Cerca nel blog

sabato 7 giugno 2008

Il Sud degli ottantenni

“Perché il Sud è senza voce”, un articolo di riflessione di Galli della Loggia sulla scomparsa del Sud dall’Italia, ha aperto un dibattito sul “Corriere della sera”, come usava una volta. Raccogliendo in dieci giorni almeno tre interventi di peso. Tutti di ottantenni, La Capria, Giovannino Russo, e Emilio Colombo, che forse va per i novanta. Con argomenti giovanili, di cinquanta e sessant’anni fa - che erano la riscrittura di Salvemini e Giustino Fortunato, la preistoria.
Il direttore del “Corriere” Mieli sarà stato generoso ad aprire il dibattito - se non voleva divertirsi. Gli intervenuti potrebbero non averlo deluso: ognuno a suo modo - ma tutti poi al modo napoletano - hanno testimoniato l'assenza del Sud più efficacemente di quanto abbia saputo dire Galli della Loggia. Il fatto è che il Sud può essere molto meglio, e molto peggio di Napoli. E che comunque non va cercato a Napoli.
Che dire di Napoli? “Il fatto è che per decenni”, scrive Galli della Loggia, “le sue classi dirigenti hanno tratto proprio dalla centralità ideologico-culturale della questione meridionale l’essenza del proprio profilo e del proprio ruolo politico sulla scena nazionale”. Il “fatto”? quale fatto? Ogni parola suscita meraviglia: classi dirigenti? centralità? ideologia? cultura? questione meridionale? profilo politico? ruolo? Lo storico fiuta la novità, ma la riporta alla solita “vecchia tesi” (non c’è saggezza se non è vecchia): alla “antica vocazione delle classi dirigenti siciliane a bypassare Napoli e il Mezzogiorno per mettersi direttamente d’accordo con l’Italia settentrionale”. No, lo sforzo è di tutto l’ex Regno di liberarsi di Napoli e mettersi d’accordo col mondo – liberarsi dei baroni? dei Borboni? No, di Napoli, dell’inferno.
Il Sud non è Napoli. La questione del Sud al Sud è precisamente come liberarsi di Napoli – il vero ponte di Messina, liberatorio, sarebbe sopra Napoli, da Pompei a Formia, da Angioina Est a Teano Ovest. La parte più nobile di Napoli, “Gomorra”, nel libro e al cinema, è proprio napoletana, molto furba. Accattivante, suadente, e traditrice – mai un briciolo di verità a Napoli, è roba da poveracci. La questione morale della mafia, se se ne potesse impiantare una, è significativa: a Palermo costruisce e innova, a Napoli litiga per le strade, accoltella i bambini, e batte i tamburi in faccia alla polizia.
La città sa fare (ancora) molte cose, ma non lo sa dire, o non vuole. E si crogiola – la crogiolano i suoi giornali, i suoi scrittori, i suoi intellettuali – nel tricche e ballacche. Eh sì, Napoli nobilissima e crudelissima è folklore stomachevole. Quell’essere e non essere vischioso, che da troppo tempo mostra un ordito camorristico, marcio anche se da teatro d’infimo ordine, dai disoccupati organizzati agli assenteisti e sabotatori dell’Alfa Romeo, e ai rifiuti, che si vogliono ecologia pura e sopraffina, lo sguardo velato, e non da droghe ma dalla perfidia, e non dei bari e gli assassini, o dei loro compari paglietta, ma di noi, i giornalisti, i magistrati, i carabinieri, i vigili. L'ultimo ministro di Napoli è Pecoraro Scanio. A Pomigliano, dove la Fiat ha concentrato l’Alfa Romeo per farne un marchio da mezzo milione di autovetture, alle maestranze non gliene frega nulla, a loro interessa poter non andare il lunedì. Che Sud è questo? Meno male se non ha più voce.
Il problema è alla radice. Che deve dire il Sud di fronte a Napoli? Che cosa di diverso può dire rispetto al Nord, e al resto d’Italia e del mondo? O di fronte a tutto il sentimentalismo e la rancida sociologia dei polemisti anziani del “Corriere”? Per una diversità del Sud che, insomma, si sa, è l’intervento straordinario? Ma la chiusura della Cassa per il Mezzogiorno è la cosa migliore che sia stata fatta nel dopoguerra per il Sud.
Il problema è che il silenzio del Sud è un’ottima novità, se non sa che parlare sguaiato, nella forte indignazione delle sue figuranti popolane, che non si capisce se sono veline locali o guappe furbe. Per fortuna, avrebbe dovuto dire Galli della Loggia, che il Sud tace, raccoglie l’immondizia e, dove possibile, va di giorno a lavorare.
La questione meridionale è la questione settentrionale. Di uno Stato che si dice meridionalizzato. Lo dicono i corrispondenti del “Corriere”, lo diceva Sciascia, lo dice il Meridione insomma, e questo è parte del problema, è la parte più importante. Mentre si sa che è settentrionalizzato. Perché il Sud non ha mai contato nulla, non sono gli sbirri che fanno la polizia. Perché è corrotto e imbelle, soggiogato al denaro in tutte le sue forme, dal sussidio alla termovalorizzazione e alle energie alternative, cosa di meglio c’è per le coscienze?, passando per la criminalità. La colpa specifica del Sud in questa Italia è di non saper far fruttare il crimine.

Euro miracolo, inflazione senza crescita

Il “Bollettino” della Banca d’Italia a marzo, a maggio il governatore Draghi, giovedì la Banca centrale europea, cominciano a incrinare la corazza del consenso sull’euro. Lo fanno facendosene sempre scudo, ma ne parlano, e pur non volendo lo mettono sotto accusa. Perdurando la crisi finanziaria, delle banche e dell’immobiliare, e perdurando il caro-denaro, dove andremo a finire?
Il presidente della Bce lo dice, anche se colpevolmente non lo mette in rilievo: l’Europa ha l’inflazione senza crescita. L’inflazione è ufficialmente al 3,7 per cento, ma si sa che, senza gli indici addomesticati Eurostat, sarebbe due e tre volte tanto. Quanto alla crescita, non si fa che aggiornare al ribasso le previsioni. Le cause, di Trichet come di Draghi, sono quelle note: il rincaro del petrolio e delle materie prime alimentari, la crisi finanziaria. Ma questi fattori d’inflazione sono attivi in tutto il mondo senza impedire la crescita, anzi. L’Europa in più ha l’euro.
Tutti i fattori di forza dell’euro sono cause della debolezza dell’Europa. I parametri di Maastricht hanno prosciugato gli investimenti. Cioè l’innovazione e la produttività. Mentre l’euro a due dollari (partiva da un cambio 0,80) ha ridotto la capacità di esportazione, il turismo e, di nuovo, gli investimenti. Senza garantire l’Europa dall’inflazione: anche al 3,7 per cento l’inflazione è quasi doppia rispetto al tetto del 2 per cento di Maastricht. In particolare, il falso ombrello dell’euro caro ha messo la sordina ai programmi di risparmio e di sostituzione nel settore dell’energia, i cui rivoli infettano tutto il corpo dell’economia.
Le cause dell’inflazione senza crescita non sono molte, anzi sono solo una: i prezzi crescono malgrado la domanda sia bassa, o – è il caso dell’Europa – in contrazione, perché l’offerta è insufficiente. Artificialmente o naturalmente. Dello shortage naturale è causa l’aberrante Europa dell’agricoltura. Quello artificiale è tutto nell’euro, come lo intendono le vestali della Bce, della cintura di castità.

La sinistra in prigione

Il golpe di Scalfaro ha cancellato i socialisti e i laici, il voto del 13 aprile la sinistra radicale, e ora la corruzione, grave benché dissimulata, minaccia il partito Democratico, con sindaci e imprenditori in affari. Tra Chiaiano e Marano e a Casal di Principe, oltre che alla Regione Campania e a Napoli, e poi a Genova, a Roma con Veltroni per il piano regolatore (e gli altri abusi che emergeranno), a Bologna con Unipol.
Non c’è solo la mancata comprensione delle dinamiche sociali all’origine della debolezza della sinistra. O, che è la stessa cosa, la persistenza di tematiche, dirigenze e parole d’ordine vecchie. Ci sono ora gli abusi che vanno con l’esercizio prolungato e senza ricambio del potere. Che è una beffa: come se la sinistra avesse governato l’Italia, e l’avesse portata alla corruzione. Ma solo in parte, perché la sinistra ha governato, e con tutto l’arsenale che si soleva dire di sottogoverno: lottizzazione, appalti, finanziamenti irregolari.
La nuova questione morale è molto prudente, sia nelle Procure che nell’informazione. Ma anche con un apparato giudiziario-mediatico pigro o compiacente, i fatti emergono e fanno opinione: alla Rai, nelle Asl, nelle innumerevoli aziende comunali (nella dirigenza, nella gestione, specie degli acquisti, nel mercato delle consulenze), negli appalti locali, qualsiasi operatore, imprenditore, funzionario, dipendente, sa che l’unico criterio di valutazione è politico. Senza e con passaggio di denaro. I casi giudiziari aperti sono quelli per i quali l’evidenza è tale che i giudici non hanno potuto non intervenire. Ma la zona infetta è vasta: la corruzione, più che l’incapacità di governare il precariato e l’immigrazione, come altrove in Europa, è la causa della dissoluzione della sinistra in Italia.

domenica 1 giugno 2008

L'invenzione dell'Europa

Ieri l’Europa s’è riunita, e ha condannato il governo italiano sui rifiuti di Napoli. S’è riunita di sabato, quando a Bruxelles il venerdì alle due non c’è nessuno, sono tutti partiti per il week-end, e ha condannato una legge che non ha ancora letto. C’è da molti anni una costante invenzione in Italia dell’Europa, che si può attribuire ultimamente ai banchieri, gente di poca fantasia, i quattro che dirigono i grandi giornali. Rimestatura, insomma, per non saper riempire i giornali altrimenti. Ma che è stata l’invenzione dei corrispondenti a Bruxelles, per il resto inoccupati e annoiati, e per questo affascinante.
L’Unione Europea in Italia si occupa di tutto. Dell’Alitalia, contro la quale ha annunciato per un paio di settimane ricorsi delle altre compagnie europee che invece non li hanno presentati – era l’epoca in cui l’Alitalia doveva andare a Air France. Del grano che non bisogna produrre anche se ce n’è necessità. Del parmigiano, di cui i formaggiai scozzesi – o finlandesi? – possono fregiarsi. E ora, stando ai giornali italiani, dei liquami di Napoli, se effettivamente devono essere liquidi, come la parola sembra dire, oppure allo stato solido, “tal quale”. Nonché dell’immigrazione, se Milano contesta a quattro immigrati il reato di clandestinità – ma non ne occupa in Spagna, che ogni giorno deporta centinaia di immigrati, senza nemmeno contestare loro la clandestinità.

La pace a geometria variabile in M.O.

Si farà dunque la pace tra Siria e Israele. Tra un anno.
I regimi arabi vogliono reagire all’estremismo, politico e islamico, dalla penisola arabica alla Siria. La nomina di una donna, ebrea, ad ambasciatore di Bahrein a Washington, è più che una provocazione, è una dichiarazione di guerra. Anche la Siria è su questo fronte, e ha già giocato in tal senso qualcuna delle sue poche carte. Michel Suleiman, l’onesto generale nuovo presidente del Libano, protegé della Siria, è andato al Cairo da Mubarak prima di candidarsi ed essere eletto. Mubarak è la cerniera tra il fronte arabo moderato e gli Stati Uniti. Mentre la famiglia Assad, che governa la Siria, per la prima volta da una trentina d’anni non se la passa molto bene. Assad chiede solo garanzie che non sarà sottoposto al Tribunale internazionale dei crimini di guerra per l’assassinio di Hariri e altri uomini politici libanesi a Beirut, per il resto è disposto alla pace. Alla pace negoziata direttamente con Israele.
Breve storia della Siria
La storia della Siria è quella del partito Baas, fondato negli anni Trenta a Parigi da due intellettuali siriani, Michel Aflaq e Salah el Din el Bitar. L’uno cristiano siriaco, l’altro musulmano sunnita, entrambi alla Sorbona, entrambi socialisti, entrambi nazionalisti arabi, di un nazionalismo che contempla la rinascita dell’islam (il cristiano Aflaq morirà nel 1996 musulmano, e non solo per compiacere Saddam Hussein, di cui era in qualche modo ostaggio), Aflaq e Bitar ottennero uno sbocco politico negli anni 1950 in Siria e in Iraq aprendo il Baas, nel nome del laicismo, o del superamento delle confessioni, alle minoranze religiose e tribali. Che tutte indirizzarono alla carriera militare, l’unica aperta all’interno delle comunità dominanti, sunnita e sciita.
Saddam Hussein occuperà poi il potere nel 1970 con la sua minuscola tribù familiare e di clan. Hafez el Assad nello stesso 1970 rovescerà da ministro della Difesa il filosovietico Salah Jedid, il generale del Baas che per primo aveva preso il potere, e governerà con la metà degli alauiti, la minoranza cui egli appartiene, che sono in tutto il 4 per cento delle popolazione. Non era bastata a Jedid la sconfitta del 1967, quando perse il Golan ignominiosamente, per essere allontanato dal potere. Ma quando a settembre del 1970 sostenne l’Olp contro re Hussein in Giordania, Assad agì.
Hafez Assad ha poi governato per un trentennio senza problemi. Ma l’erede e figlio Bashir ha ora difficoltà a tenere il paese, con il sue due per cento di fedeli, e con una famiglia che è soprattutto femminile, di suocera, moglie, sorelle e cognati.
Trattativa diretta
Bashir Assad da almeno un anno collabora col fronte Usa alla frontiera con l’Iraq, e nel controllo dell’armamento di Hezbollah nel Sud del Libano. Si prenderà il Golan, seppure demilitarizzato, e potrà fare la pace con Israele. A questo punto in guerra rimarrà solo Hamas. Che però Israele e Washington conoscono molto bene, avendolo praticamente creato un funzione anti-Arafat. Hamas si è rigenerato con i volontari kamikaze e con la Nakba, la Catastrofe araba per mano di Israele, ma è realista. I palestinesi lo sono. In un certo senso la pace è possibile, ma non prima di un anno.
Ci vuole un patrocinio indiretto, e una garanzia, alla pace con reciproco riconoscimento tra Siria e Israele. E per questo ci vuole una nuova presidenza alla Casa Bianca. George W.Bush ha improntato la sua presidenza al non intervento, non in materia diplomatica, né militare, né economica, là dove gli Stati Uniti non sono impegnati direttamente. Non ha avviato perciò e non intende avviare alcuna iniziativa di pace in Medio Oriente. Ma il broker arabo alla pace non basta, che sarebbe solo Mubarak. L’Arabia Saudita, che sostiene l’esigenza del riconoscimento internazionale senza riserve per Bashir Assad, col quale governa il Libano, non può esporsi sulla questione della pace. E anche Israele d’altra parte ha bisogno di tempo. Olmert sta per lasciare, e se ci sarà una campagna elettorale questa inevitabilmente verterà sulla pace.

Napoli in cerca della vittima, An vacilla

Non bisogna sottovalutare Scalzone, i centri sociali e i black block: Napoli aspetta con ansia la prima vittima, sia soltanto un ferito, della lotta di popolo per la libertà d’immondizia. Centinaia di giudici e migliaia di paglietta sono sul piede di guerra, dichiaratamente.
Sono tanti gli avvocati che si aggirano per Chiaiano e dintorni, vantando connessioni, vere o meno non interessa, con la Procura e il Tribunale. La sola cosa che è mancata alla resistenza di popolo sulle barricate della spazzatura è il martire. È stato un caso, in Italia ci sono sempre morti nelle manifestazioni, figurarsi nella lotta giusta contro le discariche, e Napoli vuole porre rimedio.
La partita è avvincente anche perché a Chiaiano, ormai è assodato, c’è di mezzo pure la camorra,. Non i guappi, la camorra feutrée degli affari. Si deve probabilmente al controllo camorristico se finora è stata evitata la vittima, nel presupposto che su Chiaiano ci sarebbe stata un’intesa col governo di Roma, come già col Comune di Napoli e con la Regione Campania. Ma ora Roma ha sostituto l’ex capo della Polizia Di Gennaro, uno abituato a certi patti, col puro e duro Bertolaso.
È stata un’imprudenza? Da An, a Napoli e Roma, viene già una distinta fronda sull’intransigenza del governo. Bertolaso tra l’altro si è irrigidito ulteriormente dopo gli arresti dei suoi sette dirigenti e dei sette dirigenti dei Cpt decisi dal gip napoletano Saraceno.

Zero in comunicazione al Comunicatore

Rieccolo, è tornato al governo ed è di nuovo quello di prima, superficiale e inconseguente. Sono riusciti perfino trovargli a Bruxelles qualcuno in grado di condannarlo – per i rifiuti di Napoli – un giorno di sabato. E gli agitano come avversario nientemeno che Scalzone, che squalifica ogni causa. Berlusconi, di cui la sinistra denuncia il monopolismo dell’informazione, si dimostra sempre un pessimo comunicatore: nei giornali e nei telegiornali, qui soprattutto, il suo governo ha già fatto una diecina di passi falsi, mentre ancora non si sa. Nei giornali stranieri, tanto importanti, non solo per il voto degli italiani all’estero, si può anzi dire che l’immagine negativa sia promossa da Palazzo Chigi, tanto è screditata e ampia.
Berlusconi in realtà, malgrado tutte le sue televisioni e i suoi giornali, ha sempre avuto una struttura comunicativa debole a Palazzo Chigi. Anzi inesistente a paragone della presenza nell’informazione di Prodi o D’Alema. Lui solo parla, nelle interminabili e inutili conferenze stampa, si ascolta, si piace, e questo è tutto. I suoi portavoce sono polemisti sterili, a volte solo gentili, e nient’affatto intromettenti. Qualsiasi esperto di comunicazione non italico gli riconoscerebbe talento (modesto) di gigione, e gli darebbe zero in scienza della comunicazione.
Se ne dovrebbe inferire una valutazione positiva sulla democrazia in Italia. Ma per una volta i nemici di Berlusconi hanno ragione: c’è un dovere del governo di spiegarsi e farsi conoscere. Anche perché l’informazione è una brutta bestia, va governata. Nessuno accusa Prodi o D’Alema d’intromettenza nell’informazione, hanno fatto il loro dovere di capi del governo. Mentre non passare l’esame quando si elimina la spazzatura a Napoli, o perché si è adottato un provvedimento equilibrato sull’immigrazione, questo è una colpa.

Draghi scopre la produttività - e l'euro?

Già sei mesi fa, nella Trimestrale di cassa del governo Prodi a fine settembre 2007, si poteva leggere una diagnosi accurata del deficit di produttività, accumulato dall’Italia da una dozzina d’anni. Ora lo scopre la Banca d’Italia di Mario Draghi, e non è male. Draghi ha scoperto finalmente pure l’inflazione, e anche questo non è male. E un eccesso d’imposizione fiscale, soprattutto sul lavoro. E uno non può che complimentarsi. Ma quando scoprirà, lui come gli altri governatori dell’area euro, il terribile vincolo alla produttività, soprattutto della spesa pubblica, e alla crescita del reddito che è l’euro nella gestione meccanicista della Bce-Bundesbank, allora forse si sarà meritato anche lo stipendio.
La politica monetaria è sempre la grande trascurata nel dibattito ormai decennale sul perché l’Italia e l’Europa non vanno tanto bene. Che è invece centrale, lo è stata, lo è e lo sarà: se stringiamo a vuoto la cinghia da tanti anni è perché così volle la Bunsesbank, che ha creato la Banca centrale europea e la governa. Si dice per proteggere l’Europa dall’inflazione mentre nei fatti la fomenta. La politica monetaria come tutto l’insieme delle politiche malthusiane che reggono l’Unione.
Il petrolio è caso di scuola. L’euro al doppio del dollaro (era 0,80, ora è a 1,60) si dice che dimezza il costo del barile, mentre è invece la causa prima se il barile è passato da 60 a 120 dollari. Per di più senza gli inevitabili risparmi nei consumi di energia (programmazione dell’energia, revisione degli approggionamenti, insomma, una politica dell’energia) che l’Europa e l’Italia si sarebbero sicuramente dati con un euro onesto sul dollaro, con un cambio che rifletta i valori delle due aree monetarie. Poi c’è sempre il caso delle politiche agricole restrittive in fase di shortage prolungato mondiale delle materie prime, e quasi di carestia. E c’è, per l’Italia non solo, una gestione belluina, ragionieristica, del debito. Che non può che produrre “manovre” a ripetizione, shortage del reddito disponibile, investimenti e produttività insufficienti e perfino negativi, e altro debito.

Dov'è finita la recessione Usa?

Già sei mesi fa si poteva tranquillamente annotare che della recessione in America, che tanto angustiava l’Italia, solo l’Italia, non c’era traccia. Si ha recessione quando per due trimestri consecutivi gli indici dell’economia sono negativi. Ma negli Usa l’economia continuava ad andare bene, malgrado la crisi dei mutui terrificante, meglio che nel resto dell’area Ocse. La crisi dei mutui è terrificante perché riguarda il cuore della produzione e non la speculazione, il credito e le banche. E tuttavia gli Stati Uniti ancora prosperano. Ma ora che è acclarato che l’economia Usa va bene, non ce n’è traccia in Italia. Mentre sarebbe necessario saperlo: non per altro, ma per sapere di che morte muoriamo.
L’Italia non va male perché l’economia mondiale va male, come fu dopo l’11 settembre. Il mondo va bene, gli Usa, la Germania, l’Asia, che sono gli interfaccia dell’Italia, e malgrado ciò l’Italia va male. Il governatore Draghi, che lo sa benissimo, si limita ad accennarlo, perché lui è politicamente corretto, vuol’essere il futuro ministro del Tesoro del partito Democratico, e non scomoda il pensiero unico – è stato più esplicito l’ingegner De Benedetti. L’Italia va male perché paga l’energia più caro di tutti, non ha nessuna concorrenza alla distribuzione, grande e piccola, ma combines al rialzo, ha tasse sproporzionate al consumo, e una spesa sociale troppo presa dalle pensioni, che il sindacato fermamente vuole a 58 anni, per cui non ce n’è abbastanza per le infrastrutture, se non a prezzo di nuove tasse, al consumo o patrimoniali.