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giovedì 22 novembre 2007

Niente P 2 - ma la Rai resta pubblica

All’apparenza lo schema è quello di trent’anni fa: al momento in cui si delinea una convergenza di centro-sinistra insorge lo scandalo. Uno qualsiasi: allora la massoneria, oggi le conversazioni tra funzionari tv. Ma la situazione è diversa, e natura diversa hanno i suoi soggetti – dello scoop incluso, che trae origine da Crespi, un bancarottiere, e un giornalismo anch’esso stantio. Non c’è la forza d’attacco dirompente di allora: un Partito granitico, ancora il maggiore d’Italia, mezza magistratura, un giornalismo convinto, per quanto ugualmente bovino.
Non si è brindato nei tre gruppi ex Dc che la rottura della tenaglia Veltroni-Berlusconi avrebbe dovuto esaltare: è gente navigata in politica, pensa più in là. A differenza che nel 1979, questo Preambolo, del governo dei produttori, esclude solo i comunisti, i Verdi (i Verdi di Pecoraro Scanio, non tutti), e i Di Pietro, i Dini, i Mastella, i politici dell’1 per cento in tv. Un dieci per cento del voto. Non esclude tra l’altro nessuno a destra, se Storace e la Mussolini si riconoscono nel Popolo di Berlusconi. E non ha contro la magistratura, che da segni abbondanti ha abbandonato l’osso Berlusconi.
Lo scandalo sarà rumoroso in campo tv. Senza conseguenze però per Mediaset – i tre partiti ex Dc sono pensosi perché sanno che se il politico B. vince per le tv è perché le tv dà gratuite, ha vinto su questo dei referendum popolari. I giornalisti Rai si serviranno dello scandalo – e su questo si ricompatteranno, l’odiato Vespa compreso – per allontanare ancora di un’altra legislatura lo spettro della privatizzazione: se l’azienda va male è perché c’era l’inciucio. L’argomento sarà irresistibile, ancorché l’inciucio si confini qui a telefonate tra ex colleghi, uno dei quali peraltro le trascriveva quasi giornalmente sul “Foglio”: nessuno in realtà vuole sciogliere la Rai, benché costosa e nefasta (ma anche su questo bisogna intendersi: con i suoi quasi duemila giornalisti la Rai tiene a galla l’Inpgi, cioè le pensioni dei giornalisti).

Dieci anni fa si telefonavano i giornali

Le telefonate tra capi-struttura erano anticipate negli anni Novanta dai grandi giornali. I due estratti (da Giuseppe Leuzzi, “Mediobanca Editore”, Edizioni Seam, pp. 143-145, e 209) ne danno significativo spaccato.

C’è molto fluff nei giornali, ne sono sopraffatti perfino i grandi quotidiani d’opinione. I redattori che il 2 aprile 1996 hanno bocciato il “Corriere della sera” di Paolo Mieli si riferivano al loro giornale come a un “giornale in minigonna”. Più spesso che no si ha l'impressione di leggere Benedetto Marcello e il suo “Theatro alla moda”, al capitolo La Rifa, “o sia un metodo sicuro per ben comprendere l’OPERE ITALIANE all’uso moderno”: “Una gran Cassa piena d'indiscretezze, Sussieghi, Pretensioni, Vanità, Risse, Invidie, Poca Stima, Maldicenze, Persecuzioni, etc.”, con dentro “un Borsone a gucchia con (ricamato di, n.d.r.) molte Vigilanze, Accuratezze, Attenzioni, Vigilie, Occhiate, Buone educazioni, Pretensioni di prima e seconda Parte, etc.”.
Ricorrente è l'accusa di “femminilizzazione” dei giornali. Nel senso che sono “leggeri come il vento”, al dire di Veltroni. O nel senso dell'”Espresso”, che nel pieno della polemica dei suoi eminenti collaboratori Bocca e Eco contro il giornalismo fluff ha pubblicato un consistente reperto di antropologia iconografica su “Il fattore C.”, con “20 pagine posteriormente corrette”, annuncia la copertina, dove C. sta per una parte dell’anatonia, prevalentemente femminile, di cui il giurì della pubblicità approva da un trentennio l'immagine ma non ancora la parola. Oppure nel senso che, molte essendo ormai le donne giornaliste, “la progressiva femminilizzazione di questa professione invece di migliorarla l'ha persino peggiorata”, nel giudizio che l'antropologa Ida Magli ha confidato a Marisa Fumagalli su “Sette”.
Ma pesa anche una greve uniformità. Per un fatto non di gusto nè di mercato, ma del monopolismo nella proprietà dei maggiori giornali, che direttamente o indirettamente fa capo a Mediobanca. Gli anni Novanta si caratterizzano tecnicamente per un giornalismo detto in gergo di “branco”, nei settori sensibili, che sono la politica, l'economia e la cronaca cittadina. Il giornale è organizzato nei dettagli dalla “struttura” - il direttore, i suoi vice e i capi-redattori - in sintonia con gli altri giornali. I giornali maggiori, “Corriere della sera”, “Repubblica”, “Stampa”, “Sole 24 Ore”, “Messaggero”, si tengono in contatto fra di loro e, all'esterno, con il “TG 1” e il “TG 5” e con appendici variamente configurate. Un canale politico, per esempio, corre tra “Repubblica” e “L'Unità”, e tra alcuni giornali moderati e “Il Sole-24 Ore”: i servizi di settore sono sempre in armonia, se non identici. I capi-redattori si tengono in contatto durante la giornata e concordano, anche se informalmente, sia il peso che l'orientamento da dare agli eventi, e perfino la “scansione”, la successione dei vari argomenti nelle pagine.
L'informale coordinamento nasce da un'ansia di completezza - evitare i “buchi” - che è in realtà una forma di autocensura: evitare una lettura dei fatti troppo difforme. A una certa ora del pomeriggio, tra le cinque e le sei, il direttore fa le scelte e i giornalisti dei settori sensibili cominciano a redigere il loro compito, sui messaggi ricevuti dalle agenzie e dalla struttura, con l'aggiunta di qualche dettaglio appreso per telefono. La differenziazione in questi settori avviene per i commenti dei collaboratori, e le coloriture e le interviste degli “addetti alla scrittura” - oltre che per le libere impostazioni dei settori non sensibili, gli esteri, la cultura e lo spettacolo, lo sport.
……………..
Il collettivo dei direttori
L'élite più sincrona e consistente degli anni Novanta è peraltro quella dei direttori di giornale, che, ha spiegato Paolo Mieli a “Prima Comunicazione”, si sono costituiti in un “collettivo intellettuale”, o “collettività di professionisti dell’informazione che ritengono di avere ruolo e responsabilità nel guidare l'opinione pubblica”. Non retori della missione del giornalista, ma “una fascia colta della borghesia che prende coscienza di essere stampa non perchè ha il tesserino della corporazione, ma perchè scopre di appartenere a un collettivo intellettuale che ha ruolo e responsabilità civili”. Di questo collettivo Mieli ha nominato Scalfari, Ezio Mauro, Alberto Statera, Giulio Anselmi, Vittorio Feltri, Enrico Mentana, Carlo Rossella. L'idea del collettivo è stata dello stesso Mieli: “Era un’ideologia che ho teorizzato prima di metterla in pratica. Ognuno portava nel collettivo un patrimonio di amici, di conoscenti, che diventava patrimonio di tutti”.

Secondi pensieri (4)

zeulig

Amore – È cieco, come il massaggiatore.

L’amava tanto da levargli il respiro.

Si addice più alla vedovanza.

Nasce troppo tardi, dopo l’adolescenza. Tra adulti che si desiderano ma non si conoscono.
Ognuno è quello che è stato, ha sedimentato ambizioni, debolezze, pregiudizi, entusiasmi che egli stesso può avere dimenticato. Ma la vita anteriore è destinata, prima o poi, in varie forme, a riemergere, per la semplice fisica della memoria, ancorché segreta, e i due adulti innamorati, ammesso cioè che ancora si desiderino, saranno l’uno vittima dell’altro.
È una recita su un palcoscenico sconosciuto. O oscuro. Intensa il più spesso, e per questo sprovveduta, senza difese. È un presente contrappuntato, contraddetto, combattuto dal non detto, un passato per lo più ignoto e per questo perverso. È il fiore sul cumulo dei rifiuti. L’acqua trasparente sul fondo melmoso.

Analista – È anale, certo.

Assenze – Sono più spesso presenze. E viceversa, alcune presenze sono assenze. Non sempre mancanze.

Berlusconi - È il dio della sinistra, il suo totem.

Democrazia – È retta dall’opinione. Cioè dall’inganno.

Dio – Più che benevolente, è casuale.
C’è nel male, è ovvio, se è ovunque. Ma sempre non si capisce a che titolo. Che ci faceva ad Aushwitz?

Con Dio bisogna stare in guardia, il Dio dei cristiani è uno che li “induce” in tentazione. Per quanto, Auschwitz che tentazione è?

Giustizia - È una luce piena d’ombre.

Marx – Se c’è qualcuno che sa, ha sempre saputo, che il mercato è incontrollabile è proprio Marx. Con più cognizione di causa di A.Smith.

Ma l’economia o l’interesse non spiega l’uomo, si sa. Nemmeno l’uomo corporale, senza anima, né l’odio, non spiega l’innamoramento e le tragedie dell’amore, il sacrificio di se stessi, la procreazione, incluso della stessa impresa economica, il piacere. Marx sa più di molti altri, ma è astratto, irrealistico. E odi produce improduttivi, degli Usa, o della perfida Albione, dei padroni, di chi possiede di più. Di cui a nessuno frega nulla.

Melodramma - È l’eccellenza italiana, l’inverosimile vero, a tinte forti.

Natura – Se c’è, quella umana compresa, è opera di Dio. L’uomo, che non sa governarla, non può averla creata.

Occidente - Forse non include abbastanza, ma è il solo mondo e la sola cultura che include

Proust – Si faceva somigliante a Ivan Bunin nella maturità, che nel 1933 avrà il Nobel per la letteratura, primo russo. Era totalmente saprofita?

Santi – Hanno vite difficili, come ognuno. E anche dopo morti: Dio, che è equanime, non può privilegiare i suoi.

Scrivere – È come una storia d’amore, non c’è nulla che non sia stato detto: la novità è la cosa stessa. È come la vita, che si vive, che si scrive.

Lo scrittore è Gesù quando dice: “Il mio regno non è di questo mondo”. L’autore non è di questo mondo: della famiglia, degli affetti, della politica, del lavoro.

Si può solo come vuole Flaubert, da Dio. Uno che sta ovunque e in nessun luogo. Che sa tutto e nulla. Ed è inutile.
Scrivere non è una storia che si scrive da sé – non c’è storia che si scrive da sé. Ma non è necessario scrivere utile.

Segreto – In Italia è dell’evidenza. Non della lettera rubata di Poe, che se ne sta inavvertita, ma proprio della lettera ricevuta, aperta e letta subito. Il segreto si fa anzi coi tamburi.

Storia – Viene da Oriente, dalla Cina alla Mesopotamia – quindi alla Persia e alla Grecia – e all’Egitto. Viene anche da Sud, dalla Nubia, dagli Inca.
Va verso Occidente.

È bugiarda, per definizione. E non necessariamente simpatica.

È un campo aperto. Guardato da uomini in gabbia.
O è un correzionale, recintato da mura e filo spinato, raccontato da uomini chiusi dentro le sbarre?

È la memoria, cioè la spina dorsale. Della società e degli individui. Quanto debole allora.

È spalare sabbia. Con gusto.

Soldati – Ritorna con la nostalgia, borghese, dell’aristocrazia. Soldati è il borghese, curioso, intraprendente, educato dai gesuiti, studioso di arte, viaggiatore giovane in America. Insofferente del plebeo – meridionali (“Fuga in Italia”), emigrato, yankee. Nei racconti e nei viaggi. Con i quali muove l’ingessato borghesuccio ai piaceri del gusto, inventore del turismo intelligente. Allo stesso modo al cinema e in letteratura: tiene aperti interni, anche morali, sostenuti e di media (borghese) passione, nell’indelebile marea neo realista. Anche somaticamente: Soldati si è “fatto” una faccia da “cielo” ignaziano.

Vita – Si può leggere come una serie di suicidi – in forma di rinunce, certo. E non a partire da un certo punto, ma quasi subito alla nascita. Si nasce con la gioia e la speranza, non c’è bambino che non voglia nascere. Poi si rinasce, ma si perdono pezzi.

zeulig@gmail.com

A Sud del Sud - l'Italia vista da sotto (8)

Giuseppe Leuzzi

L’unica rivoluzione – si fa per dire, l’unica novità – del Sud nel lungo dopoguerra sono state le polacche. Arrivate venticinque anni fa col papa, le polacche – anche qui si fa per dire, ora sono più spesso romene, ucraine, moldave, russe… – hanno introdotto nei paesi l’indipendenza di spirito e la cura del maschio.
Il maschio, padre, marito, fratello, non aveva prima rispetto: era, sotto l’ambigua figura patriarcale, bestia da soma e pezza da piedi. Era solitamente un avvinazzato, preferiva l’osteria alla casa. Le polacche hanno costretto i maschi a parlare.

Dalla criminalità ci si può difendere. Soccombere è una di cinque possibilità: ci sono i carabinieri, si può farla franca, si può fare un compromesso, e si può anche battere il nemico con le sue armi. La criminalizzazione invece toglie l’aria. All’operatore privato, che da vittima sarà sempre sospettato e accusato di correità, dal favoreggiamento all’associazione esterna e al traffico d’influenze. E all’amministratore pubblico, che per l’appalto di un gabinetto di una scuola dovrà garantire la certificazione antimafia di tutti i lavoratori dell’azienda appaltatrice – basta che un qualsiasi manovale abbia carichi pendenti per subire l’infamante accusa.

Ma si muoia per non voler pagare il pizzo. Per le forze dell’ordine non fa differenza, la mafia uccide i mafiosi. È così che si è vittime della mafia e dell’antimafia.
Si denunci un ricatto, una minaccia, una richiesta di pizzo: non verranno fatti appostamenti, controlli dei telefoni, intercettazioni ambientali, fotografie col brutto ceffo che vuole in prestito, subito, duecento euro. Dovrete prima dimostrare che siete titolare di un business, che siete sempre stato corretto, che siete un buon cittadino, se non un buon padre di famiglia (ma sono sospetti sia i figli che il celibato), e se non state tramando qualcosa in danno dell’assicurazione. Soprattutto dovete essere potente.

L’impunità è al Sud l’origine del crimine.
Molti criminali sono protetti perché sono informatori.

Sudismi/sadismi. Nel “Corriere della sera” del 20 ottobre 2004 la sentenza della Cassazione sul fallito attentato all’Addaura contro Falcone ottiene solo una breve: un “infame linciaggio”, proveniente anche da “ambienti istituzionali”, fu messo in atto contro Falcone per “delegittimarlo”. Da “imprudenti” anche e “autorevoli personaggi pubblici”, che hanno consentito ai “molteplici nemici del giudice d’inventare la tesi dell’attentato simulato”. Forse si poteva dire di più. Il processo si è fatto perché il giudice Falcone fu sospettato di essersi inventato l’attentato per farsi pubblicità. Dal Pci, dai giudici Domenico Sica, capo dell’antimafia, e Franceso Misiani, allora del Pci, e dal colonnello dei carabinieri, poi generale, Mario Mori.

Dall’Addaura Falcone emerge isolato, e questo significa che si può colpirlo. L’isolamento è confermato dai fatti reali, dalle informazioni buonissime di cui Riina dispone su Falcone, che gli consentono l’attentato logisticamente così complesso e riuscito. La reazione confusa all’assassinio Falcone conferma ulteriormente Riina: colpire Borsellino. L’attenzione è stata spostata dal grande processo di mafia alla politica. È solo dopo alcuni anni, dopo l’arresto e le prime condanne, che Riina accusa “i comunisti” – lasciato libero di farlo dai giudici di Reggio Calabria.

La prima segnalazione che un attentato si preparava contro di lui Falcone l’aveva avuta dal giudice Favi, ora procuratore generale facente funzioni a Catanzaro, quello che ha avocato l’inchiesta di De Magistris. Su indicazione di un detenuto. Allora sostituto a Siracusa, Favi aveva combinato un incontro in segreto con Falcone a Caltanissetta.

“Che l’attentato alla verità sia un ingranaggio, che ogni menzogna ne trascini con sé, quasi necessariamente, molte altre, chiamate a darsi, almeno in apparenza, scambievole appoggio, l’esperienza della vita lo insegna e quella della storia lo conferma”, Marc Bloch l’ha già scritto al cap. terzo dell’“Apologia della storia”: “Ecco perché tanti celebri falsi si presentano a grappoli… La frode, per sua natura, genera la frode”.
Non è facile, “inventare presuppone uno sforzo dal quale rifugge la pigrizia mentale comune alla maggioranza degli uomini”. E allora ecco l’invenzione opportunista: l’interpolazione, la connessione, il ricamo.

Si fanno convegni su Pintacuda a due anni dalla morte. A fin di bene? La legge dei sospetti al tempo della Convenzione distingueva i “semplici sospetti” dai “notoriamente sospetti”. Dove collocare Pintacuda? Sicuramente nella seconda categoria, per essere gesuita, e per l’abissale ignoranza della politica, che egli ha insegnato. Che cos’è la pandemocrazia? Nell’ipotesi buona è una tautologia (nell’ipotesi realistica è il casino). Ai tempi dell’adolescenza l’educazione dei gesuiti si distingueva per insegnare la scherma invece del pallone. Con la maschera.

La criminalizzazione del Sud è opera dei meridionali.
Non ci sono più nemici dei siciliani dei siciliani stessi, Sciascia compreso. Pirandello, invece, con la sua Bildung internazionale, restò intimamente legato alla Sicilia ma evitò le sudditanze politiche ed editoriali verso i “politicamente corretti” del tempo.
I napoletani sono tanto compiacenti con se stessi quanto feroci con gli altri meridionali, al Sud e al Nord.

I film americani del Sud sono un filone marginale, uno o due film l’anno, ma persistente. Fuori dalla noia, urbana e protestante, del demonio in noi, e negli altri. Con tempi lenti, personaggi buoni e cattivi, belli e brutti, e storie di vita ordinaria. Si fanno per l’aria? Per la latinità perseverante, nella religione e nelle lingue? Per la promiscuità? Sono storie, tempie luoghi, passioni, più vere.

Petrarca consiglia a un giovane corrispondente (“Lettere Familiari”, XVIII, 2): per imparare il greco non andare a Costantinopoli ma in Calabria.

Il Mediterraneo è nell’imprinting anche di chi non c’è mai stato, perché la Bibbia ci gira attorno.

martedì 20 novembre 2007

B. al centro, fiutando il Preambolo

Berlusconi non improvvisa, si sa. E qualcosa del suo nuovo Popolo della Libertà è già chiaro:
1)E’ caduta la preclusione anti-berlusconiana, che ha cementato per quindici anni la sinistra (i magistrati lo sanno già da qualche mese).
2)Il nuovo partito è la via più indolore per rompere la coalizione di centro-destra.
3)Come il Partito democratico, quello di Berlusconi si forma nella logica del proporzionale: le coalizioni preelettorali vanno dissolte.
4)Il proporzionale, per quanto con premio di maggioranza, riapre le coalizioni postelettorali.
5)Dopo le elezioni la maggioranza che farà la riforma elettorale non sarà possibile (ne fa parte Rifondazione), ma quasi: si tagliano fuori Verdi, Di Pietro, i Comunisti e gli stessi bossiani.
6)Il popolo di Berlusconi non è più a destra della Dc di Forlani.
7)Un governo dei produttori sarà possibile per l’emergenza Italia – non è il partito dei produttori di Carlo De Benedetti, il patron del gruppo L’Espresso-Repubblica ma quasi.
8)Fini protesterà molto, e anche con durezza, ma deve stare attento a non tornare al suo 7 per cento fisiologico.
9)La Lega si manifesta assorbibile, da anni è fenomeno residuale.
10)Protesteranno i vari partiti ex Dc, la ex Margherita, Casini, Mastella, il cui potere d'interdizione il governo dei produttori addomesticherebbe. Ma non più di tanto: l'intesa sulla legge elettorale era loro richiesta.
11)Senza il suo piccolo grande centro, e con Berlusconi concorrente, Casini perderebbe anche la Sicilia, di cui si fa forza.

AZ in due, Lufthansa e Toto

È più difficile del previsto la rimonta su Alitalia per Toto e i suoi amici, Bazoli e Prodi. Rimonta su Lufthansa, che ha prospettato il progetto industriale più comprensivo, sia del comparto servizi, di cui è già socia, sia della compagnia aerea, con la sua pratica di più di un hub nazionale in Germania. Bisognerebbe sborsare molti soldi per entrambi i tronconi di Alitalia, senza nessuna capacità specifica di gestione del comparto servizi, che è più della metà degli occupati del gruppo e finora ha dato utili, contrariamente al comparto volo. Passera ha avanzato molti dubbi, e anche Bazoli tentennerebbe. L’unica carta a favore di Toto resta la pregiudiziale dell’italianità della “compagnia di bandiera”.
La proposta alternativa per uscire dall’impasse che si sta mettendo a posto è la cessione di Alitalia in due tronconi, i servizi (in sostanza la manutenzione velivoli) alla Lufthansa, e le rotte coi i velivoli a Toto: l’italianità sarebbe salva e Toto pagherebbe poco per un comparto dell’azienda che non produce che disastri. Ma resta ancora da stabilire un contatto con Lufthansa, per la quale si esplora la via politica, nella cancelleria di Angela Merkel.

La malinconia dell'editore Caproni

Che si deve fare per vivere. Nell’immaginario degli scrittori, e magari dei lettori, che sono malgrado tutto milioni, quello dell’editore è nobile mestiere, si sarebbe detto quando c’era la nobiltà: possiede l’arte della grafica, fiuta i libri buoni, e cerimonioso li sa vendere. Nella realtà è invece un mestiere aziendale, frammentato in minute incombenze, e più di ogni altro soggetto a insoddisfazione –perché più alte erano le attese. L’editore è sono un redattore, un impiegato d’azienda. Accanto al quale resiste, seppure marginale, il consulente: lo specialista di quel ramo d’azienda. Come la comunità scientifica, anche quella editoriale ha un apparto di referees, tre in genere per ogni testo, gente del mestiere qualificata che esprime un giudizio di pubblicabilità. E tuttavia mai ha, come uno s’aspetterebbe, la gioia della scoperta del talento.
Vite grigie, seppellite solitamente dai manoscritti, che nessuno legge, questa è del resto la vulgata del personaggio redattore. Che l’onesto Caproni, lettore sicuramente speciale, manifesta anch’egli in questi schede di lettura redatte quarant’anni fa per la Rizzoli. Morselli è, anche per lui, impubblicabile – e pazienza, il testo in lettura non è quello che si dice un capolavoro. Ma un ottimo Maurensig, il più interessante, a parte Sgorlon, di queste 54 schede, è “non interamente privo d’interesse” – la triplice negazione con la quale i tribunali italiano sogliono accertare la verità, che non si capisce mai cosa voglia dire. Così si scoprivano i “nuovi narratori”, o i “narratori italiani”. Morselli, anzi, è approvato, ma infine scartato perché “meridionale” – meridionale è il narrante: “L’autore non manca di un certo suo humour – rivolto spesso anche contro se stesso, contro la sua natura di meridionale, p.e.”. Il capolavoro di questi anni di scouting è Nello Saito, “

lunedì 19 novembre 2007

Ecco l'Algebris degli amici

A uno a uno i soci, più o meno surrettizi, di Algebris si sono fatti nominare. E ora, come si sapeva, nel censimento che Marigia Mangano ne ha fatto sul “Sole” domenica, sono più o meno tutti quelli che contano, a Milano e a Trieste: Unicredit, Intesa, Mps, Banca Esperia (Mediobanca, Berlusconi, Doris, Preda), il Santander, socio spagnolo di Mediobanca e Generali. La giornalista conferma anche che la questione della governance a Trieste verrà risolta per i buoni uffici di Geronzi, cioè lo conferma presidente in pectore. Non può dire qual è la funzione e lo scopo di Algebris: quel misto di affari (in Borsa, con l'insider) e di potere che fa il mercato milanese: non c’è alcuna rivoluzione in campo, c’è solo da sostituire Bernheim.

Khadra e le sirene di Khomeini

L’imperialismo occidentale è agli occhi dell’islam soprattutto dinformazione, “diabolizzazione dei musulmani” (p.260). Questo è “proprio arabo”, direbbe un occidentale dell’informazione avvertito: è cioè reazione istintiva, incapacità di analisi. La caduta arriva alla fine, ma è attesa lungo tutte le trecento pagine. Yasmina Khadra, l’ex colonnello algerino Mohammed Moulessehoul, unisce solitamente suspense, scrittura (c’è tutta Beirut, città non semplice, nelle prima cinque righe di queste “Sirene”) e un’ambientazione durevole. Pur lavorando sull’attualità. Sa cioè cosa sta succedendo. A Bagdad sembra essersi smarrito: della trilogia mediorientale, “Le rondini di Kabul”, con racconti-nel-racconto terrificanti, e il riuscitissimo “L’attentato”, sulla Palestina, “Le sirene di Bagdad” vira all’apologo, di trama inconsistente e caratteri solo a tratti sbalzati, salvandosi nell’anti-bushismo. Di maniera. Di maniera francese, cioè superficiale, mentre il bushismo ha argomenti solidi e andrebbe altrimenti contestato. Detto della lettura, vale la pena d’intrattenersi con l’autore, che ha doppia cultura e non la rinnega, occidentale e islamica, sugli argomenti. Che poi è uno solo: che ce ne facciamo di questo Occidente? Ecco, l’argomento è mal posto, l’Occidente sembra sulla difensiva ma non lo è, compresi i geremianti europei. A p. 286: “L’Occidente è fuori strada. L’Occidente è sorpassato dagli eventi. La partita si gioca tra le élites musulmane”. La verità c’è tutta. Ma è una falsa impressione, il discorso si conclude con “l’Occidente non è moderno” e “l’Occidente è divenuto senile, bisogna eutanasiarlo”. Corna. Nella globalizzazione l’islam è rimasto molto più indietro di quanto già non fosse, dietro il grande resto dell’Asia e la stessa America Latina del populismo marcio, attardato dal subdolo radicalismo acceso da Khomeini. La verità di questo rabbia è che ha origini dubbie: nel nazionalismo iraniano, sebbene ammantato della sharià, e nell’uso che gli Stati Uniti e i loro alleati mediorientali ne hanno fatto in funzione anticomunista in Pakistan e in Afghanistan. L’islam radicale è mediorientale. E resta intrappolato nelle mine mediorientali: i palestinesi e l’iranismo, il disegno neo imperiale dell’Iran, che dallo scià a Khomeini non è cambiato di una virgola. Uno del Maghreb trova nel Mashrek tutto ciò che si è lasciato dietro, o almeno spera, da un paio di generazioni: la tribù, che può essere nefasta, il sospetto, la durezza (in società, in famiglia, al potere), la corruzione dello spirito, l’isolamento, il provincialismo revanscista, di chi guarda il mondo dal basso. Sulla diabolizzazione dei musulmani nessuno può competere coi musulmani, da Al Jazira in giù, anche quando non si occupano dell’Occidente. Mentre se l’Occidente sfrutta i musulmani non è certo attraverso l’informazione. Il problema dell’Occidente è che, forse non include abbastanza, ma è il solo mondo e la sola cultura che include. 
Yasmina Khadra, “Le sirene di Bagdad”, Mondadori, pp.278, € 15,50

Al macero la Resistenza a Roma

Va al macero Peter Tompkins, "Dalle carte segrete del Duce" (si può comprare al Remainders) e “Una spia a Roma” (si può compare nei supermercati a tre per uno), sulla guerra di liberazione della capitale nel 1944. Libro questo per molti motivi importante. Non ultimo perché fa “vedere” come e perché gli Stati Uniti perdano le guerre, malgrado la supremazia di mezzi e uomini, quando sono costretti a scendere dall’aereo e occupare un paese. Com’è difficile battersi contro l’occupante, e non tanto per colpa sua. E com’è (ancora) difficile stabilire che la guerra di liberazione non la fecero soltanto i comunisti: il libro di Tompkins, che più che di sé parla di Franco Malfatti e di Giuliano Vassalli, due leader socialisti della Resistenza, del montezemoliano Maurizio Giglio, e di Giustizia e Libertà, va rapidamente al macero dopo avere aspettato quarant’anni una traduzione, dal 1962 al 2002.
Tompkins fu l’uomo dei servizi americani d’informazione a Roma dopo lo sbarco ad Anzio, quando la liberazione della capitale sembrava e avrebbe potuto essere imminente. Fu inviato da Villiam Donovan, un avvocato amico di Franklin Delano Roosevelt, che poi sarà il procuratore speciale di Norimberga, allora a capo dell’Oss. Un comando militare incompetente procurò temporeggiando tanti lutti innecessari a Roma, spiega Tompkins. Servito da “colonnelli al comando dell’Oss che di spionaggio capivano poco o nulla, che non parlavano l’italiano, che non conoscevano l’Italia, e non distinguevano un fascista da un antifascista”. L’Oss diventerà poco dopo la Cia. Era impensabile, Tompkins scriverà dopo la guerra allo storico Donald Downes, “che da parte nostra si potesse fare tanto per rendere difficile la vittoria!”
Questo probabilmente è un buon segno: gli Stati Uniti, malgrado ultimamente siano sempre in guerra (sembrano ormai in un qualche episodio di “Guerre stellari”), non sono una nazione militarista. Negli Usa ci sono i militari e ci sono i politici, e non fanno piani comuni, non c’è un piano Usa per governare il mondo. Ma è anche un segno cattivo: per gli Stati Uniti forse no, altrimenti rimedierebbero, per i paesi a cui infliggono le loro guerre di liberazione sì, poiché li costringono al macello. Prendendo di preferenza a collaboratori, ora come allora, i peggiori arnesi dei regimi che combattono: a Roma informatori, confidenti e fascisti di preferenza agli uomini della Resistenza, per quanto questi fossero infinitamente meglio informati, finendo infiltrati in ogni azione, anche minima. Donovan si era intanto dimesso dall’Oss per non appoggiare la svolta di Salerno, il sostegno al re e a Badoglio. Lo storico Downes, predecessore di Donovan a capo dell’Oss, si era dimesso in aperta polemica con la politica di fiancheggiamento dei badogliani invece che delle forze democratiche della Resistenza.
“Una spia a Roma” si legge come libro della vita quotidiana nel 1944: la capitale “passeggiata” dai tedeschi, in varie fogge e con vari mezzi, da camicie nere, e da ragazze e signore magari fasciste ma non mai talebane. Come testimonianza storica è il resoconto di un lungo, lento, sanguinoso tradimento. Tompkins, un americano mezzo italiano, morto a settembre 2006 di 87 anni, era rimasto legato alla Resistenza, e presenziava ogni anno alle celebrazioni del 25 aprile a Roma.
Peter Tompkins, Una spia a Roma, pp. 384, Auchan e Remainders, tre libri Saggiatore per €9,80

A Perugia il giornalismo del già detto

Si affollano – pare – gli italiani curiosi attorno ai delitti del giorno e cosa ne leggono? Niente? La rimasticatura in cinque-sei pezzi nel loro giornale preferito di quello che hanno sentito alle radio o nei tg, che è quello che ha scritto l’Ansa. Una ricerca trovò vent’anni fa che gli spazi e le notizie dei giornali erano all’80 per cento riscritture dell’Ansa: erano rielaborazioni, tagliate al più secondo le diverse ottiche politiche, dei dispacci dell’agenzia nazionale di stampa. La quale sarà eccellente ma è istituzionale, deve uniformarsi a quello che dicono gli inquirenti, anche se in segreto (all’Ansa!). Il massimo dell’informazione è far parlare i vicini, i concittadini, il sindaco, il parroco, i quali hanno tutti imparato ormai le frasi di circostanza dietro cui cautelarsi.
Il massimo dell’informazione è in Italia la ripetizione. Nei vasti tg e nelle centinaia di notiziari radio, nei giornaloni, nei talk-show, chili e chili di ruminazioni. È un giornalismo bovino. L’unica cosa che si è potuto leggere di Perugina, dramma ben italiano, viene dal “Daily Mail”, giornale inglese, che ha ricostruito la personalità interessantissima di Amanda. Aspettiamo ora un giornale congolese. Anche in Italia qualcosa si sa, gli italiani sono chiacchieroni. Ma che Amanda abbia fatto l’amore in treno con uno sconosciuto è inciso di un rigo, e uno si ritrova a dirsi: ma sarà vero?
Pensare a quanti soldi sono profusi per riscrivere l’Ansa. Anche l’inviato in zona di guerra viene infatti tenuto con le redini strette all’Ansa, o all’agenzia Italia, che ripubblicano la Reuter, l’Ap, l’Afp, l’Ansa francese, e le altre Anse mondiali. Il poveretto più che altro sta chiuso in albergo a rispondere alla redazione, con qualche scarso notiziario tv in lingua inglese, e sperando che lo stringer, il collaboratore locale, gli porti qualche notizia golosa. C’è sempre qualcuno in redazione che obbliga il povero inviato, anche alle tre di notte, quando a Beirut o a Bagdad tutti dormono, a riscontrare quello che ha detto la Reuter, l’Ap, l’Afp.
È anche giusto che lo stringer non prevalga sulla Reuter e l’Ap, gli islamici hanno la taqiyah nella legge, la dissimulazione. Ma ci sono limiti. Il Medio Oriente è apprezzato, oltre che per il cambio nero rispetto a quello ufficiale, perché è due o tre ore in anticipo su Rima. Per cui l’inviato, combinando il fuso con l’abitudine italiana di non avviare il lavoro prima delle 13, può godersi una mezza giornata libera. In cui, quando non si fa rapire, può sentire, vedere, fiutare. Ma non mai scrivere: scrivere deve sulla traccia delle Anse.

Le correnti bloccano i congressini Pd

È presto svanito, se mai c’è mai stato, l’effetto Vetroni sul Pd. I congressi regionali del Pd registrano una durezza senza precedenti tra correnti locali, soprattutto nel Lazio, a opera dei priodiani, e in Toscana, a opera degli ex compagni. L’irenismo di Veltroni, con Auschwitz, l’Africa, le feste, non basta più: se ne comincia anzi a contestare la leadership, perfino tra i media, di cui per un quinquennio è stato l’ispiratore. Il ticket con Prodi, o duplice accoppiata, è sempre vincente: Veltroni a Palazzo Chigi, Prodi al Quirinale. Ma i prodiani – di varia natura: di Marini, della Bindi, di Parisi, di Loiero - gli stanno facendo vedere i sorci verdi. Senza perdere di vista D’Alema e Fassino, due potentati che Veltroni ha sempre più difficoltà a spiantare