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sabato 27 gennaio 2018

Ombre - 401

Sa di scherzo, beffardo, la soluzione della Bbc sulla parità retributiva – decurtare i compensi maschili. Ma è uno sviluppo inevitabile, il politicamente corretto è un impoverimento. Si dice che è egualitario, ma nel senso dell’impoverimento, di tutti: toglie a chi ha e indebolisce (non rafforza: vittimizza) chi non ha.

Draghi depreca l’esternazione del ministro del Tesoro Usa sulla tenuta del dollaro: “Il dollaro debole fa bene al commercio degli Stati Uniti”. Ma non ha mai deprecato le ripetute, mensili, settimanali, quotidiane, esternazioni del ministro del Tesoro tedesco e del presidente della Bundesbank contro l’Italia, cioè contro l’euro. Non sa il tedesco?

A Davos l’Europa non ha saputo che dire. Se non chiacchiere sui massimi sistemi, la libertà, il dialogo, l’accoglienza. È come il partito Democratico e i media Usa, che a un anno dall’insediamento di Trump ancora si consolano con le pernacchie. Non è necessario dominare Davos, nemmeno esserci, ma in questo caso è opportuno avere una fisionomia. Merkel, Macron, Gentiloni, che figura ci hanno portato  a fare?

Fanno scalpore i calzini infantili esibiti a Davos dal premier canadese Trudeau. La resistenza è scesa ai calzini? Il giovane Trudeau punta ancora più in alto, all’infanzia – la famosa infanzia del capo?

“Trump baciato dall’economia è superstar a Davos”, “Davos è casa sua, la casa dei denari”. La cosa ci indispettisce, niente degli Usa a noi ci garba, se vanno male e se vanno bene – devono solo proteggerci con le loro cento o duecento basi. Ci piace di più perfino la Germania di Angela Merkel, arcigna. Che, è vero, non ha riportini.

Il ministro Usa del Commercio Wilbur Ross va a Davos e “fa capire” che le denunce degli accordi e i dazi sono “posizioni negoziali”. Molto chiaro – lo era anche prima, se Trump è e si vuole un dealer: la globalizzazione è voluta e imposta dagli Usa, è interesse americano. Ma non alle squadre di giornalisti italiani a Davos: essi dubitano, coraggiosamente. Qualcuno tenta perfino di fare della Cina il campione del libero scambio… Non si può dire nemmeno l’anti-americanismo – non è morto col Pci?

Arrivati al dunque, sborsare i tre - o cinque - miliardi promessi a Erdogan per tenere buoni i profughi siriani, Angela Merkel coi galoppini olandesi e belgi presenta il conto alla Ue: vanno pagati sui bilanci in essere, a detrimento delle altre voci di spesa. Non una spesa straordinaria fuori bilancio, derivata da una sua autonoma iniziativa, lei non vuole spendere di più. È la giusta portavoce di questa Europa.

Germania, Olanda e Austria non vogliono contribuire la loro (piccola) quota dei 3 o 5 miliardi a Erdogan per non favorire l’estrema destra nei loro paesi. Come se la colpa della destra in Germania, Olanda e Austria fosse nostra e non dei loro governi.

Dal “New York Times” alla “New York Review of Books” la sola cosa di cui si parla è la pedofilia, di cui la colpa si fa ascendere al papa regnante. Prima Ratzinger, papa tedesco e quindi obbiettivo facile. Ma anche ora che c’è Francesco, il papa di strada argentino non esime: non c’è pace per la chiesa in America. Per i latinos sì, di cui Trump vuole bloccare l’immigrazione. Hanno abiurato?

“Miracolo don Matteo: politici in fila da Vespa il giovedì”, “La fiction è ottimo traino, tiene alti gli ascolti”. All’undicesima serie. Tenuto conto della probabile età della audience, si capisce che poi i politici prendano pochi voti.

“Chi potrebbe essere la Katharine Graham d’Europa? Angela Merkel”: Meryl Streep si fa intervistare con Tom Hanks da Cristina Battocletti per promuovere il film “The Post” di prossima uscita, sul “Washington Post” di cui la sua eroina era editrice. Voleva effettivamente promuovere il film?

Battocletti fa osservare che la percezione della cancelliera in Italia è un po’ diversa. Ma Streep non arretra e anzi rincara: “È vero e lo sappiamo. Ma Merkel è un modello anche per quello che rappresenta. Vedete una donna in Italia con il suo ruolo?”. Molto fine: c’è già in America la sindrome Trump?

Streep, incoronata la sera da Fazio come campionessa anti-Trump, è lei stessa nel ruolo della Lady di ferro che ha impersonato prima  di Lady Graham, Margaret Thatcher? La contesa è fra Titani, ma correttamente ri-generati: uno maschio e uno femmina.

Ricorre periodicamente il problema dei “derivati” in pancia alla Deutsche Bank, che potrebbe disintegrala. Ma intanto sul “L’Espresso” Paolo Biondani e Luca Piana documentano come la banca tedesca abbia guadagnato almeno tre miliardi coi derivati venduti all’Italia. E ci stia guadagnando.
Tutto segreto. Ma dove pesa la bilancia si capisce: dalla parte dell’intelligenza.

Non poteva mancare il letto nella trumpeide, ed è stato trovato. Invece del “lettone” di Putin un grande albergo, alla vista di tutti. E non una matura barese che cerca soldi per la casa, ma una diva del porno, “Stormy” Daniels. Che però nega, veemente, e anzi dice il presidente un gentiluomo. A chi credere?

“The Wall Street Journal” ha inventato la storia di Stormy per imbordellire la trumpeide? Il quotidiano più diffuso degli Stati Uniti, due milioni di copie, è di proprietà di Murdoch, la “prima tessera” di Trump. Lo scandalismo non porta a niente, se non al peggio. 

Il Campidoglio si riprende il controllo del patrimonio immobiliare, che aveva dato in gestione. Osanna. Ma l’aveva dato in gestione perché non ne sa nulla. Nemmeno che immobili ha -  “circa” 30 mila. Si sa invece che ha pezzi pregiati, nel centro pregiatissimo, Navona, Trevi: qualche palazzo, teatri, cinema, i non pochi ettari dell’area ex Mattatoio, tanta roba. E che pochi pagano, a canoni irrisori. Poi si dice che Raggi non governa: eliminando il gestore, gli amici e gli amici degli amici potranno continuare a non pagare. 

Un Traiano per l’Europa

“Creare l’Europa” c’entra poco con l’imperatore Traiano. E anche con l’impero romano. Ma una cosa diversa questa mostra per i 1.900 anni della morte dell’imperatore la dice. Nella puntigliosa ricostruzione didascalica, nei reperti in esposzione, nei (pochi) calchi della colonna Traiana commissionati da Napoleone III un secolo e mezzo fa e finalmente visibili, a altezza d’uomo. L’impero romano era “terribile”, come è ora d’uso (s)qualificarlo, ma terribili erano anche i suoi nemici. Quelli di Traiano erano i Daci, ed è tutto dire, erano crudelissimi e non morivano mai – e poi i Parti in Siria. Con la Dacia, conquistata infine stabilmente, anche a memoria futura – è la Romania, enclave neolatina nel mondo slavo - diede all’impero romano la sua estensione massima. 
Un altro aspetto trascurato di Roma, che la mostra lambisce, è la condizione femminile. Traiano viveva in una modesta casa sull’Aventino, accudito dalla moglie Plotina e dalla sorella Matidia. Donne modeste e di grande capacità politica, così ricordate dai contemporanei, e dal figlio adottivo Adriano, che seppero condurre al comando senza scosse - l’aver cresciuto Adriano è altro merito non da poco. Il personaggio è insomma notevole, i Mercati ne fanno mostra ogni paio di anni, nella precedente con i calchi in orizzontale della Colonna, ma ne hanno motivo. Adriano è speciale anche per essere stato insieme establishment, figlio di senatore, e homo novus, il padre senatore essendo spagnolo, il primo imperatore quindi non romano, e lui stesso imperatore per adozione, per meriti cioè personali - un sistema che resterà in vigore fino a Marco Aurelio, un delle stagioni migliori dii Roma. 
La mostra si apre con al rappresentazione di un trionfo: i suoni, le scenografie, i tributi, un tripudio. Ma si presenta umbratile, come a voler dare un senso ordinario dell’impero. Forse a eco dell’Europa di oggi. Ma Traiano era uno che pensava e operava in grande. il grande porto di Roma, un foro, i mercati, un acquedotto portano il suo nome, il rifacimento del Circo Massimo, la Colonna di 30 metri sotto cui è seppellito. Forse il titolo della mostra è augurale: un Traiano per l’Europa?
Traiano. Costruire l’impero, creare l’Europa, Mercati di Traiano, Roma

venerdì 26 gennaio 2018

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (352)

Giuseppe Leuzzi

«Non ne posso più di Verga, di Pirandello, di Tomasi di Lampedusa, di Sciascia”, Gaetano Savatteri sbotta in “Non c’è più la Sicilia di una volta”: “ Non ne posso più di vinti; di uno, nessuno e centomila; di gattopardi; di uomini, mezz’uomini, ominicchi, pigliainculo e quaquaraquà. E sono stanco di Godfather, prima e seconda parte, di Sedotta e abbandonata, di Divorzio all’italiana, di marescialli sudati e baroni in lino bianco. Non ne posso più della Sicilia”. Come non concordare?  “Non ne posso più della Sicilia immaginaria”, dice Savatteri. Ce n’è un’altra? E perché non parla?

C’è un Nord-Sud anche sugli abusi sessuali. Una foto ritrae in Perù un cardinale O’Malley severissimo, il presidente Usa della  Commissione vaticana a tutela dei minori, assistere alla messa, alla base aerea di Las Palmas, del papa Francesco. Che poi, sull’aereo, si è dovuto scusare. Di avere usato il verbo “provare” invece che “circostanziare”, a proposito degli abusi subiti da quanti li denunciano a distanza di tempo. Una differenza tra i due verbi non c’è, è impercettibile. La sottomissione del papa “meridionale” al cardinale “settentrionale” è invece spessa, nell’immagine e nella filologia. 

“Impunito” era il collaboratore di giustizia nell’ordinamento papale, degli Stati pontifici. Non apprezzato, nemmeno dalle autorità – che però premiavano il “pentimento”: chi accusava gli altri riceveva casa e rendita. “Faccia da impunito” è rimasto nel romanesco come “faccia tosta”.

Avere meglio che dare
“Un’economia di mercato può esistere solo in una società di mercato”, Karl Polanyi.  Un’economia cioè moderna, in grado di crescere, e diffondere la ricchezza.  Per società di mercato s’intende una società libera e autonoma.
Noi siamo liberi e autonomi ma non siamo una società di mercato, perché? Più importante è il funzionamento, spiega l’economista e sociologo ungherese: società di mercato è quella in cui si sa, è normale, è giusto, dare per avere, lo scambio. Noi viviamo le due funzioni separate, dare e avere.
Nella società tradizionale, di un paio di generazioni fa, in cui prevaleva l’economia del dono più che dello scambio eguale, dare prevaleva sull’avere. Per ragioni di show off e one-upmanship se non di generosità o giustizia. Poi, sposandosi all’idea di democrazia, quando la Repubblica ha messo ardici, la disfunzione ha prodotto un’avidità incontenibile. Le regole sono state relegate all’ambito di chi ha: per ricchezza, potere, ordine. Che è anche “giusto” combattere e frantumare, anche se solo  per spirito di rivalsa, e senza una proposta (ricchezza, ordine, potere) sostitutiva.
L’avidità si sposa al disordine. È il disordine democratico?

La mafia è come i pesci
È “mafiosa” anche la testata di Ostia. Data in pubblico, anzi davanti alle telecamere: la “mafia” non si nasconde. A quando Weinstein mafioso?

Si pubblicano le intercettazioni sulle mafie di Ostia, dal 2015. Agghiaccianti. Perché esplicite, in chiaro, di chi e cosa impone: i clan, gli individui, i beni sotto tiro. Senza che nessun contrasto sia mai stato promosso, né dalle polizie né dai giudici. In attesa della “retata” sui tg tre anni dopo, il 25 gennaio 2018.
Intanto ci sono state sparatorie, con feriti. E la solita serie interminabile di “avvertimenti”, che lo Stato non considera e sono economicamente micidiali. La colpa naturalmente  di chi non è andato a denunciare. Cosa?
La mafia è come i pesci: si aspetta per tirare le reti che siano gonfie. Ma il mafioso è altrettanto innocuo della sardella?

La mafia alla Casa Bianca. E al Cremlino.
Poteva mancare la mafia nella trumpeide? Ce l’ha introdotta un Glenn Simpson, che il Senato e la Camera dei Rappresentanti Usa hanno voluto ascoltare mesi fa, di cui si pubblica ora la testimonianza - per imbordellire la trumpeide? Simpson è un ex giornalista che ha un’agenzia investigativa privata, che ha lavorato per un gruppo del partito Repubblicano concorrente di Trump, e poi per il partito Democratico, e ha tra i consulenti l’ex spia britannica Steele, che è all’origine del Russiagate (Trump nella manica di Mosca dagli anni 1970).
Simpson parla di “mafie italiane e mafie russe”, plurali, senza precisare - forse collegate? Si vede che non ha un pentito italiano.

Non ci sono solo la Casa Bianca e il Cremlino nella manica della mafia. Anche il Sud America. Qui però nelle vesti del giustizialismo. “Da vecchie repubbliche delle banane a regni del giustizialismo”, il Sud America Rocco Cotroneo documenta oggi sul “Corriere della sera” in preda al raptus da Mani Pulite: non c’è classe dirigente nel sub-continente che non sia sotto attacco, per dritto e per rovescio. Non i sono i Riina all’opera, ma l’esito è lo stesso, l’Italia insegna: non ci deve essere governo.

Weinstein mafioso non è tanto per dire. È stato il kingmaker di molti Oscar, per esempio di Benigni. Di film di qualità, se non tutti quasi – per esempio di Benigni. E quindi benemerito. Ma uno che sapeva indirizzare la platea dei votanti, che in teoria è sterminata, di cinque o diecimila votanti, anche in Asia e in Europa. Come? Al gioco delle influenze, del produttore-distributore importante – un po’ come faceva a letto.

Questo forse non è mafia: si sa che i produttori, oltre che le attrici, amano i premi, è un trademark, loro stessi lo dichiarano. Ma ci sono agenzie e consulenti a Hollywood specializzati in questo. La più famosa, Lisa Taback, una doppiamente obesa ma ben energica, ha fatto vincere da sola Benigni, e “Shakespeare in love”, “Il discorso del re “, “The Artist”, in bianco e nero, “Spotlight”, “Moonlight”, film difficili o di poco peso. Come? Non con la seduzione: si possono fare carriere col voto. Senza uccidere, quindi senza mafia, ma la concorrenza facendo ben mafiosa. 

Emilio Cecchi diceva mafiosi anche Vittorio Emanuele Orlando, Gentile e Borgese, nei “Taccuini”: “Com’è siciliano il ministro liberale, umanitario e capo mafioso.  Si capiscono G. e Borgese”. Gentile, ministro potente, segnava prudente con l’iniziale – omertà?

La mafia è delle donne
Alex Perry, un giornalista americano anglicizzato, col fiuto per gli eventi di cronaca – fa un libro l’anno, sul tema del momento, Boko Haram, Jihad, Tony Blair, George Clooney, Scozia indipendente, etc.: la sua biografia dice che negli ultimi venti anni ha vissuto in Asia e in Africa, “scrivendo di oltre 100 paesi e coprendo oltre 30 conflitti come corrispondente di guerra” – punta quest’anno sulle donne di mafia. Forte probabilmente del successo delle donne di camorra nella serie tv “Gomorra”. Ha già scritto il libro, “The good mothers”, le buone madri, che uscirà a giugno. E ne prepara il lancio anticipando il primo capitolo sul “New Yorker” del 22 gennaio, sotto il titolo “Blood and Money”.  “The True Story of the Women Who Took on the World’s Most Powerful Mafia” è il sottotitolo del libro, di grande presa (“storia vera”, “la mafia più potente al mondo”): Perry e i suoi editori sanno come catturare i lettori.
Il primo capitolo è un calco di Saviano, “Gomorra”. Anzi un remake. Da narratore di migliore vena. E con una punta di onestà: dichiara subito che il libro nasce dalla collaborazione con la giudice Alessandra Cerreti, l’ex giudice del lavoro poi collaboratrice di Pignatone, del tutto mafia, a Reggio Calabria e a Roma. Ne virgoletta pignolo i pareri. Fino a fare con precisione le parti: “Abbiamo parlato per sette ore, nel 2015 e nel 2016. Cerreti alla fine ha rifiutato altri incontri”.
A Reggio Calabria la giudice Cerreti “ha gestito”, dice il suo curriculum,  “la collaborazione della prima donna di “ndrangheta” PESCE Giuseppina, figlia del boss PESCE Salvatore”. Che è andata bene – Perry rappresenta Giusy Pesce come una donna determinata, anche nei ripensamenti. E “ha gestito, insieme al collega dott. Giovanni Musarò, la collaborazione con la A.G. di CACCIOLA Maria Concetta”. Che è invece andata male – Perry rappresenta Cacciola, di cui non dà il nome proprio (Concetta non piace?), come una giovane bella e sognatrice, mal sposata per ragioni di ‘ndrangheta, che infine non regge alla tensione.
Il libro parte con la storia terribile di Lea Garofalo - un romanzo se non fosse una storia criminale, di tanti crimini l’uno dietro l’altro. Ma subito allarga l’obiettivo – Perry sa come catturare il lettore - alla ‘ndrangheta mafia mondiale, dai tentacoli in “cinquanta paesi in giro per il mondo”.  Inafferrabile per essersi proiettata nella finanza globale, e per l’omertà – “un codice di silenzio imposto con una gerarchia familiare claustrofobica e una misoginia assassina”. 

Il solito guazzabuglio di primitivismo e sofisticatezza. Non descrive le case, le parlate, gli abbigliamenti, gli odori, gli sguardi dei mafiosi, tutto quello che confluisce nelle bombe e gli assassinii. Li delocalizza perfino, astraendoli in una sorta di empireo, seppure del male – le case dei Pesce a Rosarno, ambienti degradati di un paese degradatissimo, descrive come nei verbali di polizia giudiziaria: ville, comfort, tecnologie. Il solito monumento. Si capisce che la giudice Cerreti a un certo punto abbia chiuso la saracinesca. 

leuzzi@antiit.eu 

Il papa sapeva giù nel 1933

Un’antologia svelta – un po’ troppo - degli scritti e gli interessi della monaca carmelitana, filosofa, mistica, profetica, nata ebrea, finita a Auschwitz nel 1942, canonizzata da Giovanni Paolo II vent’anni fa, “santa Teresa Benedetta della Croce, vergine e martire”. A cura di Angela Ales Bello, che per Città Nuova ha curato molte sue opere.
Uno spirito superiore, cui l’antologia rende piccolo omaggio. Scritti – parti di scritti - sulla famiglia ebraica, un ricordo affettuoso della madre, che pure l’ha ripudiata alla conversione. Sulla liberazione femminile. Sulle forme e la funzione dello Stato, che è uno ed è sovrano – “non ha senso parlare di Stati che sono non-sovrani” – ma deve ricomprendere tutte le sue comunità. Un’analisi e una definizione del “popolo”, il Volk.“Il popolo compie azioni e ha destini”. Esiste, è un soggetto dela storia Ma non su basi razziali: l’unità biologica non lo definisce e non lo determina, ed è anzi insufficiente ad assicuare consistenza e durata: “Un legame di sangue non è sufficiente a fondare una comunità di popolo; ad esso si deve ggiungere una comunità spirituale”. Tutte tematiche che Weimar e il nazismo montante imponevano negli anni 1920. Nel 1933 scrive una lettera profetica sul destino degli ebrei al papa Pio XI. Subito, già (si) sapeva. E già poteva porre la questione delle responsabilità. Non dello sterminio, ma delle persecuzioni e i suicidi sì: “Se la responsabilità cade in gran parte su coloro che li hanno spinti a tale gesto, tuttavia cade anche su coloro che tacciono su questi avvenimenti”.
Le argomentazioni della lettera per una qualche forma di resistenza sono irresistibili. Il nazismo, “regime che si definisce «cristiano”, è un oltraggio all’umanità del Cristo, “è una macchia nera nella cronaca di questo anno santo che dovrebbe essere l’anno della pace e della riconciliazione” – il 1933, la cosa si trascura, era anno santo, indetto da Pio XI per celebrare i 1.900 anni della morte del Cristo….
Allieva a lungo e segretaria di Husserl, altro convertito, fino alla scelta del noviziato.
Edith Stein, Vado per il mio popolo, Castelvecchi, remainders, pp.95 € 4,50 

giovedì 25 gennaio 2018

Problemi di base protettivi - 394

spock

Nostra Signora Merkel, a Davos, sotto la Montagna Incantata?

Meglio Trump o meglio Merkel, chi protegge di più?

Trump è invaso dalle importazioni, Merkel invade con le esportazioni: esportare è meglio che importare?

Merkel ci ha sderenati, e con noi la Spagna, il Portogallo, la Grecia (anche la Francia neo napoleonica):, è per questo che ha ragione?

Protegge più la Cina protezionista o l’America First?

E l’India del fondamentalista induista Modì?

Si celebra a Davos l’economia globale: ma è un mondo liberato o un nuovo feudalesimo, di ricchi, potenti, monopolisti e mafiosi?  

spock@antiit.eu

Quando l’intelligenza isolava gli scrittori

Scrivere negli anni 1950 che i comunisti adoperano il moralismo soltanto come arma di lotta (finché “d’un tratto, nell’Unità, Togliatti passa dal moralismo al machiavellismo”) non era popolare, e ha contribuito a isolare Brancati. Che però non deflette. La libertà è “dai fanatici e dai dogmatici”. Il Pci è “militarista”: unità, fronte unico, serrate le file, blocco nazionale. Senza rinunciare allo spirito caustico: “La nostra società è quasi sempre conformista, ma in modo particolare quando si atteggia a rivoluzionaria”. La rivoluzione è “un tirannico Luogo Comune”.
Non i malumori di un reazionario: Brancati non può sottrarsi, libero, all’intelligenza – ci fu un periodo (ma c’è ancora) in cui l’intelligenza non era ammessa in Italia, era a rischio anatema. Gli italiani si dividono così, tra “il marxismo di Saragat e il liberalismo di Togliatti” - il solito gioco dei Quattro Cantoni. Pieno se non altro di umori. Come il Sartre “grafomane”, e “filosofo di Hitler”: “Superuomini di mezza tacca che compiono il bene nel modo scandalistico con cui i superuomini di D’Annunzio compiono il male”. La cura del linguaggio da parte di Pio XII, analizzata nel discorso sulla verginità, per la beatificazione di Maria Goretti – “per effetto di ciò egli finisce epr esprimersi meglio dei romanzeri B. o Q.”. Mazzini non rideva, per mancanza di felicità, oggi si è cui per mancaza d’intelligenza” – come quest’oggi nostro, l’età della crisi nella Grande Affluenza? E la torre d’avorio? “Ne esco continuamente. In fondo si va a vivere perché non si sa che cosa scrivere”. Con l’ambizione sempre oblomovista dei romanzi catanesi:”Il tempo è talmente soave che si prova semrpe il rimorso di non averlo perduto abbastanza: per quanto io stia seduto in Galleria (a Napoli, n.d.r.) a non far nulla, ho il sospetto che avrei potuto fare ancora di meno”.
Contestabile anche – ma forse no: “La massa è per istinto reazionaria. I problemi di libertà e progresso sono individuali”. Con molti spunti narrativi. La morte del principe Colonna. L’amour fou tra il “brav’uomo di Fiesole” e la ragazza bolognese, che vorrà difendere l’onore dell’Italia a fianco dei tedeschi.
Vitaliano Brancati, Diario romano

mercoledì 24 gennaio 2018

Secondi pensieri - 333

zeulig

Autocosceinza-Autoanalisi – “La capacità di riflettere su se stessi fra gli uomini è una qualità rara e assai caratteristica”. La riflessione è ricorrente negli appunti autobiografici di Spengler, “A me stesso” - in questa versione alla p. 89: “Ma nei drammi e nei romanzi sembra proprio che gli uomini non abbiano altro da fare, tutti quanti. E questa poi dovrebbe essere «verità». Per questo il Cesare di Shaw è un pazzo furioso”. Quanto rara – il Cesare di Shaw può essere noioso per latri motivi? È la «verità» anche del criminale, e sempre intesa – la qualità non fa aggio. Dell’avaro (affarista, speculatore, immobiliarista, calcolatore….). Del politico, specie oggi diffusissima – oggi che la sua reputazione è, sarebbe, al livello infimo. Del bugiardo, perché no.

Diritti umani - Sono stati e sono la bandiera del neoliberalismo, ma ora con una problematica appropriazione. Il neoliberalismo si è fatto e si fa forza dei diritti umani, fino a quelli degli animali domestici e anzi di ogni essere vivente, la natura vegetale compresa, e quella atmosferica, ma conculca i diritti del lavoro . In Europa sulla scia della Germania, della liberalizzazione del mercato del lavoro nel 2005, negli Usa negli anni di Obama. Le stesse forze e gli orientamenti che guidano i diritti umani nel loro punto oggi focale, l’immigrazione. Che deve essere libera e incontrollata, cioè non protetta, per gli stessi fautori del mercato deregolamentato del lavoro.
Una contraddizione-contraffazione, perfino sordida.  Un paralogismo tropo evidente della libertà, di cui non si può non vedere la distorsione: la libertà sarebbe jugulare il lavoro. E con l’immigrazione illimitata la coesione sociale e perfino nazionale, l’atomizzazione della società – Brexit e America First da una parte, dall’altra le secessioni.

Donna – È sostituibile, ma se ne può fare a meno - anche della donna dopo l’uomo? È concepibile un mondo senza donne? No, poiché andrebbe a esaurimento. Si può sostituirle. Di certo la donna è e non sarebbe concepibile: le sue forme, la sua funzione, le fantasie che le sono cresciute addosso, nessun genio umano potrebbe inventarle. La procreazione stessa è inconcepibile se non fosse. Più delle condizioni concluse, all’apparenza razionali, dell’immortalità e la morte, poiché è entrambe, e quindi è più di ognuna di esse. Ma è l’immaginazione che apre la via alla ragione, non bisogna temere l’ignoto.
Si potrà nascere senza donne, è fatale, come già senza l’uomo. Molte creature senza padre vivono, esseri che le madri non hanno concepito per amore, non del padre. E già le donne figliano senza fertilizzarsi, nel grembo altrui – è l’utopia, la riproduzione senza la produzione. Analogo artificio si troverà per gli uomini, un utero artificiale. Casanova lo presagì, che diceva: “Una delle prove dell’ateismo è che, se Dio ci fosse stato, non avrebbe creato la donna”.

Fede – Si rinnova o è deposito costante? La fede politica, religiosa, affettiva? Il papa regnante, Francesco, la dice tanto più forte quanto più è in crisi. Ma ciò non vale come esercizio alla santità – scacciare le tentazioni? La fiducia è incrollabile. Anche se resta da sapere perché.

Male – Va col bene, certo. Giovanna d’Arco è santa dopo essere stata bruciata come strega, irredimibile peccatrice. Savonarola avrebbe potuto – potrebbe – esserlo, santo anche lui. Pietro è santo fondatore della chiesa dopo avere rinnegato Cristo. Ignazio di Loyola fu un assassino. Ma in generale non ci sono santi senza peccati gravi. Perché il male non è la morte - non può, la morte è flessibile.
Lo diventa per un disordine, una debolezza – l’ira, il dolore, fisico e mentale (passionale). Per una mancanza anche.

Morte – È amata anche per un bisogno vitale, la necrofilia non è un delitto né un disturbo psichico. Qualcuno si tiene in salotto la Porsche insanguinata nella quale James Dean morì, che ha rubato al deposito giudiziario. Come già nel culto delle reliquie.

Punto – Un segno ortografico da cancellare, secondo Musil (“Ribellione al maschio”, nella raccolta “Parafrasi”, p.145): “Punto e punto e virgola sono sintomi di regresso – sintomi di stasi. Dunque non si dovrebbe lasciare la sintassi nelle mani di professori fossilizzati”. Di più: “Punto e punto e virgola li scriviamo non soltanto perché abbiamo imparato a fare così, bensì perché pensiamo così. – Questo è il pericolo. Finché si pensa in periodi col punto finale - certe cose non si lasciano dire - al massimo vagamente sentire”. Musil usa invece lo Strich  - la lineetta, il dash. Anche due volte di seguito: variazione su variazione (digressione su digressione, attributo su attributo). Non un senso ma la vaghezza del senso.

Sesso – È sempre più tutto l’amore, ma come rifiuto dell’amore, checché esso si voglia. Ma non è rifiuto anche del sesso, al fondo? Si vede meglio nella relazione omosessuale, che si vuole giocosa  più che appassionata, e anzi soltanto giocosa, unicamente. Come la semiologia scopre nei segni la manifestazione della mancanza del referente, lo stesso per la sessualità esaustiva, totalizzante: si cancella l’erotismo con l’appagamento sessuale, mentre la coazione a ripetere diventa odiosa in sé e rende odioso l’oggetto del desiderio.
Questo è Sade in senso proprio.

Ulisse - Voleva solo tornare a casa. Ma a cosa? Alle abitudini, al cane, agli schiavi, alla moglie, tutti fedeli, fu questa la sua richiesta a Omero in cambio della narrativa sulla guerra, quando il poeta lo evocò dagli inferi: voleva le pantofole? In quanto Odissòmenos era l’Odiato.
Omero, ha ragione Samuel Butler, fosse egli pure un omaccione barbuto e non la gentile Nausicaa, era esperto di vita domestica e non di viaggi per mare o di mondi lontani, neanche di vita nei campi. Ma il suo eroe è uno che vuole tornare a casa o uno che non vuole tornare? Quella tela è tremenda metafora, sia essa fatta con i fili oppure con i Proci - un altro del genere è Dante, che aveva egli pure famiglia, coi relativi complessi (ma Ulisse essendo già morto, il suo è un viaggio nell’aldilà, non un ritorno, problematico).
Il ritorno a casa, alla donna, è contestato da Graves col famoso argomento contro chi voleva Omero donna: Odisseo incontra la morte le nove volte che incontra una donna, Calipso (“colei che nasconde”), Circe (“la rapace”), Nausicaa (“che brucia le navi”), Scilla (“quella che spezza”), Cariddi (“quella che risucchia”), eccetera.

È un avventuriero, anche se passivo, e non un casalingo. Il ritorno a casa, il cammino della nostalgia, si fa poi per virtute e conoscenza.
Resta il problema di chi la casa non ce l’ha. Stendhal, per esempio, che alla fine lasciò ventiquattro testamenti. A lungo i morti hanno voluto solo essere interrati e pianti – l’interramento è poi diventato obbligatorio per regolamento di polizia.

zeulig@antiit.eu

O viaggiano le merci o viaggiano gli uomini

C’è un ragione economica, oltre a quelle sociali e umanitarie, per l’ammissione dell’Africa e dell’Asia meridionale, le aree a forte emigrazione, agli cambi internazionali. E per investire - favorire gli investimenti - nelle stesse aree. Con l’effetto di alleviare l’immigrazione di massa, incontrollata e poco sostenibile: se viaggiano le merci non viaggiano le persone.
Era la conclusione settant’anni fa di un saggio classico di Paul Samuelson, “International Trade and the Equalisation of Factor Prices” (“The Economic Journal”, giugno 1948). Partendo dalla teoria classica dello scambio, per la quale il libero movimento dei fattori di produzione tra differenti regioni porterebbe a egualizzare i prezzi assoluti e relativi degli stessi fattori nelle diverse regioni, Samuelson analizza il mercato del lavoro, e giunge alla conclusione che il libero scambio delle merci egualizza i salari dei lavoratori non qualificati.
Il commercio come sostituto per il movimento delle persone. È quello che avviene negli scambi con la Cina, l’India, il Vietnam, le economie associate al libero scambio: se ne importano le merci ma non i lavoratori. Teoricamente, è “come se” l’“invasione cinese” , o indiana, o thailandese, o turca, fosse di lavoratori cinesi, indiani, turchi – al netto naturalmente dei costi di trasporto e di accoglienza, e dello squilibrio tecnologico (specialistico, organizzativo, etc.): la produzione di certe merci nei mercati di consumo è passata ai lavoratori cinesi, indiani, etc. Ma di fatto si ha una cosa (la merce) e non l’altra (il lavoro): il lavoratore cinese, etc., non ha nessun interesse a percepire la stessa paga, non qualificata, fuori casa.

Appalti, fisco, abusi (114)

Il costo del kWh in bolletta è solo per il 19,13 per cento della materia energia. Per il 27,54 per cento è del trasporto (il trasporto di un KWh…). Il 42,7 per cento, quasi la metà, va agli “oneri di sistema”. Cioè a pagare le rendite ai produttori di fonti rinnovabili – l’investimento più lucroso del Millennio. Che inquinano, ma si fanno anche pagare, nel nome dell’ecologia politicamente corretta.
Sugli “oneri di sistema”, che è a tutti gli effetti una tassa, si paga anche l’Iva.

Enelenergia invita insistentemente, ogni paio di giorni, con sms e email, all’addebito diretto, su c\c o carta di credito. Con un rinvio a un sito in cui, dopo aver digitato una decina di informazioni e richieste si trova invariabilmente, da almeno quattro mesi, questa dicitura: “I nostri sistemi sono momentaneamente non disponibili per attività di manutenzione in corso. Si prega di riprovare più tardi”. Ma non c’è il reato di molestie – solo sessuali?

Una utility dell’energia (Acea) può iscrivervi suo cliente d’autorità, senza alcun contatto, per luce e gas. È un abuso e una truffa, ma non è contestabile. L’Autorità per l’Energia se ne disinteressa. Se l’utente vuole tornare al suo fornitore abituale deve rifare i contratti, aspettare tre-quattro mesi con chilometrici scambi di corrispondenze, incassare il rimborso dei depositi cauzionali e pagare nuovi depositi: un calvario.

Il libero mercato dell’energia è una truffa continuata. Anche legale, pare. I contatori elettronici a distanza per la luce e il gas vengono installati e fatti pagare, ma non vengono letti: si procede a calcolo. Talvolta arriva un rimborso, ma non si sa di che, né a quale costo del kWh o del mc.. L’autolettura è scoraggiata, nel presupposto che a barare sia l’utente (i contatori romani, dell’Acea, la rendono anche ardua, non essendo retroilluminati). Ogni bolletta della luce o del gas si compone di una trentina di specifiche. L’Autorità per l’Energia, costosa, esiste solo per autorizzare periodicamente aumenti tariffari.

La raccolta differenziata di carta e cartone, che si fa da un trentennio e oltre in tutta semplicità, da un anno buono è impossibile a Roma: i cassonetti non vengono svuotati per settimane e mesi, traboccano, la carta traboccante imputridisce, sporca. Mentre il Comieco, il consorzio del recupero e riciclo della carta, paga pagine di pubblicità sui giornali per invitare alla diferenzaiata. Meglio spendere che raccogliere: ci sono margini?

Sciascia al circolo dei notabili

Alcune recensioni (Calvino, Arpino, Lampedusa, e terre incognite, Joyce, Lawrence Durrell, E.M.Forster). Elzeviri e moralità varie. Ritratti di contemporanei (Borgese, Longanesi, Savinio, Montale…), non dal vivo, ritratti letterari. Materiali riesumati e curati, con una postfazione e lunghe note bibliografiche, da Pasquale Squillacioti.
Si confema il moralismo – la vena magisteriale - di Sciascia nel suo giornalismo. Che naturalmente inveisce contro chi lo diminuisce: “Soltanto gli imbecilli, più o meno addottrinati, continuano a considerare il moralismo come un contraccettivo alla grandezza”. Da intellettuale angusto, di provincia malgrado le tante letture. Con poche pointes. Il “marinismo realistico” che insidia sottotraccia le lettere italiane. La propria generazione, quella a cavaliere della guerra, indebitata con Gadda ma anche con Cecchi – il rondismo. L’“avventurosa” lettura dei racconti fiabeschi di Calvino - che la parola “avventura” ricorre in tanti titoli, fatto non casuale per un redattore esperto come Calvino, e che la sua avventura è rovesciata rispetto a quella del Manalive di Chesterston, che bisogna fare il giro del mondo per ritrovare la propria casa: la nobile prosapia di Calvino fa il giro della casa per scoprire il mondo. E la posizione politica, sempre coraggiosa nei confronti dello squallore da compromesso storico e dell’opportunismo dei giuridici. Appassionanto, eccellente, il ritratto di Savinio. Anche molta roba, ma con quel limite. Anche nel ricorrente, appassionato, stendhalismo.

Machiavelli è “liquidato” in tre righe, violente. Come “Il gattopardo”. Su Tomasi di Lampedusa riversa anche qui un assurdo odio sociale, da circolo paesano dei notabili. Sull’“Ulisse” di Joyce riesce a non dire nulla. Dumas nell’avventura garibaldina è di “irresistbile comicità”, un traffichino, e probabilmente un profittatore di guerra. Anche l’etnicità, quel volere la Sicilia un altro mondo, infastidisce.  
Leonardo Sciascia, Fine del carabiniere a cavallo, Adelphi, p. 246 € 23

martedì 23 gennaio 2018

Problemi di base - 393

spock

Perché la pipì pesa e la cacca no?

L’uomo discende dalla scimmia, e il pappagallo?

Anche i coccodrilli piangenti discendono dalla scimmia?

Il Var o la Var? Per una squadra è maschio, per l’altra femmina?.

Perché i calciatori sputano?

E si segnano tre volte, che religione è?

Se i componenti non togati del Csm sono laici, i togati sono preti?

spock@antiit.eu

Sull’euro aveva ragione Baffi

Si apre questa riedizione paperback con un sussulto. Nella nuova prefazione, una lunga nota per ribadire l’europeismo della sua critica, Stiglitz affina la denuncia dei punti critici dell’euro su una traccia che evoca Paolo Baffi: la linea dei cambi fissi ma flessibili. Che tanti lutti avrebbe risparmiato, e forse la stessa retrocessione dell’italia alla serie B, nel mondo e in Europa. L’“altra” linea dell’euro, che era la proposta italiana prima che Ciampi e Draghi sposassero le posizioni della Bundesbank, della rigidità e del vincolo esterno. “Una analisi di un unione monetaria”, ribadisce Siglitz, “che non cominci col chiedersi cosa succede quando i tassi di cambio sono fissi manca il nodo centrale: il problema fondamentale dell’euro è stato che ha eliminato il meccanismo di aggiustamento dei tassi di cambio e non ha messo niente al suo posto”. Se la Germania nella seconda parte della crisi post-2007 avese inflazionato la sua economia, aumentando salari e prezzi, “questo avrebbe innestato il necessario aggiustamento del tasso di cambio reale”. Ma questo non è previsto nei trattati, e quindi non faceva parte del “kit della trojka”. Anzi, “mentre insegnava agli altri quello che dovevano fare, la Germania ha perseguito politiche che conducessero a un più ampio surplus dei conti correnti con l’estero”, a indebolire i partner. Questo, insiste Stiglitz, era già spiegato in “L’euro”: senza aggiustamenti nel tasso di cambio, “alcuni paesi (come la Germania) realizzano enormi surplus dei conti correnti”, mentre altri “languiscono”. 

I dati sono quello che sono – a parte il “deficit democratico” di questa Euroeuropa. Che Stiglitz mantiene immutati, quelli della prima edizione un anno e mezzo fa, peraltro noti a tutti benché sottaciuti. L’eurozona ha fatto peggio rispetto all’Europa non-euro, e molto peggio rispetto agli Usa. Con un andamento del pil reale pro capite negli anni 2007-2015 negativo, di meno l’1,8 per cento, contro un più 2 per cento dell’Europa non-euro, e il 3,2 degli Usa (p.69). Gli anni dell’euro sono stati magri per l’Italia, magrissimi (p.75): una crescita stitica, di poco più dell’1 per cento, negli anni 2000-2007, e una decrescita media del’1 per cento tra il 2007 e il 2015. 
Da crisi in crisi, a beneficio degli hedge funds
“La colpa è delle vittime” è la tesi di Bruxelles, Dijsselbloem, Moscovici – Stiglitz parte da questa constatazione. Per anticipare subito secco la sua conclusione: questo dice tutto sullo stato dell’Unione, troppi paesi dell’eurozona andrebbero meglio senza l’euro. I paesi del Nord Europa hanno reagito meglio perché “virtuosi”? Ma la Finlandia, “un paese del Nord con buone istituzioni, che andavano abbastanza bene prima dell’euro”, ha problemi. E l’eurozona nel suo insieme ha un tasso di crescita ridotto, quasi dimezzato, rispetto al resto del mondo. Rispetto al Ferragosto 2016, quando “L’euro” fu pubblicato la prima volta, Stiglitz dice più che confermata la tesi che “l’eurozona nell’insieme avrebbe molto probabilmente tirato avanti passando da crisi in crisi – un percorso di aggiustamenti che apre ampie opportunità agli hedge funds che prosperano nella volatilità e l’instabilità ma che mina la crescita e i miglioramenti a lungo termine degli standard di vita”.   
Un altro libro, in un’altra ottica: dal malfunzionamento dell’euro al populismo dilagante, con la Brexit e l’America First. La riedizione contiene un capitolo, in forma di postfazione, sulla Brexit e il populismo. E un’introduzione che sintetizza e acumina i vizi dell’euro. Il tema politico è semplice: centro-sinistra e centro-destra, il “consenso” che governava l’Europa sulle stesse posizioni (privatizzazioni, deregolamentazioni, del lavoro compreso, incentivi al capitale), hanno imiserito l’Europa, e buona parte degli Usa, e non rispondono più al sentimento popolare.
L’euro della casalinga sveva
I problemi dell’euro sono una mezza dozzina, sempre insoluti. È una mneta unica, ma in una struttura politica confederata, non unitaria. In una struttura decentrata, “il principio di sussidiarietà è cruciale”: ciò che è locale, e ha pochi o punti riflessi al di fuori della comunità, dovrebbe esere lasciato alla comunità. È sbagliato il fondamento dell’euro: che il deficit di bilancio e il debito sono nemici della moneta unica. Sul presupposto che un paese o un’economia che non adottase politiche restrittive “impone esternalità” agli altri. Le “esternalità” sono state imposte alle economie, ridotte alla stagnazione, e alle politiche di solidarietà, cancellate. Per preservare la concorrenza, sono state proibite tutte le politiche industriali, comprese quelle che avrebbero aiutato i nuovi entranti nel cammino della “convergenza”, senza disastrarli (emigrazione, crisi bancarie, crisi sociali) e con beneficio complessivo di tutti – come prevedevano i trattati europei ante-euro. Una gabbia così rigida lascia però libertà di concorrenza fiscale, all’Irlanda e al Lussemburgo sopra tutti (Juncker ne è maestro), e anche all’Olanda, al Portogallo, a Cipro.
Nella prefazione Stiglitz sottolinea i capp. IX e XII, per difendersi dalle accuse degli europeisti à la Merkel, di essere parte della speculazione contro l’euro. Sottolinea che le sue proposte di riforma – peraltro necessaria – sono in linea con l’Unione Europea come i suoi fondatori l’avevano voluta,”una unione vincolata da un senso di soldarietà e interesse comune”. Propositi che si sono perduti nel “neoliberalismo e gli interessi delle élites aziendali”. Nonché, aggiunge nella postfazione sulla Brexit, nella demagogia della “casalinga sveva” cui indulge Angela Merkel.

I limiti dell’euro indeboliscono la politica: “Nei paesi in crisi i cittadini tendono a colpevolizzare i loro politici, non considerando i vincoli entro cui devono operare”. Ma, se l’euro è popolare, “cresce anche la sfiducia verso le istituzioni europee, inclusa l’istituzione centrale dell’euro, la Bce”. Con la considerazione ovvia nella pagina dedicata all’Italia – ma non ovvia in Italia, né alla Vigilanza Bce – che “un’economia che ristagna per un periodo lungo quasi inevitabilmente si ritrova le sua banche in difficoltà”.
Soldi alle banche, sfratti ai cittadini
Chi ci ha più rimesso, del neoliberalismo dell’ultimo terzo di secolo, “sono state le classi lavoratrici e medie in Europa e negli Usa”. Il populismo è tutto qui, e la disaffezione dalla politica (astensionismo). Questa è la chiave del capitolo conclusivo, un lungo saggio sulla Brexit che Stiglitz aggiunge: “Le banche sono state salvate – di fatto centinaia di miliardi di dollari sono andati al salvataggio delle banche, dei bancheiri che hanno causato la crisi, dei loro azionisti e obbligazionisti – ma poco è andato ai cittadini ordinari, incluse le vittime del credito predatorio delle banche. Milioni hanno perso il lavoro. In molti paesi, tra essi gli Stati Uniti, l’Irlanda, la Spagna, la Grecia, molti hanno perso la case, con sfratti di massa”. Di più: “Tagli massicci e controversi nel tessuto basico della società – nell’assistenza sanitaria e sociale – furono necessari per essere generosi con le banche. Tutto questo sembrò molto ingiusto – e lo era”.
L’economista americano, premio Nobel 2001, è di parte. Premiato a Oslo per studi di microeconomia (sulle “asimmetrie informative”: nel caso da lui analizzato le tecniche di un attore economico che voglia acquisire informazioni anche esclusive da un altro attore), è un economista politico. È stato sostenitore e parte attiva del movimento Occupy Wall Street nel 2011, è consulente di Corbyn, il segrerario neoclassista del partito Laburista britannico, ex vice-presidente (direttore degli studi economici) della Banca Mondiale, impegnato per la liberalizzazione delle importazioni dal Terzo mondo povero. È contro il neoliberalismo di Blair e Schröder, è colpito negativamente dalla Brexit, da europeista convinto, e molto ostile a Trump e al programma America First. Ma non si evita di spiegare che gli accordi economici globali di Obama, il Transpacifico e il Transatlantico, che Trump ha denunciato, sono stati negoziati e conclusi in segreto, per esiti evidentemente poco democratici, non di opportunità per tutti. Curiosamente anzi, nella apgina in cui attacca Trump (p. XIX), gli dà ragione: “Senza forti iniziative nazionali” non c’è futuro, “gli standard di vita di molte persone peggioreranno significativamente e molte comunità saranno abbandonate”. Nativismo e protezionismo sono le risposte, e l’isolazionismo (Brexit, Catalogna - e America First?).
La sua verità è peraltro semplice: “Non si può avere un’unione economica senza una qualche condivisione dei rischi e degli oneri. Tenersi al ritornello “L’Europa non è una transfer union”, un’unione di sussidi, “significa che l’Unione Europea non può funzionare”. Non col falso argomento dell’“azzardo morale”, il rischio che i paesi più poveri o disordinati si approfittino di un qualsiasi sistema di condivisione del rsichio – l’argomento è “un uso vergognoso di ragionamenti speciosi”: come si fa a immaginare che un governo provochi la disoccupazione, o mandi le sue banche alla bancacotta, giusto per avare un fetta più grande di trasferimenti Ue?
Joseph E. Stiglitz, The Euro, W.W.Norton, pp. 459 $ 17,95

lunedì 22 gennaio 2018

Letture - 332

letterautore

Classici – Sono un mistero, nota Spenlger in uno degli appunti autobiografici (“A me stesso”, fr. 84): “Mi diventa sempre più chiaro che uno dei misteri più profondi dell’anima occidentale  - forse la sua chiave – è rappresentato da questo ingiusto amore per il mondo classico.”. Amore insensato: “Quale altra civiltà ha mai sperimentato qualcosa di simile? E ciò che amiamo è solo l’antichità classica, non l’Egitto, non l’India. Anzi, per essere giusti non è nemmeno l’antichità classica, bensì una sua falsa immagine che abbiamo composto con tutto ciò di cui noi siamo privi. Dell’antica plebe ci facciamo un’immagine magnifica, mentre la plebe delle nostre metropoli ci disgusta. Ulisse, lo yankee e l’impostore, e Morgan, Cesare e Rhodes, Alcibiade e Oscar Wilde”.

Critica – Si continua a vedere film e scorrere libri su indicazione dei critici senza trovare niente, o poco meno di niente, di quello che si è letto. Specie le indicazioni di “Sette”, “Robinson”, “Venerdì di Repubblica” – quelli del “Sole 24 Ore” la domenica invece in genere coincidono. I libri di Saviano come “L’Arminuta” o ora le Fresserinnen di Postorino. O il film su Paul Getty, “Tutti i soldi del mondo”, quello di Özpetek su Napoli, “L’ora più buia” su Churchill. Magari più belli  - affascinanti, divertenti, accattivanti – ma per ragioni diverse, indiscutibilmente diverse. Che film vedono i critici, che libri leggono? O non li vedono e non li leggono, e la critica è fatta dal press agent  e promotori?

Donna genitale – È in Musil, “Ribellione al maschio”, uno dei frammenti di “Parafrasi”, 131, “il concetto genitale «donna»”(“Genetalbefgriff ‘Weib’”). Di fatto, la donna come proiezione del maschio – di Bisio nel film di Genovesi, “Ma che bella sorpresa”: “Una donna quale appunto abbisogna ai miei nervi eccitati, cioè una donna che non dica nulla, non faccia nulla, non sembri nulla tranne quel che è pertinente a questi nervi. Alla quale non abbia bisogno di spiegare per bene che cosa mi interessa ma che sia stata in un certo modo finora una parte di me”: Una filiazione, una che “sprizzi compiuta dal mio capo come a suo tempo Pallade Atena”. :

Lutero – Annesso abusivamente da Streicher e Hitler, ma non per questo meno antisemita. Joseph Roth lo apparenta in più punti a Hitler. Come traccia di studio, ma con più verità storica dicendolo “l’unico elefante della storia nel negozio di porcellane” (“Tutti senza passaporto,”, 1934, in “Autodafé dello spirito”): “Il suo successore o, per meglio dire, uno dei suoi successori, nel negozio di porcellane, è Adolf Hitler”. In effetti, appena celebrato come un partigiano e un combattente per la libertà, Lutero era intollerante al massimo grado. “Quando Hitler arrivò al potere e la sua opera ‘Mein Kampf’ veniva lodata da tutte le lingue devote”, insiste Roth successivamente, 1937, nel saggio “Emigration” anch’esso compreso in “Autodafé dello spirito”, “il paragone Hitler-Lutero era quasi di uso corrente”. Non dice di più, non si nasconde che il paragone è azzardato:”Non dobbiamo qui analizzare la verità profonda di questo paragone”. Ma personalmente sicuro: “All’autore di queste righe sembra in effetti che il neopaganesimo di Hitler sia connesso alla tesi di Wittemberg e che senza questa sarebbe impensabile”.

Occidente – “Il genio dell’Occidente è il risultato di lotte e battaglie (Beethoven), il genio antico che «rifiorisce»”, O.Spengler, “A me stesso”,  fr. 84. L’Occidente è “classico”.

Poe – Oswald Spengler non amava Poe, e non si spiegava che Baudelaire lo amasse tanto. Se non per questa ragione:”Ha scambiato una vuota speculazione sui nervi  (Poe è l’inventore del romanzo poliziesco, d’appendice e criminale) per hashish: ha scambiato il cocktail per un Borgogna”. L’hashish dunque come il Borgogna, pregiato.
Ma anche “l’inventore del romanzo poliziesco, d’appendice e criminale” non è da poco.

Poeti – Solo fra loro possono amare. Solo un poeta può fare coppia con una poetessa, e viceversa. Così Musil nei “Diari”, dicendolo “ideale dei romantici e delle loro donne”: “I poeti fra due mondi non hanno un punto di appoggio. Solo una poetessa può diventare la donna di un poeta, perché ha la stessa malattia di lui.  Così si insegnano reciprocamente a non sentirla”. Se lei è, per esempio, una musicista, “dunque una semplice dilettante come scrittrice, si tormenteranno invano per trovare insieme la felicità”.

Poeti di strada – Che “in Germania i poeti non hanno mai avuto un ruolo così importante come in Francia” Joseph Roth deduceva da un fatto preciso: “Non si vede pressoché nessuna strada portare il nome di un poeta… Esiste una via Kleist a Berlino, ma è inteso il generale Kleist, e non l’unico genio letterario che la Prussia abbia prodotto”.
Neanche in Inghilterra e negli Usa, in effetti: quindi nel ceppo sassone? In Italia invece i riferimenti sono numerosi, tra Carducci e D’Annunzio, i più gettonati, e Manzoni, Leopardi, etc. – come in Spagna.

Traduzione – Della poesia è come dice Valéry: “I più bei versi del mondo sono insignificanti o insensati, una volta rotto il loro movimento armonico e alterata la loro sostanza sonora”.

Trumperie – Letto alla francese, è il genere del momento: a chi le racconta più grosse. Ora il famigerato Michael Wolff con “Fire and Fury”, niente meno, fuoco e furia. Cui “l’Espresso” e Matelli fanno un monumento, prendendolo in giro.
Un genere inesauribile, la gara a chi le racconta più grosse. Oggi, ma non senza precedenti. Anche di  lusso:  Rabelais, Ruzante, Raspe (Münchhausen). Ma già Omero, seppure col sorriso.

letterautore@antiit.eu

La sovranità di rivalsa

Chi più chi meno, anche soltanto per prenderne le distanze, fa della sovranità tema della campagna elettorale – l’unico politico, accanto alla tente promesse di tagli e abbuoni fiscali. La sovranità monetaria. Che però ritorna in accezione difensiva, perfino rancorosa, come avviene ormai da tanti anni per i movimenti più specificamente anti-Eu, sulla tracia del lepenismo in Francia – in Italia con la Lega di Salvini, in antitesi con quella “lombardista” di Bossi, che voleva già il marco prima dell’euro. Una sovranità si chiede di rivalsa, contro l’esercizio della stessa da posizioni di potenza. Si fa appello alla sovranità come rivalsa perché c’è in atto un esercizio sovrano di sovranità.
Il caso è dell’euro. Che si presupponeva, e ancora viene bizzarramente presentato, come egualitario per i partner aderenti. Strumento comune di sviluppo materiale e di progresso civile. Mentre è uno strumento creato e gestito dalla Germania, Modellato dalla Bundesbank. Gestito dalle esigenze del governo tedesco. Lo statuto della Bce è quello voluto dalla Bundesbank – ha solo il compito di prevenire l’inflazione e vigilare sulle banche, non di garantire occupazione, produzione, termini di scambio, come è l’uso per le banche centrali, il buon funzionamento dell’economia. Le politiche della Bce sono quelle della Bundesbank, nei tempi e nei modi che il governo tedesco vuole. Il bail-in è stato adottato quando le banche tedesche si sono messe all’asciutto. Nel 2008 l’unione bancaria è stata rinviata di quattro anni, per la crisi di Hypo Real Estate, una delle maggiori banche tedesche, e  per il tracollo a fine settembre della Csu, che Hypo Real Estate finanziava a perdere, nel proprio feudo elettorale, la Baviera (meno 17,3 per cento). I patti di stabilità che irrigidiscono il sistema monetario sono di origine e natura tedeschi. 
Solo il riacquisto dei titoli di Stato da parte della Bce, o iniezione di liquidità degli ultimi venti mesi, si è effettuato contro il volere della Bundesbank. Che contro la Bce ha promosso azioni inibitorie fino alla suprema Corte Federale tedesca. È la prima azione “sovranista di difesa” contro la sovranità tedesca. Ma la Bce ha osato per un motivo preciso: l’alternativa era il fallimento di troppi Stati, dopo la Grecia, e il fallimento dell’euro insieme con la Bce. Esiti che il governo Merkel evidentemente non considerava.
Grande Bertha
Inoltre, la gestione Draghi della stessa Bce è sempre in credito con la Germania di Angela Merkel, di cui ha letteralmente salvato il sistema bancario, minato da Hypo RE, dalle debolezze delle altre banche nazionali, Deutsche e Commerzbank, e dalle pratiche di sottogoverno delle banche regionali e locali. Queste ultime, una galassia estesissima, sono state escluse – mentre si varava il bail-in - dalla vigilanza Bce, e dall’obbligo di andare sul mercato, con proprietà e criteri di gestione “pubblici” (obbligo invece imposto alle popolari italiane). Le grandi banche furono salvate da Draghi con un’azione personale. “La prima cosa che Draghi ha fatto subito dopo il suo insediamento l’1 novembre 2011”, racconta G. Leuzzi, “Gentile Germania”, fu “un intervento spettacolare a salvaguardia delle banche. Un gigantesco prestito a tre anni a bassissimo costo che ha salvato tutti, ma soprattutto le banche tedesche, olandesi, belghe e austriache. Salutato come una “Grande Bertha” dai consulenti di Angela Merkel, per una volta non critici - Stabile Architektur für Europa, rapporto 2012/2013 del Consiglio degli esperti economici, pubblicato a novembre 2012. Una cannonata:  era “Bertha” il supercannone tedesco nella Grande Guerra”.

La scoperta della liberazione

Un’epica domestica. Poche scene, povere, ripetitive, tutte attorno a un solo personaggio, Churchill, per due ore di declamazione, che prende il governo a Londra contro Hitler, nemmeno una grande notizia. Ma montate con sagacia. E seguite dal pubblico con una tensione visibile – alla fine c’è sempre qualcuno a cui scappa un applauso liberatorio.
Un Churchill anche appesantito: nei movimenti, l’uso del bagno, la parlata. Stereotipo: sigaro e bicchiere sempre in primo piano. E ciceroniano: argomentativo e “uomo nuovo”, una sorta di provinciale. Riflessivo più che entusiasta, e forse limitato nel giudizio e nella manovra politica. Mentre era ottimo scrittore, politico navigato, in primo piano già da venticinque anni, con grosse responsabilità nella prima guerra mondiale e dopo, dopo aver navigato il mondo, dell’establishment più established, con qualche linea genealogica in più del suo sovrano balbuziente - discendente del duca di Malborough (e degli Spencer - lady Diana). E ancora agile, i vizi prenderà dopo la guerra, dopo la sconfitta elettorale a conclusione della guerra che lui aveva vinto.
Non un grande film, insomma. E un po’ falsificato. Tuttavia il passaparola è entusiasta, i genitori ci portano anche i figli – i figli ci vanno.  Come una scoperta o un sollievo, che si parli ancora di liberazione. Che una persona, un mondo, sia impegnata per la liberazione. La scena della liberazione nel sentimento popolare, in un vagone della metro, è la più squallidamente dopolavoristica, e pure piace. Quale Hiter ci sta opprimendo, che non si dice?
Joe Wright, L’ora più buia