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sabato 31 maggio 2014

Presidente eletto dovrebbe essere un euroscettico

Un vero presidente eletto all’Europarlamento dovrebbe essere un euroscettico. Per maggioranza numerica, oltre che di opinione - e “impatto” dell’opinione.
Si plaude a Angela Merkel perché sostiene il lussemburghese Juncker, candidato del Ppe, il partito di maggioranza relativa all’Europarlamento, a preferenza del candidato tedesco, il socialista Schulz. In realtà, si plaude a Angela Merkel “a prescindere”, qualsiasi cosa faccia e dica. Mentre la cancelliera, si sa, vuole Juncker perché è il candidato del suo partito, il Ppe, e il Ppe ha vinto le elezioni, anche se non ha la maggioranza. Di più vuole Juncker perché è un “rappresentante di nessuno”, come già Barroso, Van Rompuy e la staffetta uscente Buzek-Schulz allo stesso Europarlamento – e per quel che vale è un suo uomo, l’ha scelto lei come candidato del Ppe.
Uscendo dai formalismi, invece, le elezioni le hanno vinte gli euroscettici, e quindi competerebbe a loro il presidente. Le hanno vinte anche numericamente, se si sommano agli euroscettici tre grosse componenti del Ppe. Sono gli eletti di Orban in Ungheria, a capo di un movimento razzista, di Berlusconi, euroscettico neo-alleato della Lega, e della Csu bavarese, che da sempre “si sposta” a destra per disinnescare le spinte xenofobe e violente. Il partito degli euroscettici sarebbe probabilmente la maggioranza, se a Farage, Le Pen, Grillo, Lega, e altri movimenti minori si aggiungessero, scorporandoli dal Ppe, i parlamentari di questi tre partiti.

L’Italia all’opposizione a Bruxelles

Renzi “governerà” la Ue nel prossimo semestre stando all’opposizione Si delinea così, con questa forte dicotomia il futuro prossimo dell’Unione Europea, malgrado il voto estremamente esplicito e indicativo di domenica. Lui stesso l’ha delineata spiegando alla direzione Pd i suoi contati ravvicinati dopo le elezioni con i leader europei.
Chi ha affossato la Ue – e l’Italia – è sempre al comando, anche se la presidenza tocca all’Italia, e il presidente del consiglio italiano si fa un punto d’onore di ribaltare la politica europea, egemonistica e depressiva. L’indicazione del voto europeo non è stata considerata in nessun modo, si discute solo delle alchimie formalistiche vecchio stile, su chi debba sostituire Barroso, Van Rompuy e Schlz al vertice delle burocrazie europee, lasciando immutate le asfittiche procedure e l’egemonia tedesca. Questa tanto più sorda, ha detto Renzi, dopo l’inabissamento della Francia. 

Ombre - 222

Dunque, è vero: la Corea del Nord rapiva i bambini giapponesi. Lo dice la stessa Corea del Nord. Come ostaggio, si dice ora, ma va a sapere – ostaggio di che? Non per giustificare la nomea dei comunisti che si mangiavano i bambini?

Ne ha rapiti anche, dice sempre la Corea del Nord, di malesi, thailandesi, libanesi, francesi, olandesi, e “almeno tre italiane”. In questo caso vendute da padri o amanti? Per la causa, senza lucro, naturalmente.

Già a 48 ore dal voto, alla festa per la vittoria in piazza Farnese, un ottimo 43 per cento, c’erano state liti con botte nel Pd romano. Tra i capi. Ora le ingiurie reciproche sono senza freno – Maria Tersa Meli le intitola “Il rischio del napalm”.

Venanzio Postiglione è d’accordo col presidente Napolitano: è ora che l’Italia abbia un presidente della Repubblica donna, se non un presidente del consiglio. Ma la vuole giovane. Bisogna cambiare prima l’articolo della Costituzione, dice, che richiede per l’eleggibilità al Quirinale almeno 50 anni.

Gli italiani votano in massa Renzi la domenica, e lunedì sera guardano in massa il “Grande Fratello” invece che “Porta a Porta” e le altre tribune post-elettorali. Populismo?

Le rom che mendicavano col lattante al seno, o la bimba per la mano, ora esibiscono a Roma un cagnolino. Un cucciolo, anche lui addormentato ai loro piedi. Si vede che tira di più: anche l’elemosina si vuole ecofriendly.
Anche su facebook, rileva Angelo Bucarelli su “Style”, i pupi non vanno, niente like, vanno i cuccioli.

La scheda elettorale fu mandata a casa a Roma nel 2001, dall’allora commissario straordinario al Comune Enzo Mosino. Dopo tredici anni e diciotto votazioni la tessera ha esaurito gli spazi per i bolli di certificazione, ma nessuno ha pensato a rimandarla agli elettori. Molti si sono trovati impossibilitati domenica al voto. Meglio un commissario, sia pure straordinario come Enzo Mosino, che un sindaco Marino?

Il “Corriere della sera” resuscita Di Pietro per le Europee: “Grillo non ha dirigenti, possiamo aiutarlo noi”. A evitare la galera?

Paola Bacchiddu in bikini non va bene a Barbara Spineli. Se non sono gay non li vogliamo?

A Roma da qualche tempo, come già a Firenze qualche anno fa, dappertutto dove il Pd governa c’è un’invasione di ambulanti: monumenti, piazze, marciapiedi, e soprattutto i parchi pubblici sono invasi, senza alcun controllo. A Roma ora il Pincio. Ambulanti che poco hanno a che vedere coi servizi, ai cittadini o ai turisti, e anzi più spesso sono un fastidio. Ogni partito ha la sua filiera “economica”, si sa: perché la sinistra ha gli ambulanti? 


Con 11 milioni di voti Renzi ha stravinto le Europee. Con 12 milioni Veltroni ha straperso le Politiche del 2008. Quando si comincerà a non guardare più all’astensione come se fosse equamente suddivisa e quindi ininfluente, quando si comincerà a pesarla? Domenica i democrat hanno votato tutti - quelli che non hanno votato Grillo.i I berlusconiani no, ne mancavano 4-5 milioni.

È vero però che Renzi ha un bacino di berlusconiani indecisi potenzialmente risolutivo. Da percentuali bulgare.

L’antropologia small talk, tra spiriti eletti

È l’ultima delle tante opere di Kant, una serie di note prese durante le sue lezioni - per trent’anni Kant insegnò l’antropologia – da lui riviste con cura e pubblicate nel 1798,  a 74 anni, quando la sua fama era all’apice. L’argomento forse a cui più teneva: dei 268 corsi accademici da lui tenuti, 28 furono di Antropologia. La quarta materia da lui insegnata, dietro la Logica e la Metafisica (58 corsi), la Geografia (49), l’Etica (46). E un modo di riflettere che si vuole retrospettivamente all’origine della filosofia contemporanea, spostando l’oggetto del discorso dalla metafisica, la logica e la morale alla domanda “che cos’è l’uomo”. Nel quadro di un’idea della storia come “progresso della cultura”, che libera l’uomo dalle tendenze naturali, lo apre alla libera finalità. Kant stesso lo spiega nella prefazione: “Occupandomi di filosofia pura, dapprima per scelta più tardi perché fui incaricato d’insegnarla, ho fatto per circa trent’anni due corsi sulla conoscenza del mondo: un corso d’antropologia (nel semestre invernale), e un corso di geografia fisica (nel semestre estivo)”.
La raccolta è divertente. Tanto più considerando l’età, la fragranza è di divertito (avvertito) libertinismo. È un Kant salottiero - a più riprese celebra la “conversazione”, in piccolo gruppo, fra amici o gente di spirito. Affronta anche questioni del tipo: “Una donna giovane… farà molto meglio la felicità coniugale con un uomo sano, ma notevolmente più vecchio?” “Il grande cinese di Königsberg fu soltanto un grande critico”, dirà Nietzsche, pettegolo invece di fama (“Al di là del bene e del male”, § 210. Ma, come per la geografia, Kant non sempre ci prendeva.
Foucault, che l’ha tradotto e pubblicato nel 1964, lo aveva fatto oggetto di una lunga disamina qualche anno prima. Una prima prova della grande forza, di analisi, sintesi e proposizione che sarà lui stesso - il tutto, saggio e traduzione, era stato presentato come tesi complementare nel 1961 per la libera docenza, la tesi principale essendo la “Storia della follia nell’età classica”, sotto la guida di Jean Hyppolite e Georges Canghilhem. Ma un po’ fonda  questo nuovo Kant, di più lo crea,  posticcio.
Foucault contestualizza la pubblicazione delle note trentennali. Nel “Conflitto delle Facoltà”. Nella riconosciuta preminenza intellettuale di Kant. Nella corrispondenza, un rinvio molto efficace. Nei corsi tenuti da Kant per Antropologia scopre anche l’esistenza di uno che poi il filosofo non pubblicò e andò perduto, “Von der Intellectuellen Lust und Unlust”, sui piaceri e i dispiaceri intellettuali. D’altra parte, non può fare a meno di rilevare le concordanze tra l’“Antropologia” e le “Osservazioni sul Bello e il Sublime”, 1764 - “il contenuto è sorprendentemente simile”. Un testo, giunge anche a dire d’acchito, prima d’invischiarvisi, “così arcaico nelle sue preoccupazioni, così remotamente radicato nella sua opera”, nella critica cioè. E tuttavia fa nascere il Kant dell’uomo: “L’Antropologia è pragmatica nel senso che non tratta dell’uomo come appartenente alla città morale degli spiriti (si sarebbe detta pratica) né alla società civile dei soggetti di diritto (sarebbe allora giuridica); lo considera come «cittadino del mondo»”. Con un principio, non poteva mancare, dell’intramontabile questione del linguaggio, la strutturazione dell’instrutturabile, a partire dalla frase “Man nennt das durch Ideen belebende Prinzip des Gemüts Geist“, intraducibile – ma Kant voleva solo dire che lo spirito (brillantezza) è la cosa (Prinzip) migliore della convivenza, e che lo si acquista con le idee, con la riflessione. Ma il quadro, certo, che propone è affascinante: “C’è dunque un banchetto kantiano – insistenza, nell’Antropologia, su quelle forme di società che sono i pasti in comune; importanza dell’Unterhaltung, di ciò che vi si scambia, e di ciò che bisogna scambiarvisi; prestigio del modello sociale e morale di una società in cui ciascuno si trova insieme legato e sovrano;…”, una lunga pagina di ricostituente convivialità, pragmatica. – “ciascuno è libero, ma nella forma della totalità”.
Con Nietzsche muore la filosofia e l’uomo
Con un finale sorprendente. In poche righe, cui poi non si è dato seguito, Foucault pone il quesito di Nietzsche riduttore di Kant, in due modi: Uno: “L’impresa nietzscheana potrebbe essere intesa come punto finale infine posto alla proliferazione dell’interrogazione sull’uomo”. E dunque, tutta la filosofia post-nietzscheana che cosa è? Due: “La morte di Dio non è in effetti manifestata in un gesto doppiamente mortale, che, mettendo un termine all’assoluto, è nello stesso tempo assassino dell’uomo stesso?” Ma Foucault non metteva l’interrogativo.
Immanuel Kant, Antropologia dal punto di vista pragmatico, Einaudi (a cura di M.Foucault), pp. IX + 392 € 23, Tea-Utet (a cura di Pietro Chiodi), pp. XXXIV + 221 € 12

venerdì 30 maggio 2014

La cena delle mummie

Sei ore di vertice a cena, forse sette, e niente: le stesse facce di cera, le stesse mummie che il voto di domenica ha sbugiardato, gli stessi vuoti cerimoniali. Ammesso che per un’ora abbiamo mangiato – ma le mummie non mangiano – che si saranno detti per le restanti cinque o sei ore? Renzi è tornato invelenito, se ha detto al Pd il giorno dopo, cioè ieri, che bisogna “riformare” l’Europa per salvare l’Italia. Non è il solo a pensarlo, se almeno metà degli europei domenica ha detto la stessa cosa.
Nessuna eco del non detto, peraltro, non un’indiscrezione, non un commento, dai tanti corrispondenti e inviati a Bruxelles. Si pensava il dopo-voto drammatico, e niente. Solo Grillo che incontra Farage – di cui peraltro non si danno gli argomenti, devastanti (saranno gli inglesi “irriformati e irriformabili” come gli italiani: stupidi, incapaci, “populisti”?). C’è aria di morte attorno a Bruxelles. La non risposta al voto, anzi il voto dimenticato in quattro giorni, sa di imbalsamazione. Uno guarda le facce dei perdenti posto, del resto, e dice: tanta rovina per questi “funzionari”, Barroso, Van Rompuy, Olli Rehn?
Sarà un semestre duro per Renzi, se vuole riformare lEuropa. Le troppe mummie non sono morte, e sono anzi al comando, evidentemente. Per virtù angelica? Dopo la crisi finanziaria, e la recessione che ancora imperversa in Italia, la crisi politica: che altro si vuole da noi?

Il complotto all’Europarlamento, novembre 2011

Prima che a Grillo l’altro ieri a Bruxelles, Nigel Farage il “complotto” lo aveva denunciato al Parlamento Europeo il 16 novembre 2011. Alla presenza di Barroso e Van Rompuy, che facevano finta di compulsare carte, e di Jean-Claude Juncker e Olli Rehn che guardavano fissi davanti, meno espressivi di un sarcofago etrusco -  mentre il capogruppo Pse, Martin Schulz, ghignava con ampi gesti di sufficienza:
“Eccoci al bordo di un disastro finanziario e sociale, in sala oggi abbiamo i quattro uomini che sono supposti esserne i colpevoli, e tuttavia abbiamo ascoltato i discorsi più piatti, più tenocratici, che a me sia capitato di ascoltare.
“Siete tutti sulla negativa. Da ogni punto di vista l’euro è un fallimento. E chi esattamente è il responsabile, chi è in carica di tutti voi? La risposta è nessuno di voi, perché nessuno di voi è stato eletto; nessuno di voi ha nessuna legittimazione democratica per i ruoli che detiene in questa crisi.
“In questo vuoto s’è introdotta, seppure riluttante, Angela Merkel. E ora siamo in un’Europa a dominio tedesco - quello che il progetto europeo era supposto bloccare. Quello che coloro che c’erano prima di noi pagarono un grosso prezzo di sangue per prevenire. Io non voglio vivere in un’Europa dominata dalla Germania, né lo vogliono i cittadini dell’Europa.
“Ma voi signori avete giocato un ruolo. Perché quando Papandreou si alzò e disse la parola «referendum», lei, signor Rehn, lo labellò come “la rottura di un rapporto di fiducia”, e i suoi amici qui si raccolsero come una muta di iene, accerchiarono Papandreou, e lo fecero rimuovere e rimpiazzare da un governo fantoccio. Che spettacolo assolutamente disgustoso fu.
“Ma non contenti di questo, avete deciso che Berlusconi doveva andarsene. E così è stato rimosso e sostituito da Monti, un ex Commissario Europeo, un socio architetto di questo disastro Euro, e un uomo che non era nemmeno un parlamentare.
“È come in un romanzo di Agatha Christie, dove stiamo tentando di indovinare chi sarà la prossima persona a essere silurata. La differenza è che sappiamo chi sono i cattivi. Voi dovreste essere tutti tenuti responsabili per quanto avete fatto. Voi dovreste essere silurati.
“E devo aggiungere, Mr Van Rompuy: diciotto mesi fa, quando ci incontrammo, mi sono sbagliato su di lei. Dissi che lei sarebbe stato l’assassino tranquillo della democrazia degli stati nazione, ma non più, lei è piuttosto rumoroso su questo, no? Lei, che nessuno ha eletto, è andato in Italia e ha detto: «Questo non è il tempo per elezioni ma il tempo per azioni». Che cosa nel nome di Dio le dà il diritto di dire questo al popolo italiano?”
Era appena una dozzina di giorni dopo che Geithner, il ministro Usa del Tesoro, era stato avvicinato da “alcuni funzionari europei” per far fallire l’Italia - per un americano i commissari e presidenti di Bruxelles, nessuno eletto e tutti nominati, sono di diritto e di fatto funzionari (“Alcuni funzionari europei ci contattarono con una trama per cercare di costringere il premier italiano Berlusconi a cedere il potere…«Nn possiamo avere il suo sangue sulle nostre mani», ho detto (al presidente Obama)”).

Secondi pensieri - 177

zeulig

Classico – È la certezza, o profondità, vaga? Potrebbe essere quello che von Wright sostiene di Wittgenstein, che “ciò che rende classica l’opera di un uomo è solo questa molteplicità, che sollecita il nostro desiderio di una comprensione chiara e al tempo stesso vi resiste”. Forse non “solo”, ma nell’insieme giusto.

Demotivazione – La crescita – eccesso – dell’informazione l’aggrava. Non c’è quasi più fantasia possibile, tutto è (stato) detto. Non sembra, ma è la stessa cosa agli effetti psicologici.
L’esito è visibile nella poesia, i romanzi, l’arte. Ma non a beneficio della verità. È una scarnificazione, non una costruzione. Bisogna rivedere il concetto di crisi, che ha anche effetto depressivo.

Europa – Impersona - alla Kipling - il paradosso dell’imperialismo: la civiltà che si nutre degli altri. Fin dai suoi albori classici: la civiltà che si nutriva della schiavitù, e poi in qualche modo dei “barbari” che colonizzava. Sopravvissuta a due guerre civili di sterminio, è in crisi per la globalizzazione. 

Globalizzazione – È invisa in Europa perché scuote alle radici il suo modello di civiltà, e cioè i privilegi del signoraggio. Per prima economico, e poi di personale, linguaggio, e controllo. In sé è solo un atto dovuto: una Wto, World Trade Organsation, aperta a tutti, con eguale trattamento.

Infallibilità – Può essere del ruolo, non delle parole. Del ruolo sacerdotale - le parole non decidono. Come dei riti, delle formule sacramentali.
Storicamente (laicamente) non è così campata in aria, se si mette in linea con i sacramenti, l’eucarestia (la messa) e ogni altra celebrazione, anche minima. Scade con lo scadimento del carisma, in epoca democratica.  Pio IX la proclama in ambiente già modernista, sebbene non dichiarato.

Se è un dogma, non è l’esclusiva del papa. Di incertezza soffrono pure i religiosi, e anzi i sacerdoti. Mentre molti laici sono intrattabili.

Libertà – Orwell la lega all’uso corretto (“onesto”, “decente”) della lingua, in “Politics and the English Language”, e nell’appendice sul “Novlangue” in “1984”. Così E.M.Forster, “George Orwell” (in “Two Cheers for Democracy”) ne sintetizza il collegamento: “Se la prosa si degrada, il pensiero si degrada, e tutte le forme di comunicazione più delicate si trovano corrotte. La libertà, diceva (Orwell), è legata alla qualità del linguaggio”.
In questo senso la sintesi di Forster dà ragione della superiore qualità della democrazia in ambito anglosassone. Ma più s’invera Orwell nel seguito di Forster: “I burocrati, che vogliono distruggere la libertà, hanno tutti tendenza a scrivere male e parlare male, a servirsi di espressioni pompose e confuse, a usare cliché che occultano o obliterano il senso”.

Politica - È sempre un aggiustamento, la scelta del male minore, al meglio una riparazione. Sia essa la guerra, che può essere necessaria, come dice Orwell, “ma non può essere né buona né sensata” (The Collected Esays”, IV, p. 413), o l’appalto delle fognature. Per questo l’antipolitica è sospetta.

Populismo - S’intende la demagogia, ma è concetto vago, più del fenomeno che intende categorizzare. Populista in questo senso, cioè pretestuoso, è semmai in Italia il linguaggio dei categorizzatori del concetto. Che tutti fanno capo al Pd, il solo partito, affermano, non populista. Il che è palesemente una sciocchezza. E insistono sul fatto che l’Italia non ha fatto, o deve fare, le “riforme”: la banalizzazione della parola e del concetto di riforma, che pure dovrebbe essere centrale alla fede politica democratica, da parte delle vestali antipopuliste è una forma di demagogia - anche se non brillante (stanca, conformista) .
E, poi, che “riforme”? La scomparsa del sindacato, della difesa del lavoro. La cancellazione della contrattazione. La pensione ritardata e dimezzata. Il precariato, detto flessibilità. Senza contare che, se questa è una riforma, l’Italia è probabilmente il mercato del lavoro più flessibile fra i paesi ricchi. A partire dal 1992, e dal milione 700 mila licenziamenti che la Banca d’Italia censì nel 1994. Più il lavoro immigrato del tutto irregolare, anche quello fa sistema – questo da un’epoca anche più remota, trenta-quarantanni: dal lavoro domestico, delle  colf e badanti filippine o polacche, all’agricoltura, all’allevamento, alla ristorazione e accoglienza. 

Pubblicità – La piazza è il luogo più visibile, e minutamente controllabile, dall’alto: il massimo della trasparenza espone al controllo (sudditanza) totale. “Trasformare internet in un rete di sorveglianza”, conclude l’avvocato-giornalista Greenwald che ha pubblicato Snowden, “uccide le nostre libertà”. Ma è inevitabile, anche se non ci fosse un Grande Fratello occhiuto al controllo: denudarsi è esporsi, anche solo all’occhio del vicino. E Snowden-Greenwald, hanno fatto opera di libertà o sono anche loro “controllati” (usati)? Non c’è libertà senza giudizio critico.

Realismo – “La letteratura non guarda il presente con l’occhio del presente”, Savinio annotava già nel 1944, in un articolo di “Sorte dell’Europa”: “Il presente è un cattivo consigliere”. E il realismo diceva già “dolorista, come Eleonora Duse”, e “gli ignari che scambiano dolore e profondità, poesia e jettatura”.

Sogno – “Ciò che permette ai sogni di esistere è il risveglio”, dice lo psichiatra all’ambasciatore Danthés, il protagonista di “Europa”, il romanzo di Romain Gary, 1972. Il sogno nei suoi connotati reali, benché di logica incerta. La più parte dei sogni si disperde. E dunque, l’“attività” onirica?

Suicidio - Per Kant “il suicidio è un omicidio”: lo stoico che ne fa il privilegio dell’uomo sbaglia, “la forza umana che non teme la morte è una ragione di più per non abbattere un essere dotato d’una potenza così grande”.
Una sorta di condanna a morte è ipotesi accettabile, della cui esecuzione il giudice incaricasse il condannato. Ma il resto si sa: la meta è l’origine, il viaggio è il ritorno, l’ora è l’alba. Quando la vita si ridesta, la tentazione può venire di finirla. Anche i suicidi per amore: iniziano il soliloquio nella notte e lo finiscono alla luce. Ma raramente muoiono: gli amanti si salvano, cinque su dieci secondo Simenon, i maschi. Pure nelle coppie, gli amanti non amano morire soli: tira in genere l’uomo, che dopo aver freddato lei per l’emozione poi si manca. Questo tipo di sopravvissuti non si uccide più, secondo le statistiche – chissà se s’innamora.

La stanchezza è un fatto, anche psicologica - somatizzata, ipocondriaca. Per quanto, per uccidersi ci vuole ancora entusiasmo, che sempre non è razionale, in questo Nietzsche ha ragione: quando si mette fine alla vita è sempre per qualcuno o qualcosa.

Verità – Wikileaks e Snowden la allontanano, la ingarbugliano. Essendo attori-azioni di spionaggio, seppure antispionaggio – l’attività di spionaggio è così suddivisa istituzionalmente, una parte è antispionaggio.
La rivelazione è sempre sospetta – da sospettare. Non da ora. Così quella dei pentiti di mafia. O dei querelanti:c’è sempre un interesse di parte in questa verità, nella verità testimoniale. 

Questo, sì, è materia di realismo: l’informazione. Ma il realismo ne rifugge, è più per la metafisica della
cosa.

zeulig@antiit.eu

Egoismo senza io

La società non produce più individui. La società liberale. Non da ora, la “crisi” è già degli anni 1980, del rampantismo – il dibattito che l’opuscolo riproduce si tenne alla tv inglese nel 1986. Anzi, Castoriadis lo fa risalire agli anni 1950: “Il cambiamento degli individui, in estrema sintesi, si può dire che derivava dal fallimento delle tradizionali organizzazioni del movimento operaio (sindacati, partiti e così via)”. Siamo da allora tutti io e famiglia. Lo siamo? Il fatto è, si ricorda Castoriadis, che anche il privato è pubblico: “Anche quando sogniamo, ricorriamo alle parole, e queste parole le abbiamo prese dalla nostra lingua. Quel che noi chiamiamo individuo è in un certo senso una costruzione sociale”. E d’altra parte Lasch ha appena teorizzato, 1984, l’“io minimo”, un io “sempre più svuotato di qualsiasi contenuto, che definisce gli obiettivi della propria vita in termini estremamente restrittivi di pura e semplice sopravvivenza, di sopravvivenza quotidiana”. Un io ridotto alla sopravvivenza, dunque. Ma una sopravvivenza per modo di dire, “perché ovviamente tutti pensano alla propria pensione, ai propri figli, alla loro educazione, a come farli arrivare…”. Una sopravvivenza ingorda. “In un mondo” peraltro, aggiunge Lasch, “privo di una realtà solida”.
Gira un po’ la testa, in questa apocalisse. Si è ottimisti, oppure pessimisti, anche in epoche di buona ricchezza, nulla di nuovo. Fin qui. La novità è nella frammentazione, già consolidata, della società e della nazione in gruppi di interesse, razziali (i neri americani), di genere (il femminismo), ognuno esclusivo e “antisistema”. Non c’è altro da dire. Anche perché tutto era stato già detto da Debord, “La società dello spettacolo”, 1967. Compresa, dice Michéa, la società “mimetica e interconnessa” (Debord: “Lo spettacolo riunisce il separato, ma lo riunisce in quanto separato”).
La novità è il saggio di Jean-Claude Michéa, che ha voluto la riedizione del colloquio tv e lo inquadra, richiamando Debord. La novità è la scomparsa della politica. Ovvero l’appiattimento dela politica, e più di quella della sinistra, sul liberalismo.  La “lotta contro il razzismo e ogni forma di discriminazione” è von Hajek, 1974, il teorico del liberalismo. E così via, “io minimo” di Lasch compreso, e la “dissoluzione di ogni spazio storico” di Castoriadis. Non si scappa?
Cornelius Castoriadis, Christopher Lasch, La cultura dell’egoismo, Elèuthera, pp. 68 € 8

giovedì 29 maggio 2014

Letture - 173

letterautore

Dante – È molto greco. Non sapeva di greco, che si comincerà a imparare una-due generazioni dopo di lui con la “scoperta” e il commercio dei testi classici. Ma ne fa grande uso in tutta l’opera. Attingendo a repertori neolatini, talora con senso derivato o traslato, ma in grande numero. Bruno Migliorini, che su “Parole greche in Dante”  si esercitò su un gran numero di fonti, comprese quelle presumibili di Dante stesso, ne elenca una lunga serie. Tutte parole che, anche per l’uso che ne fece Dante, sono entrate e rimangono nel vocabolario.
Parole ecclesiastiche: archimandrita, eretico, gerarchia, salmo, salmodia. Delle arti umanistiche (trivio): idioma, poesì, poetria, rettorica, dialettica, ipocrita, crisi, filosofo, peripatetico, prosopopea, etc. Delle scienze (quadrivio): aritmetica, diametro, geomètra, parallelo, tetragono, armonia, melodia, metro, emisfero, epiciclo, galassia, orizzonte, etc.. Del mito: ambrosia, musa, museo (museion), ctonio, ninfa.
Su questa premessa: “Le parole di origine greca che appaiono nelle opere di D. erano nella massima parte già correnti nell’uso popolare o dotto del suo tempo; qualcuna soltanto è stata attinta da lui personalmente agli scrittori latini (classici o cristiani o medievali) o da lui foggiata secondo i modelli che in essi trovava. Nessun vocabolo è stato mutuato direttamente dal greco, che nei tempi di D., all’infuori di isolati individui (e all’infuori dei dialetti parlati nelle colonie calabresi e salentine), era ignoto in Italia”. Con errori, non conoscendo D. la grammatica greca: antichtona, ormen, antòmata. “Nel noto verso «poi siete quasi antòmata in difetto» (Pg X 128): essendosi imbattuto (forse nella versione latina medievale del De Historia animalium di Aristotele) in un entoma o antoma plurale di ντομον, «insetto», credette di poter adattare la parola facendone un plurale secondo il tipo problema – problemata”. Mentre “formazioni corrette” Migliorini giudica dovute personalmente a Dante le voci “teodìa” e Eunoè.
Sulla fonetica e la morfologia pesa, dice Migliorni, l’uso latino di declinare i vocaboli della terza declinazione greca con la terminazione in –a: “etera, orizzonta (If XI 113, in rima, accanto a orizzonte, che si ha sei volte nell’interno del verso e una volta in rima, e a un esempio di orizzòn, pure in rima), peana; simile è il trattamento di molti nomi propri: Flegetonta, accanto a Flegetonte (ma sempre Acheronte), Simoenta, Elicona, Calcanta (e qui, a rigore, potremmo catalogare anche lAnticthona…)”.

È poeta d’amore. “Gentile poeta d’amore” presenta il corrusco poeta dell’“Inferno” un volume della inglese Alma Classics. Un’antologia, “Love Poems”, dalla “Vita Nova”, il “Paradiso”, il “Convivio”, le “Rime” sparse, che convince più di ogni blurb.

Kipling – Imperialista forse, ma non razzista. Orwell gli riconosce, come segreto anche della sua leggibilità, il “senso di responsabilità” che si legava alla “classe dei funzionari e degli “spiriti «illuminati» cui apparteneva. L’onestà intellettuale, cioè. Ma di più incide l’assenza del razzismo. Che è – si sente – a pelle.
Il senso della diversità sì, acuto, è ciò che lo fa leggibile, ma un’assenza psicologica, costituiva, del razzismo, della superiorità del bianco. Come “razza”, termine che non gli appartiene, e come cultura.

Thomas Mann – La sua cifra sarà stata l’ironia. Anche sotto “I Buddenbrook”? Certamente nel “Felix Krull” e nei molti racconti. Ma anche nella “Montagna magica”. E, come per i “Buddenbrook”, anche per il “Faustus”. Non c’è in “Morte a Venezia”, e questo dice quanto il racconto è di testa, costruito, e nella tetralogia biblica, indigeribile – quattro volumi di sottile antisemitismo sono impensabili.

Fu antisemita? Non si può dire, “dopo”. Ma in molti racconti se ne diletta, ne “L’eletto” e non solo – il gioco di parole ne rende bene la cifra. Lo scrittore fluviale, il padre rigido e chiuso, il moralista inflessibile, si teneva vivo col sorriso? È possibile.

Palude – Franco Cordelli correda la sua “palude degli scrittori” (“Lettura” di domenica) con un atlante di 70 autori. Tra i conservatori e i moderati mettendo i più schierati a sinistra: Berardinelli, Rasy, Cavalli, Onofri, Murgia, Serra, Magrelli.
Michele Serra accomunando a Magrelli, Piperno, Affinati.

Dai senatori - Guglielmi, Ferroni, Celati - escludendo Walter Pedullà, che lo patrocinò al debutto, e oltre.

Pound – Esoterico più che classico. O classico per essere esoterico: è la sua lettura del classico, un’altra verità.
Si volle contemporaneo, acuto, rapido, in sintonia con gli anni. E fattuale, realista, in economia e in politica, anticipatore di quella che oggi si chiamerebbe ecologia (limiti alla crescita, rispetto dell’ambiente, limiti ai consumi, riciclo, limiti alla specualzione). Partendo dall’anticapitalismo di Jefferson, per molti aspetti precapitalista (di un’economia ancora schiavista), che oggi in vario modo l’America rivaluta. Ma ebbe forte l’intuizione, se non la prescienza, di un “altro” mondo e modo di essere. Nell’ambito della formazione disordinata e tutto sommata autodidatta. Un po’ come i suoi innamoramenti, erratici, a fiuto, a caso. E più dunque nel suo modo di vita partecipativo, invasivo, entusiasta radicale sempre, più che per le credenze o pratiche teosofiche. Che non mancarono, ma forse nel quadro della impregiudicata curiosità, aperta a tutto.
“Pound e l’occulto”, lo studio di Tryphopoulos, ne coglie bene il nesso, già nel titolo, “Pound segreto”. Pound non studia né analizza l’esoterismo, né lo propaganda o lo critica, ci convive, in maniera non segreta ma senza dichiararlo, nella corrispondenza o nei saggi. A partire dal viaggio, mentale e fattuale, nella Provenza dei trovatori, “A walking tour in southern France”, il viaggio e i taccuini di viaggio del 1912, che Pound stesso riscopre (nemmeno lui nella loro interezza) con sorpresa nel 1958, quando è dimesso dal manicomio.
Tryphopoulos ci trova di più: radici esoteriche ai “Cantos”. E documenta la frequentazione, in gioventù e a Londra, di ambienti, o meglio di donne, legate all’esoterismo, Katherine Ruth Heyman, Hilda Doolittle, Olivia Shakespear, e la figlia Dorothy, che Pound sposerà. Ma allora semrpe alla sua maniera, totale e libera insieme, vorace, ingorda di esperienze.

Silone – Il pattern della spia Silone ricalca quello di Orwell, denunciato come spia nel 1996, a beneficio di nessun servizio segreto ma della colpevolezza sì, del tradimento, la delazione, la persecuzione. Lo scandalismo è di bocca buona, anche se non propriamente evangelico, e non “sta a guarda’ ar capello”: tutti ci vuole colpevoli, eccetto lui, il denunciatore, un giudice in genere o un giornalista – meglio tutt’e due.
La denuncia però lo dice vivo, a ottant’anni da “Fontamara” che potrebbero essere un paio di secoli.

Viaggio – Non è per fegatosi. Stendhal, “Du rire” (“La comédie est impossibile en 1836”), a proposito del viaggio in Italia del presidente de Brosses, 1739, dice che era un anno in cui si poteva ridere. Ci sono anni in cui si può ridere, dunque, e il viaggio viverlo come un piacere. Come una “una caccia al piacere”, dice Stendhal. Fatto di curiosità, interesse, buona disposizione, comprensione, approfondimento, e non censorio, misoneista, ipocondriaco, come è del turismo in genere. Dove, nota Stendhal, più spesso “si sostituisce ciò che si dovrebbe rimarcare e dire con ignobili esagerazioni prese a prestito dai  lacchè di palazzo”, aneddoti, pettegolezzi, vendette. “La maniera come si cerca la felicità nella vita di tutti i giorni, le abitudini sociali così opposte alle nostre, sono del tutto ignorate. Non si sospetta nemmeno ciò che, in questo genere, è storico, e di conseguenza più facile da vedere, perché il viaggiatore volgare legge più facilmente in un libro che nella realtà. Nessuno, per esempio, si chiede della civiltà di Napoli sotto i suoi viceré, etc., etc.”.
Si possono trovare anche numerosi punti d’interesse nel Sahara, e quanti, nel bush africano, nell’altopiano secco dell’Etiopia. Richard Burton nel primo Ottocento se ne è fatto motivo di gloria raccontandoceli. D.H.Lawrence, che amava vivere nel Mediterraneo, e tanto ne scrisse, per due pagine due tre ha solo lagnanze.

letterautore@antiit.eu

Angelo si appare in treno

“Meridione è rotaia dei miei incubi.\ Meridione è binario morto”. La fine, alle sortes vergilianae, non è invitante. Ma non di questo il poemetto tratta. Arrivato ai quarant’anni, Mellone si guarda allo specchio, come tutti sorpreso – essere stato, essere, che cosa? E da domanda in domanda costruisce il suo amarcord, benché in anticipo sull’età e la gloria. Qui rimemora l’infanzia e la prima giovinezza, in chiave di felicità.
Questo è il terzo volet di una narrazione delle origini. Che Mellone vuole martellare in versi, seppure discorsivi. Ma qui più di sé al Sud, a Taranto e nel più vasto Ionio, dove è nato e cresciuto. Il primo, “Addio al Sud”, era una vindicatio del Sud, da polemista anticonformista – cioè, in Italia, oggi, di destra.  Il secondo, “AcciaioMare”, pochi mesi prima di questo, è una vindicatio  dell’acciaio a Taranto: “un capitolo improvviso e sofferto” contro la “minoranza rabbiosa e urlante” che pretese la rimozione, con la chiusura dell’area a caldo dell’acciaieria, dell’“autentica storia della più grande città industriale del Mezzogiorno”. La cosa è incontestabile, Mellone è un meridionale che non ha paura? Sarebbe un’eccezione – un’eccezione che sia stato accettato e tollerato, se non come ascaro di parata. Qui parla di sé: un selfie alla moda del momento, o un’autofiction.
La rotaia sarà del ritmo costante, sommesso, del ricordo, “per riacciuffare i brandelli di tutto quello\ che ho abbandonato”. La lentezza che si culla, che “Italian Sud Est”, 2003, finemente ha esplorato, il film di Fluid Video Crew (Davide Barletti, Lorenzo Conte, Edoardo Cicchetti, Mattia Mariani) che fa evidentemente epoca, una cifra dando infine al tempo non tempo dello Ionio, che il tempo non sottrae ma dilata. Ma non benevolo, non con tutti. Un viaggio nello Ionio fuori del tempo si snoda da Catanzaro Lido, “una Beirut nera di bombardamenti freschi”, una delle “caricature di Antonio Albanese”. Il viaggio è anzi senza pietà, se non per se stesso. E nemmeno questo: a un certo punto Mellone si mostra viaggiatore per modo di dire, a Picerno – donde Pina? – “gagliardo paese garibaldino”, curvo sullo smartphone, come tutti, a cesellare “hashtag molesti” sulla sua presunta esplorazione.
Che c’entra il Meridione? Perché Mellone si è scoperto “meridionale”. Come tutti in fuga, e un po’ spaesato, ma esule volontario e non per bisogno. Ovvero sì, per bisogno di novità. Che “Roma” evidentemente (“una casa posticcia”), o “Milano”, non esaurisce. E quindi, oltre che senza tempo, senza luogo in realtà.  Lo spirito nomade ha questo difetto, che ogni tanto calano gli zuccheri. – “che ci faccio qui?” si chiese, anche lui a quarant’anni, Bruce Chatwin che lo epitomizza. È un Meridione in ombra, la terra degli incubi non è il solo punto falso. La dedicatoria, alla prima pagina, è “Alla mia terra, che è sofferenza ignota\ e amore di cieli bassi”.  Non di cieli altri? Che è invece il problema: la mancanza di applicazione. Alla forgia come alla poesia. Il cielo basso è padano, pedemontano, montano, e la via d’uscita è il lavoro, lo sguardo ostinato puntato sulla terra, la stalla, il martello. È nel Meridione, come dice il pota cantore calabrese Otello Profazio, che “abbiamo l’aria”. Per non dire della sofferenza, che purtroppo non è ignota – è confusa?
Ma sotto lo “spoon river” il geniaccio scoppietta. Mellone si cerca e conferma nei toni del compianto. Un lamento - di se stesso – però compiaciuto. “Il tono lapidario degli epitaffi” che Mario Desiati rileva nell’introduzione è in realtà vocativo, i morti vivono, anche quelli ancora viventi, di rimpianti più che di vere memorie. In prosa poetica rapsodica, di allusioni, lampi, rimembranze non riscontrate, ghigni, sberleffi, anatemi. Al modo di Pasolini, delle cose ordinarie e del disimpegno, per quanto accorato, più che di Pound, l’altro poeta della modernità, dei miti, gli eventi e i personaggi storici, culturali, cultuali. Un autoritratto in forma di istantanee, senza tempo, senza luoghi se non dello spirito, verosimile, anche per chi non sa del vero Mellone, comunque un personaggio: un ribelle, nelle forme del teatro, e un dirigente Rai. Uno che andò via “non per fame” - come diceva umile Troisi in vacanza a Firenze – già adulto, e uomo di spettacolo. In Bmw o Audi, dice, quindi non in treno. Molti tacchi ci sono, reminiscenza involuta del “tacco d’Italia”, sopra Taranto, il luogo della memoria.
Angelo Mellone, Meridione a rotaia, Marsilio, pp. 91 € 10

mercoledì 28 maggio 2014

Problemi di base - 184

spock

Se tutto è simbolo sessuale, il sesso è simbolo di che?

Perché tutto è sesso, e il sesso non è altro?

La costola di Adamo era molle (di tessuto molle)?

Se la cultura cominciò con la foglia di fico, quale era la storia prima?

Se la storia cominciò con Adamo, cosa ci stanno a fare i cinesi? E gli indiani?

Le streghe si congiungevano coi diavoli, gli stregoni pure, benché inquisitori, e allora?

Secondo Platone Dio ci ha creato per Sé (“tu sei creato per il Tutto”): ma che se ne fa?

spock@antiit.eu

Stupidario kantiano bis

“Le proprietà del sesso femminile sono più delle maschili argomento di studio per il filosofo” (“Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime”, cap. Terzo)

“I negri dell’Africa non hanno dalla natura alcun sentimento che li elevi al di sopra di uno sprovveduto candore. Il signor Hume sfida chiunque a trovare un solo esempio di negro dotato di talento, e afferma che, tra centomila negri che vengono dai loro deportati in altri paesi, sebbene siano rimessi in libertà moltissimi, non si è mai trovato uno che sia emerso in modo significativo nelle arti o nella scienza, oppure per qualche altra qualità eccezionale, al contrario” (“Fondazione della metafisica dei costumi”, parte Seconda).

“La musica, la danza e il gioco costituiscono una società senza linguaggio” (“Antropologia dal punto di vista pragmatico”, § 88).

Lo svenimento, che segue abitualmente alla vertigine (una successione rapida, ondeggiante e inafferrabile, di numerose impressioni senza rapporto tra esse), è un preludio alla morte” (Antropologia dal punto di vista pragmatico”, § 27).

“Bere slega la lingua (in vino disertus). Ma apre anche il cuore, e offre un veicolo materiale a una qualità morale, la franchezza”.” (id., § 29).

“Perché il lavoro è il modo migliore di godere della vita? Perché costituisce un’occupazione penosa. Il riposo non dà piacere se non in quanto coincide con la sparizione di una lunga fatica” (Id., § 60).

La montagna teutonica

Una narrazione monumentale che alla rilettura è un apologo, una serie di apologhi, sulla guerra. La Grande Guerra che ha mutilato la civiltà (l’Europa), la tradizione, il progresso. Cioè l’idea e il fondo del progresso: il risparmio oculato, degli averi e di sé, l’accumulazione, il riserbo. Senza molto del nuovo, a parte la psicoanalisi, di scuola. Non brillante e anzi faticosa, nonostante l’ironia thomasmanniana, cattiva (le signore e signorine nei loro vezzi, il mal d’amore, il gesuita massone..).
La nuova traduzione di Renata Colorni sarà accurata ma non l’allevia. La curatela di Luca Crescenzi, inventore della nuova titolazione, già autore di un Melancolia occidentale. La montagna magica di Thomas Mann”, ingolosisce, ma non più del pettegolezzo. Una riedizione preziosa che un quesito pone: si rilegge Kafka perché è con noi, e Thomas Mann perché è tedesco? Un “breve racconto facile e umoristico” voleva fare, ma non sa impedirsi di essere forbito.
Thomas Mann, La montagna magica, I Meridiani, pp. CLVIII + 1422, ril. € 60

martedì 27 maggio 2014

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (207)

Giuseppe Leuzzi

D.H.Lawrence, “Mare e Sardegna”, ha un attacco lirico, col “soleggiato mare Ionio, il gioiello mutevole della Calabria, come un opale di fuoco mosso alla luce”. Sotto l’Etna, che declina al femminile, “che a tutti diede la loro ora ispirata e commosse gli animi”. E così è per lui. Che qui e in molti altri testi ama girovagare per il Sud, liricizzandone i luoghi. Salvo deprecarne a ogni pagina, a ogni riga, le persone, salvo rari casi dinfatuazione gay, labbigliamento, l’aspetto, i loro modi di dire, i modi di fare. Che esse siano belle o brutte, affabili o scortesi, precise o vaghe, sintetiche o prolisse. La letteratura di viaggio è sempre “di più”, nell’elogio e nella critica, e una copia sfocata della realtà. Meno approssimata a volte, ma spesso irrelata, come la pubblicità. A cui però non ci si può sottrarre. E di cui non si può fare a meno.

La Lega, che vent’anni fa, anche quindici, voleva il marco come moneta, abiurando la lira, ora abiura l’euro, il due volte marco tedesco. È che nel frattempo la Lega, quale espressione del Lombardo-Veneto, oggi Nord-Est alla moda carioca, è stata declassata dal Nord transalpino con tutta l’Italia che andava affossata. C’è sempre un Nord più Nord dell’altro.


“Ci metto la faccia”, va dicendo Renzi a ogni promessa. È la sua debolezza – potrebbe costargli. Lo disse Passera quando gli fecero vedere dall’elicottero pezzi scelti della Salerno-Reggio e lui disse la frase famosa: “L’opera sarà completata entro il 2013, ci metto la faccia”. È dovuto scomparire.

Mafia
“L’associazione a delinquere è cambiata. Adesso la formano un banchiere, un commissario o presidente di ente pubblico, due o tre politici, un commercialista, un avvocato, un magistrato, e molto speso manca il delinquente” – Beppe Grillo a “Porta a Porta”.

In Sicilia invece, in contemporanea con Grillo a Porta a Porta, il Pd siciliano si è diviso se considerare il suo candidato alle Europee un mafioso. Il candidato è il professor Fiandaca, eminente giurista, anche della legislazione antimafia. Ma Fiandaca è contro l’inchiesta palermitana che dice mafia lo Stato.
Alla fine il Pd siciliano si è stancato, in gran parte non è andato a votare, e il professore non è stato eletto. Ora, dov’è qui lo “Stato” e dov’è la “mafia”?

Scajola è a un certo punto il referente della ‘ndrangheta. Cioè: la ‘ndrangheta è un parlamentino, che si riunisce, e nomina Scajola suo referente. Il giorno dopo, però, Scajola non  lo è più: non è stato candidato alle Europee, la ‘ndrangheta si è riunita di nuovo e gli ha tolto la delega.
Questo noi sappiamo attraverso i giudici e i loro giornali. Lo sappiamo giorno per giorno, così per farcene un’idea, anche se la materia poi non confluirà in un processo. È la tecnica dei dossier: fornire ogni giorni ai media una pagina, e noi non c’entriamo.

Ma come mai Scajola? Perché è il politico d’Imperia-Ventimiglia. Dove, benché vecchi ormai di tre generazioni, molti sono calabresi – coltivavano i fiori. E allora calabresi, seppure bisnipoti, uguale ‘ndrangheta. La ‘ndrangheta dei fiori.

La decimazione che non si celebra
È negli annali della Grande Guerra che ora si celebra, e anzi si celebra con la guerra, il film di Stanley Kubrik “Orizzonti di gloria”. Un film sulla guerra come male. Di orrore bello semplice, “normale”, come in una tragedia greca. Un episodio di decimazione, sul fronte francese, di un battaglione che i generali giudicano non essersi impegnato a sufficienza al fronte. Che in quella guerra di trincea voleva spesso dire assalto all’arma bianca, in duelli ravvicinati a colpi d baionetta, roba da piccoli gladiatori per la gloria dei generali.
Nessun film invece è stato mai fatto, e nessun libro si pubblica, nelle “celebrazioni” in atto della guerra, su una decimazione realmente avvenuta e documentata, della Brigata Catanzaro. Che ebbe nel 1917 la stessa sorte del battaglione francese, pur avendo combattuto in prima linea per due anni e due mesi senza mai un turno di riposo, per tredici campagne di seguito. Rimettendoci, secondo l’Ussme, l’Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito, 162 ufficiali morti e 281 feriti gravemente, 4.540 soldati morti, 12.500 feriti. Malgrado le tante onorificenze, di reparto e singole, che la Brigata aveva accumulato nella guerra. E senza mai un giudizio successivo di riabilitazione. Malgrado l’ottimo comportamento della Brigata dopo Caporetto e fino alla vittoria.
È il nome che induce alla trascuratezza? È l’onore dei Carabinieri, di cui vanno taciute le efferatezze - i “carabinieri fucilatori” di una vigile coscienza collettiva? È il Sud che ha stufato il Nord, anche andando a combattere per liberare il Nord? È la stanchezza degli studi storici?
Naturalmente non ci sono storici nemmeno in Calabria per occuparsene. L’unica ricerca è di due storici friulani, l’unico ricorso è nei racconti di Corrado Tumiati, “Zaino di sanità”, con un acenno, commosso, nei “Taccuini” di D’Annunzio. Sulle cui tracce la vicenda della “Catanzaro” questo sito ha rievocato più volte, da ultimo un anno fa

Mafia + populismo = Italia
L’Italia, l’opinione che l’Italia ha dell’Italia, che all’Italia si fa avere di se stessa, è due prigioni. A Nord il populismo. Della Lega prima, poi di Berlusconi, ora probabilmente di Grillo – o sarà Renzi?
La mafia è nota – è il Sud. Anche il populismo è noto. Cioè non si sa che cos’è ma si sa che labella tutto ciò che non si conforma.
Detto così, e non c’è altro populismo, non è una bella cosa. Che non si conforma a che cosa? Questo non va bene, non sapere esattamente a chi o a che cosa dobbiamo obbedire. I depositari della verità della politica vogliono tenerci al guinzaglio. Ma non ha senso dire tutta la politica populista, eccetto il partito Democratico, o giornali di proprietà di banche e affaristi.
Su questa traccia, anche l’equivalenza Sud-mafia va rivista. Anche se qui è sostanziosa e univoca. Chiunque lo vede, che spenda anche pochi giorni al Sud, anche in piccole realtà, magari protette.
Di un capitale che non sa e non può manifestarsi. Umano, imprenditoriale, finanziario, seppure piccolo. Per paura della mafia, ma più del tutto è mafia. Introiettato, suicida. Il “discorso sulla mafia” porta perfino i piccoli a nascondere il poco che hanno: rimodernare un laboratorio, una bottega, una casupola. Anche se non c’è una minaccia mafiosa.
Il Sud-mafia è “in buona sostanza”, direbbe il Bonacelli comprimario di Benigni in “Johnny Stecchino”, che non c’è in realtà un’antimafia, un’opera di repressione. La garanzia di un diritto. C’è per i fatti politici, a partire dal caffè degli impiegati comunali in orario di ufficio, ma non per le grassazioni e i taglieggiamenti. Che non sempre né ovunque ci sono, ma è come se ci fossero, ingenerano la paura comunque.
Non c’è abitudine o prassi della repressione. Per decenni, a partire dal 1960 circa, e tuttora, i Carabinieri non considerano le minacce e gli attentati alla proprietà fatto realmente penale, semmai da perseguire su querela, e ancora, con le prove a carico del querelante. La giustizia si occupa solo dei fatti di sangue, che normalmente ricorrono tra mafiosi. E quando la vittima è un incensurato onesto gli trovano un concorso esterno in associazione.

leuzzi@antiit.eu

Fisco, appalti, abusi (50)

Carni agli estrogeni, granaglie ogm, miele da polline biotech, vino in polvere: tanti alimenti che l’Italia non può produrre per le leggi sanitarie in vigore, sono però venduti su importazione, autorizzati dall’Unione Europea.

“Extracosti e ritardi, la variante diventa la regola”, “Il Sole 24 Ore: E il grimaldello, legale, della corruzione: l’appalto triplica mediamente di costo, i tempi sono disattesi a vantaggio delle imprese costruttrici.

Le varianti negli appalti pubblici erano la costante di Tangentopoli. Escluse dalla legge Merloni, 1994, si avvalgono ora dell’opera dei giudici: o il ricorso al Tar, interminabile, o la denuncia dei concorrenti esclusi, in genere quando falliscono.

C’era una volta la pubblicità ingannevole. Ora, con tutte le Autorità che controllano il mercato e la pubblicità, costosissime, pagate dal cittadino,  le offerte si moltiplicano giorno per giorno, con varianti anche durante la stessa giornata, che promettono tutto e non assicurano nulla – l’ “offerta” è valida sei mes, tre mesi, o anche solo un mese, il contrato è vincolante invece per tre anni, anche sei.

Lo stesso libro francese costa il 25 per cento in più in un libreria italiana rispetto alla libreria francese di Roma. Per un dazio doganale e un rischio di cambio che non ci sono.

Niente più medicinali, tutti integratori: un popolo di sofferenti cronici i medici di base lo hanno trasformato in una squadra energetica che rincorre la forma migliore. Senza nessuna spesa per il sistema sanitario, senza nessun rimborso delle assicurazioni private. A un costo doppio e triplo rispetto alle “presunte” vitamine, E, D3, C e l’immancabile Omega 3, con curcuma, ortica, rosmarino e pepe nero, anzi ora con lo zenzero, incorporate nella pasticca. È il mercato, anche della sanità, a carico sempre del consumatore-utente.

Lo zenzero: sarà stato questo il segreto degli antichi greci, la bevanda sacra, della cultura che ancora rimpiangiamo – la tzi-tzi byra di Corfù?

Non sappiamo perché cominciammo a ragionare

Non c’è nessuna prova di evoluzione del linguaggio. Otto specialisti, tra essi il decano dei linguisti, Noam Chomsky, sono perentori al riguardo, senza faglie né interstizi. Negli ultimi quarant’anni c’è stata “un’esplosone di ricerche” sull’origine e l’evoluzione del linguaggio, da cui “una sensazione che progressi considerevoli sono stati fatti”. No, “la ricchezza di ipotesi si accompagna all’indigenza delle prove”. Dando regione alla Société de Linguistique che nel 1866, di fronte a un’analoga esplosione di teorie, giunse a proibire le indagini sulle origini del linguaggio.
Quattro i punti che hanno spinto gli otto a sanzionare un chiarimento. Nessuno studio degli “animali nonumani” ha prodotto paralleli rilevanti con la comunicazione linguistica umana”. Le tracce fossili e archeologiche sono labili e irrilevanti. “La nostra padronanza della genetica del linguaggio è così immiserita che non si può sperare di connettere i geni ai processi linguistici”. I modelli proposti si basano su “assunti infondati”, senza test empirici, e danno esiti inverificabili. “Le questioni principali sull’origine e l’evoluzione della nostra capacità linguistica resta più misteriosa che mai”.
Marc D. Hauser, Charles Yang, Robert C. Berwick, Ian Tattersall, Michale J. Ryan, Jeffrey Watumull, Noam Chonsky, Richard C. Lewontin, The mistery of language evolution, “Frontiers in Psychology”, 7 maggio, saggio open-access

lunedì 26 maggio 2014

Milano trema

È stata una sorpresa, un’insonnia, una crisi di panico, seppure da navigati gentlemen: che ci sia ora in Italia un governo che governa? Il botto di Renzi ha sconvolto “Milano”, il reticolo di ruberie e furberie di banchieri, affaristi, giornali, giudici e finanzieri, che in un quarto di secolo ha portato l’Italia sul lastrico. Tanto più che ha avuto i voti, per la prima volta dopo alcuni decenni, dei lombardi stessi e dei veneti, quelli del lavura, che evidentemente non si fidano più - il travaso massiccio dei voti da Forza Italia e Lega al Pd di Renzi, certificato dalle analisi dei flussi elettorali, raffoza il dato percentuale delle urne. Più che di sistema, la crisi è del sistema Milano. Quello propriamente che Renzi è impegnato a rottamare.
Renzi ha vinto da rottamatore e da vecchio Dc. Da Dc, seppure di razza, politico duro e forse anche puro, ha dato un sussidio a dieci milioni di persone, sei-sette milioni di famiglie, ha messo i suoi uomini subito in tutte le aziende pubbliche, ha stretto il morso agli enti che non controlla, prima la Rai, e ha pagato, perché no, un contributo alla modernità, inviando a Bruxelles un nugolo di belle donne, dove saranno impegnate a imparare le lingue. Da rottamatore ha sconvolto i salottini che ci governano, bancari e mediatici. Che sono quelli che non hanno dormito stanotte.
Renzi non s’è preso un solo collaboratore dal sistema Milano. E non è andato a corteggiare la Borsa, né Mediobanca o Bazoli, né i giornali di De Benedetti o Elkann. Nemmeno in campagna elettorale. Ha vinto anzi contro De Benedetti, e gli sfottò del “Corriere della sera”. Che ora se ne attribuiscono il successo, ma in realtà lo rincorrono, sgomenti.
È la Milano ufficialmente di Bossi, Berlusconi, Monti e i suoi tecnici lombardi, la Procura della Repubblica e le banche. Di giudici integerrimi che vanno preannunciando le loro sentenze, per averne gloria dove conta, di banchieri di Dio con un pelo sullo stomaco alto fino in cielo, di moralizzatori onorati con la residenza oltre Chiasso. Una sorta di oligarchia postsovietica che purtroppo ha dominato l’Italia per un quarto di secolo. Facendo mostra di un’indignazione costante che rendesse impossibile la funzione di governo, eliminando via via ogni possibilità di governare l’Italia. Paravento di comodo, comprese le reciproche baruffe, alla depredazione, da furbetti del quartierino, gonfiandosi e gonfiando il “sistema” di appalti corrottissimi, svendite di beni pubblici, manomissione delle finanze pubbliche, e trame neppure oscure di Borsa.
Anche il voto conferma Renzi in questo ruolo. I giornali padronali hanno subito messo la Lombardia in primo piano nel successo di Renzi. In realtà la partecipazione al voto più alta è stata delle regioni centrali, con un sì a Renzi schiacciante. Mentre altrove Renzi ha attratto il voto di opinione, per la prima volta nella storia del Pd, ben al di sopra del risultato dello stesso partito nelle amministrative. La Lombardia, la regione più popolosa, ha votato per il 15 per cento Salvini, fuori dall’euro.

Europa first

Padrone del Parlamento – può scioglierlo quando vuole, stravincerebbe – Renzi si dice ora impegnato a “rifare l’Europa”. Per una volta non senza ragione: non è la solita velleità veterodemocristiana della bella figura, se vuole e saprà muoversi, Renzi ha tutte le carte per essere il nuovo federatore, o porsi al centro dell’eurozona. Più di Angel Merkel, sconfitta al voto europeo, a pochi mesi dal successo alle politiche, insidiata dagli antieuro,  che mandano in fibrillazione il suo potente alleato bavarese, i cristiano-sociali, e con l’ombrello Bundesbank-Bce screditato di fronte al “mercato”, ai grandi finanzieri-speculatori. Nella forte diminuzione di ruolo e di credibilità della Francia e della Gran Bretagna. Mentre il Pd è il primo partito all’Europarlamento, e la forza trainante nello schieramento socialdemocratico.
Nella Farnesina Renzi può anche trovare, finora inutilizzato, un ottimo arsenale di argomenti. A cominciare dalla crisi ucraina. Che si può ricomporre, senza sotterfugi, ma coinvolgendo la Russia, e non provocandola – soprattutto non stupidamente. Più in generale dovrà lavorare all’Europa partendo dai fianchi. Renzi ha già mostrato di non sottovalutare il blocco germanico, che sotto la professione di europeismo è ben saldo a imporre i propri interessi. La via più diretta a Berlino sarà partendo dai fianchi, dall’Eurasia di Putin, che l’Europa lega fino alla Cina, e dal libro scambio Nord-Atlantico di Obama.