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sabato 18 novembre 2023

Il debito della Germania e quello dell’Italia, che senso ha

Il ministro tedesco dell’Economia Lindner non vuole un patto di stabilità flessibile, perché preoccupato dal debito italiano. Frena quindi sulla definizione del nuova patto di stabilità, che pure va varato a giorni. Mentre in contemporanea la Corte costituzionale tedesca lo sanziona per aver postato illegalmente 60 miliardi di spesa in debito in “veicoli fuori bilancio”.
Il ministro fa il duro, dicono i commenti, per recuperare qualche voto al suo partito, Liberale, il partito anti-Stato, che naviga sotto la soglia di sopravvivenza, il 5 per cento dei suffragi.
Furbo Lindner, a spese dell’Italia, della Ue e in fondo della stessa Germania? No, la Germania bara da sempre sui conti pubblici. Non contabilizza i cosiddetti “fondi speciali”, attualmente 800 miliardi (770 per esattezza, secondo i calcoli che sono circolati). di spesa pubblica, Sondervermöogen”: li tiene fuori bilancio finché non vengono spesi. Una inversione contabile dei “residui passivi”, i fondi impegnati e non spesi: invece che pesi sulla contabilità nazionale, diventano vantaggi. Col beneplacito della Commissione Europea.
Una politica contabile europea di sotterfugi, a vantaggio della Germania e a svantaggio dell’Italia, che senso ha?

Lo sciopero di Landini, che senso ha

Le agenzie di valutazione confermano il rating dell’Italia e migliorano l’outlook. Ma “la Repubblica”, il “Corriere della sera”, un po’ anche “Il Sole 24 Ore”, con ben due specialisti,  mantengono le riserve. Che senso ha?
“Guerra dei numerri sullo sciopero”  - “la Repubblica”, “Corriere della sera”. Mentre si sa che l’adesione spontanea è stata bassissima, dove ognuno la riscontra, a scuola, nei trasporti. Che senso ha?
Alla manifestazione per lo sciopero Cgil e Uil, a Piazza del Popolo a Roma, “il leader Cgil Landini attacca sul premierato”. Uno sciopero contro il premierato, che senso ha?
Il momento culminante della manifestazione Cgil-Uil a Piazza del Popolo a Roma è stato quando ha voluto parlare la studentessa Claudia Caporusso, dell’associazione universitaria Sapienza Futura: fischi e contestazioni. Organizzati dal Pd romano, covo da sempre minaccioso.

La vita rinasce nell'agape

Un racconto in stato di grazia: la vita povera, orgogliosa (di pregiudizi) e miserevole, di un mondo  senza futuro, alla periferia di una città deindustrializzata (Durham,  Nord-Est estremo delI’Inghilterra, al confine con la Scozia invece fiorente), di case dall’entrata stretta per difendersi dal freddo, unico punto d’incontro il pub per la solita birra quotidiana, tra i compagni e le conversazioni di sempre, si rianima per la collocazione nelle case disabitate di profughi dalla Siria, donne per lo più con i figli – i mariti essendo stati uccisi o carcerati seviziati. Dopo la prima reazione di rifiuto, con le note argomentazioni, la smorta periferia trapassa all’accettazione. Ma, di più, a un senso ritrovato di comunità. Di umanità.
In stato di grazia Loach, che considera il film la sua ultima fatica, avviandosi verso i novant’anni. Grazie al lavoro del “suo” sceneggiatore di sempre, Paul Laverty, vent’anni di meno. E ai protagonisti che si è scelto, il corpulento Dave Turner, e la debuttante Ebla Mari, siriana drusa, attrice e regista al suo paese, convincente ragazza siriana grazie agli occhi verdi e alle sopracciglia nere – gente di mestiere, venendo dal teatro, come usa nella cinematografia inglese, e non dal Grande Fratello. A tratti perfino emozionante.
Il miracolo si compie gradualmente, come per decorso naturale. Tra persone che più non vivevano, da anni, da decenni, se non rimuginando il tempo che fu, e più volentieri quello dei padri, del “buon tempo antico”. Su uno dei detti del padre del protagonista, il Turner barista del pub “The old Oak”, “when you eat together you stick together”, mangiare insieme per restare uniti - che è poi la agape del primo cristianesimo. La cucina è la cura di ogni dolore per le madri siriane, anche della morte degli uomini lontani, e i locali finiscono per (ri)scoprirne i benefici. Una iniezione di vita.   
Il mono-ambiente, piccolo, comune, si presta alla compassione e alle complicità – fa fede il film cult dello scrittore Auster, “Smoke”, del tabaccaio a Brooklyn. Ma qui un Loach senza più gli aculei del Diamat scopre - fa scoprire al suo pubblico, un po’ perplesso – le passioni dentro il precetto (l’abitudine, l’ideologia, l’inerzia mentale). E il culmine di questo senso ritrovato della comunità (dell’umanità) proietta nella cattedrale di Durham, il “monumento costruito dai Normanni, mille anni fa”. Che ingigantisce, maestoso. Senza le deprecazioni d’uso, il lavoro schiavistico, lo sfruttamento, l’esibizione di ricchezza, optando per l’elogio, dell’impegno di tanti, della determinazione, della santità del lavoro. E impreziosisce in finale con una processione, evento “mediterraneo” ma non fuori posto, simboleggiando l’unità, la comunità.
Ken Loach,
The old Oak

venerdì 17 novembre 2023

La popolazione europea cresce solo con l’immigrazione

Tutta l’Europa di Schengen, i 27 paesi Ue più Norvegia, Svizzera, Islanda e Liechtenstein, ha una popolazione naturale in contrazione. Alcuni hanno una popolazione residente in calo anche al lordo dell’immigrazione, per prima l’Italia.
I paesi di immigrazione più antica e stabilizzata registrano però una popolazione stabile  in aumento, anche se lieve. Francia, Germania, Svizzera, Belgio, Olanda, e da qualche anno anche la Norvegia, hano un “saldo naturale” della popolazione positivo, anche se per numeri marginali, per effetto dell’immigrazione stabilizzata.
La Gran Bretagna non è censita da Eurostat in quanto al di fuori della Ue e di Schengen , ma è, in base ai suoni dati censitari, il paese col più forte aumento demografico nel Millennio, dai 54 milioni del censimento 1991 ai 59 del Duemila, ai circa 68 milioni di oggi.

La Germania segreta di Heidegger, senza gli ebrei

Se Heidegger era antisemita. Sì, lo era, ma spiritualmente, metafisicamente. Aborriva inece il razzismo biologico, per molteplici dichiarazioni. Ebbe anche amanti ebree, va aggiunto, cui rimase attaccato, per di più filosofe, quindi anche l’antisemitismo metafisico potrebbe essere contestabile – ma è vero che non leggeva le riflessioni delle amanti, nemmeno di Hannah Arendt lesse mai niente.
L’ebraismo (Judentum) Heidegger sanziona insieme con la meccanizzazione (tecnologia) e con la denazionalizzazione (cosmopolitismo, mondialismo). E non in sé, come fede o insieme di valori, ma come razza-non-razza, in quanto sprovvista di domesticità, di luogo e destino comune, di patria o terra natia, e di un sentito collettivo. Senz’altro è così che Heidegger la pensa. Ma questo esaurisce il suo problema del Judentum, che ha voluto riproporre nei “Quaderni neri”, gli appunti organizzati, che ha lasciato pronti per la pubblicazione?
“Chi siamo noi?” è quesito che lo accompagna dagli inizi, da prima ancora di “Essere e tempo”, nota Escudero: “«Essere e tempo» descrive i modi di essere insieme autentici e inautentici con cui ogni persona realizza la sua storia, identità e individualità… Una delle parole-chiave nel regno del pensiero di Heidegger, non sempre visibile, è il «Sé» nelle sue diverse modalità di essere io stesso, te stesso, noi stessi, essi stessi e voi stessi”. Insomma, il “il sé possiede una peculiare priorità ontologica”. Da qui il “chi siamo noi”. Che diventa con “Essere e tempo”, e più ancora con  i corsi del 1935 su Hölderlin, in una anche col sentito culturale nazionale, la ricerca del germanesimo, del Deutschtum. Che Heidegger svolge attorno al poeta sui temi della patria, della terra, del territorio, del sangue. Con riferimenti alla nozione di “Germania segreta”, la Germania a venire, un “luogo comune del romanticismo”, riproposto dopo la Grande Guerra dal Circolo Stefan George – non solo Hölderlin, “tra gli altri Fichte, Schiller, Herder, e Heine invocano la grande, misteriosa, nascosta e anonima Germania a venire”.
Qesto è indubbio. “Questa segreta Germania spirituale”, può rilevare Escudero, “è citata apertamente in «L’università tedesca», un discoso del 1934 indirizzato agli studenti stranieri”. Heidegger vi evoca una Germania in cui, a suo dire, “poeti e pensatori cerarono un nuovo mondo spirituale nel quale la prevalenza della natura e i poteri della storia erano ripensati e presentati in una forte unità nell’essenza dell’assoluto” . Tre specie di grandi spiriti che operarono tra il 1770 e il 1830, sempre nelle parole di Heidegger: “1) La nuova poesia tedesca (Klopstock, Herder, Goethe, Schiller e i Romantici); 2) la nuova filosofia tedesca (Kant, Fichte, Schleiermacher, Schelling, Hegel); 3) la nuova politica tedesca di statisti e soldati prussiani (Freiherr von Stein, Hardenberg, Humboldt, Gneisenau, e Clausewitz)”.
L’impressione è netta che, metafisica o non metafisica, Heidegger ce l’aveva con gli ebrei perché erano i soli in Germania che facevano filosofia nei suoi anni – a cominciare dal “padre” putativo rinnegato Husserl. I soli, che forse non leggeva anche se suoi tifosi, ma di cui sapeva l’esistenza, di altra filosofia non degnandosi – solo di qualche remoto greco classico  (l’assenza di altra filosofia contemporanea, o non tedesca, nella riflessione di Heidegger è tema ancora vergine, anche se sterminato). Una spiega riduttiva, perfino banale, ma altre non ce n’è. Per quanto i suoi allievi a distanza s’ingegnino, non c’è una “metafisica ebraica” da cui Heidegger si distanzia, nei suoi scritti non si vede e non c’è, mentre c’erano dei filosofi, ebrei di madre, che gli davano fastidio, anche suoi allievi. In fondo, nei “Quaderni neri” lo dice quasi esplicito, e anche altrove – dichiarato si direbbe per il suo modo aggrovigliato di esprimersi: non vuole che altri, che sono quasi soltanto ebrei, s’intromettano, nella questione dell’essere. Ci saranno stati degli ebrei che non gli erano simpatici, ma il Judentum  che lo ossessiona sono i tanti filosofi tedeschi ebrei. La Germania “segreta” era tanto più  idealizzata perché gli ebrei non s’intromettevano.  
Jesùs Adrián Escudero,
“Who are We – the Germans?”  Heidegger on the Germans and the Jewish People, Academia-edu

giovedì 16 novembre 2023

Letture - 537

letterautore


Corrado Alvaro
– Progettava un poema di diecimila versi, che non portò a termine (e di cui si sono perse le tracce anche negli inediti?). Ne parla in un’intervista nel 1935, e in due lettere a Valentino Bompiani, in qualità di editore, nel 1938 e nel 1939.


Autofiction
- “Il più bel cielo stellato ci appare vuoto, se visto attraverso un cannocchiale rovesciato”, Georg Christoph Lichtenberg, D 469.


DanteSu “Dante e l’islam” stabiliva il giusto criterio Umberto Eco in un articolo su  “l’Espresso” il 18 dicembre 2014, un commento alla riedizione Luni della ricerca di Asìn Palacios. Di cui molto apprezzava l’erudizione, e la “scrittura piacevole”. Eco dà molto credito a Maria Corti, la filologa di Pavia “che molto si era battuta per riconoscere la presenza di queste fonti mussulmane nell’opera di Dante”. Ma dopo avere spiegato l’intrico di conoscenze in quei secoli, malgrado le guerre tra cristiani e mussulmani. Ed elencato in dettaglio una serie di probabili altre fonti – oltre quelle, compreso Brunetto Latini che di D ante era stato maestro, che avevano tradotto o comunque mediato i acconti arabo-mussulmani. Una piccola parte di “molte visioni medievali, dove si raccontava di visite ai regni dell’oltretomba. Sono la “Vita di san Macario romano”,  il “Viaggio di tre santi monaci al paradiso terrestre”, la “Visione di Tugdalo”, “sino alla leggenda del Pozzo di San Patrizio”.
Dio, patria, famiglia – È un motto mazziniano. Laico – di sinistra?

Manzoni - Fu linguista, di rara perspicacia, oltre che storico e moralista (filosofo) – e naturalmente quello per cui è celebrato, poeta, drammaturgo (tragediografo), romanziere. Una lettera da lui inviata l’11 luglio 1843 allo storico francese Jean-Joseph Poujoulat che preparava una “Histoire de Saint Augustin”, da Poujoulat pubblicata in appendice alla prima edizione del  libro l’anno successivo, fa chiarezza con sicuri criteri che “Cassiciacum”, il luogo lombardo dove Agostino si trasferì con la famiglia da catecumeno cristiano, per prepararsi al battesimo, era l’odierno Casciago,  e non Cassago – come allora si pretendeva, e si ancora si pretende. Contestato subito da un monsignore della Biblioteca Ambrosiana, Luigi Braghi, Manzoni scomparve dalla riedizione dello studio di Poujoulat. Ma la lettera resta –la recupera Gianni Santucci “La Lettura” di domenica 12: “Difficile credere che la desinenza in ago…, alterazione naturale di acum, abbia potuto sostituirsi a iciacum, facendo sparire una sillaba di suono così marcato”. Nel passaggio dal latino al volgare, argomenta Manzoni, ago sostituisce acum o agum, iacum o iagum, ma non erode la consonante precedente. E fa gli esempi, di Biliagum diventata Bellinzago e non Belago, di Ambrecianum diventata Imbersago e non Imbrago. Da qui il percorso Cassiciacum-Cassiciago-Cassciago-Casciago: “Non vi sarebbe stato altro mutamento che la semplice soppressione della i: cosa abbastanza ordinaria nel milanese”.

Narcisismo - È sigillo dell’epoca, Willy Pasini. “Diventeremo tutti fluidi?” chiede allo psicoterapeuta Candida Morvillo sul “Corriere della sera”. Risposta: “Si va in questa direzione, che non è fluidità ma narcisismo: oggi, conta il desiderio, che parte da Sè, l’oggetto d’amore è intercambiabile”.

Piacere – Quello sessuale è solo naturale, conclude il fisico pensatore Lichtenberg: “La rete divisoria tra piacere e peccato è così sottile che anche la corrente del lentissimo sangue di un settantenne può infrangerla. E allora? La natura vuole allora ciò che non vuole? O la ragione pensa ciò che non può pensare? Follia!” B 334.
“Se la natura non avesse voluto che la testa desse retta alle esigenze del basso ventre, che bisogno avrebbe avuto di collegare la testa con il basso ventre?” B323 – “questo, senza fare propriamente ciò che si chiama peccato, avrebbe potuto satollarsi e accoppiarsi a sazietà, mentre la testa, senza il corpo, sarebbe stata libera di costruire sistemi, fare astrazioni e, senza vino e amore, cantare e chiacchierare. Avvelenando i baci, la natura ha fatto molto peggio dei nemici che, in guerra, avvelenano le frecce”.
 
Repubblica ideale – “Nella Repubblica dei dotti ognuno vuole comandare: non vi sono capi e questo è male. Ogni generale deve per così dire preparare il piano, montare la guardia, ramazzare e andare a prendere l’acqua. Nessun vuol dare una mano all’altro”, G.F.Lichtenberg, “Lo scandaglio dell’anima”, D 483.
 
Rubens – “Too much meat!” era il commento anonimo sui muri esterni di una mostra a Anversa   -qualche decennio fa, del pittore ora celebrato a Roma e Mantova, oltre che a Genova - troppa ciccia. Su”Robinson” Melania Mazzucco ne celebra la ricerca della bellezza e della classicità, ma in fatto di figure femminili dipinge soprattutto poignets d’amour  e celluliti.  
 
Serie tv – Sono il nuovo romanzo popolare per Carlo Verdone, che esemplifica (nella presentazione al libro di Mario Sesti, “Le 250 serie tv da non perdere”) citando “I Soprano”, “Mad Men” o “Il trono di spade”, e li appaia a Dickens. Altrettanto fluviali nell’esperienza “binge whatching”, la visione di seguito delle serie, invece che a puntate. E James Gandolfini (“I Soprano”), Michelle Dockery (“Donwnton Abbey”) o Vanessa Scalera (“Imma Tataranni”), attori non specialmente identificati prima della serie, con essa di colpo divenuti “una presenza familiare per chiunque”. Come i personaggi del “Copperfield”, sottinteso, o del “Canto di Natale”.
Dumas naturalmente si può aggiungere all’elenco dei “seriali” ottocenteschi, forse Salgari, il Victor Hugo dei “Miserabili”, l’Eugéne Sue dei “Misteri di Parigi”. E ricordare che erano romanzi quasi tutti a puntate, seriali, scritti appositamente per reggere il fondo pagina del quotidiano, legandosi senza problemi per il lettore con la puntata precedente e con quella seguente.
 
Tutto, secondo Verdone, assommano le serie tv. Anche i progetti incompiuti dei grandi registi del passato, “da Buñuel a Fellini, da De Sica a Kubrik, da John Ford a Sergio Leone”, che “hanno sempre, in sordina, lamentato le dimensioni limitate” del fil in sala, “quelle (quasi) due ore (o poco più” di proiezioni. E le “forme e stili del racconto e del linguaggio cinematografico che per certi versi appartenevano alla sua archeologia: il flashback…, il montaggio alternato…, il cliffhanger”. E la reinvenzione dei titoli di testa. Un’ubriacatura.
Verdone non mette nella serialità-romanzo popolare il personaggio eponimo del genere, lo Zingaretti-Montalbano, che è anche l’identificazione più radicata: c’è un perché?
 
Suicidi – Nelle lettere e le arti sono, possono essere, “performativi”, un fare dopo tanto immaginare e scrivere? Leonetta Bentivoglio rivisita i suicidi di Anne Sexton, maga-strega della poesia americana di metà Novecento e della sua “amica-rivale” Sylvia Plath, giovane madre di famiglia e lady cooptata dell’upper class britannica, entrambe allieve di Robert Lowell, “fondatore della «poesia confessionale»”, come forme di teatro: “Mentre Sylvia infilò la testa nel forno dopo aver preparato accudenti tazze di latte caldo per i suoi bambini (suicidio da presepe domestico), Anne, più provocante e diva, si spogliò nuda, indossò una pelliccia della madre, brindò con un bicchiere di vodca, e si fece divorare  dal monossido si carbonio in garage (suicidio da femme fatale)” – “Anne Sexton, scandalosa strega”, “Robinson”, 12 novembre. Anne, “scandalosa e promiscua”, alle lezioni da Lowell “si presentava ingioiellata, impellicciata, truccatissima e ubriaca”.


letterautore@antiit.eu

Corsa all’eredità, per ridere, controvoglia

Una commedia che dovrebbe essere brillante, sui nipoti che accorrono al capezzale della zia ricca morente (Agel Musco ci provava novant’anni fa col suo primo film parlato, “L’eredità dello zio buonanima”, col regista Amleto Palermi), con trovate anche brillanti, con attori di mestiere e carisma (Kathleeen Turner, Toni Collette,  David Duchovny, Anna Fanis, che viene svolta sottotono e quasi controvoglia. E non s ne può fare torto alla sceneggiatura, è di mano dello stesso regista.
Una produzione Sky, forse per il pubblico americano.
Dean Craig,
The Estate, Sky Cinema

mercoledì 15 novembre 2023

Secondi pensieri - 528

zeulig


Dialettica
- Il triangolo dialettico non è ridicolo: sponda, controsponda, carambola. Qui siamo e qui restiamo.
 
Essere
– È  divenire, certo, è in progress.
Divenire, cioè tutto scorre, ma da dove a dove? Da nessun inizio a nessuna fine - dal nulla al nulla? È la macchina del vento. L’essere, certo, è il divenire, ma non per questo più consistente, e nemmeno logico.
Ciò che non è è ciò di cui non si può dire. Lo dice Wittgenstein ma lo sapeva gia Parmenide, in Platone. Questo è il paradosso dei paradossi, per chi si di-letta di logica, che non ha mai inventato nulla, nemmeno nel senso di tro-vato. L’origine ama nascondersi. L’ignoranza, meglio nasconderla.
 
Marxismo
– Era minato, ben prima del crollo del sovietismo, dagli stessi suoi seguaci , anche se eretici. La filosofia della prassi di Gentile liberava il marxismo dalle incrostazioni, naturalistiche, pa-leo materialiste, idealiste, e con Gramsci delineava il marxismo migliore: la filosofia è rivoluzione. Ma i risultati non hanno cessato di essere catastrofici, sia pure sotto la specie fascista-sovietica: la filosofia del primato del divenire, o della rivoluzione totale, si è rovesciata nel nichilismo.
Il nichilismo si imputa a Nietzsche ma il poveretto non c’entra, impazzì per essersi battuto contro questo avvento per lui chiarissimo. Heidegger semmai, che ne è l’esegeta, ne è anche testimone, se non attore. Una filosofia che, aspettando la rivoluzione, non spiega la storia è un errore o un trucco, non spiegandosi i totalitarismi se non come una parentesi. Mentre una civiltà che al suo culmine stermina ebrei, zigani, kulaki e ogni indifeso, deve far riflettere.
Anche perché, se il sovietismo si è dovuto arrendere al mercato, al consumismo, il fascismo essenzialmente si è sconfitto, per l’impazienza di Hitler. Dopo essere stato fenomeno mondiale, dice bene Croce: “In tutto il mondo contemporaneo si è celebrato il Superuomo e il Duce”. E dunque non si può liquidarlo. E non nel senso dell’irrompere nella storia dell’Anticristo, il diavolo, il male assoluto, ma in senso storico: non è la barbarie dei pochi, è la mostruosità di una cultura si vuole rivoluzionaria, radicalmente nuova, antiborghese, irreligiosa, di massa. Alla fine del tempo non c’è la perfetta società socialista, ma magnaccia e iene ridenti. 
 
Nichilismo - Heidegger, intricandolo, l’annienta. Annienta il niente, dietro, sopra, sotto di esso prospettando profondità e anzi abissi. Ma questa saracinesca tra l’io e la vita, tra l’io e la verità, e la disarticolazione conseguente dell’io, hanno radice filosofica? O non sono una vendetta della realtà sull’io factotum? Di certo si radicano nel grasso. Il nichilismo viene con l’affluenza, là dove e quando, per la prima volta nella storia, la borghesia ne è il motore, la creazione della ricchezza. Il nichilismo è filosofia da sazietà. Quando la malattia e la fame sono vinti, il filosofo e il poeta si guardano l’ombelico e si annoiano. Pensano il pensiero del pensiero, la lingua della lingua, la poesia della poesia. E gli gira la testa, se scopano si contano le pulsazioni. Si filosofa ora nella brousse, negli Urali, e forse nel Gobi.
Il nichilismo è categoria reazionaria, l’abominio dell’esistente, non innova, non libera, e non esplora. “Esser-là” nell’esistenza, lo diceva Jean Paul per scherzo. Il nichilismo d’autore suona falso. Per l’argomen-to da che pulpito la predica, non del tutto volgare. Tale è la cura che la scrittura richiede, per creare, diffondere, spiegare: non è roba da stanchi, o angosciati. Un professore universitario, quali sono i filosofi oggi, ha poi impegni pratici doppi, con le fotocopiatrici e le sessioni d’esame.
Si trova nelle pieghe più sorprendenti, per esempio il nichilismo gesuita. O di Brecht, cresciuto dai gesuiti, figlio di amministratore delegato, che ne mantiene il nichilismo radicale, nel furore pedagogico.
 
Oggettivo – Il termine chiave del lessico marxiano, ora defunto ma dominante fino al crollo  del sovietismo, sta per “destinale”, “destino”? Nella lettura del marxista Canfora nel ciclo di conferenze tematiche “Le parole della storia” (sul tema “libertà”, dopo “Risorgimento” e “fascismo”), tenuto a Bari, riprodotta sul “Corriere della sera”. Indica l’insieme dei “«condizionamenti» che stanno alla base di decisioni apparentemente «libere»”. Questo già nella classicità,  quando l’articolazione della società tra “liberi” e  “schiavi” consentiva ai privilegiati, pochi secondo alcune scuole,per esempio gli stoici, di essere “liberi” – “da vincoli, condizionamenti, bisogni fittizi, ambizioni, etc.”. Per questo la libertà è “una faticosa marcia”, “un processo perenne che non avrà mai fine pur essendo ineludibile e necessario”. Un pessimismo o messianismo che Marx avrebbe sicuramente avversato: la libertà è qui e ora, a ogni istante in ogni avversità, oggettiva oppure no. In uno stesso paesaggio ma con approccio diverso – di azione e non di riflessione, di riflessione per l’azione.
 
Verità - È “nelle sfumature”, spiega George Brandes a Nietzsche nella prima lettera che gli scriveva: “Lei è molto tedesco. Il suo spirito, di regola così brillante, sembra venire meno quando la verità è nella sfumatura”.
Brandes, di nascita Cohen, poi filologo anche italianista, e punto di riferimento dei letterati danesi primo Novecento (“scoprì” Karen Blixen, ne valorizzò I raconti), veniva dalla frequentazione di Kierkegaard, certo meno epigrammatico di Nietzsche.
 
Si può essere bugiardi e dire la verità.
La verità è che non c’è la verità.

zeulig@antiit.eu

Se ci vuole una “cultura del Sud” nell'Italia leghista

In questo che si annuncia come un primo volume, le benemerite edizioni “Local Genius. Giornale delle Identità Territoriali”, che hanno meritoriamente ripubblicato, a larga diffusione, in volumi curati,  l’“Ulisse in Italia” di Armin W olf, le vere storie dei “Briganti di Calabria”,  e “Il terremoto del 1783”, propone cinque schede bibliografiche di personaggi calabresi della cultura, Pitagora, Cassiodoro, Gioacchino da Fiore, Campanella e Telesio, di Antonela Iacobino, e una ventina di schede di altri personaggi (ricompresi Campanella e Telesio) tratte da altri autori. Una scelta varia, che va da Zenone al Tasso, al Bernini e allo Spagnoletto (Juepe de Ribera).
Una proposta curiosa, dacché non esiste una cultura “calabrese”, o “meridionale”, avulsa da quella italiana ed europea. Se non come luogo di nascita, o di esercizio, per qualche verso o tempo, della professione. È come se l’Italia vivesse sempre sotto l’impronta leghista, del Lombardo-Veneto che quarant’anni fa provò a riformulare l’unità sulla sola base del disprezzo del Sud. Sempre in trincea, a giustificarsi, a dimostrare qualcosa, sempre in difesa.
È anche vero che i personaggi di allora volteggiano ancora sopra la nostra testa. Tipo l’incredibile Calderoli, oggi affabile ministro delle velenose autonomie regionali. Il leghismo è un impeto calcolatore, molto – furbo e non passionale. E certo va contrastato in ogni piega, non si sa mai, tanto è subdolo.
Antonella Iacobino (a cura di), La Calabria e il Sud. Grandi personaggi
, Local Genius, pp. 274 € 10

martedì 14 novembre 2023

Problemi di base mortuari - 776

spock

Un malato terminale soffre meno se muore?
 
Chi non soffre meno se muore?
 
“Che una malattia sia inguaribile non vuol dire che la persona non è curabile”, Eugenia Roccella?
 
S i vive più intensamente morendo?
 
Scompare, è scomparso, perché? i morti scompaiono?
 
Sono i porci che si mangiano i figli?

spock@antiit.eu

Cortellesi straripante, comica e tragica

Un drama-comedy sul maschilismo, a Roma, ancora occupata dagli Alleati. Un po’ triste ma non disperato - il peggio del marito manesco è un balletto: l’uomo ha bisogno di ballare per colpire la moglie.
Mimando il neo-realismo, bianco e nero e schermo quadrato, su un tema zavattiniano – che non si può dire – Cortellesi sceneggiatrice, oltre che regista, ricostruisce Roma nel 1945, con gli americani, i caseggiati, le famiglie, le amicizie, le code al panificio, le malelingue, i suoceri importuni, i fidanzamenti pomposi, le visite di condoglianze per un caffè, e altre minuzie, basandosi sui ricordi, dice, di madre e nonne. Non un film sul maschilismo in realtà, il marito-Mastandrea è una macchietta, sempre esagerato: saluta la moglie con un ceffone alzandosi la mattina (è la primissima scena), fa il balletto, è ridotto un cencio dal padre autoritario che gli occupa la casa, s’inginocchia in piazza disperato quando il padre muore…. Il quadro cupo e violento è di fatto lieve, per l’aneddotica, e per l’esito della storia: la rivincita delle donne è sottile, fiabesca – una vera scena da film neorealista. Cortellesi insomma non rinuncia alla sua cifra, di solida anche se lieve ironia - alla sua maschera di stupore. Una autoconsacrazione
Il miracolo del film è il successo grande di pubblico. Di una certa età, ma sempre affollato, a tre settimane dall’uscita. C’è Roma com’era, un amarcord quindi. Ma questo vale per Roma, e a Roma per i romani che c’erano, mentre il film è visto ovunque. La chiave del successo è probabilmente Cortellesi stessa come protagonista: regge tutte le scene, in una moltitudine di espressioni. Forse avvantaggiata dal controluce dell’attrice-notoriamente-comica. Ma l’effetto è magnetico.
La regia è aggiornata alle ultime tendenze. Con la scena quadrata appunto, e il ripristino dei “titoli  di testa”, la scena che li precede, che introduce il film e mette lo spettatore sulla sua lunghezza d’onda.
Paola Cortellesi,
C’è ancora domani

lunedì 13 novembre 2023

Se l’Ucraina ci va bene anche mutilata

Il segretario della Nato Rasmussen, cioè l’America, sparge la voce che l’Ucraina può entrare nella Nato senza i territori annessi dalla Russia. Cioè, un’Ucraina mutilata per servire agli interessi occidentali, americani. A una politica attiva di accerchiamento della Russia, tramite gli Stati limitrofi, Polonia, Moldavia. Georgia, Baltici e Ucraina, e se possibile Turchia e Medio Oriente turcofono.
Rasmussen parla dopo che Zelensky, il presidente che impersona la guerra giusta ucraina, di difesa dell’integrità territoriale, è criticato dal comandante dell’esercito, Zaluzhny. Criticato apertamente, cioè con parole forti e in pubblico.
Non è la prima stranezza di questa guerra, che vede l’Ucraina sacrificata, ma non si sa a che cosa – il sentiment antirusso non vi attecchisce, malgrado tutto.

Per Landini sindaco, ex sindacato

Salvini rimprovera a Landini, che ha chiamato lo sciopero per venerdì, “il week-end lungo”. Come a dire: una furbata, per avere più adesioni promettendo una lunga vacanza, di tre giorni invece di due. Ginnastica politica. Però è vero che tre scioperi su quattro sono chiamati il venerdì, proprio per questo motivo, per incentivare la adesioni - e il quarto, più raramente, il lunedì. Perché, altrimenti, non si sa perché si sciopera.
Gli appelli allo sciopero in tv, come un tempo i manifesti e i volantini, ora elencano una “serie di problemi”. Con una strana correlazione, a proposito di volantini a più voci, con un altro “autunno caldo”, ma quello veramente, nel 1969. Uno sciopero non per una cosa o due ma per un po’ di tutto. Oggi più di allora. Allora, per esempio, c’era anche la scuola nei manifestini, ma come diritto allo studio. Oggi c’è la scuola, ma di tutto un po’: edilizia, sicurezza, retribuzioni, borse di studio, alloggi per fuori sede, meno tasse, più trasporti, pubblici, gratuiti. O le pensioni, per la fuoriuscita anticipata dal lavoro. Che è il contrario delle politiche sindacali di allora.
Allora gli scioperi erano politici. E ora? Non si possono dire nemmeno politici – scioperare per Conte, per Schlein? Certo, Landini si potrebbe candidare, come gà Cofferati, altro manager di “adunate oceaniche” Cgil, ma a sindaco di Bologna? Certo, sindaco e sindacato suonano all’unisono. Ma i lavoratori? Chi rappresenta il sindacato?

L’apprendistato africano di Blixen-Dinesen

Un libro de chevet, riposante per i momenti di riposo. Divagazioni sulle occorrenze della vita: i progetti, i problemi, il credito, il debito. Condite da riflessioni sui temi che occupano la fantasia: l’amore, l’abbandono, la solitudine, l’entusiamo, la delusione. Nelle lettere che Karen Blixen, non ancora “Isak Dinesen”, in Africa o in viaggio dall’Africa all’Europa e viceversa, inviava ai suoi familiari, soprattutto alla madre Ingeborg e al fratello tuttofare Thomas. Una corrispondenza che è anche l’apprendistato della sua futura attività di narratrice - e di cultrice dell’immagine - invece che di farmer baronessa, nella cornice anglicizzante del Kenya coloniale.
Dal 1914, prima della Grande Guerra, al 1931, quando la sua farm africana fallì, la baronessa danese Karen Blixen decise di vivere sull’altopiano kenyota, dal clima più spesso brumoso come a casa, un’esperienza da castellana, una che innamora e comanda, illuminata e rispettata, su Kikuyu sparsi, Somali, Masai, sui leoni e gli sciacalli. Come, si dirà poi, da scrittrice famosa,  “una snob eletta da Dio”, di “indomabile amore per la grandezza, che è stato «il mio demone»”. Un’esperienza che, scorrendone le lettere, ne ha mutato le prospettive, e il carattere. Ma lontana dallo stereotipo del futuro “La mia  Africa”, del libro e del film – le foto che corredano il volume, numerosissime, si aprono con un ritratto di Karen nel 1913 diverso: un viso tondo, uno sguardo complice e malandrino, non l’affilata altierezza di Meryl Streep, che la impersona nel  film.
La corrispondenza è naturalmente appesantita dalle vicende biografiche - o alleggerita, se si sta al gossip: problemi finanziari ricorrenti, e rapporti personali per lo più problematici, col marito Bror Blixen, poi divorziato, e col maggiore pilota Denys Finch Hatton, col quale la relazione fu intesa (poetica), entusiasta e tormentata, anche da una maternità non voluta, quindi abortita, che presto morirà  in un incidente, lasciandola sola, e con i creditori alle calcagna. Ma le vicende sono vissute con spirito leggero, la futura narratrice veleggia al di sopra delle macerie – se non fu un’incapacità di vivere la vita “reale”, degli affari, le stagioni, le piogge, la siccità, i raccolti, le anticipazioni, i mercati. Sempre curiosamente ispirandosi, come incarnandola, a Freja, che evoca, la divinità nordica di tutto ciò che è vita, amore, bellezza, anche nella guerra e la morte.
Un volume di oltre 2.500 lettere. Tutte fitte di cose, alcune molto lunghe. Curate, come per la posterità, anche negli aspeti più casuali o marginali. Come se gli anni dell’Africa fossero un apprendistato, un esilio volontario in ambiente esotico per meglio affinare l’arte del racconto – raccontarsi una vita propria mentre se ne vive un’altra, quella materiale, anagrafica.
Un volume messo assieme da Frans Lasson nel 1982, con l’aiuto di Thomas. Ottimamente curato da Bruno Benni, specialista solitario della letteratura danese, da Andersen in qua.
Isak Dinesen, Lettere dall’Africa. 1914-1931, Adelphi pp. 488, ill. € 28

domenica 12 novembre 2023

Ombre - 693

In linea di diritto non si può dire, forse in Inghilterra un giudice può decidere che una bambina soffre meno se muore (ma: chi non soffre meno se muore?). Di fatto, è l’autorità di una cerusica inglese che fa testo, contro un ospedale italiano di avanguardia. La democrazia, come il diritto, sono belli, ma up to a point – come nei  “divertimenti” di Evelyn Waugh (che però era cattolico….): inglese è meglio.
 
In guerra, si sa, si può dire qualsiasi cosa – ci si deve difendere. Ma perché propinare, dopo un anno o due, in America, una verità che tutti sanno, che è stata l’Ucraina a sabotare il gasdotto gigante russo-tedesco? Imputando pure la cosa a un ufficiale ucraino che ora sarebbe in disgrazia. Per consentire alla Germania di sostenere l’Ucraina malgrado tutto? E poi? Che guerra stiamo combattendo?
 
L’Fbi ferma il sindaco di New York per strada, per sequestrargli i cellulari e l’ipad. Non poteva farlo in casa o in ufficio? L’America si gloria di una polizia politica – ha tenuto su per anni un Russiagate, con rogatorie internazionali, perfino in Italia, cioè scomodando un po’ tutti, che sapeva basato su un falso.
 
L’America ospita a San Francisco il summit annuale dell’accordo di cooperazione economica Asia-Pacifico. Il presidente Biden incontrerà il cinese Xi? Si, no, infine c’è una data. È stata l’America, che pure ospita la conferenza, a cercare l’incontro, mentre Xi faceva il difficile. Non c’è confronto sul piano militare, ma l’America ha soggezione della Cina, sul piano economico, e su quello culturale – l’Oriente marcia a larghi passi.
 
Allungandosi la lista delle banche che si sottraggono al prelievo sugli extra-profitti, con Mediolanum che si accoda a Unicredit, Intesa, Bpm, Bper, Mediobanca, Credem, Agricole, Sondrio, Mcc, si arriva a Mps. Che è una banca del Tesoro… La maggioranza regna ma non governa – governa di fatto l’establishment burocratico, non di destra? L’anticipo a dicembre agli statali del benefit vacanze a valere nel 2024, costo 2 miliardi (900 euro pro capite in media) , è più del prelievo forzoso fallito.


Fra i candidati all’Unione Europea, la commissione di Bruxelles sceglie, oltre l’Ucraina, la Moldova e la Georgia. Cioè tutto quanto trova contro la Russia: per il bene dell’Unione, o per fare lo zerbino degli Stati Uniti?
 
Si combatte sul passaggio di Alitalia-Ita a Lufthansa una strana battaglia: Bruxelles chiede centinaia di informative, utili solo per bloccare l’operazione. Bruxelles che dà torto alla Germania non si era  mai visto. Non succede per esempio ora sugli aiuti tedeschi alla siderurgia nazionale –che mettono fuori mercato l’acciaio non tedesco. Le seicento o mille informative richieste a Ita sono un modo per ridurre i pochi, se ci sono, vantaggi del passaggio a Lufthansa – Lufthansa deve prenderla per niente?
 
Elly Schlein indignata chiede l’espulsione di Rama, una vita da socialista, dal partito Socialista Europeo. Lei che socialista non è. Evidentemente si prende sul serio. Ma pensare a Schlein che colloquia con Scholz, o con Sanchez, sembra da fantascienza.
A Malaga, al congresso annuale dei socialisti europei, si fa vedere per quattro ore, di cui tre per andata e ritorno da e per l’aeroporto.
 
“Suv, una passione italiana. Un successo inarrestabile, quello delle auto a ruote alte. Che ora si prendono più della metà del mercato”. Transizione, verso dove?
 
“La piccola elettrica Volvo pronta per la rivoluzione. Design moderno, dimensioni contenute e prezzo competitivo per il nuovo Suv d’alta gamma”. Prezzo, a partire da 36 mila euro. Recessione? Crisi?
 
In Italia diminuisce il reddito medio delle famiglie. Solo in Italia in tutta Europa. La rendita non basta più, s’intacca il capitale – l’italiano ha il patrimonio medio più elevato in Europa. È il tempo delle cicale.
Diminuiscono in particolare i salari “reali”, al netto dell’inflazione: in Italia molto di più rispetto agli altri paesi industriali, del 7,5 per cento rispetto al 2019, ante-covid – contro un meno 2,5 nella media dei paesi industriali, Italia compresa.
 
Un mese di guerra e ancora nessuno ci ha detto che Hamas al comando è opera del governo israeliano, deliberata: Netanyahu ha operato per indebolire l’Autorità Nazionale Palestinese, finanziando e rifornendo Hamas tramite i suoi alleati arabi, gli Emirati soprattutto.  

Napoleone, un pallone gonfiato

In occasione dell’uscita del film “Napoleon” di Ridley Scott, regista “napoleonico” di suo, che ora ripunta decisamente all’Oscar, ha propiziato nella stampa americana una serie di analisi, ripensamenti, riesami  del personaggio, in America non così popolare come in Europa. Ripescando un vecchio saggio, in occasione dell’apertura a Parigi nel 2019 del piccolo museo Imperial Art al parco di Monceau, la rivista ne ridimensiona brutalmente la figura, per la sua “macanza di un vero progetto, oltre che imporre e mantenere il potere”. Per “una propensione al sentimentale come al brutale”.  E per una sorta di violenza sull’opinione puibblica: “La presentazione fu cruciale al suo lungo successo. Il numero di bollettini e  ordini del giorno che emanò formano una narrativa corrente inesauribilmente ottimista e arrogante, senza vergogna esagerando le perdite nemiche e minimizzando le proprie. Questi bollettini sono costitutivi della leggenda di Napoleone, frequentemente riprodotti da entusiasti che sembrano allegramente indifferenti alla loro mendacità”.
Ferdinand Mount, An ordinary Man, “The New York Review of Books”, 4 aprile 2019, free from the archive