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sabato 24 giugno 2023

Siamo inglesi, by jingo

Fra le tante conseguenze della Brexit (inflazione, burocrazia, isolamento) chiude la libreria italiana di Londra, per i sopraggiunti costi doganali, di tariffe e di pratiche. Era l’unica superstite libreria europea. Nel paese e nella città dove più si legge chiude l’unica libreria europea superstite. È una sorpresa, e non lo è. Non si ricorda che il colonialismo nazionalista e razzista, il “jingoismo, è stato cosa britannica – altrove i coloni, spagnoli, portoghesi, francesi, anche italiani, non avevano “destini manifesti” o “eccezionali”.
Non si registra una sola conseguenza positiva della Brexit. Non di quelle calcolabili, tutte negative, e nemmeno di quelle incalcolabili – l’aria tira da tempo al depresso. La Gran Bretagna si regge sul senso della differenza, dell’unicità.
In questo senso è recepita in Italia dalle tv di Berlusconi - Canale 5 soprattutto non ci risparmia battito di ciglia della corona britannica. E dai gionali e periodici del gruppo Gedi, di John Elkann – ora intenti a “celebrare” i sette anni della Brexit (perché sette, c’entra l’arcano?). Senza senso del ridicolo. Di cui ha fatto sfoggio l’ultimo Ascot – il bacio sulla bocca della regina lungagnona al minuscolo Dettori, il fantino ambrosiano di record, 55 kg. per 1,63, supera ogni obbrobrio. La forza del jingoismo è la debolezza degli altri, dello snobismo.
Un effetto, curioso ma troppo, del jingoismo è che la Gran Bretagna è governata da figli di indo-pakistani, cittadini a tutti gli effetti perché ex del Raj, dell’impero, del Commonwealth. Mentre figli di italiani – o di tedeschi, per questo - non hanno la cittadinanza e nemmeno la residenza permanente, dopo cinquanta e sessanta anni. L’imperialismo non è razzista, ma al modo britannico lo è.
Il sindaco di Londra Sadiq Khan, europeista acceso, ha scoperto, sempre per il settimo anniversario della Brexit (perché è da ricordare il sette, sono pratiche misteriosofiche?), che non può esporre la bandiera della Unione Europea, né proiettarne i colori, azzurro e giallo. Può esporre bandiere e proiettare colori di qualsi bandiera, ma non dalla Ue: una leggina di Boris Johnson ne fa materia di codice penale.
Altrove questo Johnson, modi, attitudini, abusi, e anche leggi, sarebbe stato detto un fascistoide. E lo è: il fascistoide tipo. Ma è inglese e quindi non lo è.

L’Africa degli africani – non più schiava e non ancora colonia

Una narrativa lunga – dettagliata - di una vita breve, tra il 1745, forse, e il 31 marzo 1797. Senza eventi eccezionali. Se non per la personalità e il destino del narratore: rapito nel nativo Benin, sul golfo di Guinea, da due uomini e una donna, insieme con una sorellina, passa di mano in mano molte volte per sei o sette mesi, finché non arriva al mare, dove viene venduto a una nave schiavista, trasportato fino alle Barbados, e qui rivenduto a un Pascal, capitano di un mercantile inglese. Che lo “battezza” Gustavus Vassa, anche se il ragazzo avrebbe voluto chiamarsi Jacob (il battesimo vero e proprio avverrà alcuni anni dopo, a Londra). E se lo porterà dietro nelle sue tante altre destinazioni, al comando di unità britanniche militari, nell’Atlantico, anche in America, nel Mediterraneo, a Gibilterra e forse in Turchia, e al Polo Nord. In compagnia di un ragazzo americano quindicenne, avventuroso, contrario alla schiavitù, figlio di amici del capitano-padrone, che gli terrà compagnia, e ne allontanerà le paure, per molti viaggi e imprese. Finché non lo rivendera bruscamente, a Montserrat, nelle West Indies, a un imprenditore locale - che lo venderà a sua volta in Virginia. Dopodiché si affrancherà, e si stabilirà in una Inghilterra che lo accetta con animo buono.
La “Narrativa” fu pubblicata prontamente a Londra, nel 1789, l’anno della rivoluzione francese. Ebbe nove edizioni fino al 1797, quando Equiano morì, e avrà un ruolo nella promozione dello Slave Trade Act del 1807, la legge che aboliva il commercio degli schiavi. La dedica, al Parlamento della Gran Bretagna, è di una persona del tutto integrata e senza complessi. Non c’è aspetto inglese che non gli risulti piacevole. In navigazione la prima volta dalle Barbados a Falmouth, in Inghilterra, è terrorizato dall’equipaggio che minaccia sempre di “mangiarselo”, per scherzo. A Londra ha i geloni e i medici minacciano di amputarlo di una gamba, o di tutt’e due. Poi ha il vaiolo, e lo guariscono, qui senza scherzo.
Dell’Africa, della cui geografia mostra una buona conoscenza, rivendica una sorta di parità o uguaglianza, di condizioni di vita e assetti sociali. La vita in Africa è un paradiso, molto igienico al confronto con Londra, in una natura che dà tutto. Facciamo schiavi ma li trattiamo alla pari. Coltiviamo le terre in comune, lontano dai villaggi – uno dei motivi per cui si fanno guerre. Abbiamo sacerdoti e maghi, ma crediamo in un solo Dio creatore. Siamo circoncisi come gli ebrei.  Siamo anche noi della stirpe di Abramo.  Siamo di colore diverso dagli ebrei per effetto della luce, l’aria, il deserto, l’umidità – condizioni climatiche estreme. La storia “incredibile” non è di fatti eccezionali. Incredibile è l’autorevolezza acquisita da Equiano-Vassa nella Londra di fine Settecento, per nessun altro motivo che le sue doti di socievolezza, e di autoapprezzamento, senza complessi.
Sia gli eventi, minimi e grandi, che racconta, sia le stesse coordinate personali che dà, sono oggi contestate dagli storici. In particolare l’origine. Si accetta che sia stato venduto come schiavo nei Caraibi, a un inglese comandante di navi, commerciali e poi militari. Ma più probabilmente da figlio di schiavi, nato nelle Indie Occidentali danesi, l’attuale Carolina del Nord – il nome Gustavus Vassa risulta in un certificate di battesimo, e in un registro navale. Si sa anche che si sposò in Inghilterra, con una inglese, con la quale visse a Soham, vicino Cambirdge, ed ebbe due figlie. Fu negli anni 1780 uno dei più rinomati abolizionisti della schiavitù, chiamato a parlarne in numerose città britanniche. A partire da fine 1781, quando denunciò quello che passerà agli annali come lo “Zong Massacre”, il massacro di oltre 130 schiavi africani sulla nave schiavista “Zong”, di armatori di Liverpool, da parte dell’equipaggio il 29 novembre 1781. Equiano portò a conoscenza degli abolizionisti in Inghilterra l’esito del processo intentato in Giamaica, dove la “Zon” era giunta, dagli armatori contro gli assicuratori, che si rifiutavano di pagare per gli schaivi massacrati. La giuria diede ragione agli armatori: l’assassinio di africani schiavi era legale sotto certe circostanze, e le assicuarzioni dovevano pagare il carico perduto – il verdetto fu rovesciato poi in appello, a Londra, da un giudice monocratico, nel nome del re, dopo la campagna avviata da Equiaio.   
Di più viaggiò dopo la pubblicazione della “Narrativa”, per promuoverne la diffusione, anche in Scozia e in Irlanda. Avviò un progetto di sviluppo in Sierra Leone, la colonia fondata nel 1792 per accogliere gli schiavi affrancati dell’Africa Occidentale. Operò con Granville Sharp, lo studioso filantropo che aveva avviato il movimento abolizionista – e lo concluderà con lo Slave Trade Act.
La “Narrativa” resta notevole, oltre che come opera storica, per le conoscenze geografiche e storiche dell’Africa Occidentale – solo di recente riemerse dopo le cancellazioni del colonialismo. E per la primissima caratterizzazione dell’essere africano, al suo terzo capoverso: “Siamo soprattutto una nazione di danzatori, musicisti e poeti”. Che sarà il leitmotiv un secolo e mezzo dopo della négritude, il movimento di rivalsa culturale (Aimé Césaire, Léopold Sédar Senghor, Alioune Diop, Cheick Anta Diop) che avvierà negli anni 1940 la decolonizzazione. Riferimenti che saranno il fodamento dell’articolato saggio epocale “Orfeo Nero” di Sartre, posto nel 1948 a prefazione dell’ “Anthologie de la nouvelle poésie nègre et malgache”, a cura di Senghor, per ilcentenario dell’abolizione della schiavitù nelle colonie francesi.
A cura di Giuliana Schiavi.
Olaudah Equiano, L'incredibile storia di Olaudah Equiano, o Gustavus Vassa, detto l'Africano, Occam, pp. 328 € 20

venerdì 23 giugno 2023

Problemi di base poetici - 753

 spock
 
“La poesia è un linguaggio a sé e andrebbe tradotta nella propria lingua”, Cocteau?
 
“La traduzione di una poesia è una poesia, che ha in un’altra poesia la sua ragione di essere”, Ottavio Fatica?
 
“Soffriamo tutti di sinestesie”, id.?
 
La traduzione è “transustanziazione in pillole”, id.?
 
Il traduttore è un poeta – ossia: il poeta è un traduttore?
 
Ermetico?


spock@antiit.eu

La scoperta della Persia

Le civiltà e gli imperi persiani, dalle origini a Khomeiny. Lo zoroastrismo prima dell’islam. Gli Elamiti, Susa, Babilonia, i Medi, gli Achemenidi, i Parti, i Sasanidi. Fino a Maometto. Il quadro di un mondo che oggi perversamente si isola dal mondo ma per millenni è stato al centro della storia e della cultura, dell’Occidente come dell’Oriente. Il “primo popolo storico” di Hegel, e degli archeologi successivi. Con le distruzioni operate da Alessandro Magno, e le sconfitte patite dai tardi imperatori romani. Mostrati e raccontati attraverso le scritture e i monumenti di tremila anni.
Fa impressione vedere questa storia pure non ignota in tv. A opera di una giornalista britannica  originaria del Nord dell’India, crescita nella lingua urdu, parente del farsì, con un nome persiano, Samira. Le basta far vedere le innumerevoli tracce in pietra e in pittura del passato, e scorrere le pagine di Firdusì e Khayyam. Senza le fanfare che si vantano per Alberto Angela, ma lo stesso immaginativa ed evocativa.
Niente di straordinario. Fa impressione sopravvenendo alla cancellazione, in Italia, della geografia e la storia, dall’editoria, dalle scuole, da una generazione, quasi due, a questa parte. Senza il passato, è un altro mondo.
Samira Ahmed,
I Persiani, Bbc-Sky Arte

giovedì 22 giugno 2023

Secondi pensieri- 517

zeulig


Animalismo –Si concentrano le ricerche scientifiche o parascientifiche sul lato animale dell’essere umano. Non nell’indirizzo di ricerca ch ha portato a Darwin e all’evoluzione, ma al contrario, per ridurre l’umanità il più possibile, se non soltanto, alla condizione animale. Ci operano i neuroscienziati e i biologi. Sulla traccia degli psicoanalisti, che vorrebbero liberar si della psicologia, ancorarsi a dati certi. Impegnati a trovare i luoghi dell’intelligenza e delle emozioni il più possibile condivisi dall’uomo con gli animali. Da ultimo Mark Solms, neuro psicoanalista, trova la radice degli affetti – “ciò che ci rende profondamente umani” – nel tronco encefalico, che l’essere umano condivide con rettili, uccelli, pesci.
È una ricerca, molto accreditata, che palesemente non può condurre a nulla. Solo indica la voglia di disumanizzare il mondo, di ridurlo allo stato animale, forse nemmeno, forse solo minerale – psicoanalizzare un animale, quando se ne sarà appreso il linguaggio, a occhio non sarà agevole, l’animale è naturalmente stubborn, poco condiscendente. . E a lume di logica nemmeno: anche i minerali avranno un’anima- sentiranno il tempo, non solo il suo trascorrere, anche il tempo atmosferico, le stagioni, avranno attrazioni, repulsioni. Forse non in un disegno, che non si vede, ma per épater le bourgeois, fare la differenza, singolarizzarsi, affermarsi. In un tempo della credulità totale. E a premio: credere “necesse estnaturalmente in un’epoca di miscredenza. È come un vagare nel vuoto, riempiendolo di agudezas, trovatine. Anche senza cattiveria, solo per occupare il tempo: è il momento ci cui l’umanità per la prima volta più non muore di fame, e non è tarlata dal bisogno. Ma non sa come passare il tempo – si autopromuove a scuola, e vaga “libera”, cioè a piacimento, senza più esami, sono censura.
Perché il problema non è che gli esseri umani siano animali. Non sarebbe una novità e non è questa la novità. Il problema è che si voglia ridurli a animali. Con distinzioni minime, ininfluenti.
 
Femminicidio – Connesso al maschilismo della storia occidentale, di 2.500-3 mila anni di storia, si può legare al nomadismo che l’ha preceduta. Di quando, nella sintesi di Bachofen, la femmina “serviva” solo per uso riproduttivo, del maschio naturalmente, e di femmine quanto bastava per la riproduzione. È la connessione più ovvia. Ma non in natura, dove invece si può ipotizzare come una rivalsa. Di un’inferiorità biologica. E di una lunga storia, anche “naturale”, che invece è fatta di ominicidi, di uccisione del maschio a opera della femmina, una volta assolta la funzione riproduttiva. Da Primo Levi, “Ranocchi, etc.”: Si può pensare al femminicidio indotto, dalla protervia femminile? “È noto come molti ragni femmina divorino il maschio, immediatamente dopo o addirittura durante l’atto sessuale; così del resto fanno anche le mantidi, e le api massacrano con meticolosa ferocia tutti i fuchi dell’alveare”, dopo che uno di loro ha impalmato la regina – “l’uxoricidio, tra i ragni, è pressoché normale”, tutte le strategie del ragno maschio sono indirizzate a salvarsene. Primo Levi non lo dice, all’epoca i sessi non erano divisi, ma è come se il femminicidio cristallizzasse una frustrazione di lungo periodo, da selezione naturale. Anche le “superlucciole”, aggiunge dopo un ripensamento, hanno lo stesso vizio: imitano la luce delle femmine di lucciola propriamente detta, per attirare i maschi e divorarli appena si posano vicino.
Prima di quello giuridico, la cancellazione dell’uomo era dunque un fatto naturale. Ora si dice che l’uomo è cattivo e uccide le donne. Come se cristallizzasse una frustrazione lunga millenni, da selezione naturale.
 
Infinito – È un concetto e un fatto. È l’esplosione di una stella avvenuta centosettantaquattro milioni di ani fa e visibile dalla Terra un giorni di febbraio del 1987, a una certa ora della notte, nota e calcolata al minuto. La Supernova 1987, avvenuta nella Grande Nube di Magellano a 160.000 anni luce di distanza da noi, è stata individuata per la prima volta il 23 febbraio 1987, quando la sua luce è esplosa nel cielo notturno con la potenza di un centinaio di milioni di soli, per poi continuare a brillare per vari mesi. Non è l’unica, è stata l’esplosione stellare più vicina, e visibile a occhio nudo,  dopo la Supernova osservata da Keplero nel 1604.
La morte, il suo opposto, è anch’essa una presenza di questo tipo, l’idea che si sarebbe potuto non averne conoscenza.
 
Lusso – Ritorna senza limiti, in forma detta selvaggia, dei “crazy rich”, nelle capitali dell’esibizione del dispendio, Londra, New York, Parigi. La sociologa Caroline Knowles ne redige un esteso campionario in “Serious Money”.  “Londra ha generato un ecosistema unico per generare e consumare ricchezza”, nota, con un elenco di precondizioni che di farro si applicano, in forme forse solo meno vistose o numerose, ovunque, in Australia come in India, a Mosca, e nella stessa Cina comunista: “strumenti finanziari sofisticati”, con “tutti i servizi per eludere le tasse, delocalizzare e nascondere la ricchezza”, bei quartieri, riservati, belle case, buone scuole esclusive”. E molti maggiordomi, che sono una necessità (“secondo la Work Foundation in città ci sono due milioni di persone impiegate nei servizi domestici”, in un città di nove milioni di residenti). Il maggiordomo è necessario come le guardie del corpo, non necessariamente per ragioni di sicurezza ma per proteggere la privacy, la solitudine. I segni ostensivi in uso sono di tutto riguardo: “C’è chi compra casada 45 stanze  per 200 milioni di sterline (è successo a Knightsbridge), chi chiede che in hotel la moquette venga sostituita da un vero prato per le esigenze del cane”, chi non beve il tè se no in porcellane di Meissen. Tutti devono avere “un superyacht, uno status symbol dove il lusso non è negoziabile: scalinate di onice, bagni en suite, spa”, con “uno staff di decine di persone e continua manutenzione”.
I quarant’anni di thatcherismo-reaganismo, dell’ideologia dell’individualismo e del libero mercato quale maggiore veicolo di ricchezza per tutti, hanno riportato in auge la teoria del lusso, o del consumo ostensivo, come origine o matrice del capitalismo. L’origine del capitalismo nel lusso, nel dispendio, ha avuto molti e noti sostenitori: Sombart, Fourier, Colbert, Mandeville, gli stessi moralisti Rousseau, Montesquieu, Adam Smith, in parte anche Marx – fino a Rathenau, il liberale imprenditore tedesco ministro degli Esteri che i terroristi di destra assassinarono nel 1922, che in un paese nel quale non ci sono più ricchi ci sarà solo gente povera, molto povera, diceva. Senza razionalità, e agli antipodi di ogni pretesa virtuosa che il capitale si ricama addosso, d’industriosità, applicazione, efficienza, eguaglianza, merito, uso ottimo delle risorse scarse. Nel calendario di Kant l’età del lusso precede la morale - la cultura del lusso, talenti, abilità, gusto, che crea bisogni non tutti appagabili. Per l’antropologia la nozione di dépense caratterizza la mentalità primitiva e non economica.
Per la funzione economica, accumulatrice e non dispersiva, del lusso bisogna partire da Madame de Genlis, analista acuta: “Il lusso era grande perché era frivolo quello che meno poteva esserlo, e, non avendo nulla di falso, le fortune mediocri non potevano imitarlo”. Il lusso ha senso economico per l’effetto ostensivo, cioè se i mediocri lo copiano. I ricchi a Firenze nel Rinascimento portavano i cappelli che ora portano i pastori in Afghanistan.
Madame de Genlis se ne fece un mestiere: amante del duca d’Orléans, fu della fazione rivoluzionaria a corte, contro l’imborghesimento introdotto da Maria Antonietta, ma poi al duca tagliarono la testa, e lei si riciclerà insegnando l’etichetta alle sorelle di Napoleone.

zeulig@antiit.eu

Nel West all black a caccia dell’ufo

Un Western all black. Su fondo bianco: interni (case, uffici, stalle, cavalli) ed esterni (case, terreni, maneggi, strade). E tecnologico: il cattivo è un ufo, di difficilissima individuazione. I cowboy sono fratello e sorella. Che rilevano l’azienda del padre, prima vittima dell’ufo. Una ditta rinomata di cavalli addestrati per il cinema e la TV. Subiranno varie disavventure, ma alla fine avranno ragione del cattivo.
Lo schema è semplice, il trattamento lambiccato. La coproduzione giapponese necessita di una storia di contorno. Ed è quella di un imprenditore asiatico di un parco divertimenti equino che è stato famoso da bambino, protagonista di una sitcom, per aver visto la famiglia della sitcom decimata dallo scimpanzé di casa, disturbato dallo scoppio di un palloncino. Finirà anche lui male, ma dopo varie digressioni.
Jordan Peele, Nope, Sky Cinema

 

mercoledì 21 giugno 2023

Cronache dell’altro mondo - giudiziarie (236)

La maggior parte dei deputati e senatori Repubblicani al Congresso sono a favore della candidatura Trump alle primarie repubblicane per le prossime presidenziali dopo il rinvio a giudizio di Trump da parte del ministero della Giustizia.
La cadidatura Trump alle primarie repubblicane per le presidenziali 2024 raccoglie “oltre” il 50 per cento dei consensi degli elettori repubblicani, “percentuale insolita” nelle primarie. Il consenso è precipitato dopo il rinvio a giudizio di Trump da parte dell’amministrazione Biden.
La transazione di Hunter Biden, figlio del presidente, con il ministero della Giustizia sui suoi pregressi penali (riconoscersi colpevole di ritardato pagamento delle tasse in cambio dell’impunità) suscita perplessità anche fra i Democratici. Hunter Biden, drogato cronico, era accusato di detenzione illegale di armi, e di traffici illegali, con la copertura paterna, in Ucraina nei primi anni 2010.
(“The Atlantic Daily”, sito anti-Trump del magazine, 18 e 20 giugno)

Un pubblico accusatore accusato, e condannato

Giustamente il giudice pubblico accusatore Davigo s’indigna per la condanna: quando mai s’è visto. Per un giudice, poi, di Mani Pulite, cioè pulitissimo per definizione. Il suo compagno di merende Di Pietro, che pure non si voleva uno stinco di santo, ha vinto 250 o 300 cause, tutte quelle che ha intentato – “mi sono arricchito”, diceva con orgoglio delle provvisionali vinte, sempre per diffamazione.
Non si può nemmeno dire che sia una condanna politica. Perché il partito oggi al governo era quello, quando la fiamma era ancora viva e non spenta, del giudice.
E dunque? È proprio una condanna giudiziaria. Che semmai stride con l’assoluzione del giudice in carriera che lo ha indotto al crimine, il dottor Storari, tuttora in forza alla terribilista Procura di Milano.
Il dottor Storari prendeva per oro colato le fantasie di un certo Amara, uno che mandava esposti, anonimi e non, alle Procure meno indaffarate d’Italia, per esempio a Trani e Siracusa, sicuro che gli avrebbero dato credito. E invece non gliel’hanno dato, né Trani né Siracusa, ma il dottor Storari di Milano sì.

Caravaggio napoletanizzato

Un Caravaggio truculento. Molto sangue, molta sporcizia, molto sesso, in tutte le posizioni, anche con la Principessa Colonna a sessant’anni - povera Adjani, glielo avevano detto (magari ci avrà provato gusto)? Una specie di pittore “maledetto”, molto gridato, si direbbe napoletano, anche se era un lombardo. Fin dalla prima scena, tra le battone dei vicoli di Napoli, antri di brutture e coltelli. Buttato in mare alla fine in un sacco da una rupe a Porto Palo, dove però non ci sono rupi. Dall’“Ombra”, un investigatore inflessibile – e traditore - cui Placido dà il compito di “raccontare” Caravaggio inquisendolo. Su incarico del buon papa Paolo V Borghese – protettore di fatto, col nipote cardinale, di Caravaggio. A Roma negli anni del giocoso Filippo Neri. E non si capisce.
Le donne sono tutte molto generose con Caravaggio, anche nel film, di favori sessuali e per ogni altro capriccio: puttane, principesse, pittrici (Artemisia Gentileschi). I pittori concorrenti pure, lo sono anche nel film: Baglione, Gentileschi. I preti pure: Caravaggio ha lavorato, molto, su committenza quasi solo di preti, a Roma, Napoli, Malta, in Sicilia. E su soggetti sacri, dopo le fioriere e i bacchini di gioventù: non era un demonio, un posseduto. E lavorava più che fare baldoria: ha lasciato un’ottantina di dipinti, quasi tutti grandi, in meno di vent’anni di attività – morì che non aveva 38 anni. Era uno violento? No, si difese in una rissa, fu condannato per modo di dire, mai perseguito.
Con un cast di ottimi attori, oltre Caravaggio-Scamarcio: Isabelle Huppert, Louis Garrel, lo stesso Placido, Ramazzotti, Marchioni, Donadoni, Haber, Moni Ovadia, e “i figli”, Lorenzo Lavia e Brenno Placido.
Di bello c’è che si mostrano i quadri di Caravaggio. E questo al cinema è un miraggio.
Michele Placido,
L’Ombra di Caravaggio, Sky Cinema

martedì 20 giugno 2023

Problemi di base finali - 752

spock


“Quanto al giorno del Giudizio, disse lo straniero, ogni giorno è il giorno del Giudizio”, Frances O’Connor?
 
Bisogna vivere ogni giorno come l’ultimo, si può?
 
“Tante volte sconfiniamo e ci troviamo sotto un cielo privo di divinità”, card. Martini?
 
La fede non è semplice?
 
“Come nuvole alte nel cielo,\ i nostri pensieri muovono le loro molli forme dentro di noi:\ Domani odieremo quello che oggi amiamo”, Wilhelm Küchelberger?
 
“La cosa peggiore è non amare”. M. Duras?

spock@antiit.eu

L’irreligione che viene dalla Bibbia

Mason Tarwater, il prozio che si è impadronito con la forza del pronipote Francis Marion Tarwater, sottraendolo al nipote Ryber quando il bambino aveva quattro anni, orfano della madre, per crescerlo in una radura isolata dentro il bosco nel culto del Signore, del Secondo Avvento, e gli ha insegnato a leggere, scriver e fare di conto con la sapienza del profeta, muore. Il pronipote, ora quattordicenne, si ubriaca, al punto di non riuscire a scavare la fossa per la sepoltura: se la caverà dando fuoco alla baracca a due piani che era la loro casa, tra sporcizia e disordine, con dentro il vecchio prozio. Quindi, consigliato da un vicino di colore, saggio, e aiutato da un paterno commesso viaggiatore cui chiede un pasaggio, si trasferisce dalla zio Ryber, fratello della madre, che faceva la puttana. Anche su Ryber bambino il vecchio Mason Tarvater ha tentato la salvazione, ma il ragazzo gli si è ribellato, e ora fa il maestro, agnostico – tanto più perché ha avuto un bambino down, per quanto celestiale, di figura e attitudini. Siamo a un terzo del romanzo, la convivenza non sarà facile; il giovanissimo Frances Marion è altrettanto profetico (avventista) del prozio morto, e lo zio Ryber non intende dargli ragione, anche se non lo considera pazzo, come invece considerava - ed era, con quattro anni di manicomio – il vecchio Mario, e anzi gli vuole bene, come fosse il suo vero figlio.
Tra zii, prozii, pronipoti e nipoti, e tra prima e dopo, c’è un po’ di confusione. E questo è il senso che aggredisce il lettore. Ma è l’esito di una scrittura piuttosto semplice, e ripetitiva (la nuova traduzione di Gaja Cenciarelli la rende anche più fluida, meno irsurta, dell’originale). Ma è un effetto voluto. Su un mondo che si pretende di luce e invece è di tenebre. Quello del Sud-Sud-Est degli Stati Uniti, di protestantesimo radicale, che si salva con personalissime (salvifiche, profetiche) Bibbie – Bible Belt, l’area della Bibbia. E si appella, come da titolo, al profetismo radicale del Battista, Giovanni il Battista. “Violento”, come da titolo, sulla base del versetto apocalittico del vangelo secondo Matteo,11,12: “Dai giorni di Giovanni Battista il regno dei cieli si acquista con la forza, e i violenti se ne impadroniscono” (oppure: “Dal tempo di Giovanni Battista, il cielo è preso d’assalto e i violenti se ne impadroniscono”). Violento era lo “spirito “ del Battista, e quindi del prozio, il profeta dalla cui morte il racconto comincia.
Uno strano “romanzo del Sud”: niente realismo, solo visionarietà. O allora un realismo senza misura, di pregiudizi, capricci, solitudini - “confondere una follia con una visione”. E tanta superstizione, anche nelle persone ragionevoli – ce n’è: il vicino “negro”, che intanto ha provveduto a dare sepoltura al vecchio, benché carbonizzato, e i guidatori in genere, di macchine o camion, quelli che danno un passaggio al nipote perennemente fuggiaco. In un quadro da romanzo di formazione ma al rovescio. Non c’è saggezza che viene trasmessa ed appresa, ma violenza, dissoluzione. Come impadronirsi dell’altro. Sotto forma di amministrare il battesimo. Oppure all’opposto, d’impedire il battesimo, per “riportare alla ragione” il credente bigotto. In un crescendo di insensatezze – zio e nitpote, maestro e profeta in petto, fanno a gara a uccidere il bambino disabile, muto, albino, che altrove sarebbe un  angelo.  
“È dalla Bibbia che nascono le eresie”, le follie: Frances O’Connor non arriva all’estremo di Paolo V, il papa del giocoso Filippo Neri, immortalato da Caravaggio. Ma è come se: il mondo della Bible Belt, dell’evangelizzazione bizzarra, profetica, maniacale, è folle. Il contrasto tra religione e ragione non potrebbe essere più teso, per oltre duecento pagine, tra personaggi di poco o nessuno spessore, a aprte in fanatismo. Tra l’“entusiasmo” che lasciava perplessi i vecchi teologi, e il buonsenso, che lascia perplessa Flannery.
Qui il conflitto è tra religione e ragione, niente di meno. Che non è scontato o freddo, come apparirebbe. Perché Frances O’Connor è classificata, e lei stessa si vuole, cattolica, “una fiera cattolica”. Tanto più in partibus infidelibus, nella Bible Belt, arcignamente protestante, del Secondo Avvento. L’ottica è rovesciata, proprio da “fierce Catholic”: il buonsenso è qualità diabolica, gli eccessi e le stranezze sono accettabili. In un lugubre, ma non disperato, umorismo. Che infetta tutte le  figure che via via popolano la narrazione. Come di un mondo a parte, in cui il più pazzo, o il meno pazzo, dice pazzo agli altri.
È il secondo romanzo della scrittrice del Sud Usa, della Georgia. Che la confermava atipica nella letteratura americana primi anni 1960. Per la scrittura, all’apparenza weird,  da “Franchi Narratori” dirà un decennio dopo la collana Feltrinelli dedicata agli scrittori italiani atipici, ma nel suo caso costruita, anche molto, da scuola di scrittura nell’Iowa e in varie colonie per scrittori, e con esercizio costante dall’adolescenza. La scrittura è piuttosto, se se ne può fare una categoria, del tipo southern, meridionale, come in Faulkner, o Carson McCullers – anche questa, peraltro, come Frances O’Connor, passata per lunghi anni da Savannah (Georgia). Con una vena satirica irresistibile, per quanto sotterranea. Per l’occhio, che è invece metropolitano, newyorchese nel caso di Frances O’Connor, anche se visse ritirata nella campagna della Georgia: la corrispondenza, quotidiana e prolungata, la mostra attenta a ogni novità.  
Una irlandese, con tutte le stamina, nel deep South. Tra i “negri” che la confondono – quasi come i biblisti. Un re-appraisal dovrà tenerne conto. Aveva paura dei neri, che chiamava negri ma come tutti, senza disprezzo. Ma non si tiene conto che è poco americana, soprattutto nella scrittura. Inventiva, umorale, “senza peli sulla lingua”.
Una sorta di classico, alla terza o quarta riproposta in pochi anni. Già tradotto da minimum fax, che lo ripropone in una nuova traduzione, di Gaja Cenciarelli. Con una breve presentazione di Marco Missiroli, e una diffusa cronologia. Dopo essere passato per Einaudi, la severa collana iperletteraria Letture Einaudi.
Flannery O’Connor, Il cielo è dei violenti, minimum fax, pp. 240 € 15

lunedì 19 giugno 2023

La sagra della giustizia

Cresce a sinistra il numero e la qualità dei giuristi favorevoli alla riforma Nordio della giustizia, Flick, Cassese, Mirabelli  - praticamente il solo Zagrebesky, Gustavo, è contro, ma è un democristiano non pentito e petulante, al quale Ezio Mauro ha messo la maschera del rivoluzionario a oltranza. Ciononostante  i giornali che li ospitano sono neutrali, e anzi contro. Pensano di vendere una copia in più con le intercettazioni e le confidenze dei giudici, invece che con un’informazione “corretta”?
Singolare è la posizione degli avvocati, per i quali l’abolizione dell’abuso d’ufficio significherà il crollo degli onorari senza lavorare. Vale la vignetta di Giannelli sul “Corriere della sera”, con l’indecisa a tutto Schlein che dichiara: “Abolizione del reato di abuso d’ufficio. Noi siamo contrari. E d’accordo con noi è la totalità degli avvocati”.
Schlein è suffragata subito poi dal principe del foro Franco Coppi, il difensore della miniera Berlusconi, quello del “processo nel processo” (“i giudici sono galantuomini”) – non per caso tripolino di origine: “Toglierlo”, togliere l’abuso d’ufficio, “vorrà dire che i Pm procederanno per corruzione, non mi pare una grande alzata d’ingegno”. Come dire: i sindaci vanno comunque perseguiti, vera logica tripolina, con processi più lunghi e più costosi.
Ogni Comune ha decine e anche centinaia di notule avvocatesche pendenti. Quasi tutti procedono periodicamente, ogni venti o trent’anni, a liquidazioni “a cottimo” – un tanto a testa per ognuno degli avvocaticchi del paese in attesa.

Letture - 523

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Aida – Si dirà l’“Aida” di Coda, quella allestita all’Arena di Verona per il centenario. Anche di Mariette, l’egittologo, che è l’autore dell’intreccio (Ghislanzoni si limitò a ridurla per il libretto, fra i “deh!” e i “lai”). Una storia d’amore. E la più consona alla vicenda se non al libretto, e alla musica. Dell’amore tra nemici (la vecchia freccia all’arco del pacifismo), e dell’amore non riamato. A partire dalla “Celeste Aida” che la caratterizza.
 
Assegno in bocca - “Dovevo fare lunghe file per seguire le pratiche e passare da un ufficio all’altro con l’assegno in bocca”: così Berlusconi a un forum sula Pubblica Amministrazione, il 9 maggio 2003. “Assegno in bocca” era all’Eni nei primi anni 1970 l’allora segretario di Aldo Moro, Sereno Freato – così in Astolfo, “La gioia del giorno”.
 
Italia – Fu patria di elezione per molti intellettuali e artisti fino al primo Novecento: Michels, o Sorel  “fortunato” solo in Italia, Leo Spitzer, Ernst Robert Curtsius, Edward Lear, Norman Douglas, D.H. Lawrence, Gorkij, Gore Vidal. I tanti artisti russi che prima e dopo la Grande Guerra si trasferirono in Italia, della letteratura, del cinema, del teatro, del balletto.  Poi non più – sono invece intellettuali italiani di prestigio a scegliere la patria fuori. Si è cominciato con le leggi razziali e si è continuato dopo la guerra, per tutta la storia della Repubblica. C’è il regista italiano naturalizzato britannico, o francese, svedese, le tante scrittrici naturalizzate francesi, l’artista naturalizzato americano, ce ne sono in Germania, anche in Svizzera.
 
Jaccarino – Linda Jaccarino, la nuova Ceo di twitter, è variamente declinata, benché vip e anche molto vip: Yaccarino, Yakkarino e Jakkarino. Ci vuole un y o un k, a preferenza di una j, per essere veramente americani? Forse perché nell’ispanoamericano, la seconda lingua degli Stati Uniti, dalla Florida e il Texas alla California, e a New York, la j” ha un altro suono. Lei stessa comunque non si cura delle radici campane – cura il futuro, ora, dalla presidenza e la gestione di twitter, se rende di più con la pubblicità oppure con gli abbonamenti.
 
Kissinger –“Kissinger a volte, sentendosi uno straniero, cedeva al volere di Richard Nixon” -  Luigi R. Einaudi, il diplomatico americano nipote del presidente Einaudi, a Viviana Mazza su “La Lettura”, a proposito del Kissinger “italiano” di Oriana Fallaci, il Kissinger “cowboy”. Non si pone mai mente al fatto che Kissinger è un immigrato, uno che “si sente” immigrato. Con un accento tedesco che suona accentuato, anche ora che ha cento anni. E un tedesco ebreo per giunta. A un tassista che gli diceva di sperare che diventasse presidente Kissinger avrebbe risposto, dice Einaudi: “In che caos dev’essere questo paese per chiederlo a un grasso ebreo tedesco!”. Della politica di Kissinger dice: “Era più conservatore di me, anche reazionario!”, ma “sapeva che l’innocenza americana è una sciocchezza, che sono stai commessi abusi dei diritti umani… In America c’è una  tradizione di violenza preventiva, come con Bush jr., ma non credo che Kissinger l’avrebbe condivisa”.
 
Machismo – Le coppie classiche sono poco galanti, premettono sempre l’uomo alla donna: Romeo e Giulietta, Cupido e Psiche, Amore e Psiche, Aci e Galatea, benché Aci fosse un pastorello, doveva puzzare, Filemone e Bauci, Ero e Leandro, Deucalione e Pirra, Piramo e Tisbe, Teseo e Piritoo, Pan e Dafni – che però è maschio all’anagrafe.
 
Nazionalpopolare – Il contributo forse maggiore di Gramsci, più del concetto generico di “egemonia”, ritorna da destra. Dimenticato dalla sinistra che, seppure per la voce di Baudo, eterno democristiano, l’aveva rivendicato per decenni, e le sagre
dell’“Unità” celebravano. Abbandonato, ora che paga politicamente, a favore della destra, che se ne è impadronita – mentre la sinistra si fa fastidiosa (radical chic). Se ne è fatta la celebrazione a Verona, per i cento anni dell’Arena, con l’Aida. Uno schieramento “italiano”, col sorvolo delle Frecce Tricolori, per la contemporanea celebrazione dei cento anni dell’Aeronautica, inno di Mameli. Supportato da presenze forti: Sofia Loren sempre diva, al bracco di Sangiuliano, napoletano ma ministro della Cultura, e poi tutti quanti: Matt Dillon e Gigliola Cinquetti, Baricco e Sgarbi, Jerry Calà e Lino Banfi, Malvaldi e Placido, Mogol e Morgan, Alberto Angela e Luca Zingaretti, Iva Zanicchi e l’Amadeus di casa. Personaggi anche di sinistra, si suppone. Ma con l’assenza del primo sindaco di sinistra della città, l’ex calciatore Tommasi.

 
Ottocento – Si vuole affumicato. Bellocchio (“Rapito”) dopo Pupi Avati lo fa domestico, di interni, grigio brunito, di voci soffocate.  Singolare seppia di un tempo che invece era rivoltoso, molto sentimentale, individualista. Era fumoso, questo è vero, per l’industria illimitata e anzi urbanizzata. Ma anche dentro casa? Gli uomini si può capire, avevano barba e baffi e portavano le ghette. Ma le donne, vestivano anche loro sempre di grigio?
 
Roma – Rimandano a Roma le cinque pagine di malumori che Marguerite Duras dedica a Parigi nel libro-confessione “Vita materale” di quarant’anni fa. Le automobili, la maleducazione, le scuole inerti, i turisti maltrattati, la ristorazione precotta. E gli “stagnanti”, a ogni angolo del quartiere, alla chiesa, all’edicola, al bar, sul marciapiedi: “Che non fanno niente. Che essere vivi. E guardare” – in più sono ora al telefonino.
 
Scrittori – “Gli uomini amano le donne che scrivono – anche se “non lo dicono” (Marguerite Duras, “La vita materiale”). Ma anche i maschi: “Gli scrittori  provocano la sessualità nei loro confronti. Come i principi e le persone di potere”.
Sono però a rischio se amano il sesso, dice sempre Duras (per esperienza?): “Ho notato che gli scrittori che fanno superbamente l’amore sono molto meno grandi scrittori di quelli che lo fanno meno bene e nella paura”.    
 
Teatro di donne - “Dal 1900 non un solo testo di donna è stato rappresentato alla Comédie Française, o da Vilar al T.N.P. né all’Oéon, né a Villeurbanne, né alla Schaubühne, né al Piccolo Teatro di Strehler, di un autore donna o di un regista donna”, Marguerite Duras, “La vita materiale”. Per sessant’anni, fino all’irruzione della stessa Duras, e di Nathalie Sarraute.

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Storia pruriginosa di un falso piccante

Il film di una beffa letteraria particolare, di un’adolescenza tra il lubrico e la violenza. Un fim dal vero: oggi usa chiamarli docufilm, ma questo è sceneggiato, e recitato, con un cast di nome, Kirsten Stewart e Laura Dern tra gli altri, una vera storia.
Una scrittrice, Laura Albert, ha avuto finalmente successo dandosi uno pseudonimo, J.T.LeRoy, criptico ma maschio, e un passato tormentato, perduto giovanissimo, fra stupri, marchette, droga, nelle stazioni di servizio del West Virginia, dove si prostituisce insieme con la madre, e altrove. Il filone della violenza sui minori caricando di ogni eccesso. Il primo successo replicando, con “Ingannevole è il cuore più di ogni cosa” dopo “Sarah”. Entrambi i romanzi presentando come storie dal vero.
I romanzi fecero epoca, una dozzina d’anni fa, nella critica, anche internazionale, oltre che tra i lettori – tra gli ammiratori dichiarati molte star, Toma Waits, Bono, Suzanne Vega. Alle sollecitazioni del pubblico e della stampa Laura Albert e gli editori risponsero con la “creazione” anche fisica del falso LeRoy: un’occasionale conoscenza della scrittrice, giovane, androgina, si presta a impersonare il dissoluto giovanotto sulla  via della redenzione. Dapprima con “foto dello scrittore in varie occasioni”, poi con letture in pubblico, a distanza, infine con una conferenza stampa – a Parigi, dove naturalmente una bella parigina s’infatua del bel dissoluto. Fino a quando “New York”, il settimanale, e il “New York Times” ne rivelarono l’identità – per prolungare il successo con lo scandalo.
Una storia di successi piramidali del falso. Il film punta sulla vicenda a due, autrice e amica impersonatrice. Nella chiave dell’ambiguità di genere, e forse per questo il film è presto passato all’archivio – o perché è uscito in prossimità del covid. Ma è una storia a più strati e molto curiosa, dell’editoria, e dell’opinione pubblica, nel Millennio: il bisogno di violenza, il bisogno di depravazione, il gusto voyeuristico dell’infanzia o adolescenza abusata, l’androginia, la creazione del best-seller, l’anonimo.
La vicenda di “J.T.Leroy” è doppiata dalla storia del film. La soggettista e sceneggiatrice, nonché coprotagonista del film, è la stessa “amica” che si prestò a impersonare J.T.Leory, Savannah Knoop. Che sulla vicenda aveva imbastito il suo proprio best-seller,  “Girl Boy Girl: How I became JTLeroy”. E in parte sulla intervista-confessione, in parallelo, della stessa  Laura Albert, “Essere J.T.LeRoy”.
L’intervista è più sapida del film, per la verità, sullo stesso versante piccante: il godimento a inventarsi maschio, benché sposa e madre, la progressiva identificazione col maschio J.T.LeRoy anche dell’amica giovane impersonatrice, un set di “Ingannevole è il cuore” dove la coca gira come l’insalata. “Ingannevole è il cuore” è il film americano di Asia Argento, con un cast rispettabile e perfino venerabile, presentato alla Quinzaine des réalisateurs a Cannes nel 2004. I rapporti fiammeggianti di Asia col lui\lei che impersonava J.T.Leroy, col vero impersonatore, la propria cognata di Laura. La verità è una buona vendita.
Justin Kelly, J.T.Leroy, Sky Cinema


domenica 18 giugno 2023

Ombre - 672

“Nella nuova geografia di serie A e serie B proprietà estere al35 per cento”, calcolano Bellinazzo e Giardina sul “Sole 24 Ore”. È una cosa buona? Per lo sport no: sono investimenti finanziari a fini fiscali o di speculazione. A volte canali di guadagno: il padrone indonesiano dell’Inter, prima dei cinesi, prestava denaro al club all’8 per cento, in anni di tassi zero.
 
A Terni l’avvocato Amara è condannato per diffamazione contro l’Eni, per “una serie di esposti anonimi alla Procura della Repubblica di Trani e, poi, una denuncia alla Procura della Repubblica di Siracusa – al cui interno poteva contare sulla complicità del PM Dott. Longo”. Tutti risultati falsi, “per stessa successiva ammissione dell’Amara”. L’Amara che ha tenuto impegnata la Procura di Milano – non quella di Trani, che non ha niente da fare, stando così vicina a Bari, un poltronificio - per un decina d’anni. Per stupidità o per cattiveria? S’intende della Procura di Milano.
 
Non si può dire che niente sia migliorato a Roma, nella città, con il Pd al governo. Nel primo bilancio l’addizionale Irpef è ai massimi consentiti dalla legge, e anche le multe stradali, sono aumentate del 50 per cento, poco meno. Quando si vuole, si può governare – è la pulizia che dev’essere indigesta.
 
Il capo ufficio studi della Danske Bank, che non è la banca centrale danese ma una banca, ipotizza, “probabilmente”, che il tour di Beyoncé, la cantante texana, abbia incrementato il tasso d’inflazione in Svezia di 2-3 decimali di punto – anche se nel mese in questione, tra aprile e maggio, il tasso d’inflazione è sceso dal 10,5 al 9,7 per cento. Dopodiché tutti a calcolare di quanto i fan della diva  si spostino, in Svezia e da fuori, o a Cardiff, o, altrove dove lei è in tour, spendendo in panini, bevande, pernottamenti, biglietti, trasporti, eccetera.
Una tesi ridicola, ma una promozione eccezionale del tour e della cantante. Forse anche gratuita. Poiché la ripropongono con dovizia e serietà i giornali Usa, e anche il “Corriere della sera”, “Il Messaggero”, “Il Giornale”, “Il Fatto Quotidiano”.
 
In un’intervista a Luciano Fontana il 24 marzo 2011, ripresa da “7”, Berlusconi dava il caso Libia risolto: “Abbiamo ottenuto il coordinamento Nato di tutte le operazioni. La coalizione è impegnata a difendere la popolazione. L’Italia non è entrata in guerra e non vuole entrarci. Ne ho parlato con il premier inglese Cameron e con il segretario di Stato Hillary Clinton, ed erano perfettamente d’accordo”. E sempre viene il dubbio se Berlusconi in politica estera di era o ci faceva – come già a Pratica di Mare, dove in teoria aveva ottenuto una bellissima cosa, l’Europa in pace con la Russia, e di nuovo con un futuro. Ma chiaro e semplice è che, a parte Berlusconi, l’Italia non è considerata, a Londra come a Washington: è un cuscinetto, morbido.
La guerra in Libia non aveva altro obiettivo che disastrare l’Italia. Anche se gli americani fanno guerre strane, guerre per fare la guerra – da ultimo chiamandole per la democrazia, o per i diritti (di chi?). 
 
“Piovono bombe, ma mancano i rifugi. A Kiev solo il 10 per cento trova riparo. Alcuni bunker sono privati, per altri i costi sono gonfiati dalla corruzione”, Battistini sul “Corriere della sera”. In sedici mesi di guerra la prima notizia vera. Non “di guerra” cioè, manipolata, che gli inviati firmano. Gli inviati italiani, non c’è nulla di simile sui giornali americani o inglesi, di paesi che pure sono in prima linea nella guerra.
 
Bce insensibile, malgrado le riserve della Banca d’Italia, e aumenta i tassi d’interesse ogni tre mesi. Non si capisce, in questa congiuntura, se per abbattere l’inflazione o non per accrescerla – chi paga gli aumenti dei tassi? i consumatori-utenti finali, quelli su cui si calcolano gli indici d’inflazione.
I banchieri centrali bisogna guardarsene: un vecchio banchiere centrale, l’americano Greenspan, diceva che l’aumento dei tassi era come tagliare capelli con una motosega.
 
L’avvocato Coppi, ultimo avvocato di Berlusconi nei processi Ruby, intervistato dalla “Stampa”, dice che bisogna avere fiducia nella giustizia, “difendersi nel processo e non dal processo”. E certo, gli avvocati ci stanno per questo. Poi dice: “Sull’unica condanna ci sarebbe da discutere”. Quisquilie.
 
È difficile credere che il processo a Trump non sia politico. Anche perché azionato dal ministero della Giustizia e non da un giudice indipendente. Ma non per i giornali – il “Corriere della sera”, che ci fa una pagina, si limita a comunicare che “il 74 per cento dei Repubblicani ritiene che il processo sia politico”. Poi si dice l’America.
 
“Tre cose mancano nella politica estera americana”, spiega a Viviana Mazzi su “La Lettura” l’ex diplomatico americano Luigi R. Einaudi, il nipote del presidente Einaudi: “La capacità di ascoltare gli altri, di rispettarne la sovranità, e di capire che la democrazia si costruisce non solo dentro i Paesi ma tra di essi”. Niente.


L’etica del lavoro, o dello sfruttamento

Ci sarà un “dopo il lavoro”, un’era del tempo libero? Forse c’è già. Il lavoro a lungo è stato deprecato, era condizione servile. L’“etica del lavoro” nasce col tardo calvinismo, nei tardo Seicento – agli albori, andrebbe aggiunto, della rivoluzione industriale. E dunque si può cambiare.
Gandini, l’italo-svedese narratore documentarista di altre realtà, specie della “Videocracy”, prima del grillismo e dei talk-show tv, ci prova. Con semplici interviste, tagliate come se fosseri narrazioni degli intervistati, ma appassionanti.
Si parte col lombardo che a quaranta o cinquant’anni scopre che non gliene frega nulla della censura paterna, “datti da fare”, “non avrai un futuro”, e fa quello che sempre gli sarebbe piaciuto, potare. L’ereditiera, che cura i fiori, ferra il cavallo, fa sgambare il cagnetto, e beve volentieri un bicchiere sui bei divani della bella casa patrizia, con compagno altrettanto nullafacente, e entrambi sanno che non rubano nulla e semmai danno un contributo, piccolo, all’ambiente e alla società. Tra gli opposti. I coreani, vecchi e giovani, che lavorano sedici ore al giorno, sei giorni la settimana, due ore le perdono per il pendolarismo, una per mangiare e i bisogni, e dormono, male, cinque ore. O gli americani workaholic. Il promoter, motivazionista, che si sganascia dalle risate all’idea di sei o anche cinque settimane di ferie: un americano impazzirebbe, l’americano ama lavorare, l’etica è del lavoro – e ad altri aspiranti gestori del personale spiega che ai rilevamenti demoscopici nessun manager o imprenditore privilegia l’istruzione, pochi la puntualità e la socievolezza, mentre tutti vogliono dedizione. Con una filosofa, sempre americana, che spiega l’etica del lavoro calvinista. Per subito poi riposare su una poltrona soffice snodabile, che la mette comoda senza alcuno sforzo personale, con marito compiaciuto, tutto molto americano.  All’altro estremo i koweitiani, che sono pagati - tutti i cittadini koweitiani hanno diritto a un “lavoro” statale - anche quando non hanno nulla dafare, per giorni, settimane, anni.
Insomma, il lavoro se ne parla tanto da tanto, da un paio di secoli, ma non si sa che pensarne. Luca Ricolfi fa vedere in tabella che l’Italia ha il record dei fannulloni – ufficialmente neet, i “giovani” venti-trentenni che non lavorano, non studiano, non imparano un mestiere: sono uno su tre. E lancia un’ipotesi, che non è quella solita dell’Italia matrigna, che non offre un’opportunità ai suoi figli, ma esito della natalità bassissima da un trentennio: nelle famiglie ormai “cinesi” da due generazioni i figli, eredi di due genitori e quattro nonni, fanno gli “ereditieri”, anche se non hanno una magione di campagna, o non sanno accudirla.
Materiali ovvi, perfino scontati. Ma montati con sapienza, e con tagli, scorsi, illuminazioni invoglianti. C’è perfino Elon Musk, che si penserebbe uomo d’affari e di soldi, a ipotizzare “inevitabile,  necessario” un salario minimo mondiale. Che è, a ripensarci, non un’elemosina coatta, alla koweitiana, ma un misura minima contro il dumping sociale, di cui molte economie beneficiano, in Asia, in Africa e in America Latina, lo sfruttamento del lavoro.
Erik Gandini, After Work