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sabato 1 luglio 2023

Fuga dalla Germania

Non c’è solo la recessione “tecnica” (due trimestri negativi), con l’inflazione alta e in aumento – a differenza degli altri paesi europei: in Germania tornano chiusure e delocalizzazioni.
La Germania è tornata a vent’anni fa. A prima del cancellierato Schröder. Che fece, da sinistra, la riforma (cioè la disintegrazione) del mercato del lavoro. E della Germania l’hub del gas russo.
Merita ricordare, a questo proposito, che il cancelliere Schröder, poi consulente superstipendiato di Gazprom, soppiantava il ruolo semisecolare svolto dall’inizio della politica russo-sovietica di esportazioni, in piena guerra fredda, dall’Eni - a lungo, anche se con giudizio, bilanciando le importazioni russe con l’Algeria e la Libia.
Non ci sono i cinque milion di disoccupati di vent’anni fa - 4,5 milioni per l’esattezza. E la Germania non ha bisogno, come lo ebbe allora, con l’avallo di Bruxelles, di sforare i limiti annuali al disavanzo di bilancio. Ma i fallimenti crescono esponenzialmente – novemila nell’industria nel semestre 2023, calcola “Die Welt” sui dati della Confindusttria tedesca. E c’è un deciso ritorno alle delocalizzazioni, nei paesi dell’Est europeo o in Asia, che la riforma Schröder aveva bloccate.
Il resto dell’Europa marcia invece spedito. Se avesse anche il contributo positivo della Germania, invece che negativo, si stima che registrerebbe incrementi del pil analoghi a quello americano, del 2,3-2,4 per cento. Questo non è possibile perché la Germania è gestita - come la Banca centrale europea- dalla Bundesbank, dalla sua vieta politica monetaria del caro-denaro.

Il teatro di Shakespeare nei disegni di R. Fludd

Com’era e come funzionava il teatro di Shakespeare, il Globe Theatre, andato distrutto in un incendio 410 anni fa, durante una rappresentazione dell’“Enrico VIII”? Ricostruito l’anno dopo per volere e con i soldi del re Giacomo I, e poi chiuso definitivamente, così come ogni altro teatro di Londra, dal Lungo Parlamento nel 1642, nella Prima Guerra Civile Inglese – per evitare produzioni di “frivolezze e divertimenti lascivi”.
Frances Yates, la storica del Warburg Institute londinese, ora dimenticata ma già molto apprezzata dell’esoterismo nel Cinque-Seicento, in Italia e in Inghilterra, spiegava che l’aspetto poteva essere ricostruito sugli schizzi del “teatro della memoria”  di Robert Fludd, il medico rosicruciano del primo Seicento. Sui suoi disegni del teatro della memoria che tentava di propopre sulla traccia di Giulio Camillo (che riproponeva le tecniche mnemoniche in uso e descritte da Cicerone e altri autori classici, che la memoria affidavano a parti-immagini distinte dei luoghi dove dovevano parlare: palcoscenico, tribuna, rostro, foro,.etc.). Disegni realizzati nel1619, avendo avuto quasi certamengte memoria personale visiva del teatro distrutto e ricostruito.
Frances A. Yates, New Light on the Globe Theater, “The New York Review of Books”, 6 maggio 1966, free online

venerdì 30 giugno 2023

Letture - 524

Biarritz-la-Négresse – Cambia nome, nel quartiere periferico di Biarritz, la stazione ferroviaria con questa denominazione, che serve i treni provenienti da Parigi in direzione di Irun e della Spagna, Dopo 220 anni. Il nome è ricordato da Nabokov nel racconto ”Primo amore”, del viaggio estivo che “nei primi anni” del Novecento fece da ragazzo con la famiglia, la madre, il padre, il fratello, le sorelle, verso la Spagna. Prendeva il nome dalla donna che all’inizio dell’Ottocento avrebbe gestito l’albergo del quartiere, per conto di un padrone schiavista, cui i soldati di Napoleone, di passaggio nel 1813, avrebbero dato il soprannome la Négresse. Resiste invece l’analoga denominazione del quartiere della stazione, che in origine si chiamava Harausta, parola basca per “polveroso”: era il nome dell’albergo prima della gestora di origini africane.
Numerose iniziative, politiche e anche giudiziarie, intraprese a partire dal 1994, quando Biarritz si apprestava a ospitare un vertice periodico franco-africano, per ridare al quartiere il vecchio nome basco, che sarebbe tuttora usato dai bascofoni anziani, sono stati respinti, anche con durezza, dai sindaci, dalle amministrazioni provinciali, dal governo, dai tribunali. Il ministro degli Esteri del 1994, Alain Juppé, si rifiutò “categoricamente” di cambiare il nome. Un sindaco qualche anno dopo rigettò la richiesta come “ridicola”. Una sindaca di sinistra successivamente rispose che la denominazione era onorifica, testimonianza di una manager intraprendente in epoca oscura. Altre iniziative furono intraprese per il G 7 del 2019. In precedenza, e successivamente, varie iniziative di parlamentari socialisti  e dello scrittore franco-senegalese Karfa Diallo, sono state rigettate amministrativamente, ancora dal comune, dal dipartimento, dal governo. Un sondaggio del giornale regionale “Sud-Ouest”, di Bordeaux, ebbe nel 2015 una risposta al 94 per cento favorevole al mantenimento della denominazione, su seimila partecipanti. Due accademie linguistiche basche si sono ingegnate di trovare un’etimologia locale alla denominazione, non razzista, anche se senza risultati aprezzabili. Anche la società autostradale, che fa capo al gruppo Vinci, ex Société Générale d’Entreprises, il più grande, o il secondo più grande, gruppo di costruzioni e gestioni autostradali, si rifiuta di cambiare il nome del casello.

D’Annunzio – Ma (non) era anche gay? È stato detto? Non sembra, si enumerano sempre relazioni focose e corrispondenze lunghe femminili. Di donne-donne, cioè, non in transizione. Mentre molto lascia da pensare il suo maschilismo da caserma, nelle trincee durante la Grande Guerra, e poi a Fiume, uno stordimento molto macho. E i versi? In “Versilia” si finge “ninfa boschereccia”, per celebrare scopertamente, dopo molto ammiccamenti, dell’uomo che guata e insegue, “la tua pelle\ che il Sol feceti fosca. Snelle\  hai gambe come bronzo lisce”.  O. Wilde, per dirne uno, pur confesso, non aveva  ostato tanto.   

Ironia – Sciascia, “L’affaire Moro”: “Nulla è più difficile da capire, da decifrare, dell’ironia. E se si può impiccare un uomo muovendogli come accusa una sola sua frase avulsa da un contesto, a maggior ragione, più facilmente, lo si può impiccare muovendogli contro una sua frase ironica”.
L’impiccagione che Sciascia deplorava era figurata e non, riferendosi all’ironia amara che traspariva dalle ultime lettere di Moro dalla prigionia – quasi si fosse reso conto di essere detenuto da altro, sorprendente, potere, quello di dargli la morte “per amicizia”, coma “a sua difesa” – la morte di Moro è una tragicommedia.

Promozioni –Viene l’estate e si fa pubblicità ai libri. Ottima cosa, i libri svagano e formano. La pubblicità è di romanzi. Bene. Ma con ridotto (ripetitivo) tipologia promozionale: un milione di copie vendute (o tre milioni), anche “un milione e mezzo” (e “oltre un milione e mezzo”), di copie vendute, tradotto in venti, trenta, quaranta paesi, autore\autrice “di grande successo internazionale”, “subito in classifica all’uscita”, “un fenomeno editoriale”, ”già venduto in trenta paesi”, “il n.1 del New York Times”,:
Sono romanzi, in genere, di amore e dolore. Per una buona metà, quest’anno, sotto forma di thriller. Di una “investigatrice per caso”, un “padre (prete) Raffaele”, aspirante pasticciera, tanatoesteta, “la nuova Miss Marple”, una centenaria (102nne) col mitra. Poi si leggono gli inserti nei giornali, o le anteprime sui siti, e non si trova niente di cosi “irresistibile”, “senza respiro”, “da leggere in una notte”. Come promesso.

Le promozioni sono poi in genere assortite della foto dello scrittore o scrittrice, formato tessera abitualmente, quindi face, in genere in età, grigio-nere, tese se non stremate. Che non si capisce se sono messe lì per spaventare - dissuadere.

Prefazioni-Postfazioni – Kierkegaard ne compilò un libro. Le idee di cui non scrisse il libro – il summary della saggistica angloamericana. Tabucchi se le annota, in una delle tante riflessioni che fa del suo romanzo non pubblicato, “Lettere a Capitano Nemo”, come “meta romanzo”: “Come postilla al romanzo già scritto”, annota in un’agenda bancaria del 1977 (ora sempre in “Letttere a Capitano Nemo”, Oscar, p.118): “Perché è di fatto un meta romanzo;  è cioè un romanzo che continua, sotto forma di analisi e di riflessione, il romanzo già concluso. È un romanzo sul romanzo”.

Pseudonimi - Due sorelle, Floria e Michela Martignoni, hanno scelto uno pseudonimo maschile, Emilio Martini. Mentre lo scrittore franco-algerino Moulessehoul firma con un nome femminile (della moglie), Yasmina Khadra - ma era colonnello dell’esercito algerino quando cominciò a pubblicare. In Spagna la vincitrice del premio Planeta, lo Strega nazionale, Carmen Mola, si è rivelata essere tre scrittori, Jorge D iz, Antonio Marchero e Agustìn Martinez, di mestiere sceneggiatori.
Scrivere – Tabucchi lo dice attività “schizofrenica”, in una delle sue “Lettere a Capitano Nemo”, non spedite, dell’omonimo romanzo non pubblicato  p.164). Perché lo scrittore, finito il racconto o il romanzo, “non è più quello stesso uomo che scriveva  il romanzo…. Ma si vede e si giudica per quello che era quando lo stava scrivendo”. Una schizofrenia, aggiunge, che può raggiungere “il numero 3 per esponente”, cioè, intende, di terzo grado, se “per paradosso…colui che si è per così dire «scisso» nella personalità di un bambino per scrivere un romanzo, ora, riacquistata la propria, spieghi le scelte di un bambino con la sua capacità raziocinante di adulto - che naturalmente non può essere quella del bambino.
Elucubrato, ma a Tabucchi si attaglia: il bambino sarebbe quello che, nel suo progetto di romanzo, scrive le lettere a Capitano Nemo. Le scrive invece di lui stesso, del Tabucchi scrittore – le lettere sceneggiano e raccontano fatti personali, di vita vissuta, forse , perché no, dallo stesso autore qua do era bambino.

Viaggiare – Chesterston era contro: “Viaggiare restringe la mente”. Anche Emerson: viaggiare è “il paradiso di un pazzo”. O Pessoa: “Aborrisco nuovi modi di vita e posti non familiari…  L’idea di viaggiare mi nausea” – lui che dal Portogallo aveva viaggiato in Sud Africa, e dopo alcuni anni ne era tornato, “traduceva, lavorava, scriveva, studiava e pensava in inglese” (wikipedia), si faceva mentalmente lunghe trasferte, a Parigi, a Londra, anche a Roma, e il viaggiare celebrò in celebri versi dallo stesso titolo, come metafora della vita.
Del rifiuto del viaggio fa il conto la filosofa magiaro-americana Agnes Callard (“The Case against travel”) che è di famiglia ebraica, e personalmente è emigrata due volte, da Budapest a Roma, e da Roma negli Stati Uniti. Dove si trova bene.  


letterautore@antiit.eu

La Liberazione (non fu) opera della mafia

“Gli americani, la mafia e lo sbarco in Sicilia del 1943” è il sottotitolo e il tema del libro. Che è una ricerca storica. Al termine della quale si può dire con certezza che nessun accordo c’è stato o è stato tentato, e nemmeno pensato, in nessum momento. Gli “americani”, che in realtà sono gli anglo-americani, l’Amgot, Allied Military Government of Occupied Territory, il governo militare dei 

territori occupati, altro che Sicilia, Italia, Europa o altre grandezzate, insediarono dei sindaci mafiosi. Vero, ma molti meno degli onesti - insediavano i maggiorenti locali, il clima politico più “avanzato” era notabilare. E quando Carabinieri e Polizia li dissero mafiosi li sostituirono.
Non c’è ignominia che gli Stati Uniti non perpetuino nei documenti, ma l’accordo con la mafia per lo sbarco in Sicilia nel 1943, l’Operazione Husk di proporzioni impensabili, non c’è. Si sapeva – era logico, era ovvio.  Altri storici prima di Lupo lo hanno accertato - meglio, e sempre con documenti, Elena Aga Rossi. Anche storici siciliani, come Saro (Rosario) Mangiameli. Solo menti malate, se uno ha una minima conoscenza o idea di uno Stato Maggiore, o dell’impegno organizzativo senza precedenti dello sbarco, possono pensare alla tenaglia contro il nazifascismo sul continente - dopo averlo battuto in Nord Africa, provandoci con la Sicilia come un anno dopo in Normandia, contro il Vallo Atlantico nientedimeno - come una cosa di mafia.
Lupo, lo storico per antonomasia delle cose di mafia, sa, dopo ottant’anni, che l’accordo non c’era. Gli Stati Uniti non ci hanno pensato sotto nessuna forma, nemmeno come boutade, dopo il successo. E Cosa Nostra nememno, che allora navigava sottotraccia. E semmai si negava: la famosa liberazione di Lucky Luciano, con espulsione in Italia nel 1946, a guerra defintivamente chiusa, era l’effetto di un accordo, ma con il sindacato corrotto dei marittimi di New York, per evitare scioperi e boicottaggi in guerra – accordo mediato da Luciano in carcere.  
La cosa purtroppo è stata ed è creduta. Dai siciliani. Anche di gran nome – anche da chi non fa molto conto della mafia, come Camilleri, e perfino Sciascia. Che è grande pretesa, oltre che infondata: della Sicilia che modella il mondo – dopo aver avvelenato l’Italia ovviamente (di cui è vittima, e non lo sa). Una curiosità: nella ampia bibliografia di Lupo si nota la mancanza proprio dello studio già definitivo di Aga Rossi.

Salvatore Lupo, Il mito del grande complotto, Donzelli, pp. 208 € 16

giovedì 29 giugno 2023

Cronache dell’altro mondo – emerite (237)

Domanda: “Putin è uscito indebolito dai recenti avenimenti?” Risposta: “È difficile a dirsi, ma lui chiaramente sta perdendo la guerra in Iraq” - Joe Biden, presidente degli Stati Uniti, 28 giugno 2023.
“È motivo di grande imbarazzo per i dittatori, non sapere cosa sta succedendo” – id., detto del presidente cinese Xi, a proposito del pallone-spia abbattuto negli Stati uniti, 21 giugno 2023.
L’elogio di Bob Kearney, un triscugino, campione irlandese di rugby, si conclude con un “capace di gonfiare come una zampogna a rugby i Black and Tans”, le forze speciali britanniche che terrorizzavano gli irlandesi nella guerra civile dei “Troubles”, trent’anni fa. Invece, si suppone, dei supercampioni neozelandesi del rugby, gli All Blacks – id., 13 aprile 2023.
Biden riceve il primo ministro indiano Modi mettendosi la mano sul cuore, come è l’uso ascoltando l’inno nazionale americano, mentre si esegue l’inno indiano, lasciando poi scivolare la mano, lentamente (avvertito per auricolare?) – 23 giugno 2023.
Nella stessa circostanza, Biden stringe la mano di Modi a oltranza, dimenticandosi per un minuto buono di lasciargliela.
E se la Russia dovesse attacare un Paese Nato? “Risponderemmo? O dovremmo guardare dall’altra parte? Saremmo forti? O saremmo deboli? Saremmo tu, saremmo noi, tutti i nostri alleati, saremmo uniti o divisi?” - id., 22 febbrario 2023.
“E voglio ringraziare tutti voi per questo”, una conferenza su cibo e manutrizioe, “incluse personalità bipartisan come il senatore Braun, il senatore Booker, e la deputata Jackie. È qui? Dov’è Jackie?”, chiedeva il presidente Biden il 29 settembre 2022 “Jackie”, Jackie Walorski era però morta un mese prima.
“Fine della citazione, ripeti la riga”, 9 luglio 2022, a conclusione di una conferenza stampa sull’aborto: la frase è stata letta da Biden sul “gobbo” elettronico, dove appariva come indicazione, come se fosse parte del suo pensiero. 
“Gli Stati Uniti interverranno militarmente nel caso di un’aggressione cinese contro Taiwan” - id., 23 maggio 2022.
“Putin può circondare Kiev con i carri armati, ma non conquisterà mai il cuore e l’anima del popolo iraniano” – id., “Discorso sullo Stato dell’Unione”, 2 marzo 2022.
“Putin è un criminale di guerra”, Putin “non può restare al potere” – id., 27 febbraio 2022.
“Pensa che Valdimir Putin sia un assassino?”, “Sì, lo penso” – id., intervistato a “Good Morning, America”, 16 marzo 2021.
“Dai, alzati Chuck, fatti vedere, goditi i meritati applausi! Alzati” - id, a Chuck Graham, senatotre del Missourti, parapeglico, luglio 2008, nella campagna per le presidenziali, in ticket come vice-presidente con Obama.
Di Obama, che lo aveva appena scelto come vice, nella prima campagna prresidenziale: “Il primo afroamericano in politica eloquente, brillante, pulito e di bell’aspetto”- giugno 2008
“Sono una macchina da gaffe” – id, facendo propria la nomea che lo circonda a Washington: tutto il repertorio sarebbe molto lungo.
Molte le cadute, quando Biden cammina, e anche da fermo, sul palco.

Viaggiare fa male

“Qual è la frase più non-informativa che la gente usa dire? La mia scelta sarebbe «mi piace viaggiare»”. Un repertorio di un paio di citazioni importanti e vasti “movimenti di pensiero” contro la dromomania, l’impulso a viaggiare. Un po’ socntati per quanto riguarda il turismo – che peraltro rimane insalfito: si fa turismo per passatempo, non per imparare, e se si fa in una città d’arte perché no, non si offende nulla e nessuno. Che è il difetto di questo genere di argomentazioni, che se non sono brillanti sono fastidiose. Callard, filosofa peripatetica, che di sé essa stessa dice essere stata diagnosticata autisitca dopo i trent’anni (un po’ di autismo è adesso il segno del genio), figlia di ebrei ungheresi molti intellettuali e irrequieti, con un passaggio a Roma nel 1982-1983, prima del visto per gli Usa, se la cava. Un po’ fa anche dell’ironia  sull’anti-viaggio. Di Roma ricorda che a scuola fu sorpresa dalla madre a spiegare “il cerchio” agli altri bambini in uugherese, e che nel palazzo i genitori erano malvisti, in quanto “sporchi e chiassosi”.
E dunque: “Viaggiare restringe la mente”, G.K.Chesteston
“Viaggiare e il paradiso di un pazzo”, Ralh Waldo Emerson.
“Socrate e Immanuel Kant, probabilmente i due più grandi filosofi di tutti i tempi, votarono con i piedi, lasciando raramente l’alloggio domestico di Atene e Koenigsberg”.
Peggio ha fatto e detto Pessoa, nel “Libro dell’Inquietudine”: “Aborro modi di vita e luoghi non familiari… L’idea di viaggiare mi nausea… Ah, lasciate viaggiare quelli che non esistono!...”, etc.
Definitivo Samuel Johnson: “Quello che ho guadagnato viaggiando in Francia è stato imparare a essere più soddisfatto del mio paese”. Emerson, come Boswell, provò a viaggiare anche a lungo, ma senza soddisfazione. Di Roma scrive: “Cerco il Vaticano, e i palazzi. Mostro di essere inebriato da vedute e sugestioni, ma non sono ebbro”.
Alla fine un’arringa a somma zero – dopo la prima sorpresa, Chesterston, Pessoa, Emerson, il dr. Johnson, Socrate e Kant. Callard si ripete (è costretta a ripetersi?), senza convincere. Ma divertente.
Agnes Callard, The Case against Travel, “The New Yorker”, 24 giugno 2023, free online

mercoledì 28 giugno 2023

L’economia del buonsenso

Sembra dire l’ovvio il presidente dell’Antitrust Rustichelli, che l’inflazione colpisce i ceti deboli e non i forti, che anche i risparmi sono stati intaccati dall’inflazione, per almeno una famiglia su due, e che il rispamio andrebbe in qualche misura remurato e protetto e non castigato. Ma lo deve dire l’Autorità Antitrust, non ci sono più giornali in grado di saperlo e di spiegarlo. Di sapere l’ovvio. In materia di interesse per tutti.
Così pure l’alternanza alla Banca d’Italia, dopo Visco il suo ex direttore genrale Panetta. I due uomini, massimi responsabili della politica monetaria in Italia, che criticarono il bail-in, introdotto proditoriamente (sbadatamente?) dai governi dem nel quadro europeo – lo criticarono da tecnici esperti, non da sovranisti. E da quasi un anno ormai non perdono occasione per criticare la dissennata politica monetaria della Bce di Lagarde, di colpire l’immobiliare e gli investimenti – la produzione – mandando alle stelle il caro-.denaro.
Non ci vuole molto: Lagarde è una controfigura, della modesta e povera politica tedesca anti-inflazione della Bundesbank – buttare il bambino con l’acqua sporca: mandare in recessione l’economia, quella tedesca  ma anche quella dei paesi più legati produttivamente alla Germania, come l’Italia. A nessun effetto contro il carovita. Ma dove l’abbiamo letto?

Meloni cresce, viva Mitsotakis

Meloni vince anche in Molise - poco, ma buttalo via. Nomina Figliuolo alla rcostruzione in Romagna. Nomina Panetta alla Banca d’Italia. E niente, resta sempre, come si vuole, quella di destra. Ma si celebra curiosamente Mitsotakis in Grecia, uno di destra, come se fosse il nuovo vento di soave. Curiosamente per i giornali Pd professi, “Corriere della sera”, “la Repubblica”, “la Stampa”, il Messaggero”. Che lo celebrano come fanno in parallelo per Elly Schlein. Che invece è, o sarebbe, di politiche diametralmente opposte, e perde le elezioni, non le vince.
Uno strabismo non nuovo, che porterebbe (dovrebbe portare) il Pd a interrogarsi su tanti amici nei media.
A meno che il Pd non sia altro che quei giornali, quelli che si professano suoi sostenitori. Che però tutti insieme non arrivano a mezzo milione di lettori. E poi, perché no, non lo diceva anche anche Bersani, che sempre si aggirano gli “amici del giaguaro”, e bisogna stare in guardia?


Com’era nuovo il calcio 50 anni fa

Il personaggio è semplice e attraente, il regista garbato e rispettoso, ma la vita di Gigi Riva non è scontata come lo spettatore presupporrebbe. Sì, le immagini sono quelle attese di questi biopic: dai primi calci da bambino alla forza e intelligenza sui campi di calcio, alla dirittura morale eccezionale, da calciatore, da dirigente, da fumatotre incallito, da anziano malato. Ma le immagini del suo calcio sono una novità.
È una novità il calcio dei suoi tempi, cinquant’anni fa: atletismo, forza, istinto, prodezze e errori. Invece del solito tic-toc tattico cui il calcio si è ridotto. Dove si risparmiano le forze (il calcio in tv è esoso, molto ripetitivo), si corre poco, non si inventa nulla, e si vince epr caso – il tic-toc del Barcellona di Guardiola, che l’aveva inventao per addormentare gli avversari e scatenare Messi all’improvviso – serpentine, tagli, invenzioni, suggerimenti. Immagini di un calcio giocato con piacere – rabbia, agonismo, intelligenza, voglia di vincere. Un calcio di calciatori. Non indagata, ed è un peccato, la rivelazione di Massimo Moratti che suo papà, il creatore di Saras Petrolchimica, a quei tempi la sola industria della Sardegna, col carbone del Sulcis, era di fatto il padrone del Cagliari, e pagò il non trasferimento di Riva alla Juventus - anche questo un altro mondo, quando i ricchi  scendevano nel calcio per passione.
Riccardo Milani,
Nel nostro cielo un rombo di tuono, Sky Cinema, Streaming Now, On demand

martedì 27 giugno 2023

Se l’eroe dell’Occidente è Prigozhin

È sconfortante leggere nei giornali italiani e in quelli americani il tifo per Prigozhin. Che è un brigante – un fatto ben presente oggi ai iministri degli Esteri della Ue riuniti, perfino al parolaio Borrell, la Farnesina non ha avuto problemi a mettere la cautela in agenda.
Si potrebbe pensare che è per l’abitudine ormai ossificata alle “notizie di guerra”. Artefatte per natura; un genere d’informazione che accompagna in guerra le operazioni militari, notizie di battaglia. Specialmente insistenti e anche brillanti in questa guerra, ogni giorno due e anche tre, un grande sforzo che gli inviati si limitano a sceneggiare - allungare, adattare, caricare di aggettivi e innuendo. Ma Prigozhin, che fino a ieri era un macellaio, quello che fece fuori la brigata Azov “martire”, quello di Bakhmut. E lo è in effetti, perché il suo più ricco business è da una decina d’armi, insieme al traffico d’armi, un esercito di mercenari – come al tempo di Machiavelli. Che si fa ben pagare dai cacicchi africani e arabi, e ora, in questa guerra, dalla Russia.
Tutta ignoraza non dev’essere, i media sono mezzi collettivi, gerarchizzati, non li indirizza un inviato, che si limita a riscrivere le agenzie, che mediano le notize di guerra. Un Prigozhin al posto di Putin non è una prospettiva buona per nessuno. Va bene odiare i russi, se il direttore comanda, ma senza juicio?

La sinistra bancaria

Il Mes dopo il Pos? L’ultima battaglia della cosiddetta sinistra politica sembra inventata dai suoi nemici, tanto è bizzarra.Tutto si fa, anche scendere in piazza, per far guadagnare le banche?
Per il Pos obbligatorio si sono escogitati il riciclaggio di denaro sporco e le mafie, ma tutti sapevano e sanno che non è vero. Tutti eccetto i giornali, è vero. Ma questi perché hanno perso il senno, infatti non li compra nessuno – di Grillo è meglio non indagare, ma lui si accontenta di poco, qualche presenza pagata, a convegni, inaugurazioni, piani naturalmente verdi. Il Pos obbligatorio è solo un pizzo sui negozianti, doppio: l’affitto del terminale e una percentuale degli incassi.
Ora si replica col Mes, Meccanismo Europeo di Stabilità. Il Mes è in funzione, da anni – anche se nessuno vi ha fatto ricorso. Quello che non entra in funzione, finché l’Italia non lo vota, è un allargamento dell’ombrello Mes dal debito pubblico alle banche. È lecito? No, sono problematiche diverse. Si dice: ma gli altri membri Ue hanno votato la modifica, perché l’Italia non lo fa? Perché dovrebbe farlo? L’Italia non ha problemi con le banche, la Bce con le banche italiane non ha mai avuto riguardi, ha imposto cure pazzesche a Unicredit e voleva il fallimento di Mps. Non ha fatto l’analogo in Germania, e Francia, dove ora quattro grandi banche, almeno quattro, hanno problemi, Deutsche, Commerz, Société Générale, Bnp Paribas - e anche, anche se non si dice, la olandese Abn Amro.
L’Italia può far mancare la sua solidarietà? Certo che no. Ma non è una cosa di sinistra, anche se è la destra a chiedere chiarezza - una parola chiara non è troppo chiedere, e sarebbe di sinistra, l’Europa (l’Italia) ha già pagato troppo l’asse franco-tedesco.

Un film lungo la colonna sonora

Un po’ troppo lungo, due ore e mezza, e un po’ troppo scontato: L’adolescenza, i genitori, l’amica, il talent scout, e poi, onnipresente,  il manager, l’arcangelo salvatore, dal padre padrone, dal marito fedigrafo, dalla tossicodipendenza. Ma i due protagonosti, la britannica Naomi Ackie nei panni di Whitney, e Sanley Tucci in quelli del manager, calibrati probabilmente sugli originali, quindi non di repertorio, tengono desta l’attezione. E come già per “Elvis”, altra sceneggiatura non appassionante, anche questo “Whitney” è un’occasione per ascoltare molte belle canzoni, ancorate a un filo narrativo, per quanto scontato.
Kasi Lemmons, Whitney –
Una voce diventata leggenda (Whitney Houston – I wanna dance with Somebody), Sky Cinema

lunedì 26 giugno 2023

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (529)

Giuseppe Leuzzi


Flannery O’Connor ha, nel romanzo “Il cielo è dei violenti”, il “Christ-haunted South”, un Sud (degli Stati Uniti) ossessionato dal Cristo. Analogamente, il nostro Sud si dovrebbe-potrebbe dire ossessionato dalla Madonna, innumerevoli sono le sue facce e i suoi riti. Materno, seppure non matrilineare. Quindi non violento?
 
Bastianich evoca su “Repubblica-Gusto” le vigne di cui Catania si attorniava. Che erano scomparse e ora sono ricomparse. Attorno all’Etna in realtà, più che attorno alla città, ma non importa. Sono ricomparse, fiorenti produttivamente ed economicamente, con vini di grande qualità, a opera di non catanesi. È così.
Altre colture, di bianchi robusti e saporosissimi, sono state abbandonate, negli stessi anni 1950-1960, sulla Costa Viola, i costoni terrazzati tra Scilla, Bagnara e Palmi in Calabria. E lì il tesoro sembra perduto per tutti – non sono in vista vignaiuoli dell’Alto Adige, esperti in terrazzamenti.
Erano, sono, incoltivabili? Nelle Cinque Terre no, dove pure erano soggetti a dilavamento, non sono stati abbandonati. Con profitto (enorme) di tutti.
 
Il Sud è probabilmente l’area europea a più forte consumo pro capite di antibiotici, calcola l’Agenzia del Farmaco. In Europa i paesi nordici consumano pochi antibiotici, il consumo pro capite più elevato è in Francia, Grecia, Cipro e Italia, nell’ordine. Ma in Italia è al livello nord-europeo nelle regioni del Nord, mentre al Sud è quasi il doppio. Al Nord si registra un consumo di 8,7 “dosi al giorno” per mille abitanti, al Sud e nelle isole di 15,3 “dosi al giorno”. Per nessun motivo specifico.
 
Sudismi\sadismi
“Fuori uso il bancomat della cortesia”: domenica l’altra in prima pagina sul “Corriere della sera” Aldo Grasso irrideva Musumeci, l’ex presidente della Regione Sicilia ora ministro della Protezione Civile, delegato agli interventi in Romagna dopo l’alluvione: “«Questo governo non è un bancomat». Con queste sprezzanti parole … ha liquidato le richieste che gli amministratori locali di Emilia e Romagna gli avevano rivolto per far fronte all’alluvione….”. Parole, aggiunge Grasso, “dette da uno, poi, che ha governato la Sicilia, una regione dove strade e ferrovie frenano e franano”.
Non è vero, e il giorno dopo il giornale ha pubblicato la smentita. Musumeci non ha detto “questo governo” ma “il governo”. Lo ha detto all’intenzione di “un amministratore invitato per mera cortesia” (il sindaco di Rimini, n.d.r, Jamil Sadegholvaad, del Pd), che “non può….presentarsi al tavolo e contestualmente alimentare sulla stampa una subdola campagna di disinformazione e di denigrazione ai danni di un governo che … ha fatto tutto il possibile, con un impegno senza precedenti per celerità e quantità”.
La lettera è stata pubblicata integrale. Con la giusta rivendicazione: “Confermo che il governo non può essere inteso mai come un bancomat, cioè buono solo a erogare denaro a richiesta. E lo dice, per rispondere al sottile riferimento di Grasso, un ex presidente che nella sua regione, in questa materia, ha creato l’Autorità di bacino, attesa da trent’anni, ha varato il primo Piano contro la desertificazione, ha speso cento milioni per la pulitura dei fiumi, e destinato al contrasto delle frane circa mezzo miliardo di euro”. 
Aldo Grasso rimprovera Musumeci, in prima pagina. Musumeci si difende in diciassettesima. Con una lettera al direttore. Con replica di Grasso.
 
La scomparsa  di Palmi – un apologo
Sandra Misale, biologa, incaricata dal dipartimento di oncologia di uno dei maggiori ospedali americani di creare un Misale Lab per lo studio di nuovi farmaci, si schermisce con Paolo Bricco sul “Sole 24 Ore” che la incontra a Torino, dove si è laureata: “La mia famiglia è di Palmi, una città di quindicimila abitanti vicina a Gioia Tauro”. Quasi si scusa. Anche se non ne avrebbe motivo: “A Palmi”, continua infatti, “mi sono diplomata al liceo linguistico. Era una scuola sperimentale. Studiavamo tedesco, francese e inglese e, in più, le materie scientifiche con i programmi del liceo scientifico”.
Lei poi ha studiato biologia molecolare a Torino, abitando dai parenti emigrati per lavorare a Chivasso, alla Lancia. La sorella, che  lavora anch’essa negli Stati Uniti, si è invece laureata a Cosenza. Bricco le trova “le fattezze di chi arriva da quel pezzo di Mediterraneo scosceso e di montagna che è la Calabria”, “piccola di statura”, che parla “con la vocalizzazione aspirata di chi è cresciuto in Calabria”.
Però è anche vero che Palmi era e non è. Era un mandamento-sottoprefettura. Con palazzo di giustizia e scuole di tutti gli ordini e grado. Con un teatro, che faceva anche l’opera – sono di Palmi Cilea a Manfroce. Tutte queste cose ce le ha ancora, ma in subordine. A cosa? Alla sopravvivenza. Aveva ristoranti di culto in posti strepitosi. Aveva la Marinella – che ha tuttora, ma di fatto impraticabile da mezzo secolo. Ha ancora il miglio più bello di mare e di acqua di mare, trasparente. Con le alici e il pescespada. Dall’Ulivarella alle Pietre Nere, un mondo omerico. Ma non se ne occupa – da vent’anni è provvista di un porto da diporto, ma non lo ha mai fatto funzionare (nemmeno per il piccolo business dei migranti). Sopravvive, e anzi arretra – la costa jonica al converso, desertica e afosa, ogni anno si propone con nuove attrattive.
Dice: la mafia. Perché, c’è la mafia a Palmi? C’è solo a Palmi? È il tradimento della borghesia. La Calabria ne ha poca, e per di più pavida, cioè inerte – borghesia professionale, per lo più, quale è tipica di una cittadina come Palmi, magistrati, avvocati, insegnanti, impiegati della sottoprefettura. L’ultimo scrittore di Palmi, Domenico Zappone, parliamo di cinquant’anni fa, satirico corrosivo, ne avrebbe ricavato grande materia, se non avesse ceduto all’impulso di soccombere. I Manetti Bros, Antonio e Marco, nel millennio, avrebbero una miniera spalancata se osassero di più - lo scherzo e la satira sono campi fertili inesplorati, in questa Italia sotto correzione.
 
Il governo milanese del non-governo
Milano, il “Corriere della sera”, “Mani Pulite”, la trama svelata del governo del non-governo.
Mieli a La 7, alla maratona di Mentana il giorno della morte di Berlusconi, aspetta notte inoltrata, le undici di notte, quando gli spettatori sono pochi, ma alla fine lo dice. Fu la Procura di Milano a dargli in anteprima, prima cioè che il destinatario lo ricevesse e si consultasse con i legali, l’avviso di garanzia a Berlusconi, domenica 20 novembre 1994, che il giorno dopo doveva presiedere a Napoli un forum Onu sulla giustizia, e invece perse il governo. Un avviso di garanzia per un’indagine, che poi si rivelerà inventata  (poichè la Guardia di Finaza non aveva scoperto pratiche illegali nelle mille perquisizioni ordinate nelle aziende di Berlusconi, Berlusconi aveva pagato la Guardia di Finanza…).
Sulla vicenda, il ruolo di Mieli, la rivelazione e l’indignazione tardive si può leggere in sintesi
http://www.antiit.com/2023/06/le-trame-non-tanto-oscure-di-mani-pulite.html
 
Il fatto curioso è che Mieli non dice tutto – dice che non dice tutto. Per omertà? Per ricatto? Manda infatti un “avvertimento”: “Non lo dirò qui fino in fondo….”. E dove? E quando? Ma non c’è dubbio che “Mani Pulite” non solo è stata milanese, ma non poteva non esserlo. Col “Corriere della sera” e “la Repubblica”, che Scalfari voleva milanese di spirito. Contro Craxi. Non per fatti personali, o politici (contro il partito Socialista, per conto della Dc o del partito Comunista, le "due culture" celebrate da Scalfari), ma perché Craxi voleva un governo che governasse, come a lui era riuscito per una congiuntura rara – aveva vinto un referendum impopolare sulla scala mobile, abbattuto l’inflazione dal 25 al 3 per cento (sic!), contrastato la strafottenza americana, mentre schierava gli euromissili, portato l’Italia a competere con la Gran Bretagna per il quarto posto fra le economie mondiali. Craxi non era addomesticabile, predicava la “governabilità”, e quindi andava abbattuto - era un fascista, un corrotto, un ladro.
Si dice l’accoppiata giustizia-media, giudici-giornali, ma no, è Milano – quella c’è, Mieli l’attesta, ma non decide. 
 
Milano odisoamata
Giovanni Gavazzeni fa sul “Venerdì di Repubblica” un Giacomo Puccini implume esule a Milano al Conservatorio come un  modesto studente fuori sede vittima oggi nella stessa città del caro-affitti. Rinchiuso nella “fredda cameretta” che condivideva con lo scorbutico Pietro Mascagni, per riscardarsi reciprocamente col fiato contro i geloni, s’immagina. “Lo stambugio di via Solferino” dove sicuramente, può dire Gavazzeni avendo compulsato l’amplissimo epistolario del maestro, “condivideva i fagioli mandati da casa”, sempre con Mascagni. Scrivendo di Milano esacerbato alla mamma: “Città schifosa, sudicia, merdosa, putrida, caliginosa, infame, scureggialla (?), bifolca, bianca di grappa (almeno fosse di quella fina), con quel Duomo che pare un panforte di Siena ammuffito in cantina,… con quei risotti che paiono cacca gialla di bimbi, con quelle cotolette che paiono guance di parroci rifiorite dai ponci (…) quel parlare poi! Pare un rutto dopo una sbornia da giovedì grasso”.
Ma, bisogna dire, non dissuaso. Come gli odierni fuori sede: il caro-affitti non scoraggia le iscrizioni alle università milanesi – sempre più private, peraltro, quindi molto più care del letto-in-una-stanza. Puccini era a Milano, a 22 anni, con una borsa di studio modesta, regalo dela regina Margherita e di un medico amico di famiglia. E della città era anche entusiasta, sempre nelle lettere a mamma Albina, al borgo in riva al lago: “Che meravigliosa città. E che gioventù!”. Entusiasmo che il biografo ultimo Julian Budden condivide, facendo di Milano negli anni 1880 la città-traino dell’Italia, soprattutto di quella musicale.
Questo non è vero, Milano contava poco, ed era in crisi economica – in “recessione”. Ma non importa, è vero che anche l’editoria musicale era già milanese, tra Sonzogno e Ricordi, e l’editoria e la Scala attiravano i futuri operisti in misura maggiore che Napoli o altre capitali della musica. Quanto alle lamentele, del cibo, e dell’aria, si può testimoniare di persona in favore di Puccini. È dai tardi anni1960, grazie ai fruttivendoli napoletani, che Milano ha cominciato a  respirare in cucina:  a riconoscere gli ortaggi e le insalate, a cuocere la pastasciutta. Prima, per mangiare, andava alle trattorie toscane (dove però, ancora, le verdure si limitavano a lessarle).


leuzzi@antiit.eu


Il mondo nel mare, profondo

Nemo è un bersaglio, più che il personaggio di Verne, delle “Ventimila leghe sotto i mari”. Col quale il bambino si identifica, nei suoi viaggi, notturni per lo più, lontando dall’uomo della foto col braccio sempre teso, il padre, benché ingolosito della madre, e con qualche “zio” simpatico. Ma non è così semplice, non è la ricerca di un padre piuttosto che di quello della foto, ufficiale, fascista fino a Salò.
Queste lettere, non spedite, sono un racconto metafisico, come da appunti manoscritti inediti, qui riprodotti. Che lo vogliono tutto e niente, uno e diverso. Un caso estremo, da Tabucchi stesso esemplato in un’intervista non pubblicata, “di quel metodo ipotetico” che fa il suo narrare. E sono di più – di peggio: un metaromanzo, un romanzo sul romanzo. Tanto più in questa edizione, curata da Thea Rimini che le “lettere” aveva recuperate postume per i due volumi Tabucchi dei “Meridiani,” e qui le riprende arricchendole di alcune appendici. Le riflessioni, da prefazione-postfazione, sul racconto poi non pubblicato scritte in un’agenda bancaria del 1977. Alcune lettere, a editori e amici, sul racconto. Alcune interviste, pubblicate e non, sul racconto “di prossima pubblicazione”. E la nota della curatrice sulle varie redazioni del racconto, nonché sugli “abissi editoriali”, nei quali si è perduto - avrebbe dobuto essere pubblicato da una mezza dozzina di editori, Einaudi, Mondadori, Saggiatore, Garzanti, eccetera, tavolta con contratto firmato e poi abbandonato.
E tuttavia, malgrado tutta questa metaletteratura, leggibile. Perfino godibile. Scrive le lettere un vero ragazzo, nelle sue fantasie. Notturne e diurne. Delinea un quadro familiare e di vicinanza perfino realistico, realistico. E non si identifica in realtà col Capitano Nemo, il personaggio di Verne è piuttosto un bersaglio, ma il mondo di Verne fa a suo modo rivivere, in questo caso il mare sottosopra, per quanto profondo. Come il mondo che lo scrivente vive.
Antonio Tabucchi, Lettere a Capitano Nemo, Oscar, pp. 173 ill. € 13,50

domenica 25 giugno 2023

La guerra degli inganni – o il Pugaciov per burla

Una mattina al caffè in piazza, all’ombra, nella città occupata, Rostov sul Don, caposaldo dell’esercito russo impegnato in Ucraina, col capo dell’esercito russo sul fronte ucraino, in teoria disarmato, e con il vice-ministro russo della Difesa: “Sappiamo di un tè a Kiev”, “Beh, bisogna pur parlare col nemico in guerra”. Poi l’avanzata su Mosca, pochi ma creduti fotogrammi. Poi il trionfo di popolo a Rostov, altri pochi ma ben fatti fotogrammi. A seguire all’annuncio, improvviso, della ritirata. Che però non avviene a Rostov sul Don, e nemmeno nel Donetsk occupato, asseritamente con gravi sacrifici, ma in Bielorussia. Che non è all’angolo, ma a 1.500 km. da Rostov: una fuga istantanea e sicura, con dieci o quindici o venticinquemila uomini affardellati, passando per l’Ucraina compiacente - non abbiamo instagram in proposito? E la Cia che vuol far sapere che sapeva tutto, su Prigozhin-Pugaciov, da almeno quattro giorni? Sa pure degli attentati a Belgorod?
Sembra una commedia degli equivoci, e tutto sommato, fino ad oggi, lo è. Ma all’improvviso al ministero italiano degli Esteri, e probabilmente a quelli di tutta Europa, ha fatto venire un brivido: che guerra stiamo combattendo, in che guerra siamo precipitati?
Prigozhin voleva indebolire Putin? C’è riuscito. Resta da sapere per conto di chi. Se dello stesso Putin, come avrebbe dovuto, oppure di Biden. Perché non è chiaro, per quanto assurdo possa sembrare, se è sanzionato. Se lo è effettivamente, nei conti protetti. Dopotutto è un affarista, come tutti i boiardi russi - tanto più per essere a capo di un esercito di mercenari. Non un patriota, tanto meno un rivoluzionario. Se è sanzionato nei conti correnti alle Cayman, e nei titoli Usa. E come, o chi per lui, paga i 25 mila del suo esercito privato.
Prigozhin è sicuramente un prodotto dell’eccentricità russa – dei Pugaciov e dei Limonov di tanta letteratura. Fino a qui la lettura diplomatica che se ne fa è sicura. Ma si sa anche che Prigozhin non è solo colore. E che Biden non è un presidente pacifista – è quello che ha legato gli Stati Uniti all’Ucraina, nella lunga vice-presidenza di Obama. Non è  necessario avere letto Machiavelli per sapere che i cuordileone mercenari si muovono sulla scia dei soldi. Le aspettative sono che non ne abbiamo ancora visto abbastanza. 

Ombre - 673

Si lamentano le sue profferte avanzate dagli sceicchi, dell’Arabia Saudita e della Gran Bretagna o della Francia, per allenatori e calciatori. 100 milioni ad Allegri in tre anni. Sessanta a Mbappé, in un anno. 150 chiesti per Osimhen, 100 per Harry Kane. Un circo, un colosso per faraonici regimi patrimoniali – dove lo Stato è proprietà privata, di famiglie tribali. Un calcio fatto di “molti viaggi, poco riposo e settanta partite l’anno”, nel conto di Simone Golia sul “Corriere della sera”. Per partite di 100 minuti invece di 90. Per far pagare di più le tv. Non può essere sport, un’attività di resistenza e abilità fisica.
 
La cosa più significativa della manifestazione della Cgil per la sanità a Roma era ieri il numero sparuto dei partecipanti – quasi meno delle bandiere, c’era chi ne aveva due. La Cgil ha certo la possibilità di portare in piazza molte più persone, ma non lo fa. Si fanno manifestazioni al risparmio giusto per avere l’immagine del segretario sui media, attorniato da microfoni. La mobilitazione attraverso la televisione?
 
Matteo Di Pietro, indagato a Roma per la morte di un bambino in un incidente stradale da lui provocato, di età incerta, 20nne o 21nne, comunque abbastanza per noleggiare un suv Lamborghini da centinaia di cavalli col quale ha provocato l’incidente, ha diritto alla privacy nella foto.
No, è che non ci sono più delinquenti, se non sono politici, oppure mafiosi. E le aggravanti, “fumo”, alcol, etc, sono attenuanti.
 
Berlusconi è morto il 12 giugno. Le corrispondenze di “la Repubblica” e i suoi settimanali, di Aspesi, Serra, Francesco Merlo, sono a tutt’oggi piene di lettere livorose – evidentemente la gran parte della corrispondenza del gruppo editoriale.
Berlusconi è anche odiato, come tutti. Ma tutti scrivono a “la Repubblica”?
 
“Perché papa Francesco è così restio ad incontrare i cattolici perseguitati nel mondo”, o anche solo “a parlarne?”, si chiede il vaticanista Di Giacomo. Già. Perché? A un papa cui non sfugge la minima violenza da deprecare nel resto del vasto mondo.
 
Colpisce naturalmente l’arresto di Minenna. Ma nessun giornale pubblica la nota difensiva, pur breve. Che a Marcello Minenna “viene contestato un solo episodio nel marzo 2020: essersi adoperato in favore di un imprenditore vicino alla Lega per sbloccare una sua fornitura di mascherine ferma alla dogana di Milano in cambio di una entratura nel partito. L’indagato si difenderà nelle sedi proprie”. Molte interpretazioni, invece, e deduzioni. Dei procuratori come del gip, per la verità – i gip vogliono anch’essi andare in prima, fanno il lavoro sporco per l’onore dei Procuratori.
 
Sono indignati i cronisti giudiziari per la condanna di Davigo, loro fertile fonte – e naturalmente contro Nordio che vuole le intercettazioni legali. Trema un impero informativo: la politica fatta dai cronisti giudiziari, l’ultimo gradino, un tempo, nell’ordinamento dei giornali. Ora ci sono solo loro, e le cronache rosa – anche di semplici figuranti. La politica estera, con le guerre, l’Economia, la politica, l’informazione?
 
L’inviato del “Corriere della sera” a Bruxelles, al maxi-processo senza processo per corruzione, apre la corrispondenza sulla “caduta del «duro» Claise” con una frase di 31 righe, con tre, quattro, e e forse cinque, incisi. Nessuno li legge? Legge gli articoli che vanno in pagina? Chi fa i titoli come si regola?
 
Tutti italiani, compre i deputati “belgi” Tarabella e Maria Arena, e in fondo la stessa vice-presidente greca del Parlamento, inguaiata dal compagno italiano, gli indagati per corruzione a Bruxelles. Sono corrotti solo gli italiani al Parlamento europeo? Tutti della sinistra, democratico-socialista.
 
Si cerca dove non si può trovare la bambina peruviana rapita a Firenze. Negli interstizi dei muri, nelle casse dismesse. Non dove la bambina è – era al momento del rapimento: in una tribù di “rumeni”, per non dire rom. Per fare i politicamente corretti, oltre che per dare ai Carabinieri in camice bianco qualche giorno di lustro in tv?
 
Procura e Carabinieri sono impegnati a Firenze a condannare Berlusconi per le stragi di mafia del 1993. Ne hanno la certezza, anche qui, ma non trovano le prove.

Il culto del teatro - passione crudele

Les Amandiers è stata la scuola di teatro a Nanterre, Parigi, di Patrice Chéreau e Pierre Romans, con annesso corso gemellato all’Actor’s Studio di New York, tra fine anni 1970 e primi anni 1980. La scuola di teatro nella quale, all’ultima sessione prima della chiusura, la giovane ricca Valeria ha trovato la sua strada, dopo varie erranze  - e dopo la quale ha debuttato al cinema, regista lo stesso Chereau. Si concludeva in quegli la sbornia dei tardi anni Settanta, della trasgressione come obbligo. Con l’eroina, “tanto smetto quando voglio”, le morti quotidiane da overdose, la promiscuità obligatoria, l’aborto libero, l’aids in agguato. La scuola vive intensamente i suoi anni, nel mentre che si esercita al solito Cechov - nell’occasione all’insolito “Platonov”, perché ha “molti personaggi”.   
Un amarcord, e un il film sulla passione teatrale. Non più del teatro-verità, allora in uso, né di denuncia, ma l’adattamento che Chereau faceva del teatro della crudeltà di Artaus, della spersonalizzazione dell’attore nel personaggio. Due obiettivi pienamente raggiunti dalla regista, al suo quinto o sesto film. Già in tema con “Actrices”, non visto in Italia, uan decina di anni fa, e tema ritornante in altri suoi film – compreso il “Il capitale umano” di Virzì. Sia nel ritratto degli anni, sia nella passione del teatro, che può essere devastante. Qui col sostegno capitale di due sue fiamme: l’ex Louis Garrel nei panni di Chereau, e l’attuale bel tenebroso Sofiane Bennacer (ora denunciato per violenza dalle ex compagne) in quelli del partner e complice maudit – il disperato ribelle, a fronte della protagonista con appartamento in villa e maggiordomo.     
Valeria Bruni-Tedeschi,
Forever Young - Les Amandiers, Sky Cinema 2