Cerca nel blog

sabato 5 gennaio 2013

La quasi volpe

Il basso è all’opera sempre alto,
Mentre la ricchezza si vuole scarsa,
E dunque cos’è il quasi candidato
Che come volpe accorta va di corsa? 

L’evasore è lo Stato concussore

Secondo le stime ufficiali di giugno (nota di aggiornamento al Def), nel 2012 la pressione fiscale avrebbe dovuto toccare  nel 2012 il 44,7 per cento, con un balzo di 2,2 punti rispetto al 2011. Cioè 35 miliardi in più, con 1.450 euro di aggravio per famiglia. Ponendo l’Italia al terzo posto per le tasse della graduatoria europea, dopo Danimarca e Svezia, e con un distacco di ben 5 punti rispetto alla pressione fiscale media nella stessa Ue.
In realtà è peggio. Sempre secondo le stime del governo, infatti, nel 2013 la pressione fiscale aumenterà ancora, portandosi al 45,3 per cento. Cifra verosimile a questo punto per difetto. Monti evita l’aggiornamento al Def, ma si sa che la pressione fiscale è salita nel 2012 al 45,2 per cento con l’ennesima rimodulazone dell’Imu, e con le tasse si conti in banca. Così la stimano Confindustria e Confcommercio. E che salirà attorno al 46 a giugno, con la riduzione o cancellazione delle spese deducibili ai fini dell’Irpef. A nessun effetto: il debito aumenta, i servizi pubblici sono tagliati – una forbice che è spia certa di una funzione pubblica corrotta. 
Si direbbe lo Stato concussore (collector) se fosse una mafia. Si rilancia ora la “lotta all’evasione”, che non si fa normalmente, con controlli veri. Attraverso il redditometro, un elenco di cento voci incontrollabile, c’è pure la marca delle pentole. Tacendo che un  redditometro è in funzione da vent’anni, a nessun effetto – eccetto le royalties al fornitore del software.
La fiscalità legale o effettiva è peraltro più alta di quella statistica o nominale. Quella sopportata cioè da un euro legalmente e totalmente dichiarato. Essendo pari al 55 per del reddito, record mondiale imbattibile – di sei-sette punti superiori ai paesi secondi nella classifica, Danimarca, Francia,. Svezia. E al 59 per cento per le imprese, poste per questo di fatto “fuori mercato”, nella terminologia d’uso.
Le stime ufficiali si riferiscono alla fiscalità apparente, che si misura dal rapporto tra gettito e pil nominale, una stima che in parte recupera la produzione invisibile o in nero. La pressione fiscale era nel 2009 al 43,5 per cento. Dal 1992, anno di inizio del ciclo politico ed economico negativo dell’Italia, è stata sempre al di sopra del 40 per cento.

Fisco, appalti, abusi – 22

Si sia affittato una residenza per le vacanze estive, si è dovuto pagare quest’anno l’imposta di soggiorno al Comune. Che però vuole anche una certificazione dell’avvenuto pagamento. Un’autocertificazione, ma su modulo apposito. Da richiedere entro il 31 dicembre. Poi entro il 3 gennaio. Ora “dopo l’Epifania”.

Il redditometro esiste da vent’anni, dalla dichiarazione dei redditi del 1993 per il 1992. Visco lo aggiornò cinque anno dopo. Senza effetti sulla “lotta” all’evasione, giusto il lavacro dei controlli.
E al pagamento di non comunicati diritti e royalties ai fornitori del software.
I controlli, ammesso che il sistema giri, serviranno al mercato nero della fiscalità: ricatti e tangenti.


Si manifesti un interesse per una destinazione aerea, in un arco di tempo. Senza bloccare l’offerta. Si riprovi, dopo un giorno o anche un’ora: la stesa offerta sarà sensibilmente più cara. Solo per voi. Si riprovi infatti da un altro computer, magari dall’iphone: l’offerta sarà sempre più conveniente. Il venditore ha registro l’IP (Internal Protocol) del computer. Non è il Grande Fratello, ma del computer sì.

Un signore ottantenne alla Posta è indeciso su cosa comprare. Una ragazzetta gli propone titoli a 18 anni, gli rendono di più. Il signore chiede se può cointestarli al fratello più giovane, come il libretto di risparmio. La ragazzetta risponde che sì, ma che in caso di premorienza i titoli, a differenza del libretto, saranno escutibili solo alla scadenza. Tutto a voce alta. Con un’interruzione, per rimproverare un giovane che si è appoggiato al bancone: “Stia dietro la linea galla, non infranga la privacy”.

Un barone universitario “democristiano” ottenga un grant, un contributo, un finanziamento, disporrà sempre di qualche migliaio di euro a favore di chi eventualmente non è un amico. Lo ottenga invece un barone  “democratico”,  terrà tutto per sé. Perché, essendo meritocratico, è il migliore, e soprattutto non deve fare favori.

In controtendenza sulla dogmatica bancaria di effettuare tutti i pagamenti via Pos, la Banca d’Italia ha bloccato l’1 gennaio i Pos del Vaticano. Anche quelli dei Musei, che ogni giorno hanno quindicimila visitatori, a un costo elevato del biglietto, sui 50 euro per una famiglia. Per ragioni di vigilanza, è stato detto. Che però c’erano anche fino al 31 dicembre.

La cartolarizzazione delle case popolari fallì nel 2005 per il no di Fini, che la disse iugulatoria per i sottufficiali dell’Aeronautica a Roma, benché le case fossero cedute al 60 per cento del valore di mercato e con mutui di favore. In base alla minacciata cartolarizzazione, però, gli Iacp hanno ottenuto il pagamento del condominio e del riscaldamento. Anche degli arretrati. Rateizzati, in un centinaio di bollettini. Che gli inquilini onorano.

Amico Bobbio, non maestro

“La complessità del fascismo spiega la complessità dell’antifascismo” (p. 115). Non è proprio così. Ma, poi, il fascismo resta fascismo, la democrazia democrazia – i due termini entro cui il curatore Michelangelo Bovero ha raggruppato nel 1997 i saggi della raccolta, ora in economica, per una “Biblioteca per la sinistra”: non si impara molto da Bobbio.
Non che gliene mancassero i mezzi. Si veda alle pp. 196-197 il fulminante “la buona filosofia politica è generalmente degli scrittori conservatori”, per il loro realismo politico: “Senza realismo politico non c’è filosofia (né scienza) dello stato, ma soltanto ideologia (o utopia)”. Ma non li usa – e confonde conservatore con reazionario. Un “amico” piuttosto che un maestro, un uomo di buona volontà, una persona sensibile. E come tale immerso nella politica di ogni giorno. Purtroppo con inclinazione al pensiero dominante. Da ultimo sul “pluralismo”. Che è all’origine il concetto costituzionale di La Pira, recepito all’art. 2 della Costituzione a opera di Moro, come riconoscimento dei molteplici soggetti  del diritto, trasformato in mascheratura della lottizzazione. E su Craxi, Mani Pulite, il compromesso, la destra (Berlusconi), la guerra “giusta”, quella che cancella il diritto internazionale, e l’uguaglianza, fuori tema, fuori tempo. Senza peraltro vedere il visibile: la democrazia “incompiuta”, che sarebbe il vero nodo dell’uguaglianza, e l’imbarbarimento della giustizia, eretto a trincea della democrazia.
Restano i ritratti, simpatetici: Einaudi, Moro giovane, Togliatti, Calamandrei – e il Gentile rinegato.
Norberto Bobbio, Dal fascismo alla democrazia, Dalai, pp. 391 € 8,90

Il giallo viene meglio d’autore

Storico dell’arte convertito al giallo, Goetz indaga, in questo che è il suo unico romanzo tradotto, sulla sparizione della “Dormiente di Napoli”, il titolo originale, opera di Ingres nel 1814 alla corte di Murat. Nudo ricercatissimo, effettivamente dipinto e poi effettivamente sparito, forse negli eventi tumultuosi che hanno accompagnato la fine del regno bonapartista. Goetz fa rivivere il quadro, attraverso le testimonianze dello stesso Ingres, di Corot giovane alla ricerca della propria maniera nel Foro Romano, dove incontra Chateaubriand, di un allievo di Géricault. La ricerca del quadro dipinto è meno interessante rispetto alla solidità del quadro d’insieme narrato da Getz. Un piccolo giallo d’autore.
Adrian Goetz, L’odalisca perduta, L’Ippocampo, pp. 192 € 9,90

venerdì 4 gennaio 2013

Ortese ritrovata

Un racconto “segreto” (forse per questo mal distribuito?), un gioiello di discrezione e narrazione, da cui la “scrittrice segreta” emerge vivida. Vigorosa anche, nel suo volontario effacement. Per una ferita che fu occasionale e sembra minore e invece ne determinò l’isolamento, anche se autoinfilitto: all’ultimo capitolo de “Il mare non bagna Napoli”, in cui dice “relitti confusi e sconfitti dalla napoletanità”  gli amici con i quali aveva vissuto la splendida ma corta stagione della rivista “Sud”, Vittorini, per pubblicare il libro tra i “Gettoni” Einaudi, “aveva preteso che la Ortese scrivesse nome e cognome”.  Erano molti, Prunas, Rea, Compagnone, La Capria, Scognamiglio, Ghirelli, Patroni Griffi, Rosi, e tutti di elevato ingegno, ma qualcuno se la prese, e la città nel suo insieme. Da allora Ortese fu sempre in esilio, anche da se stessa.
Adelia Battista ha incrociato Ortese come studiosa, autrice di una tesi di laurea sulla scrittrice, su proposta di Carmine Di Biase, “un anziano sacerdote subentrato per ragioni di salute a Mario Pomilio” all’università Suor Orsola Benincasa a Napoli, che era rimasto in buoni termini con la scrittrice. E la frequentò poi da giornalista, a Rapallo e a Milano, dove la Ortese soggiornò un paio di volte per rivedere le bozze della sue opere riprese da Adelphi, nella casa di riposo Anni Azzurri, in una stanza minuscola, anche se al centro della città, in via san Luca, 4. 
Battista mette nel piatto anche molte carte di Ortese, un diario, e le lettere che scrisse a Dario Bellezza. Di donna già appassita, per l’amore infelice con Marcello Venturi, e tuttavia sempre in carne. Ma più usa la chiave dell’ordinario. Una storia costruisce sommessa, quasi intima, ma brillante di persone, colloqui, presenze. In breve vediamo Anna Maria, e tutto attorno a lei (eccetto il padre: cancellato per un motivo? senza motivo?): la madre bambina, i fratelli morti giovani, i nonni importanti, ingombranti, la sorella Maria, bella, simpatica e sola, il fratello Francesco, l’amica-governante a Rapallo, e tutti coloro, pochi, che la incrociavano giornalmente nella sua vita di reclusa, vicini, affittuari, librai, giornalai, tabaccai, panettieri, droghieri – oltre a qualche nome di rispetto: Vittorini appunto, Compagnone, Rea, e gli stimabilissimi Bontempelli e Paola Masino. Un’idea eccellente e un’ottima resa.
Adelia Battista, Ortese segreta, Minimum Fax, pp. 103 € 7,50

Fine-Secolo pre-berlusconiano

Fine-Secolo in ritardo, un po’ spinto un po’ no, sul cocottismo – parliamo di fine Ottocento. Un mondo pre-berlusconiano, non inventato dagli uomini, di giovani donne disponili: finte sensuali e finte ingenue, ambiziose, anche se solo di una “situazione”, case, gioielli, rendite - nella teoria dei cicli, un mondo secolare?
Il godibilissimo racconto di questo tratta, della “bellezza non intelligente”, o “orizzontale”, seppure di un’amica. Con ambizioni colte – è un danno che Proust non sia stato letto sullo sfondo della copiosa letteratura di Fine Secolo, anche se passa per leggera, e lo è, del monde che costeggia il démi-monde, della virtù e la ricchezza che si vogliono pervertire, un poco. Patristiche: “Abyssus abyssum fricat”. Anzi luterane: “Sathan proprio nobis est quam ullus credere possit”. Non  senza qualche punta:  “C’è sempre, sotto un simbolo, un altro simbolo”, Beardsley è “quell’eccellente allievo del Primaticcio”, Eugéne Sue fa godere il popolo col disonore delle sue figlie, in cattivo francese.
Toulet è qualcosa di più, è già fine critico, seppure non di grande respiro, del linguaggio e del costume. Contemporaneo di Proust ma con un’esperienza più allargata del mondo, meno francese, meno parigina, meno Rive Droite. Nato a Pau, era di origini creole. E visse a lungo all’isola Mauritius e in viaggio per i Tropici, prima di farsi giornalista alla “Vie parisienne” – per poi morire a 53 anni, nel 1920, tre anni prima di Proust, alcolizzato e drogato.
Esplicito nei romanzi che invece non sono stati tradotti. “La jeune fille verte”, che fa la casistica della seduzione, nel mentre che indaga la “latens deitas”, o “Monsieur du Paur, homme publique”.
Paul-Jean Toulet, La mia amica Nane

L’amore ringiovanisce – anche l’inglese

Si ripubblica, a quindici anni dalla prima edizione italiana, un vero “manuale d’amore”. Pieno di verità che, sfrondate dal pensiero Perugina, sembrano incontrovertibili. Ci sono tre tipi di amore: istintivo, chimico, o meglio alchemico, che procede secondo affinità; emozionale, delle disaffinità e incongruenze, l’amore che finisce in odio; cosciente, raro tra gli esseri umani, più nel regno animale o vegetale, che non appare e non accade per caso, è un’opera d’arte, richiede studio e applicazione. Ma, poi, l’amore sempre vuole applicazione: “L’amore senza conoscenza e senza potere è demoniaco.  Senza conoscenza può benissimo distruggere l’amato… E senza potere l’innamorato può diventare il più infelice degli esseri poiché non può dare ciò che desidera”. I punti saldi sono numerosi. “La fondamentale verità dell’amore è che esso crea, sempre”, e talvolta procrea. Nel senso di “condurre alla ri-nascita, alla fanciullezza spirituale”, anche nella procreazione. È il ringiovanimento costante, la “divina giovinezza”. Il “catalizzatore d’amore”, nella figura dei trovatori.
La pubblicazione si avvale anche di un saggio sulla religione e di uno breve sull’anima, nonché di una conversazione con Katherine Mansfield. Ed è introdotta da un’ottima biografia breve di Stanley C. Nott. Il tutto si configura nell’esoterismo, nella lunga frequentazione di Gurdjieff, tramite Uspensky, per il quale Orage visse e lavorò dieci anni a New York. Ma è redatto saldamente a Londra, al ritorno da New York nel 1932, due anni prima dell’improvvisa morte, quando lanciava “The New English Weekly”, dopo il lungo successo di “The New Age”, e ritrovava le amicizie di Shaw, Eliot, Pound, e la Mansfield che per primo aveva pubblicato dieci anni prima, nel suo ruolo riconosciuto di rianimatore delle lettere inglese nel primissimo Novecento. 
Alfred R. Orage, Amore cosciente, Estrella de Oriente, pp. 78 € 12

L’anno della guerra all’euro

La guerra all’euro si è conclusa. Uno dei suoi araldi, l’“Economist”, l’ha dichiarata conclusa a dicembre, argomentando che l’offensiva di Londra e New York ha “sottostimato la volontà politica” d’impedirne il fallimento. Che non sembra però un errore: la volontà politica dietro l’euro doveva essere presupposta e non messa in dubbio.
La vittoria dell’euro, come tutte, è peraltro piena di rovine. Soprattutto nella fiducia. Soprattutto in Italia, il terreno della battaglia, che ha pagato e paga le spese di questa guerra, un contro salatissimo - il più duro dopo quello della Grecia ma senza le colpe della Grecia. Con una recessione “indotta” che non ha precedenti nella storia economica, indotta dal governo italiano anche se su indirizzo europeo. Con un contributo pesantissimo degli stessi partner europei, le banche tedesche per prime,  poi le olandesi e le francesi, che si sono liberate d’un colpo dei Btp all’inizio dell’estate, a conoscenza dell’attacco in corso all’euro, provocando uno tsunami.

Il partito europeo è italianissimo

Si presenta il governo d’eccezione di Monti come il buon governo di un “partito europeo”. I suoi Grandi Elettori, nei giornali e nelle banche, e ora in Vaticano, lo fanno. Ma non si dice chi sarebbe l’Europa. Sarkozy non più, un incapace. Cameron sicuramente no, è uno che lavora a trarre solo qualche utile dall’Europa. Angela Merkel? I suoi giovani turchi-banchieri? La burocrazia di Bruxelles?
L’Europa può essere solo il concerto dei governi europei. Con pesi e misure ma senza primati o egemonie. Angela Merkel è del resto una politica molto prudente nel suo paese. Forse a questo deve la sua resilience – diventa egemonia per la nullaggine dei comprimari. L’Europa di Monti è agitata come una patente di nobiltà, che è curiosamente il mondo opposto, molto democratico, solo democratico, come l’Europa si è fatta e può farsi.
L’Europa è semmai la debolezza di Monti, che sapeva ciò che avveniva, per esperienza e uso di mondo. Un sospetto che i Grandi Elettori di Monti derubricano a populismo antieuropeo. Ma non c’è europeismo senza una salda equità, il presidio del bene di ognuno, di ogni paese. Ciò è vero a destra, ma sopratutto dovrebbe esserlo a sinistra. 
Lo stato dell’arte in Europa, dopo l’affondo contro l’Italia, è quello previsto dal documento dei “quattro presidenti” a margine del Consiglio Europeo di giugno. Nelle parole di Monti, “una visione di medio termine per una vera unione economica e monetaria, fatta di quattro pilastri: unione fiscale, la cosiddetta unione bancaria, l’unione economica e l’unione politica”. Non un intervento d’urgenza, ma una “visione”. Che nei sei mesi si è concretizzata solo nella “cosiddetta” unione bancaria – si è cominciata a concretizzare. E per il resto nulla.
L’unione politica non  starà bene alla Francia. E l’unione economica, checché essa voglia dire, non starà bene alla Germania, che da sempre nei 55 anni della Comunità non ha mai rinunciato a suoi propri criteri doganali (leggi sanitarie, ambientali, etc.), di economia pubblica (proprietà, credito, sovvenzioni), e antimonopolistici. L’Europa per la Germania era una diga contro il sovietismo. Ora è una cosa in più che essa paga, poco, per averne alcuni benefici – in larga misura è una partita di giro per i suoi interventi nell’economia nazionale.

Il mondo com'è (123)

astolfo

Complotto - Un Grande Complotto non si installa contro una comunità, contro l’opinione, neanche come ipotesi o sospetto. La psicosi del complotto è invasiva proprio perché si identifica con l’opinione: è cioè di un complotto scoperto, la “lettera rubata” di Poe. Nasce dall’impotenza contro l’ipocrisia.

Digitale – È un mercato reale. Prendendo per buono il piano strategico Rcs, l’editoria digitale è una realtà in Italia. Non coi prodotti dilettanteschi che pullulano quanto con quelli costruiti con criteri industriali. I risultati di Rcs devono ritenersi ancora migliori per il gruppo L’Espresso-Repubblica, dato che “Repubblica online” è il sito più frequentato.  O comunque analoghi, data la molteplice offerta del “Corriere della sera” – e un pubblico forse più ricettivo alle novità, più lombardo che romano.
Rcs dà i ricavi digitali al 14 per cento del fatturato nel 2012, e in crescita rapida, tale da ipotizzarli al 25 per cento del fatturato totale nel 2015. Settorialmente, i numeri sembrano ancora più promettenti, sempre nell’arco dei tre anni. La raccolta pubblicitaria è prevista in crescita del’11 per cento (con un cagr, compound annual growth rate, tasso composto di crescita annua, di raccolta sui mezzi digitali del 18 per cento). Ancora più forte la crescita del digitale in ambito diffusionale, i-Pad e altri mezzi, fino a coprire il 36 per cento del venduto. In aumento rapido pure la vendita degli e-book, che copriranno nel 2015 il 15 per cento del totale delle vendite.

EugeneticaIn Russia, già prima della rivoluzione, ma molto di più dopo, si progettarono forme di vita create. Fu un filosofo, F.N. Fëdorov, a progettare la ricostituzione dei corpi morti, in quello che Majakovskij chiamerà l’Istituto delle resurrezioni. Mentre il biologo Ivanov, allievo di Pavlov, presto famoso ai primi del Novecento per aver moltiplicato per venti-trenta la capacità riproduttiva degli stalloni grazie all’inseminazione artificiale, proponeva nel 1910 al Congresso di biologia di Graz l’ibrido uomo-scimmia.
Quindici anni dopo Ivanov ottenne il patrocinio dell’Istituto Pasteur, presso il quale lavorava, al suo progetto, e un finanziamento da parte del governo sovietico. La fertilizzazione di scimmie col seme umano fu tentata nel 1926 nella stazione sperimentale dello stesso Istituto in Guinea, allora colonia francese, ma senza esito: le scimmie non restarono incinte, e trasportate in Europa morirono. Ivanov tentò allora l’incrocio inverso, la fecondazione di donne col seme di scimpanzé. L’aveva tentata già in Guinea, ma le autorità francesi gliel’avevano bloccata. Nel 1927, tornato in Unione Sovietica, ottenne subito l’appoggio del governo. E qualche tempo dopo anche la decisione che almeno cinque “compagne volontarie” si sarebbero sottoposte all’inseminazione con lo scimpanzé, in Istituto di patologia e terapia sperimentale appositamente creato a Sukhumi, sul Mar Nero.
L’esperimento con le compagne volontarie si dovette poi rinviare perché c’era un solo scimpanzé disponibile a Sukhumi, che presto morì. E nel frattempo la frazione del mondo scientifico che appoggiava Ivanov andò in disgrazia. Lo stesso Ivanov fu arrestato a dicembre del 1930 e condannato per cospirazione col nemico. Morì due anni dopo, ma senza alienarsi la comunità scientifica: il Nobel Pavlov si assunse il necrologio ufficiale, elogiativo. Per l’esperimento in Guinea Ivanov aveva avuto un finanziamento statale di 10 mila dollari, ritenuto allora molto alto. Ma l’Associazione Usa per il Progresso dell’Ateismo si diceva pronta a sottoscrivere ben 100 mila dollari.
Una terza terapia eugenetica Mosca sponsorizzò, quella sviluppata a Parigi dal chirurgo russo Sergei Voronov per il ringiovanimento. Voronov, membro del Collegio medico di Francia, fu famoso attorno al 1930 per l’impianto di ghiandole sessuali di scimpanzé nell’uomo adulto, per migliorane le condizioni psico-fisiche generali. Molti trapianti strapagati furono effettuati di testicoli, anche in Italia, prima che la pratica fosse abbandonata. 

Europa – Angela Merkel ne dà sintesi efficacissima sul “Financial Times” prima di Natale: “(Se) l’Europa oggi conta per solo il 7 per cento della popolazione mondiale, produce il 25 per cento del pil globale e deve finanziare il 50 per cento della spesa sociale mondiale, allora è ovvio che dovrà lavorare molto duramente per mantenere la sua prosperità e il suo stile di vita”.
Trent’anni fa, con  la globalizzazione ancora ai primordi, in una delle sue conversazioni alla radio di Buenos Aires, Borges ammoniva: “Non so se l’Europa sia declinata, ma sembrerebbe che, disgraziatamente, sia declinato l’interesse del mondo verso l’Europa”. Perché altri mondi sono (ri)sorti. E perché l’Europa, si può aggiungere, non inventa più nulla: poesia, prosa, filosofia, storia, stili di vita.

Mobilità –Non ce n’è probabilmente mai stata meno che in questa età della mobilità – del mercato “libero” del lavoro. A cominciare dagli anni 1990 negli Usa: chi lasciava un lavoro (licenziato) non ne trovava un altro, e chi entrava ne lavoro aveva problemi, e lunghe attese, per trovarne uno. E subito dopo in Europa.
È scarsa quando impera, dunque. Ma per effetto della globalizzazione. Che sottrae lavoro: la mobilità (il precariato, la paga ridotta) è un artificio per attenuare in qualche modo la fine del lavoro nel mondo ricco. Perché la globalizzazione è, inarrestabile, un fatto di giustizia mondiale: l’accesso al mercato dei quattro quindi dell’umanità. Ma anche (perché) è un mercato inesauribile di lavoro, un’offerta a prezzi stracciati.

Socialità – Un serie di successo su Rete Quattro, “Downton Abbey”, mostra la transizione  dell’aristocrazia inglese nella Grande Guerra. E nella “profonda trasformazione” sociale che ne seguì. Il filo è il passaggio da una società del rispetto a una degli interessi esclusivi. Dai reciproci doveri, verso la patria e i combattenti (“Downton Abey” diventa un ospedale di rieducazione durante la guerra), e anche tra padroni e servi (“non poteri mai servire una persona che non rispetto”), agli egoismi, le truffe, i misconoscimenti di paternità, i riconoscimenti di paternità opportunistici, sempre contro i deboli – i poveri, le ragazze madri, chi non si sa difendere. In un’ottica fattuale, non reazionaria, uno specchio di quello che l’Europa è da un secolo, forse senza saperlo: una società egoista - per questo Rete Quattro ne ha interrotto surrettiziamente la programmazione?

Toscana – È  sotto l’acqua da alcune stagioni per essere divenuta il paradiso delle residenze secondarie. Sotto l’acqua perché c’è troppo dilavamento, e perché il suolo drena con difficoltà, lentamente e controvoglia. Quasi sabbioso. È l’effetto dell’investimento semi-voluttuario in tenute agricole, a cui la Toscana si è offerta per prima e di cui resta la destinazione ambita: chi compra si fa la vigna. In collina e in piano. Sostituendo l’alboricoltura a larga ramificazione-ossigenazione sotterranea. Specialmente nella Maremma, terra di bonifica recente, e quindi ancora poco terrosa.

La viticoltura ricrea anche l’annoso problema delle coline incolte. La collina toscana negli anni 1950-1960 soffriva del’abbandono dell’agricoltura. La collina per prima, non potendo essere coltivata ci mezzi meccanici. Si comprava a poche lire il mq. L’opposto ora si produce da un paio di decenni: i terreni si vedono bene e sono coltivati, ma a vigna. Una coltura che fa poco ricorso al mezzo meccanico e ha consentito il riutilizzo pieno della collina, ma provoca il dilavamento. Le vecchie colture ortofrutticole si disponevano lungo il crinale, e quindi lasciavano scivolare via l’humus. I filari di viti, invece, isobarici, ortogonali alla pendenza naturale, hanno slavato l’humus e prodotto ottimi vini. Ma hanno lasciato indifeso il sottosuolo, da quell’intrigo di barbe e radici che è anche una diga naturale al dilavamento. Oggi ogni pioggia scende subito tutta a valle, poco o niente umidificando i suoli in colina, come un buon assetto idrogeologico richiederebbe. Mentre la vigna viene buona, con adeguata esposizione all’insolazione, anche nelle zone a valle.

astolfo@antiit.eu

giovedì 3 gennaio 2013

I preti tagliavita

Guy Bueno, l’attore-scrittore spagnolo, fratello minore dei pittori Xavier e Antonio, è morto a dicembre un anno fa di quasi 99 anni. Lucido e attivo sino all’ultimo. Vent’anni prima si era operato di polipi alla vescica. Due volte - la prima, in una clinica privata, una operazione da 25 milioni, era stata seguita da una pronta ricrescita dei polipi. Guy e la moglie Hildegarde, che si è spenta una settimana dopo di lui, al momento della pensione erano stati indecisi se stabilirsi in Spagna, patria di lui, o in Germania, patria di lei, e avevano infine optato per Roma perché vi si erano incontrati e innamorati prima della guerra, e vi mantenevano i vecchi amici e i ricordi. Qualche tempo dopo l’intervento riuscito alla vescica, Guy disse: “In Germania sarei morto”. Perché in Germania non si operavano di tumori alla vescica gli ultrasettantacinquenni, non in una struttura pubblica, competente.
Magari sarà questa una delle ragioni per cui la Germania è virtuosa e l’Italia fellona. Infatti una delle prime cose che la Grecia ha fatto per adeguarsi all’etica germanica è stato il taglio dei chemioterapici per i tumori maligni – tanto, devono morire, è meglio che muoiano prima. Un laico e un eugenetico potrebbero anche argomentare a favore della morte per tutti ai 75 anni, con risparmio delle pensioni e della sanità. Perché no, senza scandalo. Ma un prete, vescovo, cardinale? Bondi è stato ordinato da Monti commissario straordinario alla sanità nel Lazio per effettuare tagli “lineari” sulla sanità, cioè percentuali, senza se e senza ma. La sanità non si cura più dei malati ma di spendere quel poco che può: li cura fino a che bastano i soldi. È un concetto un po’ rozzo ancorché germanicamente virtuoso, e del partito della chiesa. Si dovrebbero allora obbligare i cardinali, vescovi e presti a selezionare i comunicandi, e risparmiare sulle ostie.

La questione sociale è politica

La novità di Napolitano nel suo ultimo messaggio è il riconoscimento che una questione sociale è stata “creata”. Non di problemi settoriali o temporanei, come ha tenuto a precisare, ma di sistema: la recessione è troppo lunga e troppo profonda e estesa. Ma l’ha creata il “suo” governo, si deve aggiungere, anche se questo l’onesto presidente non era tenuto a dirlo, ne è una vittima pure lui.
È stato il messaggio malinconico, anche, di uno che si è sconfitto – seppure non nuovo a imprese del genere. Affidandosi a uno che l’ha tradito in due modi: ha portato il paese alla recessione, con applicazione, e ora lo sfida sul suo terreno, puntando con la stessa applicazione al voto d’opinione che guardava al partito Democratico, di cui Napolitano è stato l’alfiere.
Tradito da uno, però, da cui Napolitano si è fatto abbindolare tradendo a sua volta. Quando a fine 2011 concorse con mano pesante a esautorare il governo eletto. Nella storia diplomatica non c’è un solo caso virtuoso di due linee di condotta contrastanti, tra il “sovrano” e il governo eletto. I  contrasti vanno composti prima, fuori ci dev’essere una sola posizione, altrimenti si tradisce.

La recessione indotta

La questione sociale è stata creata per un assurdo aumento di tre punti in pochi mesi della fiscalità. Che ha ridotto il reddito disponibile, bloccato i consumi, ridotto l’attività, aumentato la disoccupazione, ridotto ulteriormente il reddito disponibile, etc..Un incremento assurdo della fiscalità indiretta, quella che pesa su tutti, e proporzionalmente più su chi meno ha, e non progressiva. E di quella diretta. Progressiva, ma solo sulla fascia media. Tutti i redditi medi hanno subito salassi Irpef, nazionali e locali, tra i 1.500 e i 2.000 euro annui. Mentre l’aggravio dell’imposizione indiretta, tasse, accise, tariffe, ha pesato per altrettanto. Tutto ciò senza incidere sul debito, che è aumentato di 35 miliardi.  
È la prima recessione vera, e severa, della storia della Repubblica. Negli anni 1992, dopo la svalutazione della lira, e malgrado i tagli all’occupazione, la produzione si mantenne comunque indenne. Mentre quella del 2008-2009 è stata più lieve, e provocata da una generale recessione internazionale. Quella in atto è severa, è italiana, è provocata dal governo.
Una recessione indotta, con un’azione distinta del governo, porrà probabilmente Monti negli annali: ancora non era stata registrata. Senza un effetto positivo, di nessun genere. Lo spread si è ridotto ma il debito resta eccssivo, e il suo costo pure – lo spread non è l’interesse, è un indicatore per chi compra e vende titoli professionalmente.

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (157)

Giuseppe Leuzzi

Alle primarie del Pd solo in Calabria ha vinto la candidatura una donna, Enza Bruno Bossio. Non una velina peraltro, non una raccomandata. Per il noto maschilismo?

Tre figli superdotati, nel senso dei soldi, 29 anni di convivenza, e una separazione con 100 mila euro al giorni di alimenti. Che a lei non bastano. È tutto dire su Berlusconi che Milano ci impone.

Il fratello di Emiliano, giudice-sindaco-proconsole di Bari, perde le primarie per la candidatura sicura nel Pd. È la prima sconfitta di un fratello.
I fratelli restano fortissimi al Sud, e di più le sorelle, specie quelle dei giudici. Sono forti a sinistra. Il galantomismo non è morto e si è spostato a sinistra?

L’ammodernamento della Milano-Torino, 127 km., in piano, senza gallerie, è in corso da dieci anni. Senza scandalo. L’ammodernamento della Salerno-Reggio Calabra, 449 km., di cui un terzo su viadotti e in galleria, il resto in andamento montuoso, è in corso da quattordici anni. Con grave scandalo. Non c’è giornale o giornalista che non vi si cimenti. Periodicamente.

Stanislao Nievo, pronipote di Ippolito Nievo, al quale si devono alcune delle pagine  antimeridionali più prevenute nelle sue “Impressioni di Sicilia”, diventa nella voce wikipedia di Corrado Alvaro “pronipote di Alvaro”: “Il Parco Nazionale dell’Aspromonte, congiuntamente con Stanislao Nievo (pronipote di Alvaro), ha creato il Parco Letterario «Corrado Alvaro»”.
Un lapsus. Fra gli innumeri protagonismi del pronipote, scrittore, regista, giornalista, produttore, poeta, coautore di “Mondo cane”, ci fu la promozione dei Parchi Letterari. Ma non c’è mai limite al peggio.

Antimafia
Un ricordo sia concesso, seppure amaro, di Antonio Caponnetto, a dieci anni dalla morte, più o meno (il 6 dicembre 2002), con gli appunti di un evento per lui memorabile:
“È di venerdì, questo 6 settembre 1996, di un anno bisestile, che Catania e Palermo conferiscono la cittadinanza onoraria a Antonino Caponnetto, il giudice di Caltanissetta che prese coraggiosamente la direzione del pool antimafia dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo dopo l’autobomba che dilaniò Rocco Chinnici, l’eroico suo predecessore. Chinnici aveva garantito l’attività investigativa di Giovanni Falcone, colpendo per la prima volta la mafia al cuore, Caponnetto ne perfezionò l’opera. La cerimonia si tiene oggi perché è il compleanno di Caponnetto, che fa 75 anni.
“La cerimonia si tiene a  palazzo degli Elefanti, che copre il lato Nord della piazza Duomo. Sulla quale confluiscono le grandi strade di Catania, la via Garibaldi, la via Vittorio Emanuele, e sulla sinistra del palazzo la monumentale via Etnea, che apre la città alla vista del vulcano. Dopo la quale si erge sulla piazza la cattedrale di Sant’Agata, patrona della città. Lo scenario è degno.
 “Siamo in piazza di buon’ora, che è come si prevedeva ancora vuota. Ne approfittiamo per una sosta al caffè. Camerieri, cassiera e baristi non sanno nulla della cerimonia, ma non vuol dire. Quando usciamo la piazza è ancora vuota, anche se è l’ora ormai della cerimonia, le sette della sera, quasi buio. La piazza è piena di macchine, a cerchi concentrici col muso attorno alla fontana dell’Elefante, il simbolo di Catania, un elefante in pietra lavica che tiene un obelisco – detta “u Liotru”, forse da Eliodoro, un nobile che tentò di farsi vescovo.
Siamo la sola presenza, le scorte ci guardano. Anche gli autisti, che stanno in gruppetti, ma con meno insistenza, loro sono abituati alle attese. Gli ingressi sulla via Etnea , via Vittorio Emanuele e via Garibaldi sono transennate alle auto. I catanesi a piedi concludono la passeggiata sulla via Etnea e tornano indietro, guardando all’Etna.
“Le scorte ci guardano con sospetto. Non siamo capitati a caso, infatti. Avendo letto della doppia cerimonia per Caponnetto, la curiosità era insorta di vedere come queste funzionano, di partecipare in qualche modo. Molta gente importante è prevista: i sindaci Bianco e Orlando, il sindaco di Firenze Primicerio, il procuratore della Repubblica di Palermo Giancarlo Caselli, il giudice deputato Giuseppe Ayala, Rita Borsellino, la sorella del giudice. E ci devono essere, le macchine blu testimoniano che ci sono. Ce ne saranno una cinquantina – il conto è impossibile perché il parcheggio non è ordinato. Degli autisti e delle scorte. Tutti uomini, tutti grigi, tutti silenziosi. Parlano cioè, fumando, ma il silenzio incombe.
“Alla domanda se quella è la piazza della cerimonia, lo sguardo più insistente si muove sprezzante con caratteristico cenno del capo, in basso e poi in alto a sinistra, a indicare la finestre illuminate del palazzo municipale. E lì la cerimonia dev’essere in corso: al primo piano del palazzo del Municipio dalle grandi finestre chiuse contorni di luce barbagliano. Qualche auto ritardataria entra nel cortile del palazzo, e poi lentamente ne esce. Le Autorità si celebrano al chiuso.
“Il cenno dello sbirro è venuto con non diminuito disprezzo verso l’alto. E si capisce: lo sbirro non difende niente, disprezza tutto, il suo obbligo di fedeltà è al suo personale codice dell’onore. Lo stesso fa l’antimafia: come lo sbirro, antagonizza. Essendo una posizione di potere, la si direbbe una nomenklatura: Bianco, Orlando. uniti nella lotta”.

Le due Napoli
È a Napoli la stazione della metropolitana più bella d’Europa secondo i giornali inglesi, la fermata Toledo, nel quartiere San Giuseppe. Progettata dall’architetto catalano Oscar Tusquets Blanca, ha le scale mobili illuminate dal di sotto, una Galleria del Mare di Bob Wilson e due grandi mosaici di William Kentridge. Un’altra stazione della metropolitana di Napoli figura tra le più belle d’Europa, la Materdei, nell’omonimo rione, opera dell’architetto Alessandro Mendini.
Uscendo, ci s’imbatte normalmente in uno scippo, e si può finire testimoni di un assassinio, a freddo, a pistolettate. Sono due mondi separati, non interagiscono l’uno sull’altro. L’assassino non ha occhio per l’opulenza estetica (classista, politica), il testimone è imperturbato dal delitto. È il proprio della civiltà metropolitana, i mondi accostati e non interagenti.
Studioso di Cuoco, lo storico Antonino De Francesco trova ricorrente (“La palla al piede. Una storia del pregiudizio antimeridionale”) il topos dei “due popoli napoletani che vivevano l’uno accanto all’altro, senza nulla condividere”, che lo storico e rivoluzionario denunciava già nel 1801, nel “Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli”. Di due popoli che “aveano diverse idee, diversi costumi e finanche due lingue diverse”, divise anche “per due gradi di clima”…. Due nazioni che il pubblicista e politico reggino Rocco de Zerbi dirà “l’ostrica e lo scoglio” (“La miseria di Napoli”, in “La Nuova Antologia”, 15 dicembre 1879)

Napoli iperattiva iperliberista
Lo stereotipo vuole Napoli lazzarona, scansafatiche. Mentre è la città che la lavora di più, tutti i giorni, a tutte le ore, si può dire con frenesia.
In termini di modernità, si può dire Napoli la maggiore area capitalistica. Di capitalismo più diffuso e più concorrenziale. D’imprenditoria anzi capillare. E caparbia, che si nega per meglio non pagare i tributi, sforzo sovrumano raddoppiato dalla leadership costantemente rinnovata nel contrabbando e l’industria dei falsi, la cosiddetta economia sommersa, che è più conveniente ma dove la concorrenza è aspra.
Incomparabile è l’organizzazione del mercato parallelo, di beni copiati o rubati, altrettanto dettagliato, se non di più, del mercato legale. Con filosofie manageriali flessibili: integrazione verticale, orizzontale, a stella, per contiguità, monopolismo. E una rete d’incroci, marciapiedi, ponti, spiagge, uffici, stazioni, sottopassaggi, per un esercito di ambulanti clandestini, senza identità o senza licenza, che sono tanto più difficili da occultare in quanto il magazzino si portano dietro in sacchi e borsoni. Un mercato senza deposito e senza rese è il sogno di ogni mercante, ma tutto è più arduo e gravoso nel mercato illegale. È una fatica cui si sottostà non tanto per il guadagno, che è sempre poco, benché esentasse, quanto per il bisogno di creare e distruggere in umbra, anche la propria vita.


È stata la Germania fino a non molti anni fa la fabbrica della contraffazione – allora si diceva falsificazione. E della vendita della copia, a prezzo sempre imbattibile. Di tutto, tessuti, tappeti, pellicce, tendaggi, calzature, unguenti di ogni tipo miracolosi. Compresi i famosi acciai di Solingen che si rompevano al primo urto, con  le lamette da barba che tante facce hanno sfigurato. Un mercato attivo ancora negli anni 1970. Senza gusto e senza qualità nella copia: maestria, tinteggiatura, adeguamento al gusto (moda), varietà. Niente a che vedere con la capacità di Napoli, forte della sua tradizione di lavoro à façon, un’arte prima che un lavoro, anche se l’incredibile Saviano ne ha fatto ludibrio (“tutto è camorra”). Con materiali poveri anche alla presentazione. Ma sempre con supponenza, e nel giusto diritto: nessun tedesco diceva ai tedeschi che erano furbi e ladri.   

Napoli
Ma è vero che c’è l’indolenza. Si crea un decalogo della pizza, a Padova.
La migliore pizza, attesta il “Gambero rosso”, si fa lì vicino, a Verona.
A Napoli lo squallore non è la povertà ma la perdita della grazia naturale. Dote visibile nell’arredamento della terra, i richiami di luce, la disposizione degli spazi (palazzi, piazze, strade, giardini), l’apparente naturalezza di ogni manufatto, dal bosco al fiore, dalla piazza al basso. In città, sul Vesuvio, nei Campi Flegrei, nella costiera, nelle isole – fin dove Napoli arrivava.
È una perdita del dopoguerra? Di ottant’anni fa? Di cent’anni fa? Per quella invasione? O mutazione genetica? A Napoli è arrivata l’Italia.

Si può avere a Napoli un cardinale il cui fratello è usuraio. E nei pressi un vescovo vicario con un fratello camorrista e truffatore – soprannominato non casualmente “il Milanese”. Entrambi i prelati militando sul fronte anti-usura.

“Il Ciuccio come simbolo del Napoli nasce nel 1926-27”, spiega Marcio Sconcerti nella “Storia delle idee del calcio”, p. 66, prima stagione a girone unico. E non è casualmente un asino: dopo 17 partite il Napoli ha un punto, cioè un pareggio e sedici sconfitte. La squadra diventa allora ‘o ciuccio ‘e Fichella, “che, come da proverbio, sopportò novantanove pesi finché all’ultimo morì”.
Si vuole ora il simbolo della città?

La Corte d’Appello di Napoli condanna Giraudo, ex amministratore delegato della Juventus, per essere stato a capo di una congiura intesa a salvare la Fiorentina e la Lazio dalla retrocessione. Senza che nessuno della Fiorentina o della Lazio sia colpevole.
Napoli sempre è luogo di meraviglie.

leuzzi@antiit.eu

Il piacere di leggere con Borges

Una lunga intervista alla tv spagnola nel 1980, dopo aver ricevuto il premio Cervantes, e una raccolta delle conversazioni tenute con Osvaldo Ferrari alla radio di Buenos Aires nel 1984, l’ultima di una serie. L’intervista è una piacevole piccola autobiografia. Il nonno combattente a 17 anni, poi generale, la nonna figlia di pastore metodista inglese, il padre letterato effacè per non incombere sul figlio, l’amatissima madre (un rapporto che ha il pari solo in un altro scrittore amabile, Roland Barthes), la sorella artista e amica, i letterati latinoamericani più in vista, le amicizie, Casares, Reyes, Mujica Lainez, le sorelle Ocampo, e la discreta ma salda posizione politica – “di sicuro non sono nazionalista, come non sono stato peronista (la madre e la sorella si fecero per questo un mese di carcere, n.d.r.); non sono comunista, diciamo che sono un individuo, un modesto anarchico di indole spenseriana”.
“Reencuentro” è fatto anch’esso di conversazioni, ma più professorali (pieno anch’esso di refusi, e allora è proprio Borges che vuole l’alfabeto indisciplinato…). Osvaldo Ferrari gli propone settimanalmente un tema: la scrittura, la causalità, la letteratura fantastica, l’amicizia, la letteratura. E gli autori amati, Stevenson, Valéry, Wilde, G.B.Shaw, Emerson, Cristo, Yeats, qui eccezionalmente anche Pascal e – in negativo – san Tommaso e Sherlock Holmes.
Le due pubblicazioni in contemporanea confermano che Borges si gusta meglio al tratto breve, come lui stesso sapeva – come il suo Schopenhauer. Lettore compulsivo benché selettivo – dal suo indice di nomi si ergono monumentali esclusioni: Proust, Freud (una sola citazione, “l’interpretazione oscena delle cose”), i romanzieri russi, i tedeschi tutti, antichi e moderni – è sempre un moltiplicatore avvincente della lettura stessa. Per l’argomentare semplice, aneddotico, spiritoso – alla Schopenhauer quando non si vuole sistematico, e senza le arrabbiature.
Jorge Luis Borges, Non c’è nessuno allo specchio, Mimesis, pp. 55 € 3,90
Reencuentro, Bompiani, pp. 230 € 10.90

martedì 1 gennaio 2013

Generazione X (marcia)

Non volevamo i consumi
È li abbiamo aboliti
Non volevamo il lavoro
E ci siamo riusciti
Le ferie lunghe ci han tolto
Con le feste e i ponti
E ce li siamo ripresi
Assenteisti artisti.

Tutto ci siam presi in cambio
Di debiti insolvibili,
La sanità, le pensioni,
Gli studi senza studiare,
Il posto senza schiodare
Senza più illusioni,
E le donne assermentate
Dopo averle liberate.

Ai prossimi il buono pasto
e la pensione sociale.
Non avevamo poi
Cattive intenzioni.