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sabato 23 gennaio 2016

Fisco, appalti, abusi (82)

La Lega Coop privilegia la forniture dirette, da parte dei produttori, a scapito della intermediazione dei grossisti. Per ragioni di risparmio, di controllo di qualità, e di valorizzazione della produzione, da sempre jugulata dagli intermediari. Tute ragioni ineccepibili. Milena Gabanelli, cioè la Rai-Corriere della sera, difende i grossisti, chiamandoli “fornitori”.

“Milano Finanza “ vuole l’affondamento di alcune banche in Borsa propedeutico all’acquisto-incorporazione delle stesse da parte di banche più forti. Senza arguire il complotto, è quello che sta accadendo: le banche sotto tiro, che erano in difficoltà, ora sono in bonis, ma per questo vanno scalate e quindi svalutate.

La verità del mercato è la legge del più forte, la finanza non fa eccezione. Anche soltanto sotto forma di darwinismo, della sopravvivenza del più adatto: un meccanismo vitale. Ma il mercato è presentato e garantito come il luogo privilegiato del risparmio, mentre ne è il decimatore.

Autorità sono state costituite e operano, a un costo, a protezione del risparmio: la Consob, l’Antitrust, e nel caso delle banche la Banca d’Italia. Che operano però non per prevenire i guasti, né tempestivamente quando si producono, a difesa del risparmiatore, ma a giochi di Borsa fatti, in forma di giudizio, con più gradi di appello, e senza sanzioni al malaffare, se non ridicole e tardive. .

Il titolo Enel, il più diffuso in Italia, con circa due milioni di sottoscrittori, è stato sempre al di sotto della parità dal giorno della quotazione nel 1999. Perché si presenta la Borsa come un investimento? 

Secondi pensieri - 248

zeulig

Europa – Ama definirsi. Da qualche tempo con insistenza. Ma allo specchio: definirsi con se stessa. Non comparatisticamente. Dicendosi razionalmente razionalista. E individualmente individualista. Tra Ulisse e Prometeo, con un po’ di Cartesio e Bacone. Ma razionale, razionalissima qualche anno e qualche metro avanti a noi, non p la Cina? E più avventuroso dei mongol e Gengis Khan, tutt il corredo al seguito, oggi una patria domani l’altra?
È una smania definitoria (classificatoria) come di qualcuno cui sfugga la sostanza della cosa, che tenta di afferrarla, si tormenta. 

Ama definirsi da qualche tempo fuori dal paradigma cristiano. Che è invece la sua novità – in fondo Europa è “Belvedere”, quello che avranno pensato o detto gli asiatici approdando dalle steppe al Mediterraneo e vedendola verde, ombreggiata, sinuosa. La novità essendo l’uguaglianza. È questo che vuole dire essere tutti figli di Dio. Atro che la classe. Non c’è altro fondamento per l’uguaglianza, più solido, ineludibile.

Fine – Nozione biblica (c’è stato un principio, ci sarà una fine), come si sa, ma di un ebraismo, se si può dire, laico (incredulo): la fine della storia (Marx), dell’inconscio (Freud), della creatività (Schönberg). È anche nozione cristiana? No, la Bibbia viene rivoluzionata dalla morte-resurrezione. Con un giudizio universale ma non la fine dei tempi.

Genere – È sfinito nel multi gender. E dopo vanto arguire si può provare a risalire ad altro fondamento – in via ipotetica beninteso:
1) Ci sono ruoli anche nel multi gender, che revient au même: uno “maschile” e uno “femminile”, diciamo in breve uomo e donna.
2) Le donne NON sono uguali agli uomini.
3) L’uomo DEVE essere superiore: non per un diritto – che sarebbe di fatto una corvèe - ma perché lo vuole la donna: guadagnare di più, aggiustare tutto, guidare, essere buon padre, organizzare lieti eventi, feste, vacanze, serate, anche solo alla tv, essere cavaliere, manager, artista, atleta,  consigliere, saggio. Guai a adagiarsi nella parità, le diventa una furia.
4) Il corteggiamento è necessario oltre che gradito – anche in forma di civetteria, beninteso: la generosità non fa mai male.
5) L’assalto al cielo maschile era per appropriarsene gli strumenti – rubare il maschio all’anagrafe: i ruoli restano distinti, e sono sempre due. 

Linguaggio – È l’inconscio. Nell’innatismo, quello di Platone e gli altri greci, di sant’Agostino, e di Cartesio, Leibniz, Kant. O di Chomsky e della Grammatica Universale. Nella discontinuità – una mutazione genica che fa affiorare il linguaggio – compresa l’“ipotesi catastrofica”, fra un protolinguaggio e il linguaggio (con la scomparsa dei dinosauri?). E in tutte le escogitazioni che si fanno per distinguersi (celebrarsi): il linguaggio dimidiato di Darwin, mezzo artigianato e mezzo istinto; il legame simbolico o cifrato del clan (il linguaggio come “cifra” esclusiva, non male, un parola d’ordine invece che un mezzo di comunicazione); il grooming, perché no, la spulciatura: a furia di pulirsi i peli, si finisce per fare amicizia… (grugnire, pettegolare, sghignazzare…); o la vecchia teoria di Condillac, che già gli ominidi ebbero modo e necessità di dirsi qualcosa, magari a gesti, tra essi i suoni. È l’inconscio in senso proprio, psicoanalitico, in tutte le forme in cui la psicoanalisi lo elabora.

Modernizzazione – È - opera in forma di - una emigrazione. Senza la conquista, anzi assoggettandosi. È in questa forma che essa con costanza viene rigettata nella storia. Da circa mezzo secolo dal mondo islamico: dall’Iran khomeinista dapprima (la Colpa dello scià fu la modernizzazione forzata) alla Turchia di Erdogan oggi, che cavalca il rifiuto, e all’insorgenza islamista radicale. Mentre sopravvivono, nello stesso mondo, le monarchie. Che pure sarebbero contrarie alla sharià, ma le si adattano: alawita o sheriffiana in Marocco, hascemita in Giordania, saidiana nell’Oman, saudita in Arabia, e i tanti principati della stessa penisola, dal Kuwait a Umm al-Qaywayn.

Ulisse-Odisseo – Si confondono a torto: il prototipo dell’Occidentale è freddo (raziocinante) ma anche viaggiatore, nell’ignoto. È ambivalente, furbo e intrepido. Ulisse è altro da Odisseo. Quello di Dante, che viaggia nellignoto, è in realtà Odisseo. Avventuroso, in definitiva poco furbo: la scommessa vince in lui sulla cautela. Perlomeno oggi, Odisseo è più popolare di Ulisse.
È la preminenza di Odisseo spia della decadenza dell’Europa? Dello svago e la buona volontà sull’acutezza d’ingegno.

zeulig@antiit.eu 

Il giallo anestetico

Continua a macinare ascolti “Don Matteo” vecchio di dieci anni. Alla quarta puntata giovedì più della prima, con un terzo della audience. Per storie melense: il colpevole non è cattivo, e anzi è una vittima. Terence Hill? Ha solo due espressioni: ammiccante, paterno. Belèn? Anche lei ne ha due: invitante, preoccupata. Ha anche le gambe, ma è comparsa solo la prima volta. L’Umbria si vede poco, e di Spoleto poche vedute, le stesse rimontate. Frassica è meglio: fa tutto, in questa puntata anche il dramma. Ma non basta per due ore abbondanti. Forse è la rassicurazione, come di un anestetico, una melatonina naturale.  
Don Matteo

venerdì 22 gennaio 2016

Il diritto e il torto di Banca Etruria

Non c’è opposizione e quindi non c’è delitto, ma quante illegalità si accumulano nel pasticcio Banca Etruria. Un qualsiasi altro governo, anche l’inattaccabile presidenza americana, ne sarebbe stato travolto.
Si è proceduto a un’inchiesta penale sul dissesto solo dopo la presentazione un mese e mezzo fa di un esposto di un’associazione di consumatori, il Codacons. Sembra inaudito, ma è così.
Si è disposto il rimborso selettivo (arbitrale) dei risparmiatori in modo incostituzionale e quindi illegale. Senza che nessuna istituzione, la Consulta e il Capo dello Stato, che interina le leggi, abbia manifestato alcuna riserva. 
I cento milioni per i risarcimenti votati dal governo copriranno solo una piccola parte degli aventi diritto. E gli altri? 
E con che criteri saranno decisi gli arbitrati? A favore dei “più poveri”? Non si può. 
E le migliaia di cause degli esclusi dall’arbitrato? Che a questo punto potranno indirizzarsi contro il governo e non più contro le banche ormai fallite. 

Il fronte Merkel si incrina

Si è smarcato Djisselbloem, si è smarcato Draghi, il suo vertice alla Commissione di Bruxelles è indigesto ai più, e all’improvviso sembra che Angela Merkel sia rimasta sola. Mentre viene contestata, in patria e fuori, sull’immigrazione. Reagisce stamani facendo occupare le posizioni flessibili alla sua Elke Koenig, che ha inviato a Bruxelles a dirigere il neonato Consiglio di risoluzione delle banche, dopo averla nominata alla Consob tedesca. Ma ha perso una battuta: il suo ferreo fronte si è incrinato e si smarca.
Il motivo è plurimo. L’Europa è sempre più sola ad annaspare nella deflazione (disoccupazione, crisi), mentre il resto del mondo ne è ormai fuori, da tempo. Ma questo non è una novità. Una novità è che l’Italia non è più sola a confrontarsi col fantasma Grecia: la Francia annaspa, e la Spagna, fedele gregario, dubita. La presa di distanza di Dijsselbloem rientra probabilmente nel tentativo dei socialisti europei di uscire dall’angolo cui Merkel li ha confinati. L’esito delle consultazioni post-elettorali in Spagna, dove Rajoy, pilastro del merkelismo, dovrà passare la mano alla sinistra, potrebbe rafforzare i rigurgiti progressisti di autonomia.  
Anche fuori dell’Alleanza Progressista questa Europa non piace. Per i tanti motivi di crisi, che si aprono e non si chiudono mai (questo sito ne enumerava ieri ben otto, gravi). E perché è evidente a tutti che l’austerità a senso unico danneggia tutti: minacciando per esempio in continuazione l’Italia, come fanno il ministro delle Finanze Schaüble e gli economisti della cancelliera, rischia perfino la Germania.  Non c’è più Nord contro Sud, o la stolida propaganda antimediterranea, antilatina che domina nella Germana di Angela Merkel: ora hanno paura tutti, anche i devotissimi finlandesi e lussemburghesi,  gli olandesi, gli austriaci, perfino i baltici.

Frana Selmayr

Angela Merkel dovrà privarsi di Martin Selmayr, suo uomo di fiducia alle costole di Juncker, il rubizzo lussemburghese che presiede la Commissione, e vero presidente della Commissione stessa. Potrebbe essere l’inizio di una frana: Selmayr è l’anima di una burocrazia comunitaria tanto abile quanto orientata – a favore della sua Germania. Con sottigliezza e con rudezza – le ultime mosse antitaliane.
Il modo di lavorare di Selmayr è spregiudicato. Ma il capo di gabinetto di Juncker non è il solo a gestire posizioni delicate nell’interesse nazionale. Con competenza a applicazione – a differenza, per esempio, dei direttori generali e capi di gabinetto italiani. Ma anche con arroganza.
L’insofferenza nei loro confronti non è del resto di oggi, quando la crisi persistente e le tante competenze dell’Unione rendono tutti più sensibili. Ne erano da tempo insofferenti i francesi. L’insoddisfazione è montata ultimamente anche nei paesi dell’Est, per l’irresolutezza sull’immigrazione e l’Ucraina.  

La stampa italiana a Bruxelles, anonima

Si scopre all’improvviso Selmayr. E solo per un passo falso, aver criticato anonimamente l’Italia qualche giorno fa, esponendosi alla ritorsione di Renzi, avviata con un’interrogazione del suo europarlamentare Nicola Dati: se “il Capo di gabinetto del Presidente della Commissione europea abbia sempre rispettato, nell’ambito delle sue funzioni, il codice interno di buona condotta amministrativa” o “non sia stata fornita o anticipata in via privilegiata e contraria all’interesse generale dell’Unione, ad alcuna cancelleria alcun tipo di informazione, formale o informale, riguardo le azioni e le decisioni assunte dalla Commissione” stessa , cioè alla Merkel. Niente di meno.
Ma non è una novità, Selmayr è ben noto. Quello anzi che manca all’interrogazione di Dati è proprio questo, il fatto più noto: perché Selmayr poteva criticare liberamente l’Italia con i corrispondenti italiani, ed avere garantito l’anonimato.   
Non è venuto fuori dal nulla l’irruento Selmayr che gestisce la Commissione europea per conto della Germania, il 2 ottobre 2014 David Carretta ne dava sul “Foglio” un ritratto più che puntuale: “Dalla designazione di Juncker in luglio”, scriveva Carretta, “Selmayr si è comportato come un «presidente ombra» della Commissione, un rullo compressore che tutto può e al quale tutto è permesso. Anche riscrivere le risposte di una commissaria in vista dell’audizione all’Europarlamento senza chiederle l’autorizzazione. Anche legare le mani a un commissario «colomba» imponendogli la tutela di un vicepresidente «falco». E, man mano che si moltiplicano decisioni e incidenti, i contorni del disegno sembrano più chiari: fare gli interessi della sua Germania”.
Esempi. Juncker doveva nominare un francese, Moscovivi, all’Economia, Selmayr l’ha “commissariato” mettendogli sopra un vice-presidente per l’euro, il lettone Valdis Dombrovskis. Lo stesso, si può aggiungere, con Mogherini, che gestisce un ricco budger: al di sopra le ha messo il fido Timmermans. Quando la commissaria al Commercio Cecilia Malmström mandò per iscritto all’Europarlamento i suoi criteri negoziali per l’area di libero scambio con gli Usa, si trovò mutato a sua insaputa un capitolo fondamentale: “I meccanismi per risolvere le dispute tra investitore e stato non saranno parte dell’accordo”. Mentre lei non era contraria, non è contraria agli arbitrati – è la Germania che è contraria. La modifica la fece Selmayr senza dirglielo.
Altri esempi dell’attivismo di Selmayr, uomo della Cdu, il partito di Angela Merkel? A poche settimane dall’incarico Carretta ne aveva trovate almeno un altro paio: “Gli interessi della Germania sono stati preservati togliendo al britannico Jonathan Hill, responsabile per i Servizi finanziari, la competenza sui bonus dei banchieri (che Merkel vuole abolire). Le case farmaceutiche tedesche sono soddisfatte che i controlli sui medicinali siano stati trasferiti dalla direzione generale “Sicurezza dei consumatori” a quella “Industria””.
Carretta prevedeva anche che Selmayr sarebbe stato vittima di se stesso: “All’iperattivo e irruento Selmayr sembra mancare una dote…. : il tatto e la mediazione sono essenziali per far funzionare 28 commissari e 28 stati membri”.
Il giornale di Ferrara prevedeva anche l’omertà che ne avrebbe circondato l’azione. Titolava infatti il ritratto di Carretta: “Il duro del’Ue che non sentirete mai nominare”.
Il guaio di questa Unione germanica è che se ne conoscono i punti deboli e anche le magagne, ma a nessun effetto. Chi vi si oppone, tipo Renzi, è declassato a folle. O, alla Tsipras, un estremista.  All’unanimità. C’è un motivo? Sì. L’informazione di Bruxelles è demandata ai giornalisti economico, e i giornalisti economici sono sudditi delle banche d’affari (investimenti, fondi, consulenze, acquisizioni, cessioni,fusioni,  il business).

La verità è nei silenzi

“Il libro risponde al libro”, un gioco di specchi. E tuttavia non si può non scrivere. Lo scrittore è come l’Ebreo – “talmudista, cabbalista”: “Tutt’e due hanno la stessa sete d’imparare, di sapere, di decrittare il loro destino inciso in ogni lettera in cui Dio si è ritirato”. Classificato come “enigmatico”, il filosofo franco-egiziano (di Alessandria) procede sempre tra poesia e aforisma: il suo “pensiero” non ha bisogno di essere precisato, vuole anzi essere libero. Si “incolla” non si anatomizza: 
“La precisione
È cancellazione.
Lui è così preciso.
Lui scompare.
Niente celare
È dissimulare un po’ di più
- e più di un po’”.
Una realtà che il poeta conosce, esperto delle pause:
“Il silenzio non è all’inizio né alla fine; è tra.
Soggiogata,
la parola diserta la parola.
Si applica a non essere.”
Un’opera diversa, non ostica. Repertoriato come poeta, mistico, rabbino (causidico), metafisico, teologo, Jabès si voleva scrittore e nulla più - né meno: “Ho sognato un’opera che non entrerebbe in nessuna categoria, che non apparterrebbe a nessun genere, ma che li conterrebbe tutti”, scrive in altra luogo:”Un’opera che si avrebbero problemi a definire, ma che si definirebbe proprio per questa mancanza di definizione”. Ma con un fondo. Con vari fondi. Per esempio da corrispondente antinichilista del nichilismo del secondo Novecento, di Celan, Pasolini, Derrida, Caillois, Lévinas, Carl Schmitt, et al.: “ Fin dove andrà la nostra disgrazia? Il niente è forgiato dalle nostre mani”.
Una consolazione da filosofo antico. Una scrittura breve, non pretenziosa. Diaristica – ma organizzata, tematicamente, cronologicamente – e in un certo senso sistematica. Del dubbio in itinere: niente da dimostrare, o da provare, molta attenzione invece all’evidenza che man mano insorge. E tuttavia durevole: i due primi “Libri dei margini” (saranno tre) che l’edizione italiana nel 1986 antologizzava, si leggono intatti. “Allora, domandare. La domanda è essere senza appartenenza, il tempo della sua formulazione; è essere senza appartenenza nell’appartenenza, senza legame nel legame”.
Edmond Jabès, Libro dei margini

giovedì 21 gennaio 2016

Le sette crisi che Juncker non vede – ora otto

Scremato dal pettegolezzo, rimane il fatto: Juncker è inadeguato. Succede di tutto, ma lui non se ne accorge. Si chiude Schengen, c’è Putin in Ucraina, c’è il terrorismo a Parigi, c’è la guerra in mezzo Medio Oriente, a milioni arrivano profughi e emigranti, e più ne arriveranno, c’è il referendum anti-Ue in Gran Bretagna, il suo protetto turco Erdogan incarcera giornalisti e universitari, e c’è sempre la crisi economica, che col rallentamento della Cina non può che peggiorare. Ma lui si occupa di pettegolare. Ora c’è pure la crisi bancaria – che la Banca centrale europea ha provocato. Otto crisi che potrebbero anche strangolare l’Europa.
Manfred Weber lo difende, ma è il capo dei Popolari, il partito che esprime Juncker. E ha scelto per difenderlo un terreno infido – una gaffe di cui molti ridono a Bruxelles. Perché non è Renzi ad alimentare il populismo, che invece potrebbe riassorbire, ma la Commissione di Juncker. La quale  agirà pure bene come lui pretende, ed è giusta e rigorosa con tutti, ma l’evidenza è contraria.
È sempre meno Grande Coalizione, almeno in parte, tra Popolari e Progressisti nel Parlamento Europeo e a Bruxelles. Il primo vice di Juncker, il socialista Frans Timmermann, è da tempo muto. Il capogruppo di Alleanza Progressista al Parlamento, Gianni Pittella, è sempre più critico. 

Aridatece la schiavitù

Il tempo è arrivato di cominciare una battaglia per reintrodurre la schiavitù: siamo servi, vogliamo essere mantenuti. Di chi non lo sappiamo, ma loro lo sanno.
È tempo di prendere atto della realtà: questa storia che ci camuffano per la libertà di tutti è di fatto una condizione di schiavitù. Di fatto cioè reale, non immaginaria. Se sessanta miliardari hanno la ricchezza di mezzo mondo, cioè di 3 miliardi 698 milioni 160 mila 187 persone in questo preciso momento, vuoi che seicento non ce l’abbiamo di quattro quinti o cinque sesti? E se anche dovessero essere seimila la cosa non cambia.
Un po’ di chiarezza l’avevano fatta loro stessi con la storia del capitale umano. Che dobbiamo metterci in gioco ogni giorno anima e corpo. Dicendoci imprenditori, imprenditori di se stessi, di fatto schiavi. Dei loro capricci. Bene, ma poiché siamo schiavi se ne prendano gli oneri. Secondo il diritto dell’ultima schiavitù, nelle Americhe, ma anche secondo il diritto romano e perfino quello greco: provvedano alla sopravvivenza. Alloggio, cibo, cure, e divieto di vendita all’estero.
È tempo di avere giustizia, un po’. Anche perché i sessanta sono i miliardari su piazza. Poi ci sono quelli, più ricchi di loro, che agiscono nell’ombra: finanzieri, speculatori, briganti online, contrabbandieri. È tempo di mettere ordine.
Incredibile non è la fiaba del mercato che ci libera. Incredibile è che ci si creda. Se la credulità è così diffusa, tanto più la schiavitù è necessaria: proteggere i poveri di spirito, dare a queste masse miliardarie un riparo.
Ne va anche dell’ambiente, che tutti siamo impegnati a salvare, dopo Parigi. Della fine del mondo. Non dell’uomo, che è surrogabile, ma della natura. Se la metà o più dell’umanità dovrà ridursi ai sotterranei della stazione Termini, la sporcizia sommergerà il mondo – del genere indifferenziata.
Non ultima, soccorre la possibilità che la riduzione in schiavitù ci eviti le guerre che ci assediano. Sarà come già consigliava Hobbes, che per ridurre i guasti della guerra bisogna rinunciare alla libertà. E dunque, se ci rinunziamo in toto la guerra dovrebbe esserci risparmiata, le teste mozzate eccetera.

Le guerre umanitarie

Dal primo gennaio 2014 al 31 ottobre 2015 i civili uccisi in Iraq sono almeno 18.802 e i feriti 36.241. A opera dell’Is, Al Qaeda e altri gruppi sunniti per lo più. La prima guerra civile nello stesso paese, tra il 2005 e il 2007, fece una media di tremila morti al mese. Tre milioni e mezzo sono gli sfollati.
Quasi trecentomila sono i morti in Siria nei quasi cinque anni di guerra civile. Quattro milioni gli sfollati, in Libano, Giordania, Turchia e in Europa.
In Libia  non si può sapere quanti son i morti perché non c’è più niente di civile dopo la guerra del 2010, nessuno che raccolga i dati.
Tutto questo è stato determinato dalle guerre umanitarie e di liberazione provocate dall’Occidente, da Stati Uniti e Europa. Che ora dicono la situazione insostenibile. Per i costi dei profughi – per i soli costi dell’accoglienza, non quelli umani, e solo di un milione di sfollati l’anno. E vorrebbero farli pagare, come già fanno la Danimarca e la Svizzera.

Ombre - 301

La scommessa è facile che il giudice sortivo Tosel darà a Sarri il massimo della squalifica, quattro mesi. Ma non per il “finocchio”, per il “democristiano”. 
O Tosel non darà a Sarri il minimo della pena, due giornate, in coppa Italia, per lo stesso motivo?

Impassibile e muto il quarto uomo mentre Sarri insulta Mancini. È l’unico arbitro impassibile di tutta la serie A, perché ce ne tacciono il nome?
È anche un ottimo uomo di spettacolo: è lui che ha dato inizio al thrilling segnalando 9 minuti di recupero (nove).

“Quarto uomo” era un film una trentina d’anni fa di Verhoeven, tacciato di omofobia. Che però era stato scritto da Gerard Reve, il primo olandese a dichiararsi omossessuale. Bisogna eliminare il quarto uomo, sarà lui che induce al litigio.

Impassibile e muto anche il presidente del Napoli De Laurentiis. Che però sa che la “cosa” tira: al cinema ci fa bei soldi.

“Fonti Ue” attaccano il governo italiano e anzi l’Italia. Si sa che queste fonti sono il capo di gabinetto di Juncker, Martin Selmayr, tedesco, ma nessun corrispondente italiano lo scrive. Omertà?
Si fa il nome di Selmayr solo oggi, e solo perché oggetto di un’interrogazione a Strasburgo dell’europarlamentare del Pd Nicola Danti.


Si fa oggi il nome di Selmayr in connessione con Danti, ma solo Lettera43, il quotidiano online, dà il dispositivo dell’interrogazione: “L’accusa è di non aver rispettato il codice di buona condotta amministrativa dei membri della Commissione. Il tedesco Selmayr «costituirebbe un canale privilegiato di informazione per le cancellerie di alcuni Stati membri, consentendo il passaggio di comunicazioni riservate». Per “cancellerie” intendendosi Berlino.

Nelle cronache da Bruxelles non si dice mai – mai, neanche per pettegolezzo – che Juncker, Rajoy, Merkel, Weber, tutti i dichiaranti, sono del partito Popolare, i democristiani d’Europa. Perché anche Renzi lo è? Ma Renzi è il segretario del partito che in Europa sfida i Popolari, l’Alleanza Progressista. O sono la stessa cosa?

Si vanta Borrelli, il giudice napoletano di Milano, che la “restrizione della libertà” al suo tempo “nella stragrande maggioranza dei casi ebbe durata estremamente contenuta”. Un paio di giorni di “restrizione” farebbero dunque piacere anche a lui?
Il carcere come “restrizione della libertà”. A suo modo, Borrelli è onesto.

In realtà Borrelli a suo tempo se ne vantò, il 3 giugno 1993 a Saint-Vincent, a un convegno pubblico stampa-giudici: “Noi incarceriamo la gente per farla parlare”. Come i preti un tempo. Oggi è pentito? È ipocrita?

Renzi si prende i servizi segreti, dopo essersi preso quasi tutto, il Sud (e il Nord), l’Europa, la guerra, eccetera. E li affida a un suo amico e paesano, specialista di tecnologie  informatiche, che fornisce ai servizi segreti. Se li prende non per sé, per spiarci, ma per palazzo Chigi, per fare un premierato al posto della vecchia presidenza del consiglio. Stravolgendo la legge e anche la costituzione. Nel silenzio dei media, della Consulta e del Quirinale.
Naturalmente non è un golpe, poiché è pacifico, anzi unanime.

Danimarca e Svizzera chiedono la dote agli immigrati. Anticipata, in conto futuri servizi. Il capitalismo avrà radici protestanti. E il protestantesimo?

Grande festa a entrata libera per  i 40 anni di “Repubblica” al Parco della musica a Roma. In realtà a inviti. Piena di ospiti , cantanti, attori, conduttori, tanti che non avevano il tempo di aprire bocca per far continuare la sfilata. Ma nemmeno una donna: “la Repubblica” ha cambiato natura, che era il giornale delle maestre di scuola?

Continuano i grandi giornali a montare due e tre pagine su Quarto, sull’abuso edilizio in via di sanatoria che sarebbe stato commesso dalla famiglia del marito della sindaca, solo perché la sindaca è 5 Stelle, ex. Senza vergogna. Si sfogliano “Repubblica”, “Corriere della sera”, “Il Mattino” con un senso di vomito.
Non c’è altro scandalo da accollare ai grillini? Questo Woodcock fantasioso è così potente?

La sindaca poi si dimette, dopo essersi battuta contro tutto e tutti, e senza nemmeno essere indagata dicendo: “Ha vinto al camorra”. Che è vero, ma non della camorra in senso proprio.  

Laurence Fink, pad di Blackrock, il più grande fondo d’investimenti, 4.500 miliardi di dollari in gestione, un quarto del debito pubblico americano, e William Gross, il creatore di Pimco, secondo o terzo grande gestore di fondi, possono annunciare oggi “altro sangue”, “tanto sangue” nelle Borse di tutto il mondo. Soddisfatti. E onorati. Dicono anche dove rifugiarsi: “Nei bond Usa”. Che loro devono vendere. È il mercato di Gengis Khan. 

Resta al Sud la menzogna, anche del folklore

Paleografia, appena quarant’anni fa: quanto è lontano il concetto di “popolare”, coi correlati folklore, civiltà contadina e simili. Materia peraltro ben fascista, prima e con più forza che comunista. Studi su una “differenza” che più non esiste, da tempo – già allora.
Lo studio del folklore non funziona se inteso come Lombardi Satriani allora proponeva, come “alternativa”, culturale e politica: canto popolare, teatro popolare, magia. Era allora tempo di rivolte al Sud, terreno per antonomasia di studio del folklore, e lo studioso stesso parte sancendo la loro ineffettualità, a Avola, Reggio, Battipaglia, Caserta, Eboli, e a Napoli per il pane. Per questo motivo: “È lo scandalo di una realtà che, nel momento in cui si tende per negare nella maniera più clamorosa il dominio e la sua logica, proprio allora riafferma le condizioni di quel dominio e di quella logica”.
La rivolta non era “alternativa”, per valori o obbiettivi diversi da quelli imperanti. Forse perché obbediva a schemi politici perenti, di destra ma anche di sinistra – Lombardi Satriani era allora tropo impegnato per vederli. Di sicuro perché si muove secondo gli schemi della sua gabbia: il linguaggio la mostra ben italianista, solo impoverita. I fallimenti lo studioso imputa alla “violenza delinquenziale fascista”, e alla subalternità secolare della “rabbia contadina”. Ma questo ha influito solo in parte: la subalternità era – è – a schemi politici e istituzionali nazionali, di cui la rabbia del Sud è prigioniera e parte. Lo stesso si può dire – si poteva quando ancora si praticava – della scienza del folklore.
Verità e menzogna Lombardi Satriani spartisce sulle orme del saggio di Fontana, “La scena”, confluito nel primo volume della “Storia d’Italia Einaudi” - “I caratteri originali”. Partendo dalla distinzione che il filosofo foucaultiano vi opera tra “discorso della verità”, istituzionale e di potere, e “discorso vero”: “Il primo”, scriveva Fontana, “ha formulato, teorizzato, imposto, per  secoli, un concetto ufficiale e normativo della verità del sapere che era, in ultima istanza, la verità del potere; il secondo ha preso su di sé, in forme ironiche, derisorie, segrete, fruste, allusive, traslate, trasgressive e infine scientifiche, a partire dal XVII secolo, la verità vera”. Lombardi Satriani propone in questa chiave il folklore “come «fantasma» del taciuto”, represso, retrocesso: “Non zona dell’ineffabile ma zona del taciuto, perché culturalmente (e quindi, anche e in maniera essenziale, politicamente)  pericoloso, eversivo dell’ordine; non zona del silenzio mistico ma del silenzio storico”.
Sul lato verità però poco più di niente rimane. La cultura – la politica? – che avrebbe dovuto alzare il velo sul “silenzio storico” è svanita senza traccia. Così come la scienza del folklore che  intratteneva. Che non poteva reggersi su un’illusione: la rivolta di una cultura contadina che essa però aborriva (di “subalternità secolare”). Le lettere degli emigrati nel mondo al loro mago di fiducia in Calabria, dei primi anni 1970, tradiscono piuttosto la potenza della volontà nella malattia, e della medicina placebo, più che la fede negli esorcismi e le fatture (capelli, formule, chiodi di bara…). La questione della magia nel Sud è tutta da rivedere. L’assunto “le classi subalterne producono un loro ordinamento giuridico, che si pone come diverso – e spesso in netta contrapposizione – rispetto al diritto «ufficiale»” non ha risposta – può averla? è assunto scivoloso, conduce alla mafia come giustizia alternativa.(la legge è una). Giusta resta la ricezione – presto rifiuto – dell’unità, e significativa, che Lombardi Satriani esemplifica con canti popolari siciliani, non reazionari.
Molto rimane sul lato menzogna – in aggiunta a questo difetto metodologico o politico. A partire dalle rivolte, naturalmente, e dal “folk revival” degli anni 1960-1970, sull’onda del successo di Dylan e Baez - che popolarizzavano le ricerche di Arlo Guthrie (nulla di analogo avvenne in Italia, malgrado le ricerche estese e pubblicate di Alan Lomax, fatte proprie a Milano da Roberto Leydi): un semplice fatto commerciale. L’assunto è peraltro contestabile dello stesso Lombardi Satriani, dell’emigrazione come “miraggio del riscatto”: lo è in ogni piega e a tutti gli effetti, coraggio, intraprendenza, forza.
Luigi Lombardi Satriani, Menzogna e verità nella cultura contadina del Sud

mercoledì 20 gennaio 2016

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (272)

Giuseppe Leuzzi

In Germania la fede nuziale si porta al’anulare destro. Con raccapriccio del mancino Günter Grass del “Club dei mancini”, che si consola col Sud: “Eppure al Sud, nei paesi cattolici, l’aureo simbolo dell’unione matrimoniale viene portato a sinistra, allo stesso modo in cui, in quelle terre baciate dal sole, è il cuore a dominare invece dell’inflessibile ragione”.
La bandiera verde degli “Unilaterali”, la setta dei mancini, perciò reca la scritta: “Il cuore batte a sinistra”.

Il “Sud” fu questione da subito, con Lamarmora prefetto di Napoli. Una storia di Giuliano Procacci che si dimentica, 1956, il suo primo lavoro, è “”Le elezioni del 1874 e l’opposizione meridionale”, editore Feltrinelli.
Procacci si era formato come storico a Napoli, all’Istituto Italiano per gli Studi Storici, allora presieduto da Federico Chabod. Napoli è un fantasma recente.

Sogno
Tavolate di giovani e meno giovani, al bar, al mare, al ristorante all’aperto, tutte sempre allegre e serene, gioiose, giocose. Qualcuno emerge come da una sdraio per commentare: “Però, sono allegri” – un “però” dal tono razzista. Sono tavolate calabresi. Impensabili, se non nel sogno?
Anch’io però nel dormiveglia me ne meraviglio, dicendomi: “Perché no, sarebbe un ottimo modo di essere, altrettanto superficiale che la luttuosità, ma più produttivo. E sicuramente benefico per se stessi”.

Sudismi\sadismi
“Santomenna, originario del Sud Italia”, così il “Corriere della sera”, la coscienza della nazione, almeno a Milano, presenta il padre e marito di due vittime degli ismalici a Ougadougou. Non un italiano, dunque, ma un suditaliano.
Il direttore del giornale essendo di Frosinone, dobbiamo considerarlo su italiano, anche lui? Luciano Fontana, un italiano del Sud.

Il giornalista principe dello stesso giornale, Gian Antonio Stella, batte la fiacca. Non fosse per la Calabria, che lo costringe a lavorare. Ben una pagina ha scritto sul presidente della Regione Calabria che si è assunto un addetto stampa di sua fiducia. E una ancora più grande, sei-sette cartelle di “piombo”, sull’Archeologico di Reggio Calabria, che nel 2015, malgrado l’Expo, ha registrato un calo dei visitatori invece che una crescita. Ma l’Expo si teneva a Reggio Calabria?
Senza contare i giorni che il museo è stato chiuso per lavori.

La rivolta
Il quarantennale è passato nel silenzio, delle rivolte del Sud nei primi anni Settanta. Con un anticipo ad Avola sul finire del pur rivoltato 1968. Battipaglia, Caserta, Eboli, Reggio Calabria, la rivolta per il pane a Napoli. Il Sud si rivoltò con armi spuntate, si vede dai linguaggi, le parole d’ordine, gli stessi obiettivi, e le motivazioni. Che erano e sono quella del “sistema” che intendeva rovesciare. “È lo scandalo di una realtà che, nel momento in cui si tende per negare nella maniera più clamorosa il dominio e la sua logica, proprio allora riafferma le condizioni di quel dominio e di quella logica”, notava l’antropologo Luigi Lombardi Satriani in “Menzogna e verità nella cultura contadina del Sud”, 1974.
Il Sud è prigioniero in tutto. Nei consumi, le letture, le opinioni, la politica. Ma soprattutto nel linguaggio: non può pensare e parlare se non in termini di “Sud”. Triste cioè, lamentoso, furbo, e anche un po’ violento, e un po’ sporchetto. Neppure nella canzone riesce a esprimersi, la specialità di Napoli, o a teatro – i comici napoletani sono per lo più milanesizzati. Forse nemmeno nei fuochi d’artificio, che del resto i suoi vescovi anatemizzano – e comunque li fanno meglio da qualche tempo fuori, specie in Cina, ma anche a Londra, magari con artificieri cinesi, quelli non si vergognano. .
La prigione è totale perché è linguistica: dai lessemi alle idee, il Sud è ridotto alla funzione del pappagallo..

Sicilia
Swinburne, in viaggio nelle Due Sicilie nel 1777, trovava i siciliani già complessati: “La gente comune in Sicilia ha una stranissima opinione di sé….I siciliani delle classi più umili sembrano convinti che gli stranieri li considerino stupidi e disonesti. Molte volte hanno iniziato il discorso con me difendendosi da sospetti che non mi avevano neppure sfiorato”.

Swinburne li vuole anche fidati: “Mi è stato assicurato che è facile ingannare per la prima volta un siciliano ma che, quando ha imparato a sue spese, diventa ben presto un maestro ripagando abbondantemente coloro che lo hanno messo nel sacco”.
Ma questo glielo hanno spiegato i siciliani.

Il fante analfabeta elenca le qualità di mele che coltiva a Randazzo, nel racconto “La posta” di Federico De Roberto, ora in “La paura”: “Le mele sane, nette, latine», occhieggianti in mezzo al fresco fogliame: le grosse teste-di-Re, verdi e rosse; le «maladeci», piccoline, rosse e bianche; le «lappione», rosse e gialle; le «cola», tutte giallognole: una «flora» – voleva dire un giardino di delizie”. Una cultura, una mentalità, un altro mondo.

Oggi il fante analfabeta avrebbe sostituito le sue mele con le pallide golden e le rosse fuji d’ordinanza? Sicuro, oggi l’analfabeta non c’è, e nemmeno il fante.

A Lampedusa e D’Arrigo, strana coppia, Walter Pedullà confida “in comune… il desiderio di essere attuali (come si scrive oggi e cosa?)” - in “Le armi del comico”, “Lampedusa e D ‘Arrigo, ovvero Morte in Sicilia” (in “Le armi del comico”). Anche se “una volta per tutte, come fanno i miti e la logica”. O non il contrario? Entrambi scrivevano al tempo del neorealismo imperante, ma è come se avessero professato: “Ah, è così? Non ci avrete mai”.  Il siciliano si vuole contestatore.

Erano altri tempi anche per il conformismo. In un altro acconto della raccolta “La paura”, De Roberto può irridere ai sacri valori del conflitto, nel 1918 – “La retata”. Alla fine, “Il rifugio” mette e improponibile confronto le regole della guerra con l’umanità dei singoli.

L’Agenzia per la riscossione della tasse è in Sicilia in rosso. Sembra impossibile, ma è la realtà dei conti. L’agente delle tesse al verde, certo è una rarità.

3.200 auto di lusso, comprese Rolls Royce e Ferrari, sequestrate in un anno dal fisco a siciliani che non pagavano le tasse. Nullatenenti cioè. Più un jet da 8 milioni intestato a una barista di Catania. Per questo l’esattoria regionale, Riscossione Sicilia, è in perdita, caso unico al mondo: di 5 miliardi e mezzo a ruolo, ne incassa mediamente ogni anno meno di mezzo milione. Per cui ha accumulato un passivo ora insostenibile, di 14 milioni, per le spese del personale, i macchinari, gli uffici. In Sicilia la realtà sempre supera l’immaginazione.

Riscossione Sicilia ha 700 dipendenti, e 887 avvocati. Ha molti immobili semivuoti, a Palermo, Catania, Siracusa Messina, Ragusa, e paga per affitti un milione l’anno. Se i soldi girano così vorticosamente tanto più è un mistero che la Sicilia non sia ricca e anzi sia povera.

Fatti fuori Falcone e Borsellino, quindi da quasi un quarto di secolo, l’antimafia a Palermo si è concentrata su Contrada, Mori, Andreotti e genericamente lo Stato. Non c’è più mafia propriamente detta a Palermo da quasi un quarto di secolo, se non l’inafferrabile Messina Denaro.  
Ciò è molto caratteristico, delle “menti soprafine” – ai siciliani piace calarsi nelle personaggi di Sciascia. Ma la Procura è stata diretta e indirizzata dal torinese Caselli e da Grasso, il presidente del Senato, oltre che dai soliti carrieristi locali. 

leuzzi@antiit.eu 

La Bibbia di Brecht

Le prime operine teatrali di Brecht, a sedici anni “La Bibbia”, e tre-quattro anni più tardi “L’oratorio”, qui ripescate, hanno forma aperta, che è il vero Brecht, per esempio del “Galileo”. Non quello apodittico e quasi propagandistico dell’impegno politico: incerto invece, plurale per programma, e anche ambiguo. Un altro dal santino che gli è stato e si è cucito addosso nella Repubblica Democratica Tedesca e ancora si pratica.
“La Bibbia” Brecht pubblicò a gennaio del 1914 su “Die Ernte”, il giornaletto ciclostilato del liceo Sant’Anna di Augusta che curava insieme con Julius Binden, i cui sei numeri praticamente riempì da solo. “L’oratorio” è di incerta datazione, Brecht non ne fa nota nelle carte, ma si presume dell’estate 1917. Brecht lo propose a  Kroder, altro allievo del Sant’Anna, nel 1919, e a Kroder disse di averlo composto dopo aver ascoltato il “Palestrina” di Hans Pfitzner a Monaco, dove l’opera fu rappresentata il 12 giugno 1917, come grande evento musicale.
“L’oratorio” è quello che Brecht disse a Kroder, come Kroder lo ricorda: “Una trasfigurazione”. Laica, nelle parole di un comune amico ai due, Hanns Otto Münsterer: “La proscrizione del genio poetico e il suo annientamento in Dio”. Un “amato Dio”-non-Dio. Anch’esso in crisi di identità. Lo stesso peraltro del primissimo componimento, “La Bibbia”, in cui mette in crisi tutto ciò che ha insegnato e imposto: la virtù, l’onestà, il rispetto di sé e della vita. Un padre e fratello timorati di Dio in difesa della propria fede sacrificano la figlia-sorella alle brame del conquistatore, senza peraltro salvarsi.
Un Brecht di cultura biblica, ma blasfemo, sia pure biblicamente – o si può dire all’inverso: tratta Dio come un talmudista, a tu per tu, e dunque non lo bestemmia. Una chicca. Con foto suggestive d’epoca,  e una serie di note golose di Vincenzo Maria Perrino, studioso e autore di teatro - biografiche, ai testi, e agli “scenari biblici nel giovane Brecht”. Che peraltro ebbe la Bibbia sempre presente, anche da grande, anche nella produzione “epica” in chiave marxista, dell’impegno politico. A un intervistatore nel 1928, ai trent’anni già autore di successo, ricorda Perrino, che gli chiedeva delle sue letture, rispose: “Lei riderà, la Bibbia”. E successivamente ci ritorna, sempre nella ricostruzione di Perrino, nel saggio “Sulla poesia non rimata con ritmi irregolari”, nell’adattamento de “La madre” di Gor’kij, nel “Galileo”, nel dramma didattico “La linea di condotta”. In una col linguaggio espressionista, che è già nel soggetto e nella scena del primissimo componimento, questa “Bibbia”.
Un retaggio familiare – materno - e non una fede: la Bibbia è già qui “giusta e fredda”. Ma una proposta di linguaggio che resterà fertile, sempre viva, nel senso dell’irresolutezza, della complessità. L’annotazione dal “Diario” che Perrino estrae in data 4 settembre 1920 si può dire una cifra stilistica: “Certe parole della Bibbia sono indistruttibili. Esse vanno da parte a parte. Si pongono come brividi sotto pelle, che passano lungo la schiena, come nell’amore”.
Bertolt Brecht, La Bibbia, Via del Vento, pp. 33 € 4

martedì 19 gennaio 2016

Col Monte dei Paschi crolla l’Italia

Il Monte dei Paschi è sotto attacco. E col Monte dei Paschi tutte le banche italiane. Un nuovo 2011 si preannuncia, un’altra gelata per l’Italia: i banchieri non dormono più da quarantott’ore, sulla soglia del panico, con chiunque di essi si parli. I pareri divergono, le paure sono di diverso grado, ma alcuni dati sono ovvi per tutti.
Non si tratta di operazioni di Borsa, l’attacco è concentrico e preordinato. E non c’è dubbio che col Monte dei Paschi tutto il sistema creditizio è sotto attacco. Un punto di forza è diventato debolezza. L’Italia è sotto attacco.
Come sia stato e sia possibile è l’esito di più fattori – i pareri sono più dissimili su questo. Una Consob e un Banca d’Italia incapaci. Una Piazza Affari succursale della City, nella vocazione provinciale di Milano. Con oscillazioni da mercato del Terzo mondo – una volatilità perfino eccessiva, spregiudicata, offensiva per un paese industriale avanzato. Questa stessa vocazione provinciale che impedisce di prendere coscienza dei dati di fatto. L’informazione economica ridotta a cazzeggio: di stronzate e esoterismi (bail-in, non performing loan, car, crar, step..) favoriscono la speculazione inducendo alla diffidenza. Un governo che ha fatto il passo più lungo di quanto percepisca: sfidare l’“Europa”.
Ma le cause, che dividono i banchieri, sono inimportanti. Il problema da tutti condiviso è che non c’è una difesa. 

La banca centrale della speculazione

Bce sta per Banca centrale europea ma potrebbe dirsiCanca centrale dell’esproprio, del risparmio. Dei correntisti e dei piccoli azionisti delle stesse banche, di cui è naturale fidarsi.
Un terremoto in zona non sismica, si fatica a prenderne coscienza, ma più che manifesto, tanti sono i danni che ha provocato: le banche sono sotto attacco da quando la vigilanza è passata alla Bce.
L’attacco alle banche italiane di questa settimana è partito da Francoforte. Questo è un fatto. In parte anche dichiarato. Da parte della Vigilanza della Bce, il suo organismo più sensibile e discreto. Come già con gli stress test sbandierati, ora col censimento degli insoluti.
Operazione pulizia, si dice. Ma perché con alcune banche e non con tutte? Con alcune anzi di più e con più cattiveria che con altre? E perché gli annunci: un’autorità monetaria non è tenuta alla discrezione? No, è speculazione.
L’attacco sulle banche italiane a Milano ha anche altre cause, ma Francoforte è determinante. Il Monte dei Paschi è stato affondato non quando era in miseria – allora al vigilanza non era Bce – ma da quando la Bce si è presa la vigilanza, mentre cioè la banca è rientrata rapidamente in bonis: capitale azzerato, o quasi, e se crolla Mps…
Le indiscrezioni, le insinuazioni, i preannunci cifrati non si contano più. Nel quadro di una presunta politica della trasparenza che invece è una vera e propria aggressione. Se non è stupidaggine. I soggetti nel mercato sono trasparenti? La trasparenza è uguale per tutti? La trasparenza è neutra?
Si fatica a crederlo, ma la verità è squadernata: la Bce è in mano a gente delle banche d’affari e dei fondi. 

Il business dei commissariamenti

Lo scandalo più grosso è il business degli scandali, in primo luogo i commissariamenti per  “infiltrazioni mafiose”.
C’è un business degli scandali redditizio per molti: inquirenti in carriera, armati e disarmati, giudici in corsa per sindaco e ministro, e giornalisti – con danno dei giornali, ma questo è irrilevante. Di questo business-scandalo i commissariamenti sono un parte non minore. Pur essendo anticostituzionali e illegali, senza alcun dubbio. Una sorta di confino di polizia esteso e anzi generalizzato: chiunque può essere marchiato d’infamia, senza essere beninteso condannato, altrimenti andrebbe giudicato. A opera di funzionari dell’Interno che si presumono al di sopra delle parti e invece sono in forte conflitto d’interessi; vogliono il posto degli eletti.
A Quarto e a Brescello s’indaga sul niente., la frase innocua di un sindaco, una lite politica di paese, i quali vivono di liti politiche, che si fanno passare per ‘ndrangheta e camorra. Per dare a due funzionari prefettizi, forse a quattro, il lustro di commissario ad acta per  diciotto mesi, senza nulla da fare e anzi senza obbligo di firma, con indennità aggiuntiva, e auto di servizio con autista.

Quarto farsa

Una farsa più che una commedia – un dramma non è mai stato. Una vindicatio delle “donne del Sud”, che tengono testa agli intercettatori, ai giudici napoletani, a Grillo e al suo web, e ai funzionari affamati di commissariamenti. E ai giornali, i grandi gionali, “Corriere dea sera”, “la Repubblica”, che ci mantengono almeno due inviati e ci delegano gli opinionisti, sul solco che “l’Unità”, il giornale di Renzi, traccia. Per dire che? Rosa Capuozzo parlò col marito. Il marito parlò con Rosa Capuozzo. Rosa Capuozzo parlò con Fico. E con altri no? Il “Corriere” schiera pure  Marco Demarco, firma pure nobile di Napoli. “Repubblica”.. La Stampa…
Se non che un’ombra emerge: di un regime. Dietro la farsa si vendono finanzieri affannati, filologi forse sudaticci, applicati a correlare e ricostruire i frammenti. Padroni del vapore che menano il torrone. E fascisti emeriti tournés democrat, siano grillini o biker harleysti, seppure senza pugni di ferro.

Mani Pulite fu sporca

La Procura di Mani Pulite come “The hateful Eight”. Il titolo richiama Victor Hugo, il romanzo dallo stesso titolo della Francia tra Terrore e Vandea. Lo svolgimento richiama invece irresistibile  l’annunciato film degli odiosi otto di Quentin Tarantino: cacciatori di taglie senza scrupoli, anche l’uno contro l’altro. Sono trecento pagine di illegalità e violenze in serie nel nome della Legge. Quasi una parusia, benché a ripensarci note. Forse perché ben narrate, si leggono trattenendo il fiato, tra l’incredulità e lo stupore. Mattia Feltri ha avuto la costanza di censirle, un anno e mezzo quasi di lavoro, per il “Foglio” nel 1993, e ha evidentemente stoffa di narratore, poiché le articola senza una pausa di noia.
È l’affabulazione in eccesso rispetto al fatto, un traviamento del fatto stesso? No, Mani Pulite fu un troiaio, e anzi un golpe, nel senso giuridico della parola, non c’è rappresentazione che possa essere in eccesso rispetto ai fatti. Una serie di illegalità già denunciate senza effetto, protette dal compromesso storico, da ciò che ne restava, dal Csm, che poi sono i giudici stesi, dalla Consulta, e dal Quirinale, da Scalfaro soprattutto, un presidente forse inetto forse complice. Del resto la rappresentazione di Feltri ai articola su fatti noti, comunque non ignorati. E anzi con qualche assenza: Passera-Di Pietro, De Benedetti stesso in prima persona (Passera era allora un suo manager), Prodi. E Andreotti? L’unico politico non toccato, il più onesto di tutti i Dc, lui e i suoi – a eccezione di uno o due affiliati locali.
Una ricostruzione non unidimensionale, peraltro, non pro e non contro. Ma non ambigua: la violenza della Legge vi è manifesta. Nello stesso censimento delle malefatte.  Del “non poteva non sapere”. Del proporsi a governo – si è dimenticato, ma è avvenuto: Borrelli propose se stesso e i suoi come governo “legittimo”. La carcerazione libera. Borrelli la rivendicò: “Noi incarceriamo la gente per farla parlare” - oggi nega ma lo disse, il 3 giugno 1993 a Saint-Vincent, a un convengo giudici-media, ed è la sostanza della cosa. “Si vede che c’è ancora qualcuno che per la vergogna si uccide”, questo è D’Ambrosio, il giudice che lasciò impunita la fine di Pinelli alla Questura di Milano. Del suicidio cioè come confessione di colpa, che non si legge nemmeno negli annali della Inquisizione, come i borrellismi – ma D’Ambrosio è uno della giustizia napoletana a Milano… Gli abusi dei concetti di legittimità, legalità, giustizia. La gogna. Il linciaggio. L’elenco sarebbe lungo. E i fatti principali, in una dimensione storica, sono ancora da accertare..
Il più resta da fare, Feltri ha soprattutto il merito di togliere il coperchio. La dimensione culturale e politica del golpe, con l’abbattimento di ogni dimensione e funzione della cultura laica e riformista. La stessa storia di chi, come e perché. Una tessitura politica a ogni apparenza belzebbubiana, sull’asse Di Pietro-Borrelli-Andreotti, in linea gerarchica e in successione cronologica – primo fu indubbiamente Di Pietro, della cui straordinaria carriera non si sa tutto. Con l’attenzione divertita e l’appoggio del dipartimento di Stato e dell’ambasciata Usa – di questo si può dare testimonianza – fin dall’inizio puntati sulla mira anti-Craxi di Di Pietro. La “pubblicità”, anche, che Feltri non indaga se non in filigrana, ed è stata la determinante del golpe: la connivenza dei media. Del suo successo, e per molti indizi della sua nascita. Del “facciamo parte dello stesso gruppo” di Passera a Di Pietro, e degli interessi emergenti, specie di destra: Berlusconi, Fini, Bossi, lo stesso Passera. Con la copertura degli ex Pci in funzione di “boia  volenterosi” – roba insomma da “willing executioners” se non da “hateful eight”. Del golpismo, tra Quirinale, alcune Procure, Milano in primo luogo, e alcune armi, gruppi non marginali della Finanza.
I giudici di Mani Pulite e i loro sicofanti nell’editoria si facevano bandiera della lotta alla corruzione, ma questo era succedanea al potere e ai privilegi di alcun gruppi dell’apparato repressivo. Che “democratizzarono” la corruzione: la resero diffusa e impunita, e quasi un diritto materiale, senza più il filtro politico.
Mattia Feltri, Novantatré. L’anno del Terrore di Mani Pulite, Marsilio, pp. 316 € 17.50

lunedì 18 gennaio 2016

Letture - 243

letterautore

Baudelaire – È reazionario, l’entusiasmo quarantottesco fu brevissimo. Si sa, ma si tende a celarlo per le innovazioni che apporta alla poesia e al gusto. È dandy per non esserlo, sapendo di esserlo – per non dichiararsi tale. Odia l’epoca in cui vive i suoi valori: il progresso, l’uguaglianza, il benessere, che riduce al conformismo. E la stessa libertà come licenza, che era peraltro la sua.

È cristiano, molto. Non in rapporto alle altre fedi. Non in rapporto alla fede, ma alla “natura”:  la dona o sessualità, la vita che va alla morte, lo stesso amore in quanto naturale, materiale.

“I fiori del male” sono probabilmente il libro di poesia più tradotto. In italiano sicuramente, dove si continua a tradurlo, benché avvia avuto già una cinquantina di traduzione. Tra esse quella di Praz, Valeri, Parronchi. De Nardis, Errante, Fusero, Attilio Bertolucci, Bona, Caproni, Muscetta, Bufalino, Raboni. 

È mistico? Molti lo hanno sostenuto, un mistico cattolico. Per la rappresentazione degradante, se non è rifiuto o ripugnanza, della carne, della concupiscenza, della sensualità connessa alla materia. In particolare quella legata al corpo, secondo la tradizione del “De comtemptu mundi” – con cui il papa Innocenzo III nel Duecento aveva inaugurato il rifiuto del corpo. Auerbach esamina in dettaglio questo aspetto, nel saggio “«I fiori del male» e il sublime”, e avanza quattro obiezioni: 1)Quello che Baudelaire cerca non è la Grazia o la beatitudine eterna, ma il Nulla”, 2) “Non ha posto per Cristo” – l’unica volta che lo nomina lo contrappone a Dio; 3) il misticismo medievale condannava la concupiscenza e basta, per il resto “il godimento delle cose terrene sane e spirituali non è mai sentito come peccato”; 4) la sua lotta “non riguarda l’umiltà, bensì la superbia”.
Dietro l’ennui, Baudelaire introduce il Nulla. Lo introduce nel canone occidentale in senso nichilistico – il destino dell’artista eccettuato – e non mistico.

L’erotismo decretò il successo dei “Fiori del male”, e di Baudelaire poeta, mentre ne è la mala pianta. Altrove magari no, ma nei “Fiori del male” il rifiuto è radicale.

Dante – Si può dire islamico ma nel contesto, del tempo: nel Duecento non si faceva grande differenza fra le religioni, che al contrario convivevano in scambi reciproci di studi. Ci sono echi dei poeti arabi e persiani anche in Chaicer, e ce ne saranno fino a Shakespeare.

Giornalismo – Le librerie Feltrinelli tengono al reparto giornalismo il “Proust” di Beckett e il “Primo Levi” di Belpoliti. Accanto a “Lezioni di giornalismo” di Virginia Di Marco – e ai tanti, sono tantissimi, Montaneli, Bocca, Fallaci. Si allargato il giornalismo o si è ristretta la letteratura?

Lingue – Dei ventisei libri recensiti dal “Sole 24 Ore” ieri, cinque sono in inglese, uno in francese, e quattro edizioni critiche di classici, in originale greco o latino. Poi si dice che gli italiani non sanno le lingue.

Pasolini – Si è accompagnato, in qualità di amanti conviventi, solo a due donne,  Laura Betti e Maria Callas.
Betti era peraltro venuta alla notorietà nel 1960 o 1961 facendo cabaret in coppia con Paolo Poli, altro gay dichiarato.

Fuksas. suo compagno di calcio a Roma - “lui era ala destra e io centrocampista” - lo ricorda “di forte muscolatura”, “di una violenza incredibile, giochi tipici della periferia romana come il dito di ferro”, e ne celebra “lo sguardo triste e mite”. Il signor Mario, ii barbiere di via Carini a Monteverde, sotto la casa dei Bertolucci, lo ricordava invece superbo: “Non diceva una parola”. Ma era timido. O come tutti quelli del cinema, i “personaggi”, non poteva interloquire con la gente comune.

Piano sequenza – È una delle innovazioni di Baudelaire, “I fiori del male”, 1857 (le composizioni “Je te donne ces vers” e “Spleen” soprattutto), la pietra di fondazione della nuova poesia: componimenti in flusso continuo, senza interruzione. Quasi un movimento unico e continuo in musica. Che farà poi valanga in prosa, nel monologo interiore.

Selfie –  “Tutti noi in fondo, ma specialmente gli artisti moderni”, nota Auerbach nel saggio “«I fiori del male» e il sublime”, “(almeno a partire dal Petrarca), ci improvvisiamo facilmente attori della nostra propria indole”. È vezzo antico. Di Baudelaire, l’autore dei “Fiori del male”, in particolare, che scrivendo al notaio-tutore Ancelle così presentava la raccolta: “In questo libro atroce, ho messo tutto il mio pensiero, tutto il mio cuore, tutta la mia religione (travestita), tutto il mio odio”.

letterautore@antiit.eu 

Grass scultore satirico

Appunti e abbozzi, il Nobel tedesco recuperava una diecina d’anni fa i rimasugli del cassetto. Ma alcuni già racconti autonomi, seppure brevi. Scoprendo manifesto il fondo grottesco e  satirico della sua creatività. Nonché la capacità di sbalzare caratteri e situazioni in brevi tocchi, da scultore mancato, e incisore accanito – la sua vera passione sotto i teatrini politici.
Günter Grass, Il club dei mancini, Cargo, pp.89 € 8

domenica 17 gennaio 2016

Problemi di base - 261

spock

Il dottor Freud fumava mentre ascoltava i pazienti?

Niente file al giubileo: non ci sono più peccati da redimere?

Non ci sono più peccatori o non ci sono più cristiani?

Il comunismo una chiesa, il capitalismo una religione, non si sfugge al sacro?

Un sacro senza dio?

Non ci sono abbastanza soldi per allevare un figlio - e per mantenere il cane?

La chiamano Deborah ma non sarà Rosy Bindi con la parrucca?

spock@antiit.eu

Il mistico è omoerotico

“Silenzio. Solo un accenno. Chi ha bisogno di volumi di storie?” Invece il poeta, creatore della confraternita sufi dei dervisci rotanti, mistico e insieme magniloquente, fu lui stesso prolifico, per 52 mila versi almeno – ventimila solo per il “Mathnawí”, che i cultori dicono il più grande poema mistico dell’umanità. Di poesia intraducibile per molti aspetti, sonorità, cadenze, idiomatismi, e tanto meno da una lingua terza, ma concettualmente limpida: è l’amore che muove il mondo, è il mondo. “Il poeta sufi”, dice il curatore, “abita molti mondi simultaneamente, «mondi dentro mondi»”, e quindi va letto a molteplici livelli (significati). Ma a ogni livello s’incontra l’amore: terra e cielo, sole e luna, amante e amato: “Totalmente inatteso il mio ospite giunse.\ «Chi è?», chiese il mio cuore.\ «La faccia della luna», disse la mia anima”.
In queste due raccolte (il volumetto ricomprende anche “Le rovine del cuore”), curate in inglese da Kahir Edmund Helminsky, non c’è altro tema. Come in tutta la produzione del mistico Rúmí. Amore di Dio, ma impersonato in varie figure di “amati”, e qui soprattutto di Shams. Che è insieme “divino sole del mondo”, “l’amato di tutti gli amanti”, “il sole che muove le anime”, il “sole di tutte le conoscenze”, ma è anche Shams di Tabriz. Un “santo vagabondo” di cui Rúmí al primo apparire disse: “Il Dio che ho adorato per tutta la vita oggi mi è apparso in forma umana”. Con quale si ritirò, dice Helminsky, “in un isolamento che divenne leggendario”. Al punto da suscitare gelosie roventi, per le quali Shams si costrinse all’esilio. E quando tornò, dopo qualche anno, fu assassinato.
L’omoerotismo è complementare al misticismo, come non pensarci? Dei mistici e delle mistiche – anche se quella cristiane si vogliono spose del Cristo. Omoerotismo di altra specie, non quello sessuale che si esibisce oggi. Platonico, ma anche fisico, personalizzato.  
Altri mondi. Rúmí si stabilì, poetò e predico a Konya, nell’Asia Minore oggi Turchia, dove  i sufi mevlana, rotanti per inebriarsi, sono tuttora presenti, ma per il folklore. Veniva da Balkh, la Bactra di Alessandro Magno, che vi impalmò Roxana: la città capitale dello zoroastrismo, eguale di Ninive e Babilonia, ora cumulo di macerie nell’Afghanistan settentrionale al confine col Tagikistan, vicino Mazar i Sherif. Gialal ad-Din fu detto Rúmí perché l’Asia Minore era considerata “romana”, cioè greca, bizantina. Nella raccolta Helminsky include, traendolo dal “Mathnawí”, un poemetto su Maria che nessun mistico cristiano e cattolico eguaglia in intensità di fede.
Rúmí, L’amore è uno straniero, Astrolabio, pp. 135 € 10

La giustizia è in America

Si esce dai film legali americani con l’amaro in bocca: altro che “giustizia”, trucchi, persecuzioni, illegalità impunite e anzi esibite, pritette e vantate dai emdia. La giustizia non è il sistema italiano, che tanto si loda, dei pubblici accusatori e dei loro compari, i giudici. Con un ruolo solo procedurale lasciato alla difesa. Con la pretesa alla “sacralità”, molto corporativa (fascista) – con tutta la serie di privilegi connessi, di forma e di sostanza (soldi, carriere, auto blu con scorta). Quanta più giusto invece il “rito accusatorio” del sistema anglosassone. Con un ruolo paritario alla difesa, benché non decisivo,  e un giudice in carriera doppiato da un occasionale, la giuria.
Gli n gradi di giudizio non mutano la natura ingiusta, e anche illegale, del processo italiano. Che si riproduce con lo stesso schema inquisitorio, e si conclude in arcana (Cassazione), dove è chiuso il procedimento, e astrattamente procedurale, e coperta la sentenza.
Il segno più evidente dell’ingiustizia è nel ruolo “equanime” che si assegna all’accusa. Che l’accusa si assegna in forza di legge. Una assurdità: un accusatore che si vuole protettore dell’indiziato. Mentre ne è stato e ne è, di diritto e di fatto, il persecutore, anzi lo sbirro: con furbizie, trappole, tranelli, pentiti, confidenti e intercettazioni, anche nell’intimità, con indagini insistite, interminabili, insinuanti per lo più, con indiscrezioni, anticipazioni, confidenze, sempre comunque sanzionatorie, anche se approssimate malgrado gli eccessi investigativi. Per non dire del ruolo inequivoco del giudice: che non è uno cui si demanda il riscontro della colpevolezza, ma quello davanti al quale discolparsi.
Inimmaginabile, poi, un legal thriller italiano che mettesse in luce l’operato e il modus operandi non dell’Fbi ma di una delle tante polizie. Nemmeno un film per tutti, anche solo un libro per pochi - un saggio per pochissimi: l’Autorità è intoccabile, anzi innominabile.