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sabato 25 ottobre 2014

Ombre - 241

“Trentamila su trenatonovemila marinai tedeschi non tornarono a casa” durante l’ultima guerra, marinai dei sottomarini: tre su quattro, “percentuale impressionante, la più alta di ogni arma nella storia militare moderna”, nota sulla “Nazione” Cesare De Carlo. Che commenta: “Il che dà un’idea della priorità con la quale Churchill e Roosevelt affrontarono la sfida sottomarina”. O non del fanatismo da kamikaze dei volontari tedeschi?  

Non sta nella pelle Alfredo Montalto che martedì processerà il Quirinale al Quirinale, con i corazzieri e tutto. Un bel salto da quando s’illustrava portando la Corte in giro per l’Italia ad ascoltare Spatuzza. Un bel salto anche da Berlsuconi, che Spatuzza doveva accusare, a Napolitano. Un processo pazzesco. Di un giudice savio?

Lamenta Barroso che la pubblicazione della sua lettera lede il rapporto di fiducia europeo. In un certo senso ha ragione: far leggere a tutti la missiva di Bruxelles, dopo dieci anni di Barroso, a metà cifrata a metà minacciosa, giustifica i quattro europei su dieci che a maggio gli hanno votato contro. Ha però anche torto: in questo dieci anni gli abbiamo pagato 300 mila euro, l’anno: per dissolvere la Ue? 

“Licenziare le orchestre non è una soluzione. Rivela solo la mancanza di cultura di chi lo decide”. Daniel Barenboim non si sottrae al giudizio sui licenziamenti barbarici di Roma. Ma lo dice a Berlino.

Quattro grandi giornali letti giovedì e tutt’e quattro titolavano la sconfitta della Juventus a Atene “Pianto greco”. Che era il titolo dello Speciale Champions League di Canale 5 mercoledì notte.

Moratti non solo svende l’Inter, ma la liquida, vorrebbe, criticando questo e quello, e ritirando tutti i suoi dalla società. Ciononostante Milano lo celebra come il Robin Hood di “un calcio romantico e sfrenato”. Con un miliardo e duecento milioni? Che ha preso dove nessuno se lo chiede. E dove li ha buttati nemmeno.

Non un centesimo di danni è stato pagato per il Thalidomide, il “medicinale” che causò quarant’anni fa la nascita di 7 mila bambini focomelici in Germana, di cui 4 su 10 presto morti, e circa 10 mila nel mondo. Né lo sarà mai. Una condanna della Chemie Grünenthal, che aveva allegramente messo in vendita il prodotto come sedativo alle gestanti contro le nausee, è stata cassata martedì a Madrid – vassallaggio oblige. E per il resto prescrizione.

“Non è normale vincere così”, si meraviglia lo stesso Guardiola, de sette gol del suo Bayern alla Roma. Ma ai romanisti non importa, anche se hanno pagato per la disfatta cento euro e oltre: loro per due ore si sono potuti esercitare contro la Juventus. Odium vincit omnia.

Sanzionato in Germania anche un cavallo, Zazu: appartiene al ceceno Kadyrov, nella lista nera perché amico di Putin. Due circoli ippici si sono rifiutati di pagare le sue vittorie. Sempre i tedeschi si approfittano delle leggi punitive. E anche questa volta la cancelleria e il Bundestag hanno sancito la decisione.
La Germania ha risparmiato 3.500 e 2.000 euro di premi, 5.500 euro.

Il senatore Barani è processato a Massa per rimborsi illeciti del comune di Villafranca quando ne fu sindaco. 44 ricevute per 8 mila euro in cinque anni. Tutte autorizzate, ma la Procura di Massa vuole processarlo uguale. Non è la prima volta, il senatore è anzi l’unica occupazione della Procura di Massa, sette addetti – più gli impiegati e gli uscieri.
La colpa di Barani è di essere socialista.

In alternativa a Barani, la Procura di Massa si occupa di Zubbani. Che è sindaco di Carrara. Finora senza successo.
La colpa di Zubbani è di essere anche lui socialista.

Profili di opacità diffusa nelle banche locali tedesche, è la diagnosi della vigilanza Bce. Senza spread. La scommessa è facile che domenica queste banche salteranno gli stress test, i controlli Bce di affidabilità patrimoniale – in qualche modo.

Il debito pubblico spagnolo è cresciuto da fine 2007 a metà 2014 da 350 a oltre 1.013 miliardi – sarà a 1.050 a fine anno. Dal 36 al 96 per cento del pil – sarà al 98-100 per cento a fine anno.  Senza bocciature e nemmeno censure di “Bruxelles”- la Spagna si lega politicamente alla Germania.

La Francia ha risolto cinquant’anni fa una crisi demografica grave con il quoziente familiare – un prelievo fiscale decrescente col numero dei figli. Da allora la famiglia francese media ha tre figli. Quanti consentono alla madre di occuparsi dei figli senza lavorare, se non vuole: i tre figli compensano il salario medio.

Lo ha fatto la Francia repubblicana, laica – la crisi era certo grave, durava dalle guerre napoleoniche. Niente di simile è mai stato possibile nell’Italia democristiana e papalina. Renzi promette 80 euro al mese per tre anni. Meno di mille euro l’anno, non esentasse.

Sogni esauditi

“Si sogna in estate, poi si smette”. E nel Nordland l’estate è breve. Ma “il grande Rolandsen” può sognare tutto l’anno, in tutte le stagioni, senza limiti, altrettanto fulmineo e illuso quanto è furbo e pratico. E da giovanottone affamato, poco vestito, infine disoccupato, farsi ingegnere, inventore, imprenditore e, all’ultima riga, innamorato felice. Un gioiello. Scritto da Hamsun con la mano sinistra, per divertimento, rapidamente nel 1904, nella pausa seguita ai romanzi dai “pugni chiusi” per cui era famoso, “Fame”, “Misteri” e “Pan”.
Uno scherzo con andamento favolistico. Il Buonannulla caro alla sua critica tedesca Hamsun sembra perfino teorizzarlo, caricandolo, come in maschera. Rolandsen è pur sempre hamsuniano, “con i nervi allo scoperto”, nelle parole del curatore Fulvio Ferrari (le quattro pagine di postfazione sono forse il miglior trattatello hamsuniano in circolazione), “sempre pronto all’atto paradossale, all’immediata traduzione del moto emotivo in gesto visibile”. Ma è anche felicemente pìcaro, e per una volta non dolentemente autobiografico – lo scrittore Hamsun si fece precedere da una biografia tormentata, veramente e non al modo rituale degli scrittori americani cui si rifà. Che a volte si trasforma in gigante. E mai smette di affabulare. Corteggia tutte le donne, burlone e gentiluomo, anche con le viperine e le irsute  – “non era facile trovarne un altro che sapesse come lui diffondere un po’ di gioia intorno a sé”, riflette rassegnata la moglie del parroco. Sa lottare “come uno scaricatore”, e cantare “come un ragazzino”. In un mondo sempre di terra e di mare, e isolato, ma non chiuso, senza le brume costanti, e con le stagioni, attese, vissute, rimpiante.  
Knut Hamsun, Sognatori, Iperborea, pp. 129 € 11,50

La mafia della legge

Il Procuratore Capo Creazzo, asceso dal mandamento piccolo e mafiosissimo di Palmi a Firenze, ha scoperto che vi processavano un ladro morto da tre anni. Lo processava un procuratore onorario – la scoperta è avvenuta il giorno dello sciopero degli onorari, cui Creazzo ha dato la sua solidarietà sostituendosi in aula – ma il processo andava avanti come fosse vero.
Sempre a Firenze, il giorno prima era stato assolto un ex direttore generale della Asl di Massa, reduce da tre anni e passa di carcerazione preventiva a causa di una telefonata da lui non fatta ma adebbitatagli, in fase d’intercettazione o trascrizione, dalla Finanza. Il direttore generale era stato intercettato su esposto-querela dell’assessore regionale alla Sanità Rossi, esponente di primo piano del Pd alla Regione Toscana, ora presidente della stessa. Anche il revisore dei conti della Asl di Massa, incolpato da Rossi, è stato assolto. Quella Asl ha fatto un buco nel 2011 di 400 milioni, un buco politico, che Rossi voleva che fosse rigettato sul vecchio dg e su Deloitte. Detto e fatto. Nessuno ha mai pensato di indagare su di lui.
Con l’assoluzione in appello nel processo Ruby si è saputo che Berlusconi era stato intercettato, benché parlamentare e presidente del consiglio, dallo Sco della Polizia 6.113 volte tra maggio e ottobre del 2010. Qui senza nemmeno una denuncia o querela. Quando la Procura di Milano ne diede l’annuncio tramite Gianni Barbacetto sul “Fatto Quotidiano”, fece scrivere che Berlusconi era denunciato da una minorenne di cui aveva abusato. Cioè da Ruby, che invece è testimone a suo favore. Lo Sco era stato creato nel 1992 contro la mafia. Ma questo non è il primo caso in cui devia dai suoi compiti.
L’illegalità è diffusa soprattutto negli apparati della legge. Troppa discrezionalità. Interessi di parte, di carriera o politici, e perfino sindacali. Troppa confidenzialità - pentiti che poi si ripentono. E inefficienza diffusa, al limite del criminoso, per indagini mal fatte. Non è una novità, dai vigili ai Procuratori Capo in Italia la legge è sempre stata questa: tutti sbirri. Ma ora non si critica nemmeno. Anzi, essendo diventato questo apparato marcio fonte di notizie e scandali, i media ne impongono un’immagine distorta di efficienza, impegno,  eroismo.
Si dice: il pesce puzza dalla testa e la giustizia non si sottrae. Ma il pesce Italia non puzza. È in crisi ma ha giudizio, energia, e integrità. È l’apparato repressivo che puzza. L’Italia ha giudici e giornali che non si merita. In Inghilterra, in Germania, in Francia, o negli Usa, si inorridirebbe a sapere che le fonti dell’informazione scandalistica sono gli apparati legali, in Italia i migliori giornali le esibiscono a titolo di merito.
Si fanno indagini, o non si fanno, come favori politici. Le Procure vengono da una stagione di processi politico-carrieristici da repubblica delle banane. In quale pese civile si farebbe posto a un De Magistris, un Di Pietro, un Ingroia? Ai tanti troppi altri che si sono fatti senatori e presidenti con indagini mirate politicamente? In nessun ordinamento giudiziario se non di tipo sovietico si è mai assistito all’espulsione di mezza Procura come fa Bruti Liberati a Milano. Uno del Pd con la protezione di Napolitano. Che invece Palermo, la Procura di Travaglio, Guzzanti e “Micromega”, vuole statale-mafioso.
De Magistris non è peraltro un’eccezione nella sistema giudiziario. Di Procure che, non avendo nulla da fare, o evitando di fare quello che devono, come De Magistris a Catanzaro, s’impegnano in indagini farlocche. Meglio se di richiamo mediatico, con intercettazioni a strascico. Girando per l’Italia se ne incontrano di assurde. Una  a Massa che si occupa solo di socialisti. A Rimini di Pantani. A Trani, non lontano da Bari, di speculazione internazionale. A Cremona di zingari del calcio. A Tempio Pausania di massonerie. Uffici che servono solo alle carriere: tanti Procuratori Capo, tanti Procuratori vicari. Alcune hanno anche la Procura antimafia. Ma perché tenerle in vita a fare danni? Non si potrebbero dare titoli e appannaggi di Capo e Vicario e chiudere gli uffici? Non si può: e il potere?
Boccoli e veleni
Il non detto della riforma della giustizia è sempre più vasto e velenoso. Si fa un balletto sulle vacanze dei giudici, o sui tempi del processo, e si tralascia l’essenziale. Il principio che si tentava d’introdurre venticinque anni fa, col processo accusatorio, di mettere sullo stesso piano accusa e difesa, è stato trasformato dai giudici più violenti, sotto forma di impegno politico, col consenso o il plauso vile della massa, in una gigantesca restaurazione delle vecchie lettere di cachet. Le indagini non si chiudono mai in sei mesi, le proroghe sono di anni e perfino di decenni. La carcerazione preventiva – discrezionale – è abusata come non mai. Non ci sono colpevoli di reato da individuare ma nemici da liquidare – liquidare, termine sovietico, piace ai giudici. Le indagini di polizia affidate ai giudici sono diventate un mattatoio di abusi: non si fa più violenza fisica, sui testimoni o presunti rei, ma i soprusi sono costanti, le trappole, gli imbrogli, le congiure, i complotti perfino, tra Procuratori, tra Procure – il cosiddetto “chiama-rispondi” – e con i confidenti nei giornali. Abbiamo avuto i Procuratori del Pci-Pds.Ds-Pd e “quelli di Fini”, nelle redazioni c’è il cronista della tale Procura o del tale  Procuratore e il cronista della tal’altra o del tal’altro.
Non è esagerato dire questa giustizia una mafia che s’impone sulla società, la proprietà, gli affari, la cultura. Con le guerre di mafia comprese. Intoccabile per il principio dell’autonomia. A proprio vantaggio, di gruppo e personale. A spese della società, col moralismo del tanto peggio tanto meglio. A spese dell’Italia, della parte buona dell’Italia, politica, imprenditoriale, culturale, e anche più sana, meno corrotta di questi giudici. Ma alla fine, sarà inevitabile, dello stesso apparato giudiziario, nonché della giustizia. Perché è chiaro che questa illegalità può perpetuarsi con le istituzioni deboli, e finché riesce a tenerle deboli o sotto ricatto, ma prima o poi il paese se ne libererà.
La magistratura giudicante si sta rinnovando e rimette qualcosa in chiaro, e questa è l’unica novità positiva. A Napoli, a Roma, nel Sud e ora perfino a Bologna e in Toscana: succede che qualche giudice dia torto alle Procure. È molto ma è sempre poco, di fronte alla forza delle mafie. A Milano i giudici restano assoggettati all’apparato repressivo perfino nei modi di essere – le giudici di più, bisogna dire: le vaporosità, i tintinnamenti, le colorazioni rosse e blu, i boccoli, le boccole, e le professioni di buon gusto. Un giudice anticonformista che una volta ha assolto Berlusconi è stato costretto alle dimissioni, naturalmente per stretti motivi di coscienza.

venerdì 24 ottobre 2014

Il crack lo proclama la Bce

Apparentemente è un esercizio di trasparenza: la Banca centrale europea, che il 4 novembre se ne assumerà la vigilanza, ha voluto sapere, col sostegno della European Banking Authority, in che condizione sono le banche europee. E domenica dirà il risultato dei suoi esami, alle dodici in punto.
In realtà la Bce ha promosso l’operazione potenzialmente più destabilizzante del credito europeo. Sotto il cappello del mercato e le sue regole. Le regole, apparentemente anodine, di mercato, come dubitarne?, in realtà sono assurde. Alle banche sottocapitalizzate dovranno provvedere i soci, con aumenti di capitale. In alternativa i correntisti e obbligazionisti - con sottoscrizioni forzose? In terza ipotesi un fondo europeo (Mur) che non esiste.
È come dire alla speculazione: divertitevi. Solo in Europa, e in Europa solo con Draghi, la banca centrale sfida le banche, e non le accompagna. Con discrezione. Fuori dalle difficoltà, quando ne hanno. 


Due "Economist" fanno una condanna

Non preso sul serio la lettera di Bruxelles, ha preso sul serio l’“Economist”. Il commento critico dopo la vignetta che lo ridicolizzava col gelato, a distanza di poche settimane. Il settimanale cosiddetto della City è in realtà del Foreign Office e dell’asse Merkel-City, non pubblica vignette e rimproveri per caso: Renzi è avvisato, e lui stesso si ritiene avvisato.
La partita si era già aperta nel Consiglio europeo, dove è proseguita nella riunione di oggi. Si acuirà col richiamo che Barroso ha preannunciato per il 28 sulla manovra italiana. Non una procedura, cioè la contestazione di un’infrazione agli impegni comunitari, perché Barroso non ha argomenti, e inoltre è in scadenza, ma con effetti analoghi sulle aspettative e sui mercati.
Le difese che Renzi ha apprestato sono una di natura interna, certa, e una incerta di politica internazionale.
Quella internazionale gioca sulla sponda russa e su quella americana. Coi russi ci sarà l’apertura sulla Saipem per Rosneft, e su altre opportunità per i fondi d’investimento. Applicando al minimo le sanzioni per l’Ucraina. Con Obama la disponibilità a ogni richiesta di compartecipazione, in Irak, in Libia e le emergenze africane. Non escluso qualche spiraglio nel contenzioso Obama-Putin, in Siria in appoggio all’intervento in Irak, e nella stessa Ucraina. A Cameron, che marpione gli ha chiesto oggi solidarietà contro il bilancio Ue, si è m+limitato a rispondere altrettanto marpione.
Sul fronte interno Renzi ritiene di aver già fatto un punto pubblicando e sbeffeggiando la lettera di Barroso. Al gioco si direbbe che ha giocato d’anticipo, ottimamente. Anche sulla condanna attesa per il 28. Berlusconi, si ricorderà, si fece pubblicare la lettera minacciosissima di Draghi, presidente non ancora in carica della Bce. Il quale giocava con la Deutsche Bank, che si liberava di tutti  Btp italiani in un sol colpo, ricomprandoseli a termine. Si fece intrappolare in una sorta di speculazione istituzionale. Anche allora con accompagnamento dell’“Economist”. Renzi non si chiede se una manovra analoga sia in corso. Prende però sul serio gli avvertimenti del’“Economist” e si protegge le spalle.
È anche vero che Renzi non ha contro Napolitano. Questo è il suo punto più solido di difesa: Napolitano conta comunque poco. Se anche volesse, come qualcuno sta tentando di fargli venire la voglia, non potrebbe. Renzi non ha Boccassini sulle calcagna, ed è l’unico leader della sinistra europea che vince ancora le elezioni.    

C'è un errore, è un best-seller

Dice che c’era un errore, che la lettura è stata affrettata, che Vitali non è così, ha scritto cinquanta libri, i premi li ha meritati, e uno ci riprova. Qui il prevosto viene investito dei propositi di matrimonio di un giovane, e deve indagare sulla promessa, una sorella Ficcadenti.
Un prevosto, che sarà mai? Uno si pone tutti gli interrogativi, per farsi coinvolgere, ma è solo il parroco. Da non credere. C’era un prevosto anche nel precedente best-seller di Vitali. I carabinieri lo investivano di un caso serio, un giovane prete scoperto al casino, con una tripla (aveva pagato per “una tripla”), e lui non poteva sorridere.
La differenza si può fare con Piero Chiara, stessi luoghi, più o meno, lacustri, stessi paesi, stesse chiacchiere, un abisso. Un’altra epoca, seppure solo dell’altro ieri, un’editoria molto meno barbara.
Andrea Vitali, Premiata ditta sorelle Ficcadenti, Rizzoli, pp. 447 € 18,50 

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (223)

Giuseppe Leuzzi

Il condono mafioso
È un’ipotesi satirica che avevamo affacciato nel 1993, il libro “Fuori l’Italia dal Sud. Come risolvere la questione meridionale”, assortendo di un: “E con il CONDONO MAFIOSO. Come risolvere la questione Italia”. Nel 1993, quando si diceva che la mafia era invincibile. Né se ne può parlare con una criminalità sempre diffusa e pericolosa. Ma il fatto resta: le mafie sono espressioni anche macroscopiche di energia. Esprimono delittuosamente un bisogno e anche un diritto di essere. Queste stesse energie, se canalizzate opportunamente, prima che diventino preda di capi assurdamente sanguinari come Riina o Cutolo,  possono – debbono potersi – applicare a buon fine. Il Sud non è una spirale che si avvita su se stessa, di malaffare. È un imbuto, dal fondo del quale, per quanto ci si agiti, non si vede la luce.
L’ipotesi di un recupero delle energie che finiscono nel delitto è meno scandalosa con due esempi. Quello dell’ex Urss, dove banditi di piccolo e grande passo, che si appropriavano di giacimenti, miniere, banche e industrie pubbliche, e si eliminavano col tritolo, col kalashinikov e anche col bazooka,  sono diventati oligarchi, e poi a mano a mano imprenditori affidabili, con sede nella City, il plus della rispettabilità. Tutto nell’arco di una generazione. Negli Usa la dinastia più blasonata, i Kennedy, sono progenie di un nonno contrabbandiere di alcol, con legami di mafia ben più stretti che il concorso esterno in associazione mafiosa, e anzi dell’associazione stessa. Il che non impedì al nonno Joseph di diventare ambasciatore a Londra, l’ambasciata allora più importante, nominato dal presidente americano forse più rispettato, Franklin Delano Roosevelt. E padre del presidente Ted, e del quasi presidente Robert. Poi divenuti martiri e icone della democrazia americana. Un terzo esempio, minimo ma inequivocabile, si può aggiungere: Evo Morales, il presidente modello della Bolivia, era un coltivatore di cocaina. 
Un caso non eccezionale, quello dei Kennedy. Tutto il grande capitale americano si è generato nella violenza, anche fisica, contro la persona. Con molte distruzioni, molte bastonature e qualche omicidio. È il capitale dei robber barrons, che non sono fuorilegge né marginali, ma le dinastie del migliore capitalismo Usa, Vanderbilt, Mellons, Rockefeller – Bertrand Russell ne fece un dissacrante ritratto nella “Storia delle idee del secolo XIX”, e da allora la storia ha otto gli argini della convenienza.
La mafia è una forma di accumulazione. Attraverso la violenza. Le genealogie del’accumulazione non sono più d’uso, ma la mafia è una di quelle. Certamente non è quella della stracca sociologia dell’onore, del rispetto, del potere, della famiglia, del sangue. No: la mafia è l’acquisizione della ricchezza attraverso la violenza. C’è, c‘è stato (Brentano), chi il capitalismo o accumulazione ha ricondotto alla guerra, al bottino di guerra, persuasivamente. Marx altrettanto persuasivamente all’appropriazione del valore aggiunto del lavoro. Max Weber, Sombart e altri hanno ricondotto l’accumulazione a questa o quella osservanza religiosa, calvinismo, pietismo, ebraismo.
C’è comunque sempre, alla base, una forte tensione, se non passione, all’accumulo, al denaro. Al salto: una tensione inarrestabile. Anche nelle forme più bieche, più inaccettabili. Che può finire male, e nella mafia certamente finisce malissimo, ma c’è. Le borghesie, quando se ne faceva l’anamnesi, venivano spesso assomigliate alla mafia. Nei modi sia dell’accumulazione che della riproduzione del capitale. Un Brusca, il luogotenente di Riina forse più barbaro, dal piccolo Di Matteo a Capaci, poi pentito, non si può non dire uomo di grande capacità e di determinazione.
Nel caso della mafia una utile azione di contrasto, e una anche giusta socialmente, entro limiti, sarebbe una relazione inversa: l’energia violenta indirizzare all’accumulazione. Al lavoro, all’impresa. Creandole sbocchi, o non occludendoli. Per esempio coi processi etnici che vanno di moda a Milano e in Liguria. I Carabinieri lo sanno, che tengono d’occhio da vicino le piccole comunità, più facilmente contrabili che gli agglomerati urbani. E i tanti giovani che al Sud, crescendo in un “mercato” di violenza, si esercitano alla violenza, cercano di indirizzare, con la persuasione e con la dissuasione, verso percorsi praticabili, prima di rinchiuderli.  

L’italiano è leghista
Presentando al pubblico italiano nel 1981 “L’Italia finisce” (“The Legacy of Italy”, l’eredità dell’Italia nell’originale americano), la raccolta di una serie di lezioni da lui tenute alla Columbia University tra le due guerre, Prezzolini spiegava così l’incapacità italiana di coagulare una nazione: “Molti si son domandati come mai un popolo così ingegnoso, felice nell’esprimersi, ricco d’immaginazione, dotato di genialità e di pensiero, senza profonde divisioni religiose, con dialetti in gran parte abbastanza simili, non sia stato capace per secoli di formare uno Stato unitario in un paese che sembrerebbe fatto apposta dalla natura per quello. Pur la risposta mi pare sia facile: in quasi ogni Italiano c’è un’intensa gelosia verso ogni altro Italiano, sicché preferisce il dominio di  qualunque straniero all’Italiano, e non considera che con piacere l’incendio della casa del vicino anche se la propria va in fiamme. Lo sforzo fatto dagli Italiani per distruggersi a vicenda, se si potesse parlar di storia in termini di fisica, avrebbe potuto dare all’Italia il dominio del mondo se fosse stato sommato e diretto invece nel senso opposto”

Calabria
“Le continue delusioni nel campionato di serie B hanno spinto la società amaranto a cambiare nuovamente il tecnico”, dice “Il Quotidiano.net”. La squadra amaranto, cioè la Reggina. Che non è nella serie B, è nella B semmai della C, la ex C ora  Lega Pro, dove è stata retrocessa. La Reggina imita l’Inter – o Reggio imita Moratti? Che sempe licenziano l’allenatore.
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Anche il Catanzaro, anch’esso in Lega Pro, esonera l’allenatore, l’ex calciatore Cozza.
Ma, nonché senza Catanzaro e senza Reggina, la serie A non ha più molte presenze al Sud, giusto Napoli e Palermo. Il Messina è in serie D

Vincenzo Galluccio, detto a Carrara “il bomber della Chiana di Gioia Tauro”, va in prima sulla “Nazione” giovedì perché ha licenziato l’allenatore della Melarese, squadra carrarina di terza categoria, che non l’ha fatto giocare nemmeno un minuto pur avendolo convocato. “Se mi convoca mi deve almeno far giocare un tempo”, ha protestato, “Altrimenti mi organizzo il week-end con la famiglia”. Bozzettismo toscano. Ma a volte si è calabresi con la famiglia, la partita e il week-end, come tutti.
Galluccio è anche il finanziatore della Melarese, che altrimenti non si sarebbe iscritta al campionato.

Il “Quotidiano della Calabria” riprende la “Nazione” severo. Con l’aria di chi dice: “Ci facciamo sempre riconoscere”.

“Striscia la notizia” scopre a Mottafollone, paese antico vicino Cosenza,  un cimitero abbandonato in una casa diroccata. Nientedimeno. Sono persistenze di vecchi usi, di seppellire in un edificio piuttosto che in fosse comuni nella terra i morti di epidemie, pesti, terremoti. Quella di Mottafollone è anche repertoriata, come cappella mortuaria, in disuso. Tracurata, ma niente camera degli orrori.
Qualcuno l’ha segnalata a “Striscia”, da Mottafollone evidentemente. Non per fare uno scherzo.

OSSA UMANE è un sito di eBay: “Trova OSSA UMANE a meno”, “Acquista OSSA UMANE”. Questo non fa notizia.

Diego Vitrioli, poeta reggino, latinista, vincitore nel 1845 col poemetto “Xiphias” del primo Certamen poeticum Hoeufftianum di Amsterdam, come poi Pascoli, autore, oltre che di elegie, epigrafi, dialoghi, sempre in latino, di numerosi epigrammi in distici latini e greci, non usciva mai di casa: odiava la sua città.

Si gustano nella Sibaritide clementine già dolci in anticipo sulla stagione. Come a giugno l’ovale calabrese, un’arancia molto fresca, in ritardo sulla stagione. Pesche, piccole, che sanno di pesca. E asparagi che sanno di asparago. Perfino un riso macrobiotico molto apprezzato in Vaticano. In una zone ancora vent’anni fa piena, sì, d’acqua ma paludosa. Mentre intorno a Reggio Calabria  l’ovale calabrese che vi fruttificava nove mesi l’anno. è scomparso, e i frutti tropicali, la chirimoya (annona), il mango. Per fare posto a scheletri di fabbricati polverosi. Era un giardino la campagna attorno a Reggio, quando fu aperta l’autostrada per Salerno vi si passava sopra come su una passerella attraverso la zagara. Nella geografia economica non c’è il progresso: solo l’intelligenza.
  
Il boss non invecchia
Sono un paio di settimane che non abbiamo più le confidenze terribili di Riina, e siamo come in crisi di astinenza. L’incongruità della cosa si agita come un misirizzi, più minacciosa, terribile, dello stesso Riina. Che pure è uno che ha ordinato migliaia di morti, in aggiunta a quelli di sua propria mano, e non pensa e non parla che di quello. Ma: tutto qui?
È un Riina che sembra se stesso. Stolido, ora che non può più uccidere. Uno squilibrato, ora che parla da vecchio, incontinente. I killer non parlano, e i capi.
Come la mafia, il boss si ipostatizza, eterno, immutabile. E invece il più terribile si scopre prolisso,  fatuo. Uno che in cuor suo ambisce la platea, come tentò al suo primo processo, con l’indimenticabile giudice Agnello che ne ascoltava paziente le intemerate. Che, come tutti, si vede in un talk-show, e si “fa bello”, come usa da Santoro, Floris, Fazio – quello che “buca lo schermo”, magari con la chioma cotonata al vapore, come Canfora. È anche naturale, nell’isolamento, farsi un teatro. Ma farne un grande attore?

leuzzi@antiit.eu

Le provinciali

“Non è normale vincere così”, ha commentato Guardiola gentiluomo del 7-1 inflitto alla Roma. Sacchi ha detto che “il pressing dei tedeschi non si può più definire tale”. Intendeva forse dire che il Bayern era drogato, ma non è difficile correre contro le italiane. Che sono flaccide e molli. Sembravano saette pure i greci dell’Olimpiakòs.
Berlusconi dice che la Roma e la Juventus danneggiano l’Italia e il calcio italiano. Il suo Milan fa di meglio? Presuntuose, e inerti, solo questo si può dire delle squadre italiane. Per allenamenti e preparazioni sbagliati. Col massimo degli incidentati muscolari, e la tenuta atletica minima in gara. Per una finta disciplina da caserma, che fa perdere la concentrazione e la forza in partita. E scoraggia i talenti, sia nel palleggio che nella disposizione tattica, in favore di geometrie che nessuno capisce. La Juventus ha sbagliato coi greci 170 passaggi, due al minuto, roba da harakiri. E quando ha pensato che ci voleva un po’ di dribbling, per esempio alla Robben, ha messo in capo per dieci minuti Giovinco.
Si può perdere un partita per sfortuna, ma le italiane in Champions non possono che perdere. Presuntuose, come la Roma, un società e una tifoseria che quando si sono sfogati contro la Juventus hanno vinto la guerra mondiale. Il nuovo padrone Pallotta, un americano pratico, che vuole realizzare uno stadio (un progetto immobiliare) e vincere qualcosa, tenta di farli ragionare, ma sempre più sgomento: alla Roma e a Roma sono fatti così, godono di perdere.
La colpa maggiore è però delle stesse società. Che ordinano e ambiscono ma non sanno che, incapaci e confuse. Gli ultimi anni del Milan parlano da soli. Dell’Inter basta menzionare Moratti, un miliardo e duecento milioni di niente. La Juventus ha fatto grandi i cursori del Copenhagen, del Galatasaray, del Malmoe, dell’Olimpiakòs, che per altri versi non si nominano. Il Conte eroe della Juventus ha sempre fallito in Champions. E portato in Nazionale ha fatto grandi l’Azerbaigian e Malta, che ancora si guardano sorpresi.
Si dice che le squadre, quindi le dirigenze, sono come il paese – la botte dà il vino che ha, etc. Ma fuori del calcio l’italiano, sia pure piccolo e minimo, è attivo e inventivo, è nel calcio che s’è imbozzolato. Per non dire delle dispute di potere: Lotito al comando è da non credere. 

giovedì 23 ottobre 2014

Aggiotaggio europeo

Un piano finanziario non ancora ricevuto e una lettera critica dello stesso ancora non spedita hanno oscurato per una settimana il mercato del debito pubblico italiano. Similmente per le banche. Le banche hanno concluso gli stress test, quindi materia all’indiscrezione c’è. Ma ugualmente l’indiscrezione è proibita, come nel primo caso. È un vizio in cui hanno eccelso i banchieri centrali tedeschi, alla Bundesbank e alla Bce, e il ministro tedesco del Tesoro, contro l’Italia negli anni 2011-2013, contro ogni dovere di riservatezza, ma questo non è una liberatoria. L’indiscrezione configura un reato, l’aggiotaggio, di diritto interno in molti paesi e di dritto privato internazionale: la manovra artificiosa dei mercati finanziari.
In Europa, e nei media italiani, il reato passa inosservato, ma c’è. Dei media si può solo rilevare l’inadeguatezza. Dell’Europa, bisogna rimarcare che da tempo non è più una Unione e neppure un’alleanza, ma il focolaio di ostilità intestine quale è sempre stata prima del progetto europeo. La lettera infine arrivata a Roma contiene un ultimatum. Nientedimeno, come usava tra i nemici, quando ancora vigeva il diritto internazionale.
Oggi che la lettera di Katainen è stata resa pubblica, è vaga. Necessariamente poiché Katainen non conosce i dati su cui basa le sue riserve. Ma per la sua stessa vaghezza è più minacciosa. Con l’ultimatum di 24 ore.

L'unica difesa europea è l'attacco

C’è un gioco dei furbi palese a Bruxelles. I tecnici del Tesoro, che hanno discusso in streaming con i tecnici di Katainen, hanno avvertito un intento ostile, malgrado i comuni linguaggi vaselineschi – burocratici,  democristiani, comuni al Nord come al Sud delle Alpi.
La Francia obiettava alle lettere scritte, che comunque fanno aggiotaggio. E probabilmente non ne ha ricevuta una. Anche se se ne frega, letteralmente, dei parametri e gli impegni. Katainen ha assortito il richiamo con i soliti “paesi mediterranei”, Malta, Cipro, la Grecia, ma mirando all’Italia.

È su questa netta sensazione che Renzi ha basato ieri alla Camera la sua sfida a questa Europa. Non ha detto “me ne frego” perché è stato già detto. Ma è come se. Con la coscienza che il suo è l’unico partito forte, elettoralmente e politicamente, tra gli indeboliti partiti socialisti e democratici europei. E che a Berlino, per fare un governo, ne hanno bisogno. La chiave del gioco individuando a Berlino, alla fonte, e non a Bruxelles, dove stanno i gregari.    

Letture - 189

letterautore

Best-seller – È opera editoriale, più che di scrittura. La scrittura stessa è redazionale, l’autore può limitarsi a offrire un copione – il caso più evidente è il best-seller massimo, il “Gomorra” di Saviano, che in origine era un dossier della Procura di Napoli. Poi c’è la ricerca del tempo di uscita, la promozione, con impegno di vasta pubblicità e a forte sconto, che consenta una elevata tiratura iniziale con la fascetta “terza (quarta,quinta) edizione in tre giorni”, l’affidamento dell’opera in patrocinio a uno-due critici di peso, retribuiti, e poi eventi vari per ravvivare-rilanciare il mercato: uno scandalo, una causa, una minaccia, e i premi. Per Vitali, che scrive con la mano sinistra, i suoi editori, Mondadori, Garzanti, Rizzoli, hanno promosso una serie interminabile di premi: Montblanc, Piero Chiara, Grinzane Cavour, Bruno Gioffrè, Dessì, Bancarella, Stresa, Alda Merini, Hemingway, Isola d’Elba, Casanova, Procida Isola di Arturo Elsa Morante, Campiello, Strega, Boccaccio. Che magari sarebbero andati con più senso, per la parte edita da Garzanti, a un autore vero della stessa editrice, un Magris.

Si procede dentro i best-seller italiani senza alcun interesse, Eco incluso, escluso Camilleri. Altrove  si trova sempre qualcosa da leggere con piacere e d cui si fa memoria, in Dan Brown, negli “Harry Potter”, anche nelle “Schiappe”.

Dante – Era “arabo” nel senso in cui tutta la letteratura italiana lo era, mediatrice di una cultura cui magari non aveva più accesso diretto, ma di cui conosceva i canoni e i generi. Soprattutto, più che della trattatistica islamica, della novellistica.

Flusso di coscienza – È all’origine del flusso di autofiction. Al flusso di coscienza Joyce disse di essere stato indotto dalla lettura di Émile Dujardin, che poi nessuno più lesse.

Italiano Fu lingua molto frequentata anche perché intermediaria, ricorda Prezzolini nelle lezioni americane, dei greci. Di Omero,di Platone, con le prime traduzioni. E degli arabi: i racconti, gli aneddoti, perfino le facezie e i personaggi bislacchi.

Mistero – Beckett nota di Proust, della sua tendenza a elaborare in continuo sugli stessi personaggi, che “spiegandoli rinforza il loro mistero”. “Ci guadagna a essere conosciuto, ci guadagna in mistero”, è una malignità di Paulhan su uno scrittore che non amava. C’è malignità anche in Beckett, ma non si può dire che non sia la verità: aggiungere, nella scrittura come nella scultura e nella partitura – per esempio il pianismo del tardo Pollini – non aggiunge, non chiarisce, semmai gonfia.

Nichilismo – Il terrorismo è soggetto molo praticato nel fine Secolo (fine Ottocento). Sulla scia di Dostoevskij, e non. Nessuno lo ricorda ma Oscar Wilde ha debuttato, a 25 anni, con una tragedia intitolata “Vera, o i nichilisti” – montata a New York, fu un fallimento. Era stato tema di Stevenson (i carbonari), e di Conrad più volte, quasi più dei racconti di marina. E poi di Čechov, “La tre sorelle”, Irène Némirovsky.
È tema russo, è vero, e britannico.

Simbolismo – Autore di frasi come “la felicità è un dio che cammina a mani vuote”,  e di versi quali “il piacere delizioso e sempre nuovo\ di un’occupazione inutile” (che purtroppo adornano in epigrafe le “Valses nobles et sentimentales” di Ravel), il poeta accademico Henri de Régnier fondatore del simbolismo è più benemerito (ricordato) quale marito di Marie de Heredia. Una che, in arte Gerard d’Houville, scrisse romanzetti che si celebrano più delle poesie del marito. Donna di corpo e anima liberi, che lasciò immortalare a Pierre Louÿs, in versi e in fotografia. Altre frasi celebri del nobile De Régnier sono: “In amore l’esperienza non conta: se contasse nessuno amerebbe più”. Detto altrimenti: “Non c’è amore se non si soffre o si fa soffrire”.

Ugonotto – Viene da Eidgenosse, dice Voltaire, un confederato. Il nome che agli ai protestanti emigrati si dava a Berlino e altrove.

letterautore@antiit.eu

Anti-Proust, o vita dura in Normandia

“La gentilezza dei toni era riservata all’esterno”. I ricordi dell’infanzia, dell’adolescenza, e poi del rifiuto, della stessa scrittrice come un manuale di vita familiare, di paese, normanna, dei modi d’essere e di dire, di appena ieri e remoti, la laconicità, le puzze, la litigiosità. Allargati, attraverso i nonni, agli inizi del Novecento. Quando la vita dei più era, più o meno, bestiale. In forma di trattato di pacificazione col padre, “uomo di campagna”, in occasione della sua morte.
Una  ministoria di vita vissuta, della piccola gente. Una sorta di anti-Proust, involontario – giusto perché i luoghi sono quelli di molto Proust, Balbec-Cabourg, Trouville, Deauville, etc., e più per la concisione. Una memoria della “civiltà” contadina, quando l’evento memorabile di una vita d’uomo – la donna non “esisteva” – era la leva militare, sia pure al fronte. Poi trascorsa in vita operaia, senza entusiasmo, neppure di classe, e anzi rassegnati alle molte malattie. Infine in quella di bottegai.
La scoperta del padre da morto è genere diffuso. Da Annie Ernaux prima degli altri, Il posto” è di trent’anni fa. Ma l’esercizio è originariamente di Simenon, “Lettera a mia madre” e le tante memorie delle “Dictées”. Annie Ernaux l’ha trasposto nel mondo rurale, con originalità, che si fa valere alla lettura come genuinità. All’apparenza dimesso, un lavoretto, uno sfogo occasionale, per il padre e contro la letteratura-letteratura (un lampo polemico s abbatte su “L’expérience des limites” di Sollers, non citato), è un libro duro e durevole. Ben più di un manuale di antropologia – ammesso che se ne facciano sulla Normandia, luogo degli snobismi per eccellenza, come se la Senna vi portasse Parigi alla deriva fuori le mura: “Ho finito di riportare alla luce l’eredità che, qua do sono entrata nel mondo borghese e colto, avevo dovuto posare sulla soglia”. Un’eredità comune, si può aggiungere, al di qua delle Alpi, e comunemente rimossa, pur nello strasbordare delle autofiction  e i “mi ricordo”, del farsela addosso.
L’evocazione è anche un risarcimento: “Soltanto una memoria umiliata ha potuto far sì che ne serbassi delle tracce” – “Mi sono piegata al volere del mondo in cui vivo, un mondo che si sforza di far dimenticare i ricordi di quello che sta più in basso come se fosse qualcosa di cattivo gusto” . E s’intende autoumiliata, chi altri può essere “il mondo”? Annie, nata nel 1943-1943, diventa professoressa, la vita di paese scompare, il ciclo si chiude, viene il tempo della penna a sfera, uniforme – “nel dopoguerra cominciano a diffondersi le stanze da bagno”, il padre non se ne curerà mai, il bagno l’ha fatto costruire ma continuando a lavarsi in cucina. Il padre muore quando la figlia vince il concorso.
Annie Ernaux, Il posto, L’orma, pp. 114 € 10


mercoledì 22 ottobre 2014

Secondi pensieri - 192

zeulig

Alienazione – Marx devia e minimizza Hegel – e Feuerbach. Usando il termine nel senso volgare: del lavoratore che perde (a cui viene rubato) il senso della propria fatica. Ma la Entfremdung e la Entäusserung originarie sono concetti bizzarri. Per Hegel è il modo logico della vita dello Spirito, quando “si aliena” nel mondo, cioè vi si disperde-perde. Per Feuerbach la trasposizione celeste delle speranze terrene.
La filosofia – il pensieri pensasto – può tradire il senso (verità) delle parole. La filosofia è creativa. È anche alienante - deve esserlo?   

Dubbio - È la prova del nove del vero – dell’essere. Giusta la contestazione di Vico, nella “Scienza Nuova”, alle “metafisiche di Renato Delle Carte”: “Gli addottrinati non debbono ammettere alcun vero in Metafisica che non cominci dal vero Ente, ch’è Dio.  E Renato delle Carte l’arebbe riconosciuto, se l’avesse avvertito dentro la stessa dubitazione che fa del suo essere. Imperciocché, se io dubito se io sia o no, dubito del mio essere vero, del qual è impossibile ch’io vada in ricerca, se non vi è il vero Essere”.
La confutazione è nella prima appendice alla “Scienza Nuova” curata da Paolo Rossi per la Bur. Una delle “Correzioni, miglioramenti e aggiunte terze”, redatte d Vico tra aprile e luglio del 1731 per la riedizione della “Scienza Nuova”, che poi non furono ricomprese nell’edizione canonica del 1744.

Immaginazione – Eletta da Castoriadis nella sua seconda incarnazione a ontologia del sociale, invece dell’economia di Marx, si può “immaginare” come una forza di resistenza. Di difesa più che di azione o creazione. Contro il degrado naturale e l’impoverimento, altrimenti, sociale. Oggi, per esempio, in cui il reale contraddice ogni immaginario, quello dei suoi beneficiari, e sedicenti artefici, incluso. Il reale essendo un mercato dei furbi, o degli scemi, e della speculazione: l’azzardo, il consumo (shopping), l’arricchimento senza costrutto e a nessun fine (ostentazione, notabilato). Una risposta inerte, da tic nervoso, a un’ideologia vuota – al meglio, uno stimolo diabolico.
Se ne dicono artefici ma sono addict, drogati.

Nella sua prima incarnazione, marxista, trozkista, antisovietico, Castoriadis fu funzionario dell’Ocse, l’organizzazione dei paesi industriali (occidentali), direttore del servizio statistiche e contabilità nazionali, Nella seconda, dopo che si dimise nel 1970, un anno dopo aver cominciato a firmare i suoi scritti col proprio nome invece che Chaulieu e Cardan, fu psicoterapeuta. L’immaginario diceva, oltre che individuale, sociale: nell’evoluzione delle collettività rilevando  una dialettica non utilitarista, “senza fine né finalità”, tra l’“istituente” e l’“istituito”. Nel primo assommava le pulsioni di fare, di creare autonomamente, nel secondo l’insieme delle istituzioni propriamente dette e delle formazioni sociale – diritto pubblico, codici, proprietà, produzione, classi sociali, scuola, e ogni altra forma.

Memoria – Accresce, ma su un vuoto. È la mancanza (la ricerca costante) che la ravviva. O un bisogno, un desiderio, un istinto di sopraffazione (potere), non esattamente corrispettivo o corrivo al passato. Anche nel culto, rituale per definizione, ripetitivo, memoriale (tradizionale). Sempre una linea, un’ombra, una reticenza o un sospetto, la rimescola e le dà nuova vita, altra, diversa. Nella messa a fuoco, la sequenza temporale, la disposizione spaziale, la luce, l’ombra, il buio, la gradevolezza, il rifiuto.

Mistero – Beckett nota di Proust, della sua tendenza a elaborare in continuo sugli stessi personaggi, che “spiegandoli rinforza il loro mistero”. “Ci guadagna a essere conosciuto, ci guadagna in mistero”, è una malignità di Paulhan su uno scrittore che non amava.  La scrittura, come ogni forma di elaborazione, di riflessione, aggiunge e non risolve. Aggiunge con l’intento di risolvere ma allarga l’area incerta. Il pensiero, come la scultura e la scrittura, la stessa musica, andrebbe meglio esercitato in levare.
Perché risolverlo? È parte della verità, cioè della ragione d’essere.

Morte – È un fatto diverso, si dice, uno dei tanti della vita, per la classicità, è terrificante a cominciare dai cristiani. Che pure, si aggiunge, attendendosi la vita eterna, la morte dovrebbero vedere come inizio di paradiso. È paura – peccato, inferno? È l’irruzione dell’infinito, il tempo non tempo, che sgomenta.

Natura – Madre forse matrigna per Plinio e Leopardi, è di fatto generatrice e nutrice dell’uomo, che tenta di addomesticarla - vuole vincolarla con l’umanità. L’umanità è dunque un errore della natura? È l’unica eccezione nella sua ineluttabilità. Atona, indomabile. Imprevedibile anche, nelle sue infinite combinazioni, per quanto ritornanti, seriali, modulari anche. E quindi l’uomo si può dire una delle sue combinazioni. Una madre, per una volta, innaturale: filosofica. Con la ragione il piano si scompiglia-  

Netlingua -  Nerd, Geek, Dork, Tags, il Webminar, Stem (Scienze, tecnologia, matematica), i gerghi in forma di sigle o parole contratte proliferano. Tutto il netlingo, più gli slang giovanili, che riproducono ora suoni, come già coi fumetti, e non esprimono significati. Parole d’ordine e formule di riconoscimento più che comunicazioni – codici criptici, seppure non cifrati. A opera di una comunicazione anglosassone che si obbliga a ripeterci “Mr. Obama, the president of the Us”.
Un linguaggio che vuole chiudere e non aprire, anche se moltiplica le distinzioni e le sfumature – le moltiplica per affinare la chiusura.

Plutone – È da tempo trascurato, a favore della dubbia filologia nietzscheana dell’Apollo e Dioniso. Insieme con Demetra, Proserpina e tutti i riti ctonio-terrestri. È una grecità dimezzata e fuorviante che si vive - anche tra chi studia e propone i presocratici. Una classicità dimezzata. Un’attualità dimezzata. In un’età, questa post-acquario, che si vuole ecologica, ambientale, protettiva. Non della terra?

Radicalismo – Da Voltaire al trozkismo approda reazionario. Inevitabilmente. Contrario al relativismo (l’accomodamento pratico, sia pure in forma di “convergenze parallele”), e quindi in fondo al pluralismo, che Bobbio ha inventato un po’ sornione e un po’ ipocrita, e quindi all’ugualitarismo. Contrario all’indifferenza, che è l’ingrediente basico del liberalismo, fin nei recessi ultimi (ipotetici) della libertà.
L’impegno è antidemocratico. Ha una verità, ancorché la cerchi, e agita una spada. È eversivo, Quindi, again, combattente.


Tradimento – È della fede – tra nemici, o solo estranei, è un atto di ostilità. E se ne può dire il suggello. Anche perché è delle passioni – non si tradiscono i cazzeggi. Sia pure passioni ragionate, politiche e personali (amore, amicizia, riconoscenza). Politiche nel senso dei corpi organizzati: propriamente politici, oppure religiosi, etnici, mafiosi. La lunga serie di tradimenti del comunismo, da Veluchiotis e Grimau, o di Guido Pasolini, di cui non scrive, giustificati dalla verità (fede) politica.

zeulgi@antiit.eu

Quattro sberle al lettore

Uno si propone lodevolmente di leggere “quello che tutti leggono”. Compra allora un best-seller, uno premiato. E, sorpresa, non ci trova nulla da leggere. È successo con Siti, succede con Vitali. Fino a p. 60 delle “Quattro sberle” sta per nascere il figlio del maresciallo dei carabinieri – perché sarà un figlio, un maschio.

Andrea Vitali, Quattro sberle benedette, Garzanti, pp. 369 € 16,90 

martedì 21 ottobre 2014

Problemi di base - 201

spock

Viene prima Grillo col Cinque Stelle o il croccantino Sammontana?

Acqua, ambiente, trasporti, sviluppo, energia sono le stelle di Grillo: gli immigrati rientrano nei trasporti?

Cinque Stelle non è “né di destra né di sinistra”, ma dove ha la testa, di sopra o di sotto?

Buttare gli immigrati a mare, non lo fanno già gli scafisti?

A volte papa Francesco sembra sincero: è possibile?

Perché non sarebbe questa la Seconda Repubblica, giacché la prima fu quella di Napoleone nel 1802, da lui presieduta? Questa come quella con sede a Milano

Dobbiamo stare col giudice Salvini o con gli zingari della banda, quale minoranza è più da proteggere?’

Parte da Reeva Steenkamp la riscossa maschilista, il giudice di Pistorius? Donne, in guardia

L’Ucraina è lo Stato più vasto dell’Europa, è per questo che lo vogliamo ridotto?

spock@antiit.eu

Il comunismo non si smentise

Echeggiando Croce naturalmente, perché non possiamo non dirci cristiani, ma senza diminuirsi. Così non è un caso che Manacorda stesso dia alla prima pagina una smentita alla sua dichiarazione di morte “idealmente nel 1989”. Morto “al momento (ma non a causa) della caduta del muro di Berlino”. Quando – perché? – “finì l’egemonia di quella cultura marxista che negli scaffali ideali dei posteri occuperà quasi per intero la seconda metà del secolo XX dopo Cristo”. E che cosa ha lasciato quella egemonia, cose ne resta? E il Muro, segno spaventoso?
Manacorda, il pedagogista e storico della pedagogia morto un anno fa, fu a lungo anche dirigente di partito.  È colto e disserta contagioso, ma si condanna nel momento e nel modo stessi in cui pone l’assunto: “Non so se restare comunista, cioè sperare nel futuro dell’uomo e agire per miglioralo, o partire per la tangente del più disperato nichilismo e lasciare che il mondo vada per la sua strada, guidato da quegli uomini che Zeus ha perfidamente dimezzato. Sia come sia, questo mio nome d comunista non posso più mutarmelo”. E il comunismo? Mentre proprio questo è il problema, il non voler vedere: non fosse uno studioso, lo diremmo un mafioso. Il suo Kant sarebbe stato comunista, o il suo Tolomeo, e incondizionato, anche chiudendo gli occhi?
Certo che non possiamo non dirci comunisti. Con tutto Gramsci e molto Marx – Manacorda che si propone di salvare Marx e Gramsci sfonda una porta aperta, anche se a Marx, disinvolto e chiacchierone, i comunisti residui preferiscono Engels, la politica senza la filosofia. Ma un vera autocritica – non una cistka sovietica – è necessaria. Non è stata fatta e anche questo pesa, come il Muro.
In  questo testo non breve, che ha voluto riprendere aggiorna dolo rispetto a quello successivo allo scioglimento del Pci, Manacorda si espande su tutto, Virgilio e la Bibbia compresi, seguendo il filo di una auto-intervista, salvo l’essenziale. Scrive questo epicedio-martirologio con piglio e solida cultura, facendosi leggere avidamente. Ma lasciando poi increduli: forse non ha capito cos’era, il suo comunismo, e per cosa è finito. I “milioni di oppressi e sfruttati in tutta la terra2se lo chiederanno più di ogni altro.
Mario Alighiero Manacorda, Perché non posso non dirmi comunista, Scipioni, pp. 128 € 4

La sindrome dorotea del Pd

Si discute sul niente nel Pd. Con rabbia anche, e minacce, ma senza argomenti. Si discutono le “posizioni”, cioè i poteri interni, non le scelte politiche. Con un forte senso, se uno ha appena più di trent’anni, di già visto. Ma è la Dc!
Non tutta la Dc, ma “la” Dc, l’anima sua più vera. I Moro e gli Andreotti – e i Rumor, i Colombo, quelli del “doroteismo”. Del sopire e sopravvivere. Diceva una volta Prodi in privato che la Dc non si è comportata male, ha fatto le scelte decisive giuste, per la Nato e per l’Europa. Ma non ha fatto altro - a parte le autostrade, l’Eni, l’Enel, i patti agrari, la scuola media, l’edilizia popolare, tutte le cose di Fanfani, che la Dc mal tollerava e ha cassato.  
Si capisce anche l’elevazioni agli altari di Moro e Andreotti nell’ex Pci ora confluito nel Pd, e all’origine del dibattito sterile: l’ambizione era di potersi risolvere nel doroteismo. Il”moriremo democristiani” di un anno fa, quando Renzi conquistava il Pd, non si riferiva all’ex sindaco di Firenze, ma a un modo d’essere. Che si esorcizzava, bramandolo in segreto, nel mentre che si faceva mostra di temerlo. 

lunedì 20 ottobre 2014

Recessione - 27

È al quarantesimo mese, da luglio 2011. Contro previsioni costanti di miglioramento, nazionali e internazionali..

Meno debito (meno spesa pubblica) meno pil (incremento del prodotto interno). Ma l’Italia fa più debito e meno pil.

I prezzi sono in calo in Italia da diciotto mesi. La deflazione aggrava il debito pubblico, ne rende più caro il costo reale. Quando il Btp pagava il 5,5 per cento, e l’inflazione era al 2 per cento, il costo reale era del 3,5 per cento. Con i prezzi a – 1, e un rendimento del 3 per cento, il Btp costa in termini reali il 4 per cento.

La deflazione? Non è difficile: i prezzi in calo inducono meno consumi (decisioni di acquisto rinviate in previsione di ulteriori cali di prezzo), meno produzione, meno investimenti, meno lavoro, meno reddito, meno consumi, prezzi in calo.

Con l’economia in recessione da tre anni e mezzo e in deflazione, lo spread di 150 punti equivale ai 500 punti del 2011, quando l’economia era in crescita, e i prezzi non da saldo.

Nel 2008 Usa e Ue avevano lo stesso tasso di disoccupazione. Ora il tasso europeo è il doppio di quello americano.


L'autofiction più vera di Oscar Wilde

Una lettura affatata, come in trance, dei “Sonetti”. Un’apologia del falso: un personaggio inesistito, creato su un falso ritratto, da un altro personaggio inventato, dedicatario dei sonetti di Shakespeare.  Nel nome dell’arte, del falso estetico, con una costruzione sapiente e perfino convincente – ferace di molto Novecento francese, fino a Gide, nonché di Borges. Un esercizio in un certo senso facile: chi è il Mr. W.H. dedicatario dei “Sonetti” di Shakespeare, in gran parte peraltro scritti in forma di dialogo col Mr. Sconosciuto? Uno “Shakespeare in love” prima di quello classico di Harold Bloom, ma vivente, appassionato. E un’infatuazione. Un’infatuazione, un sortilegio più che un’ostensione o provocazione. Di uno scrittore che – si dimentica – è e si vuole uomo di teatro.
Oscar Wilde ha debuttato a teatro, a New York, a 26 anni. Con una tragedia presto dimenticata, “Vera, o i nichilisti”. Ma qui ne è sempre entusiasta: non c’è verità che nel falso, nel teatro. Tanto per cominciare nei ruoli femminili, per secoli fatti rappresentare a giovanotti. Ma poi in tutto quello che fa Shakespeare – che queste malie stimola forse più che Omero, l’altro mago passato e ignoto. Senza quello che si pensa, di un apologo gay sotto copertura: il “W.H.” di Wilde è sì un bel giovane in ruoli femminili, ma “non è nemmeno l’amante segreto”, è “un giovane attore, molto bello, al quale (Shakespeare) affidava l’interpretazione delle sue giovani eroine”, per qualche tempo anzi suo rivale in amore con una bella dama.
Lo Shakespeare di Wilde subisce nei “Sonetti” la stessa fascinazione. Wilde se ne impossessa, sonetto per sonetto, strofa per strofa, immagine per immagine, ventriloquo ubiquo, indistinguibile. Gliene impone anche il rifiuto: che la bellezza debba essere e rappresentare il falso, il “trucco bugiardo”, il “sembiante morto”, un “universo di marionette”, nel quale l’autore si aggira da “buffone variopinto”. La stessa fascinazione Wilde, di suo, pretende anche dell’amore: il matrimonio appartiene alle “passioni della vita reale”, la gaytudine al teatro, dove “il matrimonio è con la Musa”- anche il matrimonio che Shakespeare consiglia al giovane.
Una fantasmagoria wildiana naturalmente, che non può privarsi di battute e paradossi: “Il martirio non è che una forma di scetticismo”. “Nessun uomo muore per ciò che sa essere vero”. “È sempre stupido dare consigli, ma dare un buon consiglio è criminale”.”La coscienza è totalmente incapace di spiegare il contenuto di una personalità. È l’Arte, e l’Arte sola, che si rivela a noi stessi”. “L’affettazione è la sola cosa che vi accompagna fin sotto il patibolo “ – attribuita a Hugo.
Quasi un esercizio ritardato in eufuismo. Ma è l’autofiction più vera di Oscar Wilde – Shakespeare non c’entra, al tempo de “Sonetti” non era ancora Shakespeare (Londra, il Globe, il culto in vita), e ha scritto per il teatro molte canzoni di altra ispirazione, e anche sonetti. Con tutti gli ingredienti della storia d’amore. Compresa la “donna dello schermo” - non l’oggetto dell’amore, una che si interpone, per grazia, beltà, spirito, etc.: “Malato di gelosia e reso folle dai suoi dubbi e le paure innumerevoli, Shakespeare tenta di sedurre la donna che s’è interposta tra lui e il suo amico”. Ottimo soggetto – “poi l’amore simulato diventa reale”. Per non dire delle vite del W.H. di Wilde, un attore, William Hughes, giovane e bello, che ne ha più di una come l’Orlando poi di V.Woolf, e morirà o decapitato dai puritani in vecchiaia, che odiavano il teatro e condannavano i ruoli femminili, oppure in Germania, dopo aver contribuito a diffondere le opere di Shakespeare. Anzi “il primo a introdurre in Germania il seme di una nuova cultura”, diventando, “a suo modo, il precursore  dell’Aufklärung  o Illuminazione  del XVIII secolo”, di Lessing, Herder e lo stesso Goethe. È morto in Germania forse nei moti di Norimberga contro gli attori inglesi, uccisi e insepolti. Ma senza più parte nella verità della trattazione.
Entrambe le edizioni comprendono anche l’originale. Benedetta Bini ripubblica con Marsilio la sua edizione del 1992 per Studio Tesi. La presentazione di questa riedizione per un volta dice tutto. Partendo dal fatto principale, che “Il ritratto” fu pubblicato nel 1889 abbreviato, poi a lungo rimaneggiato e riscritto, fino a questa edizione, molto più ricca e complessa della prima, che però si poté pubblicare solo nel 1921. Ma non è una rivendicazione gay, va aggiunto, malgrado la vicenda editoriale, di autocensure e censure. Wilde cita Symonds, il poeta inglese morto a Roma, che si annovera tra i primi militanti della liberazione omosessuale, ma a proposito di Michelangelo. E non va oltre l’elogio dell’ambiguità sessuale come “il maggior motivo di attrazione”. Questo “Ritratto”
è “racconto nel racconto, dove i narratori intrecciano le loro diverse «verità», fiction e saggio, gioco metaletterario anticipatore di Borges e di Nabokov, funambolica prova di erudizione sul filo dell’esegesi shakespeariana”, e “storia, squisitamente novecentesca, sulla incertezza, sulla falsificazione e sull'instabile statuto della interpretazione”. Tutto vero. A partire dal gioco “a distanza sempre più ravvicinata con il fuoco della censura fino a bruciarsi le ali”. Wilde non sarà all’altezza della condanna, e dunque non è un martire, ma un gocatore sì, uno scommettitore compulsivo.
Oscar Wilde, Il ritratto di Mr. W.H., Marsilio, pp. 222 € 17
(a cura di Franco Venturi), La Vita felice, pp. 101 € 8,50

domenica 19 ottobre 2014

Il partito dei tecnici langue

Dacché era discretissimo, muto, a che si pronuncia quotidianamente su tutti i problemi, l’euro, la disoccupazione, gli investimenti, con propositi e progetti importanti, con autorevolezza, ma non raccoglie. Il governatore della Banca d’Italia Visco, il protagonista di questa metamorfosi, è sceso in campo anche lui, dopo che Draghi ha fatto capire che non lascerà la presidenza della Bce per farsi qualche mese da presidente del consiglio e poi essere licenziato. Con un programma di governo, questop  chiaro. Ma è chiaro anche si illude – o probabilmente si è lasciato illudere.
Quello che Vico dice magari è opportuno per tutti, ma nessuno, a Palazzo Chigi e dintorni, si sente minacciato. Il partito dei tecnici, o partito della Provvidenza, è da un paio di mesi in fibrillazione, ma senza echi. Renzi non si è intimidito, e anzi marcia col suo “fare”. Ma più in generale la politica non ha dato a quest’ultima offensiva “tecnica” nessuna attenzione. Insofferente anzi alla moltiplicazione degli uomini della Provvidenza, Passera, Lotito, Della Valle, e forse ancora Montezemolo. Effetto probabilmente dell’esperienza Monti. Ma più in generale pesa la sordida incapacità dell’Europa – foro per eccellenza dei tecnocrati – a fronteggiare la crisi. Il rifiuto dei tecnici in Italia è conseguente al rifiuto delle tecnocrazie europee alle elezioni di fine maggio.  

I diabolici erano diaboliche

Un libro famoso per il film di Clouzot, che migliora molto il racconto, come spesso succede. Basti dire che il film è sovrastato da una possessiva dark lady, Simone Signoret, che nel libro è invece un’acida ostetrica con la sola ambizione di aprire uno studio medico, quarantenne, coi polsi e le caviglie grosse e senza petto. Ne è nata una mitizzazione, mentre l’originale sembra una caricatura di Simenon, e per almeno due terzi lo è. Una macina. Un bulldozer. Del Simenon amaro, senza Maigret, che aggredisce il lettore con applicazione, con l’aggiunta delle nebbie e le brume che Maigret predilige, senza la pietas di Simenon.
Questa traduzione mantiene il titolo di Clouzot, anche se sarebbe stato più appropriato al femminile - l’originale è “Celle qui n’était plus”. È una delle prime prove di scrittura congiunta, che la coppia svolge divertendosi – visibilmente – a caricare a turno la storia di raccapriccio posticcio. Una tessitura artificiosa attorno all’assassinio di un coniuge, ai fini dell’assicurazione, da parte di due amanti improbabili, che forse non si amano neppure..
Boileau e Narcejac sono gli antesignani e ispiratori di Fruttero e Lucentini, che anch’essi, ai quarant’anni, uniranno le firme, abbandonando il piccolo avviamento di romanzieri in proprio. E come F & L si divertono, ma a tormentare il lettore. Si misero insieme nel 1948, e nel 1952 si affermarono con questa diavoleria. Ingegnosa, senza dubbio, ma faticosa e improbabile.
Pierre Boileau-Thomas Narcejac, I diabolici, Adelphi, pp. 173 € 16