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sabato 17 novembre 2018

Problemi di base bancari - 456

spock

Non bisogna parlare male delle banche, ma perché rubano?

E imbrogliano?

Meglio il dentista che la banca?

Perché le banche sono tanto inefficienti?

O non lo fanno apposta?

Perché le banche hanno sempre ragione?

E perche pagano i giornalisti – poco?

spock@antiit.eu

In viaggio sullo Stretto

Racconti stanziali piuttosto, di vite di paese immobile. Minime anche e bisognose: sono per lo più racconti di durezze e perfino di fame. Di ragazzi scalzi, uomini piegati sulla zappa. E adulti servi della gleba. Che mangiano pane asciutto, e fave con i vermi. Un mondo asftittico – ripetitivo chiuso: non c’è bene, non c’è luce, i poveri non si amano, non amano. Alle falde joniche dell’Aspromonte – che di suo è un mondo di luce - negli anni prima della guerra e subito dopo. Come in un film di Abel Ferrara, di luci come ombre. Che non è vero, ma è quello che si vuole, perché si vende, che si  vuole sentire raccontare: le “anime nere” sono invenzione mercantile, giacché e finché si vendono. Sulla scia dell’Alvaro di “Gente in Aspromonte”, negli anni del neo realismo, con dediche a Vittorini e Bilenchi.
Racconti vivi benché scontati, perché Strati ha capacità di osservazione e padronanza della rappresentazione ancora sorprendenti, quando esce dalla “linea”. Col gusto della narrazione. Come in “Gianni Palaia di Melissa”, che i fatti di Melissa (l’occupazione delle terre nel crotonese, represse dai Carabinieri che tiravano ad altezza d’uomo – “i poveri arricchiti diventano carogne”) evoca nella vita quotidiana degli emigrati in Svizzera, isolati nel disprezzo. O nel racconto che dà il titolo alla raccolta, la mezzora sul traghetto dello stretto di Messina, viaggio quotidiano nel dopoguerra di tanti studenti calabresi come l’autore, una commedia dai mille risvolti. Il viaggio a Reggio del piccolo vaccaro di Bianco, duecento pagine, “Avventure in città”, sfida il modello picaresco: ogni minima cosa, e tutto vi è minimo, è memorabile.   

Saverio Strati, Gente in viaggio


venerdì 16 novembre 2018

Cronache dell’altro mondo 15


Alexandra Ocasio Cortez, la grande novità con cui il partito Democratico, che sarebbe negli Stati Uniti il partito della sinistra, pensa di sconfiggere Trump, arringa le folle in vesti attillatissime, e tacco dodici – non fa la mossa.
Non c’è praticamente elezione in America che non sia contestata, tra riconteggi, brogli, anche se più spesso supposti, intimidazioni.
I distretti “rossi” sono quelli a maggioranza repubblicana, i “blu” – colore berlusconiano - quelli democratici.
Un “supertifone” ha colpito il 25 ottobre le isole Tinian e Saipan nelle Marianne Settentrionali, il più violento su suolo americano dal 1935, con danni gravi per “decine di migliaia” di americani. Ma non  se ne è saputo niente fino a lunedì.
Gli incendi sono difficili da domare, in California e altrove, perché i pompieri sono quasi ovunque privatizzati. Chi più ha soldi più ha pompieri. Per il servizio pubblico si ricorre ai carcerati,
Americani e americane di buona volontà hanno organizzato una marcia di alcune migliaia di honduregni e salvadoregni fino al Texas, duemilacinquecento km., a piedi, in odio a Trump. Un  pellegrinaggio al rovescio.. 

Napoli, o la regola delle non regole

Un abruzzese, che ha studiato a Milano, ma è storico emerito del Regno di Napoli, curatore con Villani della monografia “La Campania” della Storia Einaudi delle Regioni italiane dopo l’unità, propone un personalissimo “Napoli” come un’avvisaglia e uno scongiuro, che la città si perpetui. Perché Napoli, come con tutti, compresi i napoletani che scrivono, lo sconcerta più che rassicurarlo. Ma la rassicurazione è semmai nella sua eccezionalità: se Napoli ha durato e dura malgrado se stessa, beh, allora questo è solo un modo di essere e non di perdersi.
Si dice che Napoli è città senza regole, ma questa è una regola: qui non ci sono regole – il conducente nella direzione giusta su una strada a senso unico tiene presente che qualcuno prima o poi verrà in senso contrario.
Si celia. Parlando di Napoli si finisce per celiare, e questo invece è male.
Paolo Macry, Napoli. Nostalgia di domani, pp. 236, ill. € 15

giovedì 15 novembre 2018

Stupidario informativo


L’Italia fanalino di coda in Europa per l’uso di internet (Gr 1) – l’Italia ha il più alto numero di cellulari pro capite.

L’Italia al 46mo posto, su 180, per libertà d’informazione (Reporter senza frontiere).
Gli Stati Uniti sono al 45mo.

L’Italia è al 51mo posto fra le economie mondiali per la possibiltià di fare imprese (Banca Mondiale). È molto più facile in Georgia.

L’Italia è paese dove si vive peggio (Ocse, Indagine sulla qualità della vita).

L’Italia ha il record dei Neet, i giovani che a 25 anni non studiano e non lavorano, il 25 per cento (Eurostat).

Chi vive vicino all’acqua ha un 10 per cento di probabilità di esere più felice di chi non ci vive vicino (“The Atlantic”).

Giallo squallore

In una Barcellona fuori cliché,  imbruttita, sventrata per l’Olimpiade, e col “catalanismo” invadente nella toponomastica, indigesto al catalano autore, i barboni vengono uccisi. Argentini sfuggiti alla dittatura militare anni 1970. Vengono fatti fuori, benché inermi, e fuori tempo massimo, dai residui destrorsi del paese della pampa, e da quelli franchisti in Spagna, passati con le stesse funzioni nel regime democratico. Senza fini, senza nemmeno malanimo, per un  riflesso condizionato – il cattivo fa il cattivo.
Non incoraggiante, Vázquez Montalbán era propripo arrabbiato: il romanzo, pubblicato postumo, aveva lasciato inedito. Ma, seppure politicamente improbabile, ha molto ritmo. L’estrema caccia ai fuoriusciti si scatena quando in Spagna il giudice Garzon decide di perseguire gli argentini, anche dopo venti o più anni, se responsabili di persecuzioni contro cittadini spagnoli.     
Manuel Vázquez Montalbán, La bella di Buenos Aires, Feltrinelli, pp. 158  €7,50

mercoledì 14 novembre 2018

Il mondo com'è (359)

astolfo


Deterrenza - L’obbligo della “deterrenza”, di avere un armamento nucleare, completo di vettori missilistici, alla pari delle potenze avverse, ha reso le grandi potenze più esposte alle sfide minori e minime. La considerazione ricorre in Henry Kissinger, “Ordine mondiale”, al cap. ultimo, “Tecnologia, equilibrio e coscienza umana”, che trae una prima conclusione in questo senso: “La supremazia tecnologica si è rivoltata in impotenza geopolitica”. Ma era vera in passato, prima dell’armamento nucleare, quando in campo si fronteggiavano nemici di forza ineguale. Per esempio le potenze coloniali di fronte alle colonie. Che quasi ovunque si sono liberate sul campo, con le armi. È successo alla Francia in Indocina e in Algeria, e al Portogallo in Africa.
Sul piano delle grandi potenze, i casi che danno ragione a Kissinger sono: per l’Unione Sovietica l’Afghanistan, e forse la Cecenia, o la stessa Ucraina. Per gli Stati Uniti il Vietnam, l’Afghanistan e l’Iraq. Le risorse finanziarie e organizzative vengono concentrate sull’equilibrio nucleare, la guerra tradizionale è affrontata con meno preparazione e determinazione. Anche per un effetto psicologico: la potenza nucleare –la strapotenza – induce come un senso di superiorità imbattibile, mentre invece è vulnerabilissima, e mano di un uso dell’arma nucleare, che è invece impossibile..      

Trappola di Tucidide – Torna in uso per declinare-spiegare la prossima guerra, inevitabile: quella tra Stati Uniti e Cina. Che però non è in Tucidide, non ne è previsto il modello. Se non nella frase, cara a Graham Allison, lo storico che ha coniato la “trappola”: “
Allison è contestato negli Stati Uniti. A Harvard, dove insegnava, ha costituito con gli studenti un gruppo di lavoro sulla “trappola di Tucidide”, che si è incaricato di metterne in rilievo l’occorrenza nei fatti di maggior rilievo della storia europea. Sui risultati di questo gruppo di lavoro Allison ha pubblicato un grosso volume. Ma la “trappola” intende in agguato nel rapporto con la Cina. Come da tempo viene spiegando, con precisione in un editoriale sul “New York Times” il 6 giugno 2013, quando il presidente cinese Xi arrivava in visita da Obama: “Detto semplicemente, possono Stati Uniti e Cina sfuggire alla Trappola di Tucidide? In 11 casi su 15 dal 1500 in cui una potenza emergente ha sfidato quella al potere, l’esito è stato guerra. Possono Obama e Xi sfidare con successo questi precedenti? Oltre 2000 anni fa Tucidide, il generale e storico ateniese, diede una brillante sintesi sulla causa della Guerra del Peloponneso quando identificò non una ma due variabili di casi di questo tipo. Con la famosa frase: “Fu l’ascesa di Atene e la paura che questa provocò a Sparta che rese la guerra inevitabile”.
Storici accademici contestano a Allison che Tucidide si sia espresso così. La “trappola” non ci sarebbe nel testo greco originale dell’opera di Tucidide. Ernst Badian, altro storico di Harvard, e Donald Kagan, di Yale, spiegano che non c’è in Tucidide nessuna “trappola”. Fu Atene che fece la guerra, spiega Kagan in ben quattro volumi, e nion Sparta. Gli Spartani non volevano la guerra, meno che mai “preventiva”, non volevano cioè iniziarla. Erano gente del Sud, di campagna, usavano ferretti come moneta, si nutrivano di zuppe di fagioli, e passavano il tempo all’aria negli esercizi ginnici. Fu Corinto, rivale di Atene, che li persuase alla guerra. Che intrapresero contro il parere del loro stesso re, Archidamo. Una guerra di cui nessuno potrà dirsi vincitore. Sembrò esaurirsi con la peste a Atene, di cui fu vittima pure Pericle. Invece, morto Pericle, Atene tornò all’attacco, e perse – e gli storici americani non considerano l’argomento di Canfora: che Tucidide, ateniese in carriera ostracizzato, si vendicava un po’, con la sua storia, della patria perduta.
Il sottinteso del confronto tra accademici è che Allison è poco accademico e molto operativo, essendo stato in più occasioni consulente del Pentagono e delle agenzie di sicurezza.
I sinologi americani contestano l’argomento nel caso specifico, della guerra inevitabile tra Usa e Cina. Riconoscono che Allison ha fatto una presentazione corretta degli sviluppi della Cina in fatto di crescita economica, finanziaria, tecnologica, e anche di potenza militare, ma contestano che la Cina sia indirizzata al confronto con gli Stati Uniti, invece che alla collaborazione, quale ha sempre praticato dacché, circa trent’anni fa, con la presidenza di Deng Hsiaoping, si è aperta ai mercati internazionali. Il sottinteso è che la Cina è un gigante dai piedi d’argilla, giacché si può già dire una potenza economica, tale anzi da diventare la prima al mondo a metà secolo, ma su una situazione politica instabile, mentre quella militare è perfino debole. Un regime comunista che trova difficoltà a evolvere dalla stato di dittatura. E una serie di prove militari finite, se non male, poco dignitosamente. A opera della forza militare che ha tentato di ergersi con incaute manovre al livello della dominante partitica - un confronto non dichiarato ma percepibile a Pechino.
Nel 1995, due anni prima della morte di Deng, che nomn voleva nessun atto di ostilità nei confronti degli Stati Uniti, la Marina cinese occupò un isolotto filippino, Mischief Reef. Ne  2012 ne ha occupato un altro, Shenandoah Shoal. Minacciando la creazione di basi missilistiche e sottomarine negli isolotti occupati. Che però non lo consentono. Lo Stato maggiore cinese ha inoltre proclamato nel mare Cinese Meridionale un Air Defence Identification Zone, uno spazio aereo cinese, che comprende anche un’isola coreana, e un gruppo di isolotti giapponesi. Con l’unico effetto, finora, di mettere in allarme Giappone, Corea del Sud, Vietnam, e ogni altro vicino fino all’India, rilanciandone i piani di armamento.
La Cina avrebbe problemi da risolvere più che opportunità di allargarsi, meno che mai di sfidare gli Usa. Si moltiplicano per questo gli sbarchi di cinesi in America. Lo stesso Xi ha mandato la figlia a studiare a Harvard. La sua prima moglie si è ritirata a vivere in Inghilterra. L’immobiliare americano prospera con gli acquisti di cinesi, non vecchi emigrati delal ristorazione e il piccolo commercio, di cittadini residenti in Cina.  

La “trappola di Tucidide” è diversamente spiegata dall’economista Benoît Coeuré, membro dell’esecutivo Bce, incaricato delle relazioni internazionali. Tucidide avanza la sua considerazione basandosi sui due concetti contrapposti di predominio. Uno legittima la leadership basandosi sula fiducia reciproca e su identità comuni – il sottinteso è il legame transatlantico che ha retto il dopoguerra. Questo il greco chiamava egemonia. L’altro è l’arché, che la leadership fondata sul comando e il controllo.
Jean-Claude Ferry, il fondatore dell’istituto europeista Breughel, membro del gruppo di economisti francesi e tedeschi che studiano la riforma delle istituzioni Ue, pone invece l’interrogativo: se il “nemico” è la Cina, perché Trump ha denunciato anche il trattato transatlantico e quello transpacifico, che escludevano l’uno la Russia e l’altro la Cina? Forse si tratta di una partita di giro, Trump vuole solo condizioni più vantaggiose per gli Stati Uniti.

astolfo@antiit.eu

Recessione (73)

L’economia ristagna, caso unico in Europa.

1.778.000 famiglie in povertà assoluta, 5 milioni e 58 mila persone, di cui un milione e duecentomila bambini, l’8.4 per cento della popolazione – nel 2005 era in queste condizioni il 3 per cento (Maurizio Franzini, presidente Istat).

L’incidenza della povertà assoluta è maggiore al Sud, 10,3 per cento delle famiglie. Ma è sopra il 5 per cento anche al Centro (5,1) e al Nord (5,4).

Quattro milioni di italiani rinunciano alle cure mediche per motivi economici. Soprattutto nelle fasce più alte di età, di pensionati al minimo (Maurizio Franzini).

539 mila italiani poveri non si sono permessi nel 2017 nessun medicinale (Fondazione Banco Farmaceutico).

Tredici milioni, pur non essendo nella fascia della povertà hanno rinunciato a qualche accertamento medico per risparmiate (id.).

Molti “deflussi di portafoglio” si segnalano dai paesi emergenti e da alcuni paesi industrializzati (leggi: l’Italia), cioè fughe di capitali – “Rassegna trimestrale” della Bri, la “banca delle banche”.

Il pil si è contratto in Germania nel terzo trimestre. Effetto di una riduzione dei consumi interni e delle minori importazioni della Cina, soprattutto di automobili.

L’economia mondiale rallenta il tasso di crescita, esposta a “nuovi shock negativi” – “World Economic Outlook” del Fondo monetario.

“La prossima recessione” è la copertina dell’“Economist” di metà ottobre.

L’inferno del kamikaze


“Una macchina ci aspettava alle porte di Gand”. Forse in un’epoca remota, quando le città erano cintate e avevano porte. Ma lo stesso la sensazione è claustrofobica, benché l’azione si sposti tra Bruxelles, Parigi, Mons, Anversa, Gand e altrove – la Gand del francofono Khadra è del resto Gent, il francese si fa raro in Belgio, “piccola patria” fiamminga.
Khalil è un giovane kamikaze islamico. Un ragazzo belga di genitori marocchini che ha deciso di uccidersi per uccidere persone, il più possibile. Nelle metropolitane,  allo stadio, davanti alle scuole, all’orario di uscita. Non nemici di guerra, gente qualunque. Siccome racconta la sua formazione e la sua vita quotidiana in attesa del “sacrificio” non deve essersi immolato. Ma racconta bene una vita non vita, di accorgimenti, paure, isolamento, il suo paradiso promesso è un inferno. Giustificandosi con l’essere stato uno senza padre – il terrorista è uno senza padre. Poi, quando il terrorismo colpisce  negli affetti, tutto cambia, il paradiso può attendere.
Ma il suo racconto non è così volgare, Khadra ritorna al suo meglio, la storia montando con arte. La suspense c’è tutta, benché si sappia che il kamikaze non si è fatto esplodere. La sua vita miserabile. Le amicizie incrollabili – è un romanzo dell’amicizia, maschile. La persuasività dei santoni islamici. La condizione dell’immigrato, a Mohlenbeck come a Belleville, nelle periferie-ghetto delle capitali. Senza eccedere in lagna. Una parte delle famiglie immigrate è integrata, figli laureati, ottime occupazioni, alloggi dignitosi. Una parte è di figli scioperati – non per colpa loro, certo. Qui manca il padre, la famiglia. Un po’ di maniera c’è.
Khadra, scrittore binazionale, algerino e francese, insegue onesto fantasmi arabi, non si sottrae, in Iraq (“Le sirene di Baghdad”), in Palestina (“L’attentato”), in Afghanistan (“Le rondini di Kabul”), con cognizione di causa e con verve. Del terrorismo islamico ha avuto esperienza diretta in Algeria, dove gli imam per la prima volta hanno esercitato, contro altri algerini, il loro potere di suggestione.  Da ufficiale superiore dell’esercito in azioni anti-guerriglia islamica. In una delle quali si confrontò anche con un amico di gioventù, e di collegio militare, poi giornalista e capo del Gie, il braccio armato del fondamentalismo islamico, come racconta nel selfie “L’écrivain”. Da qui il senso forte dell’amicizia, la sola luce in queste cupe pagine.
Qui il terrorismo non rende credibile, un padre non basta, la ricerca di un padre – è una cultura che sbatte, contro il suo narcisismo. E il narratore, kamikaze mancato nelle stragi di Parigi, allo Stade de France per la partita tutto esaurito Francia-Germania, e al Bataclan, ha già “portato a termine” tre “commissioni”, tre attentati, non è uno molto sensibile per 250 pagine. Gli unici personaggi non di maniera sono le donne: le mamme, le sorelle. E gli amici. Ma il plot corre, i dialoghi, le azioni - Khadra è miglior narratore di azione che di storie di formazione, alle quali indulgeva da qualche tempo.
Yazmina Khadra, Khalil, Sellerio, pp. 252 € 16

martedì 13 novembre 2018

Trump a tutto business


Trump dispettoso anche a Parigi, alla commemorazione della vittoria, specie con Macron e con Merkel, non è una novità, per quanto sgradevole. Lo era stato con Merkel, che si era recata a Washington a salutarlo dopo l’elezione, con Macron più volte, al G 7 di Taormina, e in ogni occasione. Per un motivo che peraltro lui dichiara: “Non pagano abbastanza. Non per la difesa, che invece gli Stati Uniti pagano per loro”.
Il fatto c’è, e l’argomento di Trump è indiscutibile. L’Europa non paga le sue quote di spese per il mantenimento in efficienza dello spiegamento militare Nato. Mentre pretende di fare una difesa tutta sua. Con un piede nella Nato, cioè, senza pagare, e con un piede fuori, dove spendere molto. E questo dice la limitatezza europea, dei suoi attuali leader.
Dai dispetti Trump esenta esemplarmente l’Italia, e anche questo si spiega. Non per il comune populismo, come si pretende: esentava l’Italia, con elogi, anche con i governi Pd. L’Italia sarà in crisi economica e politica, ma fa fede ai suoi impegni atlantici, in armamenti (l’F.35) e in spiegamento di forze, ed è sempre tra i “volenterosi” all’appello di Washington. Un caso esemplare di lettura o accettazione di un’alleanza.
Il problema Trump è che dà rilievo solo al fatto economico nelle relazioni esterne. Confermando la primissima impressione che questo sito aveva avuto della sua presidenza: denunciare tutti gli accordi in essere, sul clima, col Nord America, con la Ue, con la Cina, con l’Iran, per spuntare condizioni migliori. Lo dichiara anche, da dealmaker, quale è stato e si vuole. Quanto pagano gli Stati Uniti e quanto ricevono, questo il suo criterio di politica estera.
Con l’Europa il problema potrebbe essere duplice. Mentre con Canada e Messico, con la Cina, e con l’Iran, è impegnato e attivo, con l’Europa Trump sembra, più che esigente, distratto. E questo non si sa se è un bene o un male. Anche perché Trump, benché personaggio anomalo, si inserisce in una dinamica di lungo periodo ben americana – già Obama, per quanto beneducato, era distratto. 

Problemi di base ecologici - 455

spock


È consigliabile la bici per inspirare più polveri e più fumi?

Anche il monopattino?

E chi compra l’hybrid e va a benzina?

Si bruciano discariche e termovalorizzatori per fare più fumo?

Un segnale ai marziani?

Perché la California brucia d’inverno, non sarà Trump che le dà fuoco?

O è la fine del mondo – ma la fine arriva col fuoco o con l’acqua?


spock@antiit.eu

In memoria dei mafiosi

Le “vite” di Giuseppe Genco Russo, Michele Navarra, Luciano Leggio, i Greco, i La Barbera, Tommaso Buscetta, Rosario Mancino, Mariano Licari, Salvatore Zizzo, Vincenzo Di Carlo. Chi sono, che avranno fatto? Bisogna stropicciarsi gli occhi per ricordare, o capire: sono mafiosi, siciliani, di Palermo e dintorni. Illustrati da una Commissione parlamentare antimafia. Senza quattro quarti ma con molti omicidi e efferatezze a sostegno.
È il primo libro che magnifica la mafia, 1971. Pubblicato dagli Editori Riuniti, casa editrice allora del Pci, è la relazione al Parlamento della prima Commissione antimafia. Girolamo Li Causi nell’introduzione, il primo segretario del Pci in Sicilia, e la premessa alla relazione spiegano la pubblicazione “non tanto per illustrare le gesta delittuose dell’uno o dell’altro esponente”, quanto “per cogliere i motivi di quelle gesta”, l’ambiente, le carenze, le responsabilità ataviche delle “gesta”. Ma è quello che il volume fa, illustrare: Navarra, Genco Russo, Leggio, Buscetta, i Greco, questi Greco venivano anche sui “familiari”, i settimanali tipo “Oggi”, “Gente”, sono personaggi che non si ricorderebbero se non fossero stati scritti qui.
Un libro d’oro di assassini per lo più, e nient’altro.  Se non fossero stati lasciati a lievitare invece che perseguiti subito. Senza disegno sociale o politico, che disegno, e senza attenuanti o disagi ambientali – che poi sarebbero razziali: il Veneto era più povero della Sicilia negli anni 1950. 
Commissione parlamentare antimafia, I boss della mafia


lunedì 12 novembre 2018

Quando l’Italia respingeva, con morti

Rimpatri di massa e respingimenti, ora non più possibili nemmeno a Salvini, furono la prima risposta italiana alle immigrazioni di massa, allora di albanesi. Il primo rimpatrio di massa si effettuò per lo sbarco più spettacolare. Del mercantile albanese “Vlora”, che, sequestrato a Valona da uomini armati, dovette caricarsi all’inverosimile di albanesi, 17 mila la prima conta, 20 mila la seconda, allo sbarco, e fece rotta su Brindisi. Dove l’ingresso in porto fu rifiutato dalla locale Capitaneria.
La foto del “Vlora” coperto di esseri umani fece il giro del mondo, e al mercantile fu allora consentito l’approdo a Bari, per le pessime condizioni igieniche a bordo e per il rischio di naufragio. I 17 mila furono rinchiusi nello stadio, e sfamati dall’alto con gli elicotteri. Finché l’operazione rimpatrio non fu pronta: un paio di jeans, una maglietta, 50 mila lire in contanti ognuno, e circa 20 mila albanesi, più di quanti erano arrivati col “Vlora”, furono rimpatriati in tre giorni con un ponte aereo impressionante, di cargo militari e aerei Alitalia, e di mezzi della Marina.
Fu l’ultimo momento di gloria per l’Italia in Germania – il rimpatrio con 50 mila lire. Era l’agosto del 1991. Era presidente del consiglio Andreotti, ministro dell’Interno Scotti, capo della Polizia, e ideatore del rimpatrio, Vincenzo Parisi. Furono rimpatriati tutti gli albanesi sottomano, eccetto 1.500, per i quali era aperta la pratica di rifugiato politico.
L’operazione fu ripetuta, in dimensioni non così gigantesche ma significative, in condizioni giuridicamente sovraesposte e censurabili, sei anni dopo, sempre in agosto, presidente del consiglio Prodi, ministro dell’Interno Napolitano. A marzo ne erano arrivati 10 mila, ma 7 mila, già irreperibili, si faticò a ritrovarli qua do il rimpatrio forzoso infine fu deciso.
Intanto, a fine marzo, c’era stato lo speronamento di una motovedetta albanese, la Katër i Radës, “quattro in rada”, da parte della corvetta Sibilla della Marina militare, nel tentativo di impedirne l’approdo sulla costa italiana. I morti erano stati 105-108. L’imbarcazione albanese era piccola,  per nove membri di equipaggio, ma aveva caricato 142 persone.
Il blocco navale “Balena Bianca” deciso dal governo Prodi era stato dichiarato “illegale” dall’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, in quanto la materia immigrazione era regolata da un accordo bilaterale tra il governo italiano e quello albanese, dal quale non provenivano quindi iniziative ostili.


L’Africa è partita


È in Africa il mutamento più radicale dei primi venti anni del millennio. Nelle condizioni sociali e ed economiche, se non nella politica, che resta invece preda di dittature e corruzione. La popolazione cresce dagli 818 milioni del 2000 ai 1.350-1360 nel 2020. La popolazione inurbata raddoppia, da 280 a 560 milioni. Comincia a esserci un tessuto industriale, con 62 milioni di occupati. Con i servizi e la funzione pubblica, i salariati passano da 75 a 140 milioni. I paesi che avevano almeno due milioni di salariati erano otto a inizio millennio, sono ora diciotto.
Cresce il Nord Africa, che lavora molto per l’industria europea. La popolazione raddoppia al millesimo: da 173 a 246 milioni. I quattro maggiori paesi, Egitto, Sudan, Algeria e Marocco raddoppiano anche i salariati, da 24 a 44 milioni.  
L’Africa a Sud del Sahara, o Africa propriamente detta, senza cioè il Sud Africa e gli stati arabi o arabofoni del Nord, è quella che precede più spedita  – malgrado la politica. La popolazione passa da 590 milioni a un miliardo. Di 19 paesi africani che hanno almeno tre milioni di occupati nell’industria e i servizi, cioè nell’economia moderna e non di sussistenza, quindici sono sub-sahariani. Nella fascia alta dei salariati, paesi con più di 10 milioni di contrattualizzati, c’erano Egitto e Sud Africa a inizio millenno, ci sono ora anche Congo e Nigeria. Nella fascia immediatamente inferiore, tra cinque e dieci milioni di salariati, ci sono anche Kenya (sette milioni) e Etiopia (sei) – Ghana e Tanzania seguono con quattro milioni.

Staffetta svogliata

Otto scrittori. sedici puntate, due a testa. Con un primo giro di otto e un secondo giro - bisognava riempire le pagine in estate? Ida Bozzi ne trae un bilancio lusinghiero, facendo parlare gli otto autori fianco a fianco a Milano. E il settimanale si propone di riproporre l’esperimento.
Non c’è che da congratularsi, se la grande stampa fa lavorare gli scrittori, i romanzieri. Ma i lettori? Un romanzo così sciatto era difficile concepirlo. La staffetta si corre senza impegno, il testimone sempre lì lì per cadere.

Veronesi ha aperto il romanzo a puntate de “la Lettura il 23 luglio, e lo ha chiuso il 4 novembre cercando di mettere assieme i cocci. Che si erano sparpagliati. È inevitabile, in un romanzo di cui ogni capitolo è scritto da un autore diverso. Non  un lavoro di gruppo, ma a staffetta, ognuno scrivendo dopo l’altro. Continuando dove l’altro ha finito ma non necessariamente. Per farlo bisognerebbe leggere quello che gli autori precedenti hanno scritto. Ma non lo fa. Fatica? Voglia di originalità? Invidia? Ogni puntata un racconto a modino, ma ognuno indipendente.
Forse gli scrittori italiani non si leggono, non tra di loro. Dice che si tenevano in contatto, con chat, whatsapp e quant’altro, ma forse di malavoglia. Gli otto sono narratori di nome: Avallone, Ciabatti, Covacich, De Giovanni, Fabio Genovesi, Missiroli, Trevi, Veronesi. Ma non  rendono. Forse erano svogliati, o già in vacanza, anche loro. Forse la tela moraviana che Veronesi ha intessuto al primo capitolo era un po’ stinta. Due famiglie romane, una ricca una di onesti lavoratori, un po’ di corruzione, che fa tanto Roma, gli amori dei figli, il lavoro che non si trova, l’inevitabile coming out, e un finale che lascia il tempo che trova, ricchi e poveri seguono le loro strade separate. Non c’è altro nel mezzo.
Forse è colpa di Roma, che non dice più alla narrazione - neanche al cinema, malgrado le celebrate bellezze. Chi altri ambienterebbe un romanzo a Roma, a parte i fasti spenti della banda della Magliana. Nemmeno le ossa della Nunziatura hanno risvegliato un minimo di interesse. Lo stesso Manzini col suo romanissimo vice-questore, lo deve spedire lontano. 
Forse è la formula che non va, a parte la curiosità - la “pasqualite” di Arbore: vediamo come va a finire. Fu non memorabile nel 1931 il primo esperimento di scrittura collettiva, fra i membri del londinese The Detection Club, “The floating Admiral”, pur annoverando contributi di Agatha Christie, Chesterston, Dorothy Sayers. La riedizione è caduta nel nulla. Si ristampa invece il volumetto “Continua tu”, con cui minimum fax esordiva nel 1994, a cura di Pascale e Piccolo. Ma è diverso: scrittori di gran nome, Cerami, Fruttero & Lucentini, La Capria, Maraini, Nievo, Ravera, Starnone e Tabucchi propongono un incipit che poi ognuno è libero di elaborare a casa sua. Una sorta di tema in classe per scuole di scrittura. Della scrittura alla portata di tutti, di cui non si sa se compiacersi o dolersi.
“La Lettura”, Un romanzo italiano

domenica 11 novembre 2018

Letture - 364

letterautore


Dante - Poeta ermetico. Il primo, ben prima di Ungaretti, e certo il migliore. Enigmatico, prima che apodittico. E apodittico spesso per via di enigmi. A ognuno la sua verità?

È sapiente, e lo sa. Tra i sapienti che salva nel castello del Limbo, Aristotele, Socrate e Platone da una parte, e i grandi poeti Omero, Virgilio, Orazio, Ovidio, Lucano, viene accolto da poeta “sesto tra cotanto senno”.

Eracliteo, pre-galileiano. Che la creazione fa coincidere col moto.
Il movimento come caratteristica specifica della divinità viene dal misticismo medievale: l’azione di Dio è muovere, e il movimento crea. Ma l’effetto in Dante è fisico e metafisico.

Realista? “La più grande finzione della Divina Commedia è che non c’è finzione” – Charles Singleton, il dantista americano.

Anticipatore di Einstein, della sua “visione” della 3-sfera. Carlo Rovelli, dopo Patapievici (“Gli occhi di Beatrice”) e il matematico americano Mark Peterson (1979), lo vuole anticipatore di Einstein. Non della relatività generale ma di una parte di essa, quella della 3-sfera, o ipersfera - la forma di Dio e del suo governo. In un saggio pubblicato sul “Sole 24 Ore” domenica 17 ottobre 2010, ricostruisce le analogie, e rimanda alla matematica di Peterson. La terra è una “sfera” ma “i matematici, precisi”, spiega Rovelli, dicono la “topologia”, cioè la “forma intrinseca” della terra, una due-sfera: “«due» perché sulla terra si può camminare in due direzioni principali nord-sud o est-ovest”. Se invece ci avventuriamo nell’universo con l’astronave, dove andremo a finire? Non al bordo dell’universo, né probabilmente all’infinito. Einstein ha ipotizzato che si possa fare anche nell’universo un giro come sulla terra, tornando al punto di partenza: “Questo è ciò che avviene se l’universo è una tre-sfera”.
Ma è un po’ il Medio Evo che è eisteiniano, si direbbe, leggendo Rovelli. Che trova
v già in Aristotele lo spazio come “struttura della relazione tra le cose”. Nel “Tesoretto” di Brunetto Latini “l’idea che la divinità risieda “oltre” il bordo dell’universo aristotelico. E nella rappresentazioni medievali l’immagine di Dio “come un punto di luce circondato da sfere di angeli”. Nella sua Firenze, inoltre, trovava in costruzione, mentre la lasciava, la cupola del Battistero, opera di grande richiamo, dove alla sommità c’è un punto luce suggestivo.
Mark A. Peterson, “Dante and the 3-Spehre”, “The Americam Journal of Physics”, pp. 1031-1035, gennaio 1979, fa una lettura matematica delle tre sfere di Dante. Tre letture: “Descriviamo”, dice nella sinossi iniziale, “tre metodi diversi di visualizzare l’«universo chiuso» S3”, doe S3 sta per la 3-sfera, “e segnaliamo il linguaggio della ‘Divina Commedia’ di Dante che suggerisce come egli visualizzasse l’universo alla stessa maniera, rendendo il suo universo topologicamente S3”. Su due certezze: “L’universo di Dante è esplicitamente non-euclideo”, mentre “la preferenza di Einstein per la cosmologia sferica è ben nota”.

Intellettuale – È caduto in discredito – cessata la funzione egemonica alla quale si pretendeva destinato da Gramsci – come quello che pretende di sapere quello che non sa. Philip Roth ne faceva l’epicedio già vent’anni fa, alla fine di “Pastorale americana”: “Questi profondi pensatori erano le sole persone di cui non poteva soffrire la presenza a lungo, queste persone che non avevano mai fabbricato nulla né avevano visto fabbricare nulla, che non sapevano come le cose fossero fatte  o come una fabbrica lavora, che, a parte la casa o una macchina, non avevano mai venduto nulla e non sapevano come vendere alcunché, che non avevano mai assunto un lavoratore, licenziato un lavoratore, addestrato un lavoratore, mai stati tosati da un lavoratore – gente che non sapeva nulla delle complicazioni o dei rischi di avviare un affare o gestire una fabbrica ma che tuttavia immaginavano di sapere tutto quanto è giusto sapere. Tutta quella coscienza, tutto quell’introspettivo introfularsi in ogni piega e crepa di un’anima erano repellenti, contro ogni senso della vita che conosceva”.
È scomparso senza residui. E, curiosamente, senza nostalgie, nessuno ne parla. 

Machiavelli – La lettura (condanna) che ne fa l’illuminismo ne dice la ristrettezza mentale, dell’illuminismo. È il filo di Horkheimer, “Gli inizi della filosofia borghese”. La lettura di Machiavelli avendo limitato al solo “Principe”, e del “Principe” al cap. VIII, finendo per farne un difensore della tirannia, lui che era repubblicano, e un castigatore della giustizia e dell’umanità. Il “Principe” è tutt’altro, i “Discorsi sulla prima deca di Tito Livio” pure, dichiaratamente, e la “Storia di Firenze”.

Omero –Tifa per i troiani. Il poeta dei poeti greci. Si capisce Virgilio – e la decisione di Augusto di discenderne.

Scorreggia – È la parola tabù per eccellenza nei media e nella scrittura, non più il “cazzo” che Zavattini sdoganò alla radio già molti decenni fa – ora in uso frequente anche alle scrittrici, insieme con i “coglioni”, a partire da Lucia Berlin. Da quando, cinque secoli fa, dopo Rabelais e l’Aretino, anche alla letteratura furono messe le mutandine. Lo usa Paul Auster alla prima pagina del “Diario d’inverno” sei anni fa. Il diario della vecchiaia – a 64 anni. Forse per dare subito il segno dell’incontinenza. Celebrando  “piaceri di mangiare e bere, di sdraiarsi nudo nel bagno caldo, di grattarsi dove prude, di starnutire e scorreggiare….”.

Scrivere – Si scrive “per una qualche ferita dei primissimi anni”, si dice ancora Auster in “Diario d’inverno”, “(perché altrimenti avresti speso tutta la tua vita adulta a sanguinare parole su una pagina?)”. Non è un divertimento – sempre meglio che lavorare?

Siti – Google è versatile, si sa, ingegnosissimo, riesce a ricostituire quello che cerchiamo anche attraverso la più distratta digitazione, da dialettici. Anche Amazon – perfino amazon.it. Al contrario dei siti commerciali italiani di prodotti culturali, Ibs, lafeltrinelli, basta una virgola sbagliata e non ci capiscono nulla. 


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Se l’ignoranza della legge è la scusa


Il giudice Ranazzi va negli annali per avere statuito infine che se uno ignora la legge non è colpevole. Una prima  mondiale, storica. Fa piacere per la sindaca di Roma Raggi che così è stata assolta, ma la giustizia non  tocca il fondo perché non ce l’ha. Anche a non considerare la certezza che i compagni di partito di Raggi avevano della sua assoluzione. In cambio, si era detto, dell’accelerazione del divieto di prescrizione. Pettegolezzi.
Il giudice Ranazzi comunque è andato oltre: non solo ha assolto la sindaca, ma ha rivoluzionato il diritto. Da Craxi e fino a Berlusconi i politici “non potevano non sapere”, erano cioè condannati “oggettivamente”. Ranazzi invece assolve la sindaca “soggettivamente”: è una brava donna. È sempre giustizia politica. La negazione della giustizia.
La prescrizione ai giudici italiani, ai quali piace atteggiarsi a boia, di lunghe esecuzioni, lunghissime, naturalmente non va giù. È uno dei fondamenti della legalità, ma ai giudici sta sul gozzo e quindi va abolita. Grillo pronto obbedisce, lui è per gli spettacoli in piazza. Senza considerare, questo giudice non finisce  di stupire, che la sindaca ha liberato dalla tutela dei due Marra. Ai quali lei doveva le informazioni contro il sindaco Marino (la Panda rossa, gli scontrini fiscali) che le hanno permesso di crescere in consiglio comunale, nel suo partito, e nelle cronache romane. Non li aveva promossi per altro, per riconoscenza. Una bfrava dona. Ranazzi è un liberatore.

Caduta poetica dell’America


La caduta dell’America, oltre che tema periodico dell pax americana, è titolo di Allen Ginsberg, un poeta. Dunque si ripubblica perché il ciclo storico si vuole con Trump alla rovina – la terza o quarta in mezzo secolo. Forse anche perché è il monumento che Ginsberg voleva eretto a se stesso. Ma niente si salva – la rilettura della rilettura, un anno e mezzo fa su questo sito, non aiuta: i cinquemila versi scorrono come acqua.
È un bel libro, impreziosito dall’originale. È anche una memoria grata, degli anni roventi, come bisogna dire, che preparavano il 1968 – che negli Usa fu il 1967: vagabondaggi mitici, sul mitico Volkswagen, tra mitiche sbronze, mitiche fumate, parlando al mitico registratore Uher, regalato dal  mitico Bob Dylan. Un rifacimento in versi di Kerouac, “Sulla strada”, 1957, e un anticipo di “Easy Rider”, di Peter Fonda e Dennis Hopper, 1969, ma stinto.
Di caduta, fine, fallimento, scoppio inducono a parlare forse i sensi di colpa puritani. Forse, in politica o diplomazia, un furbo essere-non essere. Ma è genere che non emoziona. A parte il fatto che non si vede dove, né come. Inerti pure il sesso e il Budda, temi più propriamente ginsberghiani, altrove vivi.
Si stenta a fare l’estratto di Ginsberg, chi è stato e cosa ha fatto. Per lui in senso inverso a Pasolini, che ne fu presto la copia, di vita e di programma: di Pasolini si presume troppo, di Ginsberg niente. Senza peraltro “stringere” niente, o poco più, neppure nel caso di Pasolini dietro il culto. Mentre entrambi ci guadagnerebbero a essere riportati fuori dall’eloquenza, alla vena esistenziale, un po’ ribelle un po’ decadente, psicologicamente più confacente. Per la poesia civile andrebbero misurati su Pound, cui entrambi si rifanno. Giusto per capire perché. Perché non funziona – quella di Pound, per dirne una, è “lavorata” enormemente.
Allen Ginsberg, La caduta dell’America, con orig. a fronte, Il Saggiatore, pp. 544 € 29