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venerdì 2 luglio 2010

Gli amici apprezzano, ma non leggono

Il contorno critico è affascinante – il libro è di trent’anni fa: giudici amichevolissimi che sottintendono “non l’ho letto”. Geno Pampaloni fa un piccolo omaggio all’autore (personaggio, scherzi, riconoscimenti) e poi situa la parte centrale del libro a Kabul. Furio Colombo si sbilanci sulla scrittura, ma si limita all’episodio (non il più leggibile) del cane al Park Hotel, come se leggesse secondo “sortes vergilianae”, aprendo a caso. Uno scrittore che avrebbe meritato miglior sorte – o migliori amici. Luigi Baldacci ha letto e apprezza, ma con riserve a iosa (“scrittura di difficile, forse labile, classificazione”, “rischiosa fluidità”, “prosa sofferta”) in un pezzullo, dopo aver divagato senza riserve e ampiamente sui racconti di Giorgio Van Straten.
Le storie sono ordinarie, i personaggi sono originali ma svolti in subordine, l’interesse è a tratti la lingua. Sono i passaggi in cui Buttitta riflette la bellezza, dei luoghi e dei fenomeni, delle cose. La storia ha la sua parte nella fascinazione, naturalmente, che si tratti dell’Ararat, della Sicilia, di Shiraz e delle altre magie iraniche, ma la bellezza emerge viva dalla terra e dalla luce,
Pietro A. Buttitta, Terra di nessuno

Secondi pensieri - (47)

zeulig

Felicità - È un’arte – “l’arte di essere felici”, scriveva Genovesi al fattore.
Anche l’infelicità è un’arte. Quella della mula del Berni, la quale sollevava i sassi per inciamparvi dentro.

Giustizia – L’Occidente è due archetipi, Socrate e Gesù Cristo, entrambi vittime di giudici ignobili. Cristo anche in Appello e in Cassazione.

Illusione – Fa parte della realtà umana. Ma non della natura, la natura non si fa illusioni. È parte di una natura preternaturale?
Qual è l’origine e la funzione dell’illusione? Consolatoria? Ma la realtà può non essere peggio, e potrebbe essere meglio, dare cioè più sollievo e più forza.

Immaginazione - È un riflesso della memoria. Avviene come nei sogni: la minuta realtà si deforma, si sfrangia, si stiracchia. Talvolta simbolicamente, talaltra nelle forme dell’incubo.

Immortalità – Niente nell’essere umano, non il cervello, non la fisiologia, portava a inventarla. Da dove nasce? È un riflesso della memoria. Che ha qualcosa dell’eterno ritorno, balzando indietro e avanti – l’immaginazione è proiezione della memoria, invenzione.
Inventare il tempo è solo normale, per il ciclo della luce. Ma l’eternità? Può essere solo l’altra faccia del tempo, cioè un esito della logica – il punto mobile vuole un punto fisso?

Incertezza – Nessuno se la dà e nessuno se la toglie, è nelle cose. È della natura, quindi di ogni aspetto del mondo, anche minerale. È parte sostanziosa però della sfera di libertà della vita animale – surrettizia?

Intellettuale - È chi fa professione della riflessione. Uno che riflette dunque a metà: spinto dall’emozione e dal calcolo (cinismo).

Mostruoso – Arriva per piccoli passi, attraverso la normalità – la storia di Hitler, la storia di Stalin. La mostruosità è della normalità, quella dichiarata e fracassona non ci concerne.

Natura - È indifferentemente bella e brutta, romantica e sporca, limacciosa, distruttiva. È cattiva? È stupida? È indifferente, si sa. È casuale,. L’uomo viene dalla natura, polvere e gas.
È “nemesi artistica” per Wilde. Al contrario: è l’arte al suo meglio, è difficile imitarla.
Non è più innocente, lo stato di natura russoviano, dopo gli studi etologici e la catena ecologica. In ogni tipologia animale e vegetale ci sno famiglie, parentele, gerarchie. Ma lo stato di natura di Rousseau è bello per questo, tiene a bada la natura vera – anche se è una delle complicazioni dell’esistenza, a fronte del realismo.

Pensare - Dio forse vuol essere normale. La sua assenza (morte, scomparsa) è tutta qui: ha tentato con la creazione, non gli è venuta bene, e se ne sta tranquillo, per i fatti suoi. Questo lo dice in sogno Montanelli, che non è simpatico. Ma non sarà il pensare una cosa montanelliana? Senza impegno cioè, come una battuta di spirito.

Progresso - È un’idea e un progetto. Finora è minimo, poiché la storia è breve, e tutto ciò che è, è come era: l’idea di buono e bello, e anche di santo, con variazioni irrisorie, e le attività pratiche, i congegni dell’ingegno, i criteri di amicizia e inimicizia (la politica) e quelli materiali, utensileria, alimentazione, abitazione, abbigliamento, mezzi e materiali di costruzione.
Alla radice è un’utopia: se qualcosa non funziona è nell’utopia.

Storia – È una pausa, nel progetto del Cristo: c’è il tempo del mondo, con un inizio e una fine, dentro l’eternità.
È un esame di riparazione. Il tempo cristiano è storia breve e unica, ma si ripete. E va confusa, pur sapendo dove dovrebbe andare, come un gregge africano in transumanza.
Ma la storia è profana, un tempo che si affaccia su uno spazio – che sono i corpi ed è l’infinito.
L’ibrido è dunque doppio. Come si sciolgono le incompatibilità? Era progetto del Cristo, se non la sua natura, introdurre una dimensione profana nel tempo sacro, intemporale? O c’è, fin dal Genesi, e nemmeno tanto surrettizia, nella dottrina cristiana una curvatura dell’intemporale nel senso della storia – del vissuto, la memoria, la critica? Il nostro tempo, il tempo storico, non si concilia con l’eternità. È lo stesso mistero del Cristo, che è nato ed è morto ma è Dio.

È breve. Immobile anzi, non ha sviluppo. Nei sette-otto millenni della memoria tutto è inalterato: mito, linguaggio, arte, e in fondo anche la tecnica (la fisica). La verità c’è ma è illusone, compiacimento, fantasia.
Sempre varia, sempre si connette per alcune invarianti – la fisicità della storia. Per un riflesso condizionato di tipo sociale, o biologico? Per inerzia? Probabilmente non varia neppure la periodicità.

Coincide con la caduta. Oppure no, con la creazione – scandita giustamente dai giorni. Comincia quindi con Dio. O ci fu un momento in cui Dio non creava? Nel primo caso Dio stesso si fa col tempo, con la storia. Anche nel secondo.

Viaggiare – Si fa sempre verso una meta, anche se si va per sport o passatempo. Metafisicamente la meta è l’inizio (l’origine): non si viaggia che in tondo?

Vita - È un segmento di luce tra due bui. Breve per gli animali e le piante, lungo per i minerali. Il buoi di prima e di dopo è la morte? Non può essere: il mondo – la natura – non può essere morto. Non per la logica, non per la chimica. Il mistero dell’universo va visto in senso “positivo”.
La mancanza iniziale e le fine ineluttabile sono vincoli tali che l’immaginazione tende al catastrofico. La stessa “composizione storica” di quel breve periodo di luce – tanto male accumulato in una vita di pochi anni – spinge alla depressione. Ma la vita non può essere altro l logicamente e chimicamente – del prima e del dopo.
La diversa durata della vita per le varie specie, e la diversa durata per le varie specie in epoche diverse, vanno ugualmente in questo senso. Nel corso della mia vita l’età media sarà cresciuta di una dozzina d’anni, cioè del 15-20 per cento. Sarebbe una mutazione genetica ma non lo è. Non c’è, non c’è mai stato, un decorso “normale” della vita.
L’insorgere della vecchiaia nel corso degli ultimi due secoli sembra rafforzare la parabola della vita: la nascita, la fase ascensionale, il declino, la morte. In realtà è un fatto sociale, legato al lavoro, o meglio al reddito, e all’eredità: sempre ci sono stati, in gran numero, dei vecchi attivi, e grandi masse di giovani e adulti inerti.

zeulig@antiit.eu

giovedì 1 luglio 2010

Quando la Grecia si annetteva la Scandinavia

Anticamente si poneva al Nilo il confine tra Asia e Africa, che allora si diceva Libia. Questo solo già dà conto di quanto andava rivisto, e ancora è da rivedere, della storia egiziana, e greca. Era la Libia, nel luogo che ha mantenuto il nome, il luogo di molte meraviglie, i lotofagi, le esperidi, e abitanti “tutti biondi e bellissimi”. Gli etiopi del resto, gli africani, "sono" per Scilace "i più alti fra tutti gli uomini conosciuti, superano i quattro cubiti, anzi alcuni di essi raggiugono i cinque cubiti", tra 1,80 e 2,25 metri di altezza dunque, "sono barbuti e chiomati, e sono più belli di chiunque altro" - la squalifica dell'Africa è recente. La curatrice ci fa fare un formidabile periplo della geografia antica, senza alcuna supponenza, in un comodo libriccino delle vecchie Edizioni Studio Tesi. Con riferimenti concisi quanto accurati, e piene di sorprese.
Adesso è di moda l’annessione della Grecia al mito iperboreo – il Nord vuole vincere anche sulla storia. Ma gli antichi greci volevano appropriarsi con gli Argonauti, oltre al Mar Nero, anche il Vicino Oriente, il mar Rosso e l’Africa, che si chiamava Libia, il Don e il mare del Nord, con l’ambra e lo stagno, il Danubio, l’Adriatico, il Rodano e il Tirreno. Timeo si prese il Don col mare del Nord. Esiodo e Pindaro il mar Rosso e la Libia. Apollonio il Danubio, il Rodano, l’Adriatico e il Tirreno. Giasone fu proiettato pure nell’Oceano, come già Menelao e Ulisse nei loro viaggi di ritorno – una stramberia per Strabone, roba di geografi incompetenti: l’Oceano non ci appartiene. Ma, poi, gli Argonauti erano rematori, insomma ai lavori forzati, non guerrieri conquistatori. erano cinquanta infatti per un pentecòntero.
Antichi viaggi per mare. Peripli greci e fenici, a cura di Federica Cordano

Il mondo com'è - 39

astolfo

Afghanistan – Kipling, nei racconti che tutti dovremmo aver letto, quelli della frontiera e “Kim”, raccomandava di tenersene alla larga. Gli inglesi lo sapevano bene, per lunga esperienza. Che tuttavia riuscirono a un certo punto a mettere insieme le tribù sotto un re. Ma non si capisce ancora perché. Per l’indirect rule, il sistema britannico di far governare le colonie dagli stessi vassalli? Ma l’indomabilità è rimasta inalterata, l’ingovernabilità.
Contro gli inglesi da ultimo l’ultimo re, Zahir, si mise con Mussolini. Al re dell’Afghanistan Mussolini fece educare la futura moglie, una sola correttamente, al Poggio Imperiale, e le figlie che ne nacquero. Il principe Daud, cugino di Zahir, era camicia nera in gambali, al tempo di Mussolini e dopo, sempre in odio agli inglesi. Finché nel 1973 non dichiarò la repubblica: era succeduto nel 1963 agli zii nel governo del paese e dello stesso re Zahir, e giudicò che la repubblica avrebbe fatto meglio gli interessi delle tribù. Per essere spazzato via cinque anni dopo dal partito Democratico, cioè comunista, che chiamò le truppe sovietiche.
La guerra per bande è da sempre l’unica forma politica, se si eccettua l’interregno di Zahir, breve seppure lungo cinquant’anni. Sconfitta l’Urss nel 1989, e il governo comunista di Najibullah tre anni dopo, la guerra riprese nel 1994 tra il presidente Rabbani e il primo ministro Hekmatyar, forte del fondamentalismo religioso. La liberazione non è facile - il trisnonno di Cases, rabbino a Reggio Emilia, la città del tricolore, si presentò a Napoleone Primo Console per rimproverarlo di aver distrutto l’identità ebraica con l’abolizione dei ghetti e delle interdizioni. Nel tribalismo afghano la religione era un fattore secondario, e anzi inesistente. Ma la guerra fredda comportò a un certo punto il riarmo morale dell’islam. Dapprima in Pakistan, dove gli Usa, col generale Zia ul Haq, costruirono tra il 1975 e il 1985 ventimila tra madrasse e moschee. Dal Pakistan lo stesso oltranzismo religioso passò in Afghanistan: dapprima tra i mujahiddin antisovietici, poi con Hekmatyar, infine con gli studenti di teologia islamica, i talebani.
La sostanza della questione la spiega un contadino a Robert Byron nel Viaggio in Afghanistan: “A quale governo appartenete?” “Al governo dell’Inglistan.” “Inglistan? Che paese è?” “È la stessa cosa dell’Indostan.” “L’Inglistan è una parte dell’Indostan?” “Sì.” Non ci sarebbe stato male, sarebbe anzi stato logico che l’Inghilterra facesse parte dell’India, guardando alle rispettive dimensioni. E comunque non c’è altro orizzonte che locale: l’Afghanistan non è più in nessun grande gioco, e le sue donne, se vogliono, possono liberarsi da sole. Ci sono troppe assurdità in questa eterna guerra di liberazione dell’Afghanistan. Di cui non si sa nulla (l’unico libro sull’Afghanistan, edito da Feltrinelli, è una congerie di assurdità, su petrolio, gas, potenze argentine, e forse non è innocente). Ma, per quello che se ne sa, non vuole assolutamente essere liberato.

De Benedetti – Quanti dei suoi giornalisti credono alle accuse che giornalmente riversano su Berlusconi oggi, ieri D’Alema, e prima ancora su Craxi? Pochi, sperabilmente. Che si vuole supporre sorpresi all’inevitabile conclusione che operano in malafede: sono presi al laccio del loro personale individualismo, del laicismo inteso come individualismo.
I suoi giornali sono quelli creati da Scalfari. Il quale li ha improntati a un meccanismo di sfruttamento della psicologia laica, della sua dote-debolezza che è l’individualismo incondizionato. Di principio ma anche pratico. Che non si saprebbe dire quanto benefico (l’autonomia del giudizio) e invece speculare all’arricchimento facile e all’anti-democrazia sui cui pretende di vigilare. È un laicismo che non libera ma tiene soggiogati, nella paura costante: muore la democrazia con Berlusconi, o chicchessia, e muoriamo noi alluvionati, oppure disidratati, muore la banca, muore la finanza, che pure è raccomandata, sono morte le istituzioni, già forse alla nascita, tutto vi è morto o vi muore. Nessun lettore, oltre che nessun redattore, è mai cresciuto civilmente (laicamente) con i suoi giornali, e anzi la tendenza è a fuggirne: tutti diventano “comunisti”, qualcuno fascista dichiarato.

Geopolitica – Cosa prepara il suo ritorno? Il ritorno della tribù, del territorio?
È ritornata via Usa, l’ultimo paese da cui la si aspetterebbe, essendo anche il più recente, forgiato unicamente come nazione. Come unità politica cioè, e volontà comune, di popolazioni diverse e spesso nemiche, e tutte non autoctone. Quindi non è una petizione di principio, è una ideologia - un’arma.
È riproposta come utensile di “più” democrazia – comunitarismo, eccetera. Quando invece si sa, tutti lo sanno, che è il moto perpetuo della guerra. È uno strumento di sovversione, ecco cos’è. Forse lo strumento principale di governo del mondo dopo il passaggio degli imperi ideologici. Il Tibet contro la Cina. Che guarda a Taiwan. Il Kashmir contro l’India. L’antislavismo contro l’Europa. Con l’implausibile filo-islamismo pro albanese e turco. Come già i palestinesi, per un cinquantennio, contro il mondo arabo.

Nazione - È friabile. È concetto moderno, e non ben radicato. Legato ancora all’etnia, alla tribù, al mito del sangue, identità troppo minute e selettive per sostenere la nazione. Gli antichi romani erano tribali ma come “casta aperta”, una gigantesca oligarchia. I greci, che pure avevano in comune la storia (i poemi), la lingua, e la classificazione delle istituzioni, cioè il linguaggio politico, trovavano arduo identificarsi in una nazione. Il fattore politico, o della convenienza, è preponderante: la nazione più forte sono gli Usa, che prescindono dai fattori etnici e perfino dalla lingua, ma identificano un interesse comune, sostanziato nella forte Costituzione.

Occidente - L’Occidente è due archetipi, Socrate e Gesù Cristo, entrambi vittime di giudici ignobili. Cristo anche in Appello e in Cassazione.

Ex-post, nella storia greca da rifare, l’Occidente si fa risalire a Salamina, 480 avanti Cristo, o a Maratona, 490 - e perché non a Platea, 497? alle Termopili gli spartani di Leonida furono sconfitti dagli arcieri persiani, è sul campo di Platea che i greci si sono rifatti. La scoperta dell’Occidente è recente, posteriore a quella dell’Africa. L’Europa Bellavista o Belvedere viene con gli Inni omerici, ed è la Grecia. Si vuole che cominci a Maratona, o a Salamina che sia, in una battaglia di libertà contro la tirannia asiatica, mentre comincia a Troia, in una lunga guerra civile. Tra l’altro per una bella Elena che forse era asiatica, dell’Egitto dalla parte dell’Asia, così confidarono i sacerdoti del faraone a Erodoto.

Resistenza – Sono entrati nella Resistenza i repubblichini, a opera di storici e alte cariche dello Stato ex Pci, ma non i liberali, i preti, i militari: Pizzoni, Brosio, Montezemolo, Cefalonia, Porzus. Destra e sinistra sono in Italia in altalena, l’una tiene l’altra. Resistono alla libertà.
Essendo questa Resistenza il mito fondante della Repubblica, se ne capisce la debolezza.

Sinistra – Si dice della cultura che in Italia, Francia, Germania, Usa è di sinistra e non di destra. Lo dicono anche i conservatori, in linea con il loro ruolo di analisti del reale. Ma è una cultura sull’orlo dell’abisso, cioè del nulla, e quindi irrilevante. Propriamente chiacchiericcio: tanti Diogene che smanettano in pubblico.
La sinistra soffre di una scissione permanente tra realtà e utopia, si è sempre detto, tra bisogni e idee, tra politica e intelligenza. Ma ora certo per un motivo diverso che un secolo o due fa. Per l’incapacità del ceto politico espresso dalle masse? Per una superfetazione della sua cultura, ingravidata da ormai quassi un secolo di supremazia indiscussa, benché rubata, opera prevalentemente di Willi Münzinger e il suo formidabile Cominform?
Una supremazia culturale indiscussa, in una situazione generale peraltro ostile (prima della guerra i fascismi, dopo la pax americana), è in sé indice di forte potenzialità politica. Ma poco resta di questa supremazia, in letteratura, nella critica, nella storiografia, nella filosofia, nel cinema, nelle arti, nelle arti applicate, nella musica, specie la musica pop, negli stili di vita: è più un fatto organizzativo e propagandistico – Willi.
Forse il décalage è permanente, a sinistra, fra l’utopia e la realtà, malgrado l’egemonia culturale. La sua realtà è indiscutibilmente modesta: redditi, consumi, beni durevoli, la scuola stessa e la sanità, e quindi ogni esigenza ugualitaria, la sinistra non fa crescere i fattori. La sinistra è culturale – oggi solo massmediatica, forse ad arte – ma di una cultura senza radici nella realtà.
L’intelligenza conservatrice, da Kissinger a Sergio Romano, è invece parte della sua parte politica: la rispecchia e la influenza, la politica non la esclude ma la usa praticamente.

Sinistra-Destra – Tanta dottrina si risolve in Italia in indistinzione: diritti civili, diritti politici, minoranza e maggioranza, esclusi, non ci sono distinzioni. Come la sinistra ha trattato gli albanesi, rimandandoli a casa in aereo (un tempo si sarebbe detto in vagone piombato) o affondandoli,la destra non oserebbe nemmeno immaginarlo.
La passione politica è invece incoercibile, integrista. Intrattabile anche nelle minute occasioni, le più triviali. Non c’è un rapporto di causa ed effetto con l’indistinzione, con la cattiva coscienza?

Socialismo - È caduto con il comunismo, subito dopo, senza obiettivi, senza passione. Undici o dodici governi socialisti hanno retto l’Europa ex occidentale fino a qualche anno fa, e non un’idea, una sola, per la sicurezza, per il benessere nella globalizzazione, per l’unione europea, per le “guerre di pace” e gli altri affari internazionali. Solo la conservazione delle vecchie idee, fallite o superate dai fatti (la globalizzazione, l’immigrazione).

astolfo@antiit.eu

mercoledì 30 giugno 2010

Ombre - 54

C’è sconcerto tra i forcaioli per la condanna a metà di Dell’Utri. Non basta loro che il senatore sia condannato come mafioso, volevano mafiosa anche Forza Italia. Il “Corriere della sera” apre così la prima, a firma Giovanni Bianconi: “Marcello Dell’Utri è stato condannato, Forza Italia assolta. “Il senatore è stato amico dei mafiosi e «concorrente» nei loro reati, ma il movimento politico che ha contribuito a fondare non è il partito della mafia”. La mafia è un reato meno grave che Forza Italia?

Dell’Utri è stato giudicato nel 1997 e condannato. Per l’appello ha aspettato tredici anni. Senza vergogna per la giustizia.

La Corte d'Appello di Palermo, tre giudici professionali, c'impiega sei giorni abbondanti per stilare tale verdetto: Dell'Utri è mafioso fino al 1992, dopo non più.

Marcello Maritati, il carnefice di Rino Formica, è da tempo parlamentare dell’ex Pci. Lucio Barani, deputato socialista, lo ha detto. Il presidente della Camera dei Deputati Fini gli ha inviato per questo una lettera di richiamo: “Non è consentito apostrofare o criticare i membri dell’altro ramo del Parlamento e costituisce una regola di correttezza astenersi da un simile comportamento”. Non è consentito eccetto che a lui, evidentemente, dato che ancora l’altra settima ha aspramente ripreso il Senato e il presidente del Senato. Questo, più che andreottiano, è mussoliniano: Fini deve fare attenzione.

Rosetti, napoleonico arbitro di Argentina-Messico, come si conviene a un arbitro italiano, fischia un fallo a metà campo contro l’asso argentino Messi. Accigliato, ordina a non si sa chi di riprendere il gioco solo al suo fischio. E a passo di carica controlla la distanza della barriera. Ma alla fine dei dieci passi non trova messicani. Poi non vede un fuorigioco che tutti hanno visto, e fa vincere l’Argentina.

I professori di Lettere e Filosofia alla Sapienza, l’università di Roma, che tengono la loro facoltà, la villa Mirafiori, come un cesso, compresi gli odori, la biblioteca avendo ridotto a soppalco, si sono riuniti e, contro la manovra finanziaria, hanno deciso di non fare più esami dopo il 30 giugno. Gli studenti protestano, tanto più che la manovra quest’anno non tocca l’università. Ma i professori obiettano che gli è andata bene: avrebbero voluto anche bloccare le lauree, la “macelleria sociale” meritava questo e altro. La “macelleria” di chi?

S’intenerisce il “Corriere della sera” per Patrizia D’Addario, la nota prostituta barese: la costruzione del suo residence, in un’area vincolata dalle Belle Arti, è “una via crucis”, l’inviato speciale Fabrizio Caccia scrive. C’è da capirla: per il residence si è fatta improsare da Berlusconi, non per i mille euro della tariffa “notte”. Diventerà una “resistente” anche lei, come i professori di villa Mirafiori?

A Toronto Berlusconi dice una barzelletta o fa una battuta e Obama, che gli è accanto, ride divertito, poi scuote per un braccio Berlusconi e gli dà una stretta alle spalle, i gesti della familiarità. Questo si vede sul tg francese. Su Sky Tg 24, invece, e sul Tg 3 Rai si vede solo l’ultima immagine: Obama che tiene Berlusconi sotto l’ascella, alto e augusto.
I tg di Berlusconi, alla Rai e in Mediaset, non hanno nessuna immagine di Berlusconi con Obama. E questo è un segno vero di fascismo, quando il capo si attornia di servi sciocchi.

Si gioca il Mondiale in Sudafrica ma potrebbe essere ovunque. Non un’immagine del paese, delle sue città, nemmeno dei suoi stadi, eccetto il terreno di gioco e gli spettatori belanti. È il calcio che non ha occhi? È la mancanza di curiosità dei cronisti sportivi? Ma chi organizza le lunghe noiosissime ore in tv a ridirsi le stesse cose? L’Olanda ha tanti tifosi in ogni stadio, ma neanche questo hanno saputo spiegarci.

La Cristoforo Colombo, superba autostrada del mare a Roma segnata dai pini marittimi, quelli che sono sopravvissuti alla Repubblica, si snoda nella stagione tra sontuose spalliere di oleandri, bianchi, rosa, rossi, laterali e centrali. Eccetto che negli ultimi cinque chilometri, quando un’imprecisata “normativa europea” spinse l’amministrazione Rutelli a sostituire i guardrail centrali con muretti. Nell’intercapedine dei quali i vivai di regime piantarono rami secchi. Poi la “normativa europea” fu fermata dalle denunce.
Era la coda della guerra tra cementieri e metallurgici, al riparo della “normativa europea”. Ma cosa spinge un sindaco verde a tagliare gli alberi?

Giustizia a Milano: non toccare l'azionista Rcs

Si pubblica la sentenza contro Tavaroli in cui la giudice Panasiti dice quello che tutti sanno: che lo spionaggio Pirelli-Telecom era lo spionaggio Pirelli-Telecom e non di Tavaroli. Tronchetti Provera, padrone di Pirelli, ha diritto a eguale immediato spazio sul “Corriere della sera” per confutare, con l’evidenza grafica più che con gli argomenti, la giudice. Senza che si dica che è azionista e consigliere del giornale.
Fin qui è la normalità, la normalità di Milano, i suoi due pesi della giustizia. Ci sono persone di cui si possono scrivere nella capitale morale d’Italia tutte le infamie possibili, ancorché non delinquenti, per paginate, per giorni, per mesi. E altre di cui non si può nemmeno dire che sono colpevoli. Ma il giorno dopo il deposito della sentenza Telecom, che critica la Procura, la notizia è che il capo della Procura non firma il ricorso. Mentre il provvido Ferrarella si occupa di sancire in prima pagina, sempre sul “Corriere”: “La gip su Tronchetti suggestionata dagli imputati”. Senza vergogna? E' il pm Civardi che si avventa, senza nessuna riserva o critica del giornale, a dire la giudice “contraddittoria”, “apodittica”, “strumentale” a certi “gruppi editoriali”, e “alla weltanshaung di Cipriani” (uno degli imputati). Con strafalcioni di vario genere: essere apodittico è un delitto? Una persona può essere strumentale? E quale sarà la Weltanschauung di Cipriani, a parte la grafia? Il giudice Civardi sa cos’è? E sennò perché ne parla?
Sempre il giorno dopo, cioè oggi, il “Corriere” è costretto a pubblicare una lettera che smonta punto per punto la difesa (d’ufficio?) di Tronchetti Provera. È firmata Marcello Gualtieri, un commercialista cui Civardi ha stroncato l’avviamento e inflitto sei mesi di carcere, per nessuna colpa. Il commercialista lamenta che la sua assoluzione non abbia avuto una riga. De Bortoli, che una volta era garbato, non fa le scuse, e della lettera chiosa: “Per nulla garbata”.

lunedì 28 giugno 2010

La passione di Hemingway, coniugale

Curiosa autoanalisi. Leggibilissima, benché non finita – ma è destino di Hemingway che sempre gli manchi qualcosa, come qui fa mostrare dalla sua “corrispondente dell’Iowa”. E atteggiata, Hemingway è sempre al comando (tradendosi anche: fa l’amore una sola volta in molti mesi, ma tre volte di seguito, a 56 anni). Sfugge al controllo la storia in quanto lettera d’amore a Miss Mary, amore coniugale – storia unica in letteratura. E l’Africa, di cui Hem si conferma il miglior poeta, con tutti i suoi manierismi. Qui vi s’identifica anche, senza snobberie: nei ritmi di vita, lo humour, l’understatement, e la conoscenza sensibile, immediata. È proprio vero che Hemingway, l’ultimo europeo d’America e ben sofisticato, tra Parigi, Venezia e la Spagna, è sempre il ragazzo dell’Idaho, tra boschi, sorgenti e animali, unico maschio con quattro sorelle (quattro anche le mogli).
È l’inizio di quella che sarà la malattia mortale, la depressione? Qui in forma di incubi al mattino (anche Scott Fitzgerald, altro depresso, ha le tre del mattino, dopo la sbronza: alcolismo e depressione non si legavano, prima del Prozac?). È anche un libro sull’orrore di uccidere, tardivo: Hem ne cerca per tutto il libro una giustificazione. È possibile che sia crollato per l’orrore del cacciatore che era stato, la “vera” impotenza?
Ernest Hemingway, Vero all’alba

Giornali giudici e drogati pentiti, nel '39

“Processare gli imputati, dopo che gli inquirenti e la stampa, in combutta, avevano già pronunciato il verdetto, era superfluo. D’altronde, in quei processi, l’imputato era colpevole. Il processo, in pratica, serviva solo a chiedergli se avesse qualcosa da dire prima di essere condannato”. Il luogo di questa italianissima procedura è la Francia, nel 1939. E' così che lo scrittore deve farsi anche inquirente e giudice.
Ambler non è un grande plottista, ma fiuta la storia mentre avviene, e la scrive duratura. “Gli eroinomani sono famosi per la loro perfidia”, da almeno un secolo. La cocaina “è più dannosa per l’organismo, ma mentre bastano pochi mesi per diventare pericolosamente d editi all’eroina, per ammazzarsi con la cocaina ci possono volere parecchi anni”. È solo in Italia che si fanno processi sulla testimonianza di drogati, anche questo Ambler, di passata, dice.
Eric Ambler, La maschera di Dimitrios, Adelphi, pp.235, €9,30

domenica 27 giugno 2010

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (61)

Giuseppe Leuzzi

Perché non si fa l’invocata secessione della Padania? Malgrado i cinquanta miliardi l’anno di Luca Ricolfi che il Sud ruba al Nord - ogni anno la stessa cifra? non crescerà con l’interesse composto?
Non si fa non per il Sud, che non conta nulla. E al quale comunque peggio di così non può andare, peggio dell'unità. Non si fa perché la Padania diventerebbe un Sud, della Baviera, della Svizzera. Le farebbero pure pagare le tasse.
Si è Nord a condizione di avere un Sud. Il Sud senza la Padania diventerebbe invece il Nord di se stesso. Non avrebbe più scuse, si capisce che faccia la faccia feroce a Bossi.

Perché solo il Nord è razzista? Anche in Cina.

Perché solo il bianco è razzista? Anche il bianco dell’India.

Emigrano di nuovo i laureati meridionali. Ora che l’esodo riguarda i laureati Bossi non protesta. Rubano sempre il posto ai suoi figli, come insegnanti, presidi, medici della Asl. Ma per mantenersi devono ricorrere alla famiglia. Che dalla profonda Sicilia, la Calabria, la Campania trasferiscono le loro magre risorse al Nord, per affitti, mezzi di trasporto, supermercati e divertimenti.

“Haaretz”, il quotidiano israeliano, fa due pagine, e “Internazionale” le ripropone, su una Barbara Aiello, rabbina americana, che ha aperto una sinagoga a Serrastretta in Calabria. Sul presupposto che il 40 per cento dei calabresi, dice la rabbina, fossero un tempo ebrei, che l’80 per cento dei 26 milioni di italiani emigrati negli Usa fossero in origine ebrei, e che quindi gli ebrei in Usa… Il delirio della “ricottina” (la massaia va al mercato la mattina a vendere la ricottina, e si vede tornare la sera onusta di tesori, dopo una serie di compravendite). Mentre è vero che c’erano ebrei in Calabria, e ne restano molte tracce, architettoniche, alimentari, linguistiche, ma nessuno ne sa nulla. Nemmeno gli ebrei.

Il controllo del territorio
Il sincero democratico generale Nicolò Bozzo si fa tre anni in punizione, dice, a Messina, e poi, nel 1989, viene destinato al comando della Legione Calabria. Lo dice nel libro intervista con Michele Ruggiero, “Nei secoli fedele allo Stato”: “Nella sede meno ambita, meno desiderata, meno gratificante, meno tutto”, dice. E aggiunge: “La zona con il non invidiabile record dei sequestri di persona in Italia e in Europa”. Che ai carabinieri hanno sempre dato fastidio, si sa.
I sequestri erano opera di due-tre famiglie tra Platì e San Luca, due paesi della marina jonica distanti un’ora a piedi, mezza in macchina, facendo il giro dal mare: la magnificata Anonima Sequestri era piccola cosa, non era la Calabria, non era l’Aspromonte. Ma era impunita, questo sì. Che dobbiamo pensarne, era anche questo un complotto fra criminalità organizzata, terrorismo, massoneria e servizi segreti, come il generale Bozzo indulge a opinare?
In Calabria il generale è poi accolto bene, con grandi speranze della stampa e della società civile, dice, e messo in condizione di lavorare bene. Ma, ritiene, solo per merito suo.

Hugh Tommasi è un giovane di 17-18 anni che, prima di cominciare l’università, ha voluto vedere il paese di suo nonno. Americano quindi di seconda generazione, e senza più legami diretti con il paese, se non lontane cuginanze, che gli servono più che altro come punto d’appoggio. Ma, come tutti i giovani, non disdegna le uscite di gruppo, anche se la comunicazione è difficile, per il mare, il parco acquatico, le discoteche. In queste uscite incorrendo in tre distinti incidenti che l’hanno confuso sul paese del nonno, e un po’ disamorato in questa sua ingenua ricerca delle radici. Cioè l’incidente è lo stesso: il posto di blocco di carabinieri, la richiesta di documenti, i lunghi fermi in caserma per accertare l’identità del giovane. In tre comuni diversi, ma in tutt’e tre i casi con la perdita di alcune ore e qualche ruvidezza.
Hugh non è abituato a essere fermato senza aver commesso nessuna infrazione, in America non si fa. E non porta il documento d’identità perché non ce l’ha. Cioè ha il passaporto, ma non lo porta mai in giro per non perderlo. Ma non ne ha mediato l’idea che i carabinieri controllino il territorio, per reprimere la malavita. Ha ricavato l’idea di un paese dove il sopruso è libero.

Sudismi\sadismi. È perfetto Angelo Panebianco sul “Corriere della sera” il 24 giugno:
IL TEMA VERO: IL SUD ARRETRATO\ LA QUESTIONE NON È PADANA.
Dice, tra l’altro: “Non si può avere una «questione meridionale» che duri ininterrottamente per centocinquanta anni senza che, alla fine, ciò comporti gravi conseguenze politiche. Rispetto a ciò, la Lega è un effetto (il più appariscente), non una causa. Perché l' idea che il Sud sia una palla al piede che frena lo sviluppo del Paese, non circola solo fra i leghisti, ha una diffusione ampia”. Ma al Sud “ci si scontra con l' abulia delle classi dirigenti …. Nelle regioni più disastrate non è in atto alcun piano di bonifica radicale delle istituzioni, niente che lasci intravedere una reale disponibilità a mutare comportamenti e abitudini. Nessuno crede che i servizi pubblici al Sud cesseranno, a breve, di essere scadenti e molto più costosi che in Lombardia o in Emilia, che tante scuole e Università del Sud smetteranno di distruggere capitale umano anziché crearlo o che le amministrazioni locali, con la loro inefficienza, cesseranno di frenare lo sviluppo”.

L’odio-di-sé meridionale
Il commesso all’informatica di un discount di elettronica a Roma è giovale, allegro, un po’ disinformato, anzi parecchio, ma sa ugualmente recuperare, vincere gli smarrimenti del cliente, e vendere. Sigla Walter la nota di ordinazione da portare in cassa, ha una conversazione colta, una parlata mezzo tedesca, forse trentina.
Il commesso alle tv di analogo discount, sempre a Roma, si chiama Santo e ha cadenza siciliana. Sa tutto di quello che vende e risponde a qualsiasi domanda, dalla più tecnica alla più banale. Ma è cupo e fuori ruolo, lo dice anche: “Tanti studi almeno servono a vendere un televisore”. Sente anche il bisogno di dire: “Vengo dalla parte più settentrionale dell’Italia”.
Santo e Walter hanno la stessa età, probabilmente gli stessi studi, fanno entrambi lo stesso mestiere-non-mestiere, mal pagati, si sa, e mal contrattualizzati. Ma l’uno affronta le cose come stanno, e fintantoché fa questa attività di poco impegno e mal retribuita se ne fa una ragione. L’altro si sente in credito col mondo: la Sicilia, gli studi, la generazione, il governo. Ed è per questo sordamente revanscista, in realtà vittimista.
Il vittimismo e la demoralizzazione non erano propri del Sud. Non due generazioni fa, forse neanche una generazione fa. La Lega ha figé il Sud, lo ha impietrito. Ma anche l’ideologia Rai, o democristiana della decadenza (una decadenza ormai lunghissima), dei diritti: il posto, la laurea, i bisogni, sempre insoddisfatti, per colpa degli altri.

In un racconto di Sciascia scritto a venticinque anni per la pubblicazione, e perduto tra le carte ignorate di Vittorini, “Il Signor T protegge il paese”, c’è perfino una mafia che prende “coscienza di essere l’unica cosa viva dell’isola”. La coscienza della mafia era da inventare.
Il racconto è ripreso nella raccolta “Il fuoco nel mare”, insieme con altri testi narrativi che Sciascia ha pubblicato, anche più volte, ma non ha ripreso in volume. Una raccolta di luoghi comuni sulla (contro la) Sicilia come questa era difficile da mettere assieme.

Napoli
La prima nave a vapore del Mediterraneo fu armata da Ferdinando Iv di Borbone, Ferdinando I delle Due Sicilie, varata nel 1818.
La prima ferrovia in Italia fu costruita da suo nipote Ferdinando II nel 1838, Napoli-Portici, sette chilometri a cinquanta km. All’ora, grazie a una locomotiva a vapore inglese appositamente costruita. Progettista l’ingegner Gianandrea Romeo, di Santo Stefano d’Aspromonte. Sei anni dopo la ferrovia arrivava fino a Nocera Inferiore, una cinquantina di chilometri. Non si rubava allora sugli appalti? Nemmeno una piccola revisione prezzi? Neanche nelle ricostrzuioni dopo i tanti grandi terremoti, che anzi si facevano rapide, senza sprechi, con ordine, con ingegneria.
C’era una Napoli, benché borbonica, che ora non c’è più: c’è solo tristezza.

“Le cose che dice la Fiat sullo stabilimento campano le dicevamo noi ventiquattro anni fa”: Prodi interviene su Pomigliano d’Arco, chiedendosi come mai “le teste non sono cambiate”. In una generazione è difficile. Ma forse il bisogno non è poi tanto, quanto quello che Napoli vuol farci intendere. Anche questo è Napoli, dopo un secolo e mezzo di unità.

A lungo l’automobilismo è stato italiano. Si parlava italiano e un po’ d’inglese nei box della gare e tra i motori. Ora i polacchi sanno lavorare meglio degli italiani, dice la Fiat, sono accurati, e più rapidi – sicuramente meglio dei napoletani, si può testimoniare avendo avuto più Alfa di Pomigliano, ma ci vuole poco.

“La feudalizzazione, o rifeudalizzazione, interviene quando uno Stato si disgrega”, il feudalesimo è comunque un ordine. È il caso di Napoli nel Cinquecento, argomenta Fernand Braudel ne “Le Modèle italien”, il capolavoro pubblicato postumo, nel 1989, e lasciato inedito in Italia (ora riedito in fran cese, da Cmaps-Flammarion). Rifacendosi “ai lavori di Giuseppe Coniglio, Rosario Villari, Ruggiero Romano, Pasquale Villani, Antonio Di Vittorio”.
Ma il Sud ha mai avuto uno Stato? S’intende: a parte le signorie, normanna, tedesca, angioina, aragonese? Braudel sembra contraddirsi, poiché subito dopo argomenta: “Ora, lo Stato svenduto all’asta non è precisamente il caso del regno di Napoli?” La Spagna si difese in Europa nelle Fiandre, ha spiegato a lungo, per le quali finirà per vendersi tutto di Napoli, dice ora, “il reddito e anche il capitale”, elencando in dettaglio: “le poste stesse dell’imposta, la proprietà delle giurisdizioni, i diritti regali, più o meno sbrecciati, le dogane del porto, l’imposta sulla seta, i titoli nobiliari, e infine i contadini, cioè i comuni del demanio reale”. Vende ai banchieri (tra essi i maggiori e più attivi, fino all’Ottocento, furono genovesi, tra essi Adorno, Spinelli, Grimaldi, Gagliardi, Perrone) - la cui attività, va aggiunto, è far “girare il denaro”, con girandola quindi di fedecommessi, sui diritti, i comuni, i latifondi, un capitalismo selvaggio che non ha nulla della struttura sociale e legale del feudalesimo. A metà Seicento, si sa da altre pubblicazioni, sui 2.700 centri rurali esistenti nel Regno di Napoli, oltre 1.200 erano infeudati a Genovesi. Prestatori di denaro, alla corte e ai nobili.
“Il conto lo paga il contadino della pianura e della montagna”, conclude Braudel, “produttore di grano, lana, carne, vino, olio, seta”. Anche questo è vero. Vera pure l’ultimissima considerazione dello storico: Napoli si rivolta a metà Seicento, quando tutta l’Europa si rivolta, la crisi è generale, Parigi, Londra, la Catalogna, “ma solo il Portogallo vincerà la partita”.

leuzzi@antiit.eu

Grazie Slovacchia, che ci lasci un po’ di calcio

Una cosa di buono l’eliminazione dell’Italia ai Mondiali di calcio ce l’ha: ci ha risparmiato le pagelle all’arbitro, le moviole, i referendum di studio su ogni punizione, e anzi ogni rimessa laterale, se è corretta, con voto finale di tutti i presenti, la palla se “è entrata” o “non è entrata” a ogni tiro, gli avversari che “picchiano”, oppure non picchiano ma “interrompono il ritmo” con “falli tattici” e presunti svenimenti, “non sanzionati dall’arbitro”, e ogni altro fariseismo processuale. Tutto il pagliettume di Rai Sport, incapace evidentemente di con cepire un po' di vigoroso atletismo, e anche sano perché no. Nonché le impossibili spiritosaggini, sempre processuali, dei commentatori e specialisti vari. Nessuno dei quali, si vede, deve aver mai giocato al calcio, e tutti sono un po’ acciaccati, dall’età, dai malanni, dalle mogli, per cui, invece che di calcio, parlano di intrighi e complotti – il gossip, anche qui, rende, bisogna arrendersi: a loro.
I commenti alle partite dei telecronisti Rai (ma quelli Sky non sono meglio, solo costano tanto) restano farciti di “terreno di gioco”, “sfera”, “specchio della porta”, “una giovane promessa”, “da tenere in considerazione”, ci sono giovani da non tenere in considerazione?, e “la palla ha infilato Muslera” – infilare il portiere, che vorrà dire?, con “gli estremi del calcio di rigore”, che ci sono oppure non ci sono. Sono sintagmi sclerotizzati, direbbe Umberto Eco. È sclerotizzato il calcio? Oppure la Rai? Sono le 18 e Mondiale Rai Sprint non dice quello che tutti gli italiani si aspettano, se e come l'Inghilterra ha perso con la Germania, sette o otto chiacchieroni criticano Collina che critica (o non critica?) la Nazionale, e poi, trionfo, fanno dieci domande a Lippi - uno schema copiato peraltro da "Repubblica", oltre il giornale fondato da Scalfari non sanno andare.
Ma, per le poche partite che la Rai fa vedere, non frega se Dio vuole a nessuno se la rimessa laterale del Ghana è qualche metro più in avanti, e questo è già un gran risultato. Eliminarci i paglietta, almeno dal “terreno di gioco”, è già un immenso risultato, grazie Slovacchia.