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sabato 12 marzo 2016

La sponda cinese - pidemocratica

Claudio Sabelli Fioretti fa l’elogio “senza vergogna”, nella sua omonima rubrica su “Io Donna”, delle primarie democratiche del partito Democratico. Che consentono a Verdini, luogotenente (ex) di Berlusconi, di votare il Pd Giachetti a Roma. Mentre il partito arruola allo stesso scopo “noti ex comunisti provenienti dall’impero di Mao”. Bravi, dice, e auspica che “la prossima mossa” sia far votare “anche i cinesi all’estero”, quel miliardo e mezzo sparso fra la Cina e il resto del’Asia. Giusto: la quarta sponda perché non sarebbe meglio la Cina, invece della Libia?
Ma Claudio fa un errore, stigmatizzando chi lamenta che “all’appuntamento dei gazebo si presentano troppe persone piccole e con gli occhi a mandorla”. I cinesi non sono mediamente piccoli, e possono anche essere grandi. Quelli del Nord, e anche molti del Sud. Hanno misure piccole, e hanno per questo creato problemi negli anni ruggenti delle lavorazioni dell’abbigliamento in conto terzi a façon, perché hanno ossatura sottile – la loro L è la nostra S. Ma anche i francesi ce l’hanno. E la loro è robusta.

Il femminismo è borghese, nell’ombra

L’insormontabile classismo britannico dentro la più ampia e determinata rivendicazione femminile un secolo fa,  quella per il voto alle donne in Gran Bretagna. Un tema promettente. Tanto più per essere il film di una regista di famiglia super upper class – padre milionario laburista, e baronetto, madre vice-sindaco di Londra. Ma svolto con timidezza e anzi confuso. O svigorito in fase di montaggio, dalla produzione o dalla stessa regista, a maggior gloria di quella che oggi sarebbe una battaglia “civile”, dei belli-e-buoni senza distinzione di classe.
Questo è quello che il pubblico è portato a vedere. Giocando anche sul richiamo di Meryl Streep, che invece è in scena per solo mezzo minuto. E proprio in quella che avrebbe dovuto essere probabilmente la scena madre, con la borghesissima Emmeline Pankhurst che esce dal rifugio ben protetta, dalla stessa polizia, per incitare all’“armiamoci e partite”. Anche il doppio standard della polizia, uno con le povere e un altro con le ricche, è lasciato infine in sordina, nell’indistinto generale.Un racconto incongruente. Oltre che bizzarramente triste, per essere di lotte e di lottatrici, di una rivoluzione alla fin fine.
Le donne del film non si capisce perché si ostinino, in una rivoluzione che è delle signore bene politicanti, loro che sono operaie, licenziate per il militantismo, picchiate dai mariti o cacciate di casa, quanto sono sporchi e cattivi i poveri, private dei figli, privilegiate dai manganelli e le carceri. E passive, esauste: mettono le bombe e non sanno perché. Il coevo antifemminista Marinetti richiamando subdolo, della prosa Il disprezzo delal donna, 1911:  “In questo sforzo di liberazione, le suffragette sono le nostre migliori collaboratrici, poiché quanti più diritti e poteri esse otterranno alla donna, quanto più essa sarà impoverita d’amore, tanto più essa cesserà di essere un focolare di passione sentimentale o di lussuria. La vita carnale sarà ridotta unicamente alla funzione conservatrice della specie”.
Di Emily (Davison), personaggio storico, che alla fine muore – non volendo - per la causa, ignoriamo lo spessore resistenziale: una che in pochi mesi fu imprigionata nove volte, e contro gli scioperi della fame subì una cinquantina di nutrizioni forzate, una specie di tortura. Dopo aver cercato più volte, per anni, un acculturamento universitario e una qualificazione che la redimessero dal lavoro di bambinaia. Un altro effetto mancato: il radicalismo è piccolo borghese.
Sarah Gavron, Suffragette

Quello che Draghi ha fatto veramente

La prima risposta in Borsa al pacchetto Draghi di giovedì è stata positiva, ma non perché la Bce ha adottato i tassi negativi, al contrario, perché non li ha adottati. Il pacchetto è più complesso e va spiegato. Anche perché la Bce viene da un errore: Draghi ha dovuto prendere misure innovative, e annunciare la determinazione a misure ancora più incisive, per ribaltare l’esito catastrofico dei tassi negativi  imposti alle banche a dicembre, che hanno prodotto un primo trimestre disastroso per gli spread e le quotazioni, sopratutto delle banche - in particolare delle banche italiane.  
Che la risposta positiva dei mercati sia durevole, resta peraltro da vedere, stante la rozzezza delle reazioni tedesche. Tutte negative, e molto aggressive. Anche perché non ragionate ma giocate sul nazionalismo, anche quelle degli istituti di ricerca – un incredibile “leghismo” attanaglia la Germania di Merkel: un regalo ai “latini” o mediterranei, specie all’Italia, un salvataggio di banche fallite (che poi sono soprattutto le tedesche…), un furto sul patrimonio tedesco in conto corrente (un canale molto usato in Germania). La Germania è in grado di spazzare via ogni ottimismo.
Nell’attesa, è utile sapere che: 1) Draghi non ha accentuato i tassi negativi, che avrebbero colpito la redditività delle banche, ma ne ha limitato l’accentuazione a una misura simbolica, dello 0,1 per cento. E ha escluso altre riduzioni. Dopo la risposta negativa che la stessa Bce ha avuto a partire da dicembre, e poi da gennaio in Giappone, da parte delle banche e  degli investitori. 2) Ha soprattutto introdotto un sistema aggressivo di “targeted longer-term refinancing operations” (Tltro), una spinta alla riapertura del credito alle imprese, a lungo termine, pagando ottime condizioni di rifinanziamento alle banche che predentano collaterali solidi. Un sistema, il “finanziamento al credito” (funding for lending) già messo in opera con successo dalla Bank of England a luglio del 2012. 3) Poiché la deflazione continua a serpeggiare, per la lentezza del recupero delle economie più colpite dalla crisi, ha posto la novità di giovedì nel contesto di un arsenale più vasto e determinato – “quanto basta”. 

venerdì 11 marzo 2016

Problemi di base - 268

spock

Non mi contraddirò contraddicendomi?

“Se Socrate fosse stato donna non se ne sarebbe parlato bene” (Marie de Gournay)?

Perché parlare bene di Socrate?

Perché parlarne male?

“Che ne so io?”, dice Montaigne socratico: e noi, allora?

Ma sapere è possedere, una cosa, un’idea, un dio?

Socrate sapeva di non sapere? Che cosa?

Sta socratico per buggeratore, senza verità?

spock@antiit.eu

La gaytudine si fa i dispetti

Perché ci sono tanti mendicanti? E tanti marchettari no, non sono un problema? Si potrebbe chiuderla qui, con queste moralità di Buffoni, poeta pure sensibile, e traduttore “scientifico”. Ma c’è una complicazione: perché tanti mendicanti a Roma, si chiede il poeta sceso da Gallarate. Non ce ne saranno anche al suo paese – ce ne sono in rapporto alla popolazione? Cioè: il leghismo è virus onnivoro. Ma qualcosa da leggere è sfuggito alla indignazione.
Su tutto la “traduzione” di Irma, del racconto già famoso “Calabria e Piccadilly”: la figlia della portinaia calabrese a Roma, di casa presso una coppia di inquilini senza figli, inglesi insegnanti di inglese, che da adulta è una in città “(“siamo una coppia lesbica”) e una in Calabria (“questa è la mia amica”), in automatico. O Maria Luisa Spaziani sessanta-settantenne raggiante dopo una gita con un “padre di famiglia e affermato professionista”, che era stato suo spasimante quando lei insegnava francese al liceo e lui ra suo allievo – dedicatario di bei versi gozzaniani: “O tenerezza che la forza ispiri\ O forza che mi ispiri tenerezza”. Aneddoto sapido specie per chi Spaziani ricorda musa autocertificata per molti anni di Montale, nonché sposa per una notte di Elemire Zolla – la poesia ama l’amore.
Qui Buffoni potrebbe fare un’altra puntata: perché Cefis non s’impossessò poi dei manoscritti di “Petrolio”. Ma non si può scherzare sull’assassinio di un poeta. Anzi, il morto non andrebbe nemmeno legato, lui come tutti i gay, all’immancabile carica di marchette, ancorché giovani, tutti furbetti e i più omofobi. L’omomania è insaziabile? O le gioie della gaytudine, che Buffoni professa ogni due pagine, si vogliono dispettose, pettegole?
Anche alcune “cose viste” si fanno leggere. Ma troppe affogano nel già visto, per quanto indignato, per difetto di meraviglia e eccesso di moralismo. Soprattutto l’omofobia. Di cui certo non si dice abbastanza male, ma allora senza il carico di ragazzi di vita, che sarà inevitabile ma è indigesto al martirio e al lettore, l’omoerotismo riducendo al porno, a pagamento. Di più pesa l’irredentismo gay, come di un modo separato, con barriere ad alto voltaggio – un “chi tocca i fili muore”, forse, per rompere l’indifferenza? Fino al popovismo. Buffoni fa scienza gay l’informatica, dal perseguitato Türing risalendo a Ada Augusta Lovelace, la figlia di Byron che teorizzò il computer. Dopo aver fatto di Byron, padre di Ada, che non fu lesbica, un gay coperto - e pensare che Stendhal lo trovò concorrente imbattibile con le migliori dame milanesi, avesse incontrato prima Buffoni… O il solito polpettone su “Petrolio” e il complotto contro Pasolini, a opera di Cefis.
Franco Buffoni, Il racconto dello sguardo acceso, Marcos ultra, pp. 247 € 14

giovedì 10 marzo 2016

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (278)

Giuseppe Leuzzi

Gianfranco Rosi fa la luce grigia in “Fuocoammare”, il film su Lampedusa. Non solare, un altro  Mediterraneo, quello che viviamo: livido, di morti.
È inevitabile pensare che l’Europa non giova al Mediterraneo. Le migrazioni di massa, i salvataggi, gli eroismi anche della Marina, tra technicalities e imprese vere e proprie, come localizzare un barcone di notte , senza coordinate e senza luna, in altra epoca sarebbero stati solari. Il Nord non giova al Sud, se non a distanza – non ha l’alito buono.

Le mostre etniche non mordono. Se ne sono fatte due a Roma questo inverno, semideserte. Mattia Preti non ha attirato i calabresi, eccetto qualche professoressa esiliata a Roma, malgrado fosse esposto a villa Corsini, palazzo e giardino da sogno. La Via Lauretana non attira i marchigiani, qui proprio nessuno, benché anch’essa in sito affascinante, san Salvatore in Lauro, dietro piazza Navona e via dei Coronari. Entrambe, per di più,  gratuite. Il tribalismo pesa solo sul Sud.

La moglie di Failla, il tecnico rapito e ucciso a Sabratha, ce l’ha con Mattarella e Alfano: “Non hanno fatto abbastanza”. Non con Renzi, non con Gentiloni: e l’ha con i due siciliani eminenti a Roma. I quali che dovevano fare non si sa ma questo è molto siciliano, di vituperarsi vicendevolmente, ben diversa la reazione della famiglia Piano, in Sardegna.
Nulla però al confronto con i “colonnelli” libici, la Sicilia ha ancora da imparare – quanto a parole a vuoto, “tanto sappiamo di che parliamo”. La fabbrica delle parole è in effetti meridionale, molto.

È anche, questa dei Failla, una maniera per elaborare il lutto: esternarlo su un bersaglio, un punching-ball. Ma autolesionista: i media ne sono crudelmente ghiotti come espressione quasi folk lorica, dell’eterno Sud: lamentoso, irragionevole.

Nel “Secondo diario minimo” Eco imbastisce un’utopia-distopia, “Italia 2000”, in cui, nell’Italia “divenuta una confederazione”, il Sud si arricchisce vendendosi  tutti i Mazzini e i Garibaldi, targhe e statue, ai musei americani - “a un’asta da Christie un Nino Bixio in bronzo aveva fruttato al comune di Bronte ottanta miliardi di dollari”. In controtendenza rispetto a una “severa crisi economica invece per il Norditalia”, in calo di natalità per l’espulsione dei meridionali, e di vendite:: “Privato di uno sbocco sui mercati mediterranei, esso trovava difficoltà a vedere vini ala Francia, orologi alla Svizzera, birra alla Germania, calcolatori al Giappone e il nuovo modello Alfa Romiti alla Svezia”. Tanto per ridere non è.

”Perché tanti giovani di famiglie mafiose si laureano in Farmacia (Ilda Boccassini)? Prima pagina del “Corriere della sera”.

Roberto Saviano si smarca oggi su “Repubblica” dall’accusa di non essere propositivo sul vituperato Sud, e consiglia vivamente la sua città, Napoli, di fregiarsi di una celebrazione: una qualsiasi, una inaugurazione, un monumento, un centenario. Come dire: andate a prenderlo in quel posto. Non si può stare con i nemici di Saviano, ma che si è Saviano in quanto si odia e anzi si disprezza il Sud, questo è vero.

Sudismi\sadismi
“Vengono dal Sud con prezzi bassi in partenza e si prendono gli appalti”, lamenta un sindaco emiliano - “da anni in prima fila nella lotta al crimine organizzato”, dice “L’Espresso”. Che titola: “Mafiosi in gita scolastica”.
A Moena vengono invece da Roma, e i moenesi non sanno come fare. L’installazione nella capitale della mafia da parte della Procura potrà aiutare?
I “prezzi bassi in partenza” impediscono al valoroso sindaco le revisioni prezzi in corso d’opera – il mercanteggiamento – cui era avvezzo.

Le cose sono scrittura
Si ritrovano molte “cose” in “L’amata alla finestra”, dimenticate ma non cancellate, una raccolta non eminente di Corrado Alvaro e un po’ tirata via. Della persistenza della “cosa” – la realtà, il fatto.
La cultura Alvaro dice infine una farfalla, che vola via o si sbriciola. E invece è la più coriacea: le “cose” addirittura durano, s’immortalano, tramite la parola. La citronella (“ciceroncella). Il vino greco. Il maresciallo Delfino di San Luca, “il carabiniere che non poteva sentir parlare d ladri senza mettersi a cercarli per scommessa”. Il maestro Castagna e il metodo di alfabetizzazione “realistico”, manesco. Il”Barone”, che è il “Sud”, in presenza fisica. Lo Jonio: “Il mare Jonio respira pesante”, il mare tuttora della Magna Grecia – si parte da Smirne e si approda, seguendo i venti e le orrenti, a Crotone – “dal respiro profondo”.
Alvaro è scrittore di “cose”. Si dice di miti ma no, è di cose: elementi, natura, eventi, anche i miti. Trasfigurati, cioè fissati, ma solo in parte. È nella scrittura che le cose si immortalano e sono.

Il Nord è più a Nord
Tra gli aneddoti della raccolta “Il racconto dello sguardo acceso”, Franco Buffoni ne ha uno della Germania. Di quando, al volante di una Bmw 320 a iniezione, sull’autostrada Bonn-Colonia, sulla corsia di sorpasso superò il limite di velocità: “A un tratto una Mercedes che avevo superato d’impeto mi si fece vicinissima con i fari abbaglianti sgranati, costringendomi a farmi da parte”. Dopodiché rallento “al limite di velocità, senza mai rientrare nella corsia normale”, per impedire a Buffoni il risorpasso. Buffoni dice: “Impedendomi fino a Colonia di consumare la mia infrazione”. No, i tedeschi guidano veloci e contro le regole – “vicinissima con i fari abbaglianti” è da codice penale. Che peraltro per la velocità non ci sono non ci sono limiti di velocità sulle autostrade. No, la Mercedes ha voluto dare una lezione alla Bmw dell’italiano - con targa italiana. Di cui il nordista italiano magari non si accorge. C’è sempre un Nord più a Nord.

“Beethoven sordo spiegò a Rossini che l’opera non è per gli italiani” – G. Leuzzi, “Gentile Germania”, p. 285 (“§ 13. Far cantare le musica” – Von Karajan”). Però, il Nord esiste da vecchia data.

Il cancelliere austriaco Faymann, socialista, che ha chiuso le frontiere dell’Austria e vorrebbe farlo anche materialmente, con un muro, si era distinto l’anno scorso perché era andato in Grecia e controllare l’afflusso dei rifugiati e aveva ripreso Atene: non era abbastanza umana con gli immigrati. Che in Grecia sono stati 136 mila nei primi due mesi dell’anno, mentre Faymann ne vuole ricevere solo 80 al giorno. Ma il Nord ha sempre ragione: è proprio razzista.

Le due Europe
C’è un Nord violento e un Sud anche sugli immigrati. Oltralpe non solo non li vogliono, ma criticano anche Grecia e Italia perché non fanno abbastanza. Abbastanza per che cosa? Respingerli? Affondarli? Affamarli? Lasciarli in mare? Qualcosa del genere, che l’Europa oltralpe non abbia a farsene un problema.
Si chiama Europa ma sono due mondi diversi. Due civiltà diverse, forse anche due umanità, chissà - bisogna rivedere la storia delle origini.
Ma questo non sarebbe un problema. Ognuno con la sua identità, anzi, non sarebbe un male. Il problema è che il Nord si vuole meglio del Sud, “questo” Nord, egoista, arrogante, stupido. E, peggio, che il Sud si ritiene peggiore del Nord. Non solo sui giornali, che si possono presumere prezzolati. .

Il Sud profondo dell’antropologia
Gli studi antropologici italiani, da Mantegazza e Pitré a De Martino e Cocchiara, a Lombardi Satriani, sono concentrati quasi esclusivamente sul Sud. E viceversa: il Sud è prima di tutto materia di ricerca antropologica, come nelle scienze coloniali. Subito all’unità, non prima.
Sono gli studi che fanno la differenza. Senza preclusioni, la scienza non ha pregiudizi, è ma è solo al Sud che ci sono il malocchio, la magia, lo scongiuro, i filtri d’amore e il culto del sangue. Anzi, non c’è altro Sud. 
È una delle ragioni per cui i meridionali non sono a loro agio nel “Sud”, il professionista come la contadina. Magari ne ripetono le ragioni, ma a disagio, e senza via d’uscita – non ce n’è fuori dalla tomba dell’antropologia.

leuzzi@antiit.eu

La vera storia di Lampedusa

Meryl Streep avrà avuto molte ragioni a Berlino, al festival del cinema, per premiare Rosi. La luce grigia. La maestria delle riprese e del montaggio. Le immagini parlanti, mai mute (superflue). Un parlato essenziale, pregno. Un Mediterraneo indifferente. La capacità narrativa: tante scene resteranno memorabili, la filosofia della fionda, la lezione d’inglese, il caffè dei vecchi coniugi, la radio locale, il subacqueo solitario, il dialogo notturno con la civettina, la mangiata frontale degli spaghetti al sugo di seppia. E poi c’è il soggetto certo, l’immigrazione. Lo spessore umano di questa storia accelerata, febbrile, quasi inverosimile - come di mandrie di bisonti, di zebre, di gnu, alla prima luce, incerta, nel bush africano. Ma piace pensare che abbia voluto il premio perché infine vediamo cosa succede. Vent’anni di sbarchi e ecatombi, 400 mila arrivi, 15 mila morti. E giornali, giornalisti e tv a centinaia ogni giorno sull’isola, a migliaia, che non hanno visto nulla e non ci hanno detto in realtà nulla.Il film è esteticamente molto bello: semplice ma curato in tutto, nei dialoghi, le psicologie, le ambientazioni, perfino nell’uso del dialetto, per chi può seguirlo. Ma è infine, senza volerlo, senza polemica, un film verità. Prodotto – va aggiunto poiché si celebra come un successo del made in Italy – dai francesi di Arte.
Gianfranco Rosi, Fuocoammare

mercoledì 9 marzo 2016

Ombre - 307

Il colonnello comandante delle forze libiche a Sabratha non rende le salme di Failla e Piano se non dopo il riscatto, in dollari e armi. Il gentiluomo ha anche diritto a un’intervista sul “Corriere della sera”, da parte dell’ottimo (ingenuo? collaboratore?) Lorenzo Cremonesi. Si fa presto a dire: “Liberiamoli”, liberiamo i libici. 

Da chi? I quattro tecnici italiani rapiti in Libia erano in mano a una famiglia, con moglie e bambino, vicino a Sabratha e a un campo dell’Eni. Ai quali costavano caro, anche se gli davano poco da mangiare. Lo sono stati per mesi. Li cercavano veramente?

E questo ubiquo stato islamico, non sarà una favola? La Turchia chiede alla Ue sei miliardi, per avere i tre promessi da Angela Merkel. Altrimenti…  Da un lato è affascinante, l’intramontabilità del vecchio Levante. Dall’altro è curioso: la Merkel non è poi così brillante? Davutoglu entra ed esce a Bruxelles col sorriso, e non è rictus.

Giovedì l’ambasciatore americano  dà un’intervista al “Corriere della sera”, al solito guardinga, con le solite cose. Per ribadire che gli Usa vogliono in Libia anche l’Italia, ma senza fretta, dopo che ci sarà un governo libico, etc., senza forzature. Il giornale titola
 “All’Italia la guida in Libia. Ci aspettiamo 5 mila uomini”, e fa il dibattito politico per tutti questi giorni. Solo ieri l’ambasciatore precisa che non ha chiesto l’armiamoci e partite. Cioè, aveva ragione il giornale? 

La Procura di Roma intransigente, che intende dare l’aggravante della premeditazione ai due assassini di un loro coetaneo, “per vedere l’effetto che fa”, pubblica tutto della deposizione di uno dei due. In maniera che l’altro sappia come imbrogliare le carte già al primo interrogatorio. Non può essere insipienza.

Il padre di uno dei sue assassini va a “Porta a Porta” a spiegare che non se lo sa spiegare, che suo figlio è buono. Col cadavere ancora caldo, di un assassinio spregevole, va in televisione: viene portato con la macchina di servizio, va al trucco, aspetta composto nei tempi morti, mentre si ripassa il discorsetto. Un’altra umanità?

Col cadavere del delitto gratuito, con torture e mutilazioni, ancora caldo, Bruno Vespa ritiene giusto e anzi meritorio far esibire alla sua trasmissione il padre di uno dei due assassini. Si può dire che è un’altra umanità. Ma è un’informazione disgustosa come il delitto.

Bastano 350 richieste d’asilo, in un anno, per far vincere le elezioni in Slovacchia. Alla destra, e all’estrema destra filonazista.  Ah, quell’allargamento prodiano dell’Unione Europea: errore colossale, per gli stesi vecchi rottami socialista ammessi. Siamo tutti europei, poich stiamo in Europa, ma con juicio.

Il cancelliere austriaco Faymann si salva il posto riducendo a 80 per richieste di asilo valutabili ogni giorno. È un socialista, ma si guada le spalle: si vede che l’estrema destra è forte anche in Austria. Dovremo erigere un muro anche contro l’Austria?

Il cancelliere socialista austriaco è anche il primo che ha innalzato un muro. Non il primo il secondo, dopo l’ungherese Orban: il fascismo è invasivo.

Faymann aveva molto criticato Orban. Anzi, perfino la Grecia, perché non era abbastanza umana con gli immigrati – 136 mila arrivi in due mesi, altro che 80.

Orgasmi in tv per la moviola in campo. Proprio dove si dovrebbe sapere che la moviola è labile e variabile, e anche traditora. Molto più dell’occhio umano. Basta un operatore abile o un regista non incapace  per variarne illuminazione, ombre, taglio, velocità, etc. Confondendo per di più la moviola con la misura della palla, se ha oltrepassato la linea di porta, tutt’altro strumento.
Ma non è incapacità: nel fondo è il desiderio di complicarla ancora di più. Che lo sport sia dibattito, niente atletismo.

Arnaldo Plateroti è ricordato dai familiari come “un giornalista e intellettuale socialista”. L’aggettivo è talmente raro che è ottimo titolo d’onore, in effetti.

Il debito italiano è solido, “garantito” dal risparmio privato (Marco Fortis). Il debito italiano è il peggiore d’Europa e si merita lo spread alto (Luigi Guiso). Non  un esercizio in equilibrismo, è l’informazione del “Il Sole 24 Ore” domenica. Cioè:  arrangiatevi.

Giusepe Gennari dichiara nulla una serie di intercettazioni disposte dalla procura di Milano con l’ausilio dell’Agenzia delle Entrate, perché l’Agenzia non è e non può essere organo di polizia giudiziaria. Oppure semplicemente abusive, disposte senza autorizzazione del giudice. Non solo: la Procura, dice ancora Gennari, “ha proseguito nell’intercettazione illegittima, e poi ha chiesto la proroga dell’intercettazione mai autorizzata”. A quando l’arresto di questo giudice? Per concorso in qualcosa – a qualcosa concorrerà pure.

O è da leggere così: siete dei malfattori ma vi perdono? Il giudice Gennari infatti non ha rinviato a giudizio per tante illegalità nessuno della Procura.

Scalfari elogia Renzi e Verdini domenica l’altra: “Non c’è scandalo”, dice, e perché non ci dovrebbe essere? Renzi lo ha fatto “così come la Dc di Aldo Moro si alleò con i socialisti di Pietro Nenni e alcuni anni dopo addirittura con il Pci di Berlinguer”. Bella storia.

O bisogna dire Scalfari come Verdini, se Renzi è Moro? All’epoca Scalfari era socialista di Pietro Nenni, perfino parlamentare.

Un Procuratore Capo di Palmyra, in Siria, dice a “Panorama” che la città è stata consegnata da Assad all’Is, in cambio delal protezione dello stesso Is, lo stato islamico, agli oleodotti.  E l’Is lealmente si è tenuto ai patti. Tutto si può dire in Medio Oriente.

un’altra umanità. Ma è un’informazione disgustosa come il delitto.

L’Italia era energia, passione e vita

Un concentrato della passione per l’Italia, “terra di passioni”. Un’operina ripescata un secolo dopo la morte, di poca consistenza, ma sì per queste professione di fede. Una delle prime di Stendhal, scritta rapidamente subito dopo “Roma, Napoli e Firenze nel 1817”, che è la sua prima opera firmata Stendhal, e la prima di suo pungo – dopo gli scopiazzamenti: le vite musicali da Girolamo Carpani, firmate “Bombet”, e la “Storia della pittura in Italia”, uscita anonima nello stesso 1817.  Scrisse “L’Italia nel 1818” in risposta alla recensione della “Edinburgh Review”, l’unica apparsa di “Roma, Napoli e Firenze”, un debutto da cui tanto si attendeva, ma critica, e anzi irridente: lo scrittore, “quel vero parigino che è il barone de Stendhal”, l’anonimo recensore accusava di flippancy, “frivolezza”.
L’ironia della “Edinburgh Review” non smontò Stendhal - “Je suis tout Edinburg Review”, scrisse subito dopo all’amico Adolphe de Mareste, funzionario della prefettura a Parigi. Anzi, lo spinse a “riscrivere” il libro sull’Italia, in realtà a farci un’aggiunta, trovandone le radici nel Medio Evo. Sempre di quella “energia”, “passione”, “furia” che lo incantavano ed erano per lui l’Italia – magari lo erano: “Come diamine non essere energici con il sole e le ricchezze d’Italia, e quattro secoli di questi leggiadri governi” – leggiadri, cioè violenti. È “delizioso” pure “il godimento del potere”, nelle città italiane che trova “divorate dalla fiamma delle passioni”. Nonché le lotte costanti, anche fratricide, anche traditrici. E il ribellismo sconfinato, fino all’assassinio – “quando la giustizia è l’arma del più forte, una crudele derisione, l’uomo ritorna allo stato di natura, l’assassinio ridiventa un diritto”.  È la celebrazione più determinata dell’Italia, senza se e senza ma.
La “Edinburgh Review” è parte in causa anche perché alimentava la passione romantica del futuro Stendhal, mediandogliene gli estri angloscozzesi e germanici. Una passione letteraria che il neo milanese di adozione Beyle trasfigurava in esistenziale. Per gli amori infelici e per la temperie culturale della capitale lombarda, tra Foscolo e Manzoni, con Ludovico di Breme, Monti, Byron, Berchet, Pellico. Di cui l’anno dopo scriveva all’amico-editore Crozet a Parigi: “Il furore del romanticismo occupa qui tutte le teste; ben  strane teste, a quattromila leghe dalle francesi. Gli Italiani non devono nessuna delle loro idee ai libri. Che energia, che furore, quale vita”.  
Stendhal, L’Italia nel 1818, Aragno, pp. 192 € 15

martedì 8 marzo 2016

La “questione delle donne”

Una “querelle des femmes” tenne banco in Francia nel Secondo Cinquecento e nel primo Seicento. Pro e contro l’uguaglianza di condizione e di diritti. Con riferimenti alle Scritture e anche alla teologia. Con molti uomini a favore della donna, i più famosi e decisi Erasmo e Agrippa di Nettesheim, “De la noblesse et preexcellence du sexe féminin”. Fino a un Poullain de la Barre, che nel 1673 farà la “prova cartesiana” dell’uguaglianza, “De l’égalité des deux sexes. Discours physique et moral où l’on voit l’importance de se défaire des prejugés”, anche nelle scienze e in filosofia,  “se le donne studiassero nelle università con gli uomini o in altre appositamente istituite”.
I temi sono soprattutto l’educazione delle donne, e i rapporti matrimoniali, morali e patrimoniali.
La storica Madeleine Lazard ha censito 891 libelli pro o contro nel secondo Cinquecento. La querelle continuò accesa anche nei primi trent’anni del Seicento. La più famosa è quella che nel 1614 oppose Margherita di Valois al gesuita François Loriot. La regina Margherita, protettrice e mecenate del gesuita, gli scrisse una lettera aperta con l’invito a temere conto che le donne sono dotate “quanto e più” degli uomini – ma non ebbe ragione: Loriot ammise che le donne potevano essere uguali agli uomini, ma agli uomini mediocri.

Il cavallo non beve, ma i debiti crescono

La Stiftung Markwirtschaft tedesca, una fondazione di studio del mercato, valuta periodicamente l’indebitamento complessivo delle economie, il debito “esplicito”, cioè pubblico, più quello implicito, dando un giudizio di sostenibilità complessivo: valuta cioè la sostenibilità del debito in rapporto al debito pubblico e all’indebitamento privato. Finendo (il fatto era segnalato già due anni fa in “Gentile Germania”) per dare un voto alto alla sostenibilità del debito complessivo italiano, rispetto, per esempio, a quello complessivo tedesco. Non un’alzata d’ingegno né una trovata polemica, magari politica, contro questo o quel partito al governo in questo o quel paese, ma un dato di fatto, calcolato.
Quest’anno “Il Sole 24 Ore” non ha potuto non segnalare l’esercizio della Stiftung, ma lo  commenta come un paradosso. Prova ne sia, arguisce Luigi Guiso, che i “mercati” non ci credono. Come se i mercati fossero anonimi, equanimi, automatici, e non obbedissero a interessi ben di parte, e in grado di sostenersi. Magari con le opinioni pubbliche: creando ex nihilo aspettative, oppure ansie e qualche volta il panico. Il giudizio del mercato è certo un dato di fatto, dell’Italia addirittura ha azionato due enormi crisi, nel 1992 e nel 2011. Ma ergerlo a giudice è un’infamia, mentre sarebbe corrigendo, e anzi da ergastolo.
Ma non importa – è certo bizzarro, nel mondo d egli affari, che l’Italia abbia malgrado tutto fondamentali solidi. Il fatto importante è che il debito privato è cresciuto troppo – non in Italia. In una conferenza un mese alla London School of Economics, che roa si pubblica online, il direttore generale della Bri, la Banca dei regolamenti internazionali di Basilea, Jaime Caruana, ne ha fatto un quadro preciso, “Credit, commodities and currencies”.
Le turbolenze nei mercati finanziari Caruana attribuisce a tre fattori: “Il primo è la crescita debole e in revisione al ribasso, specie nelle economie emergenti; il secondo sono le ampie oscillazioni dei tassi di cambio, di nuovo in particolare per le monete delle economie emergenti nei confronti del dollaro;  e il terzo è il crolo dei prezzi delle materie prime”. Non è finita, e la turbolenza durerà ancora – in effetti è durata per un mese: “I tre sviluppi sono connessi; e condividono fattori comuni”. Ma la risultante sarà positiva: questi sviluppi Caruana giudica “manifestazioni di un importante riallineamento delle forze economiche finanziarie”. Il che sarà vero da un punto di vista globale, ma non per alcune economie, e cioè per l’Europa – come si deduce dal prosieguo di Caruana.
La turbolenza finanziaria è stata forte per “un eccesso di stock di vulnerabilità” in alcune economie. Da un lato il debito pubblico, in aumento ovunque. Quello privato è stato ridotto in alcuni paesi, Irlanda, Spagna, Gran Bretagna, gli Usa e altrove, “ma il debito pubblico è cresciuto significativamente nelle economie avanzate, e il debito privato è cresciuto nelle economie emergenti e in alcune economie avanzate”. Il debito è il fondo comune delle tre matrici della crisi dei mercati: bassa crescita, cambi instabili, crollo dei prezzi delle materie prime.
Nelle economie emergenti, il debito del settore privato è cresciuto negli ultimi sette anni dal 75 al 125 per cento del pil. L’indebitamento in valuta estera è raddoppiato, a 3.300 miliardi di dollari. – grazie anche all’indebolimento del dollaro, che però ha un costo. Negli Usa l’indebitamento privato complessivo si è ridotto, ma nel settore petrolifero è esploso a 3.000 miliardi di dollari, tra obbligazioni societarie e prestiti bancari. L’indebitamento “petrolifero” è cresciuto anche per le società a capitale pubblico, in Russia (del 15 per cento annuo dal 2009), in Brasile (del 25 per cento annuo), e in Cina (del 31).
C’è più di una ragione per il tracollo delle Borse in questo avvio d’anno, spiega il direttore della Bri.  Che ha portato nei primi due mesi del 2016 a una perdita di valore soprattutto per le banche, tra un quarto e un terzo della loro capitalizzazione. Il sottinteso è che la bufera dovrebbe essere passata, almeno per le banche cui Caruana sovrintende. Ma non è detto.
Non bisogna dimenticare che la crisi da cui l’Europa ancora non è uscita, dopo otto anni, è la conseguenza dello stratosferico indebitamento privato negli Stati Uniti. La crisi è stata poi perpetuata in Europa dal debito pubblico, ma questo per un’errata, o ostile, manovra politica tedesca, di cui l’Italia soprattutto ha fatto e fa le spese, con Grecia, Portogallo, e altri minori.

L’Italia più sostenibile della Germania

Non è una barzelletta: il debito italiano è più sostenibile  di quello tedesco addirittura per la Bundesbank. Se ne può leggere in Giuseppe Leuzzi, “Gentile Germania”, p. 95 :
“Bot e Btp sono un investimento sulla fiducia. Che il debito sia sostenibile e sia ripagato. E la sostenibilità del debito italiano è stimata migliore di quello tedesco. Anche dagli studi tedeschi. Col taglio delle pensioni il debito ita-liano cessa di crescere, e potrebbe diminuire – se si inter-venisse sui 25 miliardi di spesa corrente annua che sono il sottobosco politico. Com’è allora che la Germania paga meno, molto meno? Perché ha convinto i mercati che l’eu-ro è il marco. E ciò ha fatto indirettamente, costringendo l’Italia, le “Italia” dell’Ue, a pagare di più. La sostenibilità riguarda le risorse attese per pagare il debito. È una previ-sione, quindi incerta, ma si ancora a supporti calcolabili: la spesa sociale, previdenziale, sanitaria, le entrate fiscali. 
…………..
“A marzo 2013 la Bundesbank, inaugurando l’inda-gine statistica sulla ricchezza delle famiglie, da tempo in uso alla Banca d’Italia, collocava la Germania sotto la me-dia europea. La differenza era da prendere con riserva: “La ricchezza privata delle famiglie offre una prospettiva limitata degli standard di vita o della ricchezza di una società. Specie nei paragoni internazionali. Altri settori, per esempio lo Stato, possono influenzare la ricchezza delle fami-glie, in positivo o in negativo”. E tuttavia, in fatto di patrimonio, quello delle famiglie tedesche è inferiore a quello delle altre grandi economie dell’euro, per la scarsa diffu-sione della proprietà immobiliare. Possiede una casa solo il 44,2 per cento delle famiglie tedesche (nella Germania Est il 33,7), contro il 58 per cento dei francesi, il 69 degli ita-liani e l’83 per cento degli spagnoli. E solo un 18 per cento delle famiglie tedesche ha immobili non di residenza.
“Una bassa propensione etnica, si può dire: possiede la propria casa in Austria il 48 per cento delle famiglie, in Svizzera il 40. Ma la cosa non è irrilevante. Il patrimonio conta quanto il reddito per la sostenibilità di un debito, sia esso societario o nazionale. È la posizione che l’Italia  ten-tò di far valere in sede Ue negli anni 2010-2011, su input della Banca d’Italia di Draghi. Allora inutilmente”.

La “figlia” di Montaigne prima femminista

 “La maggioranza di coloro che difendono la causa delle donne contro l’orgogliosa preferenza che gli uomini si attribuiscono, passano decisamente dalla parte opposta”. Debutta con una excusatio il manifesto per l’uguaglianza degli uomini e delle donne, come se fosse un’invasione di campo. Ma siamo nel 1622, ne è autore un donna, per giunta non bella, anzi in fama di “preziosa”, una zitella rompiscatole (morirà ottantenne, nel 1645), e si deve far perdonare. Ma non si censura: non per caso Marie de Gournay è figlioccia di Montaigne, e curatrice quasi testamentaria – nel 1592, alla sua morte, la moglie e la figlia ne affidarono a lei le carte, compresa l’opera sempre in progress dei “Saggi.
Il tema è semplice, di questo saggio protofemminista, in difesa del “sesso malmenato”: le donne hanno diritto all’istruzione, le donne hanno diritto a governare. Anche nella chiesa, di cui Marie era devota: le donne hanno diritto al sacerdozio. Su quest’ultimo punto, cioè in fatto di religione, la libellista insiste - a tratti anticipa perfino Voltaire: “Dio non è né maschio né femmina”. E se, creando l’uomo a sua immagine e somiglianza, l’ha preferito maschio, beh, si è impoverito: l’uomo-maschio non è un bell’esemplare.
L’esposizione è diretta, seppure con riferimenti a san Paolo e altri testi canonici, insieme con Plutarco, Platone, Aristotele, Pindaro, e anche Carneade. I tre scritti qui riuniti, da Albina Maffioli Barsella, con una introduzione molto esauriente, prendono una settantina di pagine – compreso l’originale a fronte: “Dell’ugaglianza”, “Lagnanza delle donne”, e l’excursus femminista del “Passeggio del signor de Montaigne”, l’operina per la quale De Gournay resta nelle storie. La trattazione si vuole peraltro semplice, facendsi forte delle tante donne che hanno corretto la storia, a partire dalla Bibbia e anche da Ipazia, con Giovanna dArco naturalmente, e le regine, Caterina e Maria dei Medici, e Anna dAustria, la regina regnante, cui il primo saggio è dedicato. 
La curatrice ne inquadra il personaggio e ciò che ne rimane nella storia letteraia. Il primo sembra prevalente, ma questi scritti non sono di maniera. La querelle des femmes, gli scritti pro o contro l’intelligenza e i diritti delle donne, era un genere corrente tra fine Cinquecento e primo Seicento: Madeleine Lazard, specialista del Rinascimento, ne ha censiti 891 in pochi decenni, a partire da Erasmo. Questi della fille d’alliance del castellano di Montaigne si fanno ancora leggere. Il breve estratto dal “Passeggio”, il primo composto in ordine di tempo, è già agguerrito contro la calunnia e il discredito sociale.   
Montaigne conobbe Marie de Gournay dopo la seconda edizione dei “Saggi”, 1582, i primi due libri della raccolta. La diciottenne Marie de Gournay gliene scrisse entusiasta, i due s’incontrarono più volte e Montaigne fu, oltre che lusingato, sinceramente interessato dalle doti di carattere e d’intelligenza della giovane. La dichiarò sua figlia spirituale e ne introdusse un elogio al cap. XVII del libro secondo dei “Saggi”, che intitolava “Della presunzione”: “Mi sono compiaciuto di dichiarare in molte occasioni le speranze che ripongo in Marie de Gournay Le Jars, mia figlia spirituale: e certo da me amata molto più che d’affetto paterno e inclusa nel mio ritiro e nella mia solitudine come una delle parti migliori del mio stesso essere. Non considero più che lei al mondo. Se dall’adolescenza si può trarre presagio, quest’anima sarà un giorno capace delle cose più belle e tra le altre della perfezione di quella santissima amicizia alla quale non abbiamo notizie che il suo sesso abbia potuto finora innalzarsi. La schiettezza e l’integrità dei suoi costumi vi sono già di per sé sufficienti, il suo affetto per me più che sovrabbondante, e tale insomma che non c’è nulla da desiderare, se non che il timore che essa ha della mia fine, poiché mi ha incontrato quando avevo cinquantacinque anni, la tormenti meno crudelmente”. Più ancora è lusinghiero nel seguito: “Il giudizio che essa dette dei miei primi Saggi, da donna, in questo secolo, e così giovane, e sola nel suo paese, e lo straordinario ardore con cui mi amò e mi desiderò a lungo per la sola stima che aveva di me, prima di avermi visto, è un fatto di degnissima considerazione”.
Una donna per questo, per la considerazione di Montaigne, e per tanti altri aspetti  per il suo tempo “eccezionale”, fuori da ogni ruolo – potendoselo permettere, certo, come redditiera, seppure di pensioni modeste, al gradimento dei benefattori. Non moglie, non monaca, non beghina né dama di san Vincenzo, non casalinga, ma non cortigiana, e neppure strega, sebbene la incuriosisse l’alchimia. L’amore spirituale del Montaigne maturo con Marie non viene considerato dai commentatori. Non come quello, magnificato, santificato, per Étienne de la Boétie. Ufficialmente perché questa professione di amitié amoureuse ricorre nell’edizione 1595 dei “Saggi”, postuma, curata dalla stessa Marie. Ma soprattutto perché Marie è un personaggio reale, e vivrà ancora dieci anni dopo il 1635, l’anno dell’ultima riedizione, da lei sempre curata, dei “Saggi”. Non era bella, come si vuole presumere di Étienne. Ed era donna. Una “preziosa”, cioè saccente. Ma ben una “libertina”, come si classificava e veniva classificata, quasi una libera pensatrice. Più modestamente, era una donna capace di pensare. Benché stimatissima dal cardinale Richelieu.
Nulla di scandaloso, in effetti, in Marie de Gournay. La “vecchia ragazza” che Tallemant des Réaux tratteggia affettuosamente nelle “Historiettes”: “per bene”, di “generosità” e “forza d’animo”, di spirito sempre acuto, anche con la dentiera. Il Cinque-Seicento fu un secolo molto vivace, tra la fine delle guerre di religione e prima dell’assolutismo. Non si manifestava, ma si pensava forte.
Marie de Gournay, Dell’uguaglianza degli uomini e delle donne, Ecig, pp. 131 € 8

lunedì 7 marzo 2016

Letture - 249

letterautore

Agosto – “Agosto, moglie mia non ti conosco”: tanto l’afa è debilitante? Si dissolverebbe in mezza riga il romanzo famoso di Campanile.

Eco - Era scontento del giornalismo e dell’editoria, i suoi secondo e terzo mestiere. L’insoddisfazione per il modo di fare giornalismo, condensata da ultimo in “Numero zero”, è costante nei “Diari” e nelle “Bustine”. Dell’editoria fece una satira perfino cattiva, insistita, nel “Pendolo di Foucault”.

“L’Espresso” e “la Repubblica” ne mandano in edicola le opere come “un omaggio alla cultura della leggerezza”. Che a Eco avrebbe fatto piacere e no. Resta come quello di una visione non apocalittica della vita. Nell’età della crisi non è un approccio da poco. Nemmeno integrato.
Fabrizio De André invece, in una sorta di intervista postuma che “la Lettura” ha pubblicato l’altro sabato, lo dice insieme con Sciascia “gli epigoni moderni di Stendhal”. Una filiazione che lo avrebbe certamente lusingato ma anche incuriosito: lui è tutto l’opposto di Stendhal, i suoi racconti sono di testa, quasi geometrici.

L’estetica dei Puffi o la semiologia di Mike Bongiorno, di cui da ultimo si scusava (“sono solo sei paginette”) mescolando all’indigesta “joyciana” e all’incomprensibile Peirce, divaricazione che gli veniva accademicamente rimproverata, ha dato un forte impulso, e anche nuova sostanza, alla figura in declino dell’intellettuale – del maître à penser. La curiosità (attualità) mescolando alla ricerca, in un quadro di giudizio non definitivo o sistematico, ma sicuramente ben indirizzato. Per via dei saldi fondamenti e un giudizio aperto, non prevenuto.
Questa qualità intellettuale, su un’indole estroversa e impregnabile, in cui molti ci identifichiamo, veniva spontanea collegarla alla comune educazione dai salesiani. Senza fondamento, poiché Eco ha fatto gli studi altrove. Ma il collegamento si è poi mostrato parzialmente fondato per via dell’oratorio che Eco frequentava il pomeriggio, che è un’istituzione salesiana, un luogo di socializzazione aperto: stare insieme (compartecipare) e giocare nel senso di “rappresentare”. Derivata da una pedagogia insieme semplice e sottile: uno studio – poco studio, q.b. – che stimola l’intelligenza più che riempirla, che sa che c’è il sole quando c’è il sole, e il comportamento modella sulla curiosità, delle cose e delle persone, la competizione non reprimendo ma socializzando (sportività).  
Cazzullo ora su “Sette” la collega alla piemontesità. Che in morte si è dimenticata, ma è indubbia  - “Eco era di Alessandria come la famiglia di Bobbio, si è laureato a Torino, «Il nome della rosa» è ambientato sulle Alpi marittime….”. Forse il rimando, inconscio, è alla buona Italia, piemontese – anche se era un falso mito. Col senso della misura – che poi si deve essere perso tra Torino e Roma, e quarant’anni fa tra Torino e Milano, quando la città sabauda si arrese (Agnelli da Cuccia, etc.). .  

Gadda – Un vitalista sotto la poltronaggine da valetudinario di cui lo affliggono gli amici? Esibisce un costante richiamo mortuario, accanto alla febbrile ingegnosa attività, nella corrispondenza sempre, accampando malanni di salute, di vicinanza, di parentela, inventati più che reali, e nei titoli, “Verso la Certosa”, “Tendo al mio fine”, il “Trapassi” che doveva titolare la prefazione a Parise che poi non fece. L’attivismo - malgrado le tante incompiute ha lasciato un corpus sostanzioso - si spiega con questa ansia di fine precoce? La fine è precoce se l’ansia è di vita, vitalistica.

Vittorio Emanuele III – Si era certi in Francia allo scoppio della guerra che Vittorio Emanuele III non avrebbe “tradito”. Lo ricorda anche la scrittrice Irène Némirovsky, nel romanzo “I beni di questo mondo”, scritto nel 1941-42 in contemporanea col suo capolavoro “Suite francese”: “Un grosso signore diceva ad alta voce che sapeva da fonte sicura che «il re d’Italia avrebbe abdicato se il suo paese fosse entrato in guerra». Gli altri scuotevano la testa. Il grosso signore disse tutto serio: «Non mi stupisce da parte di Vittorio Emanuele. Ho sempre avuto una grande stima di lui»”.
Perfino quando l’Italia attaccò la Francia ormai confitta, accanto alla riprovazione, persisteva una sorta di fiducia oltralpe che la zona d’occupazione italiana avrebbe avuto risparmiate le sofferenze inflitte dall’occupazione tedesca.
Quella dell’ultimo re d’Italia, sulla quale pure governò per quasi mezzo secolo, è una storia che non si scrive – a parte l’abbozzo biografico di Mario Bondioli.

Yourcenar –  Era di destra. Molto italianofila, anche, al tempo del fascismo. 
Ha un ventennio, quasi, italiano – benché trascurato nelle raccolte della corrispondenza, e in parte anche dalle biografie  Per soggiorni, amicizie, influssi. Particolarmente forte quello di Evola. Numerosi sono i suoi racconti di ambiente italiano. “Le dialogue dans le marécage”, 1929, è una storia dialogata di Pia dei Tolomei, con – dirà lei stessa nel 1971, alla riedizione – “un poco della sensualità diffusa ovunque da D’Annunzio”. Nello stesso anno “Sixtine” evocava Michelangelo vecchio. Lo stesso anno inizia, risiedendo in Italia, “Denaro del sogno”, sulla preparazione confusa di un attentato antifascista, che pubblica nel 1934 – e poi riscriverà, nel 1959, evirandolo politicamente. “Italiane” sono naturalmente le “Memorie di Adriano”, specie le ricerche su cui è fondato il racconto.
Con corrispondenti e amici italiani si è occupata a lungo di ricerche psichiche (occultismo, magnetismo), di alchimi e dei Rosacroce - di Gandhi rimarcando l’ipocrisia della “santità”. Una passione che, combinata con quella per la storia (Campanella, Erasmo, Leonardo, Paracelso, Serveto), la condurrà al tardo romanzo di Zenone, 1968, “L’opera al nero”.
Evola scrive di averlo incontrato tardi, per caso, in una libreria di Firenze nel 1952, comprando “Lo Yoga della potenza”. Da cui comunque resta folgorata: lo leggerà annotandolo freneticamente, tascrivendone una trentina di lunghi passaggi, specie dai capp. III e VII, “Presupposti dello yoga” e “Pancatattva – Il rituale segreto”, traducendoli, commentandoli, sotto il titolo “La poursuite de la sagesse”. In un articolo per “Le Monde” il 21 giugno 1972, “Ricette per l’arte del buon vivere”  (poi ripreso col tiolo “Approches du tantrisme” in “Il Tempo, questo grande scultore”), si premura di dire che di Evola nel 1952 ignorava anche il nome – cosa non vera. Ma riconosce, “salvo qualche riserva”, di “avere acquisito una di quelle opere che per anni vi alimentano e, fino a un certo punto, vi trasformano”.

Le sue biografie in realtà sono una, quella di Josyane Savigneau nel 1990. Yourcenar ha molti titoli di interesse, oltre a quelli letterari: la prima donna accademica di Francia, la prima a trattare temi irsuti, come l’omosessualità e l’incesto, la prima a professare una convivenza lesbica. Ma l’esercizio biografico resta evidentemente arduo, forse perché fu politicamente scorretta. Fu infatti di destra. Prima e anche dopo – in modo velato – dopo la guerra.
Non entra nel panteon maledetto della destra novecentesca, accanto alla triade Céline-Pound-Hamsun, perché abiurò, si riscrisse in parte, e comunque non lasciò tracce. E non fu antisemita: in nessuno suo scritto pubblicato si rintraccia nessun accenno deprecativo, neanche per modo di dire, all’ebraismo (ma anche Hamsun ne fu esente). I suoi corrispondenti degli anni del fascismo in Italia ne hanno occultato le tracce. Riscrisse “Denaro di sogno” nel 1959 come “racconto semirealista, semisimbolico di un attentato antifascista a Roma nell’anno XI (1933) della dittatura”. Ma  la prima versione, pubblicata nel 1934, e modellata – sicuramente il personaggio di Marcella - su persone che aveva frequentato a Roma, non era antimussoliniana. I personaggi che la moneta scambiata collegavano a un progetto di attentato erano inquieti e non militanti.
A Mathieu Galey, “Gli occhi aperti”, 1980, affermerà che i personaggi del racconto appartenevano a un “ambiente di militanti antifascisti, e mi comunicavano l’eccitazione e l’emozione del momento”. E che lei stessa aveva “una visione molto lucida dell’Italia”. Anzi, aggiunge, “il fascismo mi pareva grottesco”.Da subito, fin dalla marcia su Roma, cui le era capitato di assistere a Milano e Verona, in viaggio con il padre. Ma aveva nell’occasione deciso di stabilirsi in Italia. E il “Denaro di sogno” ha riscritto nel 1959, in senso politico contrario a quello del 1934, ha testimoniato il suo editore di allora André Fraigneau, di un antifascismo confuso e un po’ vuoto.
Ancora nell’estate del 1938 a Capri, separata provvisoriamente da Grace Frick, Yourcenar scrisse in poco più di un mese “Colpo di grazia”, una storia di turbamenti sentimentali - di omosessualità represse - ma in una quadro politico preciso. I protagonisti, Eric von Lhomond, Conrad de Reval e Sophie de Reval, fratello e sorella, sono partigiani anti-bolscevichi, Freikorp tedeschi contro l’invasione bolscevica del Baltico. La giustezza della loro causa politica è la tela di fondo della giustezza delle loro passioni amorose, anche se, agli occhi di allora, “devianti” - Sophie è innamorata di Eric, il quale però ama Conrad.

letterautore@antiit.eu

Alla ricerca dell’estasi

La prima di una lunga serie di celebrazioni francesi, con Nerval, Nodier, Baudelaire et al.. Sulla traccia di De Quincey, con l’hashish comprendendo anche l’oppio, ma più in chiave quasi positivistica, della sperimentazione. Particolarmente fredde queste di Gautier, ultime esperienze con i vecchi compagni di bohème. Abbastanza da poterle rivivere e trascrivere personalmente, senza l’aiuto del testimone esterno, come farà l’ancora più freddo Benjamin. La “tradizione” sarà infatti ripresa, via Parigi, da Walter Benjamin, Ernst Jünger e altri uomini tedeschi meno illustri. Per diventare infine promozionale, negli anni 1960 negli Usa, di una paraindustria, nell’ambito della cultura hippie dei fiori.   
Le droghe non fanno poesia. Di uso non eccezionale prima, diventano quasi obbligate dopo De Quincey e nella monarchia orleanista a Parigi, ma a nessun effetto creativo. Se ne ricavano immagini bizzarre e colori vivaci – oggi di produzione industriale: traslucidi, fosforescenti. Gautier ne riferisce come di una stranezza quasi metafisica. Che l’uomo abbia bisogno di alcol o, nei paesi orientali dove l’alcol è proibito dalla religione, delle droghe, per una sorta di bisogno di estasi: “Il desiderio dell’ideale è così forte nell’uomo da  fargli cercare di allentare … i legami che tengono l’anima unita al corpo; e siccome l’estasi non è alla portata di tutte le nature…”.
Si somministrava l’hashish all’epoca – come ancora per Benjamin – in forma commestibile: le foglie venivano cotte “con burro, pistacchi, mandorle e miele, in modo da formare una specie di confettura abbastanza somigliante alla marmellata di albicocche”.  
Théophile Gautier, Hashish, Il Sole 24 Ore, pp. 78 € 0,50

domenica 6 marzo 2016

Problemi di base - 267

spock

L’anticapitalismo è di destra?

E il capitalismo di sinistra?

“Non è buona cosa a fin di bene far male; ma per fin di male far bene è ancora peggio” (Manzoni)?

Non è meglio un buon ladro e un buon assassino che uno cattivo – anche il boia, non è meglio del mestiere?

Tra il giusto e l’ingiusto la via di mezzo è salomonica?

Salomone era, anche lui, per il Grande Centro?

Ma la via di mezzo unisce, oppure spacca – che avrebbe fatto Salomone?

spock@antiit.eu 

Yourcenar libertina, di corpo e di spirito

Un vita di amori. Di ogni età e tipo, di coetanei, anziani, giovanetti, uomini, gay, donne, fino ai cinquant’anni. Poi in coniugio con Grace Frick, non bella e con tutti i suoi trent’anni, a Petite Plaisance nel Maine dopo una prova di convivenza a Capri. Grace accudirà in una lunga agonia, ma non senza nuove infatuazioni per accompagnatori giovani, etero e gay. E una distinta passione per la legge e l’ordine, se non per il fascismo – che non l’ascrive alla destra solo perché qualcosa riscrisse, e molto cancellò e abiurò.
La vieille dame accademica, la prima donna nell’augusto consesso, era una libertina. In senso proprio, amoroso cioè e politico. Ma personale, avendo anche connaturata una distinta propensione per l’ordine costituito, in ogni epoca.
È per questo che la sua vita non si riscrive? E neppure si riesamina l’opera? Joysane Savigneau, che ci ha provato nel 1990 e Oreste Del Buono volle tradurre, ci ha trovato tante di quelle evidenze, pur facendo uno scavo superficiale, che non si potrebbe più non tenerne conto anche in sede critica. Soprattutto per una scrittrice che, a parte le memorie familiari, ha narrazioni tutte molto politiche..
Josyane Savigneau, Marguerite Yourcenar