Cerca nel blog

sabato 6 maggio 2017

Problemi di base di mercato - 326

spock

Basta un clic, da A a B, per guadagnare miliardi?

Ma veramente il debito italiano vale quello del Kazakistan?

Perché pagare più interessi sul debito, cinque, dieci miliardi, l’anno, ai padroni delle agenzie di rating?

Perché il mercato è la speculazione contro l’euro?

Perché il mercato è la speculazione?

Perché la stampa non si ribella?

Ma, almeno, si fa pagare?

spock@antiit.eu

Vendette e avidità sotto il velo dell’islam

A ottobre del 1988 Algeri insorge “contro gli orchi del regime”, e subito “i Fratelli Musulmani emergono inesauribili dalla clandestinità”. Le gerarchie e le tradizioni sono ribaltate presto fin nei villaggi più remoti, i barbuti dettano legge “bulimici, pericolosamente espansionisti”, i figli si ribellano contro i padri, le figlie sono oggetto di violenza. Il decano del villaggio muore, gli anziani e l’imam non possono fargli una celebrazione funebre, il giovane sceicco integrista lo impedisce. Un assetto di secoli è stravolto, peggio che nella guerra gloriosa d’indipendenza contro la Francia, 1956-1963. Anche perché la guera civile ha preso più anni, il decennio 1990.
Brevi racconti, di barbe che si fanno crescere, corteggiamenti rivali fra ex amici, di cui uno è diventato poliziotto e l’altro per gelosia e vendetta si fa barbuto, gli umori cattivi dela comunità condensati nel nano malefico, le superstizioni, gli scongiuri, le “influenze malsane”, i mestieri minuti, i silenzi, le riserve mentali, le debolezze prevaricanti di un villaggio poi non tanto remoto, prossimo alla città, Sidi Bel Abbès, e al mare. Come romanzo dell’attacco islamico all’Algeria, paese pluralista, è tutto prevedibile, è nelle cronache ormai da una generazione. E tuttavia il racconto è singolare, “parlante”.
“Yasmina Khadra”  sa di che parla: l’integrismo islamico ha vissuto nel suo paese, come parte in lotta, e ha studiato in Medio Oriente, in Iraq, Afghanistan, Palestina, le scene di sue precedenti narrazioni. In Algeria è diverso: una generazione, anche due, sono imbricate nel fratricidio, tra amici, in famiglia, nella comunità. Nella paura prima: nessuno vede, nessuno capisce. Poi l’inselvaggimento: “A poco a poco, al caffè, al mercato, alla moschea il turbamento cede il posto al divertimento”. La gente non reagisce, non condanna nemmeno gli orrori: “Ci si mette a trovare agli attentati spettacolari un abbellimento,agli assassini una temerarettà rocambolesca, alle esecuzioni una legittimità”. Il racconto “mostra” le forze al lavoro sotto il velo dell’integralismo, nel loro modo d’essere naturale, prima e al di sotto della crudeltà: non c’è limite alla barbarie, la storia non è una freccia.
È la rivincita, anche, dei poveri non solo di spirito, e dei reietti. Ma la tela di fondo, come sempre nei racconti algerini di questo scrittore, per esempio la serie del comissagio Llob, è quella della rivoluzione tradita, degli affaristi, gli opportunisti, i corrotti e corruttori di famelicità inesauribile. La rappresentazione ripete il distacco dell’autore, da tempo autoesiliato in Francia, dal suo paese, l’Algeria. Nel quale non trova che avidità e sopraffazioni, per il tradimento originario dela rivoluzione del 1956. Una veduta che sa di pregiudizio, non fosse stato lo scrittore un ufficiale superiore dell’esercito, l’erede del Fronte di Liberazione nazionale del 1956, nella guerra civile degli anni 1990. Il suo racconto dà inoltre del terrorismo istituzionalizzato una veduta diversa: non la religione ne è il motore, ma l’avidità e l’opportunismo. Il giovane imam che infiamma i cuori è sempre nel giusto, non si sente mai comandare un’azione inopportuna, e a un certo punto scompare, le bande dei mozzateste si gonfiano di furbi, sciocchi, falliti. Il peggio della brutta Algeria: “Siamo in democrazia”, il nano cattivo avrà così l’ultima parola, “ognuno deve difendere i suoi interessi”.
La guerra civile algerina è dimenticata, benché recente e cruentissima. E questo è un altro aspetto singolare del racconto. Come se si proiettasse su una scena remota, mentre è solo dell’altro ieri. È quello che non si dice di questo terrorismo, che si è anzi voluto innalzare a religione, e a forza combattente, perfino per la democrazia in Iraq, in Siria, e in Afghanistan. Mentre è solo violento, e perciò infame: “Contadini, istitutori, pastori, guardie notturne bambini sono assassianti con rara bestialità”.
In Algeria ci sono stati almeno duecentomila morti nei dodici anni di guerra civile 1992-2004. Un “episodio” nella dissoluzione del mondo arabo e islamico dopo le indipendenze (dopo la fine delle legge e ordine colonialista) che questo sito segnalava una diecina d’anni fa:
E in particolare, per l’Algeria, al § “Vendetta”: “Nella guerra per l’indipendenza algerina, fra il 1954 e il 1960-62, si sono contati sei-settecentomila morti. I morti francesi sono stati 35 mila: 28.500 militari, 2.800 civili uccisi e 3.150 scomparsi dopo il cessate il fuoco. Degli oltre seicentomila morti algerini, 141 mila risultano combattenti del Fronte di Liberazione, più trentamila civili morti o dispersi per effetto della guerra. Gli altri quattro-cinquecentomila morti sono vittime delle vendette dopo il cessate il fuoco il 19 marzo 1962, e fino alla costituzione del nuovo Stato indipendente a fine anno, in Algeria e altrove, in Marocco, in Tunisia, in Francia: algerini dell’esercito francese, con i loro familiari, concorrenti del Fln, berberi. In città e nelle campagne isolate, dove forse la vendetta fu più feroce.
““Yasmina Khadra”, pseudonimo del colonnello Moulessehoul, il giallista che era negli anni 1990  colonnello dell’esercito algerino, lo spiega in “La parte del morto”: “Appena i soldati francesi ebbero cominciato a evacuare il paese, le violenze sono ricominciate ancora più feroci. Intere famiglie venivano braccate giorno e notte dai sedicenti liberatori. I fellaga erano scatenati, davano alle fiamme le case e i campi degli sconfitti, le esecuzioni sommarie si trasformarono in stragi inaudite”. La notte tra il 12 e il 13 agosto 1962, alla fine del Ramadhan, molti algerini furono mutilati e trascinati per i villaggi prima di essere decapitati. E in alcune zone si ricorda ancora il fenomeno dei disparus, intere famiglie scomparse di notte. Ma senza che nessuno, ancora quarant’anni dopo la fine della guerra, sappia o si chieda come”.
Yasmina Khadra, Gli Agnelli del Signore, Oscar, pp. 210 € 9,50

venerdì 5 maggio 2017

Letture - 302

letterautore

Acconci – Muore Vito Acconci, l’artista americano innovativo della Performance (fece scandalo esibendosi nella masturbazione) e della Video Art, poi diffusissima. Senza menzione nei media, nemmeno una breve. Forse perché di genitori meridionali, italiani del Sud – e certo non così popolare, al mercato (da molti anni faceva l’architetto), come ora Cattelan, che impicca i bambini in piazza. Ma si può pensare superato dalla tecnologia: basta Photoshop e siamo tutti video artisti.

Brahmsiana – L’amore ardente per Clara Schumann che si dilegua quando lei è libera

Epica - “Epico è un poema che contiene la storia. La mente moderna (invece) contiene elementi eterocliti” (E. Pound, “Per conoscere Pound”, 465).

Francia-Germania – Non solo Heine, anche Rilke a un certo punto si vuole – ci prova - scrittore francese. Anche Benjamin fu tentato. Non si perde nulla passando dal tedesco al francese?

Germania-Inghilterra - Il rifiuto è totale dell’inglese, che pure Borges e i linguisti ascrivono allo stesso ceppo germanico, dei tanti tedeschi che a varie epoche hanno dovuto lasciare la Germania. Da ultimo da quelli che negli anni di Hitler emigrarono e prosperarono in America, Brecht, Thomas Mann, Adorno e tutta la Scuola di Francoforte, Marcuse, Horcheimer, Fromm, Wittfogel,… e che dall’adozione dell’inglese avrebbero tratto sostanziosi benefici economici . Hannah Arendt, Jonas, Löwith, Marcuse e tutti gli altri che lavorando nelle università americane dovettero adottare l’inglese si sentirono e dissero orfani della lingua madre

Giallo – Un giallo nel giallo c’è a questo punto, di evidenza palmare, anche se non si rileva. “Vuole che le racconti una bella storia gialla? Dunque, un tale, dopo molte vicende avventurose, diventa il capo di una città. A poco a poco però i suoi sudditi cominciano ad ammalarsi di un male oscuro, una specie di peste. Allora questo signore si mette a indagare per scoprire la causa del male. Indaga che t’indaga, scopre che la radice del male è proprio lui e si punisce”. “Edipo”, si risponde Salvo Montalbano, l’eroe eponimo dei gialli di Andrea Camilleri, dopo essersi raccontata la storia. Su Edipo, primo giallo della storia e archetipo del genere, concordava già Oreste del Buono, “I padri fondatori”. Altri si rifanno invece a Daniele della Bibbia, in buona parte in questo caso apocrifa - il giallo quindi è doppio. E perché non a Abramo? E Mosè? C’è più di un giallo da decrittare nelle storie-storia di Mosè?
E in altre culture? Meglio non  addentrarsi.
Il fatto si presta si presta a molteplici riferimenti in primo luogo per a sua indefinitezza: giallo? Questa parola italiana molto recente significa parecchie cose differenti, la detective novel ma anche il noir, e perfino l’horror, l’action, l’avventura.
Detto questo, è logico che come ogni soggetto arrivato improvvisamente al successo il giallo si dia patenti di nobiltà, risalendo, se possibile, come facevano le nobili famiglie italiane, a Romolo e Remo.

GiornaliBorges e Sabato, “Dialogos”, 24, parlano a un certo punto dei giornali.
Sabato: “Ciò che c’è di più nuovo è il giornale e l’indomani niente è più vecchio”.
Borges: “Questo è sicuro. Nessuno pensa che bisogna ricordarsi di quello che scrivono i giornali. Un giornale si scrive per l’oblio, deliberatamente per l’Oblio”.
Sabato: “Come potrebbero succedere ogni giorno fatti d’importanza trascendentale?”
Borges: “Inoltre, non si sa subito quali lo sono. La Crocifissione del Cristo fu importante dopo e non quando avvenne. È per questo che, seguendo il consiglio di Emerson, non ho mai letto un solo giornale”.
Però, chi sarebbe Borges, e anche Sabato, senza i giornali?

Intellettuale – È l’uomo della speranza per Rilke. Della fiducia. Così ne scrive il 6 agosto 1919, dopo la guerra quindi che l’aveva disorientato, alla contessa Aline Dietrichstein: “È all’avvenire che l’intellettuale è una volta per tutte alleato e infeudato”.
È vero però che lo fa uomo dell’avvenire per non prendere partito tra destra e sinistra, “non potendo prendere il partito di nessuno: né quello dei ricoltosi ciechi, né quello degli uomini che opponevano al loro delirio spesso criminale vecchi metodi non meno ingiusti e non meno inumani; l’avenire non era né da un lato né dall’altro”. L’intellettuale va disimpegnato piuttosto che impegnato?

Prima persona - La prima persona toglie una variabile su cui poter giocare: l’incerto destino del protagonista. Ma a partire dall’“Odissea” ogni racconto è in prima persona. Ogni racconto di storie uncommon.

De Staal – Madame de Staal apre il Settecento come la quasi omonima de Staël lo chiude: due ambizioni probabilmente uguali, due mondi diversi. Un accenno di Diderot a Mme de Staal rinchiusa alla Bastiglia per “partecipazione attiva” alla congiura di Cellamare nel 1718 (una presunta congiura spagnola per impadronirsi del trono di Francia contro il giovanissimo Luigi XV e la sua Reggenza) apre uno spaccato a sorpresa del mondo femminile e delle donne di lettere all’epoca. La congiura sarebbe stata ordita in Francia dalla duchessa du Maine, figlia del Gran Condé, che aveva sposato un figlio della Montespan, bastardo riconosciuto di Luigi XIV, e voleva che fosse incluso nella successione al trono. Della duchessa era da qualche anno confidente e amante Sophie Delaunay, la futura de Staal.
“Rose Delaunay”, al secolo Marguerite-Jeanne Cordier de Launay, baronessa de Staal, ambiva scrivere e in effetti lascerà apprezzate raccolte di “Lettere”, e le “Memorie”, che Sainte-Beuve immortalerà. Ma era una che andava di fretta. Prese il nome della madre, Rose, per usarne anche il nome di famiglia, che si gloriava della particella “de”. Cancellando il padre, un Cordier, pittore, che dovette espatriare a Londra per motivi che la futura madame de Staal non spiegherà. Si toglieva gli anni, una diecina, era nata nel 1684 e non nel 1693 come diceva, e quindi sposerà il barone de Staal a 51 anni. Senza peraltro fascino fisico. Era diventata confidente della duchessa du Maine a 27 anni, come domestica, ma diceva di averne 18, e conobbe l’amore, dirà nelle “Memorie”, quando ne aveva 36 ed era rinchiusa alla Bastiglia. Dove passò cinque mesi ed ebbe un incontro e un rapporto, breve, con un cavaliere de Ménil, non altrimenti noto, al quale scriverà molte lettere – l’unico amore, dirà nelle “Memorie”: Fu quello il solo periodo felice della mia vita. Chi mi avrebbe detto che proprio lì mi aspettava la felicità, e che in nessun altro luogo l’avrei mai più trovata?”.
Era anche un secolo, il Sei–Settecento, pieno di donne eminenti. Di cui Victor Cousin, il filosofo-storiografo che mise il pensiero francese al passo di quello tedesco come “superiore”, scrisse numerose agiografie. Il femminismo deve rivedere alcune ricostruzioni.

letterautore@antiit.eu 

Il lapsus di Freud

È il testo probabilmente più letto – una diecina di edizioni sono disponibili in traduzione – e quello probabilmente più riscrittodi Freud, “per completare, affinare, anche rettificare i concetti originariamente esposti” (J.B.Pontalis). Coi “lapsus”, la parte più consistente di questa vita quotidiana, Freud fa di più. Raddoppia, più o meno, i casi censiti, seppure sempre allo stesso fine: “dimostrare” che la parola o il nome “che non viene”, o i lapsus, di parola,  lettura, scrittura, “sono, come il sintomo, tante «mancanze» testimoni di un compromesso tra l’intenzione cosciente e il desiderio rimosso” (id.).
Ma si rileggono questi “spostamenti” di senso come agudezas, “ne so una più di voi”, per un irresistbile bisogno di one-upmanship, di primeggiare. E a qualche anno data con un senso fastidioso di già visto. Come di un questuante che tiri per la manica. Come di un gioco, che si gusta per la ripetizione a passatempo. Per le regole del gioco che sono fisse e valgono per il gioco ma non per la verità o la realtà delle cose. Anzi, per essere fisse ne neutralizzano una qualsiai funzione euristica che il gioco possa avere.
In tedesco è probabilmente diverso, il lapsus è un fatto linguistico: si rileva col prefisso ver-, ri-, che implica una sorta di trasmutazione. In traduzione resta il fatto, sempre meno brillante e sempre più scontato, faticoso. Fino ai “refusi mentali” - “rovinare” per “urinare”… - perché hanno lo stesso numero di sillabe (e le assonanze no?).
Niente errrori: gli “Errori” qui non sono errori. Equivoci? Stanchezze? Insonnie? Giochi di parole? Vecchiaia? No, niente distrazioni. “Dimenticanze, lapsus, sbadataggini, superstizioni ed errori” è il sottotitolo originale – “Edizione integrale di riferimento” quello di questa riedizione. Ma niente Freud lascia al caso: ingegnoso ma ultimo hegeliano, sistematico e ragionativo a basso voltaggio.  
La raccolta sorprenderà ancora, poiché si ristampa. per gli accostamenti capziosi. Ma, scientificamente, terapeuticamente, perché lo scostamento-spostamento che viene in mente a Freud, o alle sue fonti, e non un altro? Il metodo dello spiazzamento, che qui Freud teorizza al caso 39, è interminabile.
Al termine della fastidiosa aneddotica si potrebbe dare per una volta ragione a Berlusconi: “Qualcuno dirà che è un lapsus freudiano. No, è solo un lapsus”. E un caso si potrebbe aggiungere, quello del dottor Freud che di un lapsus faceva ogni volta un lapsus freudiano.
Sigmund Freud, Psicopatologia della vita quotidiana, Bollati Boringhieri, pp. 283 € 9

giovedì 4 maggio 2017

Il mondo com'è (303)

astolfo

America tedesca – L’America fu a un passo dall’essere tedesca, invece che inglese. Il dollaro è il tallero, sono tedeschi l’hamburger, l’hot dog e le posse, eccetera. Woody Allen ancora lo è, facendo in origine Königsberg di nome, la città di Kant – Allan Königsberg. Così come il divorzio facile, che non è inglese ma tedesco – è stato a lungo anche in America prerogativa maschile, come in Germania, prima che femminile: viene dal ripudio, che usava nelle civiltà tribali non stanziali. Aveva torto Cases a dire il tedesco, questo “suo” (nostro) tedesco, la lingua cioè, “americano travestito” - aveva voglia di scandalizzare il lettore, ma non senza fondamento.
“L’America tedesca” è un capitolo non del tutto faceto di G.Leuzzi, “Gentile Germania”. Ma che dire di Trump, il cui nonno è un tedesco emigrato adulto. Lo stesso Hitler fu americanofilo. Molto “Mein Kampf” tirò fuori da “The passing of the Great Race”, non di una corsa, automobilistica o podistica, ma della “razza grande”, nordica, dell’eugenista americano Madison Grant, che fece le leggi per l’immigrazione negli Usa, a danno dei latini, gli slavi e gli asiatici neri, contro la misgenation, i matrimoni interraziali, e per la “morte misericordiosa” degli incapienti.
Nuove ricerche accademiche negli Usa dicono che la legislazione americana in tema di immigrazione, razze e procreazione fu molto attentamente studiata da Hitler, prima di varare le leggi razziali di Norimberga, contro gli ebrei e altre minoranze, e la Aktion T 4, per l’eliminazione indolore dei minorati, fisici e mentali. Ne parla già nel “Mein Kampf”, dove nota che gli Usa hanno fatto l’esperienza del “crogiuolo” delle razze, hanno visto che non funzionava, e hanno preso provvedimenti per limitare gli arrivi di latini e slavi, e bloccare ogni arrivo dall’Asia, di cinesi, indiani e filippini, lasciando le porte aperte solo alle razze “nordiche”.  I giuristi che da giugno del 1934 Hitler mise all’opera per preparare quelle che saranno un anno dopo le leggi di Norimberga fecero grande caso delle leggi americane in tema di matrimoni misti e di divieti in genere razziali e migratori. Nell’autunno del 1935, dopo l’emanazione delle leggi di Norimberga, una delegazione tedesca di 45 professori di diritto sbarcò a New York per approfondire le leggi selettive americane, accolta con grandi onori.  
Madison Grant, avvocato, e Theodor Roosevelt, poi presidente Progressista e Nobel per la pace, fondarono nel 1895 la New York Zoological Society al fine di bloccare l’emigrazione dall’Est e Sud Europa e sterilizzare gli immigrati da quelle zone: italiani, iberici, balcanici. Il blocco divenne legge, e la sterilizzazione fu libera fino a tutti gli anni Venti, fino a che la Depressione non la rese onerosa. La sterilizzazione dei poveri fu invece coatta dei poveri si praticò su larga scala, diecimila casi nella sola California. Il giudice Oliver Wendell Holmes jr., pilastro del liberalismo americano, e per trent’anni della Corte Suprema, fino ai suoi novant’anni, la autorizzò nel 1927, quando ne aveva 86, anche per i “mentalmente disabili”.

Cellamare – La “cospirazione di Cellamare” fu, si può dire, l’ultimo grande evento della storia d’Europa, nel 1718-1710, di cui siano stati protagonisti degli italiani. Antonio Del Giudice, duca di Giovinazzo, principe dei Cellamare, ambasciatore di Spagna a Parigi nel 1715, che tre anni dopo fu accusato di complottare contro il reggente Filipo d’Orléeans per portare sul trono di Francia, in caso di morte o invalidità di Luigi XV, il re di Spagna Filippo V, un nipote di Luigi XIV. E il cardinale Alberoni, primo ministro di Filippo V.
Non si sa se la congiura di fu. Il principe di Cellamare fu allontanato da Parigi – morirà onorato in Spagna, capitano generale della Vecchia Castiglia. La congiura fu denunciata dall’abate Dubois, segretario di Stato agli Esteri della Reggenza, che per contrastare le pretese dinastiche di Filippo V promosse una Quadruplice Alleanza con l’Inghilterra, l’Olanda e gli Asburgo. La Spagna comunque non poteva aspirare alla successione a Parigi, anche in caso d’invalidità o di morte del principino Luigi XV, avendo sottoscritto specifica rinuncia con la pace di Utrecht nell’aprile 1713. Ma un intrigo dinastico certamente ci fu. La duchessa d Maine, sposa di un bastardo legittimato di Luigi XIV, Luigi-Augusto di Borbone, era avversaria dichiarata a Parigi del Reggente e dell’abate Dubois, perché avevano scartato suo marito dalla linea di successione, sempre “in caso di…”. E per far valere le sue ragioni aveva anche intessuto una corrispondenza col cardinale Alberoni. Convinta del sostegno di Madrid, potrebbe anche aver messo a punto una congiura. Col cardinale Polignac, col duca di Richelieu e altri avversari della Reggenza, per il tramite di una delle sue cameriere e confidenti, che era anche sua amante, la futura baronessa de Staal – una letterata, che ne lascerà molte tracce nelle “Memorie”. Per far sapere i suoi piani a Madrid, la duchessa si appoggiò a un intermediario, Jean Buvat, scrivano alla biblioteca reale, che era un informatore di Dubois. I piani furono confidati a un giovane prete spagnolo. Che Dubois fece arrestare a Poitiers, con tutte le carte. Seguirono arresti (Cellamare, i due Maine, Richelieu, la Delaunay-de Staal, e altri), ma brevi, senza giudizio e senza condanna. E l’espulsione di Cellamare. Non una  grande storia.

Germania – “Il Re di Prussia e il Maresciallo di Sassonia” Voltaire dice, con tutte le maiuscole, “i due più grandi generali d’Europa”, scrivendo a Cesare Beccaria contro la pena di morte. Come si crea un mito - Madison Avenue ha di che imparare? A opera di un filosofo pagato dal re di Prussia.
È una lettera del 1766, quindi il re di Prussia è Federico II “Il Grande”. Il maresciallo di Sassonia è il suo nemico - sono passati appena tre anni dalla fine della Guerra dei Sette Anni tra Federico II e l’Austria, con l’alleata Sassonia.

Irlanda del Nord – Ieri, nel 1921, si divideva l’Irlanda. In Eire, Irlanda indipendente, e Irlanda del Nord, che restava parte del Regno Unito. Il principio della divisione, condiviso dalle due parti, era confessionale: i nazionalisti, cattolici, ottenevano la Home Rule, l’indipendenza, e gli unionisti, protestanti, restavano legati all’Inghilterra. La divisione corrispondeva grosso modo al consenso delle due comunità, allora 3 milioni di unionisti e un milione di protestanti, oggi 4,6 e 1,8 milioni, per molti aspetti ben divise anche territorialmente. La divisione è ora sotto riesame, e il centenario del 3 maggio 1921 potrebbe celebrarsi con una sorta di unione delle due parti, di fatto se non giuridica. 
La divisione è stata contestata nei decenni dal Sinn Fein, il partito nazionalista irlandese, e per un trentennio dopo il 1970 dall’Ira, l’esercito rivoluzionario irlandese, una sorte di braccio armato del Sinn Fein, con azioni terroristiche in Irlanda del Nord e molti morti. Gli accordi che posero fine alla guerra civile nell’Irlanda del Nord non hanno fatto vent’anni che sono, però, ora di nuovo sotto esame. Per effetto dell’orientamento dell’Irlanda del Nord, la provincia legata al Regno Unito, di dissociarsi dalla Brexit – le due Irlande hanno profittato enormemente dell’adesione alla Ue.

Orientalismo - Tra gli orientalisti americani, meno di una dozzina, wikipedia annovera Giorgi Levi della Vida, e Ezra Pound. Non Bernard Lewis, per dire, né Edward Said. Che non figura nemmeno tra gli orientalisti arabi palestinesi. Miserie dell’orientalismo – che in effetti arriva sempre in ritardo, e molto non si spiega, pieno di riserve mentali?

Vecchio della montagna – Gli “Assassini” di Allah vengono da “assassyin che vuol dire «fondamentalisti» in arabo”? È quanto spiega ne “Gli Agnelli del Signore”, il romanzo sul fondamentalismo islamico in Algeria vent’anni fa, lo scrittore algerino Yasmina Khadra - che però scrive in francese. Evocando il Vecchio della Montagna, quello di Marco Polo, lo dice “un matto persiano installato sulla montagna di Alamut per fondare la setta degli Assassini”, e dà questa etimologia dei suoi terroristi ismailiti. Che sarebbe sfuggita a Lewis e gli altri eminenti arabisti che si sono occupati di Hassan El Sabbah.
L’italiano ha preso assassino dalla pratica dei terroristi ismailiti. Ma il nome di “assassini” per i fedeli del Vecchio veniva derivato o dall’uso dell’hashish, oppure dal nome del capobanda, Hassan.

astolfo@antiit.eu

Diderot femminista antifemminista

“Mme de Staal è messa alla Bastiglia con la duchessa du Maine, sua amante; la prima s’accorge che Madame du Maine ha confessato. Immediatamente piange, si butta per terra, e grida: «Ah, la mia povera amante è divenuta folle!»”. Non è l’unica “tenerezza” di Diderot sulle donne che la raccolta evidenzia.
Un’oca giuliva facile preda di un falso medico, nella commediola (“commedia di costumi”) “Mystification”. La virtuistica “Madame de la Carlière” del celebre racconto, che annienta il marito amante. Una recensione per la “Correspondance” - il periodico di Diderot aveva come target  l’aristiocrazia colta - del saggio di Antoine-Léonard Thomas “Dissertation sur les femmes”, che è un rimprovero lungo e argomentato contro l’eccesso di galanteria dell’accademico, un letterato specializzato in “elogi”. Non è una raccolta femminista, come la intende il soffietto editoriale:  “Un omaggio vibrante alle donne, un’arringa ispirata in favore della loro emancipazione”. O allora critico, seppure con due secoli di anticipo – i tre “pezzi” della raccolta datano del 1768.
Una strana lettura, questo Diderot. Duro, radicale, sulla condizione sociale della donna. “Le si sceglie un sposo, diventa madre, l’età avanza, la bellezza passa”. “In quasi tutti i paesi, la crudeltà delle leggi civili s’è riunita contro le donne alla crudeltà della natura”. Famosamente galante anche, per la citazione che si ripete: “Quando si scrive delle donne, bisogna intingere la penna nell’arcobaleno e asciugare la pagina con la polvere delle ali della farfalla”. Che però introduce a una serie di limitazioni: “Niente penetra con profondità di convinzione nel giudizio delle donne”, etc. Altre ne ha già enumerate: “Impenetrabili nella dissimulazione, crudeli nella vendetta, costanti nei loro progetti, senza scruopli sui mezzi per raggiungerli, animate da un odio profondo e segreto contro il dispotismo dell’uomo…”. Coronandole, “come per l’Apocalisse”, con un “frontone sul quale è scritto: MISTERO”.
Al meglio, la donna è il sacro: “Nessun uomo si è mai seduto, a Delfi, sul sacro tripode”. La Pizia è donna, ma di che tipo? “Non c’è che una testa di donna che possa esaltarsi al punto da presentire seriamente l’approssimarsi di un dio, di agitarsi, strapparsi i capelli, schiumare, gridare: «Lo sento lo sento eccolo, il dio»”. Non un complimento, probabilmente, venendo da uno sordo alle divinities.
Una strana lettura: una raccolta minima, di testi d’occasione, che però impone una revisione della lettura femminista della storia , e della storia letteraria. Strana anche perché è una testimoniaza a futura memoria, di antiveggenza. Il falso medico della bella scema si presenta, oltre che come truffatore, come onirocritico e chriromante, prima di Freud. La panssessulità offende la donna, più spesso non interessata. Il proprio della donna è il “delirio isterico”. Che è e non è il limite che si pensa dopo la psichiatria Fine Ottocento, Freud compreso: “Niente di più contiguo che l’estasi, la visione, la profezia, la rivelazione, la poesia focosa e l’isterismo”. Ma: “Ma questa imaginazione focosa, questo spirito che si penserebbe incoercibile, una parola basta per abbattero”. E c’entra anche la luna.
Volendolo salvare, questo Diderot si direbbe un precursore, antifemminista in anticipo. O meglio, trattandosi di un illuminista anche democratico, di un femminista antifemminista. Con due secoli di anticipo in polemica con la correttezza politica che incombe sovrana. Il soffietto non è infondato, ma con limiti – non immotivati.
Madame de Staal è molto di più dell’accenno che ne fa Diderot per un lettore di metà Settecento. Marguerite de Launay, “Sophie Delaunay”, la letterata che a ventisette anni s’introfula nel castello della duchessa du Maine, a trentacinque, mentre è alla Bastiglia, fa l’amore con un cavaliere du Ménil che poi immortalerà in lettere pubbliche, e a cinquantuno (ma si toglieva dieci anni) sposa il barone de Staal, un ufficiale delle guardie svizzere, è il prototipo della donna che “Sur les femmes” mette a nudo.
Denis Diderot, Sur les femmes, Folio, pp. 107 € 2

mercoledì 3 maggio 2017

Problemi di base calcistici - 325

spock

Totti è la Roma o la Roma è Totti?

C’è differenza? Altro che

La legge contro il razzismo negli stadi dice che il nero Muntari va punito se lamenta i cori razzisti?

Si gode di più se la Juventus vince la Coppa dei Campioni, oppure se la perde?

Cosa guadagnano i cinesi con Inter e Milan che i milanesi non potevano guadagnare?

E ora, coi cinesi allo stadio, come faranno i leghisti?

Si dice che gli arbitri possono sbagliare: perché?

Sono anche gli arbitri figli di famiglia?

È il calcio una famiglia?

spoxk@antiit.eu

La “sottomissione” viene da lontano - o Houellebecq alla Cultura, lepenista

“L’integrismo islamico aveva preso proporzioni allarmanti dopo Londra, Bruxelles era ora divenuta un santuario terrrorista”, questo confida a Houellebecq un personaggio del suo racconto, Rudi il Belga, ma già quindici anni fa. E la tedesca Pam, in vacanza anche lei a Lanzarote e in procinto di trasferirsi in Spagna con la fidanzata Barbara: “I tedeschi non hanno più voglia di restare in Germania, perché è un paese sgradevole e freddo, e perché trovano che ci sono troppi turchi”.
Un racconto porno, questo “Lanzarote” rilanciato dall’“Espresso” in chiave ecologica – beh, naturista lo è, le cose si fanno all’aria sulla spiaggia, prima e più che in camera a letto. Condito dall’ironia catastrofica che finirà in “Sottomissione”. E già ben piazzato nella depressione europea, non si può dire che Houellebecq non sia un barometro fedele. “L’umiliazione e la paura” sono già al giro del secolo “una tendenza comune all’insieme delle nazioni europee”. Con l’abbandono inerte alle sette, qui i raeliani - fino a farsi il carcere rassegnati per la pedofilia che la setta non sconsiglia e anzi raccomanda. Houellebecq non vota, e si vuole un piccolo borghese social-democratico, ma sarebbe giusta pietra di fondazione lepenista – buon ministro della Cultura farebbe se lei vincesse domenica. 
Il racconto, al netto della kermesse porno con la coppia lesbica, fantasia eccezionalmente pregiata, è di come uscire dal secolo, o entrarvi. Con una serie di gag, sul turismo e il millenarismo insieme – il turismo del millenarismo, e viceversa: la solita beffa del vissuto, ma non amara. Alla Befana del 2000, per l’inizio del secolo, o forse in anticipo di un anno, Houellebecq fa la vacanza non-intelligente, come lui usa, alle Canarie. Per caso, per l’illuminazione sbadata della ragazza all’agenzia viaggi - un’altra “ragazza con orecchino”, col piercing. E alle Canarie finisce a Lanzarote, per l’“offerta imbattibile”. Dopo aver chiesto - rifiutando “il solito Sud del Marocco” e la Tunisia - “un paese arabo non mussulmano”.
Partenza squillante e seguito esilarante, di amori a tre con le amanti tedesche, testimone un triste belga, abbandonato dalla moglie marocchina, che aderirà alla setta raeliana, molto prospera nell’isola. Si concorda anche lanamnesi delle spagnole, che lo fanno “senza complicazioni e senza storie”. Al contrario delle italiane, “talmente persuase della loro bellezza che divengono impenetrabili”. E altri luoghi comuni ameni. Anche la nazionalità della coppia lesbica, per la gioia del gallo Houellebecq, non è casuale, a ripensarci.
La vera cifra di Houellebecq – una sorta di Enzensberger di destra. Che posa a triste moralista, ma qui fotografa e si fotografa a pin-up. Da critico culturale piuttosto che, come tutti, da soggetto, “turista” e “millenarista”.  
Michel Houellebecq, Lanzarote, Bompiani, pp. 156, ill. € 12

martedì 2 maggio 2017

Secondi pensieri - 305

zeulig

Antropologia – È imbecille, come Wittgenstein opina contro il “Ramo d’oro”? Il pensare (costruire, strutturare, creare) il diverso. Con l’eroismo di gente chiusa nel suo self. Che però innesca (genera) grandi sistemazioni logiche, perfino matematiche. Con profusione e confusione di modelli e strutture, nome e regole che sono tutte eccezioni, forchettate di spaghetti che si arrotolano

Comunicazione – È principalmente immaginazione. La realtà di oggi va per close-up, primi piani,  tanto illusori quanto invadenti – la stessa tecnica dei film-tv. Ma non c’è realtà fuori dell’immaginazione. La comunicazione onesta sta nell’accentuare (denunciare e non dissimulare) l’immaginazione.
In uno stato magari ipnagogico, perché no, al limite tra sonno e sveglia. Per cui l’io e la sua esperienza (immaginazione) diventano direttamente la realtà, il campo di osservazione. Non c’è trucco (malafede) in questa “distrazione”.

Felicità – È nell’aspettativa? Secondo Rousseau, “La nuova Eloisa”: “Non si è felici che prima di essere felici” Nel desiderio: “Finché si desidera si può fare a meno di essere felici, perché si aspetta di esserlo”. Nel desiderio indistinto, cioè, non specialmente mirato o indirizzato: un complesso psico-fisico.
Rousseau è miglior scrittore che pensatore, in tutte le branche in cui si è avventurato, la sociopolitica (l’uguaglianza, la volontà generale) come la pedagogia o socio-psicologia (“Le confessioni”, “La nuova Eloisa”, “Émile”). Ma la felicità non è funzione poetica – a parte la condizione psico-fisica, l’ossigenazione, la zona temperata, la stagionalità mite, l’erotizzazione. Il desiderio è funzione energetica.

Fine – Si lega alla storia: una storia esige una fine.
Non c’è senza storia – non inizia.

Gatto – O dell’incomunicabilità: Rilke ne tenta le fenomenologia nelle lettere al giovanissimo Balthus, del quale preparava la pubblicazione dei disegni a china delle avventurare del suo gatto, Mitsou, come di un essere che “non c’è”. Che anche quando c’è e fissa l’uomo, è assente. Una presenza-assenza che elaborerà nella poesia “Gatto nero”: “Un fantasma è ancora un luogo\ . contro cui i tuoi occhi s’imbattono in una risonanza\  ma questa nera pelliccia\ disfa il tuo sguardo più acuto”. Un essere al confine del reale, dell’esistente.

Gelosia – Quella erotica è una nobilitazione del fenomeno. La gelosia radicale, nella forma più comune, non è quella d’amore, è una forma di esclusione. Tutto è per il geloso suo dominio riservato, i suoi amici e familiari e il resto del mondo, anche quelli di cui gli interessa poco o nulla. È una forma di cattiveria. Di non crescita: è la gelosia “morbosa” del bambino che tutto vuole per sé.
Ma questo anche nei rapporti personali: più spesso non è gelosia d’amore a propriamente intendere, una delusione, il tradimento di una fiducia, quanto una smania di possesso esclusivo. Il geloso rifiuta anche la semplice conoscenza di altre persone, la frequentazione obbligata, per scuola, lavoro, trasporti in comune, perfino gli incontri fortuiti, per strada, in coda.

NovecentoÈ il secolo del processo, costante, indistinto, interminabile (Kafka). Per la demoralizzazione dell’Occidente (Spengler, J.-P.Aron). Cioè per la sua decadenza (Santo Mazzarino)?
E del complotto anche. Per via della guerra quasi permanente, calda e fredda. Il più micidiale affondo suicida.
Le due cose sono legate.

È – è stato – sagra della filologia, come velo di ipocrisia: il “linguaggio doppio” - la perdita di significato delle parole e quindi delle cose – si può dire il Male del Secolo.
È – è stato - un continuo “a parte”. Ghirigoro (riproduzione) e alla fine - scienza delle parole - rifiuto del linguaggio:
a) inerte divagazione. E’ la parte innocua del teutonismo che ci ha ammorbati. ma pur sempre pericolosa: la filologia applicata alla mitologia. E quindi alla cosmogonia-cosmologia, alla filosofia, alla storia, alla precettistica. Dai filosofemi di Nietzsche, impetuoso d’immaginazione, alle pacchianerie di Freud (terribili letture di miti e sogni);
b) subordinatrice al quadrato. È abdicazione al chi l’ha detto e al già detto. Ma non si sa bene (non si può) che cosa sia stato detto, e quindi è scuola del sospetto - quella che produce insicurezza e non quella catartica del giallo: insicurezza cioè subordinazione, ai signori dell’opinione pubblica, della disinformazione, delle trame occulte (cioè della propaganda delle trame occulte, che revient au même.

Perdita – Una forma di possesso, la dice Rilke (“Abbozzi e frammenti”), di acquisizione: “La perdita... non può niente contro il possesso… Lo afferma: in fondo non è che una  econda acquisizione, tutta interiore questa volta e altrimenti intensa”.

Santo – È santo (sublime) chi vuole, e già questo depone a sfavore. Fino al Faust di Goethe, il santo (sublime) farabutto, che cerca la perfezione e si merita la felicità di delitto in delitto.   

Settecento - Faceva contenti “filosoficamente” i re e i demagoghi: li sbugiardava, cioè, tenendoli in punta di penna.

Tecnica - La teoria del complotto ha radici altolocate: un secolo di filosofare sul (cioè contro il) predominio della tecnica che tutto organizza e livella, a scapito dell’individualità e della conoscenza. Manovrata evidentemente dal Maligno e sue incarnazioni. Non grande filosofia – la tecnica? l’uomo è tecnico, dacché è uomo.
I nichilisti massimi, Jünger, Heidegger, forse Sartre, Severino, Vattimo, sono buoni calligrafi, ma si arrampicano sugli specchi, e troppo impegnati a scrutarsi. Non per incapacità. Per voglia, inconfessata, di martirio di fronte alla massificazione della civiltà e della cultura. Col fordismo e i media di massa la civiltà si è adeguata finalmente alle due grandi rivoluzioni occidentali, ma la cosa ci immalinconisce: non ne abbiamo capito (o non li digeriamo) i presupposti, e non capiamo, anche per un gesto di misoneismo istintivo, il meccanismo e gli sviluppi.

Pasolini, intervista a Duflot: Giasone è l’eroe attuale, del mondo razionale e pragmatico, il “tecnico” abulico la cui ricerca è esclusivamente intesa al successo.
Pasolini a volte non “sa” troppo?

zeulig@antiit.eu

Il connubio delle specie al Colosseo quadrato

Dopo le rassegne che lo hanno visto protagonista a New York e nelle capitali europee dell’arte, a Parigi i giardini di Versailles e le Tuileries, il settantenne scultore torinese capofila dell’Arte Povera ha una personale anche in Italia – su iniziativa di Lmvh, il colosso fracencese del lusso padrone di Fendi. Tre sculture-installazioni arboree. In un ambiente del tutto innaturale che finisce per essere “naturale”: il “Colosseo quadrato” dell’Eur a Roma, gli spazi aerei novecenteschi sfuggiti finora a qualsiasi progetto d’uso – svanita l’idea imperiale della committenza, al tempo di Mussolini, del “monumento” alla potenza, il monumento all’inutile.
Un’idea semplicissima e affascinante. A partire dalla “siepe” d’ingresso del complesso di marmo e travertino. Un “Abete”, una grande scultura alta venti metri, anima la fronte imponente dell’edificio. Dentro, le installazioni sembrano trovare nell’ambiente solenne, un po’ perso, la loro collocazione naturale, e finalmente gli danno vita. La serie “Foglie di pietra” è una sorta di giardino d’inverno, ricreato in bronzo, e in blocchi di marmo scolpiti come capitelli antichi. “Ripetere il bosco” è il progetto più antico di Penone, risale al 1969, e si completa a Roma con una serie di tronchi recuperati da blocchi di legno. “Matrice” è un’installazione che si presenta sperduta: lunga 30 metri, le due sezioni di un tronco di abete disposte in continuo, entrambe scavate seguendo l’anello più recente di crescita. E invece si mostra fresca nella nudità, e riesce a scaldare i freddi marmi dell’immenso ingresso del monumento. Un’umanità contagiosa creata per magia, da elementi minerali e mineralizzati. Un connubio delle specie, vegetali in forma, minerali in sostanza, con afflato umano, a suo modo parlante.
Giuseppe Penone, Matrice, Fondazione Fendi, Palazzo dela Civiltà del Lavoro, Eur Roma

lunedì 1 maggio 2017

Recessione – 64

Cento miliardi di investimenti ritirati dall’estero nell’ultimo quadrimestre. Dopo la bocciatura delle riforme istituzionali. .

Tra il 2006 e il 2015 i salari lordi reali medi sono diminuiti del 6 per cento in Italia – in Germania, Francia e Usa sono cresciuti tra il 5 e il 10 per cento (Ilo).

Tra il 2005 e i 2014 il 97 per cento delle famiglie ha avuto il reddito bloccato o in diminuzione (McKinsey Global Institute)

La caduta più drastica del reddito si è avuta nel primo decile” - il 10 per cento della popolazione col reddito minore.

Drastica la caduta anche nel “decimo decile”, dei più ricchi (McKinsey Global Institute).
Crollato in 20 anni di un quinto il reddito medio della classe media, dal 1991 al 2010 (Pew Research Centers, Usa, “Middle Class Fortunes in Western Europa”).
Il reddito della classe media è crescituo nel ventennio in Francia, Olanda e Gran Bretagna, è diminuito in Italia – e in Germania e Spagna.

Nello stesso periodo il reddito medio delle fasce più basse è diminuito in Italia del 23 per cento (Pew Research Institite, id.)

La disoccupazione non cessa di aumentare in tutti i paesi d’Europa: Eurostat calcola a fine 2016 in più di 26 milioni gli uomini e le donne disoccupati nell'Unione europea, di cui 19 milioni nella sola zona euro. Rispetto a un anno prima, il numero dei disoccupati nei 27 paesi Ue è aumentato nel 2016 di 1,8 milioni.

I tassi di disoccupazione più bassi Eurostat registra nel 2016 in Austria (4,8 per cento), Germania (5,4), Lussemburgo (5,5), Olanda (6, 2). I più alti in Grecia (26,4 per cento), Spagna (26,3) e Portogallo (17,5). La Francia raggiunge il suo massimo storico, 10,8 per cento, l’Italia si attesa ufficialmente all’11,6.


Eurostat rileva, accanto ai disoccupati, 18 milioni di “sottoccupati”. Di cui 8,8 milioni risultano “scoraggiati”: persone che vorrebbero e sono in grado di lavorare, ma hanno smesso di cercare un'occupazione poiché scoraggiate dai rifiuti.  E 9,2 milioni “occupati part-time” che  vorrebbero invece lavorare a tempo pieno - 600 mila in Italia. 

Ma la contestazione è il cuore della democrazia

È il 1970, la contestazione è forte in America da almeno tre anni, nelle università e in piazza, e la studiosa Arendt non manca di registrarla: “La violazione della legge, sia civile che penale, nel corso degli ultimi anni è diventata un fenomeno di massa”. La contestazione si può far risalire a Socrate, la disobbedienza civile. Ma è anche tipicamente americana, spiega Arendt con Thoreau: la disobbedienza civile è il proprio di quella democrazia. Il contratto sociale vi è orizzontale, basato sui concetti romani di potestas in populo e societas, il mutuo impegno e la reciprocità. Nasce qui l’Auctoritas Usa, più che nella continuità storica – naturalmente non nello Stato etico e similari.
Una risposta giovanile a una contestazione giovanile, generazionale, in atto negli Usa almeno dal 1967. Proposta a un convegno della Bar Association di New York, l’ordine degli avvocati, a metà 1970 - pubblicata sul “New Yorker” il 12 settembre – sul tema apoc apocalittico “La legge è morta”.  Arendt argomenta il contrario “a contrariis”: la legge si basa sul con senso, che si fonda sul dissenso, sulla possibilità di dissentire. Come per Socrate, ma come per qualsiasi dannato della terra. Il consenso è automatico e quasi istintivo: ciò che fa una comunità. Così pure, a suo modo, il dissenso, pietra fondativa della democrazia, l’autonomia decisionale.
L’intervento-saggio si può infiorettare del piccolo contributo in denaro che Arendt e suo marito, Heinrich Blücher, avevano mandato a Parigi a Daniel Cohn-Bendit due anni prima, come modesto omaggio alla contestazione-rivoluzione. Era Cohn la madre di Hannah, Martha, con la quale la filosofa aveva condiviso molte esperienze, orfana presto del padre. Ma non era questo il legame: “Danny il Rosso”, di capelli e di politica, era il figlio abbandonato di un padre che era fuggito nel 1941 dalla Francia occupata con Hannah Arendt e suo marito. Il padre Erich era un tedesco antinazista che i francesi nella drôle de guerre internarono a Villemalard, con gli altri tedeschi rifugiati, tra i quali Blücher. Uscito da Villemalard Erich fece in tempo a fare un altro figlio, Danny, prima di abbandonarlo emigrando clandestino nel ‘41 negli Usa, via Spagna e Lisbona, con la nuova moglie Lotte. Emigrò col gruppo di Hannah Arendt. Che intanto, evasa da Gurs, il campo dov’era internata, sulla via dei Pirenei aveva incontrato il fidanzato Blücher e l’aveva sposato. Inviandogli il modesto contributo nel 1968 Hannah riconosceva in Danny il figlio di suo padre: il Sessantotto sarà anche stato un passaggio di generazioni, ma tra chi è stato perseguitato in guerra e chi ci è nato. Era come se il dopoguerra avesse perduto vent’anni.
Hannah Arendt, La disobbedienza civile, Chiarelettere, pp. 96 € 9,50

domenica 30 aprile 2017

Ombre - 364

Quattro magazine culturali a fine settimana, “La lettura”, “Robinson”, “L’Espresso”, “Il Sole 24 Ore Domenica”, 93 libri recensiti o presentati, 53 mostre, e niente di appetibile – giusto De Simone, ma il maestro ha il vezzo di vendere i suoi appetitosi libri a prezzo carissimo, dagli 80 in su. Un’editoria senza un libro interessante? Un giornalismo culturale che non sa leggere?

Il presidente del Senato Grasso non sa nulla, nella migliore delle ipotesi, dei traffici sugli immigrati. Ma non si perita di bacchettare, non richiesto, il Pm di Catania, suo (ex) collega. Giudice morde giudice.
Anche: siciliano morde siciliano.

“Riforma Inpgi: da maggio la trattenuta sulla pensione per il contributo di solidarietà”, annuncia trionfale il sito dell’istituto di previdenza dei giornalisti. Una trattenuta è una riforma?
Una trattenuta a nessun fine utile, una “solidarietà intergenerazionale” che è solo un artificio per ridurre il deficit di una cattiva gestione. L'ipocrisia arriva tra i giornalisti alla previdenza?
Stupidità non può essere.

“«Ong pagate da scafisti», bufera sul pm”, titola “la Repubblica, cui lo stesso pm si confida in intervista. Senza dire che è un business ricco, domiciliato in paradisi fiscali e penali.

Dopo aver fatto di tutto in sei mesi per non dirci nulla di Trump, se non che è un riccone, “la Repubblica” lo omaggio addirittura con uno speciale: “Perché il popolo di Trump continua ad amarlo”. Ad opera dello stesso giornalista Rampini che ha finora oscurato il presidente Usa. Una caduta da cavallo?

Ma, poi, il giornale ex di Scalfari si riprende: “Da 30 anni mezza Palm Beach detesta il tycoon” Trump. Cioè, non tutta Palm Beach, l’altra metà è con lui?

Novità a “Striscia la notizia”, il giornale dell’irriverenza: un servizio fuori ordinanza, di Antonio Casanova, spiega che dietro il premio Strega c’è Arnaldo Colasanti. Che non sappiamo chi sia, ma “Striscia” ci assicura che è anche il deus ex machina - – in letteratura il latinorum è d’obbligo - del Salone del libro di Torino.
Stupore degli ascoltatori abituali di “Striscia”: che vorrà dire (Casanova è un illusionista)?

Il servizio velenoso su Colasanti e i sui libri avvelenati, a Roma (Strega) e a Torino, l’inviato di “Striscia” Moreno Morello tenta poi di farlo commentare a Tempo di libri, la fiera con cui Milano ha tentato di surrogarsi Torino anche in questo (piccolo) business. Ma in campo stretto e strettissimo, che non si veda che la fiera è un flop, deserta.
Il mago Casanova serviva per propagandare, surrettiziamente, Tempo di libri?

Si ascolta Emiliano su Sky con stupore: candidato presidente del consiglio? Un giudice che fu sindaco di Bari per grazia di D’Alema. Riconfermato dal giudice Scelsi e la giornalista Sarzanini, che s’inventarono la D’Addario quando i baresi andavano a silurarlo al ballottaggio. Che dopo un anno dal provvidenziale “intervento” elettorale Emiliano premiò con una licenza alberghiera, benché la donna fosse schedata.

Lo stesso Emiliano che ha aperto Bari alle mafie: bische, sale giochi, spaccio. Cautelandosi con un’ordinanza, che fa divieto ai cittadini di “sguardi di vendetta”.

Dunque, sette anni di vacanza pagata, dallo Stato, e perché l’Alitalia doveva votare per i tagli? La vacanza pagata si chiama cassa integrazione, ma per modo di dire: gli assegni vanno da 2 mila a 10 mila euro, netti, al mese. Più gli assegni familiari e i contributi sociali.
Pagati in teoria dalla cassa mutua dei lavoratori dell’aria. Che però è a secco, e prima o poi toccherà all’Inps. Morale della favola?

“L’Italia  il paese di Masaniello”, proclama Raffaele Catone, il presidente dell’Autorità anti-Corruzione, Anac. Da buon napoletano senza interrogarsi. Quale Italia?

“Fs e Poste servono allo Stato?”, chiede il “Corriere della sera Economia”. E chi gestisce le assunzioni, sennò? E i trasferimenti?

L’inefficienza delle banche ha qualcosa di soprannaturale. Restringono i ruoli, restringono il personale, che si penserebbe per questo meglio formato, ma si organizzano – tempi e procedure – su sprechi di lavoro e intelligenza inauditi. Ci vogliono mesi per la pratica di uno o due minuti. Aprire un conto, o chiuderlo, richiede raccomandate multiple, appuntamenti, minutaglie. Ogni volta con una dozzina di firme, e malloppi di stampati che nessuno sfoglia. Un mutuo prende sei mesi, quando va bene.

Arriva Trump e scompaiono, quasi, gli immigrati illegali negli Usa. Che erano il doppio di quelli che lamenta l’Europa. Senza nemmeno il muro che Trump voleva erigere. Basta la parola? C’è un’organizzazione dietro i clandestini?

Ritorno alla vita con la poesia

Letta a distanza, quindici anni dopo, questa raccolta del “rientro” di Alda Merini nell’establishment letterario a Milano, dopo l’internamento, per vent’anni alienata, alla vita e all’opera, e il matrimonio a Taranto con Michele Pierri, il chirurgo poeta, la scolpisce e la limita. Sono cinque plaquettes, due  degli anni 1995-200 (“Il figlio di Enea”, “Albergo a ore”, riunite sotto il titolo “Poemi eroici”), e tre (“La donna di picche”, “L’anima”, “Coda” sotto il titolo “Clinica dell’abbandono) degli anni 2000-2002.
La raccolta è dedicata al futuro cardinale Ravasi.
Le prime plaquettes sono vere e proprie composizioni, in solitario, riviste, riscritte anche. In un “parlato” che procede alacre, seguendo al lungo periodo di clausura in manicomio, sotto la pressione violenta (incontrollata, incontrollabile) dell’immaginario reale, di fatti e eventi, situazioni, cose. Per la padronanza in vario modo spontanea, non coltivata (ricercata) di tutta la panoplia poetica, la strumentazione tecnica: discorsiva, elegiaca, evocativa, didascalica, imperativa, riflessiva a volte, per iluminazione o sapienza. E tutte le figurazioni, metafore, ellissi, analogie - non simbologie: sono eslcuse quasi di programma, fuoriescono. E assonanze, dissonanze, anafore, troncamenti, ortografici e logici.
Le seconde sono dettate, come di getto, pratica che poi diverrà a Merini consueta, con amici e semplici visitatori  – a Roberto Rossi, Alberto Casiraghi, Manuel Serantes, Vincenzo Mollica. Una pratica “importante” per l’analisi dela poesia dei folli, da Hölderlin a Nerval, a Nietzsche, a Campana, a Saro Napoli ultimamente (“Incom”). Si legge oggi come un selfie, in varia forma e foggia: una sorta di “immediatezza studiata”, come istintuale, ma indirizzata a una buona presentazione. Immediatezza, intuizione, rapidità. Dei movimenti, della creazione. Febbrilità.
Ci sono già qui molte anagogie, come sarà poi sempre più frequente nella poesia di Alda Merini. Ma avvoltolate di escrescenze corporali, anche violente o vili: è poesia d’amore per lo più.  “Poemi eroici” è in realtà la plaquette “Albergo a ore”. Con echi anche qui ricorrenti di Manganelli, dell’amore indigesto. E poi di avventure. Di amori fisici, amplessi: “La lussuria è un monumento segreto\ e pieno di silenzio”.
Si legge come un selfie prolungato, un’esasperazione dell’egolatria, del poeta lirico, affannoso anche, ma non ingombrante – per il sottofondo di pietas che accompagna la lettura-fruizione? Tra “topi di ventura che vagano entro la fronte”. Tra forti ossimori, “naturali”. Nella resa: “Col solo nominarti\ ti nego”, “In modo tanto tenebrosamente luminoso”. E nella costruzione: “Prima di venire\ dimmi che sei già andato via”, “Tuona non appena f a bello”. O al gioco delle antitesi, per assi incrociate: “l’esaltazione all’inferno”, “il sereno nella bufera”, o viceversa.
Merini richiederebbe a questo punto, esaurita l’ebrietà, una rilettura. Un assestarmento-ricostruzione critico. In assenza, si prende per quello che è: un fluire partecipe indistinto, anche se di acque pure.  
Alda Merini, Clinica dell’abbandono, Einaudi, pp. 120 € 12