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venerdì 4 novembre 2011

Problemi di base - 79

spock

Giornalisti e giudici, c’è una casta dell’anticasta?

C’era prima Bossi o prima le pensioni baby?

Ci sarà del positivo nel positivismo?

Era la libertà classica limitata, polis, police, polizia? - la filosofia francese avrà senz’altro chiarito questa oscura parentela.

Se cambiando il governo in Italia o Spagna il problema del debito rimane, Napolitano perché si affanna tanto?

Se Hitler avesse vinto la guerra è sogno ricorrente, di Philip Dick e altri, ma l’ha veramente persa?

Dov’è finita l’Europa, a parte l’euro?

spock@antiit.eu

L’insostenibile leggerezza del comunismo

Due storie di morte, l’amore di Thomàs-Thereza e il comunismo, un rapporto che si sfilaccia e uno che imbarbarisce, uno naturalmente entropico, l’altro incalzato polemicamente. Entrambi sotto l’occhio distaccato del’artista Sabina e dello svizzero Frans. Che di leggero hanno soltanto il titolo: le due storie si nutrono vicendevolmente, producendo più tristezza, più vuoto.
La terza traccia, quella delle argomentazioni (la positiva leggerezza di Parmenide, Dio cacca, don Giovanni, il kitsch della sinistra – il Grande Balzo -, il paradiso dei cani, etc.), si svolge brillante con la tecnica dei petardi scoppiettanti. In modo da sembrare Voltaire. Mentre sotto sotto emerge manifestazione del comunismo, cioè della logica Diamat, il materialismo dialettico dell’Est europeo – non sovietico, piuttosto tedesco orientale. Kundera finisce “comunista” dal lato peggiore, la semplificazione. Lontano dai fatti, la piattezza polemica interagisce sul bellissimo racconto di Thereza – la marcia al confine cambogiano, che è un “capitolo” a sé.
Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere

giovedì 3 novembre 2011

Usa e Cina diffidano dell’euro

Sembrerebbe tutto pronto per decidere, urgendo tre problemi gravi: il rischio stagnazione per l’economia mondiale, la crisi dell’euro, gli squilibri commerciali. E invece i problemi sembrano funzionare al contrario: il G 20 di Cannes si riunisce per non decidere. I lavori preparatori non sono arrivati a nessuna conclusione, su nessuno dei tre problemi. Ci vorrebbe un miracolo, che finora non s’è mai prodotto in questi vertici, per avere una o più decisioni risolutive, l’agenda non le prevede.
Non c’è nessuna ricetta per il rilancio dell’economia. Ma, in particolare, non partirà il fondo salva-stati cui il Fondo monetario sta lavorando. Mirato a tenere l’Italia e la Spagna, e poi la Francia, al riparo dalla crisi del debito. Con finanziamenti appositi dall’Arabia Saudita, la Cina e altri paesi con bilance dei pagamenti eccedentarie.
Nessun impegno è stato preso col Fmi per un motivo semplice: nessuno si fida dell’euro, della gestione politica dell’unione monetaria europea. Non solo i mercati, la cosiddetta speculazione (ma si tratta di banche e fondi che si devono proteggere), neanche i governi si fidano del duo Merkel-Sarkozy che si è appropriato tutte le funzione della Ue. I più guardinghi, nella preparazione del vertice, si sarebbero mostrati i governi delle due maggiori economie, Usa e Cina - anche perché gli Usa non si fidano della Cina, di un suo ruolo accresciuto nel Fmi.

Ombre - 107

Un primo posto l’Italia ce l’ha, fra i 20 grandi che a Cannes decidono le sorti del mondo: ci vogliono 1.210 giorni in Italia per far eseguire giudizialmente un contratto. Il paese secondo in questa graduatoria, il Brasile, viene staccatissimo, con 616 giorni. È per questo record che la giustizia non si deve toccare in Italia? Per garantire la truffa.

Einaudi e Croce con Bobbio? Anzi no, Bobbio e Croce con Dossetti e Moro? Improbabile ma possibile: è il neo centrismo o neo guelfismo di Milano, di Bazoli e del suo “Corriere della sera”. Una serie di autori uniti come “Laicicattolici. I maestri del pensiero democratico”, in vendita da oggi a un euro e mezzo, in tutte le edicole. Croce non avrebbe gradito, né Einaudi, ma non importa, i compromessi storici comportano qualche approssimazione – e questo è un compromesso storico alla rovescia, puntato sul centro.

Il giorno stesso Casini annuncia: “Lavoro a un contenitore comune per laici e cattolici”. Che leader: i cannonieri maturano in vecchiaia?

I giudici hanno presa erotica su un certo tipo di donne, che scrivono delle lettere anche sconvenienti. Lo attesta J.Le Carré nel ricordo del padre imbroglione (“Sunday Times” del 16 marzo 1986). Anche sulle croniste giudiziarie?

Il “Corriere della sera” e “la Repubblica” hanno lunedì una pagina celebrativa di “Mr. Starbucks”, il “re del caffè” di Seattle. Un giornale ne celebra l’impegno a favore dei nuovi occupati – dopo aver chiuso seicento punti vendita e licenziato alcune migliaia di persone. L’altro ne fa il campione dell’antipolitica o del terzaforzismo negli Usa. Ma entrambi ne parlano in previsione dell’apertura dei caffè Starbucks a Milano e a Roma. Su input della società di comunicazione che li promuove: una pubblicità gratuita sui più letti giornali italiani. Gratuita?

Galan se ne va a Venezia il giorno del festival del cinema di Roma. Da dove dice che non è a Roma perché non è stato invitato. Bugiardo, strafottente. Avendo rifiutato al festival di Roma un finanziamento di 250 mila euro. Somma che invece, da presidente del Veneto, aveva stanziato per il bilinguismo che non c’è – c’è una lingua segreta nel Veneto? Dopo aver sabotato d’autorità, senza correggerlo, senza farlo correggere, il piano casa della Regione Lazio.
Un veneto che si fa nominare ministro a Roma, brigando l’impossibile, per sabotare Roma. Che non gli chiede nulla. Sembra impossibile ma è vero. Berlusconi sarà stato il lato buono del triste medaglione lombardo-veneto.

Aurelio Regina, Democratico, presidente della Confindustria del Lazio, constata: “L’abolizione dell’art. 18 è nei fatti”. La Cgil lo attacca. Ma sono almeno quindici anni che i posti di lavoro vengono chiusi, selettivamente, a milioni.
I primi, quasi due milioni in diciotto mesi, persero il lavoro coi governi Dini e Prodi, 1995-1996. Con gli “stati di crisi”. Che anche allora si compravano al ministero del Lavoro. Letteralmente, con la valigetta. Con l’avallo della Cgil. Col silenzio assenso ma anche con operosi accordi. L’ipocrisia può essere criminale.

Da Berlino ogni pochi giorni c’è una frasetta sull’Italia. Innocente, mezza riga, del tipo: “Noi confidiamo nel presidente Napolitano”. Che vuole dire invece: noi non confidiamo nel governo, cui competono le misure anticrisi. Quanto basta per tenere l’Italia sotto pressione, e quindi l’euro: la frasetta è calcolata nei tempi e nel taglio per alimentare le opposizioni in Italia e indebolire ulteriormente il governo.
Perché Berlino, se non la cancelliera, vi si esercita, non per caso? È come dire: crisi continua nell’euro, a spese ora dell’Italia.

“La crisi dell’euro verrà a metà dicembre”, ha previsto tre mesi prima, il 15 settembre, George Soros. Paranoia senile? Perché no. Ma a metà dicembre la Grecia dovrebbe aver dichiarato forfait.

Fitch assegna la «tripla A» al Fondo europeo di stabilità. In attesa che sia creato – i regolamenti saranno decisivi, per sapere che cosa sarà il Fondo. E che la Francia venga declassata, perdendo la tripla A. E quindi necessariamente anche il Fondo, di cui la Francia è cosponsor. Che ginnastica è, questo mercato? Più che mai sembra una partita truccata, per giocatori nell’ombra.

Studioso di Carl Schmitt trasformatosi in polemista per “Repubblica” contro Berlusconi (che – non – si fa per uscire su giornale?) Carlo Galli scrive giovedì 27 che “les Italiens” sono diventati lo zimbello dell’Europa nel corso del Cinquecento. Ma c’era già Berlusconi nel Cinquecento?
Poi, negli spettacoli, lo studioso si fa dire da De Laurentiis, quello dei cinepattoni coi culi in vista: “Raccontiamo un’Italia che è sempre stata superficiale, cafona e edonista”. Senza eccezioni per Galli e “la Repubblica”, è possibile?
Nei tagli redazionali dev’essere rimasta la parte in cui Galli dice che anche les Italiens non sono teneri coi francesi, o coi tedeschi. E che nel Cinquecento ci fu la Riforma, con la nascita del Nord.

“Repubblica” dedica giovedì 27 le prime venti pagine a (contro) Berlusconi. E solo tre, solo dopo, ai nubifragi e ai morti alle Cinque Terre e lungo il Magra. Titolando: “Monterosso non c’è più”. Poi dice che non si leggono più i giornali.
Non è vero, Monterosso non è sparita. Ma se è vero per “Repubblica”, perché nasconderlo nelle pagine interne?

La Regione Liguria aveva appena adottato un regolamento che riduce da dieci a tre metri la distanza minima per l’edificazione in prossimità di corsi d’acqua. Un regolamento che sa di sanatoria. Ma nei giornali non se ne parla, e nelle migliaia di ore d’immagini terrificanti dell’alluvione con cui le tv sorreggono la pubblicità. Non è un regolamento di Berlusconi? Non c’è altra realtà.

Quante storie nei nomi (di battesimo)

Un libro fresco, di quaranta (e passa) anni. “L’onomastico è una tirannia”, dei genitori sui figli – una delle tante. Fruttero & Lucentini si propongono di farne “una tirannia illuminata”, presi anch’essi da improvvisa smania per dover diventare a breve, uno di loro, padre. E divertendosi al solito divertendo hanno compilato un manuale per neo genitori ancora gustosissimo, pieno di storie fantasiose e alla fine esatte. L’unica inesattezza è che parlano di nomi di battesimo, che oggi non si può.
Carlo Fruttero, Franco Lucentini, Il nuovo libro dei nomi di battesimo

mercoledì 2 novembre 2011

Letture - 75

letterautore

Gossip – Già chiacchiera, e oggetto del risentimento di Stendhal a Milano (in “Dell’amore”). Se è, come annotava lo scrittore, il vizio nazionale italiano, si spiegano alcune cose.
Chiacchiera è un linguaggio (ancora? di nuovo? ) orale. Ripetitivo quindi, e impreciso. Ineffettuale anche. Milanese – quello del “milanese” Stendhal non è uno sfogo, è una constatazione. Consistente con la difficoltà (l’irrealizzabilità) di una conveniente prosa italiana nel prolungato predominio culturale, ora anche politico, di Milano – ha meno problemi la poesia, che è più vicina al canto, quindi all’oralità. E con la sua persistente mancanza di condizione e precisione, in ogni forma di comunicazione, scritta e orale. I francesi pure amano parlare – si riesce a immaginare Stendhal, a Milano come a Roma, solo come grande chiacchierone – ma la causerie è conseguente, è architettata, con la grammatica e la sintassi.
L’oralità spiega anche il senso di comunitarismo che, malgrado tutto (malgrado Milano, la Lega, l’ultramontanismo), distingue la società italiana a un occhio non esercitato. Anche se, in realtà, alla sommatoria, il linguaggio orale è ferocemente individualistico, non essendo nemmeno ancorato a regole, non temperato.

Grecia – Si ripropongono periodiche le grandi ricostruzioni dilettantesche che la Grecia vogliono al Nord, iperborea di fatto - Oslo la Locride, Troia verso Helsinki, gi Argonauti nel mare del Nord (generalmente resta da trovare Itaca, un’isola ospitale). È un calco rovesciato di Graves, che i greci porta con la Dea Bianca fino in Scandinavia. Gli antichi volevano appropriarsi con gli Argonauti, oltre al Mar Nero, il Vicino Oriente, il mar Rosso e l’Africa, che si chiamava Libia, il Don e il mare del Nord, con l’ambra e lo stagno, il Danubio, l’Adriatico, il Rodano e il Tirreno. Queste ricostruzioni rovesciano il paradigma.
Il Mediterraneo, si sa, fu fatto nostro, dall’Odissea. Timeo si prese il Don col mare del Nord. Esiodo e Pindaro il mar Rosso e la Libia. Apollonio il Danubio, il Rodano, l’Adriatico e il Tirreno. Giasone fu proiettato pure nell’Oceano, come già Menelao e Ulisse nei loro viaggi di ritorno – una stramberia per Strabone, roba di geografi incompetenti: l’Oceano non ci appartiene. Ma i miti nordici sono pieni di eroi che combattono in perdita. Vinti, o comunque condannati.

Il paesaggio, minuto, minutamente vario, litiga con la statuaria, grande , solenne, modellata, e l’architettura, i templi, i teatri, gli stadi. Anche le abitazioni nell’antica Grecia erano minute. Litigano pure la storia, tormentata e violenta, fuori e dentro, e la lingua e il segno artistico, sereni.
La maestosità dei templi mette in una falsa prospettiva la società e i luoghi. L’antica Grecia era mi-nuta, in miniatura, i monti, le città, i mari, i porti, le flotte, gli eserciti, ogni bosco, ogni siepe, ogni albero vi nutriva un mito, ogni rivolo d’acqua. È il distintivo della classicità. La stessa sapienza minuta ingentilisce il paese ora come all’epoca di Tucidide, che attesta l’uso persistente di evitare le città sparsi nei villaggi. È il villaggio il capolavoro della Grecia, l’urbanità nella natura.
La natura e i greci, e la natura dei greci, danno l’estasi a molti. A mezzo fra l’Occidente, dove è l’uomo che cerca Dio, e l’Oriente, dove Dio cerca l’uomo. La natura naturante, sbalzata nella vecchia e nuova Grecia come pietra preziosa, trasparente, luminosa, che rigenera la forza del mondo. Checché sia greco: si censiscono tre pagine di microcomunità non greche in Grecia, almeno un centinaio.

Colli, “Dopo Nietzsche”, vuole la Grecia vera in Pitagora. Senza Omero, Fidia, Solone. Non per filologia dunque. Perché allora?

I pelargoi portano nel cielo di Grecia che felicemente s’ignora nuvole lievi, e non si sa se vogliano dire cicogne, o Pelargi, o Pelasgi, questa popolazione che vola dappertutto in Grecia, fino alle montagne dell’Epiro, e si ritrova sulle colline della Tuscia. Si potrebbe risolvere una volta per tutte il mistero degli etruschi, nella comune stirpe pelasgica con i greci prima dell’invasione dorica. Attestata dal perdurare sul Tirreno delle sue simbologie, in Grecia assorbite e superate da quelle olimpiche degli achei.

Marx aveva una difficoltà, nel precisare il rapporto tra base materiale della vita e arte, una difficoltà per l’arte greca (per il resto, contrariamente all’opinione corrente, dava per scontato che non ci fosse rispondenza: “Nel caso dell’arte è noto che determinati suoi periodi di fioritura non stanno affatto in rapporto con lo sviluppo generale della società, e quindi neanche con la base materiale - §§ 21 e 22 dell’introduzione ai “Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica”): “La difficoltà non sta nel fatto che l’arte e l’epos greci sono connessi con determinate forme di sviluppo sociale. La difficoltà sta nel fatto che essi suscitano tutt’ora in noi un godimento artistico e in un certo senso sono ancora considerate norma e modelli ineguagliabili”.

Zeus vuole insegnare agli uomini che in amore conta l’estro e non la fedeltà. Ma vince la Grande Madre cretese – Giunone era cretese – e non l’amore camaleontico. Volage è l’uomo, non la donna?

Joyce – il “Giacomo Joyce” è (rivelatore?) molto mallarmeano. Ricercato, ricamato sul nulla e per nulla – alcune immagini. Prezioso, un testo overglowed, direbbe lo stesso Joyce. Da preraffaellita in ritardo – la passione per Dante. E per Brunetto? L’approccio è molto “artistico” alla scrittura, non dissimile dai datati provenzali.

Kipling - Magris, nell’introduzione a “Kim” (ora in Alfabeti”), certifica “Kipling grande poeta della fraterna amicizia, e del brusco, solidale cammino comune incontro agli agguati del destino”. Ma, “improvvido camerata di sé stesso, contribuendo all’eclisse della sua opera presto seguita alla sua mitica fama mondiale”, per volersi “«professore di energia»”. Eclisse di Kipling?
Nello stesso saggio-introduzione dice della lingua di Kipling: “Una delle più varie, complesse e complete. secondo Burgess e Eliot, diviene la lingua stessa della modernità tecnologica”. Tecnologia in Kipling?
Magris poi ricorda: “Senza questa lingua kiplinghiana, osserva Wilson, non esisterebbe l’“Ulysses” di Joyce”. Né Brecht, forse, che può avere preso da Kliping uno stile che è montaggio e smontaggio, della realtà e dell’uomo stesso.

Stile – Viene con la fede: la dote prima del letterato, soprattutto del narratore, è crederci, lo stile viene dopo. I maggiori scrittori del Novecento sono narratori, Proust, Céline, Musil, Joyce, Pirandello, Gadda, portati all’eccesso. Certo, Céline si distingue per la scrittura “giusta”, che lega cioè con la materia (il fatto del racconto) e non col capriccio dell’autore, per quanto creativo. E poi ci sono Kafka, Pasternak, Faulkner, Hemingway, Kerouac, Lampedusa, Garcia Marquez, tutti stilisti ma asciutti. La cifra comune è la fede nella scrittura.

Wagner - Jünger lo dice “un mago di prim’ordine”, e questo è: uno che rigenera cadaveri e morte culture con esorcismi di sangue vero. Ma il Maestro è la Germania. La questione è indecifrabile, se la Germania dell’Otto- Novecento s’è modellata sul “Ring”, o se il ciclo fu tagliato a misura della Germania, ma l’immedesimazione è intima, tra i languori e i furori.

letterautore@antiit.eu

Il racconto di Primo è l’ascolto

La raccolta mette in scena le tecniche e le cose: l’inossidabile, il rame, il derrick… Potrebbe essere geniale: se ogni uomo si esprime con ciò che fa, eliminare tre quarti del suo tempo, della vita, come la letteratura fa, è una mutilazione, da invalidità al 75 per cento. Primo Levi, che apre il sentiero, ci fa però pochi passettini. Il suo è un racconto sull’arte del racconto. E dell’ascolto.
Primo Levi, La chiave a stella

martedì 1 novembre 2011

Draghi presidente di una banca minore

L’atto di forza della European Banking Authority a danno delle banche italiane è il vero atto di governo della moneta europea. L’insediamento di Draghi al vertice della Banca Centrale Europea è, malgrado i rituali, l’avvento di un dio minore su un trono diminuito. Con l’uscita di Trichet si accantona ogni ipotesi di fare della Bce una vera banca centrale. I rappresentanti della Bundesbank nel consiglio della Bce, Weber e Stark, si sono violentemente opposti a Trichet, fino alle dimissioni polemiche, e Draghi è stato accettato come colui che non ci riproverà. La Germania, cui la presidenza sarebbe dovuta toccare, ci ha rinunciato a questa condizione – una volta stabilito che comunque la Bce non sarà una banca centrale, una Bundesbank europea (la European Banking Authority non è di più, un’assemblea di 27 esponenti di secondo o terzo rango, ma la sua burocrazia può prendere evidentemente decisioni punitive).
Che le uscite polemiche di Weber e Stark, e la prima decisione della European Banking Authority, siano state dichiaratamente a danno dell’Italia non implicano, come si è portati a credere in Italia, un riassetto delle regole fra i primi e secondi della classe, fra un gruppo A di paesi virtuosi e un gruppo B di paesi in difficoltà. È il principio stesso della Banca Centrale Europea che non deve passare. L’Italia è al centro di questa offensiva tedesca perché è l’obiettivo più facile, politicamente (con la diarchia presidenza-presidenza del consiglio e con l’indebolimento di Berlusconi) e finanziariamente. Ma è tutta la costruzione dell’euro che va assottigliata, a unità di conto fra paesi monetariamente autonomi.

Il fascino dello spione su Gor’kij

Il “padre del realismo socialista” era un visionario? Un sociologo politico sicuramente sì. Se non fu una spia.
“Vedo molte cose ma non ne capisco il senso”, si dice il protagonista-vittima di questo “Uomo inutile”: “Dev’esserci un’altra vita”. C’è quest’ansia, ma è lasciata in sottofondo, come i tanti punti di riferimento di un buon giallo. L’“uomo inutile” vive inerte l’abiezione che lo circonda, l’ubriachezza, la stupidità (follia), la violenza, l’assassinio domestico, e si dice: “Passerà”. Sapendo che non passa. Nell’abiezione della povertà che è mentale ancora più che materiale. Nel corso dei moti costituzionali del 1905.
È il romanzo delle spie, della polizia politica. Mozzafiato, seppure senza imprese, senza amori, senza neppure armi né bellezze. Una galleria di mostri. Un’esplorazione dostoevskjana ancorata all’ordinario, che è la cifra di Gor’kij. Con una serie impressionante di “già visto” per questa nostra epoca di paranoici complotti. Il rivoluzionario è sempre uno “pagato dai tedeschi”, molto prima di Lenin e della stazione Finlandia. L’agente provocatore migliore è l’infiltrato che insegna ai rivoluzionari come fare le bombe, le prepara con loro, e li fa catturare.
Gor’kij vi riscrive la sua umanità-animalità, non sentimentale. Evsej, il protagonista-vittima, è “completamente privo di affetto”. Ma qui c’è di più. Gor’kij scrive nel 1908, nella Russia zarista della polizia segreta, il romanzo del 1938, nota Alessandro Barbero nell’introduzione, della Russia staliniana della polizia segreta. Con la quale giocherà la sua ultima partita come un qualsiasi Evsej, altrettanto impuro. Per una straordinaria capacità di fabulazione, bisognerebbe aggiungere – non per capriccio Stalin volle farne al ritorno in patria, nel 1934, lo Scrittore Eroico Nazionale. E per l’incombere di una sorta di Russia immutabile. O della rivoluzione impossibile – “l’altra vita”.
Ma si potrebbe continuare, ambientando questo “Uomo inutile” tal quale un secolo dopo, nella Russia di Putin. Con la prospettazione, da destra e da sinistra si sarebbe detto un tempo, da parte naturalmente della polizia segreta, di un disegno rigeneratore: “«La grande Russia sta andando in rovina, accadono cose incredibili, vengono commessi crimini orrendi. Le persone sono oppresse dalla sofferenze della miseria e della povertà, i cuori sono inaspriti dall’invidia, l’uomo russo, mite e paziente, soccombe e al suo posto sta nascendo una stirpe di uomini lupo….” Perché no, se è un “destino” russo?
Un destino cui Gor’kij non si sottrasse: ancora più inquietante, anzi agghiacciante, è la lettura di questo “Uomo inutile” al pensiero che lo stesso Gor’kij è stato una spia. Non per bisogno né per stupidità, da Eroe Scrittore Nazionale. Uno che non sottostimava Stalin, ma finì per esserne complice, seppure involontario. Per l’archivio degli espatriati che la sua segretaria baronessa Budberg ha consegnato a Mosca dopo essersi “rifugiata” a Londra – dove, grande anfitriona dell’intellettualità, avendo catturato H.G.Wells dopo Gor’kij, propiziò la “resistenza” dei professori di Cambridge. “Moura”, Maria Ignatievna Zakrevskaia, sposata Budberg, la spia del Novecento, di cui l’Italia custodisce le spoglie – morì a Firenze nel 1974, in visita al figlio Pavel.
Moura, ucraina di nascita, sposa di un barone baltico, fu l’amante di una spia inglese a Mosca al tempo dell’attentato a Lenin. Quindi segretaria di Gor’kij, dopo assidua corte, la “donna di ferro” che lo scrittore vagheggiava, anche se ormai solo le sorti del genere umano l’appassionavano, e per esso del socialismo. Il rapporto durò familiare a Mosca, in Germania e a Sorrento, per tredici anni. E si concluse con la decisione di Gor’kij di rientrare in Russia. Moura a questo punto se ne separò. Non prima però d’avere avuto da Gor’kij l’archivio da custodire a Londra. A fine aprile 1933 Moura parte con l’archivio per Londra. L’8 maggio Gor’kij lascia Sorrento per Odessa, via Istanbul. Il 15 Moura arriva a Istanbul con l’Orient Express. Il 16 visita con Gor’kij Santa Sofia, e lo stesso giorno riparte per Londra. Dove diventerà l’amante di H.G.Wells per altri tredici anni, fino alla morte dello scrittore, e l’anfitriona della intellettualità britannica. Ma sempre fu spia di Mosca – la Cekà, la polizia politica dei primi tempi sovietici, usava come provocatori graduati baltici sbandati, mezzo tedeschi, mezzo russi e niente per sé. A Londra Moura diffonderà lo spionaggio fra i grandi intellettuali di Cambridge.
Gor’kij sarà “avvelenato” ufficialmente nel 1938, due anni dopo la morte, per volere di Stalin. Il Piccolo Padre ebbe bisogno di un pretesto per liquidare Yagoda, che gestiva la polizia politica, allora Nkvd. Dopo avere imbastito i processi nel 1936 sulle carte che lo scrittore aveva affidato a Moura da tenere al sicuro a Londra, da Yagoda riportate a Mosca. Due anni dopo il viaggio trionfale per tutte le Russie che personalmente gli aveva organizzato, a ridosso della morte misteriosa di Max, il figlio adorato, e la presidenza del primo congresso degli scrittori sovietici – riunito a varare il realismo socialista da Gor’kij aborrito, di cui era ghiotto Stalin. Finisce così provocatore lo scrittore del popolo Gor’kij. Le coincidente insomma sono molte – anche l “Uomo inutile” finisce male. Premonizione?
Maksim Gor’kij, Storia di un uomo inutile, Utet, pp. XII, 288 €12

lunedì 31 ottobre 2011

L’antifascismo? È negli Usa di Bush

Quattrocento pagine di note e rapporti dell’ambasciata americana Roma, molto critici verso l’Italia. Intercalati da note di inquadramento dei curatori. Non approfondite. Tra l’altro, i due storici mettono in relazione le carte, pubblicate da Wikileaks, con i “Pentagon Papers” del 1971 e questo è un errore: i “Pentagon Papers” non sono un’indiscrezione, che ha sempre una regia, Wikileaks non è uno schieramento politico.
Un libro inutile, essendo l’opera dei due storici irrilevante sull’insieme delle carte già note. Ridicolo: esibisce in copertina Berlusconi in tête-à-tête con Bush jr., per poi deriderlo con le carte dello stesso Bush. Ma a suo modo pure affascinante. Un tempo si sarebbe fatta la tara politica dei dispacci degli ambasciatori americani, contro Craxi, contro Andreotti o contro Fanfani. Contro la politica mediterranea, mediorientale, araba, europea, e contro ogni relazione con l’Urss. O a favore delle tante guerre, “umanitarie” e non, a cui gli Usa hanno assoggettato l’Italia da una trentina d’anni, dal Libano e la Somalia in poi. Ora i rapporti dei diplomatici americani, americani di Bush, sugli stessi temi e sulla stessa linea sono elementi di prova. Contro Berlusconi, ma poi contro la stessa Italia.
Con un curioso effetto: il rapporto finale dell’ambasciatore repubblicano Spogli, letto in italiano, del tutto alieno dal linguaggio politico americano (riforme di struttura? visione strategica?), sembra quello “fatto”, insignificante, dei giornali italiani, degli opinionisti. Franzinelli, che sa tutto delle spie, dovrebbe un giorno scoprire chi scriveva per Spogli.
Mimmo Franzinelli, Alessandro Giacone, La Provincia e l’Impero. Il giudizio americano sull’Italia di Berlusconi, Feltrinelli, pp. 408 € 22

Il mondo com'è - 73

astolfo

Corruzione – Dà un potere immenso, di ricatto. Al ricattatore, che può essere indifferentemente nella posizione del corrotto o del corruttore, o anche soltanto del tramite, del pagatore, del testimone occasionale, del banchiere, cioè dell’elemento moralmente più debole.
In politica è suicida. È una cambiale di resa con disonore firmata prima di scendere in campo. Si dice per i costi della politica. Ma la politica viene così resa impossibile.

C’è qualcosa di nuovo nella corruzione, il fenomeno asociale più antico, più probabilmente della prostituzione. Si possono immaginare le nostre prime sorelle promiscue, ma non per una mercede, mentre si sa per certo che i rapporti tra Abele e Caino si misero male subito. La novità è la corruttela della questione morale. Agitata da violentatori e assassini professi, prosseneti, maghi, falsi maestri, e ideologi, torturatori mentali.
Sempre il moralismo copre la corruzione, in tanti lo hanno spiegato e dimostrato, da Aristofane alle maîtresse di New Orleans. La lotta alla corruzione si fa – si può fare – per essere più corrotti degli altri. Così è sempre stato, e c’è una ragione. Contro la corruzione, come contro ogni altro delitto, c’è la legge. La “lotta alla corruzione”, come “la lotta alla prostituzione”, “l’antimafia” e ogni altra “causa” settorializzata, sono appropriazioni a fini di parte, e perfino personali, di esigenze pubbliche e beni comuni. Con più capacità delittuosa, evidentemente, dei perdenti. È così che oggi, sotto queste coperture, la corruzione è senza freni: è criterio per le liste dei partiti, e per i partiti stessi, fa le vergini del gossip e delle tv, dilaga nella già maleodorante Rai, la corruzione intellettuale.
Asor Rosa che il 6 agosto 2008 sul “Manifesto”, accusando Berlusconi di fascismo, così sintetizza il personaggio: “Fattore di corruzione, nasce da una lunga, insistita, fortunata pratica della corruzione”, e “non sa che governare attraverso la corruzione”, è rimasto famoso alla Sapienza di Roma non per i suoi studi di letteratura ma per essere stato un barone. Affidando cattedre a parenti e affini, e infine pretendendo di smembrare la sua facoltà per mantenerne il controllo.

I giudici che lavorano un giorno a settimana. Sono cioè presenti in aula, senza obbligo di leggersi le carte. Giustificandosi col produrre sentenze di quattrocento pagine. Quando ne basterebbero quattro. O le infinite trovate con gli autovelox, non per migliorare la sicurezza sulle strade ma per estorcere denaro in nome della sicurezza: rilevatori nascosti, camuffati, sotterrati (sic!, a Torrimpietra, trafficatissima strada attorno a Fiumicino), a cento metri dal limite di velocità, quando bisognerebbe aver frenato all’improvviso (a Firenze, sulla Siena-Firenze, anche a cinquanta metri), per un chilometro di eccesso, ogni giorno per i centocinquanta giorni che si possono far trascorrere fino alla notifica, cioè alla rivelazione del trucco. Con le quali i comuni fanno i bilanci. Alcuni sfrontatamente: quello di Fiumicino per 18 milioni l’anno, di gran lunga l’entrata maggiore, e quelli toscani lungo l’Aurelia – quelli che non consentono di costruirci l’autostrada. E i semafori intelligenti, a intermittenza variabile. Per pagarsi le feste, le notti bianche, e le pratiche laurine che assicurano la rielezione.
È difficile concepire un commercio più disonesto di quello del mercato libero anni Novanta-Duemila. Con la garanzia, cioè col costo suppletivo, di tante Autorità di controllo del mercato. Soprattutto nel settore telettronico che domina i con sumi. Le infinite trappole delle bollette telefoniche, specie dell’ex monopolista Telecom. Sul telefono fisso e, soprattutto, su quello mobile. Una serie di tariffe diversificate col solo fine di confondere il consumatore. La promozione telefonica, a cascata, dei prodotti e servizi più controversi e cari. Da disdire, eventualmente, solo a compimento dell’anno solare, con lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, almeno tre mesi prima della fine dell’anno solare. Con la riserva mentale del calling center extra aziendale, cui addebitare tutti eventuali “errori” e responsabilità emergenti in sede giudiziaria – la corruzione è tale che si è creata anche in Italia la class action.
La libertà d’imporre contratti elettrici, soprattutto da parte di Sorgenia, il fornitore più caro, a chi semplicemente risponde al telefono, nella cosiddetta liberalizzazione dell’energia nel primo trimestre di questo sventurato anno. Le infinite e subdole offerte di hardware e servizi per il personal. Dalla stampante a cartuccia d’inchiostro proibitiva, alle metodologie complicate, all’adsl senza limiti – tanto più caro - a chi magari ha il wi-fi.

Polizia politica – È la giustizia mediatica, di giudici e giornalisti. Al motto di Di Pietro: “Quando posso, gli indagati li sbatto in galera”. Come esibizione di potere, ma anche come garanzia di fama: il giudice è strapotente in Italia perché il giornale lo vuole. I connotati che Gor’kij, grande esperto, ne dà nella “Storia di un uomo inutile”, la storia di un “infiltrato”, sono riconoscibilissimi, ogni cronista se ne trova circondato: “Persone con fisionomie inafferrabili, taciturni e severi”. La “severità” è il tratto principale: la polizia politica ha “occhi severi”, perché segreti – “il segreto circonda i loro oscuri affari”. Temibili sempre, agli occhi della stessa polizia. “Di loro dicevano, con grande invidia, che guadagnavano molto, e con paura raccontavano che a queste persone tutto era noto e accessibile”, a all’epoca non c’erano le intercettazioni; “il loro potere sulla vita della gente era immenso, erano in grado di mettere qualsiasi persona in una condizione tale che, ovunque fosse andata, sarebbe finita sicuramente in prigione”. Nulla di scandaloso: l’agente della polizia politica antisemita dello zar a volte è ebreo.

Repubblica - È democratica. Si discute se i vizi della Repubblica Italiana, la faziosità, la rissosità, la frammentazione del bene pubblico (la governabilità) non derivino dall’esperienza fascista, siano una reazione a quell’epoca. Che però è remota sotto ogni aspetto. Mentre la Repubblica è quello che è, dopo settant’anni: cattolica, comunista, berlusconiana, leghista. Un’Italia, si può anche dire, completamente nuova: è democratica. Prima c’era l’Italia risorgimentale, fino a tutto il fascismo compreso (nei linguaggi e le tematiche: la patria, la potenza, i primati). E il Risorgimento era già un reliquato notabilare. Nuovi ceti, nuovi interessi, nuovi modelli intellettuali hanno fatto irruzione con la fine della guerra: l’Italia repubblicana è operosa, creativa, menefreghista, piuttosto sudicia e lazzarona, disordinata, cuirosa, populista molto, molto democratica.
Le due Italie in realtà sono una. Con una cresta notabilare ancora imperversante, poco flessibile, poco intelligente, molto ingessata. Ma una cesura c’è stata. Sono cadute le vecchie finzioni: i tre poteri del liberalismo pre-1789, la definizione super partes della res publica, i valori sacri, il patriottismo. Sostituiti dalla prima, vera, ideologia nazionale, il capitalismo: la sfida, l’affare, il consumo. La res publica è la ricchezza.

Revisionismo – Il vero revisionismo s’incide sulla Resistenza: tutti combattenti di colpo in Italia contro il fascismo, il tedesco lurco, l’imperialismo, il potere. È il nuovo conformismo, che ogni derivazione taglia, ogni nuovo sentiero. Il suono ritmico del mitra atterrisce, ripetuto, perfino Sciascia si prepara al ritorno all’ordine, alla scuola del Montanelli lamentosa, c’è un conformismo del non conformismo. E potrebbero aver già vinto, sono in vantaggio. Bisogna apprestare la difesa, anche se difficilmente ci sarà indulgenza.

astolfo@antiit.eu

domenica 30 ottobre 2011

L’Europa a Berlino, senza Fondo

Giovedì i capi di governo dell’Ue decidono a Bruxelles di dotare di risorse congrue il Fondo di stabilità dell’euro. Venerdì la Corte costituzionale decide in Germania che ogni decisione operativa del Fondo di stabilità dovrà essere preventivamente votata dal Bundestag in seduta plenaria – non più in commissione Bilancio, come la stessa Corte aveva statuito tre settimane prima. “Una scena impressionante”, così la immagina Carlo Bastasin sul “Sole 24 Ore”: “I parlamentari tedeschi che decidono cosa fare delle pensioni, delle patrimoniali o delle privatizzazioni italiane”.
Una scena impossibile, che conferma quanto questo sito da tempo sottolinea: che la Germania vuole l’euro in mano alla Germania, anche a costo di sacrificare l’economia europea. Finché, naturalmente, la crisi non investirà la Germania stessa. Una prospettiva remota, anche perché la transizione così come si sta attuando, occorre ribadire, dà vantaggi comparati sostanziosi alla Germania stessa: ogni punto d’interesse in più del Btp rispetto al Bund si traduce in un aggravio 1) della raccolta bancaria in Italia, 2) del costo del denaro in Italia, 3) dei costi di produzione in Italia, oltre all’effetto circolare sul debito.
A questo punto, avendo la Germania stretto nella sua morsa l’Europa dell’euro – Francia compresa, anche se Sarkozy mostra di non saperlo – sarebbe interesse di tutti prendere sul serio la richiesta, all’origine tedesca, di regole stringenti e comuni di bilancio. Ma i segnali non sono buoni. Un comitato di studio per la riforma dei trattati è stato varato, ma è clandestino. Il ministro dell’Economia Tremonti, l’unico che dei condizionamenti tedeschi parla apertamente, è poi remissivo. Come se la catastrofe fosse inevitabile.

Pasticcio satanico alla Alice Carroll

Un volumone di parodie, dichiarate – a p. 280 Rushdie stesso dice che non siamo capaci che di parodie o pastiches. Cominciando con una caduta alla Alice nel paese delle meraviglie (ma l’idea – 324 – sarebbe mediata da Truffaut, “Gli anni in tasca", 1976). C’è V.Woolf, “Orlando”, nell’idea di tropicalizzare Londra, nell’età dell’umido, c’è l’alpinismo alla Messner, c’è F.T.Marinetti protofascista, c’è perfino forse la morte di Primo Levi (32), oltre a Khomeini e alla blasfemia che il titolo dichiara, e alla confusione del terzomondismo – il male è qui il complesso del colonizzato (Fanon).
Brillante. Da critico culturale prima che narratore, un Arbasino anglo-indiano, quale Rushdie è. Alla Carroll: la complessa materia cronachistica è organizzata nei modi secchi (passaggi repentini, sogni, visioni, ironia su ironie, personaggi fantomatici, apparizioni\sparizioni) alla Lewis Carroll. Il taglio è da montaggio di film – ancora alla Carroll. Costruita si può dire solo la morte del padre (542 segg.). Più che una storia è un rigurgito personale, il disorientamento di un personaggio doppio (triplo\quadruplo): indiano e inglese, progressista e scrittore (conservatore), mussulmano e ateo, terzomondista e occidentalista.
Salman Rushdie, I versetti satanici