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sabato 13 marzo 2021

Letture - 451

letterautore

Accademia dei Lincei – “Una banda omoerotica incline al misticismo e al melodramma, organizzata come un ordine religioso e pericolosamente vicina all’eresia”, lo storico americano della scienza John Heilbron, “Vita di Galileo”. L’accademia organizzata a Roma nel 1603, di cui Galileo sarà presto membro, così caratteristica del “novismo” del primo Seicento.
 
Autobio
– È il genere preferito, in una letteratura di generi, perché prevalentemente editoriale: sono in genere i romanzi dei redattori editoriali. Da quando, mezzo secolo fa, l’editoria ha adottato in Europa i criteri editoriali americani, del libro merce. Merce nel senso nobile della parola, di un prodotto in forte domanda, per il quale si propone una buona offerta, di qualità, e comunque di rapporto qualità\prezzo. Ma di prodotti molto “sul mercato”, cioè nel gusto via via prevalente – che in buona misura è artificioso e non spontaneo, prodotto esso stesso, dell’industria della persuasione occulta. E in un mercato a forte volatilità: i prodotti hanno arco di vita breve e brevissimo, anche solo di settimane – alcuni, “Gomorra” per esempio, a tenuta anche di mesi, collegandosi a eventi fortuitamente concomitanti - ma evidentemente remunerativo. Questo esclude libri a scarsa circolazione: non si può pubblicare niente che non venda subito ventimila copie
Lo spiega Toni Morrison, redattrice editoriale illustre per alcuni anni, prima di diventare professore di scrittura creativa nelle migliori università americane, premio Nobel per la Letteratura 1993, presentando nell’edizione italiana il suo capolavoro, “Amatissima” (“Beloved”). Morrison lascia a un certo punto il lavoro editoriale per fare la scrittrice in proprio. Anche se non è persuasa dell’obiezione: “La domanda sulle mie priorità – come si può fare l’editing e scrivere allo stesso tempo – mi sembrava stramba e scontata”. Del tipo, aggiunge: come si può fare il pittore e insegnare la pittura, come si può fare lo scrittore e insegnare la scrittura? Anche se gli “illustri scrittori” che lei vanta di avere riscritto sono già pochi anni dopo illustri sconosciuti: “Toni Cade Bambara, June Jordan,  Gayle Jones, Lucile Clifton, Henry Dumas, Leon Forrest”.
 
Feltrinelli
- Il primo supermercato apre in Italia il 27 novembre 1957 – che poi sarà Esselunga. È anche il primo supermercato in Europa. Nello stesso anno Feltrinelli ha aperto la prima libreria self-service, a Pisa e a Milano nel 1957. Una rivoluzione vera.
 
Gadda – Fu artigliere nella grande Guerra, l’arma allora più distruttiva, più dell’aviazione. Come Wittgenstein. Entrambi poi prigionieri – meglio che morti?
 
Germania – “È una dura parola, e tuttavia devo dirla perché è la verità: non posso immaginare alcun altro popolo che sia lacerato come quello tedesco. Ti vedi degli artigiani, ma nessun uomo;  pensatori, ma nessun uomo;  signori e servi, giovani e vecchi, ma nessun uomo”, Hölderlin, “Iperione”.
A seguire, la Germania Hölderlin assimila a “un campo di battaglia, dove mani, braccia e tutte le membra giacciono separate una dall’altra, mentre il sangue della vita scorre via nella sabbia”.
 
Italiano – Hölderlin, nella lunga follia, durante la quale, in presenza di visitatori e curiosi parlava spesso senza costrutto, alternava al tedesco delle frasi francesi, ma si firmava, e si voleva chiamato, con nomi italiani: Scardanelli, Rosetti, Buonarroti, Buoarotti, Salvator Rosa, Scaliger Rosa, Scarivari – eccetto che per Scardanelli, autografo, firma di molte composizioni, la grafia degli altri nomi varia a seconda di come la registrano gli interlocutori, con le doppie sparse qua e la, col k invece del c, con l’elisione o senza.
Hölderlin negli anni della follia scriveva anche in latino, pensieri filosofici. Brevi ma logici.
 
Era un avventuriero il maestro di italiano di casa Goethe a Francoforte, di Wolfgang dopo esserlo stato del padre Johann Caspar. Un personaggio che ha incuriosito anche Croce, “Putignano in terra di Bari e il maestro d’italiano di Volfango Goethe”. Originario di Castellaneta, in provincia di Bari, risulta essere stato “padre collegiale” nel convento di San Domenico a Putignano, a 24 anni, nel 1717, anno nel quale viene carcerato nello stesso convento con l’accusa di “eccesso”, in attesa di processo. Un’accusa a carattere sessuale, anche se non si sa di quale natura, ma evidentemente grave, che lo porta a tentare l’evasione. Ci riesce e si rifugia in Svizzera. Nel 1723 a Zurigo abiura pubblicamente e abbraccia il protestantesimo. Sposa anche una luterana.
La traccia successiva lo vede a Francoforte, dove nel 1726 ottiene il permesso di soggiorno in qualità di insegnante di italiano. Fra i tanti allievi ha il funzionario della Corte Imperiale Johann Kaspar Goethe. Che si accinge a un lungo viaggio in Italia, effettuato poi nel 1740. Goethe padre è funzionario a Wetzlar, sessanta km. a nord di Francoforte, la cittadina dove Goethe ambienterà “I dolori del giovane Werther”. Giovinazzi insegnerà l’italiano anche ai figli del funzionario, Wolfgang e la sorella Cornelia.
Al ritorno dal viaggio in Italia Goethe padre vorrà scriverne il racconto in italiano, “Viaggio per l’Italia”, e Giovinazzi lo aiuterà nell’opera – pubblicata in italiano nel 1932, a cura di Arturo Farinelli. Wolfgang studiò l’italiano fino ai tredici anni, quando Giovinazzi andava per i settanta. Di lui ricorderà che apprese a memoria  “Solitario bosco ombroso”, l’aria più celebre di Paolo Rolli, il discepolo più dotato, in una col Metastasio, di Gian Vincenzo Gravina, il maestro dell’Arcadia. L’apprese come una filastrocca, prima di intenderne il senso – con effetti sensibili, a giudizio di Croce, sui Lieder giovanili di Goethe. Terminato l’incarico in casa Goethe, nel 1762, Giovinazzi finì nella miseria: qualche anno dopo viene citato dal magistrato alla vigilanza sugli stranieri residenti come “morto da molto tempo nella miseria”.  
 
Pasolini - L’ “io so” non è l’Io inquisitoriale? Viene da pensarlo barone di Münchhausen di borgata. Che, nelle pause degli amori inconditi (“Petrolio”), si issa sul Palazzo a denunziare nefandezze. Quelle degli altri. Se non che non è un goliarda, lui negli anni veramente bui faceva la spia, dopo aver giocato al pallone. Sarà il profeta dell’Italia degli imbroglioni e violenti nel nome della verità, gli sbirri elevati a giudici. Tutti Procuratori della Legge quale lui si vuole, gli occupanti del Palazzo che non si possono sfrattare. Avendolo occupato in forma e a titolo di contestazione. Magari senza furbizia, perché no.
 
Rommel – È opinione di Borges che gli inglesi in guerra hanno bisogno di un eroe tra i nemici. Napoleone, il più grande nemico dell’Inghilterra, ebbe ammiratori incondizionati oltre Manica. William Blake si dispiacque moltissimo di Warterloo. Anche Hitler, ma non si può dire. Nella prima guerra mondiale gli inglesi elessero a eroe il capitano di Emden. Nella seconda Rommel. E lo misero a braccetto con Montgomery – che certo non sfigura accanto a Eisenhower, bisogna pur convenire.

letterautore@antiit.eu 


Ribaltone Juventus, proprietario e gestionale

Exor si farà carico di Juventus Fc Spa, o il club diventerà una public company, come avrebbe dovuto essere quindici anni fa – ma Giraudo e Moggi, che avevano preso il progetto di Umberto Agnelli su serio, furono presto dismessi e anzi condannati? Passando da Fca a Stellantis, il club calcistico non ha avrà più la copertura della casa automobilistica. Tanto più che un ennesimo aumento di capitale è alle porte.
Decisioni radicali sono attese a breve sugli assetti del club. Sull’organizaazione interna, essedo il consiglio e gli incarichi gestionali in scadenza. E sugli assetti finanziari, per il crollo delle entrate, in parte prevedibile, a causa del covid, ma accresciuto dal fallimento degli obiettivi sportivi, e per la crescita “in automatico” del debito, evidentemente a condizioni non favorevoli.
La fuoriuscita dalla Champions League e il ritardo in Serie A, con i mancati introiti conseguenti e un indebolimento inevitabile delle sponsorizzazioni,  s’innestano su una semestrale, al 31 dicembre 2020, di forte sofferenza. Ricavi ridotti del 20 per cento, a 258 milioni, rispetto all’analogo bilancio 2019. Perdita più che raddoppiata, a 113 milioni. E un patrimonio dimezzato, da 239 milioni a 125. Con un debito cresciuto a 357 milioni, dai 310 milioni di un anno prima. Malgrado il prestito straordinario da 175 milioni lanciato a febbraio 2019, e l’aumento di capitale da 300 milioni nel corso dell’esercizio 2019-2020.
Il dimezzamento del patrimonio netto, malgrado queste due iniezioni straordinarie di liquidità, impone ristrutturazioni radicali.

L’amore dei ragazzi, tra “Teorema” e Françoise Sagan

“Ero in totale soggezione”. Al primo incontro odi et amo: “Col tempo”, pochi giorni, “avrebbe cominciato a piacermi”, subito “poi, nel giro di pochi giorni, avrei imparato a odiarlo”. Ma l’attrazione è stata immediata: è “proprio lui, la cui fotografia sul modulo di richiesta, mesi prima, mi era balzata agli occhi con la promessa di istantanee affinità”.
Tutto è detto alla prima pagina. Un richiamo non di sentimenti ma fisico. Il sex appeal è istantaneo: “«Dopo!», la parola, la voce, il modo” alla prima riga, e subito poi, abbassando lo sguardo, “camicia celeste svolazzante aperta sul davanti, occhiali da sole, cappello di paglia, pelle ovunque”. Guadagnino, nel film che ne ha tratto, è ambiguo, Aciman esplicito, vuole provare un pornosoft . Molto soft. Françoise Sagan (chi era costei?) riscritta nel Duemila, in chiave gay. Setting compreso, intellettuale borghese: “Per aiutare i giovani letterati a rivedere il loro manoscritto prima della pubblicazione i miei genitori li ospitavano durante l’estate”, in Riviera.
Una seduzione non innocente. Non da parte del sedotto, un ragazzo: il diciassettenne non ha alcuna riserva, come è ovvio che sia in amore, è lui semmai che stenta a innamorarsi. Un sogno, un trionfo: al tempo dei processi per pedofilia, un inno all’amore pederastico, un invito. Il desiderio fa la differenza, non la cosa, il desiderio del sedotto. In un gioco di scambi fra seduttore e sedotto.
Sarà questo che fa l’unanimità dei consensi di chi l’ha letto, il 97 per cento dice wikipedia. Di vasta lettura perdurante, dopo una quindicina d’anni. Altrimenti acqua fresca.
Un po’ è “Teorema”, l’irruzione dell’estraneo, l’arcangelo, l’arcangelo del sesso?, che sconvolge la consuetudine familiare, raccontata meglio di quanto Pasolini ha provato a filmare. Nella gioia cioè, non nella devastazione. Ma è troppo dire, Aciman corre senza pieghe: senza traumi e senza apocalissi, né di dannazione né palingenetiche.
Curiosamente, il racconto sa di déja vu. Solo al femminile invece che al maschile. E a parti rovesciate, di una adolescente che brama un contatto, anche solo visivo, con la direttrice della scuola, che ne domina ogni impulso. Un racconto pubblicato una cinquantina d’anni fa nel genere erotico (ma tradotto da Fruttero?), “Olivia”, by “Olivia”, di autore cioè ignoto, ma femminile (poi elucidato in Dorothy Strachey).
Il titolo è mediato da Toni Morrison, “Beloved”, amatissima-o, maestra di scrittura di Aciman a Harvard: “Chiamami col mio nome”, sottinteso “beloved”.
André Aciman. Chiamami col tuo nome, Guanda, pp. 280 € 12

venerdì 12 marzo 2021

Cronache dell’altro mondo razziali (100)

Marieke Lucas Rijneveld, giovane e già apprezzata scrittrice, vincitrice a 26 anni del Man Booker International Prize, il maggior premio britannico, ma bionda, incaricata dall’editrice olandese Meulenhoff di tradurre la poesia di Amanda Gorman, la giovanissima modella laureata a Harvard,  all’insediamento di Biden, “The Hill We Climb”, è stata ripudiata: la stellina nera non può essere tradotta da una bianca.
Ripudiato pure il traduttore in catalano Victor Obiols, poeta e musicista di Barcellona. Traduttore in catalano di Shakespeare e di Oscar Wilde.
La traduttrice olandese è stata rifiutata dal proprio editore, su richiesta dell’agente di Amanda. Il traduttore catalano è stato rifiutato dall’editore americano di Amanda, Viking Books.
Rijneveld, che si dichiara di identità sessuale “non-binaria”, cioè non definita, parlando di se stessa come “loro”, ha subito fatto ammenda, dedicando all’amata Amanda su Instagram un instant-poem, “Alles bewoonbaar”, tutto inabitabile, una poesia molto lunga, in contemporanea con “The Guardian”, “De Volkskrant”, “Standaard” di Liegi, la “Frankfurter Allgemeine Zeitung”. Del tipo: non son degna di te.

Donne ribelli, ai padri e alle mafie

Si è ripubblicato il libro fortunato di Abbate in prossimità dell’8 marzo, con visi accattivanti in copertina, ed ha fatto la fortuna dei giornalai. Il che è una buona cosa, ottima. Ma la rilettura dieci anni dopo delude invece di entusiasmare, pone problemi invece di risolverli.
Il sottotitolo è “come le donne salveranno il Paese dalla ‘ndrangheta”. Il racconto è diverso. È di donne, di donne di mafia, innamorate, variamente innamorate. “Vivere, amare, morire ai tempi della ‘ndrangheta”, come recita uno dei capitoletti. Storie di donne che hanno “una storia”, anche più di una, benché donne di mafia, figlie, mogli, tenute per questo suppostamente alla fedeltà coniugale a qualsiasi costo, benché trascurate e anche se maltrattate. Donne sposate giovanissime, che fanno due e tre bambini, e a 24 anni s’innamorano, di solito quando il marito è in carcere – anche via internet. Donne eroine, alcune, comunque vittime, e donne cattivissime altre, vedove e madri.
Storie personali. Anche avvincenti, benché di persone ordinarie, ma incongrue. Non buone per analisi stereotipe, quali qui e là Abbate azzarda, di società patriarcali e delitti d’onore. “Tra i comuni di Filadelfia, Curinga, Francavilla e Pizzo Calabro sono sparite negli ultimi anni oltre quaranta persone”, alcune probabilmente “a causa della loro relazione con una donna, sempre la stessa”. Sicuro? Donne sposate a 16 anni, dopo una o due “fuitine”, “anche contro la volontà delle famiglie”. È possibile, che mafie sono?
Il sottotitolo è giusto (a San Luca, per esempio, è successo, dopo Duisburg), comunque beneaugurante. Ma, aprendo il libro, per un motivo triste: non ci salveranno i Carabinieri, non i giudici – non l’apparato repressivo né la giustizia. Abbate scopre le pentite di ‘ndrangheta, o meglio del clan Pesce-Bellocco di Rosarno, per essere stato richiamato in Calabria dall’assassinio di un amato cugino. Che, scopre, i Carabinieri non indagano. Mentre la Procura dà la colpa al morto. Non solo i Carabinieri locali, anche il capitano dei Carabinieri non ritiene l’assassinio meritevole di indagini. Portando Abbate a concludere alla terza pagina: “In molte zone della Calabria, purtroppo, l’amministrazione della giustizia non sempre risponde ai principi di efficienza e equità che lo Stato dovrebbe salvaguardare”. Che è il problema della Calabria, senza dubbio.
Il Grande Mafioso di Rosarno, subito poi Abbate scopre, un fanfarone, specialista in “fuitine” con ragazze puberi, è un informatore dei Carabinieri: ogni tanto fa arrestare qualcuno, anche suoi parenti, per affermare il suo potere. Ma il pregiudizio fa aggio. E il cronista palermitano, assiduo indagatore della mafia, si prospetta “una Calabria molto più crudele di quanto possiamo immaginare” - così strilla in copertina La Licata, altro palermitano cronista dei misfatti mafiosi. Al confronto, conclude Abbate, a Palermo tutto è cambiato: “La società civile si è ribellata, sollevando un coro di voci indignate e schierandosi apertamente contro il potere di Cosa Nostra”. Non come in Calabria, intende dire. Mentre racconta commosso dei concorsi “Impegno scuola legalità” al liceo Piria di Rosarno.
A Palermo è tutto cambiato? È stato abbattuto Totò Rina, la sua mafia sanguinaria. Palermo era civile anche prima – la società è civile, per definizione. Solo nessuno la proteggeva.
Giusy Pesce, su cui soprattutto è centrata la narrazione, è figlia e moglie maltrattata, benché suo padre sia un boss, si annoia, s’innamora, è arrestata, tenta il suicidio, infine “si pente”, collabora con la giudice Cerreti, poi si pente di essersi pentita. Sono storie personali più che emblematiche. La moglie di Francesco Pesce, il più “terribile” della famiglia, sposata in una delle tante “fuitine” con cui il boss andava a donne, lo lascia dopo un anno, con matrimonio perfino annullato dalla Sacra Rota, e non succede niente. Ma il tema ossessivo della narrazione è il delitto d’onore: il padre, lo zio o il fratello che sfregia o uccide la fedifraga. Una Calabria immaginaria, oltre che poco appetibile.
Ma anche le tragedie di queste donne Abbate subito dimentica, ingabbiato nell’oleografia, della Calabria di maniera. Le famiglie Pesce e Bellocco sono la Calabria. E sono ricche e potenti anche se la matriarca vive in una baracca. Rosarno, cittadina che ha sempre votato a sinistra, è mafiosa: “In tutta Palermo non ci sono tanti affiliati (di mafia) quanti a Rosarno”. Possibile? Un buon reportage di un giornalista che finalmente è andato di persona a Rosarno  sarebbe stato di spiegare che la rivolta degli africani accampati nella campagna per la raccolta degli agrumi si è avuta a Rosarno, invece che in un altro dei tanti analoghi campi di tutta Italia, perché a Rosarno c’è sempre tato un forte sindacalismo bracciantile.
Oppure, attorno a Giusy Pesce, delineare il contorno visibile invece di quello di questura, della “pentita” di mafia. Il conto di Giusy Pesce è semplice - in questo ben calabrese, matter-of-fact: la mafia non paga. In carcere ci arriva presto. Il figlio può vedere destinato al carcere, o con la pistola in mano. Le due figlie sposate adolescenti a uomini di ‘ndrangheta - il suo stesso destino: angariate e senza gioia.
Si dice delle mafie che si riproducono per discendenza, come nelle famiglie reali. Ma non è vero, in nessuna mafia. Solo in Calabria, e solo con la Repubblica. Con la seconda parte della Repubblica, quando si è potuto, tuttora si può, essere famiglie mafiose per due e anche tre generazioni. In Calabria i mafiosi ereditano, non c’è l’analogo altrove. I Carabinieri tengono le statistiche, le illustrano anche, in alberi genealogici dettagliati e precisi. Che sembra garantismo, ma è uno strano, per così dire, modo di gestire la giustizia. Anche se la repressione sarebbe facile. Le donne ribelli di mafia, in questo il libro è chiaro, tutte giovani e giovanissime, ancora immuni al prudente “calcolo” della giustizia italiana, lo sanno: che vita è questa? 
Lirio Abbate,
Fimmini ribelli, la Repubblica-L’Espresso, pp. 207 € 9,90

giovedì 11 marzo 2021

Ombre - 553

La Statale di Milano, dopo l’università di Salerno, reintroduce un corso di Latino per la laurea in Scienze Storiche e Beni culturali. Cioè, si poteva insegnare storia nei licei e dirigere un museo senza sapere il latino.
Ciò per effetto della “riforma Gelmini”. Ma riforma è una brutta parola?   
 
Due fratelli in lite per l’eredita di un appartamento ad Agropoli, racconta “Il Mattino”, a questo punto i loro discendenti, attendono una sentenza dal 1966 – una prima sentenza, di primo grado.
 
La cosa si sa perché la giudice di Vallo della Lucania che deve pronunciarsi lo ha spiegato in margine ad altro processo: “La causa non può essere assunta in decisione”, si è difesa, “atteso che sul ruolo assegnato alla sottoscritta pendono oltre 1.700 procedimenti, il primo dei quali risalente al 1966”. Millesettecento.
 
L’Ema, l’agenzia europea del farmaco, se la prende comoda sul covid. Arriva ad analizzare i vaccini in media dopo un mese dall’approvazione della Fda, l’analoga agenzia americana, e dell’agenzia del farmaco inglese. Nel caso del vaccino russo si prende qualche mese di più. Non sembra possibile, ed invece è così. Solo su Astrazeneca Ema ha anticipato la Fda, che si astiene.
 
Il vaccino russo Sputnik sarà prodotto anche in Italia, da un’azienda di Monza. Per l’esportazione. Per l’Italia naturalmente in dipendenza dall’autorizzazione dell’Ema, ma intanto l’impianto si appresta. Su iniziativa dell’ambasciatore a Mosca Terracciano – lo stesso che da un anno informa periodicamente gli italiani in Russia con apposita newsletter  dell’andamento della pandemia, della possibilità di vaccinarsi,  delle aperture e chiusure della scuola “Calvino”,  degli eventi culturali da remoto, e dei controlli pubblici a mano a mano che vengono variati. Volendo lavorare ancora si può – “aspettiamo Bruxelles” è la scusa per l’ignavia.
 
Un nuova forma di aggressione a mezzo stampa: si pubblica un’accusa di giudici anonimi sul sito del giornale, nella fattispecie contro Giorgia Meloni, senza sentire la parte offesa. Poi, per evitare querele dopo che il danno è fatto, sul giornale a stampa la mattina successiva si ripubblica la stessa storia con la risposta della parte offesa. Ingegnoso, il nuovo giornalismo del nuovo direttore Molinari.    
Per la prima volta la versione dei fatti sull’assassinio del brigadiere Cerciello da parte di due americani per droga si può leggere non pregiudizialmente a favore dei due assassini. Dovendo fare il resoconto della requisitoria del pubblico ministero al processo. Che documenta quello che è avvenuto, ma che mai – mai – è stato pubblicato dalle cronache romane, dal “Messagero”, da Repubblica”, dal “Corriere della sera”. Circostanze, fatti, personaggi mai registrati prima dai cronisti di nera. Informazione?
 
Fa senso nella tanto vantata, e perigliosa, gita del papa in Iraq, vederlo i visita da un ayatollah accigliato, con l’aria di dire ecco lo scocciatore. Al Sistani non conta nulla, non ha mai contato politicamente, benché guida spirituale degli sciiti – gli sciiti iracheni ormai sono diretti da Teheran. E tuttavia: l’islam non è tarallucci e vino.
 
In chiave “morettiana” - “mi si nota di più se…” - Zingaretti ha rubato la scena a Draghi, come ipotizzato dal suo marionettista Bettini? O gli ha fatto un favore – quando il Pd avrà un nuovo segretario, che rivoluzione, Draghi avrà accumulato un bel po’ di fieno in cascina?
 
La Nuova Zelanda, l’Inghilterra degli antipodi e altrettanto sportiva, fedele alla Regina nel Commonwealth, non vuole perdere. Dovendo sfidare una barca italiana per l’America’s Cup, ha rifiutato ogni contatto con i concorrenti, che pure l’hanno molto aiutata nelle precedenti  competizioni, lamenta Bertelli, il ceo di Prada – il quale l’ha pure finanziata.
La Nuova Zelanda vincerà - non può non vincere, altrimenti si suicidano. E naturalmente è molto sportiva, ha il monopolio della sportività.

Sognare ad Algeri, colorato

Un capolavoro di immagini, coloratissime, emzionanti. In “piani” per risparmiare, americano, medio, primo e anche primissimo, ma una goduria per l’occhio, un fuoco d’artificio. Su una sceneggiatura veloce. Forme perfettamente calzanti al contesto, della creatività febbrile, e determinata.
Nejma, una ragazza col viso adolescente della trentenne Lyna Khoudry, studia moda in un college femminile a Algeri, mentre crea suoi modelli, e li vende la notte nel bagno in discoteca, evadendo dal campus. L’integralismo mussulmano è aggressivo, la propria sorella di “Papicha” ne è vittima, sparata a freddo, ma Nejma non si arrende: non emigrerà, pur avendone la possibilità, come tutti che vanno in Francia, e non ha paura dei barbuti e le velate.
Un capolavoro anche politico. La moda è femminile, “Papicha” è quindi un racconto di donne, ma dà corpo finalmente alla donna nel mondo mussulmano. Che non è marginale, come si pensa per pigrizia, che sciocchezza, soprattutto nel Nord Africa - o arretrata, quando tutto va oggi all’unisono nel mondo, lacche e rossetti compresi. Ed è in primo piano nell’islamismo aggressivo. Non da ora, sono state all’origine della a partire dalla deriva feroce impressa alla “rivoluzione dei fiori” iraniana del 1978: masse sterminate di donne in nero sono state all’avanguardia del khomeinismo già nel 1979, e del suo imbarbarimento, a partire dall’assalto all’ambasciata americana a Teheran. Le velate sono state perfino più aggressive in Algeria, non evitando il contatto fisico, padrone di coltelli e kalashnikov.
Una realtà raccapricciante, che Meddour sa raccontare senza enfasi, non di più ma non di meno di come è, fredda e squallida – non c’è sentimento (trasporto, compassione, elevazione) nella furia islamica, solo furia. Il fascino delle immagini è forse nel tema recondito del film: la bruttezza non può uccidere i sogni, per quanto violenta.    
Un film anche di distinta connotazione algerina, benché non indulga in immagini da cartolina. Rapido, sapido, di una mentalità e un linguaggio più volentieri autocritici e quindi disfattisti. Ma non convinti: sardonici piuttosto. E robusti, benché in fuga, di preferenza in Francia: non apocalittici e non rassegnati, fattivi. L’Algeria aveva il capitale umano, le risorse finanziarie (gli idrocarburi, petrolio e gas), e gli sponsor giusti, Francia, Italia, Stati Uniti, per diventare un paese sviluppato rapidamente dopo la rivoluzione del 1954-62,
 ha già sprecato due o tre generazioni, tra dirigismo sovietico e fondamentalismo islamico, con la corruzione endemica, ma pensa sempre positivo.
Mounia Meddour Gens, Non conosci Papicha, Sky Cinema

mercoledì 10 marzo 2021

Problemi di base virali - 625

spock

Perché la circolazione si riduce e il premio Rca aumenta?
 
Perché gli affari truffaldini, anche nella pandemia, si concentrano in  Cina?
 
Siamo tutti verdi, con macchine elettriche e piste ciclabili, ma perché non si puliscono i marciapiedi?
 
Lasciamo moltiplicarsi le ortiche per  impegno ecologico?
 
E le cacche?
 
Perché i numeri verdi non rispondono – sono l’ultimo passo del mercato, arrangiatevi?

spock@antiit.eu

Juventus a rischio finanziario

Quella contro il Porto non è per la Juventus solo una partita persa, è una voragine finanziaria. Che mette a rischio le gestione del club, a meno di una ricapitalizzazione – sarebbe la seconda in due anni.
Il club esce dalla Champions con soli 30 milioni, invece dei 120-150 programmati arrivando alla finale. Per il secondo anno consecutivo. Con un investimento elevatissimo a questo fine: il solo monte ingaggi è di 236 milioni. Gli sponsor e il merchandising non coprono più della metà della differenza.
L’uscita anticipata dalla Champions per il secondo anno consecutivo indebolisce anche il “ranking storico”, una delle quattro tipologie dei premi Uefa-Champions League. In base al ranking vengono distribuiti ben 1,1 miliardi fra i 36 partecipanti al torneo - i club sono remunerati per la partecipazione, a prescindere dai risultati, in base al prestigio storico accumulato nella competizione.
I debiti risultano a 327 milioni nella semestrale 2020-2021 a fine dicembre, malgrado l’aumento di capitale da 300 miliardi sottoscritto da Exor e dai fondi che fanno capo ad Alberto Agnelli un anno prima. Il bilancio 2019-20 si era chiuso in rosso per 71,4 milioni. La semestrale 2010-2021dà una perdita di 114 milioni (50 milioni un anno prima).
Il rischio finanziario è accresciuto dall’ipotesi che il club, dopo nove vittorie consecutive nella serie A, quest’anno non si classifichi tra i primi quattro, posizione che dà diritto alla partecipazione alla Champions. Nella pandemia più che mai la partecipazione alla Champions è il solo grande cespite finanziario, ben più dei diritti tv.

Sberle dagli Usa alla Brexit, nel giorno del Commonwealth

Una splendida cattiva azione, mediatica. E un brutto risveglio per i Brexiter, che si immaginavano al comando del mondo a fianco degli Stati Uniti: da Los Angeles è arrivato un brutto montante, anzi una serie di ganci, da destra e da sinistra, che li rimettono al loro posto. Una serie di petardi, insidiosi, una mina, una serie di mine, sotto il regno, il fattore principale, se non unico, di unione. Una cannonata, la prima, di aggiustamento, per un salve, una serie di salve, contro il consenso nazionale in Gran Bretagna. Programmato per la vigilia della festa del Comonwealth, il resto dell’impero. L’America è un parente ingombrante e un po’ manesco. Anche nelle vesti di due gentili signore – a loro si devono i ganci in serie, con l’occhio vispo.
Si esce da due ore di intervista con un’immagine deprimente dei britannici, stretti attorno a un’istituzione razzista, cinica, spilorcia, anche violenta. Oprah Winfrey, con una scaletta e un montaggio sapienti, nei tempi, le espressioni, ha toccato tutti i tasti infamanti per i poveri britannici. Con l’aria di dire sono stata buona, l’aspetto inalterabilmente ingenuo nelle lunghe ore. L’America era e resta temibile – la democrazia italiana, per esempio, l’ha sempre saputo, l’America First non l’ha inventato Trump, che sciocchezza. Anche perché non si può dire. Oprah Winfrey ha potuto aprire la sua promozionatissima intervista dicendo che la duchessa non era stata pagata, mentre è stata pagata sei milioni. Obiezioni? Io e il mio dio.
Sul merito delle accuse non resta molto, a parte la prima sorpresa. Meghan è spregiudicata ma attrice da poco, del tipo “Beautiful”: diretta da Winfrey rende, ma poi? Lui si sa che ha problemi. Il razzismo ha semmai giocato al rovescio: Meghan, che non aveva nessuna dote, neanche da ragazza da letto, donna di troppe esperienze per un principe vergine, è stata accettata con entusiasmo proprio perché colorata. Né vessata, come dice, perché in qualche modo tirava fuori dai problemi il principe. Mezz’ora di denunce sulla scorta negata, al figlio Archie e allo stesso principe, sono l’unica parte debole dell’intervista: Meghan è uscita da questi suoi due “anni d’inferno” a corte ricchissima, e piena di contratti milionari. In una residenza hollywoodiana che non si stanca di promuovere, che tutti sappiano che bella casa ha: niente ha più successo del successo era ed è la morale negli Usa.
Ma non si può dire, come andrà a finire. La regina ha spiegato diligente il nocciolo della questione – Harry – nel suo comunicato, con la mano sempre tesa al debole principe: “Tutta la famiglia è rattristata di apprendere nella sua gravità quanto gli ultimi anni siano stati impegnativi per Harry e Meghan. Le questioni sollevate, in particolare quelle sulla razza, sono preoccupanti. Anche se i ricordi possono variare, esse sono prese molto seriamente e saranno analizzate dalla famiglia in privato. Harry, Meghan e Archie saranno sempre membri molto amati della famiglia”. La scelta di andarsene è un fatto privato e personale, intende dire la regina. Ma avrà molto da fare per tenerla in questi limiti. Meghan, se non è una grande attrice, ha l’occhio furbo – come gli brillava quando raccontava delle vessazioni, del suicidio, della mancata protezione, del ridicolo inchino alla regina: non è personaggio di Henry James, l’americana innocente nella torbida Europa (ma c’è mai stata, l’americana innocente a caccia di principi, nella torbida Europa, l’innocente americano?).
Oprah Winfrey, Intervista con Meghan Markle e il principe Harry, Cbs-Tv8

martedì 9 marzo 2021

Secondi pensieri - 444

zeulig

Anima – Quella dell’universo è come un grande albero, in Plotino, “Enneadi”, IV, 3,4: “L’anima dell’universo assomiglia all’anima di un grande albero che, senza fatica e senza rumore, governa la pianta”.
 
Auschwitz
– Il silenzio di Dio Camus l’aveva sentito nel 1944, nel “Malinteso”. Si vede ch’era nell’aria, non si può darne colpa ai tedeschi.
 
Filosofia – Non è sinonimo di saggezza. Rousseau condannava anche i libri, da scrittore di libri, in grande formato. Locke condanna la poesia e la musica. Platone la scrittura, lui che scrisse più di chiunque altro – prima di Heidegger.
 
La vuole incerta, madre e figlia d’incertezza, il filosofo Plotino: “Soltanto quaggiù ha luogo la riflessione, quando cioè l’anima cade nella perplessità ed è piena di ansie o in stato di maggior debolezza”.
O anche: “La saggezza è propria di chi desiste dal riflettere”.
 
“Non c’è niente di così assurdo che non sia stato detto da qualche filosofo”, è pensiero di Cicerone, che molto soffrì di non esserne uno. Ma limitando il campo dell’assurdo – oltre che della filosofia.

“La filosofia nasce nel momento in cui alcuni uomini si rendono conto di non potersi più sentire parte di un popolo”, è un passaggio breve, ordinario, dell’anamnesi che Agamben fa de “La follia di Hölderlin”: “La filosofia è innanzi tutto questo esilio di un uomo fra gli uomini, questo essere straniero nella città in cui il filosofo si trova a vivere e nella quale, tuttavia, continua a dimorare, ostinatamente apostrofando un popolo assente”.
Il filosofo come profeta, nella tebaide? Non propriamente. Agamben fa l’esempio di Socrate: “La figura di Socrate porta all’espressione questo paradosso della condizione filosofica; egli è diventato così estraneo al suo popolo, che questo lo condanna a morte; ma, accettando la condanna, egli aderisce ancora al suo popolo”.
E dopo Socrate? E prima?
La stessa condizione del suo filosofo Agamben vuole del poeta: “Un popolo come quello a cui i poeti credevano di potersi rivolgere non esiste o è diventato qualcosa di estraneo o di ostile”. Un caso? Nel caso di Hölderlin Agamben rileva sintonie avvertite, e durevoli, di persone del popolo, il falegname Ernst Zimmer che lo accudiva, gli studenti a pensione da Zimmer, gli studenti di Tubinga.

Fine – È sempre un principio, di qualcos’altro? La morte come seme. Delle metempsicosi. Della  chimica – nulla si crea nulla si distrugge, tutto si trasforma.
 
Adorno, “scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie”, è anticipato da Hölderlin, in forma di domanda, ma un secolo e mezzo prima: “Che ce ne facciamo dei poeti (wozu Dichter) nel tempo del bisogno?”. È verso di Hölderlin nell’elegia “Pane e vino”. Che Heidegger legge come poesie della fine della poesia, dopo la fine di Dio. Di un poeta che continuò a poetare anche nella follia, lunga più della sua vita attiva.
 
Gratitudine – Il sentimento meno indagato, ma non così scontato come appare. Hoelderlin la dice una virtù. Ma è sempre come voleva Tacito: “I benefici ci sono graditi finché crediamo di poterli contraccambiare, ma se superano questa capacità, la riconoscenza si tramuta in odio” – “Annali”, IV, 18
 
Molteplicità – È tensione, vocazione, più forte della personalità? È il mito di Prometeo, moltiplicarsi. Il romanziere Roman Gary, che l’ha praticata (ma molti altri casi si registrano in letteratura,  precipuo quello di Pessoa, che si era costruite almeno quattro personalità distinte, o di Platone in veste di Socrate) la dice “La più antica tentazione proteica dell’uomo, quella della molteplicità”. Nel mentre che montava l’impostura del suo alter ego “Émile Ajar” e ne farà anche il protagonista del capolavoro di “Ajar”, “La vita davanti a sé”. Dove inventa-racconta-romanza una sorta di doppio, Momo, che figura giovane arabo privato dei genitori all’età di quattordici anni, è costretto a inventarsi un’altra vita.
 
Natura -  “Tutto questo mondo visibile non è che un impercettibile segmento dell’ampio cerchio della natura…Nessuna idea le si avvicina. Abbiamo voglia di gonfiare le nostre immaginazioni al di là degli spazi immaginabili; non riusciamo che a generare atomi, in paragone alla realtà delle cose”. Il mondo “è una sfera il cui centro è dappertutto, la circonferenza in nessun luogo”. La nostra ragione è poca: “Se la nostra vista si ferma lì, l’immaginazione deve procedere oltre;  e si stancherà prima lei d’immaginare che la vita di darle esca”. È parte del pensiero di Pascal n. 72, “Sproporzione dell’uomo”. L’uomo è incapace di verità, ma lo sa; è il piccolo-grande uomo di Pascal. Nell’infinitamente grande come nell’infinitamente piccolo.
 
Storia - “L’io non soggiorna più nella storia, è la storia, oggi, a soggiornare nell’io”, riflette Ingeborg Bachmann, poetessa, narratrice. Nel suo senso è vero, dell’io che scrive il romanzo del secondo Novecento.
 
Uomo della Provvidenza – Prima che fascista, è romantico: il mito dell’io, dell’individuo. Edgar Wallace, il giallista, al debutto nel 1906, con “I quattro giusti”, venendo da una stagione di anarchia, così spiega il terrorismo politico – i “giusti” fanno giustizia dell’ingiustizia: “È una concezione romantica, e dal punto di vista dei Quattro assolutamente logica. Pensate all’enorme potere di cui, nel bene e nel male, è spesso investito un solo uomo: un capitalista che controlla il mercato mondiale, uno speculatore che accaparra cotone o grano mentre la gente muore di fame e i mulini restano inoperosi, despoti e tiranni che tengono fra l’indice e il pollice il destino delle nazioni”.
Un solo uomo s’investe allora del potere di uccidere, sterminare, “uomini che si arrogano il diritto divino del supremo giudizio”: “Vaghe, evanescenti figure che si avvicendano sulla scena del mondo a condannare e a giustiziare”. Non per interesse: “Con quel tanto di misticismo che sempre accompagna i nostri sentimenti, noi diciamo che sarà Dio a giudicarli”.

zeulig@antiit.eu

Cronache dell’altro mondo - regali (99)

Per sei milioni di dollari la duchessa di Kent ex attricetta di terzo  livello Meghan Markle, e dice che la regina Elisabetta, regina del Commonwealth tricontinentale, è razzista. 
La denuncia, lungamente provata, strappa un sorpresissimo urlo alla conduttrice del programma-intervista Oprah Winfrey: “Che cosaaaa?”
Meno convincenti le banderillas della duchessa contro la cognata Kate. La futura regina essendo una signora, e intelligente oltre che bella, la conduttrice ha tagliato corto.
Cioè, la duchessa di Kent non ha detto che razzista è la regina Elisabetta, ma qualcuno nella famiglia reale. Cioè tutti: la caccia può iniziare, lunga mesi, anni.
Il primo indiziato di razzismo è il principe Carlo, erede al trono, suocero della duchessa. Che aveva accompagnato la duchessa all’altare per il matrimonio in cattedrale, in sostituzione del padre, che si era già venduto le foto del “padre della duchessa” – ma per sole 100 mila sterline.
L’urlo di dolore della duchessa di Kent ha suscitato raccapriccio nella comunità nera americana, a partire dalla nuova poetessa nazionale Amanda Gorman: “Meghan ispirerà le donne”. E nel promotore di Amanda, il presidente Biden: “La duchessa ha mostrato coraggio”, ha detto attraverso la sua portavoce rossa, Jen Psaki - rossa di capelli. Non bisogna dare l’America per morta.  
Il duca di Kent Harry è stato lasciato in disparte nell’intervista, anche se fa parte della ditta – ha sempre avuto problemi, una volta si è vestito e fatto fotografare da camicia bruna nazista e non lo sapeva.

Lezioni di femminismo a Montalbano

Un commissario Montalbano, messo in scena dallo stesso Montalbano, al secolo Luca Zingaretti, da 8 marzo: la donna gli si ribella. Nelle due forme, della compagna Livia da Genova e della fiamma locale di cui s’incapriccia. Una dura scoperta per il maschilista o fascistone, anche generazionale – come Camilleri spiega a Mollica in una vecchia intervista sul “Metodo Catalanotti”: la giovane fiamma ci va a letto senza problemi, e con piacere, ma il giorno dopo lo licenzia – oppure no, non sappiamo, la Rai deve decidere se continuare Montalbano nuovo format oppure chiuderlo.
Un Montalbano strambato, si direbbe, in chiave di Luna Rossa e Coppa America. Un altro: la foia per la giovane collega lo allontana dall’inchiesta, complicata, quasi incomprensibile, e anche da Vigata, giacché sembra disponibile al trasferimento. Una storia azzardata, lasciata cadere, o raccontata male.
Un Montalbano senza Sironi, e si vede. Si direbbe senza Camilleri, ma lo scrittore non pesava sulla sceneggiatura e sulla regia. Le caratterizzazioni sono sempre eccellenti, ma i ritmi no, la sceneggiatura e le stesse scenografie. Non una buona premessa per un’eventuale riedizione, di un Montalbano nelle trame d’amore.
  
Luca Zingaretti,
Il metodo Catalanotti, Rai 1

lunedì 8 marzo 2021

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (451)

Giuseppe Leuzzi
 
“Che sia la mafia” se lo dice “la gente” (il giornale fa dire alla “gente”) a Londra quando un ministro è minacciato dai “quattro giusti” del giallo di esordio di Edgar Wallace, 1906. Se lo dice più volte. La mafia viene da lontano.
 
Tra i “personaggi” di Maurizio Crozza c’è il presidente della Regione Veneto Zaia, il più votato dagli italiani. Crozza fa precedere l’imitazione da una ripresa dal vivo del personaggio che imiterà. Il curioso è che Zaia fa ridere più di Crozza che fa Zaia.
 
“Siamo una famiglia. E dobbiamo restare uniti perché non abbiamo nessun altro. Amici, fidanzate, vicini, compaesani, lo Stato. Non sono che un’illusione e non valgono un cazzo il giorno in cui ti ritrovi veramente nel bisogno”. È Jo Nesbø, scrittore norvegese, che così avverte all’inizio del suo ultimo romanzo, “Il fratello”, una faida tra fratelli.
 
“La verità è che sono arrivato (a studiare l’Inquisizione, n.d.r.) studiando la confessione, un rito o sacramento di cui Lutero fu un difensore appassionato  e che Roma riuscì a far diventare un sistema di delazione diffusa e di turpi intrecci sessuali”, Adriano Prosperi, “Robinson”, di sabato 6 marzo.
L’abuso della confessione, rito o sacramento che fosse, era già diffuso al tempo in cui Lutero vi si appassionò. In Spagna, e nell’Italia spagnola, a Napoli.
 
La memoria del Sud
Ancora Prosperi, ib.: “Il grande semiologo Jurij Lotman riteneva che l’intera storia intellettuale dell’umanità si potesse considerare una lotta per la memoria. E che la distruzione di una cultura si manifestasse come annientamento della memoria e dei relativi testi che la sostengono. La distruzione del passato, su cui richiamò l’attenzione anche Eric Hobsbawm , non è un esercizio di stile ma la constatazione che siamo in presenza di una vera e propria malattia sociale”. Una malattia o un’opera determinata di distruzione.
E se la memoria fosse solo di disastri – occupazioni, vessazioni, delitti? La memoria non è selettiva per niente – a nessun effetto. La storia potrebbe essere un antidepressivo.
 
Fanfaneide (mancata) al Sud
La serie di realizzazioni di Fanfani, che pure, nel complesso, ha governato poco, quattro anni e sei mesi, e a capo di governi quasi tutti di brevissima durata, è sorprendente, nell’Italia delle burocrazie. Questo sito ne ha tentato alcuni elenchi:
http://www.antiit.com/2015/01/il-mondo-come-201.html
È praticamente tutto quello che si è fatto nell’Italia repubblicana. Fino al centro-sinistra, il primo – prima che Moro se ne impadronisse. Del Sud, di cui vantava qualche radice (la madre, Annita Leo, era di padre calabrese, impiegato delle Poste, sposato con una veneziana), si occupò poco. Ma fulmineo, come in tutto. Sgamò subito, in una visita in Calabria da presidente del consiglio, che l’Ente Sila gli faceva vedere sempre le stesse vacche, infiocchettate, spostandole lungo il suo itinerario.  E promosse l’arresto di tutti i latitanti dell’Aspromonte in soli tre messi, tre o quattrocento, col questore energico Carmelo Marzano nell’estate del 1955. Come dire a tutti i ras Dc che ereditava da segretario del partito: guai a voi - si capisce che i Dc non lo soffrissero.
 
La mafia è “facile da estirpare”
A metà della parte terza del suo “Le parole sono pietre”, il reportage della mancata inchiesta giudiziaria e di polizia sull’assassinio di Salvatore Carnevale, il sindacalista dei contadini, il 16 maggio 1955, Carlo Levi fa suo un giudizio che è il sentiment di chi in zone di mafia vive: il banditismo è “facile da estirpare”.  Levi lo sa perché “se ne era ben accorto il generale Branca, che aveva visto chiaro, e parlato chiaro nella sua relazione”.
Del generale Branca non si trova traccia nei tanti, ormai, volumi di storia della mafia (c’è più storia della mafia che di ogni altro evento o assetto del Sud), dei termini e del senso della sua relazione. Ma non sono difficili da ipotizzare. Anche ragionando a contrariis: perché la mafia sarebbe imbattibile? Fuori da ogni ipotesi razziale, non ce n’è ragione. Solo questa: che il delitto va combattuto, nelle zone di mafia allo stesso modo come nelle zone non di mafia.
 
Basilicata
È la regione meglio amministrata al Sud, sanità, viabilità, ambiente, con la fabbrica di punta della Fiat-Jeep a Melfi, e per questo con poco è riuscita a fare molto. Sembrava anche quella che si sarebbe tenuta meglio al riparo dalla pandemia, e invece è spesso rossa, soggetta a troppi contagi. La buona volontà non basta contro la natura.
 
Ha il privilegio di avere sei deputati e sette senatori. Più del doppio dei senatori in rapporto ai deputati, considerata la diversa consistenza delle due Camere, di 630 e 315 membri. In virtù di collegi elettorali tagliati non sulla popolazione ma su antiche convenienze – di quando la regione, con Emilio Colombo, contava a Roma.
 
Si possono dire i Lucani vittime del fascismo. Si chiamano infatti lucani, come si sono sempre chiamati, da Strabone e Tito Livio in poi e anche prima - in Ennio? Ma abitano la Basilicata, il nome attribuito alla regione dopo la guerra, perché Lucania era una denominazione “fascista”, data alla regione nel 1934.
 
Era “Lucania” un piroscafo sulle linee atlantiche di fine Ottocento-primo Novecento – lo ricorda “I quattro giusti”, il giallo di Edgar Wallace, 1906. Un piroscafo, dice wikipedia, che a fine Ottocento era il più grande del mondo, da 13 mila tonnellate, della White Star Line – quella del “Titanic”. Del suo salone lussuoso una foto è – era, prima della chisura per virus – visibile al Meyerside Maritime Museum.
 
Un  “nave transatlantico “Lucania” naviga su internet, formato cartolina illustrata, in vendita su ebay, dei Fratelli Grimaldi Armatori. Una società armatorale napoletana del secondo dopoguerra – i fratelli Grimaldi erano i nipoti di Achille Lauro, l’armatore allora più importante in Europa, figli della sorella Amelia.
 
Dall’abbandono al full swing, dalle stalle alle stelle, dei Sassi facendo diamanti, Matera è un caso d sviluppo tanto miracoloso – rapido, inventivo, radicale – da apparire normale. Anche perché è uno sviluppo di idee e non di capitale - o di capitale allora umano. E lo sforzo, organizzativo, politico, promozionale, pubblicitario, deve nasconderlo, la bellezza si vuole di pura grazia.
 
Immortalata dalla Rai come luogo vivace di donne intraprendenti, la Imma Tataranni di Vanessa Scalera e Mariolina Venezia. Dopo essere stata teatro di ritorni, visioni, magie, nel paranormale alla “Twin Peaks” di Ivan Cotroneo con Anna Valle. Un debutto tv folgorante.
 
Alla Sanità Speranza, all’Interno il prefetto Lamorgese, i Vaccini il generale Figliuolo, tre potentini al controllo della pandemia. Potere a Potenza è facile slogan, ma la congiunzione è ben straordinaria.
 
Terra di malie, tormenti, inquietudini. Mentre è pulita e lineare, nel paesaggio come nel linguaggio – le attitudini, la mimica. Una regione si direbbe bianca. Terreno privilegiato o vittima di Ernesto De Martino, l’antropologo delle forme magiche.

leuzzi@antiit.eu

Medea in America – nera, schiava

“A differenza di un orso o di un serpente, una volta morto un negro non lo si poteva scuoiare per ricavarne qualcosa e il suo corpo non valeva neppure un soldo bucato”. Era la sola ragione per tenerli vivi: i cacciatori di schiavi fuggiaschi rifuggivano dall’accopparli, che sarebbe stato al loro modo di vedere più semplice. Raccontata, rappresentata, per briciole ma in evidenza raccapricciante, la vita degli schiavi, anche dopo liberati, in America, non molti anni fa – e, in un breve pienissimo inciso a p.158, anche quella dei Cherokee, degli indiani d’America: una storia di sterminio che si trascura ma che è ben parte degli Stati Uniti. Per sapere cosa succede, anche per apprezzare che una democrazia sia uscita da tanto obbrobrio – nessun risentimento nella narratrice, giusto le stranezze dei bianchi, dei razzisti e degli antirazzisti..
Sethe, la schiava fuggitiva, vive a 37 anni libera in Ohio con una figlia di 18, Denver – cui ha dato il nome della ragazza bianca, Amy Denver, a suo modo anch’essa fuggitiva, che l’ha aiutata a partorirla.  “Beloved”, amatissima, è la figlia di due anni che la schiava Margaret Garner, “Sethe”, in fuga, ripresa, ha scannato col coltello perché non ritornasse schiava. Ma presto Beloved ritorna. A ridosso dell’apparizione di vecchi compagni di schiavitù, memori della bellezza della madre, a suo tempo attrazione della Sweet Home, la casa dei vecchi padroni Garner. Beloved riappare, compagna dapprima di giochi della sorellina minore Denver, poi interlocutrice insistente, assorbente, della madre, il cui rimosso riaffiora, tentazione e terrore di Paul D, il vecchio compagno di schiavitù che ha eletto domicilio in casa Sethe. Così chiamata, era senza nome, al seppellimento: allo scalpellino che gliene chiede il nome, offrendosi di inciderlo sulla pietra in cambio di una sveltina, lì sull’erba, in presenza di un suo proprio figliuolo, Sethe risponde “amatissima”. Ritorna, perché “chi muore di morte violenta non rimane sottoterra, come il Cristo”.
Un lento, lungo, flahsback. Attorno all’infanticidio un’epoca prende corpo, buia, fredda, insanguinata a freddo. “Era il milleottocentosettantaquattro e i bianchi erano ancora scatenati. Città intiere ripulite dalla presenza dei neri. Ottantasette linciaggi in un anno, solo nel Kentucky, quattro scuole di colore distrutte dal fuoco, adulti frustati come fossero bambini, bambini frustati come fossero adulti, donne nere violentate dalle ciurme, furti di proprietà, colli spezzati”. Una storia di violenza ordinaria, che si rimuove ma non remota, e non finita. Era nel Kentucky Sweet Home, la proprietà gestita da un coppia di bianchi che riconoscevano i negri, passata poi, alla morte di lui, al fratello maestro: non cattivo, ma come tutti i bianchi, che i neri tiene per inumani: non li capisce, parlano, vivono senza senso. Un racconto da antropologa meticolosa, sulla vita-non-vita degli schiavi, non per paradigmi ma da indagine sul campo, di cose viste. come se fosse possibile vivere una storia passata.
La storia anche di una solitudine altezzosa ma continuamente incattivita. Dai bianchi “senza pelle”, come appaiono agli occhi degli schiavi, senza colore, trasparenti. Larve di cui è inutile chiedersi la logica o approfondire il linguaggio. E dalla propria gente che si pretende sodale, e canta e prega, ma non si stanca di giudicare, e rinnovane la pena, il dolore, l’isolamento stesso nel mentre che si approfitta della generosità della vittima. Un racconto del bene nel male, nella morte procurata alla propria figlia, che è insieme di una contro tutti. Sethe, la madre dell’Amatissima, è Medea, una donna appassionata ma senza personalità, non giuridica, senza diritti. Una Medea in nero alla seconda potenza, doppiamente annientata, come donna e anche come schiava. Una “tragedia greca”, un teatro di passioni e riflessioni, più che di “qui” e “ora” – molto argomentare della narrazione si potrebbe si potrebbe dire euripideo.
Un romanzo molto costruito. Di testa. Si direbbe di stomaco, per i materiali in cui si articola, che  inondano le pagine, con insistenza anche ripetitiva, ma sono deiezioni, rifiuti. La tessitura, che si vuole complessa, su più piani, personali, morali, affettivi, storici, è molto costruita. Dall’ordito purtroppo in vista, e camaleontico. Morrison è l’autrice e il professore – il critico, l’anatomopatologo il dissezionatore. Di eventi e modi di essere ma anche di simbologie complesse, così come il linguaggio, che li trascendono. E occupano, invadono, ingombrano la lettura – così come quando si legge Euripide e non lo si ascolta, lo si guarda.
Morrison è stata una redattrice editoriale di qualità, per scrittori di ricerca, attività che rivendica nella nota introduttiva, ora da professore di scrittura creativa nelle maggiori università, e si sente.
Il virtuosismo si sente e pesa. Il racconto frammentario e ripetitivo, estenuato, lento. A ondate piane, che si ripetono mutevoli e uguali. Insistito, abnorme come la realtà da esorcizzare. Nella forma di un lungo, lento, esorcismo. Dell’infanticidio. Il delitto si esorcizzia con la ripetizione, sfaccettata, di plurimi punti di vista, ma statica, ripetitiva. Un capitoletto è anche in prosa ritmata, in versi.
Una storia di donne. Donne di latte, di carne, di fatica quotidiana, e canti, divinazioni, divinità. Fustate, marchiata a fuoco, mandate alla monta, del padrone, del figlio del padrone, di un altro schiavo, e munte, del latte, proprio come le bestie. Della schiavitù quale era di fatto, una storia sordida di mercati di esseri umani, alla fiera. Spesso magnificata, anche in questa epoca di cancel culture, qui vissuta, senza rivalsa ma nella cruda polemica dei fatti, di violenza impensabile, quotidiana, minuta, percosse, mutilazioni, assassinii, con lo stivale, col bastone, col forcone, con la forca, e la fame, di esseri considerati alla stregua di oggetti, senza stato anagrafico e senza nome – sopravvivere era un lusso, un caso, anche nella logica del mercato, dello schiavo merce da vendere. Addetti alla procreazione, nelle pause notturne delle corvées quotidiane, imposta: ai maschi come stalloni, alle femmine come fattrici. Per produrre nuovi schiavi, sul mercato già ai  sette-otto anni. Terrorizzante nell’apparente anonimità, normalità. Senza polemica, i padroni si commentano da soli. Anche i buoni, la padrona bianca e la serva nera in simbiosi, come nel film, entrambe cuoche, sarte, madri, faticatrici. E i bianchi che “odiavano la schiavitù più di quanto odiassero gli schiavi”, ciò che ha reso – rende? – sterile la solidarietà.
Un’opera narrativa a seguire di un grande lavoro di ricostruzione storica della tratta e della schiavitù che Tomi Morrison aveva condotta qualche anno prima, “The Black Book”, il libro nero dei neri. “Sessanta milioni\ o più”, l’anonimo risguardo, è il numero degli schiavi morti nelle razzie o nel viaggio attraverso l’Atlantico - se ne cacolano quattro, secondo W.E.DuBois, per ogni sopravvissuto, i sopravvissuti alle razzie in Africa e non finiti ai pesci nell’Atlantico. Una ecatombe ricorrente, a ogni grande ondata migratoria, ancorché libera?
Con una postfazione di Franca Cavaglioli, storica curatrice di Italia di Toni Morrison, Nobel 1993. Sportelli fa l’anamnesi del romanzo, circostanziata, puntuta, in fine. Sui bianchi, gli “uomini senza pelle”, diafani, spettrali, che “per riempire di sé il mondo”, conclude lo studioso, “diventano essi stessi un vuoto”. Sulle simbologie di cui la narrazione s’intesse.
Toni Morrison, Amatissima, Frassinelli, pp. 410 € 10,90

domenica 7 marzo 2021

Cronache dell’altro mondo - linguistiche e razziste (98)

“Il sogno americano è «se lavori duro ce la fai». Cioè, se sei povero è solo colpa tua”, Dale Maharidge, analista della povertà in America.
“Actress” per attrice è dizione sconsigliata, perché sessista, “actor” è preferito. Anche “director”, per maestro (d’orchestra), regista. Nella questione linguistica dei generi non ci sono regole ma usi dominanti.
In chiave anti-razzista si va anche verso un ritorno deciso, giuridico, delle razze. I movimenti di rivalsa delle minoranze, afroamericani, latini, asiatici di varia etnia, richiedono prove specifiche dei vaccini. Come pure criteri differenziati di insegnamento e apprendimento.
Il dibattito è invece aperto, anche se limitato ai linguisti, sul fuck, vaffanculo, se va trattato come un verbo o come un epiteto.
Degli 87 giornalisti stranieri che compongono la Hollywood Foreign Press Association e assegnano ogni anno i Golden Globe del cinema, premessa agli Oscar, nessuno è nero. La cosa è stata oggetto di una inchiesta-denuncia del “Los Angeles Times” – anche se gli elenchi dell’Associazione sono pubblici. Subito dopo, ai Golden Globe 2021 di domenica 28, tutti i premiati sono stati neri – qualcuno asiatico: gli 87 hanno votato colorato. Compresa Laura Pausini, premiata per la canzone “Io sì”, del film di Edoardo Ponti, che non è nera ma è donna – la HFPA ha voluto omaggiare in qualche modo Sofia Loren.
I presentatori dei Globe Awards erano presentatrici, Tina Fey e Amy Poehler. Bianchissime, si sono fatte perdonare così scherzando sui votanti dei premi: “Si dice che il membro tedesco sia solo una salsiccia, su cui qualcuno ha dipinto una piccola faccia”. Tina Fey fa di secondo nome Stamatina, benché di madre greca di origine, e di padre di origini scozzesi e tedesche.   

Dalla nebbia alla Luna

La Luna – volere la Luna – è il sogno di Dario-Battiston, giovane solitario in una grande cascina nel Polesine. Lo sbarco sulla Luna di Tito Stagno, vissuto sulle ginocchia del padre, la notte che un vicino li invitò a vedere la televisione, è anche l’ultimo ricordo dell’uomo. Un poco di buono, che il fratellastro Mario-Fresi, richiamato da Roma per prendersi cura di Dario, smaschererà. Ma questo non scalfisce il sogno, che deve realizzarsi.
L’autore di “Finché c’è prosecco c’è speranza” ritorna sui passi felliniani della Bassa, più malinconico che scherzoso, o irridente: le nebbie, con il sogno della Luna. Le nebbie sono trasformate in propellente, idrogeno e ossigeno, e il sogno di Dario è pronto per il decollo.
La Luna invece del padre? Ma non è un racconto a chiave, è un sogno, vissuto come tale, e infine realizzato, chissà. Su una scena quotidiana di derelizione – la piccola vita del piccolo paese, di grettezza, stupidità, presunzione. Ma rivisitata con affetto.
Antonio Padovan, Il grande passo, Sky Cinema