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sabato 31 agosto 2019

Letture - 395

letterautore

Autrici - Sono tutte uguali, trentenni, mezzobuste (i fianchi e le gambe no), il volto in qualche modo attraente, per fronte, guance, taglio degli occhi, della bocca, capelli.
Prevalgono sui media le autrici, probabilmente per ragioni di mercato – che è prevalentemente femminile – in prosa e in poesia. Ma tutte come in riga, allineate e coperte. Come in una marcia segnando il passo, in testa uno stampo. Ciò va contro il mercato: attrarrà il pubblico femminile, ma quello maschile che interesse può trovarci?
Prevalgono anche le vecchie “scritture al femminile”: storie di infanzie, pene d’amore (ora di personalità), personaggi-gge attraenti.

Balzac e Dumas – Approssimativo l’uno, che pure si voleva sociologo e sistematore, con i tanti schemi entro cui collocava i suoi racconti e romanzi, documentato e anche preciso il secondo, che inventava ma non stravolgeva, benché scrivesse all’impronta, molte pagine al giorno, e senza rileggersi. Forse perché lavorava su opere già sgrossate dai “negri”, i collaboratori anonimi -  riscriveva.
Entrambi narratori fluviali, ma con caratteristiche rovesciate rispetto alle apparenze in fatto di attendibilità – di rispondenza al vero e anche di verosimiglianza.

Dante – Vittima del politicamente corretto.,ma senza danni. Ridicolizza Dante e l’islam insieme la volontà politica, fondamentalmente anticristiana, di accreditare Dante come un copione di oscuri compilatori, di “viaggi di Maometto” nell’aldilà. Una frescaccia filologica, ma anche una delle tante false “cause” politiche “politicamente corrette”, ex radical chic nella ormai vetusta tipologia, cinquant’anni fa, di Tom Wolfe.
È l’Autore moderno, il precursore e inventore dell’autorialità. In uno studio inavvicinabile, da biblioteca, a 100 dollari, Albert Russell Ascoli, l’italianista americano studioso si Boccaccio e Ariosto, fa di Dante il primo “Autore” moderno – “”Dante and the Making of a Modern Author”, 2008 (pp. XVII + 458). Quello che non solo racconta e rappresenta, ma afferma. Questo il Dante Autore in sintesi: “La riproposta della auctoritas medievale apre la strada alla nozione proto-moderna di autorialità letteraria, che sarebbe emersa gradualmente, a piccoli passi, tra il tredicesimo e il diciassettesimo secolo”.
Cosa vuole il Dante autore moderno, secondo lo studioso americano, è così sintetizzato da un recensore, Jan Soffner, online: “La narrativa di Dante, volendo, sembra differente da, per dire, il film di Kubrick «2001: Odissea nello spazio» (1968), che muove da simili accentuate pretese su cosa quarant’anni fa si considerava essere la «verità» dell’umanità. Mentre guardando il film uno sa che il punto che il regista tenta di affermare è la comprensione della sua opera quale possibile modello del mondo, quando si legge la «Commedia», invece, non si può non supporre che Dante non sta soltanto offrendo un possibile modello di spiegazione del mondo, ma è profondamente convinto che il suo modello è quello reale, benché si proponga come una costruzione poetica”
      
Disfatta – Rotta, ritirata militare: reputata dopo Caporetto specialità italiana, di un’incapacità italiana di fare la guerra. Ma altre rotte più terribili ha avuto l’esercito francese alla Beresina – di cui in Balzac (“Addio”, “Il medico di campagna” – Balzac era fervente cultore di Napoleone), o Tolstòj, a Lipsia, a Waterloo (Stendhal, altro fan di Napoleone, Victor Hugo nei "Miserabili"), a Sedan nel 1870 (Zola), e nella drôle de guerre, 1939-1940 (Céline). Rotte decisive ha avuto anche la Wehrmacht, a Stalingrado, a Alamein , malgrado l’impegno e il sacrificio degli italiani, e poi sul Vallo Atlantico – battaglie dell’eroico Rommel che mancava sempre gli appuntamenti decisivi.
Le sconfitte tedesche, benché epocali, non sono state mai raccontate. Non in grande. Solo “I proscritti” di von Salomon, che romanza i reduci sconfitti del 1918, organizzati in “corpi franchi” eroici, contro francesi e polacchi dopo la guerra - una memoria romanzata che molto piacque a Giame Pintor: la fece tradurre da Einaudi e la recensì entusiasta, suo ultimo scritto prima della morte al fronte, sul Volturno, a fine 1943. I “corpi franchi” tedeschi sono raccontati anche da Marguerite Yourcenar.  
L’Italia è peraltro il paese che, da metà Ottocento a metà Novecento, dagli anni 1840 ai 1940, ha fatto più guerre di tutti in Europa: contro l’Austria tre o quattro volte, contro i francesi a Roma, contro i Borboni di Napoli, in Africa più volte, contro l’Abissinia-Etiopia, contro l’impero ottomano, e contro i libici, in Spagna, e nei 1940 contro mezzo mondo.

Gide – Un Gide “goethiano” – o un Goethe gidiano – Giuliano Vigini scova nella sua rubrica su “La lettura” tra gli anonimi: Gide ha stampato anonime almeno cinque opere. Un “C.R.D.N.” , 1911, che è “Corydon”, il testo protogay, in dodici copie, non vendute. Poi, nel 1943, anche un saggio su “Goethe”, in sole tre copie. Ma “Goethe” usciva quell’anno anche sulla “NRF”, la rivista dello stesso Gide in casa Gallimard, in dieci paginette – ora nella raccolta degli “Essais” – non granché. Gide usava ancora stampare copie per i soli amici.

Risvolti – Paterlini riscrive sul “Robinson” i risvolti di copertina dei romanzi. Fa cioè una recensione del libro in forma di “traduzione” dei toni enfatici dei risvolti. L’ultimo, sabato, con una serie di “problemi di base” di questo sito, una serie di domande metafisiche, a proposito di Giorgio Biferali,”Il romanzo dell’anno”: “È vero che nulla succede per caso? Esiste l’effetto farfalla?... “. Molto efficace – terribile: cioè, una stroncatura.
Una stroncatura sotto forma di risvolto promozionale è l’unica possibile? Ci si confronta con l’invadenza editoriale, non più con l’autore, la scrittura, la qualità. È anche vero che molti libri (romanzi), da “Gomorra” in poi, sono editoriali – compilazioni.  

Russia – “Sono nato in un paese dove l’idea della libertà, il concetto di diritto, la cuì consuetudine di umanità e gentilezza erano cose in freddo dispregio e brutalmente proscritte”, Vladimir Nabokov, “La vera vita di Sebastian Knight”. Nabobokov parla della Russia tra Otto e Novecento, ma il lungo interregno sovietico non ha cambiato le cose, anzi ha distrutto quel poco di libertà e di diritti che si erano imposti.
Quanto al valore militare, i russi stessi, che pure non sono stati mai sconfitti, se non dal Giappone nel 1905, in misura limitata e più per i moti rivoluzionari – liberali – interni, non sono ritenuti e non si ritengono valorosi (imbattibili) soldati, da Tolstòj a Pasternak, alla vasta filmografia.

Vedove – Non ce ne sono più nei libri, nei romanzi, nei racconti. Sono scomparse col nuovo diritto di famiglia: una volta una donna doveva essere vedova per poter sfuggire alla tutela di un padre o di un marito. Oggi può essere anche ricca di suo.
Nell0islam c’è ancora qualche caso.

Vittoriano – Sinonimo di puritano ipocrita, ma in letteratura è il periodo più fertile per l’Inghilterra, dopo quello elisabettiano. Da Dickens a Oscar Wilde e Conan Doyle. Non fu poetico, non molto, ma nella narrativa imponente. Gli imperi sono romanzi.

letterautore@antiit.eu

Grillo e Casaleggio, autodidatti

Un libro patetico se non fosse irritante. Casaleggio padre e Grillo pater prospettano il futuro (per la penna, pare, di Travaglio), ma di che cosa stiamo parlando? Di fregnacce, se non sono furberie.
Grillo è partito alla conquista del Parlamento, dopo averlo invettivato a furia di vaffa. E c’è riuscito, anche facile. Ma per merito suo? Quello che prospetta qui è niente.
Casaleggio fa capitolo a parte: un dilettante della rete, del mondo digitale. Quindi, da dilettante, un visionario. Cresciuto, organizzativamente (economicamente) e politicamente, all’ombra di un blog, quello di Grillo. Teorico di una sistema rappresentativo che si vorrebbe anarchico – finalmente l’anarchia al potere… Ma il suo non è niente più di un bla-bla senza forma. Perfino l’ironia è scadente, i sarcasmi di Grillo.
“La Rete contro i partiti” e “Per una nuova politica” sono i sottotitoli. Il libro è di otto anni fa, e al riscontro le due bandiere sembrano cenci. La Rete non ha sostituito i partiti, ne è solo uno strumento. Squallido, perché troppo minoritario: rispetto alle cellule di un tempo, le sezioni e i comizi, è niente o quasi, individui sparsi e avventizi che si sono autoaddottorati in politica, senza dibattito e senza reale dialogo. Autodidatti, quindi presuntuosi – vanno per battutine e slogan.
Casaeggio vede il mondo in ebollizione via Rete, dall’Islanda alla Grecia. E prospetta la Rete come il mezzo per creare infine uno spirito comunitario, partecipativo. Quella che chiama “intelligenza collettiva”. Che però, se c’è, quella che c’è, i social, è meglio che non ci fosse. Ha avuto ragione perché ne celebrava i fasti col solo 4-6 per cento del voto, mentre un anno e mezzo dopo ne aveva addirittura il 25 per cento. Ma a che prezzo è sotto gli occhi di tutti: improntitudine e vecchi abusi. La “nuova” politica è vecchia, anzi vecchissima, nel senso del peggio del vecchio: correnti, tranelli, imboscate, un pulllulare di cavallucci di razza che si fanno le scarpe, ognuno con corteggio di persuasori occulti, e non, piccolo ras.
Anche lo spirito sardonico di Grillo, che si presumerebbe  spumeggiante, suona acido. Falso, una posa. Come di mattatore stagionato, in nessun modo rivoluzionario. Se non della presa del potere. Ma di vecchi posti, con vecchi moduli.
Non una riga, peraltro, non una parola, che si elevi a invettiva morale. “La guerra durerà molto a lungo”, dichiaravano i due. È finita invece presto, uno anno o poco più dopo la pubblicazione, con Casaleggio e Grillo eletti a nuovi padri putativi dell’Italia. Incolori luno e l’altro, benché il loro partito domini il Parlamento da due legislazioni consecutive. Nient’altro che approssimazioni e bassa lega: tutto il vecchio, vecchissimo, armamentario democristiano - di cui i democristiani erano e sono maestri -  rispolverato, compresi gli appalti. La guerra è semmai degli italiani, i pochi residui tra emigrazione e astensione, contro di loro.
Gianroberto Casaleggio-Beppe Grillo, Siamo in guerra, Chiarelettere, pp. 188 € 13,60

venerdì 30 agosto 2019

Problemi di base illuminati - 505

spock

Si può condannare un delitto che, per quanto volontario, non è stato libero (Diderot)?

La parola libertà è una parola vuota di senso (id.)?

Bisogna cercare la nozione del dovere in quella della felicità individuale (id.)?

I precetti singolari che regolano il matrimonio cristiano sono opposti alla natura, contrari alla ragione, fatti per moltiplicare i crimini, e rendere la condizione dell'uomo peggiore di quella degli animali (id.)?

La galanteria è nella natura (id.)?

Il corpo della donna può essere anche una moneta di scambio (id.)?

Voi avete pietà di un cieco; è che cosa è un malvagio, se non uno che ha la vista corta (id.)?

spock@antiit.eu


Agatha Christie pirandelliana

Il meglio del meglio di A. Christie, la cui misura è il racconto - ne scrisse per ventidue raccolte. Lungo o breve ma sempre sapido, di caratteri e situazioni, e di lettura accelerata. Molta cronaca. Molte donne – dark ladies e no. La ricetta semplice di Poirot: gli indizi migliori sono quelli che uno si fabbrica. I tre possibili casi di “scomparsa” – come nella cronaca di questi giorni a Piacenza.
Si parte con i racconti che più si sono prestati al cinema e alla tv: “Tre topolini ciechi”, “Il villino degli usignoli” - una anticipazione di “Shining” - e “Testimone di accusa”. Con una peculiarità tanto evidente quanto trascurata: sono racconti pirandelliani.
Racconti, questi più lunghi e non seriali (Miss Marple, Poirot) giocati sugli scambi: ognuno è un altro, per equivoco o per mascheramento. Racconti degli anni 1930, pirandelliani per clima generale se non per filiazione diretta. Agatha Christie era anche autrice di teatro. E tra i personaggi che non si capisce chi siano non manca il nome italiano.
L'Oscar è l’antologia del 1992. Con la stessa prefazione di allora, di Federico Roncoroni, che resta il saggio definitivo sul giallo: i suoi ingredienti, i motivi di attrazione, la qualità, non solo come letteratura di consumo.
Agatha Christie, Il meglio dei racconti, Oscar, pp. 656 € 17

giovedì 29 agosto 2019

Le guerre perdute di Conte, yesman


Sorride in tutte le foto con i grandi della terra, in atteggiamenti confidenziali, Trump, Merkel, Macron. Ma di tutti i problemi internazionali che ingombrano l’Italia non si è mai occupato: la Libia, l’immigrazione, la politica Ue di austerità, le grandi opere internazionali (“via della Seta”, Tav Torino Lione, et. al.), i dazi americani, le sanzioni alla Russia e all’Iran.
Nominato da Trump a crisi aperta, mai vista una cosa simile. Ha fatto tutto quello che Macron ha voluto in Libia, dal siluramento dell’ambasciatore Perrone al sostegno indiretto al generale Haftar, un criminale di guerra. Non ha mai posto alla Germania e a Bruxelles il problema, non solo italiano, di liberare gli investimenti  produttivi dai tagli di bilancio. Ha partecipato all’elezione di Ursula von der Leyen sottobanco…
Sembra assurdo, ma non c’è problema internazionale dell’Italia su cui Conte abbia speso una parola in sedici mesi di governo. Doveva da tempo, ultimo ora in Europa, nominare un italiano alla Commissione di Bruxelles, ma ha temporeggiato, per farne moneta di scambio nel suo nuovo governo – l’Europa può aspettare. Uno yesman, furbo.

Il vero gattopardo è Grillo


Questo sito incoronava la Lega, dopo il voto europeo, quale nuovo partito della pancia del paese, la nuova Dc, nel senso del gattopardismo. No, i due forni e ogni altro artificio politico paleo-democristiano sono di Grillo, leader spregiudicato - anche in chiave di corruzione. Dal suo “mai con il Pd, mai con quelli di banca Etruria e di Bibbiano”, all’intronizzazione di Conte, quale Dc di ricambio – oggi Pd - nel governo in formazione.
La destra raccoglie più voti da alcune elezioni, ma non sa farli valere. Dopo il voto del 2013 ha fatto da ruota di scorta al monocolore Pd. Poi ha passato al Pd i verdiniani. Dopo il voto del 2018 ha fatto da ruota di scorta ai 5 Stelle. E questo non è Dc. Mentre il Pd, sempre perdente a ogni elezione, sempre governa.
Il governo che nasce ora con i 5 Stelle si presenta compatto, su questa linea del gattopardismo. Del democristianesimo immortale.

La Catena mozzafiato del dark web


La “Catena”, the Chain, è quella di sant’Antonio, in uso ancora a metà Novecento per obbligare i malcapitati destinatari a compiere il bene – in genere fare un’offerta, e trovare altri destinatari da legare alla Catena. L’irlandese McKinty, cattolico a Belfast, in partibus infidelium, ne fa una catena infernale. Trasponendo la pratica nel dark  web, la catena del male, con effetti devastanti: il lettore è lasciato senza respiro, un capitoletto dietro l’altro. Rapido, incalzante, sempre più minaccioso. Un incubo prolungato.
Un meccanismo talmente semplice, nella sua perversione, da riuscire imbattibile. Difficile immaginare il lieto fine, McKinty non semina tracce. A ogni atto perverso o minaccioso sa perfino affiancare una polizia ignara. Sulla macchina con la bambina rapita – una macchina rubata, in fuga scomposta. Sulla prima vittima della Catena all’atto della narrazione, una madre con tumore al seno in recrudescenza che apprende al cellulare in macchina il rapimento della sua bambina che pensava a scuola, e le condizioni oltraggiose della Catena, per riaverla libera. Dovrà versare una grossa somma all’organizzazione, in bitcoin irrintracciabili. Dovrà fare lei stessa un altro rapimento. Condizioni dettate dai genitori esaltati della vittima precedente. Non sicuri essi stessi che il loro misfatto porterà alla liberazione della loro bambina.  
È l’incubo del Male. Non in noi, nelle nostre coscienze, ma nel mondo. Oggi elettronico ma non diverso dalle mafie, le bande, i cani sciolti che vivono da Dracula, succhiando il bene degli altri. Da cui nessuna polizia ci protegge. Che si impone contro ogni volontà.
Un racconto filosofico, e un atto d’accusa contro la Rete. Ma senza moralismi: si vive la Catena del dark web come la lupara dietro il cespuglio, o la truffa agli azionisti. Il Male non si fa problemi di coscienza, giusto di efficienza. Il lettore sa che non può finire male, ma non è una consolazione: è attratto, risucchiato, scagliato dentro il vortice del Male, l’ansia vi diventa presto intollerabile, si corre verso la fine da velocisti, seppure col groppo in gola, da Usain Bolt della lettura.
McKinty, che col suo investigatore Duffy, colto, cattolico, di buone maniere, in una Belfast di poveri cristi, era andato in crisi, si rilancia con una serie di nerissimi noir, letteralmente mozzafiato.
Adrian McKinty, The Chain, Longanesi, pp. 352, ril., € 19,50

mercoledì 28 agosto 2019

Il mondo com'è (381)

astolfo


Caporetto – A lungo fu considerata colpa dei soldati, lavativi, imboscati, pronti alla fuga e alla resa  invece che a combattere. Hemingway ne ha dato descrizione minuziosa, di questa considerazione,  nella seconda parte di “Addio alle armi”: l’unica organizzazione nella disfatta era quella dei Carabinieri, che attendevano le truppe in ritirata o in fuga ai ponti, per fucilarli in massa o singolarmente dopo un atto d’accusa sommario. 
Dopo Caporetto il governo bloccò l’invio dei pacchi viveri ai prigionieri italiani in Austria, un caso senza precedenti, Ancora dopo la vittoria, il primo governatore di Trieste liberata, il generale Petitti di Roreto, insultava le folle di internati affamati, reduci o sfollati, accalcati nel porto di Trieste: “Meritereste piombo, non pane”.

Crimea – Russa con la zarina Caterina, regalata da Stalin all’Ucraina, ripresa da Putin, potrebbe anche dirsi tedesca. Vi si parlava il gotico tedesco fino al tardo Settecento, anche se in luoghi isolati: il gotico di Crimea, parlato dai goti di Crimea. Pochi e “meno potenti, meno conosciuti”, li dice wikipedia, “e paradossalmente coloro che vissero più a lungo” – come goti propriamente detti cioè, non sotto altro nome, p.es. tedesco..
La Crimea è stata il primo territorio dell’impero romano invaso dai Goti, nel 250. Che saranno sottomessi dagli unni, ma poi riconquisteranno la libertà. Nel Medio Evo si favoleggiava di uno Stato gotico in Crimea. Krimilda, il nome tedesco medievale, è gotico di Crimea, Hilda di Crimea.

Crisi. E la cultura dominante di questo dopoguerra, il più lungo periodo di pace dell'Europa, e del mondo intero - eccettuate le guerre americane localizzate, Corea, Suez, Vietnam, Golfo, Afghanistan, Iraq, Libia. Per la guerra atomica prima, e poi per l’ambiente. Con sotto-crisi che serpeggiano di fatto: la fine del petrolio, il terrorismo, le “bolle”. Queste agitate da interessi identificabili: la guerra del petrolio dall’interesse convergente di compagnie e paesi grandi produttori, Stati Uniti compresi, di capitalizzare al massimo il barile. Le “bolle” dagli ovvi interessi corporativi, delle dot.com, delle banche, della speculazione (i fondi speculativi sono i maggiori e più influenti, seppure dichiaratamente neutrali). Anche il terrorismo si può far risalire a una modalità indotta, non accidentale o autonoma: finanziato, e anche armato, nonché propagandato (“Al Jazeera” e altri media) sul nascere e anche dopo, in Siria e in Iraq, dai potentati della penisola arabica ha guadagnato loro mezzo secolo di stabilità – sono Stati senza articolazioni sociali e istituzionali.

Ecologia – Nasce con Nixon. Uno dei primi atti di Nixon dopo l’elezione a fine 1968 fu la politica anti-inquinamento. Consolidata nel 1970 dando poteri regolatori agli Stati e al governo federale in materia di emissioni, nel quadro del Clean Air Act del 1963. Affidandola alle compagnie petrolifere, chimiche e automobilistiche: una nuova politica industriale.  Le compagnie petrolifere, chimiche e automobilistiche si contesero per molti anni, dopo il varo della politica di Nixon, gli spazi pubblicitari in America per celebrare ogni anno l’Earth Day, la festa della terra, che le aveva nuovamente arricchite.
Si rinsalda con la crisi petrolifera del 1973, con l’ideologia della fine delle risorse fossili. In parallelo con la dottrina dei “limiti allo sviluppo” che il Club di Roma, composto da industriali di vari settori, aveva appena lanciato. E si sostanzierà all’inizio soprattutto dell’austerità – perorata in Italia in bizzarro parallelo da Fanfani e da Berlinguer.
Il partito dell’Ecologia è nato con la crisi, l’appello ai limiti dello sviluppo fondendosi con la critica all’abuso della natura. È una nuova industria, si diceva: con la teoria dei limiti e l’ecologia l’Occidente s’impadroniva anche della crisi. Il più consistente settore pubblico, e di pubblico interesse, la salute e l’ambiente, è in America privato.

Il Club di Roma data anch’esso dal ‘68, e “I limiti allo sviluppo”, il testo che s’impose nel 1973, è del 1972, commissionato a suo tempo al Massachusetts Institute of Technology. Subito dopo che Nixon aveva sollevato il problema dell’inquinamento dell’aria e dell’acqua.

Sir Edward Chadwick, il riformatore britannico, misurava già nel 1842 di quanto le abitazioni più igieniche avrebbero elevato la longevità e la produttività della classe lavoratrice. Lo stesso Chadwick che si celebra per le case di lavoro obbligatorio per i disoccupati, pena la perdita dei sussidi.

Grande Guerra – Fu un complotto? Un complotto non poteva mancare, nella più grande strage della storia, prima della seconda guerra mondiale, e non è mancato. Ma è trascurato, anche nella profluvie di pubblicazioni del centenario. L’ipotesi è che Gavrilo Prinzip, l’attentatore di Sarajevo, fosse manovrato dalla Germania, che aveva preparato la guerra e la voleva. La stesa reazione scomposta all’attentato degli imperi centrali sarebbe stata l’esito di questa strategia. Chi lo pensò e si prodigava contro la minaccia di guerra, Jean Jaurès, lo statista francese, fu a sua volta eliminato.
Socialista pacifista, Jaurès tentava di organizzare un movimento sindacale unitario franco-tedesco contro la guerra. Fu assassinato il 31 luglio, il giorno prima della mobilitazione che diede avvio alla guerra.

Il papa che protesterà contro “l’inutile strage” portava un nome destinato all’irrilevanza? Era Benedetto anche lui, il XVmo.

Nazionalismo – Paolo Rumiz ha (“Come cavalli che dormono in piedi”, 116), “il tragico infantilismo del nazionalismo”. Non si saprebbe pensarlo altrimenti, nelle (larghe) sopravvivenze in Africa, dove ha azzerato la funzione politica in inossidabili dittature, e nelle persistenze in America Latina e nei Balcani – non in Medio Oriente, contrariamente alle apparenze, dove è di fatto soverchiato in tutto l’arco della crisi, dal Pakistan all’Iran, alla penisola arabica, al Nord Africa e alla Palestina, dall’avidità o interesse.
Lo scrittore lo nota a “Rzeszów, città contesa che in russo fa Riascev, in ucraino Riasciv, in latino desueto Rerovia, in yiddish Rayshe, in tedesco Rishof, poi convertito in Reichshof dai nazisti. Dietro ogni nome, un secolare desiderio di supremazia”. Una città di frontiera a Est, alla cui stazione “gli orari coprono lunghe distanze in tutte le direzioni tranne che a est, perché a est c’è l’Ucraina, l’avversario storico” .- “che ora però comincia a non essere più tale”, aggiunge Rumiz, “grazie 6 di Putin che spinge Kiev verso l’Occidente”. 
Ma il tutto sconfina sempre, o ha alle radici, il fatto tribale.

Tribù – Il fatto tribale rimane forte, malgrado l’inglese per tutti, la globalizzazione, il turismo di massa, l’emigrazione. In Italia, il leghismo veneto e lombardo se ne può dire una versione annacquata: il tribalismo resta forte nelle aree di frontiera, alpine e prealpine. I trentini dicono ancora “andiamo in Italia” quando scendono in Veneto. Veneto che considerano tuttora mondo povero, di donne di servizio e emigrazione. Per sé esumando costumi da Schuetzen e jodel.
I veneti chiamano i trentini gli “austriaci”. Dovendo peraltro arrangiarsi per risalire fino a Rovereto, con lunghe deviazioni nella Vallarsa, non potendo utilizzare la strada che attraversa la valle, riservata ai trentini che “vanno in Italia”.

È oggi soprattutto anglosassone. C’è unisono nel nuovo suprematismo bianco, nel mondo anglosassone: gli Stati Uniti vanno sulla stessa linea dell’Inghilterra e dell’Australia. 
Il tribalismo è un fattore sociopolitico sottostimato, che insorge prepotentemente nel mondo di più lunga e stabile tradizione democratica. In America con Trump e il suo elettorato. Che contiene larghe porzioni di afroamericani è di ebrei. In Inghilterra con la Brexit, che non ha nessuna giustificazione se non tribale - e in quanto tale non sente ragioni, spingendosi fino alla chiusura del Parlamento. In Australia col premier Scott Morrison, l’ex ministro del “No Way” all’immigrazione.

astolfo@antiit.eu

Cambia tutto, cioè nulla

Di “grullini e pidioti” taccia “la Repubblica” il vertice Zingaretti-Di Maio e il loro Conte bis – che lo stesso giornale ha preparato e perorato, ma questo è un altro discorso. È così: bisogna prendere atto che la politica  nuova è vecchia, e comunque diversa. Diversa dal giudizio comune, E inadeguata: un esercizio fine a se stesso. Per lo stipendio da parlamentare, e il traffico delle influenze – vuoi mettere il socialclubber diventato senatore?
Con Conte voluto da Trump e Di Maio è il vecchio del nuovo. Zingaretti non conta - o forse non è quello che si diceva: il suo sorriso a libro con Di Maio lo annienta. Si diceva che il Pd resistesse ma si sapeva che non era vero, che aveva solo fretta di tornare al governo, comunque, di riavere le poltrone. 
Singolare anche l’assenza di un qualche programma, anche inventato. Non che i programmi contino, ma sono un simulacro inevitabile: per che altro si vota? 
Il Conte 2 è la sfrontatezza totale. E il nulla della sinistra: Zingaretti forse pensava di avere i suoi dietro, gli ex Pci, che lo coprissero dai rampanti intemperanti Dc, ma non c’era nessuno.

In amore decide la donna, male

Due donne forti e fortissime, contrariamente alla tradizione-vulgata del femminismo. Una autopunitiva, Carlière, l’altro afflittiva, Pommeraye, di fronte alla disattenzione o al tradimento – che per Diderot non lo è – dell’uomo cui si erano dedicate. Ma due racconti totalmente diversi: l’autopunitiva sul genere che sarà poi romantico, di disgrazie, che si accumulano, la vendicativa brillante, varia, contrastata, prima che truce.  
Due racconti degli anni 1770, quando Diderot si dedicò alla narrativa “filosofica”, dopo lo sforzo e le fatiche dell’ “Enciclopedia”. “Madame de la Carlière” fu pubblicato nel 1773 nella “Correspondance littéraire”, la rivista manoscritta che Grimm, aiutato da Diderot, inviava a una ventina di principi in Europa. Sarà ripubblicato a fine secolo, nel 1798, col titolo “De l’inconséquence du jugement public de nos actions particulières”, puntando sul secondo punto del racconto, la volgarità dell’opinione pubblica. “Madame de la Pommeraye” è un estratto di “Jacques il fatalista”, una delle tante diversioni di cui “Il fatalista” narratore – Diderot – si compiace. Una raccolta brillante di sceneggiate e eventi per dire che “non c’è nulla da fare”, tutto è già segnato, anche nel carattere – il determinismo che è tanta parte dell’illuminismo, a torto ritenuto una rivendicazione di libertà.
Anche “Jacques il fatalista” ebbe una diffusione limitata, nella “Correspondance littéraire”, tra il 1778 e il 1780. Fu poi ripreso in volume, in traduzione tedesca, nel 1792, e in francese nel 1796. Ma già nel 1785 Schiller aveva fatto di “La Pommeraye” un racconto a parte, traducendolo in tedesco, con un titolo che sottolineava la singolarità della protagonista, “Esempio singolare di vendetta di una donna (estratto da un manoscritto del defunto Diderot)”.
Due donne tradite dopo essere state sedotte, si vendicano in modi opposti: Carlière si annienta, Pommmeraye annienta lui. Due exempla, anche: non c’è compassione per le due dame. In loro nome Diderot svolge un esercizio retorico: che possiamo farci, nulla. “La grande, la virtuosa, la degna Madame de òa Carlière” non è che una “inflessibile e altezzosa egoista”. Entrambi i racconti contestano l’opinione pubblica, la “folla imbecille”. 
Curiosamente – per la storia, e per il libertinaggio maschile che Diderot difende – la morale dei due racconti è questa: le questioni d’amore le decide la donna. Male. Le due dame sembrano le “Diaboliche” di Barbey d’Aurevilly, in anticipo di un secolo. Di due come critica anticipata del femminismo, del secondo Novecento e del Millennio.  
Denis Diderot, Madame de la Pommeraye suivi de Madame de la CarlièreLivre de poche
pp. 139 € 2

martedì 27 agosto 2019

Ombre - 476

“Verso il nuovo governo Conte. Interno: ipotesi Di Maio”. Cioè, non è cambiato nulla, solo la ruota di scorta. Senza un briciolo di considerazione per il – e del – Pd.
I nuovi democristiani, e i preti che li sostengono, solo si interessano all’Interno, ai contributi e appalti al Terzo settore, cosiddetto del volontariato.

“Il governo giallorosso non c’è ma il totoministri si, ecco i nomi”: Franco Gabrielli, “da sempre molto vicino a Letta e sostenuto anche da Renzi”, eccetera. I siti, e anche i giornali, non hanno dubbi. È così che si forma un governo, da “volenterosi”.  I programmi si faranno secondo le urgenze.

Conte, Di Maio, oppure Fico? “Castagnetti al Pd: nel ’76 Berlinguer voleva Moro, accettò Andreotti”. E come andò a finire Castagnetti non lo dice.
Qualsiasi cosa pur di qualche poltrona, il Pd non sa stare che al governo: un vero partito dem(ocristiano).

Web in ambasce: “Il bassotto viene trovato incinta e abbandonata”. Bisognerebbe decidersi. O “incinta” e “abbandonata” sono aggettivi femminili a prescindere?
Bisognerà passare all’inglese, che ha già risolto.

Apre “L’Espresso”, il settimanale laico, creato sulle ceneri de “Il Mondo”, Antonio Spadaro, il direttore de “La civiltà cattolica”, gesuita. Non c’è più religione?

Lo stesso “Espresso” che deve criticare il papa, gesuita, in Africa - in un lungo servizio, anomalo per il giornale ma l’unico informativo del numero, di Mario Giro: troppo aperto su sessualità e diritti. L’africano non è conservatore, non avrebbe senso, che ha da conservare, ma ragiona.

“Il Pd resiste e apre a Fico: «Sì a premier M5S»” è l’apertura del “Sole 24 Ore”.  Cioè a fare da ruota di scorta, senza nemmeno il simulacro di un Conte? Resiste a chi, a se stesso, ai suoi iscritti? La resistenza come sacrificio – o tagliarseli.

“Gioggino v’offrimo l’occasione de du’ Piddì ar posto de uno”, è invece Zingaretti di Massimo Bucchi su “la Repubblica”, conciso ma molto più preciso del fluviale editoriale di Scalfari, che pure se ne intende.

Si apre la stagione (calcistica) del tiro al braccio? Non potendo tirare in porta, è un rigore assicurato – si è visto subito a Firenze. In base ai nuovi regolamenti degli arbitri, uno non sa più dove mettere le braccia. Gli arbitri, come tutti quelli che giudicano, non hanno senno?

Macron ringrazia Conte per il ruolo sulla Libia. Per aver silurato l’ambasciatore Perrone, come da lui richiesto, e aver aperto Tripoli al criminale di guerra Haftar? C’è in questa Europa molto di marcio – ma forse Conte si è espresso male in francese.

“Conte, altre legnate a Salvini”, apre “la Repubblica” trionfale domenica. Per fare un favore a Salvini? Dopo aver governato per un anno e mezzo, quasi, presidente del consiglio italiano, grazie a Salvini.

L’intronizzazione-beatificazione di Conte è il fatto più strano di questa crisi politica. Si scrivono i giornali come se la memoria fosse quotidiana. Chi era Conte, chi è?
Oppure, rivedendo gli eventi, il governo con il Pd era in cantiere da un paio di mesi, dal ritorno di Renzi e i no di Conte a Salvini, con appoggio di vescovi: un asse democristiano in senso proprio. 

“Zingarate e dimaialate” titola Feltri il suo “Libero”. Un titolo, si sarebbe detto una volta, forte. Ora non il peggiore: in rete ce n’è per tutti – è l’agognato free for all del liberismo.

Sempre a torso nudo fra una consultazione al Quirinale e l’altra, Salvini esibisce da qualche mese il Tau biblico e francescano, la piccola croce a forma di T: sarà per caso un terziario francescano? L’umiltà i francescani la applicavano col bastone.
O propone la fine del Mondo? Il Tau ne è il simbolo. 

Ursula von der Leyen non è ancora a Bruxelles ma già si programma e si vara un fondo sovrano da 100 miliardi per le imprese europee. Quando ce n’era bisogno per il resto d’Europa no, ma quando la Germania ne ha bisogno tutto si fa a Bruxelles.

“Conte? Fece passare leggi incostituzionali”, Luigi Zanda, senatore Pd. E Mattarella le ha promulgate? E nessun giudice ha obiettato (posto la questione)? E Conte sarà il presidente del consiglio Grillo-Renzi?
Si parla in politica tanto per parlare – non c’è politica senza polemica?

Le collezioni sparite del Sud

“Un documentato esempio di committenza siciliana”, è il sottotitolo. Una testimonianza indiretta della non emarginazione, e anzi centralità, di Messina, della Sicilia, e del Sud in genere (la famiglia Ruffo è calabrese) ancora nel Seicento.
I Ruffo di Calabria, cioè di Scilla, e i Ruffo di Bagnara, quelli del cardinale sanfedista, furono eminenti collezionisti d’arte nel Sei-Settecento. Di raccolte soprattutto di quadri, di qualità. Disperse poi senza traccia nell’Ottocento per via dei terremoti, delle necessità familiari, e del carsismo della storia - i Ruffo legittimisti subirono un radicale ridimensionamento con l’unità. La cosa resta ignota, come le storie di altre grandi famiglie della regione, i Carafa, i Sanseverino, ma fu corposa.
Non che le cose non si sappiano. Qualche anno fa Ferdinando Ruffo ha tratto affascinanti tracce da una rapida “consultazione dell’imponente documentazione della famiglia, conservata all’Archivio Storico di Napoli, e di quella affidata al Sistema Bibliotecario Telematico di Bovalino”. Ma la cura non è molta, questa è un’eccezione.
Don Antonio Ruffo di Bagnara, di cui in questa corrispondenza, principe di Scaletta, sposato in Sicilia e in certo modo nell’isola adottato, fu committente tra gli altri di Rembrandt e Artemisia Gentileschi. Della quale fu pure “protettore negli ultimi e difficili anni di vita”. Nonché collezionista ricercato di Rubens, Breugel, Mattia Preti, Poussin, Borgognone, Salvator Rosa, Guercino. Il cardinale Tommaso, sempre del ramo di Bagnara, zio del cardinale sanfedista Fabrizio, fu committente appassionato tra Ferrara e Ravenna, legato da stretto rapporto di amicizia con Vivaldi.
I Ruffo di Calabria lasciarono a Scilla una collezione di oltre 1.500 tele. Con opere di Raffaello, Tiziano, Veronese, Tintoretto, Rubens, Guido Reni, Mattia Preti, Luca Giordano, Orazio Gentileschi. La collezione fu avviata tra il Sei e il Settecento dal principe Tiberio. O così è da arguire, poiché non si ha documentazione del suo avvio, mentre il lascito di Tiberio al figlio Guglielmo è dettagliato. Tiberio lasciava 650 tele. Alla morte di Guglielmo, nel 1748, la collezione era salita a 1.500 tele.
Federica Petralia, Le lettere di Guercino a don Antonio Ruffo, free online

lunedì 26 agosto 2019

L’Europa è nata anglosassone

L’“Europa” porta l’Iran al G 7. La stessa “Europa” non vuole la Russia al G 7, “piuttosto l’Ucraina”. Sembrano facezie, ma è quanto l’“Europa” ha voluto e fatto al vertice di Parigi. Un’Europa ridotta al francese Macron e al polacco Tusk, gli artefici delle due “strategie”, gli altri hanno taciuto.
La facezia di Tusk si commenta da sola. Quanto all’Iran, sembra strano, ma la Francia è talmente piena di sé da pensare di mettersi gli ayatollah nel sacco con un posto a tavola. Sembra incredibile, ma la Francia è fatta così, da Sarkozy a Hollande e Macron – soprattutto cieca sul coté Grande Oriente, ora puntato tutto sull’islam, dalla Libia all’Arabia Saudita e all’Iran (mettere assieme Iran e Arabia Saudita?). Non per altro, per qualche pozzo a Total, in Iran come, con le bombe, in Libia, la grandeur è miserabile.
Ma, poi, quando si riflette, è così: l’Europa non deve molto alla Francia e alla Polonia, se non molte pene – e alla Germania, per intendersi, che pure si invoca quale Stato leader dell’Unione. L’Europa si è creata, nella prima e nella seconda guerra mondiale, per l’impegno, con molti costi, della Gran Bretagna e degli Stati Uniti.

Secondi pensieri - 393

zeulig


Determinismo – Il Battaglia e il Petit Robert lo registrano ai primi dell’Ottocento. Viene come evoluzione, più che del meccanicismo di d’Holbach, del fatalismo di Diderot. Di un po’ tutto Diderot, di cui la summa in “Jacques il fatalista” – è la costante delle tante divagazioni. Jacques ama citare “il suo capitano”, il quale diceva che tutto ciò che ci succede di bene e di male quaggiù è scritto lassù”, e che è inutile porsi domande e fare propositi per l’avvenire, l’uomo non ne è in alcun modo padroneUn “eroe”, specchio dell’autore, che professa costante il fatalismo: l’uomo è un anello di una catena di cause necessarie e ignote, rinchiuso in un avvenire insieme indeterminato e a lui imprevedibile. 
C’è più di una faglia nella libertà dell’illuminismo.

Genere – Diderot, certamente femminista, benché a suo modo, nel saggio “Sulle donne” e nella narrativa, nello stesso saggio vuole una differenziazione netta: “Ho visto l’amore, la gelosia, la superstizione, la collera portati nelle donne a un punto che l’uomo non ha mai provato” – oggi probabilmente avrebbe ribaltato l’osservazione, in costanza di femminicidi, ma avrebbe abbandonato la differenziazione?  
Sempre delle donne, sempre Diderot sostiene nello stesso saggio: “Esse hanno conservato l’amor proprio e l’interesse personale con tutta l’energia della natura; e…., più civilizzate di noi all’esterno, sono rimaste delle vere selvagge all’interno, tutte machiavelliche, dal più al meno”. Col solito abuso di Machiavelli, ma l’illuminismo era fatto in un certo modo.

Laicità -  “La laicità assoluta opprime la fede”, argomenta Charlea Taylor, l’autore del “Disagio della modernità”, a proposito di una legge del Québec che proibisce ai dipendenti pubblici  di indossare al lavoro simboli che possano identificarne la religione. Certamente, ogni assoluto opprime. Ma la “laicità assoluta” opprima anzitutto la laicità. Che non è una fatto di centri di potere o logge.

Meritocrazia – Se ne celebrano ancora i guasti, come cardine della società liberale. Ora anche in una con la selettività politica cinese, del partito Comunista al potere, a opera di Daniel A.Bell, “Il modello Cina. Meritocrazia politica e limiti della democrazia”. Mentre il modello è sotto esame negli Stati Uniti, che lo hanno imposto, e presenta molte crepe.
Del modello cinese, avendo esso alimentato la crescita economica mondiale degli ultimi trent’anni, si tende a trascurare il nodo principale: il regime di assolutismo politico. Se ne elogia l’elasticità. Fino all’assunto di Bell, che la politica tempera costruttivamente l’imprenditorialità e la managerialità, e che queste sono controllate e selezionate politicamente, dal Pcc. La democrazia ne soffre, sembra dire Bell, ma fin di bene, per una maggiore produttività e anche democrazia sociale.
Non è così. Un regime monocratico e anzi dittatoriale non ha precedenti nella storia dei mercati, dei  se non negli antichi imperi a.C., che peraltro non erano mercati ma feudi. E non ha in sé la stabilità che la democrazia pur vagando assicura – l’elasticità. Ma non è questo il punto – la Cina è un “problema” ben più grosso che la meritocrazia.
Il punto – in merito – è che la meritocrazia è selettiva. Senza controindicazioni, né paletti.  

Progresso – La globalizzazione dell’economia ne mette a dura prova la freccia, con l’impoverimento dell’area ricca e progressiva del mondo, l’Occidente, prometeica, della razionalità costruttrice, dell’accumulo indeterminato-abile. L’entrata dell’Occidente, che ne è l’anima, nella spirale dell’impoverimento, dei figli che stanno peggio e molto peggio dei padri, e senza prospettive possibili di rilancio o ripresa,ne mina il presupposto: che l’applicazione e la buona volontà tengano il progresso in tensione, come una freccia che va dritta senza soste né deviazioni. La globalizzazione è un progetto – e un diritto . concepito e applicato nella stessa area del progresso che ora ne soffre i danni.    

Riti – Sono paganesimo? Si moltiplica nella chiesa cattolica nella sua vestizione protestante, dal concilio Vaticano Secondo, e più col papato Bergoglio, l’insofferenza verso i riti, bollati di paganesimo – e presto, è da supporre, per le immagini, dipinti o statue. Ma cos’altro resta alla chiesa, di propriamente cattolico, se non la ritualità, una forma d’immaginazione per tutti? Altrimenti si può essere cristiani in pace a casa propria, al massimo in una comunità spoglia, giusto qualche sedia per i più deboli.
Cancellare la ritualità significa in realtà cancellare la religione. Non il colloquio dell’io col suo Dio, ma il fatto religioso. Tribale o comunitario, perfino identitario, tutto il peggio che se ne possa pensare, e tuttavia l’unica religione. La teologia e la preghiera non hanno bisogno di chiese – di sacerdoti. 

Vocabolario – Evolve col tempo,come ogni cosa, ma si arricchisce o si impoverisce? Si direbbe che si arricchisce, non può che arricchirsi – l’accumulo, di esperienze (memoria), arti,segni, è fondamento della psiche animale. Ma leggendo testi classici, appena ottocenteschi, in edizione per le scuole si ha il sospetto di una sommatoria tra perdite e acquisti non sicuramente positiva, tanto sorprendenti sono le note esplicative di parole che si penserebbero di uso comune: magistrale (“da magistrato, giudice che decide, o da maestro, che insegna”), gioviale (“che respira la gioia di vivere - letteralmente: nato sotto il segno di Giove, segno di bontà e di gaiezza”), scale degradate (“rovinate, demolite”), incantevole (“che trasporta l’anima”), fittizia (“artificiale, finta”), gutturale (“che viene dalla gola, rauco”), l’apparenza della sensibilità (“che sembrava esprimere un sentimento”), avversione (“sentimento di repulsione, di ostilità”), etc. A parte i problemi di cura editoriale (chi non sa “gioviale sa “i segni”?), c’è una evidente semplificazione dell’espressione. Si può pensare che il linguaggio – il vocabolario – proceda per ispessimenti e semplificazioni, riduzioni.  

zeulig@antiit.eu

Il giallo del come

Conan Doyle non approvava: “Non vi sono racconti più raffinati di questi, ma viste le loro implicazioni li trovo pericolosi. Il criminale non dovrebbe mai essere l’eroe”. Ma al pubblico il ladro gentiluomo piaceva e il cognato E.W.Hornung, marito di una sorella dell’autore di Sherlock Holmes e suo compagno di chiacchiere e svaghi, ne sfornò molti nel dodicennio tra il 1898 e il 1909, prima d’infermarsi – più un romanzo e due commedie. La società edoardiana – post-vittoriana – voleva incanaglirsi, e lo faceva con un campione insuperato di cricket, che snobba il cricket per rubare, di notte, agli amici, quelli di cui ha frequentato le case. “Mio caro Bunny”, spiega Raffles al suo dottor Watson, complice, testimone e narratore, nel racconto intitolato appunto “Gentlemen e giocatori”, “per fare il criminale con una buona percentuale d’impunità devi solo avere una un’attività visibilmente parallela”.
Non una grande morale del male, ma racconti del genere victorian villainies, racconti a sensazione. In realtà di piccolo furfanterie, di cui la società (post)-vittoriana era golosa, perché la consolidava nella buona opinione di se stessa. Si leggono come tecnica del furto con destrezza, ogni racconto ne ha una particolare. Altro non c’è, gli stessi Raffles e Bunny sono indistinti. In una Londra pittoresca, la stessa di Conan Doyle. Il giallo del “come” invece che del “chi”.
Raffles, nell’era del cricket, come l’albergo coloniale di Singapore allora appena inaugurato, 1887. Dal nome del fondatore della città, sir Thomas Stamford Raffles, vice-governatore delle Indie olandesi, poi di Bencoleen a Sumatra. Fondatore, oltre che di Singapore, della Malesia.
Ernest W. Hornung, Raffles. Ladro gentiluomo, CasaSirio, pp. 230 € 14

domenica 25 agosto 2019

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (401)

Giuseppe Leuzzi

Un ponte Morandi collega il centro di Catanzaro, 300 metri di altezza, con la “Strada dei due Mari, l’istmo Lamezia-Squillace, con una campata centrale ad arco che ha una luce di 230 m.. Alquanto ardito. E già in là con gli anni, ne ha 58.  Ma nessuno se ne preoccupa: il Sud ha fiducia nell’Italia.

Nelle tre serie professioniste di basket in questa stagione settanta atleti sono siciliani o calabresi. Il Sud è cresciuto.

Il duello Merckx-Gimondi era tema di discussione naturalmente anche al Sud, parliamo di cinquant’anni fa, quando si parlava di ciclìsmo probabilmente più che della Juventus oggi, pro e contro. Di discussione pubblica, al bar o sul marciapiedi in ombra. Ma la prevalenza era schiacciante per Merckx – “come lui nessuno”, per forza, eleganza, etc.. Siamo per il più forte, altri fattori non ci emozionano, essere Davide, essere italiano, essere sfortunato (un ciclista che corre negli anni di Merckx…)

Roberto Napoletano tampina sul “Quotidiano del Sud” da lui fondato le magagne del Nord: opere incompiute, sprechi, false eccellenze e primati, malasanità, ruberie. Rovescia sul Nord i “sudismi\sadismi” di questa rubrica, l’uso del Nord di sparlare del Sud, comunque. Ma non persuade. Fissare su un giornale a stampa le manchevolezze del Nord lascia il tempo che trova. Oppure non convince Napoletano, che ha diretto a lungo “Il Sole 24 Ore”, il giornale di Milano, senza correzioni – non che le magagne non si vedessero – e ne è uscito male, sotto processo. Ma probabilmente dire male comune mezzo gaudio non porta a nulla: una buona predica vuole un buon pulpito.

I celti in Sicilia
“Il gallo-italico è il risultato della fusione del latino volgare con le lingue celtiche – germaniche e francesi”, dice oggi il giornale in una breve didascalia: “In Sicilia ci sono alcune comunità che lo parlano fin dai tempi del Medioevo: Nicosia, Sperlinga, Piazza Armerina, Aidone (Enna), San Fratello e Novara di Sicilia (Messina)”. Che tutti insieme fanno 50 mila abitanti, non pochi – i compagni di scuola di San Fratello a Messina veramente non lo parlavano, benché si giocasse e si chiacchierasse in dialetto, ma questo non vuol dire.
Il problema è che non se ne sa più di tanto: i celti in Sicilia? Il giornale, “la Repubblica-Palermo”, voleva belle foto del paese di Aidone, in provincia di Enna, s’è imbattuta nel gallo-italico, e non dice di più. L’Spl, il comitato per la Salvaguardia dei Patrimoni Linguistici, si occupa di altro, della linea alpina, o Rimini-La Spezia. La Treccani non ci fa caso. Wikipedia sveltamente riporta i celti in Sicilia ai Normanni: “La formazione di queste isole linguistiche alloglotte in Sicilia risale al periodo normanno, in cui gli Altavilla favorirono un processo di latinizzazione della Sicilia incoraggiando una politica d’immigrazione delle loro gentes, francese (normanni e provenzali) e dell’Italia settentrionale (detti lombardi ma in realtà prevalentemente piemontesi e liguri) con la concessione di terre e privilegi”. O anche per la sopravvivenza di usi linguistici longobardi – ma i Longobardi non furono in Sicilia.
Il Sud è senza storia. Della Magna Grecia si sa ma perché ha interessato altri, tedeschi, francesi.  

La Chiesa pagana
Se tra i portantini della statua, della Madonna o del santo, ci sono pregiudicati salta la processione. È successo ad Aquaro in Calabria per la processione di san Rocco. È successo in molti posti in Calabria, ma ad Aquaro l’interdizione ha colpito una devozione radicata ed estesa, ci sono anche famiglie di emigrati, in Canada e Australia, che tornano apposta per un voto a san Rocco – a san Rocco di Aquaro.
Il giornale dice che è successo in base alle “disposizioni del Questore e del Vescovo per evitare strumentalizzazioni”. Di chi? Degli ex carcerati? E poi non bastava dirlo prima? Se un ex carcerato non ha diritto di andare in chiesa, ci sarà pure in qualche legge, ma bisogna farlo sapere. La lista era peraltro stata comunicata alle Autorità per tempo, si potevano defalcare i nomi indigesti e poi fare la processione con nomi buoni.
La verità è che le processioni non piacciono. Ai vescovi di questo pontificato: “Sono paganesimo”, hanno detto e scritto. Prima hanno tirato fuori gli inchini ai mafiosi, per quanto incredibile e assurda scusa. Ora i portantini pregiudicati.
La questione non si può trattare laicamente – non si può sottrarre ai vescovi il magistero religioso. Ma un’obiezione è ovvia: cos’è paganesimo? Questi vescovi sono gente un po’ strana, perché a questo punto anche la messa è pagana. E il battesimo, il sacerdozio – se non è paganesimo il sacerdozio... I riti hanno un senso oppure, se sono pagani, lo sono tutti. Si può pensare la processione per come la si vive – la vive chi non è vescovo o carabiniere: un modo di ritrovarsi e un momento di raccoglimento, sia pure passeggiando e cantando invece che in ginocchio. Si incontrano dappertutto, anche fuori dalle chiese, persone molto devote, sinceramente, per bisogno emotivo o per pietà, che si segnano alle edicole, portano fiori, si inginocchiano: come dirle pagane, cioè nemiche? per quale vangelo? le edicole non sono paganesimo, e le statue?
Questi vescovi però un problema pongono: la pensano come i Carabinieri. Meglio fuffa che niente. Prendere i mafiosi no, nell’atto che delinquono. Farli signori del mondo, e anche delle processioni (a quando le messe?) sì. Allineati e coperti.

Al Senato, al dibattito sulle dimissioni di Conte, il senatore 5 Stelle Nicola Morra, presidente della Commissione parlamentare Antimafia, rimprovera in questi termini Salvini per lostentazione di simboli religiosi: “In terra di Calabria ostentare il rosario, votarsi alla Madonna, dove c'è il santuario cui la ‘ndrangheta ha deciso di consegnarsi, significa mandare messaggi”. 
Assurdo, che Polsi, a questo si riferiva il senatore, il santuario con maggiore continuità di culto in Europa, sia della ‘ndrangheta. Lo dicono i Carabinieri - lo dicevano, ora non più – ma non è un buon motivo per crederci. Un presidente dell’antimafia poi - l’antropologia e la storia ne sanno (molto) di più. È uno dei modi con cui le antimafie fanno più bene che male alle mafie, rendendole soprannaturali o quasi, e le loro vittime dei cretini che cantano in processione.
Ma Morra, come si vede, è in buona compagnia.

Il Sud buono è al Nord
Di ritorno dalla Polonia, dove è stato nel 2014 sulle tracce degli italiani austro-ungarici morti nella guerra del ’14-’18 in Galizia, Paolo Rumiz lascia “il sole” per trovare in Italia “freddo, miseria, marciume di nubi” - “Come cavalli che dormono in piedi”, 151: “Il mondo sembrava capovolto per imperscrutabili motivi, il Mediterraneo era emigrato a nord e il Baltico era sceso a sud”.
La geografia è mobile. È anch’essa mentale, psicologica. Alla Polonia evidentemente, seppure verso i Carpazi, riesce di essere solare e cristallina, l’Adriatico è invece grigiore, il Sud non riesce ad avere lo stimolo produttivo, creativo, del Nord.
Di ritorno dalla Polonia, a Rumiz vengono rubati sul Freccarossa Napoli-Roma in prima classe gli appunti del viaggio in Galizia: “Rubati. Tutti. Collezione completa, impacchettata con un elastico giallo”. Per essersi assopito pochi minuti, dopo essersi assicurato che lo zainetto fosse sul vano portabagagli sopra la sua testa: “Dentro c’erano il computer, le chiavi di casa, e due mappe di viaggio fatte a mano, costate mesi di alvoro. Ma soprattutto le note, preziosissime, del viaggio in Polonia”. Un furto consueto, scopre quando infine scova alla stazione Termini il remoto ufficio della Polfer per la denuncia. Senza che la polizia faccia nulla per prevenirlo. O Trenitalia: “Nella valanga di prescrizioni e avvertimenti inutili che ti sono inflitti da Trenitalia, non c’è un «fate attenzione ai vostri bagagli»”.
Verrebbe da dire che il borseggio fa parte del Napoli-Roma, dell’offerta Trenitalia. Ma è solo l’abitudine al sopruso. Si dice degli arabi che sono apatici e rasseganti. E delle polizie italiane?
Mentre fa la denuncia allo stanco agente di Polizia, a Rumiz viene in mente l’attraversamento dei Carpazi “di notte, su un vecchio treno malfamato di emigranti e zingari – un treno così povero che aveva il nomignolo di «Foame», cioè fame – senza essere rapinato, e anzi, con una compagnia di donne, adulti e bambini che protessero il mio sonno e condivisero il cibo con me”.

leuzzi@antiit.eu