanti i socialisti e i repubblicani, quando le cose non andavano bene.