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lunedì 20 marzo 2023

Cronache dell’altro mondo – fallimentari (255)

Il fallimento di Silicon Valley Bank, Svb, è il secondo nella storia americana – il primo è stato di Lehman Brothers, il 15 settembre 2008.
Signature Bank, la piccola banca di New York fallita a ruota (salvata New York Community Bancorp, aveva depositi per 38 miliardi di dollari. E un totale attivi per 110 miliardi.
First Republic Bank, altra “piccola” banca di New York ora in lotta contro il. fallimento, ha attivi per 212 miliardi di dollari. Lo stesso Svb.
Il ceo di Svb, Greg Becker, aveva venduto le azioni della banca in suo possesso, per 3,5 milioni di dollari, pochi giorni prima di annunciare l’aumento di capitale, e cioè le perdite incorse.
Qualche giorno dopo il Ceo, anche il direttore finanziario e il direttore marketing di Svb hanno venduto le azioni della banca in loro possesso, per 1,5 milioni.
Svb aveva un rating Moody’s di A 3 – lo stesso di Generali. Svb e Signature avevano avuto un audit positivo sui conti solo dieci giorni prima del fallimento, il 24 febbraio, da Kpmg.

Cronache dell’altro mondo – salvifiche (254)

Il governo Biden, democratico, ha salvato tutti i depositi presso la Svb, anche quelli superiori ai 250 mila dollari, che invece la legge bancaria esclude dai rimborsi. Svb è “sistemica”, così la ministra del Tesoro di Biden, Yellen, ha spiegato il salvataggio, “bisogna evitare di mettere in crisi altri grandi gruppi”.
I depositi personali o societari superiori ai 250 mila dollari non sono assicurati dal governo federale, secondo la legge Glass-Steagall del 1933.
Glass-Steagall è la legge bancaria, che istituì l’assicurazione pubblica sui depositi, la Federal Deposit Insurance Corporation. Compito supplementare della Fdic è la vigilanza sulle banche statali, a proiezione cioè locale, e non federali o nazionali (queste sono sottoposte alla vigilanza della Federal Reserve). Svp è considerata banca locale – “statale”.
Svb è sistemica perché opera nel settore delle startup, con l’intermediazione de grandi fondi finanziari dello stesso settore, l’investimento su innovazione.
Nei settori tradizionali, agricoltura, industria, commercio, i depositi individuali o aziendali superiori ai 250 mila dollari non sono garantiti dalla Fdic.
 

L’editoria dall’estetista

Mimando la “Storia confidenziale della letteratura italiana” di Giampaolo Dosena, prodotta quando era l’editoriale di Rizzoli, l’ex grand patron di Mondadori in epoca Leonardo Mondadori-De Benedetti-primo Berlusconi propone qui una storia che poi chiama romanzo. Scritta con brio, col passo, a tratti, del romanzo, mette in scena le figurine (padroni, manager, editoriali, editor) dell’editoria italiana del Novecevto. Le note (Mondadori, Rizzoli, Bompiani, Garzanti, Einaudi) e meno note. Dell’editoria di Milano, con la coda Torino (Einaudi e Boringhieri).
Poche le pagine fuori Milano-Torino (anche Marsilio, veneziana, confluisce nella galassia milanese), sei o sette in tutto, con brevi note su Sellerio, Elido Fazi, Sandro Ferri, il duo Repetti-Cesari, Fanucci, Daniele di Gennaro, per avere imbroccato la strada dei bestseller-longseller - Montalbano, Melissa P., Ferrante, Stile Libero di Einaudi (De Cataldo, Lucarelli, Ammaniti, Don Winslow, Fred Vargas), Philip K. Dick, Carver. Niente di Laterza e altri.
La parte più nuova e interessante è la fabbrica del libro, che per la prima volta diventa organizzata e non più rapsodica. Il personaggio centrale, ricorrente, del “romanzo”, oltre l’ombra del narratore, è Mario Spagnol nelle sue varie incarnazioni, “soprattutto” per essersi dedicato “con passione e senza pudore, al bestseller o, per meglio dire, alla costruzione editoriale del bestseller”. Arte che lo stesso Ferrari, s’intuisce, ha messo a punto, specialmente nella lunga direzione di Mondadori, con successi in serie strabilianti, come “Gomorra”.
“Gomorra” è un libro “nato figlio di numerosi padri e madri” (il cui successo però Ferrari lo ascrive alla ‘ndrangheta, alla carneficina di Duisburg: il libro, appena tradotto in tedesco, volò nelle classifiche estive in Germania, e Mondadori trovò facile organizzarne il rebound in Italia). L’editoria, spiega Ferrari, classicista di formazione. “ha a che fare con il parto”, etimologicamente, “di cui gli editori sarebbero le levatrici”. La questione “chi è il padre” anche qui restando incerta: subito dopo s’illustra “il caso Gomorra”, come libro d’autore ma senza mai nominare Saviano.
Un racconto attento anche alla parte industriale del libro, la copertina, la grafica, il titolo prima di tutto (Ferrari è titolista felice, anche quando non gli piace “La sera andavamo in via Veneto”, il primo Scalfari pubblicato da Berlusconi – non gli piace il titolo, assolutamente voluto da Scalfari), i motivi promozionali. In effetti, l’editori a italiana si è rivoluazionata: sa fare i conti, sa fiutare il mercato (gli umori, le tendenze), sa trovarsi il pubblico. Molto più industriale rispetto a mezzo secolo fa, quando era ancora artigianale, ma di qualche intuito, una sorta di editoria d’autore, e di poca professionalità. È la ricetta nobile dell’editoria americana che Ferrari ha imposto, del maggiore e più diversificato e più profittevole mercato librario: i libri si partoriscono, cioè “si fanno”.
“Fare i libri” con l’autore è la ricetta americana. L’editor americano non è un funzionario, è un “franco cacciatore”, si occupa di pochi libri, quattro, cinque l’anno, in simbiosi con gli autori. “Si lega all’autore e insieme a lui modifica, sposta parti e capitoli, ne inserisce di nuovi, consiglia tagli. Un lavoro lungo e paziente che può durare anni”.
Una sola indiscrezione - insomma, un po’ di pettegolezzo. È l’eredità Calvino, trasferita dalla vedova a Mondadori (Oscar e Meridiani) per una “cifra enorme”, seppure rateizzata su dieci anni. 
Quello che Ferrari non nota è che che non c’è più l’Autore. In questi cinquant’anni si è perduto, nella narrativa o nella poesia, ma anche nella saggistica, letteraria e non, nella storiografia, nel pensiero, di qualsiasi forma. Non si può più fare una storia della letteratura, poco danno, ma cosa resta? Già vent’anni fa Baricco si lamentava che Citati non volesse citarlo, ma ne aveva ragione? Si fa editoria come una fabbrica, di parole certo. 
Si pubblica di tutto, si fa molta pubblicità, diretta e indiretta, ci sono molti periodici librari, e si vende anche, libri e periodici, il business c’è. Che è un bene. Ma l’editoria non ha più lo spessore riflessivo che finora ha sempre proposto. Di innovazione, di acume, di autorevolezza. Va a briglia sciolta. Un  po’, con più peso ovviamente, come i social. Se non fosse scorretto, si direbbe che si è femminilizzata: un buon parrucchiere, un buon visagista, gradevole certo.  
Gian Arturo Ferrari, Storia confidenziale dell’editoria italiana, Marsilio, pp. 366 € 19


domenica 19 marzo 2023

La pace cinese per paura degli Usa

Perché l’Arabia Saudita, ammesso che voglia fare pace con l’Iran, nemico di millenni, passa per la Cina? In passato, tre anni fa, poteva farlo attraverso Putin, che si era offerto, ma ha lasciato cadere l’apertura. All’epoca non aveva problemi con gli Stati Uniti. Ora ce li ha.
L’Arabia Saudita è un paese feudale - patrimoniale nella terminologia sociologica, di Max Weber. Appartiene ai Saud. Ora all’ultimo dei fratelli figli del fondatore della dinastia Abdelaziz ben Saud, Salman. E per lui al principe ereditario e primo ministro, suo figlio Mohamed ben Salman,  che in poco tempo ha rivoluzionato la politica e l’economia - e anche la società. Ma è ritenuto responsabile di un assassinio politico, dell’oppositore Kashoggi, in Turchia il 2 ottobre. È ritenuto responsabile dagli Stati Uniti. Mohammed ben Salman non si fida: legge l’imputazione come un ricatto. Pechino è ora il suo ombrello.
In Medio Oriente la politica americana dei diritti umani non è creduta. A fasi alterne, fa vittime di cui si pente – dice di pentirsene: lo scià, Saddam Hussein, Mubarak, lo stesso Gheddafi.

Ombre - 659

Ricordando la guerra dell’Occidente contro l’Iraq vent’anni fa, e le sue terribili distruzioni, con la riduzione alla fame di metà della popolazione, il primate cattolico si affida a Muqtada El Sadr, il leader politico sciita che avversò la “liberazione”, fino ad affidarsi all’Is, al terrorismo. L’“Occidente”, che ne fa vanto, non si dice la verità delle cose. E crede alla sua propaganda.
 
Sul “Sole 24 Ore” si ricorda “l’Iraq 20 anni dopo, i disastri di una guerra che andava evitata”, un paese diviso e disastrato, per “errori Usa e ricadute”, con un “conto di 134.400 morti”, quindi sicuramente molti di più di fatto, e le “bugie clamorose per giustificare l’attacco a Saddam”. Una brutta storia, che non ha insegnato niente, non all’Occidente. Non ci sono altrettanti morti nella guerra in Ucraina, che pure è materia di propaganda – forse un decimo di quelli accertati in Iraq. Dobbiamo intensificare lo sforzo?
 
Sempre, e solo, sul “Sole 24 Ore” - brutta assonanza, ma voce della verità? – si calcola un “8 percento dei laureati in fuga all’estero. Oltreconfine retribuzioni migliori, fino al 41,8
 (sic!) per cento. Una perdita pari all’1 per cento del pil”. Perfetto. Cioè male. La denuncia viene dal giornale della Confindustria. Che fa i salari. E ha scelto nei trent’anni della globalizzazione i licenziamenti di massa, un outsourcing veicolo di bassa qualità e bassi salari (l’allora potentissimo Cesare Romiti li teorizzava), e un’Italia, quinta potenza economica, in serie B.
 
Curiosamente, non una parola sulle crisi bancarie come esito prevalentemente delle politiche monetarie restrittive della Federal Reserve. Per le interconnessioni tra le banche, specie per i depositi interbancari, tra prenditori (le tre banche americane fallite) e prestatori: con il costo interessi moltiplicato in pochi mesi, non trasferibile sulle posizioni creditrici, le banche illiquide hanno chiuso bottega. In parte analoghi i problemi del Credit Suisse.
C’è invece trionfalismo sulle banche centrali, Fed e Bce, vestali di non si sa che cosa. Che vanno alla cieca, con misure da vecchio manuale, di economie novecentesche - uno ascolta Lagarde e gli viene la febbre.
 
Trump, quasi in manette, nelle cronache non è più il “tycoon”, è il “magnate”. Biden fa paura? In effetti non è più l’arzillo vecchietto saltellante. Ha molto pelo sullo stomaco, con i figli e fuori. È un guerrafondaio, freddo. E non sorride, ghigna.
 
“Le parole di Mussolini? Poteva essere Obama, oppure Shakespeare”.  Attanasio, il manager pubblico che invitava al lavoro col discorso protervo di Mussolini dopo l’assassinio di Matteotti, si difende: è stato un errore. No, la citazione era precisa, sapeva bene da dove la estraeva. È che Mussolini per molti non ha colpe. Nemmeno per molti manager. Nemmeno di avere perduto la guerra, che per un manager è delitto capitale.
 
“Ho invitato a casa Giorgia Meloni e ho cucinato per lei”, Checco Zalone confida a Cazzullo, “ma ho votato Pd”. Sembra una macchietta, l’italiano simpatico.
 
Però ha ragione: “Un Paese senza pazienza”, Zalone dice dell’Italia: “Non vuole più racconti ma sintesi. I ragazzi non guardano più la partita, preferiscono gli highlights”. Vero, le due ore di partita uno stress, in qualunque modo vada. E allo stadio “si divertono” solo i teppisti.
 
Allegria Parlamento europeo, tutte verdi le case entro dieci anni, dodici, via. Che non si sa bene cosa sia, la casa verde, ma un grosso business sì. Edilizio: di infissi metallici (tutti gli infissi da rinnovare, non sarà poca spesa), nuovi materiali a copertura dei muri, nuove caldaie per il riscaldamento… Allegria dei media: che divertimento!
 
Allegria soprattutto della sinistra maggioritaria in Parlamento, sotto tiro per le pratiche corruttive, che quindi allegramente vota transizioni verdi sempre più radicali, a scadenza sempre più ravvicinata. Da “togliere il respiro”.  
 
La sinistra non mi sta antipatica; la sinistra è antipatica”, dichiara Mentana – che fino al 1992 ha votato socialista, poi non ha più votato”: “Anche questo lo sanno tutti, come la formazione della Grande Inter”, spiega a Cazzullo, interista come lui. E continua: “È aristocratica, elitaria, convinta di essere la parte migliore, vocata a governare anche quando (quasi sempre) perde. È come la vecchia Y10: piace alla gente che piace; e dispiace a tutti gli altri”.
Il giorno dopo “la Repubblica”, motore di questa sinistra, muove guerra alla Francia per essere stata la figlia di un lettore, la quale studia Scienze Politiche a Parigi, rifiutata in discoteca perché “non arriva a 1,70”, di altezza. Senza nemmeno chiedersi se non sia una “provocazione” - Scienze Politiche a Parigi? la discoteca?
 
Le provenienze dichiarate dai migranti clandestini giunti quest’anno in gran numero in Sicilia e in Calabria si concentrano su una decina di paesi. Una delle tante prove che il traffico è organizzato: nel 2023 ha reclutatori in Guinea, Costa d’Avorio, Tunisia, Pakistan, Bangladesh.
 
Si leggono con sgomento le cronache romane che per due settimane contestano la squalifica dell’allenatore della Roma Mourinho. Uno che si sempre e ovunque illustrato per litigare con gli arbitri. Ma a Roma c’è di più: i tifosi della Roma non vivono una settimana quando la squadra perde – e perde una volta su due. Amareggiati al punto da augurare la morte alla moglie di un calciatore avversario ricoverata per una gestazione difficile. Sciocchezze? Pretesti per “uscire” sui social? No, i romanisti soffrono, incattiviscono.
 
La Juventus vince contro la Sampdoria. La pagella del “Corriere della sera” dà cinque 5 alla Juventus e sei 5 alla Sampdoria. Che ha cinque sufficienze, contro sei della Juventus, ma stentate. E la partita assortisce di una cronaca giudiziaria di si capisce poco o niente, ma sì che la Juventus, che ha vinto alcuni ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato, non ha ottenuto niente. Il calcio è velenoso.

Mussolini franò con l'imperialismo - di cui pure sapeva tutto

Giunta al dodicesimo volume, su quattordici, la storia del fascismo scopre la politica estera, che fu il campo di maggiore interesse di Mussolini, e il più attivo, anche con qualche merito. Nello spirito dell’imperialismo, lo spirito dell’Otto-Novecento, per cui l'Italia si era anche svenata, fino alla guerra di Libia. Ma di una politica nazionale che non può fare a meno di un ancoraggio solido, e rispettato, all’estero.
Con molta intelligenza. Su Hitler fino a fine 1938. O sugli Stati Uniti, sull’imperialismo liberatore, pur sempre missionario – il “fardello” di volta in volta dell’uomo bianco, dell’Occidente, dei diritti umani. Il 1° gennaio 1919, a guerra appena finita, sapeva già: “L’imperialsimo non è, come si crede, necessariamente aristocratico e militarista. Può essere democratico, pacifico, economico, spirituale. In un certo senso, il presidente Wilson – e non è difficile dimostrarlo – è il più grande e il più fortunato degli imperialisti”.
Ma è sul fronte esterno, della proiezione internazionale, che Mussolini ha poi fallito. Non ha calcolato bene la potenza degli “anglossassoni”, che pure conosceva. E si è ingannato sulla potenza di Hitler, di cui pure non si fidava, scopertamente fino al 1938. Il 29-30 settembre si adoperò a Monaco per contenerne l’avidità. Subito dopo si tradì, tradì se stesso, per voler fare l’ideologo: il 6 ottobre impegnava il Gran Consiglio del fascismo, che pure era un organismo “suo”, in una maratona di ben trenta ore per farsi approvare le leggi razziali, talmente erano assurde.  
Emilio Gentile,
Storia del fascismo – 12. La via dell’impero, la Repubblica, pp.150, ill. € 14,90

sabato 18 marzo 2023

Putin incriminato Putin rafforzato

Si celebrano i vent’anni della guerra all’Iraq, giudicata pretestuosa (su “cause false”), condotta male, dal punto di vista militare e da quello morale (torture, bombardamenti di civili, “fuoco amico” indiscriminato, anche contro gli italiani), e conclusa col ritiro. Un Afghanistan anticipato, con la differenza che in Iraq, paese molto urbanizzato, molto c’era da distruggere, edilizia urbana, sistemi sanitari, scuole, e molto la “coalizione dei volenterosi” con Usa e Uk ha distrutto. Si celebra lo stesso giorno in cui la Corte Penale Internazionale dell’Aja spicca un mandato per crimini di guerra contro il presidente russo Putin.
La decisione della Corte non convince le diplomazie europee, e in particolare quella italiana. Potrebbe non indebolire il presidente russo, se non sul piano della propaganda, e comunque ne rafforza il consenso internazionale. Molti paesi, anche firmatari della Corte Suprema (la Corte non è un organismo Onu, è un organismo speciale a cui bisogna aderire), troverebbero difficile applicare il mandato d’arresto qualora Putin vi si paracadutasse. In Asia, e anche in America Latina, che pure aderisce per intero alla Corte – si fa l’esempio del Brasile di Lula, ma anche del Messico. La Russia finisce non volutamente meno isolata di prima.
Ci sono perplessità anche sulla Corte penale internazionale, che pure è stata creata a Roma, venticinque anni fa. Gli Stati Uniti, che l’hanno osteggiata e non ne sono parte, la controllano. Attraverso giurisperiti di ignoto pedigree, per lo più svizzeri. Mercoledì, per la condanna di Putin, con un presidente estone, del paese cioè più ostile alla Russia, anche prima della guerra all’Ucraina. Appena creata la Corte da loro avversata, hanno fatto condannare il serbo Milosevic – nella guerra per la creazione di un Kossovo indipendente, confidato a un mafioso, di cui poi si sono disinteressati. E hanno impedito l’istruzione di un procedimento, che li avrebbe visti imputati, per l’uso in Serbia-Kossovo di bombe a uranio impoverito - centinaia di morti si sono avute successivamente, non potendosi bonificare le aree bombardate. Successivamente hanno fatto affossare un procedimento contro Bush jr. e Blair per la guerra senza “giusta causa” all’Iraq.  

Aristofane social - disneyano

Il mondo dei social nell’Atene di Aristofane, e di Socrate. Attorno al Socrate di A ristofane pre-sofista, cioè chiacchierone più che saggio. Stupidi e furbi s’intrecciano in dialoghi degli scemi, corredati da tranelli, scherzi, percosse, e rumori e gesti osceni, una sorta di anticipazione, due millenni e mezzo fa, dei linguaggi oggi consueti – oggi anche femminili, allora soltanto maschili, femminili sono nel cattivissimo Aristofane le nuvole, coro leggiadro.
Un mondo che Vincenzo Zingaro ripropone nel suo primo adattamento ormai classico, nel 1992, poi portato in vari festival europei. Messo a punto con la sua compagnia Castalia, al teatro Arcobaleno prospiciente la villa Torlonia, un vecchio avanspettacolo di Alberto Sordi divenuto Centro Stabile del Classico per tutte le compagnie italiane.
Una riedizione impegnativa, per il doppio ruolo cui quattro attori alternativamente rappresentano, Ugo Cardinali, Rocco Militano, Fabrizio Passerini, Piero Sarpa. Per un teatro di maschere, create a suo tempo da Rino Carboni, specialista del trucco e degli effetti speciali, collaboratore di Fellini. Che i personaggi retorici dell’originale, Discorso giusto, Discorso ingiusto, Primo Creditore, Secondo Creditore, riveste da animali, come è l’uso nello stesso Aristofane, o da coatti di giornata.
La musica, anche questa dell’allestimento originario, di Giovanni Zappalorto, segue i personaggi come in un cartoon Disney. Altro effetto ricercato, secondo un’idea del regista-adattatore, che di Aristofane fa per plurime tracce un precursore dei cartoon.
Aristofane, Le nuvole, Teatro Arcobaleno, Roma

venerdì 17 marzo 2023

Problemi di base storici - 739

spock

“La storia giustifica ciò che si vuole. Essa non insegna assolutamente nulla, perché contiene tutto e dà esempi su tutto”, Paul Valéry?
 
La storia si ripete, il passato non passa, e di chi è la colpa?
 
C’è un agente nella storia, o è un mulino a vento?
 
La storia si fa, a differenza della poesia, senza saperlo, e di chi è la colpa?
 
La storia si fa - da sé o da parte di qualcuno?
 
Non sarà la fine della storia la storia della fine?
 
Quando?
 
spock@antiit.eu

La versione di Tina

Battistina, “Tina”, Pizzardo si racconta, la “donna del destino” di molto Pavese – a torto. Si racconta fino alla storia vissuta con Pavese. Ma è un racconto di come si vveva, male, negli anni 1920-1930, i suoi venti e trent’anni, da giovani e anche spensierati soggetti a sorveglianze, perquisizioni, ammonizioni, arresti, processi.
Antifascista, per tutto il lungo racconto, e anche dopo, fa d’acchito i conti col l’antifascismo, “una vita sprecata” considerando la sua: “Perché anzitutto il fascismo sotto varie maschere è ben vivo nel mondo, poi perché il fascismo italiano è stato abbattuto non certo dai suoi strenui oppositori, ma da quegli stessi che vent’anni prima lo avevano, per loro tornaconto, instaurato. Chi nella lotta ha lasciato al vita è morto per niente”. Lei per tutti i venti anni che racconta ne ha subito le pene: sorveglianza, obbligo di frima, carcere, precarietà, una vita affannosa di insegnante privata a ore, benché matematica, allieva di Peano.  
Un racconto scritto tardi, dopo che il suo nome era stato insinuato quale colpevole del suicidio di Pavese. Rimasto inedito, come tutto ciò che Tina-Battistina ha scritto - aveva provato già prima della morte di Pavese, a partire dal 1948, di pubblicare un romanzo che poi è andato perduto, “Fuga in prigione”, presumibilmente sulle stesse “avventure” di questo “Senza pensarci due volte”. Pubblicato postumo, nel 1996, per la cura del figlio Vittorio. Si riprende, per la cura della vedova di Vittorio, la nuora Vanna Lorenzoni Rieser, dopo 27 anni, a ridosso del revival Pavese, con la scadenza dei diritti. Aveva tentato di pubblicare “Fuga in prigione” per dieci lunghi anni, informa Sandra Petrignani, “La versione di Tina”, una nota che funge da prefazione alla riedizione: “Apprezzato da Primo Levi ma bocciato da Einaudi e in seguito da Feltrinelli”.
Un racconto veridico, anche perché non si fa sconti, pur evitando l’autoflagellazione. Vivace, sempre leggibile. E unico per molti aspetti. Di donna intrepida, molto libera e molto autonoma. Che ebbe molti flirt e anche qualche fidanzato. I più noti più giovani di lei, Altiero Spinelli di quattro anni, Cesare Pavese di cinque. Un racconto di un’età, gli anni del fascismo. Da un altro punto di vista, personale, e umano. Di persone e situazioni vere, non di maniera, trascurate dalle storie. Le carceri. Le carcerate, tante, diverse. Le madri superiore delle carceri femminili, anche loro molto diverse, dalla sadica alla complice. Tante carceri, tutte diverse, ben rappresentate in breve: Le Nuove a Torino, Marassi, Piacenza, Bologna, Ancona, Grosseto, le Mantellate. Ognuna un mondo a sé. Con alcuni punti in comune: “La carta igienica era marrone, perché non si potesse scriverci sopra”. Con le “politiche” divise dalle “comuni”. Tra le quali il lesbismo è pratica diffusa. Protetta, in qualche carcere, dalla suora secondina. Con una compagna di branda, naturalmente una “politica”, tenta anche una disinvolta fuga, senza sapere dove andare, ma con tanto di buco nel muro e di corda arrotolata pronta all’uso. Fuga poi abortita perché la stessa mattina la compagna viene messa in libertà – il regime, la burocrazia, è imprevedibile.   
Un tratto felice delinea una selva di eprpsoanggi in breve e br evissimo. “Togliattino” - “fratello di Palmiro, morì giovane” - che la “presenta” per la tessera al partito Nazionalista, al quale i conoscenti all’università la ritenevano destinata essendo stato il padre militare. Il salotto di Barbara Allason. La facondia di “don Benedetto” (Croce)  Velio Spano a lungo e con affetto, che la presenta al Partito, il partito Comunista, con Renzo Montagnana, primo cognato di Togliatti.
Il partito subito la manda a Roma. Dove è ospite in un istituto di suore, per le cure e a spese del cugino Pizzarro, alora monsignore, presto cardinale. È, e sarà tutta la vita, una comunista “nipote di un gesuita, nipote di una badessa agostiniana, pronipote di due suore di San Vincenzo (una, o tutt’e due, in odor di santità), cugina di un cardinale”.
Il “contatto” a Roma, alla cellula universitaria, è Altriero Spinelli. “Altiero non aveva ancora 20 anni, e io ne avevo 24” è la prima notazione. Un rapporto intimo s’instaura che durerà nove anni. Gli anni del carcere di Altiero, di cui Tina sarà la “fidanzata”, quella cioè autorizzata a scrivergli, e a riceverne le lettere. Perché presto i comunisti clandestini sono traditi, nel 1930, da un comapgno che fungeva da corriere tra le città e quindi ne sconosceva molti. Tina è salvata, forse casualmente, da un commissario della politica, che rimuove dalle carte a lei sequestrate le sole due che provavano la sua appartenenza al partito Comunista. Altiero e altri sono mandati al tribunale speciale e condannati. Ma un rapporto sempre in clima di militanza. “Non si piange sui caduti, perché a quel tempo nel partito si crede che il fascismo avrà vita breve”. Spinelli specialmente lo crede. In uno degli incontri clandestini “lungo la linea Roma-Milano dove lui doveva recarsi come corriere” (ma in realtà a Lucca), dopo l’attentato Zamboni, fine ottobre 1926, Altiero le ha assicurato “che il partito saprà resistere e, entro due o tre anni, vincere”.
Il legame con Spinelli prigioniero Tina lascia ambiguo. La corrispondenza tra “fidanzati” dura nove anni. Lui al ricorda poco nelle memorie, Lei, ricorda, “l’8 ottobre 1927 gli scrivevo da carcere a carcere la prima delle mille e forse più lettere che gli avrei scritto fino al maggio del ’35 quando, per essere stata di nuovo arrestata, mi sarà impossibile continuare”. Con l’affetto dei familiari di Altiero, la madre, le sorelle, almeno uno dei fratelli. Di lui non si sa, anche se avrà scritto anche lui le sue mille lettere. Il tributo è unico, in tanta memorialistica, a Maria Spinelli, la madre di Altiero, “una donna che tra la scuola (ha insegnato per quarant’anni), otto figli estrosi, un marito dispotico, le frequenti difficoltà finanziarie, gli alti e bassi di una malattia cronica, è sempre riuscita, mossa dall’innata bontà e dagli ideali socialisti della sua lontana giovinezza,  prodigarsi per tutti” – la sua madre “adottiva”.
Gli ultimi quattro capitoli sono dedicati al rapporto con Pavese. Dopo un quintultimo capitolo sul rapporto in un primo tempo casuale con quello che sarà suo marito, Henek Rieser, comunista, polacco, ebreo. Prima di Pavese, un forte ricordo è dedicato a Leone Ginzburg, “il più intelligente, ma soprattutto il più buono, più fraterno, più caro, dei nuovi amici”, quelli di Giustizia e Libertà, del salotto di Barbara Allason. “Ciuffo, pipa, scontrosità me lo fanno riconoscere prima che mi sia presentato", è la prima immagine di Pavese: "Penso che di lui so tutto e che ci piacciono le stesse cose. Più tardi scoprirò che tutto ciò che so di lui è tutto un po’ sbagliato. Ha tradotto ‘Moby Dick’, quindi ama il mare. No, odia il mare….”, etc. È misogino. Non ama la politica – “Non so quante volte lo vedo in casa di Barbara, certo poche perché non ci veniva volentieri: si parla troppo di politica…  e tutte quelle smorfiose… e il the... roba che non fa per lui”.
Non è stato un colpo di fulmine, né da una parte né dall’altra. Non c’è stato nemmeno un rapporto intimo. A Pavese piacerà pensarlo nel confino di Brancaleone nel 1935 - che dura solo sei mesi, non un’eternità, come si è indotti a pensare, presto arriva la grazia. Né al ritorno a Torino c’è stata la scena teatrale messa in giro da Davide Lajolo, “Il vizio assurdo”: l’incontro alla stazione, l’annuncio del matrimonio di Tina, lo svenimento. Ci sono stati incontri, con la proposta di matrimonio, che Tina ha ritenuto inappropriata al loro rapporto, di amicizia. Sa che Pavese ne scriverà e, soprattutto, ne parlerà male. Ma sa anche che Pavese non ha una concezione qualsiasi di un rapporto a due con una donna – si attribuirà molteplici amori, con una “dichiarazione” perfino alla diciottenne Romilda Bollati baronessa di Saint-Pierre, dopo le sorelle Dowling. Una “tendenza”, quella del suicidio, che ora si sa aveva coltivato, e minacciato, in più occasioni. Era pure un bell’uomo: “Mi pare ancora di vederlo”, scrive Tina dell’incontro fortuito sul Po il 31 luglio 1933, il primo incontro a due, quando Pavese, maestro della navigazione “a punta”, imbarca malvolentieri Tina che andava a remi con un amico comune, al quale aveva appena esternato il desiderio d’imparare ad andare “a punta”: “Alto, corpo d’adolescente annerito dal sole, mutandine da bagno e cappellaccio di feltro calcato fino agli occhiali. (C’era solo lui sul Po a portare il cappello con le mutandine da bagno, lui e i sabbiadori)”. “La versione di Tina” si fa leggere, e anche credere.    
Tina Pizzardo,
Senza pensarci due volte, il Mulino, pp. 255, ill. € 18

giovedì 16 marzo 2023

Secondi pensieri - 509

zeulig


Complotto
- Si crea un nemico, e poi lo “difende” – lo attrezza, lo arricchisce o potenzia, lo migliora, se lo rende invincibile. È una creazione, una proiezione di sé: chi non ha iniziativa forza, coraggio, fortuna, di fare da sé s’immagina di combattere l’Altro che si crea, nelle forme che egli stesso elabora.
Vive, vegeta, prospera, si moltiplica perché impossibile “dimostrare” il contrario. Scava nella buona coscienza e nella buona fede, la altrui ma anche la propria, se ne fa aggio, tradendola ovviamente. Sempre su un presupposto proprio, quello che uno si pone.
 
È ipotesi (pattern, modalità) mentale, o delectatio, da tempo di pace. Da tempo in cui, cioè, non urgono minacce esistenziali reali. Non è stato così nel caso della pandemia da covid. Ma per una trahison des clercs, degli specialisti, degli scienziati. In parte in malafede, per eccessiva specializzazione, oppure protagonismo, mediatico, politico, di potere, anche solo accademico. In parte senza colpa, perché la scienza è reputata asettica, non pregiudicata (politicizzata, fidelizzata, comunque prevenuta): libera e intelligente, di intelligenza incontestabile. Mentre la scienza, già come ricerca, ma anche come campo scientifico, è un coacervo massimamente litigioso – può esserlo, di fatto lo è, in troppe occasioni.
 
Manomorta
– Si può dire la risorgiva della borghesia italiana. Che per questo è pusillanime, corrotta più che innovativa o avventurosa, e più nella sua persistente, ininterrotta simbiosi col potere politico – in altra cultura si direbbe lo Stato. A intervalli nemmeno molto spaziati tra di loro.
La manomorta propriamente detta è costituita dai beni degli enti ecclesiastici, parrocchie comprese, che pure esplicano funzioni pubbliche, e si può ritenere conclusa con le leggi eversive, pre- e post-unitarie. Quella del Regno di Sardegna, 1855, portò alla “nazionalizzazione” 399 conventi e 1.700 benefici ecclesiastici, per un valore stimato in lire di allora di 3,651 milioni - dai dati riportati da Lucetta Scarafia, “Il contributo dei cattolici all’unificazione”, in “I cattolici che hanno fatto l’Italia”. Quella del 1866 portò alla “nazionalizzazione” di 37.031 enti ecclesiastici, per un controvalore di 321,3 milioni di lire, per metà di immobili e per metà di valori mobiliari. Di valore reale, però, decuplicato o centuplicato. Ciò che lo Stato ne ricavò, vendendo (da cui i valori ufficiali della “eversione”), fu infatti poca cosa: la parte del patrimonio ecclesiastico che andò ai privati fu svenduto, a favore di amici e protetti, la parte immobiliare destinata al demanio (caserme, scuole, uffici) richiese grossi appalti – la forma privilegiata di finanziamento delle clientele personali e politiche.
Oggi è l’enorme “terzo settore”, dei servizi pubblici pagati dallo Stato in appalto ai privati, con criteri contrattali laschi e senza controlli, un settore in crescita tumultuosa. In quarant’anni è cresciuto fino a gestire 80 miliardi di euro, il 5 per cento del prodotto interno lordo.
 
Si suole dire che in Italia non c’è borghesia.  Lo ha sostenuto anche il Grande Borghese Scalfari: “La borghesia è la classe di chi ha un reddito che supera l’appagamento dei beni necessari e che può pertanto farsi carico anche del bene comune. In Italia questo non è avvenuto”.
Questo non è vero. Una borghesia in Italia è bensì attiva, nella produzione e negli affari, perfino più industriosa che in altre nazioni. Ma si nega. Un negarsi che è molto borghese – fa alta borghesia, nobiltà dello spirito – ma in Italia caratteristicamente risponde al bisogno di differenziarsi dal rank-and-file della classe sociale, le turbe che vivono della rendita pubblica.   
 
Psicoanalisi
– È la stregoneria ammodernata? Il riferimento è per ridere ed è vecchio, ma Feynman spiega seriamente perché (“Il senso delle cose”. 118). Con un parallelo solo all’apparenza capzioso. Le idee, le ipotesi, emergono a caso, “di solito sono frutto di analogie, ma a volte questo sistema porta a errori madornali”. E fa il parallelo fra “un’età prescientifica” e “l’analogo nella nostra epoca”. Quale? La scienza psicoanalitica. Lo stregone, racconta il fisico americano, dice di saper curare le malattie. Il chinino pure. Il chinino funziona. Allo steso modo come dice lo stregone: “Ci sono spiriti dentro il corpo del malato che bisogna aiutare a uscire, soffiandoli via, cose di questo genere”. Il malato che faccia parte della tribù va dallo stregone, “perché ne sa più di chiunque altro”, magari continuando a dirgli che è uno sbruffone, e che giorno verrà che se ne farà giustizia. Noi, che non apparteniamo a una tribù, siamo anche esenti dalle stregonerie? No, se guardiamo agli psicoanalisti e agli psichiatri, “a quante teorie complicate sono riusciti a tirar fuori in un tempo infinitesimo”, senza confronto con qualunque altra scienza: “Tutto questo gran castello, e le pulsioni, le inibizioni, l’Io e l’Es, e le funzioni, le tensioni…. Non può essere tutto vero”. Per un motivo semplice: “Sarebbe troppo perché una sola mente (o poche menti) ci potesse arrivare in così breve tempo”. Ma, facendo parte della tribù, “non c’è nessun altro a cui rivolgersi, c’è solo lo stregone”.
 
Opinione Pubblica – Il “caso” meglio è raccontato meno ha la probabilità di eserte “vero”, se non nella sua singolarità è il problema dell’Opinione pubblica – dei media, della comunicazione. Più è singolare, più è convincente, meno, contrariamente all’opinione corrente, è vero in senso lato, sistemico – è individualizzato.
Sapere (capire) per credere: è facile, perfino “normale”, fare leva su questa equazione per diffondere il falso – violento, abietto. Caso abnorme è quello dell’Italia con la giustizia. Delle cronache di giustizia, opera di furberie composite, neppure tanto sottili, anzi di proposito aggressive: indiscrezioni, insinuazioni, allusioni, il cosiddetto armamentario del sospetto, che rende ogni difesa inutile. Per un semplice sofisma: fare leva sul bisogno di verità, urgenza di verità, per diffondere il falso, imporlo, impiantarlo nella buona coscienza, dopodiché diventa non sradicabile. Si crede per fede. All’opposto cioè del processo comunicativo che si chiama opinione pubblica, che esige invece lealtà e fondatezza.  
 
Prova – Si fanno i santi per un solo miracolo. Ma un solo esito non basta per comprovare una teoria o ipotesi scientifica – si fanno i santi per atto di fede: la probabilità è zero in un solo caso, che può essere fortuito. Il “come te lo spieghi?” che conclude l’esposizione di un fatto o evento, un tentativo, un esperimento, uno solo, può avere mille e una risposta, cioè una spiegazione che opera nel campo vasto del fortuito, senza essere una prova di causa-effetto. Statistica e probabilità sono temi matematici, che necessitano di un campione di casi vasto.
 
Tribù – Una categoria sociopolitica abbandonata, nella concezione comune del progresso come freccia, una delle più scadenti se non vecchie, comunque perenta, e invece ben viva. Non solo nello spirito variamente comunitario che si moltiplica da alcuni decenni, nazionale, territoriale, confessionale, perfino razzista. Di più nei comportamenti, raramente inclusivi, per lo più selettivi, in bade ad affinità non elettive ma di derivazione – legami “ancestrali”.
 
Oggi, epoca massimamente scientifica e razionale, lo spirito tribale è sempre forte, argomenta il fisico premio Nobel Feynman “Il senso delle cose”, proprio per la credulità che si riterrebbe espunta. Per la credulità scientifica. Feynman lo argomenta ironicamente, ma non tanto, a proposito della psicoanalisi (v. sopra).

zeulig@antiit.eu

Guerra alla Cina, ma non troppo

La presidenza Biden ha accentuato la politica di confrontation con la Cina di Xi, avviata sotto la presidenza Trump. Estendendola dal commercio alla pressione militare, con la riapertura della questione Taiwan, il riarmo atomico dell’Australia, l’estensione dell’area d’interesse Nato all’Indo-Pacifico. Ma solo in chiave di deterrenza.
Quattro imponenti fattori rendono implausibile il passaggio dalla sfida al conflitto, anche solo economico. L’enorme quantità di investimenti americani in Cina. L’enorme quantità di debito federale americano sottoscritto dal risparmio cinese. La grande opportunità che il mercato cinese offre sempre come sbocco anche americano. La riluttanza degli alleati a marciare contro la Cina, della Germania, il Giappone, la Corea del Sud, anche solo sul piano economico (finanziario, industriale, commerciale).

Guerra alla Cina, Tokyo dissente, come Berlino

Entrambe potenze economiche, dopo le superpotenze Usa e Cina, entrambe potenze non nucleari, e quindi militarmente dipendenti, ma entrambe decise contro il decoupling, l’indebolimento o l’interruzione dei rapporti industriali, commerciali e finanziari con la Cina.
Germania e Giappone reiterano a ogni occasione il bisogno d’integrazione in uno schieramento “occidentale”, garantito cioè dalla potenza militare americana. Ma recalcitrano all’ipotesi di rottura o riduzione dei collegamenti economici con la Cina. Nonché a “ogni ipotesi” di collisione militare dei mari della Cina – rimanendo la questione Taiwan impregiudicata. Hanno deciso di riarmare consistentemente, ma per venire incontro alle richieste americane, senza alcun disegno di politica militare autonoma.

Cronache dell’altro mondo – minorili (253)

Per l’anno 20121 il dipartimento americano del Lavoro ha accertato 2.819 casi di minori occupati in violazione dele leggi contro il lavoro minorile. Si tratta quasi sempre di ragazzi latinoamericani. Occupati principalmente in lavori meniali nelle cucine di catene di ristoranti, o in agricoltura.
In agricoltura, coltivazioni di cotone e tabacco comprese, la legge consente l’occupazione di minori dall’età di 12 anni, con l’assenso dei genitori, senza limiti di or ario, che può estendersi alle ore di luce, anche 12-14 ore al giorno.
In agricoltura è anche consentito impiegare ragazzi di 16 anni in attività pesanti o pericolose – seghe, affettatrici, etc,.
Il ricorso ai minori si è accresciuto dopo la pandemia, per ovviare alla mancanza di manodopera che si è manifestata sul mercato. Il governo federale, sotto la presidenza Biden, ha ridotto da 21 a 18 anni l’età per la guida dei mezzi pesanti interstate, cioè a lunga distanza.

L’eccezionale normale Elvis Presley

Un film che si vede (vende) per la colonna sonora? Non ci si pensa a quante canzoni ha composto e cantato Elvis Presley, tutte per un verso o per l’altro memorabili. E all’energia e la simpatia del personaggio: un ragazzo del Sud, che sa ricreare la “musica dei negri”, sempre affettuoso comn amici, familiari, referenti, intrattenitore oceanico. Un “eccezionale normale”.
Il racconto è però scialbo. Segue la “carriera” di Elvis passo passo, narrata dal suo manager, il “colonnello” Tom Parker - un Tom Hanks rigonfio, guitto eccezionale, sicuro dell’Oscar che poi non ha avuto (otto candidature e niente, nemmeno la colonna sonora). Sfumata è perfino l’amicizia col coetaneo B.B.King. Mentre l’incontro con Little Richard è limiato all’esecuzne di “Tutti frutti”. Scialba anche la vita amorosa, con l’unica fidanzata, poi moglie e madre, Priscilla.
Il racconto è semmai del comnetsto. Dell’american dream che deve lottare contro l’american way of life, piena di protervia e risentimenti – compresi gli assassinii politici epocali, John Kennedy, Martin Luther King, Robert Kennedy in sucessione. Di un giovane Elvis odiato per il successo, come Cassius Clay, come ogni altro, anche perché “ancheggia come i negri”, nonché cantare blues e gospel, punito con due anni di naja in Germania, coi capelli rasati, per riconquistare il pubblico. L’impero americano in effetti è molto svetoniano, avvocatesco e violento, di intrighi, eccessi, ipocrisie, e polpette avvelenate in banca.      
Raz Luhrmann,
Elvis, Sky Cinema

mercoledì 15 marzo 2023

Ma Tokyo non vuole guerre alla Cina

Aukus (Astralia-United Kindom-Usa Security), l’alleanza a tre da poco creata dagli Stati Uniti, con la Gran Bretagna e l’Australia, per armare nuclearmente l’Australia, attraverso i sottomarini, ha soppiantato il Quad (Quadrilateral Securiy Dialogue), proposto quindici anni fa dal Giappone. Il premier Shinzo Abe propose nel 2007 e realizzò un collegamento diplomatico e un impegno di difesa reciproca fra Stati Uniti, Giappone e Australia con l’India.
Il “quadro” doveva restare aperto alla Cina. L’India non intende antagonizzare la Cina, anche se virtualmente i due paesi sono in guerra nell’iymalaya. Ma, soprattutto, non intende farlo il Giappone.
Shinzo Abe non c’è più ma è la sua stessa visione di sicurezza regionale che Tokyo persegue. Di cui è, o dovrebbe essere, parte anche la Cina, seppure da esterno. O comunque non antagonizzarla.
Gli Stati Uniti invece, ritenendo esauriti con le presidenze Obama, 2009-2016, i tentativi di inquadrare la Cina in un progetto di sicurezza asiatico, anche per la contemporanea ascesa di Xi Jinping, leader autoritario, operano con le presidenze Trump e Biden per la riduzione dei rapporti economici con la Cina e il coinvolgimento militare nell’Indo-Pacifico, in funzione anticinese, della Nato, e dell’Australia.

L’India beneficiaria della guerra, quattro volte

L’India ha beneficiato tre volte della guerra in Ucraina. Anzi quattro. Ha avuto il petrolio dalla Russia a prezzo scontato. Ma non solo: per non perdere il mercato indiano, l’Arabia Saudita è intervenuta con forniture di petrolio a prezzo più vantaggioso per l’India di quello russo. E non è finita: l’Iraq è intervenuto a sua volta, che tiene ai rapporti con l’India per ragioni di politica generale e di mercato, ha offerto il suo petrolio a sconto su quello saudita.
Ma non è tutto. Con lo scoppio della guerra, sono migliorati molto i contatti tra l’India e gli Stati Uniti. Quello personale del primo ministro Modi col presidente Biden, anche se di opposti convincimenti politici. E il ruolo dell’India nelle strategie del dipartimento di Stato e del Pentagono. La politica economica di Biden, il friend shoring, di rilocalizzazione delle industrie americane fuori dalla Cina, potrebbe andare a beneficio dell’India.

È sempre freddo tra India e Cina

Il primo ministro indiano Modi e il presidente cinese Xi si sono incontrati dodici volte in sei anni, ma i due paesi rimangono estranei, e anzi ostili.
L’India ha abbandonato nel 2019 una Regional Comprehensive Economic Partnership, un accordo commerciale asiatico, promosso dalla Cina, con la motivazione esplicita: “Non intendiamo tenere aperta alla Cina una porta di servizio attraverso il libero scambio per penetrare nel mercato indiano”. L’anno successivo, a giugno, truppe cinesi sono entrate in contatto con quelle indiane al confine nell’Himalaya, con venti morti fra le truppe indiane. Successivamente ogni sforzo è stato fatto dal governo cinese per ridurre la presenza di capitali cinesi in India. Nel 2021gli investimenti diretti cinesi in India sono stati ridotti di tre quarti, il 74 per cento.  
 

Cronache dell’atro mondo – di povertà (252)

Un americano su otto, e un bambino americano su sei, vive in povertà. Lo stesso che nel 1970.
Gli Stati Uniti, che hanno un prodotto interno lordo più grande di quelli di Giappone, Germania, Regno Unito, India, Franci e Italia sommati, hanno un taso di povertà relativa maggiore.
I contributi federali ai proprietari di case - la maggior parte dei proprietari di case ricevono un aiuto pubblico in forma di deduzioni fiscali degli interessi sui mutui e altri sussidi – nel 2020, 193 miliardi di dollari, è quasi quattro volte l’ammontare dell’assistenza abitativa che il governo federale ha dato alle famiglie a basso reddito, 53 miliardi.
Nei quartieri più poveri di Milwaukee, nel 2015, l’affitto mediano per un appartamento con due camere da leto era inferiore di soli 50 dollari a quello mediano di tutta la città”.
Matthew Desmond, “Evicted”.

La verità delle tasse

Furono importanti “le entrate giudiziarie, importanti per Atene, città egemonica, nella quale si concludevano i litigi più importanti sorti nelle città alleate”. È uno dei tanti paradossi della “giustizia tributaria” che meriterebbe reinstallare? Era uno dei cespiti di maggiori entrate, il secondo di una ventina, della democratica, acculturata, artistica, imperiale Atene di Pericle – al primo venivano le entrate fondiarie. Niente imposte, invece, sul reddito, improprie per i cittadini – semmai per gli stranieri. Le tasse vanno e vengono, opportuniste più che egualitarie, o doverose.
Einaudi si divertiva e ancora diverte, con questo “manuale” che va per un secolo di vita. “Rileggendomi dopo tanti anni, confesso di essermi divertito”, si legge nella prefazione a una riedizione postuma, del 1967 (non nell’edizione caricata online, che è la prima, 1940 – la seconda di quello stesso anno, pure per altri aspetti ferale, di guerra): “Non mi sembrò di leggere pagine di quelle scritture in fondo noiose le quali formano il succo delle trattazioni intorno all’imposta”.
Innumerevoli i motivi di interesse per il profano.  Per primo lo smontaggio della “giustizia fiscale”.
Questo fa al capitolo Sesto, “La vuota boria dei sommi principi utilitaristici dell’imposta”: “Alla radice dell’idea della giustizia tributaria sta la seguente massima dell'oratore che nel consiglio grande di Firenze parlò in difesa della imposizione della decima scalata proposta all'epoca della guerra di Pisa. «Quella gravezza s'ha a chiamare eguale, che grava tanto el povero quanto el ricco; perchè, e quando uno povero paga in comune una decima delle entrate sue ed uno ricco paga una decima, ancora che la decima del ricco getti più che quella del povero, pure molto più si disordina el povero di pagare la sua decima, che el ricco la sua. Però la egualità di una gravezza non consiste in questo, che ciascuno paghi per rata tanto l’uno quanto l'altro, ma che el pagamento sia di sorte, che tanto si incommodi l'uno quanto l’altro»”.
“Decima scalata era parola la quale significava «che chi aveva cinque ducati o manco di decima, pagassi una decima (10 %); chi aveva dieci ducati di decima pagassi una decima ed un quarto (12,50 %); chi n’aveva quindici, pagassi una decima e mezza (1 5 %); e così successivamente per ogni cinque ducati che l’uomo avea di decima, si moltiplicava uno quarto più (2.50 % in più), non potendo però passare, per uno, tre decime (30 %)». «L’incommodo » di Francesco Guicciardini ebbe nome di «sacrificio» da Geremia Bentham, capo degli utilitaristi; ed all'idea dell'incommodo risalgono le spiegazioni che in varie forme si danno dell'imposta moderna. Alla radice di questa sta il concetto di un sacrificio a cui il cittadino è chiamato a prò dello stato. La bontà o giustizia dell’imposta non è saggiata dal confronto fra le quantità di moneta pagata dai cittadini; ma dal confronto fra lincommodo o sacrificio o pena o dolore sofferto dai cittadini in conseguenza del pagamento di date quantità di moneta. Non perchè ciascuno paghi 1000 lire, o il 20 per cento del proprio reddito o l’uno per cento del patrimonio dovrà dirsi giusta l'imposta; ma perchè la somma pagata, qualunque sia, cagiona ad ognuno un sacrificio od incommodo che sia uguale e proporzionale a quello di ognun altro. Lo stato, per fermo, non incassa sacrifici, bensì moneta. Ma il criterio di decidere sul giusto quantum di moneta da prestare è l’incommodo che quella prestazione monetaria reca al cittadino. L’introspettivo psicologico è la premessa del concreto esteriore monetario”.
E mille altri paradossi e facezie attorno alle tasse, che Vincenzo Visco solo in un raptus lisergico può aver defiito “gioiose”. “Il paradosso dell’imposta morta” viene al capitolo Ottavo, da cui “ammortamento”, di cui Einaudi confessa di non conoscere l’origine, ma ben capisce il senso. Il cap. V è “Fantasmi, illusioni ed eleganze dei debiti pubblici”. Con la ricetta semplice del debito: “Anche l'uomo semplice, dopo un po’ più di riflessione, osserva: se lo stato contrae un prestito all'interno di un miliardo e compie opere pubbliche utili ora od in avvenire, la ricchezza nazionale non è variata, avendo soltanto il miliardo mutato forma, da potenza d’acquisto disponibile a cose concrete le quali valgono ancora un miliardo; se lo stato invece butta i denari dalla finestra in opere di lusso improduttive, come fece la Germania dopo il 1923 in parchi e giardini e teatri, quando urgevano tante altre esigenze, il miliardo che c’era prima non esiste più. La ricchezza nazionale è scemata o cresciuta, non a causa o nonostante la natura interna del debito pubblico, che non c’entra, ma a causa del cattivo o buono uso fatto del provento del prestito. Similmente per il debito contratto all’estero. Se il miliardo straniero finì male, rimaniamo con la ricchezza di prima e con una ipoteca di un miliardo a favore del creditore; se servì invece alla attrezzatura economica od amministrativa del paese, si avra un miliardo o forse più di nuovi valori creati in paese il quale compenserà e forse al di là l’ipoteca d'altrettanto verso lo straniero. La ricchezza nazionale italiana dal 1860 al 1880 crebbe a causa del buon uso fatto dei prestiti esteri in ferrovie strade ponti organizzazione civile e amministrativa; uso che non avremmo potuto fare con prestiti interni, perchè i risparmiatori italiani producevano risparmio nella misura del possibile ma non ne producevano abbastanza”.
Un’opera che si vuole contro i “dottrinari”, “una delle sette piaghe d’Egitto”: “Sono stato a lungo incerto intorno al titolo che più appropriatamente avrei dovuto dare a questo saggio. Non sarebbe stato del tutto malvagio un titolo che dicesse: «In difesa dello stato contro i dottrinari»; che invero in tutto il mondo conosciuto la confraternita dei dottrinari sta diventando il pericolo «numero uno» per la pubblica finanza. Gli amministratori pubblici, coloro i quali, ministri delle finanze o direttori dei grandi servigi fiscali, governano la finanza degli stati contemporanei, debbono difendere accanitamente i sistemi vigenti, che bene o male funzionano e gittano miliardi, contro la mania riformatrice dei dottrinari che, andando in cerca della giustizia e non contenti della giustizia semplice grossa, che è la sola concretamente possibile, vogliono la giustizia perfetta, che è complicata e distrugge dieci per incassare uno”.
Pieno di verità, dimenticate. Al cap. Terzo, “Il mito dei sovrappiù”, una delle più semplici: “Se non si vuole il balordo, occorre partire dal presupposto che la tassazione del reddito significa tassazione sul capitale e viceversa. L’una è l'altra. La scelta tra le due tassazioni o il contemperamento fra l’una e l’altra non è un problema di principio, ma di metodo, di opportunità, di precedenti storici”. Certamente non di “giustizia”, neppure sociale.
Luigi Einaudi, Miti e paradossi della giustizia tributaria, pp. 322 free online

martedì 14 marzo 2023

Cronache dell’altro mondo – fallimentari (251)

È fallita in America una banca per il troppo successo, su cui la banca centrale è intervenuta per punirla, indirettamente.
Il fallimento della Silicon Valley Bank origina nell’eccesso di liquidità accumulato dalla sua clientela speciale, start-ups, aziende tecnologiche, ricchi individui. La stessa con cui in pochi anni dalla nascita era divenuta una dele prime venti banche americane. Una clientela di tale successo che la banca non ha diversificato.
Negli anni della pandemia la liquidità già elevata nel settore ict è esplosa. I depositi si sono moltiplicati, gli impieghi si sono contratti – i clienti guadagnavano tanto da autofinanziarsi. L’eccesso di liquidità affluito dall’ecosistema (sistema economico) Svb ha impiegato in obbligazioni pubbliche a lungo termine, le più sicure, le più redditizie.
Quando la Federal Reserve ha cominciato ad aumentare il tasso di sconto in percentuali elevate, molti clienti hanno ritenuto opportuno utilizzare i depositi presso la Svb. Che si è trovata costretta a liquidare le obbligazioni in perdita, per fare liquidità.

Meno cinesi, più produttività, Dragone imbattibile

La Cina in crisi demografica punterà sulla produttività? È lo scenario più probabile, e renderà la Cina molto più competitiva di quanto lo è già ora.
Tutte le proiezioni demografiche danno la popolazione cinese in contrazione, e più marcatamente nelle fasce d’età lavorative, tra i 15 e i 64 anni. La popolazione cinese in età lavorativa, che era di 989 milioni nel 2020, è prevista ridursi a 931 milioni nel12035. Mentre la fascia dai 65 anni in su va verso il raddoppio, da 180 a 315 milioni.
Gli stessi movimenti si prospettano in Occidente, ma molto più contenuti. La popolazione europea (Russia esclusa) 15-64 si contrarrà da 485 a 451 milioni – con i sessantacinquenni e oltre in crescita da 43 a 180 milioni. Negli Usa, invece, la popolazione lavorativa aumenterà, seppure di poco, da 219 a 224 milioni – e i pensionati passeranno da 55 a 78 milioni.
Per compensare lo squilibrio demografico la Cina punta sull’incremento della produttività. Uno sviluppo per il quale ha margini larghi. Rendendo la sfida più incisiva contro l’Occidente.
La Cina è sempre stata ed è ancora competitiva con una produttività infima rispetto a quella occidentale. L’indice di prodotto per occupato, a parità di potere d’acquisto, che la Banca Mondiale elabora, vede la Cina a nemmeno un quarto del livello di produttività americano, con 33 mila dollari di valore aggiunto per occupato contro i 136 mila Usa – 98 mila in Europa, 77 mila in Giappone.

Dante umanista, tacitiano

La politica sarà stata la passione dominante di Dante. Canfora dice la libertà, “il problema dei problem, per Dante e per noi”. Per noi forse sì, è un secolo che non sbrogliamo la matassa, in questo Duemila come nel Novecento, dopo l’ottimismo saputista dell’Ottocento. Per Dante è dubbio, se non in senso lato: la politica è libertà. E Dante sicuramente non è se non un politico sopra ogni altra cosa. Come delr esto Canfora sottolinea: l’imperatore Giustiniano non solo si merita il paradiso, ma anche un intero canto, può monopolizzarlo eccezionalemnte, in prima persona dalla prima parola all’ultima.
Molto spazio è poi da Canfora dedicato a Catone l’Uticense. Il Catone che alla vittoria di Cesare, al crollo quindi della Repubblica, si tolse la vita. Con qualche riserva da parte dell’accurato filologo, che per altri studi sa come Catone affossò Catilna, accusandolo falsamente di congiura. Di Catone interessa a Canfora soprattutto la sua collocazione nel Limbo. Anzi, la concezione dantesca del Limbo, il “nobile castello” per i dotti del passato. Con la conseguente anticipazione-soluzione del problema kantiano dell’autonomia dell’etica dalla fede.
Notevole è anche l’anamnesi del congedo di Virgilio, il maestro, da Dante, alla fine del Purgatorio: “Libero, diritto e sano è tuo arbitrio” - la chiave è nel finale del canto XXVII del “Purgatorio”, qui non riproposto. “Dante perviene a una noizione di libertà”, commenta Canforta, “che consiste nella consapevoleza del limite, o, per dirla con Hegel, nella consapevolezza della necessità” – “che è l’esatto contrario dell’idea banale di libertà («faccio quelo che mi pare»”.
Il filologo richiama, a proposito di questo canto, il saggio seminale di Droysen, “Grundriss der Historik”, 1868 – tradotto (tardi, in anno sfortunato, 1943) da Cantimori come “Sommario di istorica” – che porta questo passo del “Purgatorio” a supporto della sua tesi di fondo, che la storia, il movimento storico, è nella libertà. Come questo, altri richiami filologici sono la parte più gustosa, e poco o niente praticata, del saggio di Canfora. Sulle tracce, evidenti in almeno due passi di Dante, di Tacito, che pure non era stato ancora “scoperto” (lo farà Boccaccio). E di Svetonio – l’unico storico romano che, come Dante, parte da Cesare nell’elenco degli imperatori (“Caesares”).
Tre canti, “Paradiso” VI, “Purgatorio” 1, e “Inferno” XXVI, corredano il saggio di Canfora. Che è una “Conversazione su Dante” tenuta a Milano alla Fondazione Corriere della sera per il settecentenario. Una postfazione illustra il ruolo del “Corriere della sera”, su iniziativa di Paolo Di Stefano. per la istituzione della Giornata nazionale dantesca (“Dantedì”). 
Luciano Canfora,
Dante e la libertà, Solferino-Corriere della sera, pp. 111 ril. € 9,90

lunedì 13 marzo 2023

Letture - 513

letterautore


Antifascismo
– Insegnante a 23 anni al liceo di Grosseto, Tina Pizzardo, “sebbene eretica e ancor di più ignorante”, è nominata nel 1926 “segretaria della federazione comunista di Grosseto. La quale contava cinque iscritti” – di cui uno solo noto a lei: “Cinque gli iscritti, ma cinquanta figuravano nei nostri documenti interni, dove le cifre venivano, per ordine superiore, moltiplicate per dieci”. Lo scopo era di imbrogliare la polizia, “che presto o tardi nelle nostre carte riusciva a ficcare il naso”, su “quanto esigue fossero le nostre schiere” (“Senza pensarci due volte”, p. 58). E di presentarsi forti al dopo, il fascismo essendo ritenuto debole e di pronta caduta.
 
Borghi
– “I borghi abbandonati degli Appennini e le Prealpi” sono già di Pasolini-Orson Welles, “La ricotta”, 1963.
 
Emilio Cecchi
– Firma nel 1942 con una presentazione per la collana Pantheon di Bompiani l’antologia “Americana” predisposta da Vittorini. Che lo stesso Vittorini aveva pubblicato un anno prima, con una propria presentazione, e subito sequestrata. Bompiani, che era anche l’editore italiano di Hitler, “Mein Kampf”, e aveva commissionato Vittorini, ripubblicò “Americana” d’intesa col ministro della Cultura Popolare Alessandro Pavolini. Che consigliò appunto il suo conterraneo fiorentino, “l’Eccellenza Cecchi”.
 
Costanzo
– Direttore responsabile dei Gialli Mondadori dal marzo 2010, Maurizio Costanzo accompagnava ogni numero con un aneddoto, “L’angolo del direttore”, segnato col suo profilo in silhouette. L’ultimo, in appendice a P. D. James, “Per cause innaturali”, è un innuendo alle vicende dei reali inglesi, con la ricostruzione della successione di Edoardo IV Tudor. Tra figli confusi e zii e nipoti in lite – i Tudor, insomma, come i Windsor, violenti nei matrimoni e autoreferenti (Shakespeare ne ha ampiamente scritto, anche della successione di Edoardo IV, a opera del fratello invidioso, poi Riccardo III). Pezzo forte di Costanzo è l’esumazione di Domenico Mancini, un frate italiano che in quel fine secolo era stato a Londra e ne aveva scritto “De Occupatione Regni Anglii per Ricardum Tercium”. Una memoria che “venne a galla” nel 1934, e spiega come i due figli adolescenti di Edoardo IV potrebbero essere morti, rinchiusi nella Torre di Londra, allora soggiorno reale, cosicché l’eredità passò allo zio Lord Gloucester, Riccardo III.
 
Dante – Eversivo? Questo mancava, provvede Canfora, “Dante e la libertà”. Rivoluzionario politico, e religioso. Che Catone mette al Purgatorio, un pagano e un suicida, che né sant’Agostino né san Tommaso d’Aquino apprezzavano, il repubblicano integrale, uno che la vita rifiuta in nome della libertà.  Eretico anche sul piano religioso – ma qui lo storico costeggia il Dante dei teosofi, delle “cose non dette”. Il massimo dell’eversione Canfora trova nell’imperatore Giustiniano, posto da Dante in paradiso – dove però fa come miglior forma di governo propone la monarchia, seppure universale.
 
Diari“In casa di Barbara (Allason, n.d.r.) conosco il nostro grande don Benedetto (Croce, n.d.r.) e la sua impareggiabile conversazione. Mi sarebbe piaciuto scrivere una volta tornata a casa tutto ciò che avevo sentito da lui, ma in vista delle perquisizioni non potevo farlo”, nota a un certo punto la “comunista” Tina Pizzardo nelle sue memorie degli anni 1920.-1930, “Senza pensarci due volte”. E aggiunge tra parentesi: “Sono sempre meravigliata quando saltano fuori diari di quel tempo. Come facevano a tenere un diario di carattere politico se per poco che uno si occupasse di politica  le perquisizioni fioccavano impreviste?”
 
Editoria – “Termine legato al parto”, la dice Gian Arturo Ferrari, latinista di formazione e di prima professione, nella “Storia confidenziale dell’editoria italiana”. O non piuttosto alla digestione, all’alimentazione? Dal participio passato di “edo-edere”, il verbo latino per espellere, generare. C’è un “edo-edere” anche per mangiare, ma che fa come participio passato “essum”. Però, dì editore e editoria potrebbero appropriarsi le due funzioni: molti libri sono digeriti dall’editoria, nel senso di scomparire, non di essere generati.
 
Gadda – Pacioccone, confusionario, imbranato, l’aneddotica è vasta e concorde. Ma di fatto tignoso in tema editoriale, con gli editori – anticipi, opzioni, diritti. Sottile, avvocatesco. Al limite della slealtà, con Bompiani, con Garzanti, anche con Einaudi. Posava, a fare l’ingenuo, lo sprovveduto?  
 
Giallo – Giallo come genere letterario è creazione di Luigi  Rusca – spiega Ferrari nella sua “Storia confidenziale dell’editoria” – il direttore generale di Arnoldo Mondadori negli anni 1930, quando la casa editrice era di proprietà (giuridicamente) di Senatore Borletti, il ricco uomo d’affari milanese – nonché senatore del Regno. Rusca Ferrari dice grande intellettuale, e manager infaticabile, inventivo, che copiava o adattava tutto quanto aveva successo in Europa, e le serie o collane che veniva creando identificava, in casa editrice e per il pubblico, con i colori, “azzurri, verdi e neri”, senza riferimento ai generi. Eccetto che per il giallo. “Quando arriva ai romanzi polizieschi prende ispirazione dal colore della prima copertina, confezionata da un grafico inglese, e crea i “Gialli”” (p. 28), parola che subito entra nel linguaggio comune
”.

Rusca sarà poi ideatore e compilatore, per Rizzoli di cui è diventato direttore generale, del “Breviario dei laici”, un bestseller da 1.200 pagine, un tomo di elevazione e saggezza, spirituale e morale.

Pavese - Si ricorda traduttore emerito di “Moby Dick”. Ma fu, prima, traduttore di “Moll Flanders”, secondo titolo della collana Einaudi “Narratori stranieri tradotti”.

 
Risorgimento - Intervistato da Molinari in occasione della sua visita a Roma, il primo ministro israeliano Netanyahu apparenta la nascita di Israele al “Risorgimento di Garibaldi”. Però, bisognava pensarci, un’idea che si fa realtà politica.
Il Risorgimento derubricato da oltre mezzo secolo ormai, da Mack Smith in poi, a causa di tutti i mali d’Italia, corruzione, debito, mafie, incapacità militare, etc, è stato invece, ed è per molti, sinonimo di liberazione – è stato, a ben guardare, la “rivoluzione” più popolare dell’Ottocento, anzi praticamente senza antagonisti (l’Austria-Ungheria si è limitata a perdere, non ha lamentato diritti violati).
 
Social – “I social ci hanno mostrato quanto siamo stupidi come specie”, James Gray, regista – “Quanto ci piace «cancellare» gli altri, quanto ci vantiamo e cerchiamo continuamente di dimostrare che siamo più intelligenti degli altri”.

Zingari – Sono proibiti. Uno speaker dell’Atac, l’azienda comunale che gestisce (malissimo) la metropolitana di Roma, è stato punito per aver intermesso, tra gli annunci dei treni in arrivo, un “attenti agli zingari”. Un annuncio “inammissibile e inaccettabile, offensivo e discriminatorio”, ha tuonato il sindaco Gualtieri - uno che sembrava scomparso dopo la sua elezione un anno e mezzo fa (si vede che il sindaco non prende la metropolitana: il borseggio vi è incontenibile, perfino violento – organizzato). Non che gli interessati se ne offendano, che fra loro si chiamano rom, uomo, uomini. Zingari è del resto parola bizantina, di una setta ereticale. In francese sono ancora bohémiens, come quelli che vengono dalla Boemia. In spagnolo gitanos, e in America e Inghilterra gypsies, come provenienti dall’Egitto.  


È dura l’opposizione in Lettonia

Molti giornalisti e giornaliste che da Mosca e San Pietroburgo si sono spostati-e in Lettonia per fare meglio l’informazione contro Putin e la guerra, hanno a Riga più vincoli, regole, controlli che in patria. Magari sono sospettati-e di essere spie. È difficile essere liberi.
Però, è anche vero che i lettoni non amano i russi, ancorché anti-Putin.
E che l’Europa si è messa dentro un calderone bollente, accogliendo slavi, baltici e quant’altri  fraternamente, come se non avessero il coltello tra i denti - tra di loro certo, non più contro la Germania, come usavano.
Però, a quel che si vede, non se la passano male, ancorché in Lettonia – niente a che vedere con gli esiliati del fascismo o del nazismo. Questa guerra nasconde qualcosa.

Oltremare, in cerca di un’altra vita

Una quindicina di saggi su situazioni specifiche, per lo più di storia locale, con casi di studio in Argentina, Uruguay, Brasile, i più, Canada, Australia, e altre destinazioni, tutte oltremare. È un quadro delle migrazioni secondo Ottocento primo Novecento, fino ai primi anni 1950.
“Un secolo di partenze verso altri mondi e altri destini” è il sottotitolo. Evocazioni e ricostruzioni fuori dalla retorica scontata, sul bisogno e i sacrifici. Dell’emigrazione anche come storia di avventure, di povera gente, semplice ma inventiva, spesso anche riuscite – comunque riuscite quelle che si raccntano.
Storie di testiminianze, per lo più. Ma anche d ricostruziobi storiche, con molta tabelle statistiche.
Vittorio Cappelli-Giuseppe Masi-Pantaleone Sergi (a cura di), Calabria migrante, Centro di ricerca sulle migrazioni, pp. 291, free online

domenica 12 marzo 2023

Ombre - 658

“Ricordo il 1964”, dice Enrico Mentana a Cazzullo sul “Corriere della sera”, quando doveva avere una decina d’anni, o nove: “L’Inter vince al Prater la sua prima Coppa dei Campioni, e vengono inaugurate la metropolitana di Milano e l’Autostrada del Sole. È l’anno in cui in Italia nascono più bambini nella storia”. Anni di cui non si fa la storia, perché erano quelli del centro-sinistra, quello vero.
Nel 1970, continua Mentana, “entrò in vigore lo Statuto dei Lavoratori, fu approvata la legge sul divorzio”.
 
Pensare a una pace tra Iran e Arabia Saudita, a chi poco poco conosce il Medio Oriente, era ed è impensabile. Per un’ostilità secolare, a partire dalla denominazione del mare, Golfo Persico per secoli e poi, dopo l’ascesa dei Saud nel cuore degli Stati Uniti (contro l’Inghilterra…), Arabico. La pace risulta ora fatta per la mediazione della Cina. Sempre più l’Occidente, tanto potente e minaccioso, conta meno?
 
La Silicon Valley Bank fallisce dopo una serie di infortuni, nel 1992 e nel 2001 - oltre al 2008, come tutte le banche. Ma senza alcuna sorveglianza delle autorità di controllo. Reagan quarant’anni fa ha ridotto le regole, e da allora non c’è verso, il mondo deve restare appeso al “mercato” americano. Non è una buona bandiera di libertà. E non è nemmeno eludibile – non vi si può sottrarre.
 
Le banche italiane, a partire dalle più grandi, Intesa, Unicredit, assicurano di non averci nulla a che fare. Ma come è possibile – forse con la Silicon Valley? Come è possibile non “fare affari” con le banche Usa, per quanto deregolamentate – anzi, proprio per questo? La banca come un  token  di Borsa, una fiche al casinò.
 
L’uso del pos è costato in un anno 5 miliardi, stima la Confesercenti, a carico soprattutto dei piccoli esercizi, familiari. Se anche il costo sia stato un miliardo, bell’affare per le banche del pos. È il fascino dei maghi furbi, Monti, Grillo e Draghi? Il tifo dei media è tanto facile da accendere- la stupidità è così diffusa?
 
Quanti erano a Cutro per manifestare “in difesa” dei migranti? Forse nemmeno i capi delle tante ong che ci vivono sopra. La questione migranti sarà stata la più grande manifestazione di ipocrisia. Di destra e di sinistra indifferentemente. Mentre tutto è chiaro. Per 9-10 mila euro a clandestino, e un milione di irregolari l’anno nel solo Mediterraneo, i migranti sono un mercato mafioso che fa concorrenza alla droga, con meno rischi di carcerazioni e condanne. Compreso il ruolo dei benefattori, che l’affare rendono sicuro - la colpa è solo dei governi.
 
Curiosamente, nelle tantissime pagine sul naufragio di Cutro, nessuno ricorda quello che più fece sensazione, l’11 ottobre 2013, al largo di Lampedusa, detto della “strage dei bambini”, perché fra i circa 200 morti ci furono “almeno sessanta” bambini. Strage di cui l’Onu (Comitato dei Diritti Umani) ha stabilito due anni fa la responsabilità dell’Italia. Mentre la solerte Procura di Agrigento non aprì nessuna inchiesta. Perché c’era il governo Letta?
 
Cinquemila salvataggi in mare in un giorno, tra Lampedusa e Crotone, e niente, non si leggono e non si vedono che dubbi e sghignazzi sulla Guardia costiera, la Guardia di Finanza e la Marina. Ci può stare, i balordi esistono - non sapere quanto sono complicati e delicati i salvataggi, l’abbordaggio, il trasferimento uno per uno, i malati, etc., l’intelligenza non è per tutti. Ma perché dovrebbero essere di sinistra?
E ancora e di nuovo, è possibile che a sinistra non si capisca cos’è questo mondo dello s? Capirlo non è difficile, ma la supponenza pure non è rara.
 
Lo stesso giornale che tormenta l’Italia con la crudeltà contro gli immigrati, “la Repubblica”, incensa il primo ministro inglese Sunak che lo ha onorato di una intervista esclusiva, per vantare la sua “durissima legge contro coloro che sbarcano irregolarmente in Inghilterra”. È solo questione di logge?
 
Squalifica ovviamente confermata all’allenatore della Roma Mourinho dopo la sospensione per la partita contro la Juventus. Una procedura inedita e irrituale, opera dello stesso Chiné, il Procuratore della “giustizia sportiva”, lo stesso della condanna della Juventus. Sembra impossibile, ma è così: il calcio giocato è solo un’apparenza, la materia in Italia è poco chiara – chi è Chiné? chi è Gravina? chi fa le partite e perché?
Andare allo stadio era un piacere, ce l’hanno tolto. Ma anche pagare l’abbonamento, perché, per arricchire Gravina? i suo amici di Dazn?
 
Il Tar del Lazio, per la penna del suo presidente, mette in berlina il Chiné superlegista del calcio. Cioè, non si capisce cosa intende, ma si vede che gli dà un calcio in bocca. Elegantemente, tra persone di studi. Chiné risponde con una prosa che Manzoni non avrebbe saputo inventare. Lo fa per ridere? Con la patente del superlegista – a Roma nulla si fa senza Chiné?
Uno che ha rifatto un processo per lo stesso reato per cui aveva deciso l’assoluzione – una improcedibilità che è la base del diritto, da asilo infantile?
 
Tutti eroi, ogni morte si vuole eroica, o santa – “santo subito”, “eroe” sono i proclami. Deformazione giornalistica, semplificazione. Ma è l’antidoto della precarietà; l’epoca più ricca del mondo, e anche relativamente in pace, c’è solo una guerra, seppure dentro l’Europa, è insicura, ha bisogno di certezze. Il mercato non è una soluzione?
 
Crescono le preoccupazioni di esperti e istituzioni, per primo il Fondo Monetario Internazionale, solitamente guardiano dell’ortodossia monetaria, per le politiche monetarie eccessivamente restrittive della Fed americana e della Bce – dette “violente e rischiose”, non di meno. Ma non c’è resipiscenza nei banchieri centrali, Lagarde come Powell. La strategia antinflazione ridotta a colpi di tassi di sconto del 2 e 3 per cento annuo, senza nessuna cura per le condizioni sottostanti, di produzione, distribuzione, approvvigionamento, consumi, è solo insensata, da burocrati. Il governo dell’Occidente è un po’ malato – non solo le banche americane.
 
Il presidente cinese Xi Jinping in persona accusa il presidente Biden  di perseguire “una strategia di accerchiamento, contenimento e repressione” contro la Cina, “che ha causato problemi senza precedenti al nostro sviluppo”. Che sarà una excusatio ma è anche la verità. L’Occidente va come il ballerino Biden – cammina saltellando.
 
La giudice Zanda che a Firenze si rese famosa per avere teorizzato che i vaccini anti-covid modificano il dna, si specializza post-covid nelle cause di Renzi: lo condanna sempre. Dell’ultima sentenza, in un procedimento di Renzi contro il “Corriere della sera”, il giornale ha riferito con dovizia e coloritura. Eccetto il più colorito dei fatti, che la giudice è anche biologa per diletto, e teorica combattiva dei no wax. Alle giudici benevolenti non si guarda in bocca.

Contro la CCT, Commissione Cancellazione Totalitarismo

Una “difesa” del totalitarismo. Del fatto storico, sottraendolo a sociologi, scienzianti politici, psicologi. A tutti quelli che, “per amore di scienza”, lo negano, chi al fascismo, chi allo stalinismo, e c’è perfino chi lo nega a Hitler. “Ritorno alla storia” è il sottotitolo, una dichiarazione di possesso, da parte dello storico Gentile. Ma, poi, strattona anche storici di professione, come Hobsbawm sulo stalinismo, o Gordon Craig sul nazismo.
Un pamphlet, avviato sul dispiegamento orwelliano di una Commissione Cancellazione Totalitarismo – ma senza citare Orwell. Contro Hannah Arendt, d’acchito – a cui oppone Giuseppe Galasso, lo storico. Per celebrare il centenario della coniazione del termine, e anche del concetto, da parte di Giovanni Amendola – da parte quindi dell’antifascismo, come concezione negativa, del potere politico e della società. Ma soprattutto, curiosamente, per affermarne la modernità. La modernità del totalitarismo. Non del tutto criticamente, negativamente. Come uno dei modi di affrontare-organizzare la modernità – le masse, i diritti, le tecnologie. In alcune situazioni, Italia per prima, più efficace di altri, del liberalismo – che l’Italia aveva conosciuto anche troppo bene – e del bolscevismo.
Non una novità: Gentile è stato bene ideatore e curatore una dozzina d’anni fa della silloge di storici e scienziati politici intitolata “Modernità totalitaria”. Questo saggio vuole come “definitivo”, opera di riferimento. Pendant della “Storia del fascismo” con cui ha salutato l’anno scorso il centenario della “marcia su Roma” – la storia “definitiva”, che ora “Repubblica” ripopone a dispense e illustrata in edicola - complemento anche volumetrico della biografia di Mussolini monumentale a opera di Renzo De Felice, che di Gentile è stato maestro. Ma scritto col sarcasmo del polemista.
A Hannah Arendt, prima studiosa del totalitarismo, 1949, lo storico rimprovera poca o scarsa conoscenza storica, facendola comunque autrice di un “negazionismo parziale”, o di “riduzionismo”. Per aver detto non totalitaria, per es., la Russia di Lenin. Ma Lenin non morì nel pieno della sua stessa Nuova Politica Economica? Fu letto il suo monumentale “Le origini del totalitarismo” come un’opera da guerra fredda, che salvava le destre europee (tolto il nazismo, of course) per schierarle contro l’Urss di Stalin, solo perché Einaudi (allora filosovietica) non lo tradusse? Ma nessun altro editore “di destra” lo fece – “Le origini” fu tradotto, tardi, da Adriano Olivetti (edizioni di Coumunità, su iniziativa probabilmente di Franco Ferrarotti), per amore di verità, come altri “classici” trascurati della sociologia politica, Max Weber etc. Sempre Arendt è anche colpevole di avere detto il fascismo totalitario ma modernizzante, sempre ne “Le origini”, senza avere studiato, o non averne tenuto conto, la vasta bigliografia in argomento successiva alla pubblicazione del suo lavoro. Cioè, del lavoro di Gentile nel 2011?
Molte le assenze, che sarebbero venute utili proprio oggi, della modernità totalitaria, Adorno, Orwell. Nonché, volendo restare tra gli storici, dei primissimi storici delle “cause” del fascismo, Salvemini, Salvatorelli, Nolte – per non dire i primi “sociologi applicati”, per così dire, cioè politici, come Tasca, Gramsci, lo stesso Amendola.
Il libello esce pure in contemporanea con un fascicolo della “Storia del fascismo” dello stesso Gentile che l’editore può intitolare “Regime a conflitti”, tali e tante erano anche negli “anni del consenso” le divergenze con la chiesa, con le forze armate, tra i gruppi e le tendenze fasciste. E poi, la modernizzazione non viene legata al fascismo da mostre, studi, pubblicazioni varie, via futurismo e altre vie, costruttivista, monumentalista, revivalista (“postmoderna”), dalla pubblicistica di varia specializzazione già dagli anni 1970, nella grafica, il design, l’urbanistica, l’architettura, e perfino l’arredamento, la moda, i tessuti, i materiali?
Da non storici si può osservare che il totalitarismo è una forma politica tra tante. Forse moderna ma non necessariamente – erano totalitari perfino i principati italiani, tanto allegri ma pieni di spie, ostracismi, confische. E forzatamente dialettica: è inevitabile che susciti divergenze anche radicali, non solo le barzellette. Una vera dottrina del totalitarismo dovrebbe tenerne conto: è moderno perché deve essere flessibile, perché più dura è la regola, più forte è l’eccezione. C’è più totalitario degli ayatollah in Iran, che s’introducono anche in camera da letto? Tanto amati, e non li sopporta più nessuno, eccetto i “timorati d Dio” – ma questi sono un’altra categoria di umanità.
Emilio Gentile, Totalitarismo 100, Salerno, pp. 160 € 18

sabato 11 marzo 2023

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (518)

Giuseppe Leuzzi

“In Germania soffia il vento dello scisma”, avverte Filippo Di Giacomo sul “Venerdì di Repubblica”, l’ennesimo: “È probabile che la potente Chiesa tedesca”, chiesa cattolica, “inizierà a praticare su di sé quella sorta di eutanasia che ha cancellato il cattolicesimo (e il cristianesimo) da Olanda, Belgio, Svizzera, Lussemburgo e altre terre cattoliche del Nord Europa”. C’è una frattura Nord-Sud, perlomeno in Europa, anche in materia di fede: la chiesa cattolica sta a Roma e in fondo Gesù è un ebreo. Altre ragioni, teologiche o canoniche, per lo scisma non se ne vedono.


“Nelle prime due settimane eravamo tutti al buio”, dice l’infettivologo Bassetti, e con lui un po’ tutti gli specialisti di malattie infettive, sui primi casi di covid in Lombardia. Non è vero. Non si sapeva cos’era, esattamente, ma sì che era molto infettivo e pericoloso. Il 12 febbraio l’epidemiologo Merler, della fondazione Bruno Kessler di Trento, aveva calcolato matematicamente fino a 100 mila morti senza una chiusura immediata – i morti sono stati più di 100 mila. C’erano già stati i primi casi, una coppia di cinesi a Roma, e alcuni italiani di ritorno dalla Cina posti in quarantena nelle caserme della Cecchignola a Roma. Il 21 febbraio i primi decessi in Veneto e in Lombardia. Senza che si prendessero misure drastiche. E il dubbio ritorna di cosa sarebbe successo – con quanta decisione si sarebbe agito – se i primi casi si fossero manifestati a Napoli.


Spatuzza santo subito
Si celebra la libertà per Spatuzza, il killer di mafia di molte decine di persone, e di alcune stragi, un “pentito”, o “collaboratore di giustizia”, specialmente apprezzato dai giudici di Palermo perché ha consentito la condanna di Dell’Utri – non gli è riuscito con Berlusconi, ma ci ha provato in più modi. Esce circondato dalla fama di teologo. Benedetto anche da Franco Puglisi, un fratello di don Pino Puglisi, il parroco di San Gaetano al quartiere Brancaccio di Palermo, che Spatuzza uccise nel settembre 1993, in uno dei suoi ultimi, meno motivati e più efferati, delitti. Sarà catturato nel 1997. Non prima di avere organizzato le stragi di Firenze e Milano e l’attentato di Roma al Velabro – nonché, l’anno prima dell’assassinio di don Puglisi, della strage di via D’Amelio, contro il giudice Borsellino e la scorta. Si è “pentito” undici anni dopo l’arresto. 
In effetti, non è un evento da niente: il pentimento, le accuse e la telogia segnano un’epoca. Che però va ricordata nei suoi veri aspetti, che i media sembrano avere dimenticato. Questo sito ha avuto occasione di occuparsene più volte. Non servono aggiornamenti, basta una prima analisi, in forma di recensione della sociologa Alessandra Dino, dei suoi colloqui con Spatuzza in carcere:
http://www.antiit.com/2016/09/spatuzza-santo-subito-dei-killer.html


Spatuzza non ha niente da dire che non abbia detto. E sempre si lamenta povero e abbandonato – come tutti, primo Ottocento (già Dickens ne sa di più).
Non si capisce la ratio di questo libro. Non è nemmeno il solito sermone anti-Berlusconi, di quelli che si scrivono, si scrivevano, per uscire su “la Repubblica” o “l’Espresso” – il rito degli autori della “resistenza”. Berlusconi viene abbondante quarto nelle citazioni – dal suo nome Spatuzza non si aspetta più nulla? Qui si parla soprattutto dei tre Graviano, i padri-padroni del killer. Del quale non c’è una piega di condanna, solo comprensione – “misericordia”?
Ben nove incontri tra la studiosa e il killer. Dino dice che sono avvenuti nel mezzo di un periodo “di grande sofferenza”, poteva almeno risparmiarsi Spatuzza. E le venerabili edizioni del Mulino? Dov’è finita la sociologia?
 “Un racconto di vita una storia di stragi” è il sottotitolo. Di stragi, s’intuisce naturalmente, a opera dello Stato, con o senza Berlusconi, di vita invece di Spatuzza. E di vita del centinaio di persone da lui uccise, molte delle quali non erano nemmeno mafiose? Una testimonianza “pulsante”, dice la studiosa. Di che?
Di Spatuzza, il centokiller, valga quello che si scriveva su questo sito il 7 dicembre 2009:
http://www.antiit.com/2009/12/sud-del-sud-il-sud-visto-da-sotto-49.html
“Il corteo palermitano a Torino in onore di Spatuzza è una coppa del mondo data vinta alla mafia, alla mafia mafiosa degli Spatuzza e dei Graviano, i killer e i boss. Un mago del marketing mafioso non avrebbe saputo inventare di meglio. E tutto gratis, a spese dello Stato, cioè degli onesti. La Corte d’Assise d’Appello, completa di giuria, che viaggia da Palermo a Torino per ascoltare il gran pentito Spatuzza, alla presenza di duecento giornalisti, che c’entra con la mafia? Che c’entra con il Sud? È una guerra tra De Benedetti e Berlusconi, tra Bazoli e Berlusconi, cui i giudici si prestano proni per loro particolari ragioni, e anzi in contrasto con i loro doveri istituzionali. Una scaramuccia in realtà, lupo non mangia lupo: non ci libereremo di Berlusconi, il padrone dei nostri voti, né di De Benedetti o Bazoli, i padroni della nostra opinione e dei nostri soldi.
“Spatuzza è un killer brutto quanto spietato, l’emblema anche fisico della stupidità assassina. Lo proteggono venti agenti addetti alla sua protezione personale, venticinque agenti in vario modo incaricati del trasporto, e settanta tra poliziotti e carabinieri addetti alla sorveglianza…
Uno che denunciasse un sopruso di mafia, un danneggiamento, un’estorsione, Libero Grassi per esempio, non avrebbe, non ha mai avuto, neanche un millesimo di questa sollecitudine. Bisogna arguirne che lo Stato è mafioso? No.
“Il pentito Spatuzza è un caso abnorme. Uno che da tempo studia teologia in carcere, ma “si ricorda” dopo quindici anni. E dopo che da ben sette anni i suoi (ex?) capi mafiosi gli chiedono di ricordare. Capi in isolamento, che però lo possono incontrare nel supercarcere di Tolmezzo, per distesi dialoghi – Spatuzza è uno che è lento a capire.
“Ma più del colloquio boss-killer a Tolmezzo, è mafiosissimo il colloquio tra Procuratore e boss, il giudice Alessandro Crini e uno dei fratelli Graviano, Filippo, a proposito del convitato di pietra Berlusconi, qui riportato nella redazione del “Corriere della sera” del 29 novembre: http://www.corriere.it/cronache/09_novembre_29/pm-domande-spatuzza-berlusconi-bianconi_c286a9a4-dcbf-11de-8223-00144f02aabc.shtml
Procuratore: «Con lei si parla bene, un italiano consapevole, queste cose le capisce al volo... Noi pensiamo che Spatuzza abbia capito bene, e pensiamo che lei si sia difeso molto bene, con un’interpretazione molto saggia, che però secondo noi non è quella giusta».
Graviano risponde che lui non dice bugie; semmai non dice. E ribadisce di «non avere cognizione, né diretta né indiretta, di questi impegni, accordi, o come si possono chiamare; ma quella risposta articolata che vi ho dato è per aprirvi un sentiero, diciamo... ».
“Pier Luigi Vigna è il giudice fiorentino che è stato a capo della Procura nazionale antimafia. Al “Corriere della sera” del 29 novembre ricorda di avere incontrato un paio di volte Spatuzza, “nel 1999 o nel 2000”. Lo ricorda “intenso”, e “assai tormentato”. Un killer di mafia, autore di almeno cento assassinii. Sotto l’incubo del 41 bis. E uno dice: chi ci protegge? Non dai mafiosi.
“Spatuzza in carcere diventa teologo. Un killer volpino (il tipo qui lo dico, qui lo nego) nella foto dell’arresto. Il suo boss Graviano diventa economista. Tutti con buoni voti. Bene assistiti dai tutor. È il carcere una buona università, o viceversa?
“La storia dei pentiti è tutta disonorevole. Il pentito negli Usa si deve pentire “tutto insieme”: deve dire tutto quello che sa, dopo essersi preparato, a tutti gli inquirenti che possano essere interessati alle sue confessioni, magistrati o poliziotti. Non all’orecchio di questo o quell’inquirente, magari suo sodale. Non a rate. Il nemico, seppure retribuito, in America è sempre un criminale. Roba da sbirri, che sempre hanno avuto da fare con confidenti e mezzani. Solo nella giustizia italiana diventano martiri, per sbugiardare la giustizia.
“Buscetta, a parlarci, era un evidente bugiardo. E tuttavia scrittori molto apprezzati e molto pieni della propria onestà, Biagi, Bocca, i sicilianisti, ne hanno fatto un monumento: di correttezza, onestà, coraggio. Un criminale che ha vissuto magnificamente metà della sua vita, protetto come un capo di Stato e con lauti rimborsi spese. Era pronto anche a chiamare in causa Andreotti, dopo avere negato questo favore a Falcone, quando i nuovi procuratori ebbero bisogno della sua collaborazione”.
Alessandra Dino,
A colloquio con Gaspare Spatuzza, Il Mulino, pp. 312 € 20


La magistratura imprenditrice
Quarant’anni fa, nel 1983, Arlacchi scoprì la “mafia imprenditrice”. In chiave weberiana, sottotitolo “L’etica mafiosa e lo spirito del capitalismo”, ma sulla scia delle indagini del Procuratore (allora) di Palmi Cordova, che se fosse vissuto sarebbe sicuramente stato il ministro della Giustizia del governo Meloni, il “suo” governo. E sulla strada contemporaneamente aperta a Palermo da Falcone, col mega processo. 
Barbano nel 2023 scopre la “magistratura imprenditrice”? Con eguale successo è da dubitare – tutti vogliamo i giudici dalla nostra parte. Ma i presupposti non gli difettano: le “mille e una” confische di beni mafiosi o presunti tali. Senza un giudizio. Con affidamento diretto a curatori giudiziari, molto ben remunerati, di propria fiducia. Di fiducia dei giudici. Senza dover rendere conto a niente e nessuno. Nemmeno alle regole basiche della buona gestione, del “buon padre di famiglia” – 9,8 beni su dieci confiscati vengono liquidati, messi in liquidazione.
Una procedura ormai, la confisca, del tutto irrituale, non codificata, discrezionale dell’autorità amministrativa (di polizia). Per modalità che Barbano ben precisa. “La prima garanzia”, procedurale, legale, “a cadere è stata l’indizio della illiceità della ricchezza, cioè la sperequazione tra il valore dei beni posseduti e i redditi dichiarati”: non è più necessario che sia “notevole”, come la legge La Torra precisava - “nel 1993, dopo le stragi di mafia, una riforma abroga l’aggettivo”. 
“La seconda garanzia abrogata è quella che subordinava la confisca a un giudizio di pericolosità qualificata della persona, cioè riferibile all’appartenenza alla mafia, e all’applicazione preventiva di una misura di prevenzione personale”, del carcere: “Dal 2008 la confisca diventa indipendente da questi due paletti”. 
Senza notare che molte confische, decise in via amministrativa, in via giudiziaria poi vengono abrogate, e i beni restituiti. Magari distrutti. Come il Café de Paris a Via Veneto, col ristorante cinque stelle George’s e il gigantesco caffè California in via Bissolati, che faceva il pasto di mezzogiorno per gli impiegati delle linee aeree, centinaia di coperti - con altri 100 beni, immobili e mobili - a Vincenzo Alvaro, degli Alvaro di Sinopoli, che fanno le cronache da una settantina d’anni ormai. Magari vengono restituiti a una famiglia sicuramente mafiosa. O, viceversa, si procede contro incensurati, fino agli eredi, figli, nipoti, che verranno poi, se giudicati, anche dopo decenni, riconosciuti innocenti. Sequestri e confische si possono fare a volontà. 
Ora, tutto si può fare, giustificato. Ma non se è un business. Fine a se stesso. Gli arresti e le confische sono talmente numerose che uno si chiede: è possibile? Per poi scoprire che non bastano mai: più arresti (la retate mattutine sono passate dalla trentina al centinaio) e più confische, e la malvivenza c’è sempre.  
In “Fuori l’Italia dal Sud”, 1992, deprecavamo i sequestri di beni non assortiti da confische – i sequestri che poi finivano in restituzione. Poi le confische sono state generalizzate, e anzi decise in via preventiva, come “misure di prevenzione”, prima ancora di un giudizio di colpevolezza. Senza giusto mezzo. Creando anzi l’effetto opposto, di impoverire gente onesta, e imprenditrice, e di arricchire impropriamente la Funzione Pubblica. Una presunta Funzione Pubblica a carattere molto privatistico, e anzi di amicizia - naturalmente non mafiosa.  
P.S. – Su una cosa Barbano ha certamente ragione – la polemica qui gli viene facile: che il sequestro preventivo generi ricchezza. Il capitolo “La legge che tutti ci invidiano ma nessuno adotta” apre citando la ministra della Giustizia Cartabia alla commissione parlamentare Antimafia il 10 giugno 2021: “La gestione dei beni tolti ai criminali è considerata da tutti un patrimonio e un pilastro fondamentale, sia per la sua capacità effettiva di generare ricchezza, sia per il suo valore simbolico”. Sul primo punto, la generazione di ricchezza, comunicando simultaneamente che 94 aziende sequestrate o confiscate su 100 erano morte.


Sicilia
“È stata una persona speciale”, dice l’artista napoletana Isabella Ducrot del marito Vicky Ducrot, da cui ha preso il nome: “Proveniva da un’importante e ricca famiglia palermitana”. E poi ha un lampo di memoria, dice all’intervistatore: “Pensa che allora credevo che Palermo fosse una succursale di Napoli”, allora ai suoi trent’anni. Oggi novantenne, Isabella Ducrot lo credeva sessant’anni fa, negli anni 1960. A Milano ne avranno saputo di più.

Fu posta in stato d’assedio, l’ennesimo, il gennaio 1894, al comando di un piemontese, il generale Fossa di Lavriano, con 92 morti (almeno novantadue, nei conti di Napoleone Colajanni, il governo non li contò nemmeno), contro i Fasci dei lavoratori, le prime organizzazioni sindacali, da un siciliano, Crispi. Un mazziniano garibaldino, erede della Sinistra in Parlamento. Antesignano del fascismo, Mussolini nel 1922 pretenderà - come Sergio Romano nota nella sua biografia: per il filogermanesimo, la francofobia, e le “sentenze”, sul battesimo di sangue, l’inciviltà degli slavi, la barbarie degli abissini, la missione civilizzatrice dell’Italia. La Sicilia fa cattiva politica?

È anche vero che i 92 morti contati da Colajanni erano di prima dello stato d’assedio. Opera della “normale” azione di contrasto  della sicurezza pubblica nell’isola, rinforzata dai bersaglieri – quante ne hanno fatte i bersaglieri al Sud. 

Non ama i suoi “parrini”, pur vivendo tra parrocchie, vescovadi e feste patronali. Nella lunga composizione di storie paesane, di storie del notabilato, che poi – dopo esitazioni e proposte varie lunghe un anno – prenderà il titolo “Le parrocchie di Regalpetra”, Sciascia trascura “i preti”, come con linguaggio laico gli obietta in ultimo Donato Barbone, per conto della redazione Laterza. Sciascia rimedierà all’obiezione, Nino Caffè disegnerà una copertina di preti, e il titolo sarà infine trovato.


Solo Tomasi di Lampedusa non omette “i preti”. Ma non in veste per qualche verso simpatica, neanche lui.
Ma dei “preti” Tomasi fa come di tutto e di tutti. L’autore del “Gattopardo” è il Rutilio Namaziano della Sicilia, il “cantore malinconico della decadenza”, direbbe lo storico della decadenza Santo Mazzarino – catanese.

Mantiene una immagine, aristocratica, notabilare, non più attuale da decenni. Se non da poco meno di un secolo, dalla guerra, dalla caduta del fascismo. Basta vedere la sua classe politica. Non solo Sciascia e Tomasi nel 1955, e qualche romanziera francese di quegli anni, ancora Camilleri e Agnello Hornby, e il fortunatissimo “I leoni di Sicilia”, vi si appoggiano. Per una letteratura, tutto sommato, del rimpianto, nostalgica.

Ne fanno a meno i catanesi, vigorosi realisti, Capuana, Verga e De Roberto, e fino a Brancati.  Come se Catania fosse stata una repubblica, pianamente borghese.

“Erede di Verga, Capuana e De Roberto, Rosso di san Secondo ha offerto della Sicilia un’immagine che travalica la dimensione provinciale, come Pirandello, ha proiettato in questo ambiente la tragedia universale del vivere degli umani….”. Ne fa la rivalutazione Antonella D’Amelia (“La Russia oltreconfine”, pp. 229-338), romana, russista, che fu allieva di Ripellino, altro siciliano dimenticato. 

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