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sabato 15 settembre 2007

Ricardo: con l'euro caro la crisi è europea

La Banca centrale europea segue, con affanno, la Federal Reserve, iniettando qua e là liquidità, ma sempre con effetti irrisori rispetto alla crescita di valore della moneta. Il caro denaro è per ora compensato, più che compensato, dall’aumento generale dei prezzi. Ma la scandalosa rincorsa, in atto ormai da un quinquennio, ha prosciugato i risparmi e la quota di reddito destinata ai consumi, e sta per indebolire la disponibilità al consumo. Lo shopping è lo stile di vita prevalente, i centri commerciali si moltiplicano con le boutiques e sono le nuove cattedrali, non solo alla domenica, il credito al consumo è sempre più l’impiego principale delle banche, ma non c’è pubblicità che tenga di fronte al reddito incerto, precario, svalutato dall’“inflazione-che-non-c’è”. L’ex uomo della strada comincia a uscire dall’eurosbornia, si fa il conto per esempio di quanti euro spreca inavvertitamente ogni giorno, quattro o cinque – il salario di un africano, mensile.
La vecchia teoria della crisi prospetta la caduta dei prezzi dopo un loro aumento prolungato. La nuova teoria non c’è, è sempre quella di Ricardo, che studiò la circolazione metallica, e ne individuò le leggi: futures, derivati e ipoteche del settimo grado non sembrano avere modificato il mercato monetario – è anche vero che nella società dell’arricchimento non c’è tempo per la riflessione. La tenuta delle Borse, che più o meno sono poco sotto i massimi dell’ultimo anno – massimi storici – non è segno di salute: è una sorta di scongiuro e una partita di giro. Se la legge è sempre quella, che la caduta generale e improvvisa dei prezzi segue a un loro aumento generale prolungato, la crisi c’è, ci sarà. In Europa. Perché alcune delle maggiori banche inglesi hanno prosperato sui mutui facili, come le americane. Perché non è vero che i fondi europei non profittassero dei soldi facili dei mutui non garantiti, non sono diversi dagli americani. E per un terzo motivo specificamente europeo. La turbolenza monetaria innescata dai mutui facili americani è un sintomo e a sua volta un innesco: l’aumento del valore relativo del denaro, a paragone di tutte le merci, che finora ha sostenuto l’aumento generale prolungato dei prezzi, si è avuto e si ha per l’euro. Il mercato, che ha fiuto, non crede alla possibilità prolungare la duplice accoppiata del caro denaro e caro prezzi.

venerdì 14 settembre 2007

Fino a quando i calci alla Russia

Si sorride dello sfoggio di forza che a giorni alterni Putin esibisce, con nuove armi, nuove ricerche militari, nuovi impegni. Che forse può aiutarlo - può aiutare il suo candidato - alle presidenziali ma è di nessun effetto sul piano internazionale, si ritiene, visto lo stato pietoso della Russia post-comunista. In realtà, il rublo è solido, e la Russia di Putin ha cominciato a esserlo anch'essa. Mentre l'America, con l'Europa alla coda, non può continuare indefinitamente a prendere la Russia a calci. Fuori dalla Wto, come un qualsiasi paese del Terzo mondo, con la Nato in casa, dalla Georgia a, c'è da scommetterlo, l'Ucraina, perseguitata nella stessa Ucraina, nella Transnistria e, per estensione, in Serbia, dopo essere stata annientata, anche se era ormai una minoranza consistente, nel Baltico e nelle repubbliche caucasiche. Ci sono dubbi a Londra e in Germania sull'opportunità di questa politica anti-russa, oltre che alla Farnesina. Anche perché, per quanto ridicole siano le pretese di Putin allo status di grande potenza, la Russia è determinante nella lotta al terrorismo. Finora si è schierata con gli Usa, per i problemi interni che si è creati in Cecenia. Ma ipoteticamente ha negli stati mussulmani centro-asiatici, che controlla per ogni aspetto, santuari inattaccabili di ogni irriducibile anti-americano.
In concreto la Russia resta appetibile per gli idrocarburi. I grandi gruppi inglesi, che avevano messo le mani sui maggiori gruppi russi, soffrono la battuta d'arresto imposta da Putin contro la politica provocatoria dello spionaggio e delle residenze di comodo ai pescecani espatriati. Il governo tedesco crede, come l'Italia, alla collaborazione con Gazprom.

La Cina è miglior capitalista

È suggestiva più che attuale la lettura della crisi come del passaggio dall’era americana a quella cinese-asiatica anche in campo finanziario. Gli Stati Uniti non sono l’Inghilterra del 1929 che non voleva più gestire il sistema internazionale, vogliono gestirlo e ne hanno i mezzi, non c’è nessun altro segno di declino americano. I fondi sovrani delle economie patrimoniali e post-socialiste, in Europa (Russia, Norvegia) e in Asia (dalle monarchie arabe alla Cina), sono ben più solidi dei fondi di varia natura che si pregiano del titolo di speculazione a Londra e Wall Street, ma proprio perché sono cauti: vogliono profittare del mercato e non gestirlo – garantirlo. La Cina (anche la Russia) non mostra di risentire della contrazione del capitale che affligge gli Usa e l’Europa. Perché non ha investito nei derivati immobiliari. E, si presume, in ogni altro derivato. Dai quali però deriva buona parte della liquidità che consente alla Cina da un trentennio ormai il suo straordinario dieci per cento annuo di crescita. Da questo punto di vista si può dire investitore accorto, e anche miglior capitalista, ma nulla di più. La crisi della liquidità, se si dovesse confermare, metterebbe fine ai balzi in avanti cinesi. Con effetti paurosi, in questa fase di accelerazione degli investimenti per le Olimpiadi, il salto è sempre un momento delicato: una crisi duratura della liquidità sarebbe letale per l’Asia, altro che sogni di grandezza.
La Cina del resto non solo non gestisce la crisi ma nemmeno ha chiesto né chiede un ruolo di gestore. I suo governanti sono gente seria: non hanno mai criticato il superdeficit americano, grazie al quale hanno prosperato, e probabilmente incrociano le dita come Bush.

Draghi liberista senza controlli

Il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi vuole rompere ogni argine residuo alla commistione fra banche e industria, o gruppi finanziari, “tanto sono affinati i controlli di vigilanza”. Pura ideologia da mercatista, se non da banchiere d’affari. Che si sostiene con la dubbia impermeabilità dell’Italia alla crisi scatenata dal mercato Usa delle ipoteche. La crisi al contrario dimostra che non ci sono controlli di vigilanza – l’Italia ne è fuori come sistema bancario per provincialismo e marginalità, e comunque ne risente in pieno gli effetti deteriori, il credit crunch, la propensione alla liquidità.
Il sistema della Federal Reserve non ha vigilato un bel niente, tra l’altro di un mercato ben noto, nient’affatto riservato. E come rimedio non ha che un’iniezione periodica di liquidità, per evitare un effetto choc dell’inevitabile depauperamento del mercato dei capitali: ogni cinque-sei giorni rimette in circolo lo stesso ammontare di denaro. La Banca centrale europea, con tutti i suoi controlli affinati, forse non ne sapeva nemmeno nulla, si limita e seguite dopo un paio di giorni la Fed. Il nocciolo della crisi è proprio questo: lo scarso fiuto, o impotenza, dei controllori, l’impossibilità in definitiva di prevenire. Il mercato si vuole libero, sia esso spudoratamente truffaldino o puttanesco. Altre crisi sono nate dal fallimento di un fondo, una banca, un settore, o dal terrorismo, o dalla grande corruzione Usa (Enron, Cisco et al.). Questa è proprio una crisi dei controlli.

Il socialismo delle terze file

Si discute periodicamente del socialismo, che non c’è, che ci dovrebbe essere, oppure non ci può essere, eccetera, con le solite sconclusioni sull’epoca dei diritti individuali che ha soppiantato quella dei diritti sociali (cosa? dove? quando?), del liberismo che solo sa vendere l’usato, eccetera. E non si dice l’essenziale, in Italia – dell’Italia si tratta, altrove il socialismo bene o male esiste: la modestia delle persone che l’incarnano. Sono le quarte file degli (ex) comunisti, le terze dei vecchi socialisti, tutti dai sessanta in su, e vorrebbero essere qualsiasi cosa pur di esistere. Soprattutto, si scopre, sceriffi.

martedì 11 settembre 2007

ll danno è della Ferrari

Giovedì la Fia non farà nulla contro McLaren – le toglierà il campionato costruttori, ma sai che pena. Forse non ne ha motivo, e comunque non può: la Formula Uno è inglese e, si sa, gli inglesi non si corrompono e non rubano. L’unico uomo nero dell’affare è Alonso, che è latino, e quindi rissoso, spione, traditore - mentre Hamilton, che viene messo in prima posizione e viene fatto vincere, è angelico, essendo inglese (finalmente gli inglesi vinceranno qualcosa, va bene che agli inglesi basta solamente concorrere, ma isomma). Tutto questo è però marginale, vittima dello scandalo è, e rimarrà, la Ferrari, che ne resta inspiegabilmente scossa, sbaglia l’idraulica, sbaglia l’alimentazione, sbaglia perfino al pit stop. Mentre McLaren sembra galvanizzarsi, e vince perfino i gran premi persi. Per la Ferrari è il terzo anno di “errori”, intervallato da una scelta inspiegabile del pilota pilota: non Alonso, indiscutibilmente migliore in pista, nei collaudi, e nell’ingegneria, e il più simpatico di tutti, ma l’impalpabile Raikkonen.
L’anno scorso sono stati “errori” di Schumacher, false precedenze, errori di organizzazione, a far vincere Renault, per il secondo anno consecutivo, e spezzare lo stucchevole predominio Ferrari-Schumacher. Si può ipotizzare che la casa modenese sia all’improvviso divenuta debole di nervi. Ma, se c’è una logica, MacLaren vincerà questo e ancora un altro anno, e poi, forse, si rivedrà Ferrari. È solo un fatto di nuove attrazioni al circo.

Il Grande Mugwump Grillo

C’era attesa e naturalmente non poteva andare delusa: Grillo che manda tutti a fare in culo – tutti eccetto i giornali e i magistrati – dev’essere roba di successo. Non poteva mancare, sennò che divertimento è. Ma si scomodano politologi e sociologi, e si chiedono mea culpa ai politici. Come se Grillo non fosse un politicante. E uno della specie deteriore, i predicatori all’americana, i Grandi Mugwump che insegnano al mondo a esistere. Arte nella quale è stato preceduto da Santoro e da Moretti – che ora egli qualifica di “debosciato” o qualcosa del genere. Gli Enti dell’Etere, artisti del nulla, l’Isola dei Famosi della politica. Si vuole qualificarla antipolitica, ma è la politica dei guitti. Duecento parlamentari hanno dato l’adesione in anticipo a occhi chiusi a Grillo, che quindi deve dirsi il più guitto di tutti, e il primo da mandare a fare in culo. L’unico fatto significativo del fancullismo è che esso tiene banco a sinistra

domenica 9 settembre 2007

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto

Giuseppe Leuzzi

Cos’è il Sud oggi? Mezzo euro per i lettori del “Sole” ogni mercoledì.

Loiero ha ottenuto da Prodi per la Calabria, sotto choc per la strage di Duisburg e gli incendi dei boschi, il pacchetto Amato per l’ordine pubblico... Si rifà facendo prospettare ai giornali il ritorno dell’esercito sull’Aspromonte – forse non sa che i militari hanno ora trasferte ben più dotate rispetto a venticinque anni fa, in Libano, Afghanistan o Mozambico.
Il problema della Calabria è la Calabria. I suoi politici e, naturalmente, i calabresi che li votano. Non è cambiato nulla dacché, con la Sir, la Liquichimica, il pacchetto Reggio e Gioia Tauro, migliaia di miliardi venivano dispersi da Roma nel nome della Calabria in tangenti e ruberie attraverso imprenditori compiacenti e politici locali corrotti. Solo che ora non ci sono i soldi, nemmeno figurativi.

Erodoto a Sibari, Pitagora a Crotone, Platone a Siracusa, la scuola di Elea, Archimede, che la Sicilia snobba, opulenza del Sud, uno spreco inimmaginabile.

Andando per l’Aspromonte, nel Parco, s’incontrano tre sorprese. Molti boschi, soprattutto le pinete, sono così fitti che sono secchi: sono verdi all’esterno, dove gli alberi respirano, sono vuoti e secchi all’interno, dove i pini sono stati piantati a grappolo, e non cresce nemmeno un filo d’erba.
Si continua a piantare, e questa volta sicuri che non crescerà nulla: gli abeti, che coi faggi crescono facendosi vicendevolmente ombra, vengono piantati a grappoli, isolati sotto il solleone, sicuri quindi che il rimboschimento è solo una spesa sprecata.
Gli alpeggi, terza assurdità, sono tutti ricoperti di fitta alberatura, quasi ovunque di pino canadese: sono radure che sono sempre servite da pascolo a ovini e bovini, che hanno sempre contrassegnato il territorio, creando aria, ospitando vedute, e che da sempre ospitavano specie erbose caratteristiche, ora sacrificate all’ombra di pini estranei al territorio, che proiettano un’impressione di soffocamento.
Cosa ci vuole, quale arte superiore, per sfoltire le pinete secche, liberare le radure, piantare faggi e abete a regola d’arte? Quale piano di sviluppo, quale Cassa per il Mezzogiorno, quale accordo con l’Unione Europea? Non hanno le aziende forestali dello stato degli agronomi, non c’è un controllo sull’uso appropriato del denaro pubblico? E, dato che tutto in Calabria viene fatto a dispetto, perché piantare a sproposito, per odio contro chi?

Il leghismo è amore del proprio luogo – terra, borgo, città. Buono o cattivo? È la base della democrazia americana, lo è stato dell’Italia dei Comuni. Sarebbe un ricostituente decisivo, e comunque è necessario, per il Sud, che da un paio di secoli si distrugge, e forse si amerebbe cancellato. I popoli in fuga restano condannati, alla diaspora e all’inferno, se non si ritrovano, nella terra, nella storia, nel modo d’essere. Pernicioso è il leghismo che esclude, di chi, nella sua stabilità, rifiuta il diverso che non si assoggetta, non omogeneizzato.

Non è vero che ci sono le folle a Locri alle manifestazioni antimafia. La vedova Fortugno, la dottoressa Laganà, eletta deputato nel 2006 e membro della Commissione parlamentare Antimafia, più spesso è sola ai convegni in provincia con la scorta. Locri, che l’assassinio del dottor Fortugno due anni fa imbarbarisce nell’opinione dei più, è cittadina gentile. Salvo in un punto. Trent’anni di traffici pesanti non ne hanno scalfito la tradizione civile.
Locri ha una storia lunga e ricca, è sede vescovile e di tribunale, ha un sito archeologico importante, ha tutti i licei con molte sezioni, ha un lungomare alberato e attrezzato fra i migliori d’Italia, e il mare pulito. Secondo una celebre analisi del suo ottimo vescovo Bregantini, dovrebbe avere pure la pulizia morale: la bellezza è elevatezza di spirito, presuppone pulizia e ordine morale. Secondo il senso comune anche. Locri è però anche sede di Asl con ospedale. Di cui la famiglia Laganà, padre e zio dell’onorevole, è stata per decenni il punto di riferimento - i Laganà, i Barbaro e i Sainato hanno "governato" Locri per molti decenni. Nell’ultimo decennio fino al 2006 la vice-direzione è stata assicurata dalla dottoressa Laganà. E nell’ospedale, che ha un disavanzo altissimo, 16o milioni di euro, per un servizio modestissimo, sembra concentrata tutta la barbarie di cui a Locri si fa carico: quattro o cinque primari e una dozzina d'infermieri assassinati, attentati dinamitardi, un centinaio di dipendenti schedati dai Carabinieri (tutto ciò era singolarmente antevisto dalo scrittore Antonio Delfino nel racconto "Vecchia Locri", pubblicato inel volume "Gente di Calabria" nel 1987).
Gli assassini del dottor Fortugno hanno agito di giorno, in pubblico, nel centralissimo palazzo Nieddu del Rio che serviva da ufficio elettorale per le primarie di Prodi, a viso scoperto. I traffici pesanti dell'ultimo trentennio sono stati l'importazione libera della droga, dalla Turchia, dal Libano e da ogni dove. Che hanno aperto nell'ultimo decennio le rotte della carne umana, da Capo Bruzzano a Capo Colonna.

Il leghismo è Milano. Che si cura, è sensibile, e da tempo, prima dei programmi scolastici, ha cancellato la geografia, se mai l’ha imparata, come una capitale al fondo di un paese continentale. Milano il leghismo esercita come disprezzo dell’Italia. Ma qual è il conto del dare e avere di Milano con l’Italia? Non apprezzabile: Manzoni, Bava Beccaris, Mussolini, le stragi di Stato, Mani Pulite, il falso dossier contro Berlusconi nel 1994 per invalidare il voto, la Borsa naturalmente, dove "i soldi entrano", diceva Cuccia, "e non si sa dove finiscono". E Malpensa, una storia vecchia di trent'anni, che ha portato l'Alitalia al fallimento, e non assicura alla Padania, da Torino a Udine e all'Emilia, lo sbocco di cui ha bisogno, senza una ferrovia veloce e un'autostrada di accesso diretto, per i dissidi tra provincia e provincia e tra comune e comune (la storia di Alitalia si dive in prima e dopo Malpensa: fino al 1998, bene o male, stava in piedi, dopo ha accumualto un bilancio in pedita dietro l'altro). E tuttavia solo il leghismo si può mettere all’attivo di Milano. Non nell’accezione milanese, esclusiva, ma come liberazione degli altri popoli d’Italia da Milano, dalla moda, i giornali, i consumi, i modi d’essere e di pensare dei milanesi. Milano è capitale morale d’Italia in quanto profondamente immorale.
Senza la Borsa di Milano l’Italia non potrebbe che essere più ricca. Anche due e tre volte più ricca di quanto è: fra patrimoni bruciati e patrimoni sottratti (in Svizzera, a Londra, a Hong Kong, a Monaco, alle Barbados) quante risorse Milano ogni giorno distrugge più di Roma, di Quirinale, Camere, Ministeri e Autorità messi insieme, due volte tanto? tre volte?

L’edizione siciliana di “Repubblica” si fa spiegare la mafia da Vittorio Taviani. Ottima persona, buon cineasta, ma pretende di aver “fatto fessa” la mafia. Di conoscerla così bene, cioè, da prenderla per il culo. La mafia. Una donna? Una finanziaria? Una specialista di casting? No, non importa: i siciliani hanno solo bisogno di qualcuno che gli dica quanto sono stronzi. Non per altro, per potere comodamente pensare, nella loro strafottente superbia, quanto è stronzo questo qualcuno.