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sabato 18 agosto 2018

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (372)

Giuseppe Leuzzi


Pubblicità sulle guide alle Regioni di “la Repubblica”: “Tutto il sapore della Sicilia anche lontani da casa. Consegniamo in tutta Italia, penisola compresa”.
Affascinante. Anche perché non è voluto, non è un gioco da script-writer pubblicitario, di parole.
Ma allora la vera Italia è la Sicilia?

Le prefetture dichiarano i Comuni mafiosi. E li affidano per diciotto mesi a commissari prefettizi. Funzionari che così addoppiano lo stipendio. Un controsenso, e un conflitto d’interessi molto mafioso. Anche perché i funzionari prefettizi non sanno e non vogliono amministrare. – non  vogliono “responsabilità”.

Governare attraverso le Prefetture? Che sono incapaci. Compresa la Protezione Civile, che si limita a mandare allarmi indistinti, fra la pioggerellina di marzo e la bomba d’acqua. E  comunque non gliene frega nulla – la vostra pratica è sempre incompleta, solo gli amici la completano, e gli amici degli amici, e questo è tutto. Sarà qui la causa dello sprofondo Sud, che si governa con le Prefetture.

Quando i Cutolo e i Riina attaccano il potere, beccano sempre. Non è vero che la mafia è invincibile, il potere sa essere inflessibile. È diverso quando si accontentano di tenere sotto scacco gli onesti lavoratori e i non violenti.
La mafia è anzitutto un problema di giustizia, sociale.

Il governo del Sud
Il Sud li ha plebiscitati, Lega e 5 Stelle, e loro hanno composto un governo del Sud: Conte, Di Maio, e Salvini - il capo della Lega è senatore della Calabria. Ma non una legge, non un programma o almeno un progetto, nemmeno un’idea, un’ideuzza tanto per tenere banco in tv, un contributo, un ponte, hanno in calendario per il Sud. Nemmeno nel famoso libro delle intenzioni, chiamato accordo di programma, o programma di accordo. E niente dopo, non ci pensano nemmeno. Hanno vinto le elezioni col voto del Sud e lo disprezzano - cosa può attendersi del resto un calabrese dal napoletano Di Maio?
Due dei tre, Di Maio e Salvini, ma anche Conte nel suo piccolo, parlano facondi, la facondia del Sud non gli manca. Ma allora anche l’inconcludenza. In questo sono veramente meridionali. 

Sudismi/sadismi
Si fanno le cronache dalle spiagge, come è l’uso nei mesi estivi. In tre giorni, tra giovedì e sabato uu.ss., il “Corriere della sera inneggia al boom di Milano, pulizia, movida, turisti. E bellezza, i ptrati spelacchiati del Ticino sono belli. A Capri dedica due pagine: “Manager violentata nella suite – stupro in un hotel a cinque stelle”, di una donna francese da parte del suo ospite, e un servizio “Il lento declino dell’isola scintillante – I tropi visitatori e le soluzioni inadeguate”. A Roma l’ennesimo titolo “L’estate cafona dei turisti”. Autori, è vero, le firme locali delle cronache locali del quotidiano milanese, Napoli e Roma, Marco Demarco, Paolo Conti, Claudia Catuogono. Sotto la direzione di Luciano Fontana, di Frosinone.
Il Sud è proprio brutto, O il Nord?
Le Tremiti si salvano perché conservano “lo spirito di Dalla”. E ci si sta “come in una riunione di famiglia «benedetta» da padre Hakim, di Aleppo”. Mentre “Luxuria indaga sui femminielli confinati”.

Calabria
“Antropologicamente un calabrese e un arabo non li distingui”, è uno dei detti che immortaleranno D'Alema. Ma anche lui, però....


Matteo e Salvatore Aloe, ventenni, calabresi, hanno dieci anni fa l’idea di standardizzare la pizza, solo dieci specialità, condirla con ingredienti di stagione, annaffiarla con vini biodinamici e birre biologiche. Ora le pizzerie “Berberé” dei fratelli Aloe sono otto in Italia e due a Londra. Partendo da Castelmaggiore, Bologna, dove erano emigrati e hanno avuto l’idea. Sarà la Calabria che fa male ai calabresi.

Il Comune di Scilla è commissariato per mafia da marzo. Non per mafia, per la bis o triscuginanza che “condiziona” l’attività amministrativa. È un posto ameno d’estate, ma c’è immondizia dappertutto, in quantità sterminate. Ci sono macchine  dappertutto, anche in doppia fila sula Statale: difficile muoversi, anche a piedi. Non ci sono più feste, neanche per il patrono san Rocco l’altro ieri, né svaghi serali. E questa è la faccia della legalità.

Si moltiplicano le denunce penali contro i provvedimenti amministrativi di scioglimento delle giunte comunali, per mafia o per dissesto. A Bagnara, a Palmi, a Siderno, centri consistenti del reggino calabrese. Ma come non detto, le prefetture marciano contro ogni criterio di opportunità e perfino legale.


Una diga sul torrente Menta, sul lato Sud dell’Aspromonte, in costruzione da una quarantina d’anni, è stata inaugurata almeno tre volte, dal presidente attuale Oliverio (Pd) nel 2016, dal suo predecessore Scopelliti (An-Forza Italia), e già da Agazio Loiero, al tempo dell’Ulivo. Quindi da una ventina d’anni. Ma l’acqua non è mai arrivata a Reggio Calabria. Con una politica di questo genere si capisce il sottosviluppo, e anche il dissesto.

Sciopero al porto di Gioia Tauro. Sciopero pesante, tre giorni. Il porto lavora poco, Msc, la società gestionaria, non intercetta più traffico. Sciopero riuscitissimo, “oltre il 70 per cento”, con l’operatività dello scalo quasi azzerata. Si scioperava il 14, 15 e 16 di agosto, i  tre giorni di festa,  con possibilità di vacanza-ponte di nove giorni prendendone due di ferie.

A Eranova, sobborgo di Gioia Tauro confinante con San Ferdinando, il luogo della tendopoli africana, il palasport in uso ai 250 ragazzi dell’area, per il basket e altre attività sportive, è depredato di notte delle luci: dieci plafoniere\lampade  sono state svitati o  strappate via, con 18 interruttori. Per un danno di circa 500 euro, e un valore di alcune  decine di euro. E non si può incolpare la tendopoli, gli immigrati non c’entrano.

Il vicino, tornato per Ferragosto, passa due giorni sotto il solleone a tagliare erbacce e rastrellare la spazzatura che si è accumulata nel giardinetto dietro casa. Ma poi le erbacce, e i cumuli di spazzatura, plastiche, bottiglie eccetera, non raccoglie, separati, da conferire alla raccolta differenziata, che qui funziona. Li spinge sulla scarpata.
È emigrato a Milano. Sempre Milano, come diceva Malaparte, butta la spazzatura di sotto.

Aperto dopo Pasqua, dopo complessa ristrutturazione, il palazzo Nieddu Del Rio Museo Nazionale di Locri, era chiuso per i ponti Liberazione-Primo Maggio, e tiene chiuso la settimana di Ferragosto, quando la popolazione si raddoppia, per il ritorno degli esondati e qualche turista. Mezzo chiuso: lunedì e martedì sono giorni di chiusura normali, mercoledì di Ferragosto è festa dell’Assunzione, giovedì è festa nazionale, venerdì apre solo la mattina.
Locri è il primo sito storico della Magna Grecia. Si capisce che molto tempo è passato da allora.

La Regione  Calabria vara un piano di promozione turistica da dieci milioni. È un record – la Calabria ne ha qualcuno. Ma non è il primo: ogni pochi anni, a ogni consiliatura regionale, la Regione Calabria vara un piano milionario di promozione turistica. A nessun effetto pratico, giusto la divulgazione di qualche foto. Dei Bronzi in genere, della marina  di Roseto Capo Spulico, e di un pino loricato silano.

La “Gazzetta del Sud” getta l’allarme ‘ndrangheta in chiave culinaria: “Sulle tavole i prodotti dop delle ‘ndrine”. Grande titolo, grandi foto, grandi dichiarazioni del solito Gratteri. Si tratta, pare, lo dice un pentito, che un caseificio di Casal di Principe abbia fornito le mozzarelle a “diversi ristoratori di Lamezia”, tra il 1999 e il 2000. 

Non amava la Calabria Corrado Alvaro. Che ci visse peraltro poco, fu presto in collegio lontano, e poi subito militare, a diciotto anni, e scrittore metropolitano. Non ci viaggiava, se non per rare necessità familiari, e a dispetto, non intratteneva rapporti, non la studiava. Ne scriveva, ma come di un luogo della memoria, senza tempo. Se non quello, mitizzato, della violenza. O immaginario degli affetti: accoglieva complice i compaesani che gli si imponevano a Roma, e non solo, si avverte, per obbedienza (memoria) familiare. Un luogo non luogo era per lui, in altro senso da quello sociologico odierno: un luogo immaginario, il luogo del padre. 

leuzzi@antiit.eu

L'ubiqua dissoluzione delle cose

Un divertimento. Verbale. Ubik, anglolatino per ubiquo, invasivo, è la scansione reclamistica di ogni capitolo: lo spray deodorante è Ubik, Ubik è “il modo migliore di chiedere una birra”, è Ubik “il caffè istantaneo doppia fragranza” - e sarà salvifico, unico rimedio la pubblicità. Schonheit von Vogelsang, il custode dei Diletti Fratelli ibernati, naturalmente in Svizzera, dove altro, è “bellezza del canto degli uccelli”. In un mondo popolato da precog, precognitivi ma non troppo, psi, telepati, e mille polizie. Molto americano, soprattutto le polizie, ma anche contemporaneo, perfino visionario. Si va sulla luna, e si ritorna. C’è già, 1966-69, internet, “macchina omeodiana”. C’è skype, macchine si muovono a pannelli solari, ci sono motori di ricerca, si ricerca digitando sigle.
Un divertimento sessantottesco. Liberato, da ogni schema di genere - prolisso, ma ancora lieve. Si ascolta la “Missa solemnis” di Beethoven, seguita dal “Requiem” di Verdi, versetto per versetto – ricordando, al culmine dell’azione, che Toscanini usava cantare alle esecuzioni con i cantanti. Fidel Castro è già “moneta obsoleta”, ora c’è Walt Disney. C’è il consumismo, scandito capitolo per capitolo dagli Ubik – “con del denaro che non vale niente si acquistano articoli che non valgono niente”.  
Ma non una parodia, tanto meno una satira. Una straordinaria capacità mimetica, divertita ma solo lievemente, sottotraccia. “Pat controlla il futuro. Ha questa luminosa possibilità perché lei è andata nel passato e lo ha cambiato”. Come fa lo storico - storica nell’occasione. La storica Pat però specifica: “Posso modificare il passato, ma non andare nel passato”, come si vorrebbe in un fantascientifico viaggio nel tempo. E c’è ancora uno sviluppo: Pat, la leggiadra ragazza diciassettenne che fa (rifà) la storia, è “l’unica a ricordare”. In mezzo a precog che solo “possono prevedere ma non possono modificare alcunché”, e possono prevedere l’esperienza passata.
Questa è una delle tante storie che Dick intreccia in in una sorta di carambola, quale sarà stata il primo Novecento senza le grandi guerre. L’alter ego Joe Chip scompare nel 1992 e si ritrova nell’America degli anni 1930. Si scruta il futuro perché il presente non è presentabile – non che il futuro sia rassicurante. Dick avrà negli anni più tardi una fase mistica, ma il senso religioso, il cristianesimo, il cattolicesimo, è “precognito” in lui – una sorta di Chesterston del secondo Novecento in California, nell’età e nel luogo della dissoluzione di ogni fede.   
Dick al suo meglio, nell’uso dell’arsenale linguistico e topologico della fantascienza per narrare se stesso – il Joe Chip squattrinato, solitario, disordinato e sporchetto, che però ha un talento, e si salverà, a dispetto di tutte, e anche di tutti – e l’epoca, disimpegnata e (ma) acquisitiva. In una ubiqua dissoluzione, se il mondo è delle cose.
Philip K. Dick, Ubik, Fanucci, pp. 229 € 9,90

venerdì 17 agosto 2018

Il governo del vieni avanti cretino

Le pensioni, si pensava fosse l’ultimo pensiero dell’affrettato governo ignoto. È invece il primo. Si pensava, avevano promesso nei loro accordi di governo, che avrebbero migliorato la legge Fornero, s’intendeva a favore dei pensionati o pensionandi, e invece no, li vogliono tassare di più. Sopra i 4.000 euro, ma dove si fermeranno?
Per attaccare un diritto quesito ci vuole una certa concezione del potere, e il disprezzo delle leggi. Quello che una volta si diceva fascismo, che però è morto - insieme con i si diceva, oggi non si dice niente, si abbozza. Questi lo fanno complimentandosi tra di loro, come una volta i comici alla vieni avanti cretino. O non saranno i giovanotti la quinta colonna del Portogallo, o della Germania, o della stessa Londra brexuscita, che concedono tasse ridotte a chi ci porta il reddito da tassare. In Italia, come sarà noto anche ai vice-premier analfabeti, paese della giustizia e la legge, solo i superricchi possono non pagare le tasse.
E procedono seriosi, prendendosi sul serio. Oggi vogliono togliere la concessione a Autostrade. Domani vogliono bloccare la Torino-Lione. Oppure no. Oppure ritardarla, perché no, comandano loro. Bloccherano, oppure non lo bloccheranno, l’approdo in Puglia del gasdotto dal’Azerbaigian – un gasdotto non fa danni. Insieme col giudice furbo Emiliano – questi statisti non solo soli, è vero.
E quando minacciano la Ue, la Germania?
Non rifare i ponti vecchi, quanto meno monitorarli, questo è lavoro di geometri, gente che suda, loro vogliono solo cacciare Autostrade e mettercene un’altra: sono o non sono ometti di potere? Non c’è mai stato nella storia un gruppo tanto avido. Di appalti soprattutto, e senza vergogna. Specie gli allievi del vaffanculista Grillo, che di fatto è uno che vuole gli appalti tutti per sé. 
Avevano promesso di rivedere la legge Fornero, perché punitiva. E invece ne vogliono una più punitiva. Perché piace ai giovani, dicono. Ai giovano come loro, che la sfangano senza lavorare. Chi lavora e ha trenta, quarant’anni, sa che sta pagando la metà del suo salario a imbecilli che non gliene faranno ritrovare nemmeno le briciole.
Straparlano di deficit e deficit\pil senza sapere cosa sono, palesemente. Promettono di abbassare le tasse e invece le aumentano e le moltiplicano. Sono riusciti a rendere razzisti gli italiani giovani – questo in effetti non è poco. Parlano di Russia, gli piace, ma non sanno l’atlante. Un po’ come parlano, straparlano, di infrastrutture, Tap, traforo, Ilva. Come a dire: appaltatori, venite a noi! Con la frase corta che buca la tv, così non sbagliano.
Parlano ogni giorno. Ogni giorno dicendo scemenze. Non hanno alcuna nozione dei rapporti di forza. Con un presidente del consiglio che sa le lingue, e poco più – dice che insegna il diritto.
Si direbbero, in una società organizzata, apprendisti stregoni. Ma qui si parla del governo dell’Italia.
Che, è vero, è stato votato da un italiano su due. Bisogna essere elitisti, ci rubano anche la democrazia?  

Problemi di base trumpiani - 440

spock


I capi della Cia possono accusare Trump di ogni turpitudine, Trump non può difendersi: è la democrazia delle spie?

I media possono criticare Trump, Trump non può criticare i media: dove sta scritto?

Si è di sinistra per avere la coda di paglia?

Perché essere costretti a difendere Trump?

Quando i russi occupavano Washington, sia pure virtualmente, la Cia che faceva?


E l’Fbi, la potente polizia americana?

Si fanno molti articoli in Italia ogni giorno sui giornali della intellighencija, contro Trump, dalle calzette alle donne e a Putin, e niente su Salvini e Di Maio: Salvini e Di Maio dicono cose più intelligenti di Trump?

Sono più rispettabili?

Anche le loro fidanzate youtubber e influencer?  

Non mancherà a Salvini il toupet – a Di Maio il colore?

spock@antiit.eu

La scoperta dell'economia globale

Nel 1970, quando ancora le multinazionali erano oggetto quasi sconosciuto, l’economista marxista franco-egiziano ora deceduto ne individuava i meccanismi economici, con puntiglio, in un’analisi chef a largo ricorso alla matematica, e quelli storici. I meccanismi di un’economia comunque interconnessa. Non c’era ancora la globalizzazione, la serie di accordi in sede Gatt e Wto, organizzazione mondiale del commercio, che hanno liberalizzato gli scambi. Ma c’era una divisione internazionale del lavoro, l’economia è una attività di vasi comunicanti, la creazione della ricchezza.
Sembra ovvio, certo che c’era. Su basi ricardiane e imperialistiche. Neo imperialistiche, in parallelo col neo capitalismo, ma non altrettanto ripulito – al Terzo mondo non era dato consumare, solo produrre a costi minimi, specie le materie prime, agricole e minerarie. In una ottica sempre di sfruttamento, incontestabile. Ma all’epoca la teoria del Terzo mondo lo diceva in via di sviluppo. Come una tappa iniziale di un processo che lo avrebbe arricchito. Amin, egiziano di Parigi, ha dovuto pubblicare la sua ricerca, che diventò subito un classico, un testo di riferimento, con l’Ifan di Dakar, in Senegal, il museo etnografico dell’Africa Nera. Dopo “L’accumulazione”, però, passerà alla Monthly Review Press, della rivista omonima della sinistra non irregimentata, e in Italia entrerà nella Pbe Einaudi.  
La conclusione però è presto perenta, con l’involuzione delle indipendenze africane: la liberazione delle periferie esige la creazione di “strutture nazionali autocentrate”. Ma resta vero che il “nazionalismo è tappa necessaria verso il socialismo”: bisogna prendere coscienza di sé.
Un testo di riferimento, ancora attuale: non è un cammino unico dello sviluppo.  C’è anche l’emigrazione: “L’apporto della forza lavoro di origine immigrata costituisce anche un trasferimento celato di valore dalla periferia verso il centro”. Il sottosviluppo si rileva\ rivela non dal reddito pro capite ma da una formazione sociale peculiare. Non è uno stadio dello sviluppo, è qualcosa di diverso, che non l’apparenta in alcun modo ad un stadio preliminare dei paesi sviluppati. Le peculiarità di questa formazione sociale sono: ineguaglianze settoriali e di produttività (formazione, ore\lavoro, impegno), disarticolazioni sociali, subordinazione.
Samir Amin, L’accumulazione su scala mondiale

Problemi di base internazionali - 439

spock


“I mea culpa della Troika: «Sulla Grecia troppi errori»”,  senza colpa per nessuno – eccetto i greci?

Hanno sbagliato in Grecia, lo ammettono, il Fmi e la Bce, ma non la Ue: l’Europa ha sempre ragione?

Trump vuole riequilibrare l’interscambio con Europa e Cina: ha torto o ha ragione?

Perché la Germania vuole esportare negli Usa e non importare dagli Usa?

Parlare male della Germania è peggio che parlare male di Garibaldi?

Trump dice ogni mattina quello che fa o farà, e per questo sconcerta i più - più di quanti sconcerta il suo avvento alla presidenza Usa: ma non volevamo svelati gli “arcana imperii”, con la openness?


spock@antiit.eu

Il Sud sempre più povero sotto il tallone tedesco


Non ci voleva molto per capirlo, ma Del Monaco è uno dei pochi, se non il solo, ad averlo detto un anno prima – il libro è uscito a ottobre del 2017. Denuncia l’afasia, se non l’inesistenza, del Pd e la crescita di Salvini, ancora Lega Nord (il cambiamento di etichetta è avvenuto nell’estate del 2017), “l’unica forza politica che battaglia contro l’austerità della Ue”.
Il volume è talmente impertinente che è impossibile riassumerlo. La sinistra imbelle è il primo tema, serva sciocca del capitale più cinico e meno previdente, distruttivo e non costruttivo. Poi l’Europa tedesca; un rosario sgradevole, ma preciso e documentato, di una serie di regolamentazioni europee capestro per alcuni paesi, prima l’Italia (Marcello Minenna ne fa la sintesi tecnica in poche pagine di introduzione). Quindi gli investimenti impossibili, o comunque sempre rinviati, da dieci anni, al Sud. La sinistra politica e il lavoro è l’esordio, sorprendente per una ricerca pubblicata da Ediesse, l’editrice della Cgil.
“ L’austerità è una combinazione di interessi particolari interagenti con l’ideologia neoliberista”, il cui effetto è la “colonizzazione tedesca del Sud Europa”. Alla definizione Del Monaco fa seguire un esempio che prende da Stiglitz, il Nobel per l’Economia: “Uno degli elementi dell’austerità della troika in Grecia è stato l’enorme problema del sistema sanitario pubblico, degli ospedali, grave al punto che le cure (i medicinali) non erano più accessibili, creando una situazione da Terzo mondo all’interno dell’Unione europea. Conseguenza di ciò è il fatto che diecimila medici, non vorrei sbagliarmi sul numero esatto, si sono trasferiti in Germania, e quindi la sanità tedesca è migliorata mentre quella tedesca è peggiorata”.    
Il Sud è”colonia tedesca” nel senso che è assoggettato alle politiche tedesche, benché infauste, e riconosciute per tali. Del Monaco si avvale di una introduzione di Marcello Minenna, già autore di un “La Moneta imcompiuta”, a proposito dell’euro (a sua volta prefato con abbondanza di dati da Romano Prodi), che ne traccia e quantifica le coordinate.  Il Sud è il Sud Europa, ma anche, di più, il Sud Italia. Sfiancato da venticinque anni ormai, dai primi vincoli euro nel 1992, d’investimenti pubblici zero, per infrastrutture, formazione e altro – le poche risorse spendibili vanno al Centro-Nord.
Una ricostruzione puntigliosa dei fatti-misfatti della Commissione Ue e dell’Ecofin. Quando si farà la storia di questa crisi, verità semplici emergeranno chiare, che oggi non si sa perché non si dicono – la storia è già scritta. Si prenda la crisi greca, esito non del bluff dei governi di Atene sui conti pubblici ma del  vendor financing: “La Germania”, spiega Romano Prodi qui citato, “ha implementato quella che in economia è nota come strategia di vendor financing. Fino al 2011 il sistema bancario tedesco aveva elargito enormi quantità di credito alle economie dei paesi periferici”, per comprare merci tedesche – “In parallelo”, continua Prodi, a proposito delle “straordinarie dimensioni del saldo netto positivo della Germania nella bilancia commerciale, export-import, “I paesi periferici avevano usato una considerevole parte dei finanziamenti  ricevuti per importare  i beni prodotti dalla manifattura tedesca”. Questo si chiama mercantilismo, ed è il contrario, odioso, della politica comunitaria. O la crisi italiana del debito, pagata a caro prezzo, almeno 60 miliardi, e non risolta. Per il Fiscal Compact, introdotto quasi di nascosto. O la famosa, ma non tanto evidentemente, licenza che si presero Francia e Germania nel 2003 e nel 2004, complice il governo Berlusconi, di sforare, allegramente e non di zero virgola, gli obblighi europei di bilancio. Spendettero e s’indebitarono come vollero, e quando la Commissione Ue di Prodi e Monti di necessità li mandò a processo per multarle, l’Ecofin, il consiglio dei ministri finanziari bloccò il procedimento, grazie alla complicità di Berlusconi e Tremonti.
Ogni atto o detto Ue in questi ultimi dieci anni, dalla crisi bancaria del 2007, è artefatto, quando non è una vera e propria trappola. A vantaggio degli interessi tedeschi, con i francesi al carro. 
Il Pd servo sciocco non poteva non liquefarsi
Quando si farà la storia si capirà perché il Pd non poteva non liquefarsi, il partito dei governi Napolitano: Monti, Letta, Renzi. “Esecutori volenterosi” della politica imperialista franco-tedesca. Tanta subalternità non paga. Il cafone meridionale non sa nulla dei trucchi bruxellesi, ma capisce.
La  seconda parte è un’arringa keynesiana in favore dell’investimento pubblico. Per il recupero o rifacimento delle infrastrutture, specialmente al Sud che ne è poco o punto dotato. 
“La questione meridionale oggi” è il sottotitolo, e prende la seconda metà del libro. Una analisi in dettaglio dei due cicli di “niente” per il Sud, negli anni 2007-2017, dall’inizio dell’austerità imposta all’Italia dalla Germania. Sotto il titolo “L’austerità come acceleratore del divario Nord-Sud”: “Ciò che rimane del ciclo di programmazione 2007-2013 è  il resto di niente”, lo stesso per il quinquennio successivo. Una storia di impegni d’investimento reiteratamente postdatati, da un ciclo all’altro, da un lustro all’altro. Si capisce che Renzi e Napolitano, il Pd, abbiano perso il Sud, tutto. Ma questo è incidentale, di poca importanza, rispetto al sottosviluppo del Sud stesso.
Andrea Del Monaco, Sud colonia tedesca, Ediesse pp. 320 € 15

Il mondo com'è (350)

astolfo


Appalti – Gli appalti pubblici si facevano, e si fanno, in base alle affiliazioni (contribuzioni) politiche. Non è si fatta l’Olimpiade a Roma perché i 5 Stelle non erano nel mazzo – tutto era stato già diviso. Mentre si vuole fare lo stadio della Roma e l’Olimpiade a Cortina perché i 5 Stelle hanno la loro quota. I grillini non sono pregiudizialmente contrari alle grandi opere, solo vogliono la loro quota: questo fra gli immobiliaristi e gli avvocati di affari lo sanno tutti. Si farà il tunnel della Torino-Lione, e il Tap in Puglia? Sì, se si rivedono le quote, includendo  i due partiti che fanno il governo. 
Per questo stesso motivo gli appalti danno luogo a contestazioni da parte degli appaltatori. Gli unici appalti filati lisci sono quelli del Mondiale 1990 – era nella mediazione la capacità manageriale di Montezemolo.

Berlinguer – Gestiva un’immobiliare. Una delle più grandi in Italia – nei suoi anni, quando non c’erano ancora i fondi immobiliari, sicuramente la più grande. Sicuramente la più grande per numeroi di immobili di proprietà. Benché li tenesse disseminati in gestione fiduciaria, a uomini di paglia: l’araldo della questione morale rubava sulle tasse. Per di più si faceva pagare su conti intestati su banche estere. E senza niente mettere a bilancio.
Questo a prescindere dal flusso costante di dollari e oro da Mosca, dal Pcus, il partito Comunista sovietico, a valere sulle casse statali, del popolo russo. Che si è protratto ben dopo la morte di Berlinguer, fino al 1991.

Mani Pulite – Nacque in parallelo con l’inchiesta sui fondi del Pcus che Cossiga, presidente della Repubblica, voleva che Falcone conducesse a Mosca, sulle carte scovate dai giudici russi. Abbattendosi sui partiti laici, e lasciando molte zone d’ombra sul Pci e su una parte consistente della Dc, andreottiani soprattutto. Di una proceduta bizzarra fa stato Carlo Nordio, all’epoca giudice a Venezia in”Una favola vuota” (ora in “Il viaggio di Falcone a Mosca”): “Quando, nel 1993, la Procura di Milano dispose la perquisizione della sede di Botteghe Oscure (cioè del Pci, n.d.r.), furono reperiti centinaia di fascicoli riferibili ad altrettanti immobili posseduti dal Pci, poi Pds. Tuttavia, non furono apposti i sigilli all’ingresso della stanza che li conteneva, o almeno non si trovarono quando, giorni dopo, si volle procedere all’acquisizione documentale. Era tutto sparito, restavano solo le tracce della polvere sugli scaffali”. Indagando a Venezia, dice il giudice veneziano, “qualcosa riuscimmo a ricostruire”. Questo qualcosa era “un’impressionante quantità di proprietà immobiliare, di valore incompatibile con i bilanci certificati del Pci-Pds”, Erano beni, dissero i dirigenti amministrativi del partito, “a intestazione fiduciaria”, cioè intestati a finti proprietari. Il senso? “Il Pci aveva accumulato una colossale fortuna, circa 1000 miliardi dell’epoca, senza iscriverla a bilancio e valendosi della tanto vituperata astuzia capitalistica di intestare a terzi beni propri per sottrarli al fisco e, quel che è peggio, alla curiosità degli avversari politici”. L’attivo immobiliare poi non bastò a “ripianare i colossali debiti di quell’elefantiaco apparato burocratico”, e si dovette vendere anche Botteghe Oscure.

Oro di Mosca – S’intende il finanziamento sovietico ai partiti e ai movimenti comunisti “fratelli” (filosovietici) in Occidente. Che in Italia si protrassero fino al 1991. Su di essi avrebbe dovuto indagare, su indicazione di Cossiga, sotto la copertura dei possibili legami tra la Nomenklatura sovietica e la mafia siciliana, Giovanni Falcone. Il Procuratore Generale russo Stepankov, che dopo il crollo del Pcus, il partito comunista sovietico, col golpe fallito di Ferragosto 1991, aveva aperto queste tracce d’indagine, aveva incontrato Falcone e Cossiga separatamente a Roma. Un viaggio d Falcone a Mosca era stato fissato per fine giugno 1992. Ma una settimana prima ci fu la strage di Capaci.
La missione italiana partì lo stesso, il 3 giugno 1992, capitanata dal Procuratore capo di Roma Giudiceandrea, con tre sostituti (Fanci Ionta, Luigi De Ficchy, Francesco Nitto Palma), due ufficiali di polizia giudiziaria,che faranno carriera nei servizi segreti, due colonnelli, Antonio Ragusa dei Carabinieri e Niccolò Pollari della Guardia di Finanza, e alcuni giornalisti. Tra questi Franco Coppola, il cronista giudiziario di “la Repubblica”. Coppola nelle corrispondenze diede per scontato che i rubli arrivassero anche alle cosche siciliane, a fini di riciclaggio. E denunciava due specie di reato: “I rubli arrivavano a società italiane che, gestite per conto del Pci, avevano rapporti commerciali con l’Urss e venivano accumulati come capitali in nero utilizzati dal partito”. Configurando “reati che superano la violazione della legge sul finanziamento pubblico dei partiti, per arrivare fino a illeciti tributari e a falsi in bilancio. Anche perché i conti sarebbero stati accreditati in Italia, ma su banche estere”. Lo stesso scriveva Marco Nese, inviato del “Corriere della sera”: “Ci sono anche illeciti tributari e falsi in bilancio”.
Ma dopo il viaggi non se ne parla più, nemmeno una riga. E due anni dopo la Procura di Roma archivia il procedimento. Niente più falsi in bilancio né evasione fiscale, niente di niente. Dei magistrati del 3 giugno a Mosca, Fancesco Nitto Palma, poi parlamentare di Berlusconi, negherà che Falcone dovesse recarsi in missione a Mosca – “non era neppure in programma”. Franco Ionta pure: “Ho incontrato sia a Mosca che a Roma il procuratore generale Stepankov senza che mai si sia parlato di Giovanni Falcone”. Un caso, non isolato, di damnatio memoriae – frequent tra  giudici come tra i pentiti. Stepankov invece ne ha parlato molto, in libri e saggi.
Il tema è ripreso da Bruno Vespa in “Storia d’Italia da Mussolini a Berlusconi”, pp. 337-8. Dove riferisce di un colloquio con Cossiga - intanto defunto – nel quale l’ex presidente dela,Repubblica conferma il viaggio di Falcone: Falcone voleva recarsi a Mosca, invece fu Stepankov che venne una prima volta in Italia. Andammo a prendere il caffè a piazza Navona”. Il solito Cossiga faceto spiega a Vespa: Stepankov “voleva capire dov’erano finiti i soldi esportati dai sovietici prima che Boris Eltsin sciogliesse il Pcus”, nei mesi successivi al fallito golpe del Pcus stesso – le 1.767 joint ventures finte con società occidentali approntate subito dopo il putsch, in dieci settimane o meno Attraverso intermediari di ogni genere: “Massimo D’Alema mi ha confermato che i sovietici allocarono questi fondi presso i conti dei partiti comunisti occidentali e di organizzazioni collaterali. Però ha aggiunto che, quando un uomo di finanza italiano, non comunista, andò a chiedergli di mettere a disposizione i conti del Pci in Italia e in Svizzera per versarvi i fondi del Pcus, lui gli rispose negativamente”.

Ottantanove – Fu molte cose, anche non rivoluzionarie, o molte rivoluzioni messe assieme, in un fascio, ex post, da Napoleone, lo stesso che l’aveva sotterrata definitivamente con i cannoni. La Rivoluzione fu episodica, si sa, e frammentata: mozioni confuse, assemblee vaganti, strane peripezie dei protagonisti, che sono tanti e nessuno, la violenza della plebe a Parigi, il silenzio del popolo in Francia, le restaurazioni. Ci furono semmai tante rivoluzioni, insieme e in successione. Napoleone ne fissò il nome, bello ma ambiguo.

Suicidio – Ce ne furono 1,746 eccellenti di personalità delle forze armate, del Kgb e del Pcus, il partito comunista sovietico, nei due mesi successivi al fallito golpe del Pcus “ortodosso” contro Gorabaciov a Ferragosto del 1991. Quasi tutti documentati con biglietti testamentari, da golpisti falliti. “Ho commesso un errore del tutto inatteso, pari a un crimine”, lasciò scritto Boris Karlovič Pugo, ex Kgb, ministro degli Interni da un anno, nominato da Gorbaciov. I golpisti non si ritenevamo tali, ma insorti, raddrizzatori della patria contro la deriva impressa al Pcus e all’Urss da Gorbaciov. Che sarà presto sostituito da Eltsin, post-Urss.
Negli stessi mesi un numero analogo di joint ventre, 1767,  fu aperto dalla stessa Nomenklatura con interessi occidentali, per rubare meglio, più al coperto, gli attivi dello Stato sovietico in dissoluzione. Le autorità russe – la Procura generale – sospettavano che “la fuga di capitali del Kgb e del Pcus in Occidente (fosse avvenuta ) in conti di partiti comunisti amici o in conti di società che avevano avuto benefici dall’Unione Sovietica”, disse nel 2004 alla commissione parlamentare Mitrokhin l’ex presidente della Repubblica Cossiga, cui il Procuratore russo Stepankov, nominato da Gorbaciov, si era rivolto  per collaborazione dopo che il ministero degli Esteri e la Procura di Roma non avevano risposto alla sua richiesta. Cossiga individuò Giovanni Falcone come interlocutore di Stepankov, e un viaggio di Falcone fu organizzato a questo fine a Mosca. In calendario per una settimana dopo la strage di Capaci.

astolfo@antiit.eu

C'era l'Italia prima della Magna Grecia

Dove sono sbarcati i primi greci, in quella che sarà la Magna Grecia, a Locri e dintorni, c’era già una civiltà sviluppata. Testimoniata da insediamenti di vario carattere – opicifi, fattorie, necropoli - individuati con una campagna di ricognizione minuziosa condotta a una équipe di studiosi e studenti della Scuola Normale di Pisa, coordinata da Gianfranco Adornato. La mostra aperta a Locri dieci giorni fa documenta, con apparati fotografici significativi, molti dei siti individuati.  
Lo scorso autunno squadre di ricercatori posti a una distanza di 5-10 metri l’uno dall’altro hanno scandagliato intensivamente, con vari strumenti, un’area-saggio di quattro kmq., tra i territori di Locri, Antonimina, Ciminà, Portigliola e Sant’Ilario allo Jonio, alla ricerca di “modalità e pratiche dell’insediamento rurale”. E la ricerca si è rivelata fruttuosa. Sono state individuate alcune decine di nuovi siti archeologici. E si ha la testimonianza di un territorio già attivo quando i greci sono arrivati.
I greci, s’intende, che vi si trasferivano da coloni. Perché alla marineria greca i territori dovevano essere noti da tempo come testimoniano reperti in terracotta precedenti la colonizzazione di Locri. C’è un continuum nel Mediterraneo, che comincia da prima della datazione storica di scuola. La storia della Magna Grecia da questo punto di vista va rivista: molte costruzioni e la toponomastica, sia a nord di Locri, da Sibari in su, sia sull’altro versante calabrese, quello tirrenico, di Taureana e di Medma-Rosarno, testimoniano di contatti fertili, forse anche di colonizzazione, con entità greche pre-elleniche, micenee.
Locri e il suo territorio, Museo Nazionale di palazzo Nieddu Del Rio, Locri

lunedì 13 agosto 2018

Secondi pensieri - 357

zeulig


Bellezza – È stata a lungo in Italia insegna del potere. Principi, cardinali, banchieri non investivano in eserciti e gente di mano, né in donne, benché ne usassero, o mignottini, ma in architetti, pittori e scultori. Non nella rendita urbana o l’industria, ma nell’arte. Sembravano dissipare, e invece accumulavano. La bellezza moltiplicata è il segno della continuità aristocratica, del potere come splendore. Erano produttivi? In un senso sì, della ricchezza immateriale che ha fatto sì che per secoli ogni italiano, anche nei villaggi sperduti tra i monti, sia cresciuto tra i segni della bellezza, una vergine, una naiade, un trionfo. Con effetti sicuramente alfabetizzanti, tra gli stessi pastori, di pecore.

L’Origine della disuguaglianza Rousseau conclude triste: “A che serve la bellezza dove non c’è amore?” È come dare l’ingegno, si risponde,  a chi non parla, l’astuzia a chi non traffica. Non c’è merce senza scambio, né significato, delle cose o delle persone. Ma l’amore lo stesso Rousseau aveva detto “passione terribile, che nel suo fervore sembra dover distruggere il genere umano che sarebbe destinato a conservare”. Né c’è accordo sulla bellezza. Che cos’è la bellezza? Choderlos de Laclos la vuole connaturata alle donne, e bella la donna fresca, grande, forte, una ragazza alta, cioè, dal carattere impetuoso, “un modo d’essere che fa sperare il godimento più delizioso”. Non molto. Per Heisenberg la bellezza è semplicità: l’appropriata conformità delle parti l’una all’altra e al tutto, un teorema tanto più è bello quanto più è semplice. Francis Bacon invece la bellezza vuole brutta: “Non c’è bellezza eccellente che non abbia qualche stranezza nella proporzione”. La bellezza è arte retorica, dunque, dice Hume.

Certezza – Chi ha ragione non ha fede, argomenta il cardinale decano dell’ultimo romanzo di Robert Harris, “Conclave”. È vecchio argomento. Ma non senza argomenti. Chi ha “la” ragione non ha bisogno della fede. Ma nello steso tempo è intollerante, gliene mancano i presupposti. Il personaggio del romanzo – cardinale decano durante l’elezione di un papa – premia il dubbio: “La certezza è nemica mortale della tolleranza…. La nostra fede è una cosa vivente proprio perché cammina mano nella mano col dubbio. Se esistesse solo la certezza e non ci fosse il dubbio, non ci sarebbe mistero e quindi nessun bisogno di fede”. E continua invitando alla preghiera perché “il Signore ci conceda un papa che dubiti”. Che sembra blasfemo, ma il primo peccato è quello di orgoglio.
La Didaché è semplice, la Dottrina dei Dodici Apostoli: due sono le vie, della vita e della morte, e la differenza è grande. La via della vita è netta: anzitutto amerai Dio che ti ha creato, poi il prossimo tuo come te stesso. Sapienza è ignorare il male.

Fede – La fede come l’amore richiede coraggio, temerarietà.

Individuo - L’individuo è la sua boria. Si può fare molta psicologia sulle persone effacées – miti, inermi, “incapaci”, retrattili – ma a valere da questa verità. Gli altri sono da curare, specie in epoca individualistica. L’individualismo non protegge l’individuo ma il più forte. Ne impone l’autorità come autorevolezza. Non ci sono tanti gregari, o considerati tali, quanti in epoca individualistica.
   
Non c’è niente di più crudele di una coscienza laica, la cui legge è il successo. L’individualismo, l’orgoglio intellettuale, non è della natura, è il demonio.

Il notabile disprezza la ricchezza perché è già arricchito Ma l’etica di chi si vuole unico e critico è la sua personale fortuna.
In Francia e in Italia, di cui questo individuo è figlio, ha prosperato appropriandosi dei beni ecclesiastici, talvolta da beghino.

Mafia – È un problema di ordine pubblico. Quando i Cutolo e i Riina attaccano il potere, beccano sempre, il potere sa essere inflessibile. È diverso quando si accontentano di tenere sotto scacco gli onesti lavoratori e i non violenti. La malavita è anzitutto un problema di giustizia, sociale.

Natura – Il catalogo della bellezza è limitato: occhi d’agata, denti d’avorio, labbra di rubino, capelli d’oro, collo di marmo. E tutto minerale.
Ogni amore è amore di una cosa, la moto, la bici, la macchina, un vestito, o il paesaggio e il chiaro di luna, in riva al mare, una notte di mezza stagione, limpida, in Africa, dov’è rossa, o a Sorrento, dov’è d’argento. Un corpo, uno sguardo. Le quali cose certo ci turbano, ma non per sempre, e non alterano. Si può disprezzare il cibo, gli americani lo fanno e ingrassano lo stesso, forse di più, riducendolo a per centi di calorie, vitamine, proteine, amminoacidi o che altro. Ma ognuno vuol bere un bicchiere di vino gustandolo invece che trangugiandolo. Non si può rifiutare la natura, in quanto è bellezza. Ma la natura può essere cattiva e anche nociva, non sempre se ne può fare un’arte, per esempio defecando, anche se si può farlo in sontuosi bagni, o regolarsi come Rabelais, con torche-culs d’occasione.
Già Omero spiega che la bellezza non è legata al possesso, solo ai sensi, la vista, l’olfatto, l’udito. Il possesso vero essendo non delle cose ma delle anime, cioè del corpo. La bellezza per questo resta intatta al diavolo e ai santi, o alle ninfe, il possesso è carico d’ignoto, è una sfida che si rinnova.

Passione - La passione è patire, non una bella cosa. È da Omero che la psicologia, umana e divina, ha coscienza di essere dominata da passioni irresistibili e inspiegate, in forma di possessione. Che ogni volta lasciano un segno, ed ecco le metamorfosi, l’ira di Achille, l’inganno di Ulisse.
Più forte e comune è la possessione in forma di amore. Ma né in Omero né dopo si spiega come a queste metamorfosi resti indenne chi le provoca, sia esso ninfa o diavolo. È il problema della bellezza, che molti trasforma, forse pure gli dei, e può restare inalterata, inalterabile.

Psefologia – È la branca della Scienza politica che si occupa dello studio e dell’analisi delle elezioni. Da psephos, ciottolo, lo strumento che i greci usavano per votare. La democrazia è pastorale e di villaggio. E poi?

Spontaneità – Nell’arte richiede somma cura. Nell’espressione è più spesso mostra di confusione.


zeulig@antiit.eu

Cent'anni di confusione


Trentadue insurrezioni. Tutte fallite. Diciassette figli, più o meno ignoti, o diciotto. Con molte  donne, dimenticate. Quattordici attentati subiti, settantatré imboscate, un precedente plotone d’esecuzione, la stricnina nel caffè. Nella guerra civile eterna in America latina. E ora il colonnello va all’esecuzione, la sua. Sembra una caricatura, esaurito il romanticismo latino. Delle vite confuse che popolano il subcontinente.
È voluta? È plausibile, considerando l’esperienza giovanile di Márquez a Roma (la stricnina del colonnello come quella di Pisciotta) e Parigi? E altre narrazioni del Nobel colombiano – specie “L’autunno del patriarca”, che si legge come una satira di Castro: il personaggio è memorabile, alla Rabelais. Altrimenti terribile.
Gabriel García Márquez, Cent’anni di solitudine

domenica 12 agosto 2018

Problemi di base - 438

spock


Meglio soli che nella rete?

Populismo non verrà da popolo?

Popolo è una cattiva parola?

Stare da parte delle minoranze è solo corretto e un dovere quasi civico: e delle minoranze quando si fanno maggioranza?

“È reprensibile la falsa modestia ostentata per non offendere il meno dotato” (Kant)?

Perché gli anti-Machiavelli sono machiavellici, da Federico II a Mitterrand, non contando i gesuiti?

Perché sono le donne, nella mistica, ad avere relazioni erotiche con la divinità e non gli uomini?


spock@antiit.eu

Falcone meglio morto che a Mosca


Il viaggio di Falcone a Mosca non ci fu. Era in calendario a fine maggio 1992, ma una settimana prima ci fu l’attentato di Capaci. Un attentato “militare”, il primo nella storia della mafia.
È l’ultimo dei misteri sull’“oro di Mosca”, il fiume di denaro, in dollari o lingotti d’oro, che il Pcus, il partito comunista sovietico, dispensò fino al 1991, fino alla fine, in Europa, dalla Finlandia all’Italia e al Portogallo, e in tutto il mondo, tramite un Fondo di assistenza internazionale. Questo conto speciale del Pcus era il n. 1 dei conti all’estero della Vnesheconombank, la banca sovietica del commercio estero.
Bigazzi, già autore con Valerio Riva vent’anni fa di un voluminoso”Oro da Mosca”, non ci torna su. Ma spiega in dettaglio che la materia interessava molto Falcone. Anche per le insistenze di Cossiga, il presidente della Repubblica – per le possibili connessioni con la “Gladio Rossa”, se non col terrorismo. E si chiede perché il dossier fornito dall’autorità giudiziaria russa alla Procura di Roma, retta allora da Ugo Giudiceandrea, e cioè la documentazione approntata per il viaggio di Falcone, sia rimasta lettera morta: “Dopo l’esplosione, con una rapidità che oggi lascia perplessi, tra Roma e Mosca le cose tornarono come prima”, cioè non tornarono.
Di suo, il giudice Stepankov, che fu l’ultimo Procuratore Generale a Mosca dell’era sovietica, e il primo della nuova Russia, poi allontanato per divergenze col presidente Eltsin, espone in dettaglio l’esito dell’inchiesta che allora condusse sull’uso delle casse dello Stato da parte del Pcus, per fini non istituzionali. Un’inchiesta che accertò molto. Anche se la fine dell’Urss, dopo il fallito golpe del Pcus a Ferragosto del 1991, fu seguita in due mesi da 1.746 suicidi di alti dirigenti del Pcus e dell’Urss – mentre nasceva, nello stesso periodo, una cifra analoga, 1767, di joint venture russe all’estero, cioè una fuga monstre di capitali. La documentazione di Stepankov è importante perché Eltsin ordinò la distruzione di “gran parte dei documenti d’archivio”.
Il libro è anche una celebrazione di Falcone. Stepankov era venuto a Roma a trovarlo, per chiedergli lumi e collaborazione nella lotta alle mafie russe. E ne è rimasto ammirato. Falcone era stato a Mosca nel gennaio1987, per una serie di conferenze. Aggregato a una missione del Cesme palermitano, Centro mediterraneo di promozione culturale e di studi giuridici, economici e sociali, col presidente del Centro, Beniamino Tessitore, e altre personalità isolane, tra esse il suo futuro nemico Leoluca Orlando.  
Francesco Bigazzi-Valentin Stepankov, Il viaggio di Falcone a Mosca, Mondadori, pp. 143, ril. € 20