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sabato 13 agosto 2022

Una religione dell’odio

La polizia americana tende a rubricare l’attacco contro Rushdie come un fatto isolato, da “lupo solitario”. Forse ai fini giudiziari, ma il tentato assassinio, previsto, prevedibile, è l’ultimo atto di una persecuzione mortale. Ordinata da Khomeini, reiterata da Khamenei, i due grandi ayatollah di un islam oscurantista che da quarant'anni tiene in ostaggio un paese di grande cultura e civiltà, l’Iran Rushdie è solo la punta dell’iceberg di un intero mondo di perseguitati dall’islam iraniano. In Iran: tantissimi gli intellettuali, oltre alle persone comuni, perseguitati, anche se buoni iraniani, anche se buoni islamici, perché non graditi a qualche ayatollah. E fuori – basti l’assassinio nel piazzale della Farnesina del buonissimo credente Hossein Naghdi, impunito perché attribuito al governo iraniano.

Su Rushdie era stata messa una taglia di 3,3 milioni di dollari. Non iraniana, per molti indizi. E qui entra in gioco la penisola arabica, ora baluardo del cosiddetto Occidente per il petrolio e il gas: principati, emirati e regni finanziano ogni sorta di attività in qualche modo connessa con la professione di fede islamica. Anche il terrorismo. Dapprima sicuramente Al Qaeda, agli inizi. Poi, e tuttora, il terrorismo in Africa, dalla Somalia al Senegal e alla Nigeria. Nei quasi cinquant’anni dalla prima crisi del petrolio, 1973, i nuovi ricchi della penisola arabica hanno speso moltissimo per conquistare all’islam l’Africa subsahariana: moschee soprattutto, qualche ospedale, qualche scuola, e molte spese ostensive, in favore dei notabili, dalle dimore di marmo con piscine ai cavalli del polo. In un quadro irredentista-sciovinista - la cosiddetta guerra santa è intesa (predicata) come risarcitoria. Dare la caccia a uno scrittore, per un romanzo non letto, per trenta e passa anni, e ucciderlo, provarci, questo non è religione.

Cronache dell’altro mondo – elettorali danarose (210)

“Più di” mezzo miliardo di dollari è stato speso per la campagna elettorale di medio termine, il 4 novembre. Con tre mesi quindi ancora di campagna elettorale – e quelli di attività più intensa.

La spesa è documentata, ma si sa che è inferiore a quella reale, e anche molto inferiore: molte spese elettorali si fanno “non documentate”: moltissime organizzazioni di varia natura, di interessi privati di parte, concorrono alle elezioni con coperture di spese invece che con finanziamenti diretti.

Una cifra cospicua, per esempio, secondo “The New Yorker”, pubblicazione di fede professa Democratica, attorno a cinque milioni di dollari, sarebbe stata spesa dagli organismi elettorali Democratici per favorire alle primarie repubblicane candidati trumpiani, considerati più deboli, più facili da battere, a novembre.

L’ebreo errante narrato da un israeliano

Alla fine si ritrovano insieme, “la bella e fiera Stefa che da quando era ragazza gli intellettuali cercavano di toccare tramite le loro idee, e il figliolo stordito dell’orologiaio che lei aveva scelto e amato e preferito”, orologiaio anche lui, infine pastore (di pecore) di giorno e matematico di notte di fama mondiale. Ma è una falsa storia a due: Stefa e il figlio dell’orologiaio si sono separati in Polonia quando sono arrivati i tedeschi, e vivono vite separate, lui piccolo sionista a Tiberiade dopo un viaggio omerico, lei a capo di una qualche branca dello spionaggio sovietico.

Un racconto bizzarro, di cose viste in Israele (il kibbutz, Tiberiade, il Golan) e immaginate altrove, che l’editore qualifica di fiaba, ed è quello dell’ebreo errante, fatto da un israeliano. Con ironia, con leggerezza, anche irrispettoso, qui e là. Con le donne belle, intelligenti e frigide. Con le famiglie – il figlio dell’orologiaio, se non è un errore di stampa, a un certo punto, a p.17, oltre che la moglie Stefa ha abbandonato anche una figlia, perché non ci vuole pensare: “La nostalgia era un’esca tossica, una freccia avvelenata”. Con la Polonia e i polacchi. Con la “Chiesa cattolica”, di cui mostra di conoscere i riti e le preghiere, ma non si priva delle “toledoth” su Gesù e Maria, la verginità, il figlio di, etc. Con gli ebrei naturalmente. E a lungo con il kibbutz – quando muore Ernest, il segretario del kibbutz, Stefa si riunisce col figlio dell’orologiaio, e il figlio di Ernest, dato per minorato, trova l’amore.

Una piccola kermesse dal 1939 al 1967 – il finale è sotto i cannoni siriani dall’alto del Golan.    

Amos Oz, Tocca l’acqua, tocca il vento, Feltrinelli, pp.197 € 16

venerdì 12 agosto 2022

Tutta colpa dell’Fbi

Ha cominciato il giudice che ha ordinato al perquisizione, Reinhart, uno che aveva lasciato la magistratura per dieci anni, per fare soldi come avvocato nel processo a Epstein, il miliardario delle minorenni, una specie di avvocato Taormina, ingiungendo al ministero della Giustizia di rendere pubblico il mandato di perquisizione, “entro il 15 agosto”. Poi lo scaricabarile ha fatto valanga. Il ministro della Giustizia Merrick Garland si è presentato in confereza stampa per dire, occhi bassi, una dozzina di aprole, “la procedura è in corso per pubblicare l’ordine di perquisizione”, e via, senza rispondere a una sola domanda. Mentre i suoi uffici facevano sapere a “Newsweek” che  perquisizione si è fatta sull’informativa di un confidente Fbi. La perquisizione è quella nella residenza di Trump. Il giudice Reinhart avrebbe proceduto per una sua ipotesi di spionaggio - Trump spia.

L’incursione probabilmente non ha portato gli effetti desiderati, se ora se ne fa una colpa, e la si addossa alla polizia federale, che non può difendersi pubblicamente – se non appunto con le indiscrezioni. Mentre si moltiplicano le ripercussioni negative della perquisizione. La più importante è che il ministero della Giustizia troverà difficile ora, a meno di prove che ancora non ci sono, incriminare Trump per l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021.

Ma, quale che sia il destino personale di Trump, è la politica di pacificazione di Biden che è stata colpita con l’incursione. Che trova la disapprovazione anche manifesta di molti democratici, oltre che dei repubblicani, anche non estremisti – si arriva a parlare del mite Biden e della sua amministrazione come di un regime. Mentre un dubbio insidioso fa capolino: che l’“isteria” anti-Trump è opera di Washington e New York, dei media orientali, e più spesso di giornalisti e commentatori “non-americani”, venuti cioè da fuori, dal Russiagate in poi – il Russiagate inventato da Putin?

Insomma, c’è di peggio della “colpa è dell’Fbi”: l’America, che pure Trump lo ha votato, ci ha perso la bussola. Non una buona opinione pubblica alla guida dell’Occidente.

Cronache dell’altro mondo – perquisitorie (210)

La perquisizione dei trenta agenti Fbi nella residenza di Trump si è svolta con l’esclusione dello staff della residenza e dei legali di Trump. Per consentire l’invalidazione dell’irruzione qualora dovesse far emergere prove di reato a carico dell’ex presidente (Trump vi ha già accennato, seppure in forma interrogativa, “prove sono state occultate dagli agenti?”)?

Il giudice che ha ordnato la perquisizione, Reinhart, uno vicino alla politica, con donazioni ai Democratici e ai Repubblicani, già aveva Trump nel mirino su facebook. Ora lo sospetta di spionaggio - per farne una vittima?

Sarà difficile far valere delle prove contro Trump che fossero state trovate nella perquisizione.

Il “New Yorker”, il settimanale di New York online tutto il giorno, tra i più incondizionali anti-Trump, ha ingiunto al ministro della Giustizia Merrick Garland di dire perché ha autorizzato la perquisizione. Dopo aver deriso in apertura Liz Cheney, la deputata repubblicana (figlia del vice-presidente di Bush jr, animatore delle guerre al mondo islamico) che è stata la vedette del dibattito alla Camera dei Rappresentanti contro Trump per l’assalto al Congresso. La “kamikaze Liz Cheney” la chiama, ricordando che ancora nel 2019 in tv “derideva i Democratici come «il partito dell’antisemitismo, il partito dell’infanticidio, il partito del socialismo»”, chiedendosi in conclusione: “Se è così orrificata dalla guerra di Trump alla democrazia, perché ha aspettato fino a dopo l’elezione di novembre 2020 per accorgersene?”


Grandi dame alla corte di Canova

Francia mette subito Canova accanto a Chateaubriand, “due nomi e due uomini che hanno invaso la scena, come poche altre tumultuosa, dei primi decenni dell’800”. Entrambi “nell’orbita degli astri maggiori di quel momento”, l’Imperatore e il Papa. “Ambedue egualmente vezzeggiati, adessati, idoleggiati”, che volentieri se ne approfittano, ma non senza colpi di testa. “Lo scultore si adatterà a modellare il busto colossale, glaciale ed esangue di Napoleone”, lo scrittore a fare il ritratto di Leone XII. Ma, poi, lo scrittore vivrà amareggiato dalle “monarchie che lo avevano messo alla porta”, come già Napoleone Primo Console, da lui imprudentemente intronato come “nuovo Ciro che ha ricostruito sulle rovine il tempio di Jehova”. Lo scultore “non ci penserà due volte a trasformare la statua della Religione cattolica, rifiutata dai Canonici di San Pietro perché troppo pesante, in quella della Religione protestante per la cappella di Belton”.   

Due caratteri volitivi e intraprendenti. Li accomuna in questa pubblicazione Delfina de Custine, per alcuni anni amante ufficiale di Chateaubriand, e Giulietta Récamier, in conttato più o meno stretto con Chateaubriand per trent’anni – oltre che con Augusto di Prussia, e molti altri corteggiatori. Menre Luisa Stolberg è Louise Maximilienne  Caroline Emmanuelle of Stolberg, più nota come contessa d’Albany, da legare ad Alfieri. Canova era al centro di questo bel mondo europeo, un po’ per il successo straordinario della sua Paolina Borghese Bonaparte, un po’ per il carattere, e molto anche per la bottega a Roma, che forniva spezzi sempre importanti, classici e d’autore. Delfina de Custine sua ammiratrice era anche buona pittrice. Il figlio Astolphe, in “La Russia nel 1839”, racconterà che la madre apprezzava di Canova la semplicità e la naturalezza, e che si divertiva agli aneddoti che raccontava in dialetto veneto – “Un giorno le dissi: con la vostra immaginazione romanzesca sareste capace di sposarlo! Non sfidatemi, rispose sullo stesso tono, se non fosse divenuto marchese d’Ischia ne sarei stata tentata”. Amabilità – Canova fu fatto marchese dal papa il 31 dicembre 1815, in ringraziamento dell’opera prestata per il recupero in Francia di statue e quadri asportati da Napoleone.

In quanto amica di Delfina, è in scena anche, in una particina, Rahel Varnhagen, che a Berlino teneva il salotto più importante d’Europa, e scrive a Canova in italiano.

Canova intratteneva le dotte, spiritose, ricche ammiratrici con le stesse piccole galanterie: ciocche di capelli, fiori, aneli, lucerne, stampe.

Una straordinaria raccolta di lettere inedite delle tre dame, la cui corrispondenza  con più interlocutori è andata distrutta, conservate nell’archivio Canova di Bassano del Grappa. Con annotazioni che ne fanno spesso racconti a sé stanti.  

Ennio Francia, Delfina de Custine, Luisa Stolberg, Giulietta Récamier a Canova, Edizioni di Storia e Letteratura, remainders, Firenze Libri, pp. 175 € 4

giovedì 11 agosto 2022

Problemi di base dolorosi - 709

spock

“Arcano è tutto\ fuor che il nostro dolor”, Leopardi?

 

“Il poeta è un fingitore.\ Finge così completamente\ che arriva a fingere che è dolore\ il dolore che davvero sente”, Pessoa?

 

“Non vi è rieducazione per chi soffre di sé”, Nietzsche (“Così parlò Zarathustra”)?

 

“Liberatevi del male, vi resterà del bene. Liberatevi del bene, che vi resterà”, Henri Michaux?


Se è giusto operare di tumore una persona settantacinquenne (Germania)..

Se è giusto non operarla (Germania).

spock@antiit.eu

Cronache dell’altro mondo – militarizzate (209)

“La militarizzazione delle agenzie federali contro gli oppositori politici del Regime” denuncia il governatore della Florida DeSantis, che intende candidarsi alle prossime presidenziali per il partito Repubblicano in concorrenza con Trump, in difesa dell’ex presidente dopo l’irruzione di Polizia nella sua residenza in Florida. “Gente come Hunter Biden (il figlio del presidente, in affari sempre discussi, n.d.r.) viene trattata con i guanti. Perché l’Fbi non ha mai perquisito la casa di Hillary Clinton dopo che ha fatto sbiancare informazioni riservate da un server privato, e poi ha distrutto trentamila email che erano sosso citazione?”

DeSantis attacca in particolare l’aumento degli effettivi dell’Irs, l’agenzia fiscale, di 87 mila unità: “Con queste assunzioni l’agenzia è ora più grande del Pentagono, il Dipartimento di Stato, l’Fbi, e la Polizia di Frontiera messi assieme, e MILIARDI di dollari si dirottano a queste assunzioni”.

Le agenzie federali sono state politicizzate dal partito Democratico, accusa DeSantis. Che chiede il controllo politico delle stesse.

Il giudice che ha ordinato la perquisizione, Reinhart, di Palm Beach, di simpatie politiche bi-partisan, ha ingiusto al ministero della Giustizia di rendere pubblico l'ordine di perquisizione da lui firmato, entro il 15 agosto.

Il re s’ingravida

Il re di Bironia (ironia? Byron?) ha undici figlie, tutte femmine. E il dodicesimo parto, che infligge alla regina, già malconcia? Il maschio, l’erede. Un maschio? Finché il futuro re non s’ingravida – che non è uno spoiler, altre sorprese seguono. Il Palazzeschi felice, noto bucaiuolo fiorentino, e quindi, un secolo fa, incognito.

La raccolta riprende la riedizione La Vita Felice, del 1995 – la prima dopo quella curata da Palazzeschi nel 1922, in volume singolo. Quindici racconti, brevi e brevissimi, con l’eccezione di quelo del titolo, anche prolisso per l’aneddoto – ma non, evidentemente, per le trovate scoppiettanti. Tutti in chiave ironica, e anche sarcastica. Ma sempre sul fondo umbratile, quasi sentimentale, della narrativa “toscana”.

Con una nota al testo bibiliografica e filologica, e una prefazione, di Rita Guerricchio, che sistema la raccolta all’interno dell’opera di Palazzeschi, ancora futurista ma sempre a modo suo.

Aldo Palazzeschi, Il re bello, Otto\Novecento, pp. 213 € 16

mercoledì 10 agosto 2022

Secondi pensieri - 490

zeulig

Discrezione – Ritorna sempre con Shakespeare, “The better part of valour is discretion”, dall’“Enrico IV, parte 1”, che però non la intendeva veramente come discrezione, riservatezza, ma nel senso contrario come furbizia, ingannevole, progettata. Se la professa, verso al fine del dramma, Falstaff decidendo di fingersi morto per non rischiare nella battaglia – e parlandosi da sé a sé aggiunge che è stato lui a uccidere il nemico temibile Hotspur, che era morto di suo.

Non era dunque una virtù al tempo di Shakespeare. “Discrezioni” Mary de Rachewiltz, la figlia di Ezra Pound ha intitolato il racconto dei suoi primi anni, di vita e di formazione, in Alto Adige, come di una vita segreta – era figlia non riconosciuta, in affido ai montanari – ed è un racconto di gratitudini. Discretion, discretions, suona in anglo-americano più come indiscrezione, seppure non offensiva.

Come riservatezza sarà stata una virtù, ma non lo è da tempo immemorabile – almeno in letteratura, quella storica compresa: non si è se non si dice, e più che dire, non si impone - non ci si impone. Nonché non essere esercitata, si direbbe che non esiste.

Sembrerebbe virtù religiosa, ma non è tra quelle cardinali (si può farla rientrare nella temperanza?) né teologali.

Una parola di poca fortuna?


Entelechia – Concetto complesso che però si può identificare (tradurre) nell’avatar ora ricorrente: un modello più che un copia, di funzionamento e anche di aspetto. Nella formulazione di Goethe, per esempio, come archetipo della pianta, di ogni specie vegetale, che rimane se stessa attraverso le differenti condizioni (ambientali, climatiche) che attraversa. O di Leibniz, della monade “centro di energia” autonomo, che pur collegandosi a tutte le altre monadi nell’armonia celeste, divina (non diversa dall’“anima del mondo” di Campanella, meta comune di tutti i viventi, ognuno animato a un proprio fine), rimane e ritrova sempre se stessa.

 

Filosofia-Occidente  – “La filosofia è il linguaggio dell’Occidente”, Massimo Cacciari, intervista con Candida Morvillo, “Corriere della sera”, 19 aprile 2029: “Costituisce la forma del suo sapere e del suo agire, fornisce i concetti fondamentali per intenderne l’inquietudine, le tragedie e la stessa follia”. Semplice.

Il “logos incarnato” si può dire l’Occidente? “È il pensiero che s’incarna, il pensiero è azione, è la prima e fondamentale delle forme del nostro fare”, ancora Cacciari: “Nulla è producibile che non sia pensato. Se nella civiltà europea si è sviluppato un pensiero scientifico di un certo tipo è anche perché, nella sua tradizione, rimane fondamentale quel prologo del vangelo di Giovanni in cui è detto che il Logos si fa carne. Lì è una rivelazione religiosa, ma lo stesso principio vale anche per la filosofia dell’Occidente”.

 

Nostalgia – “Un paradosso”, Vito Teti, “Restanza”, 76-77: “Il nostalgico che per addizione etimologica (nostos, il ritorno omerico, e algos, dolore, n.d.r.) sta fermo e non riesce ad andare avanti, non è chi resta ma chi si mette in viaggio, il migrante, l’esule. Restare, paradossalmente, sembra una condizione desiderabile, tranquilla, pacificata, in un mondo in dispersione e in dissoluzione. La nostalgia degli emigranti, dei partiti e dei rimasti svela che il desiderio che nutre il sentimento del nostalgico non è il ritorno al luogo lasciato o perduto, ma la riappropriazione del sé inveratosi nel tempo passato”. Una sorta di auto-cresima, di consacrazione. Si è nostalgici però a tempo perso. 

 

Stato – Nietzsche lo condanna in “Così parlò Zarathustra”, parte prima, al §”Del nuovo idolo”, in termini anarchici – meno vaneggianti rispetto agli altri profetici “così parlo Zarathustra”. Ma è vero che non si saprebbe finora definirlo. Se non, probabilmente, solo al modo di Max Weber, come quello che ha il monopolio legale della forza. La definizione giuridica di Jelinek è solo negativa, dice le condizioni per avere uno Stato, ma non la sua natura (entelechia, finalità) e il suo funzionamento: un territorio dai confini determinati, una popolazione stanziata su questo territorio, un’autorità in grado di governare popolo e territorio – e la lingua, la storia o cultura, il patrimonio etico-religioso condiviso?

È nozione recente, si dice anche, creata in Eiropa, a partire dal Duecento, attraverso la demolizione-scomparsa dei regimi feudali, con l’autonomia urbana, delle “città-stato”, e poi con l’emergere delle famiglie di ottimati, quindi principati. Fino a Machiavelli, che ne accenna nel “Principe” come “dominio”. E a Bodin, che ne delinea i contorni di potere assoluto – delinea i contorni della parola “Stato”. Mentre nel Duecento i Normanni nel regno del Sud creavano feudatari, proprio perché erano una famiglia regnante, con  l’autorità derivata dalla vecchia impalcatura imperiale, seppure sempre più evanescente a petto della feudalità che essa aveva creata. Lo Stato per eccellenza essendo stato in Occidente l’impero romano. Alla pari degli imperi asiatici, ma fin dai tempi angusti dei re di Roma, e forse di Romolo e Remo, i fratelli coltelli.

 

Lo Stato è una derivazione della condizione tribale. E dello spirito tribale, ancora più forte della condizione. A cui può sopravvivere ancora a lungo. Uno spirito vivo anche se non più in condizione d’identificarsi, non giuridicamente o politicamente. Si vede dalla difficoltà che ha l’Europa di federarsi, malgrado gli enormi  benefici che ne deriverebbe, dopo secoli di nazioni-Stato indipendenti e armate l’una contro l’altra. O della Federazione Russa, risentita ovunque, nelle aree di confine e anche in molte aree al suo interno, come un impero conquistatore e devastatore – di spiriti tribali ancora resistenti, pur dopo secoli  di dominio russo.

 

Tribalismo – In fondo, le storie più largamente diffuse e comprese, e anche amate, sono quelle di Omero, che sono – Erik Havelock – “un’enciclopedia tribale”, di più tribù.

A suo modo ne fa la teorizzazione antropologica Vito Teti in “Restanza”, là dove dice casa quella in cui si è nati, si è cresciuti - fino ai riti di iniziazione, di maturità, sottinteso, ma sempre come condizione personale. 

 

Viaggio – “Siamo tutti altrove. Siamo tutti esuli”, l’antropologo Teti conclude così un excursus letterario sul tema del partire e del tornare, o restare: “In esilio da un tempo che più non ci appartiene, da luoghi che ci sono stati sottratti o da cui ci siamo allontanati”.

 

Il più affascinante è del rimosso, nel noto o nel vissuto. Per proprie occorrenze, anche solo di vagheggiamento, di passatempo, non per necessità di polizia o per protocollo di terapeuta. È il tema di Claudio Magris, de “L’infinito viaggiare”: “ll noto e il familiare, continuamente scoperti e arricchiti, sono la premessa dell’incontro e dell’avventura”. Da qui il nomadismo, non di necessità – di Ulisse: “Il viaggio più affascinante è un ritorno, un’odissea”.


zeulig@antiit.eu

De Custine, il viaggiatore viaggiato

Il marchese de Custine si avviò alla carriera letteraria, ventenne, con alcune “Lettere dalla Calabria”, e la concluse con le più famose “Lettere dalla Russia” – tuttora utili da leggere. Nel mezzo avendo acquisito fama dubbia, e grevi commenti, per essere stato picchiato mezzo morto nella zona losca di Saint-Denis a Parigi da un gruppo di soldati cui aveva fatto profferte sessuali. Autore di romanzi mediocri: “Aloys”, un adombramento dell’“eroe” gay, i Cenci in varie salse, una storia e un dramma, “Romuald”, etc.. Ma sempre parte del bel giro intellettuale europeo a partire dalla Restaurazione, a Parigi e a Berlino, corrispondente di Stendhal e di madame Récamier, e in particolare amicizia con Rahel Levin Varnhagen, che a Berlino addensava tutta la cultura tedesca. Un personaggio.

E con lui i suoi cari, la madre soprattutto. Giunse in Calabria in un lungo viaggio da Parigi alla Svizzera, e poi in Italia, con la madre marchesa de Custine, già nota in tutta Europa come amante di Chateaubriand. Col secondo amante della stessa in funzione di istitutore, un medico tedesco poco più che ventenne, David Koreff – che al ritorno andrà in cattedra a Berlino, studioso di malaria e tarantismo.

Rubino ne studia in particolare, con documenti inediti, soprattutto lettere, il viaggio in Italia, il dramma “Béatrix Cenci”, il “problema stendhaliano” “Histoire de la famille Cinci” (sic), la corrispondenza con madame Récamier e madame Leonormant (consorte di un altro viaggiatore del Sud), la sua speciale  dromomania (scrisse molto anche della Spagna), o “psicologia del viaggio”, e l’apprezzamento dei suoi contemporanei.

Anna Maria Rubino, Alla ricerca di Astolphe de Custine, Edizioni di Storia e Letteratura, vintage, Firenze Libri, pp. 176 € 4

martedì 9 agosto 2022

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (499)

Giuseppe Leuzzi


“Povero come un gatto del Colosseo” è un verso di Pasolini, “Il canto della scavatrice” – in “Le ceneri di Gramsci”. “Povero come il gatto dei vicoli napoletani” era un verso di Elsa Morante, “Alibi”. Neo realismo? Quello vero (De Sica, Zavattini) non era “meridionale”.

 “L’immagine topica del «paese presepe» è una delle più ricorrenti nella narrativa e nella letteratura meridionalistica”, trova Vito Teti, in “Restanza”, 40. Ma poi elenca una serie di scrittori in gran parte settentrionali – e più famosamente scrittori di “paesi” (Revelli, Meneghello, Pavese): Zanotti Bianco, Giuseppe Isnardi, Alvaro, Verga, Silone, Iovine, Scotellaro, Pasolini.

Alvaro, poi, è lo scrittore più cosmopolita del primo Novecento, più e meglio di D’Annunzio.

 

Una richiesta di pizzo (150 euro in bitcoin) ai marchesi Incisa della Rocchetta, i vignaiuoli piemontesi trapiantati in Toscana per via di matrimonio, produttori famosi col Sassicaia di Bolgheri, denunciata ai Carabinieri di Livorno, porta in poche settimane a identitifcare il ricattatore (un informatico di Trieste). Quante denunce analoghe, fra le decine, centinaia, migliaia che si fanno al Sud hanno portato a individuare e neutralizzare il ricattatore? Poi si dice la mafia.

 

Pavese, è ipotesi di De Martino, l’antropologo, che con lui collaborò alla creazione della collana Viola in Einaudi, viveva a Torino col fantasma ineliminabile dell’infanzia a Santo Stefano Belbo - figlil non amato, si può aggiungere, di genitori cittadini, torinesi. Non era il solito meridionale immigrato, ma ne aveva le stimmate: ha vissuto e scritto da meridionale, sia pure leghista ante litteram (“La luna e i falò”, i vari Masino).

 

Dopo esserlo stata del covid, Milano è l’epicentro del vaiolo delle scimmie: quattro casi su cinque, 284, sono segnalati dall’Ats Milano.

Naturalmente non c’entra la peste, Milano è contagiosa perché è aperta, cosmpolitica, dromomane, non perché la sanità funziona male – la Regione Lombardia ora appresterà una task force specifica, e disporrà la vaccinazione. E poi non è come il Sud, che nasconde i casi.

 

Il ritorno è difficile

Il ritorno può essere fortemente avversato, quasi una dichiarazione di fallimento. Ma anche perché la partenza è spesso fortemente avversativa, polemica. “Mi batterò come un leone per non essere costretto a tornare nell’inferno del mio paese”, scriveva Fortunato Seminara, di Maropati, all’amico La Cava, a Bovalino. Aggiungendo: “Benché sappia (fino ad ora) che la vittoria, se riuscirò a conseguirla, mi costerà lacrime e sangue”.

Il caso di Seminara è diverso, non era partito arrabbiato. In realtà era tornato in paese, dopo un’emigrazione sfortunata a Napoli e in Svizzera, e un tentativo non riuscito di andare in America. E lì aveva scritto il meglio dei suoi romanzi e racconti – un “lavoro” che aveva scoperto nella solitudine in Svizzera. Scriveva a La Cava da Roma, nel dopoguerra, dove non riuscì ad ambientarsi.

 

Milan l’è sempre un gran Milan

Il sindaco di Milano Sala, che non ci azzecca nulla, si scaglia non richiesto, in un elogio di Draghi, contro il Ponte sullo Stretto, “una proposta inutile se non dannosa”. Può anche darsi che Sala non sappia nemmeno dove lo Stretto (di Messina) è, a Milano succede. Ma il Ponte è dannoso per chi? Per i rivieraschi probabilmente, che si dovranno fare un’alta vita. Ma per Sala?

Inutile non  si direbbe. Sala è un manager, uno di quelli che sanno di che parlano. Ma è anche un sindaco di destra - portato su dalla Moratti, per la quale ha fatto il direttore generale del Comune di Milano, il presidente dell’azienda energetica lombarda A2A, e quindi il direttore di Expo - tourné a sinistra. Inutile e dannoso per il costo? Il suo “vecchio amico” Ercole Incalza, l’ex direttore generale delle Infrastrutture, forte del miliardo e 250 milioni di contributi pubblici spesi senza ritorno per la fiera del nulla che fu l’Expo, lo può deridere per questo: il mancato ponte “costa” ogni anno sei miliardi alla Sicilia e all’intero Paese.

Tutta l’Europa, e anche l’Asia, anche il Sud America, collega i territori sparsi con ponti. Incalza elenca una serie di pareri costernati dei commissari europei alle Infrastrutture e Trasporti dei suoi anni, una decina d’anni fa, Loyola De Palacio, Karel van Miert, sulle perdite di valore aggiunto che l’Italia si infligge tenendo isolata la Sicilia. L’Italia che ha la ricchissima, fertilissima, attivissima Sicilia a tre chilometri di mare, non può metterla in valore, “Milano” non vuole.

Sembra strano che Sala, il manager tourné sindaco, e di sinistra, non abbia altro di cui occuparsi che del Ponte sullo Stretto – che lui sa benissimo che non si farà. Non era un grande manager e non è un grande politico, ma per sapere del Ponte ci vuole poco. Cioè: ci vogliono governi solidi per fare, mentre l’Italia passa da governicchio a governicchio – i governi della spesa, degli “aiuti” per decreto, 100 euro a questo, 200 a quello, q.b. per la rielezione. Allora, perché “Milano” si occupa del Ponte e non, invece, per esempio, del governo che non governa? Perché questo è il suo governo, è evidente, il governo degli affarucci, privati, un po’ loschi – “è il mercato”.

Oppure Sala, manager di destra che ora sta a sinistra, cioè dove al momento stanno i soldi, pubblici, tira fuori il Ponte perché non si parli dei tanti soldi che il successore di Incalza alle Infrastrutture gli ha elargito per la sua Olimpiade invernale – sarà il suo monumento, dopo l’Expo: un’Olimpiade a Milano, con la neve. Fallita l’Olimpiade a Roma per mano dei fidati 5 Stelle, i famosi agenti anticapitalistici del grande capitale (ideologico, editoriale), Milano com’è noto divenne un grande centro di sport invernali, e con la neve della veneta Cortina se ne è assicurata una lei. Doveva essere a costo zero per la fiscalità nazionale, quanti programmi e spergiuri non si fecero in proposito, ma ha già preso, in soli tre anni, due miliardi di soldi pubblici. Un miliardo subito, nel 2020, per le infrastrutture: strade, autostrade, aeroporti, ferrovie – col progetto anche di un’Alta Velocità per i milanesi subito fino a San Candido, all’Austria. Poi mezzo miliardo, tra 2021 e 2022, per rifare gli impianti sportivi – che sono di proprietà regionale e secondo il progetto portato al Cio, comitato olimpico internazionale, avrebbero pagato le Regioni Veneto e Lombardia. E ora 400 milioni – inseriti proditoriamente, e senza motivazioni, nel “decreto aiuti” che ha suscitato gli entusiasmi di Sala e la condanna del Ponte. In un decreto cioè di un governo dimissionario, in carica per gli affari correnti, cioè per la burocrazia, in attesa di elezioni anticipate, un po’ drammatiche.

Ecco perché Sala era entusiasta e si è spinto fino allo Stretto che non conosce e non capisce. “Preferite questa credibilità concreta o proposte inutili se non dannose come il ponte sullo Stretto?”, ha scritto sui social dopo essersi sbracciato a lodare Draghi per il Decreto Aiuti. Aveva avuto il suo quasi mezzo miliardo, una vera mano di aiuto, altro che le paghette agli incapienti.   

 

Calabria

“È la mia primissima volta in  Calabria. Un paese meraviglioso”, attesta Richard Gdre, ospite d’onore appena sbarcato al Magna Grecia Film Festival di Catanzaro, dall’aeroporto di Lamezia, a mezzora d’auto. Applausi. Grandi titoli.

 

“La Gazzetta del Sud” fa ogni giorno, tra luglio e agosto, nelle sue edizioni provinciali per la Calabria, una pagina sui maturato più meritevoli dei vari licei provinciali, dei 100 e 100 e lode, con  le foto. Sono tutte ragazze, con uno o due ragazzi.

 

Si fa una scoperta, ma un po’ scontata, leggendo la tabella degli aiuti governati all’editoria giornalistica nel 2021: i due giornali calabresi sono praticamente finanziati dallo Stato, “La Gazzetta del Sud” per 1 milione 868 mila euro, “il Quotidiano del Sud” per poco meno, 1 milione 848 mila auro. Alla pari dei giornali in lingua delle minoranze, tedescofone, slovene.

 

Da Limbadi esportare nel mondo, e che cosa fra tutte, un amaro. L’economia funziona così, indovinando un prodotto, o comunque sapendolo vendere. E la Caffo lo sa fare. Da Limbadi. Dopo avere acquisito Petrus Boonekamp, in Olanda, nientemeno, la San Marzano Borsci, il Ferro China Bisleri, e Mangili, la distilleria della “Mitica” grappa friulana. Non ci sono limiti locali allo sviluppo, la geografia non è un limite, né la storia.

 

Da calciatore giovane Pippo Inzaghi preferì passare un anno senza giocare (quindici tronconi di partita, come una qualsiasi riserva, dopo gli exploits con Under 21), piuttosto che trasferirsi dal Parma al Napoli. Ora viene tirato fuori dalla disoccupazione dalla Reggina – dopo il Benevento, che lo salvò dall’eclisse post-Milan. E non ha parole per decantare Reggio.

 

Atene ha rinnovato il diritto: “Draconte fu il primo legislatore”, Eva Cantarella su “Robinson” del 23 luglio: “La sua riforma più importante mise fine alla cultura della vendetta. Di cui abbiamo la più vasta rappresentazione nei testi omerici”. Una prova in più, dopo quelle linguistiche di Rohlfs, che la grecità in Calabria è quella classica, non quella bizantina . ma dell’VIII secolo avanti Cristo, dalla fondazione di Locri – che era colonia matriarcale, di donne probabilmente fuggite dal regime della vendetta, della violenza?

 

Concita De Gregori ricorda su “D” un suo lungo colloquio con Scalfari nel 2014, per i suoi 90 anni. C’è anche la Calabria, dove Scalfari ventenne visse un paio d’anni dopo la guerra nella famiglia del padre, per sfuggire all’epurazione. “Ricordo”, dice in ultimo Scalfari, “di aver imparato molto presto una massima della cultura contadina. Diceva che il pericolo di adulterio si annidava nelle “tre C”: il compare, il cugino, il cognato”. Tutti quelli che avevamo libera entrata in casa.

Ma è più facile che la massima fosse del nonno paterno, “uomo erudito”: gli eruditi in Calabria sono stati a lungo notabili, e quindi faceziosi – fino a recente, quando le ‘ndranghete liberamente si sono presi tutti gli spazi, cancellando le borghesie, anche erudite.

 

“Il Venerdì di Repubblica” omaggia la Calabria, la parte più critica deella penisola, il reggino, con Smorto, con i Bronzi, e con Paola Zanuttini con Mimì Lucano. Che caratteristicamente dice: “Ho fatto degli errori, ma li rifarei”. Una forma mentis per cui non si discute, non c’è parere che sia di aiuto, per quanto amichevole, ognuno è il suo diritto.

 

Caratteristica è anche la vicenda giudiziaria nella quale Lucano è stato imbracato. A opera di un prefetto per il suo ministro, il leghista Salvini, e questo è normale. Di una pubblica accusa di Busto Arsizio esiliata a Locri, e anche questo è normale. E di un tribunale di Reggio  Calabria, e questo dice quanto la Calabria non pensi, vada per umori. O quanto la Lega è insidiosa.

 

Le lettere al direttore, un tempo palestra dei “colonelli in pensione”, hanno da qualche tempo dei  destinatari Grandi Firme, sull’esempio di Montanelli, e degli scrittori, inviatori di lettere, seriali, quasi accreditati. Soprattutto un Piero Orrù per “la Repubblica” e Pietro Mancini per il “Corriere della sera”. Il figlio di Giacomo Mancini, giornalista Rai e per alcuni mesi sindaco di Cosenza, incalza Cazzullo con molte notizie. Da ultimo con l’epicedio per Franco Rizzo, “primo calabrese della Nazionale”, di calcio. Forse dovuto ma patetico, all’insegna del “però”. Ci sono calciatori calabresi anche nella Nazionale, ma si vuole che sia eccezionale.


leuzzi@antiit.eu

Il potere non salva, neanche la donna

Rivista a dieci anni di distanza, questa “intensa serie dal tratto politico”, come la presenta la promozione, classificata come genere “intellettuale”, sulla prima donna primo ministro della Danimarca, non racconta nient’altro che una donna di mezza età disseccata dalla politica. Per la quale avrà dovuto competere con asprezza, senz’altro, come tutti, “come un uomo”. Che avrebbe però avuto senso come storia di “una” donna al potere, una Streep-Thatcher o una Mirren-Elisabetta II. Ma come apologo della dona che ce l’ha fatta è di fatto la storia di un carrierismo come un altro, grigio, insoddisfacente.

Può essere un effetto voluto, sottile – una critica, non detta. E in questa prospettiva si vede fino in fondo. Come l’esito di un certo femminismo – la parità ha molte sfaccettature, anche la perdita di identità, di senso.

Søren Kragh-Jacobsen. Rumle Hammerich, Borgen – Il potere, Netflix

lunedì 8 agosto 2022

Cronache dell’altro mondo – provocatorie (208)

A Gran Rapids, nel Michigan, il deputato repubblicano uscente, Peter Meijer, di una grande catena di supermercati, ha perso le primarie di partito per la ricandidatura a novembre, contro John Gibbs, un teorico del “voto rubato” da Biden, sostenuto dal Democratic Congressional Campaign Committee, l’organizzazione elettorale del partito Democratico. Il Dccc ha speso per la campagna di Gibbs mezzo milione di dollari, molto più di quanto lo stesso Gibbs disponeva.

Per Gibbs, un ex missionario, nero, ha fatto campagna elettorale con i comizi Donald Trump. Nell’amministrazione Trump aveva avuto un incarico come membro della Commissione 1776, sulle origini e la natura degli Stati Uniti, fatta risalire alla Dichiarazione di Indipendenza, creata dai Repubblicani per contrastare il Progetto 1619 dei Democratici, che fa iniziare la “storia americana” con l’arrivo, agosto 1619, a Point Confort in Virginia della, prima nave con schiavi africani – venti, venduti ai coltivatori della Virginia -, cioè con lo schiavismo.

Il partito Democratico ha finanziato le primarie di Gibbs perché lo considera un candidato più facile da battere di Meijer.

Meijer, di un’importante famiglia di supermercati nel Michigan, portato al successo nel 2016, alla sua prima elezione, da Trump. si era distinto fra i deputati Repubblicani come uno dei pochi, dieci, che hanno votato nel 2020, senza esito, per l’impeachment di Trump. È molto conservatore, contro ogni form di aborto e di controllo delle vendite di armi, ma è anti-Trump.

Nell’occasione, è stato teso noto che il partito Democratico era intervenuto anche nelle primare per il governatore del Michigan, contro il repubblicano uscente, Larry Hogan, uno deglie esponenti “Never Tump”, mai Trump, del partito Repubblicano, in favore del candidato di Trump, Dan Cox. La Democratica Governors Association ha speso per Cox, un incondizionale trumpiano, “più di un milione di dollari”.

In Pennsylvania il candidato governatore democratico, Josh Shapiro, ha dirottato parte dei suoi fondi elettorali su Doug Mastriano, uno degli artefici della campagna di Trump “elezioni falsificate”, e organizzatore degli autobus che hanno portato a Washington gli assalitori del Campidoglio, che ora sarà il suo concorrente al posto di governatore.

Altri casi simili, non specificati, sarebbero avvenuti in Illinois, Colorado e Arizona, per le primarie al voto per governatore.

Il giallo dei sogni

Un fenomenale guazzabuglio. Riproposto come un must dalla superficialità di Montalbano, “Denevi, uno scrittore argentino che gli piaceva assà” - dalla superficialità con cui Camilleri liquida Montalbano.
A meno che entrambi, Camilleri e Montalbano, non abbiano letto qualcos’altro di Denevi: era un avvocato, quindi facondo. Con molta dottrina, molta saggezza anche, buddista e non, la pittura, l’io e l’es, i sogni, la quaglia virgiliana, Paolo e Francesca - e Giovanni - e la vita è sogno. Ma “troppo intelligente”: non si capisce niente.
Sembra come dice, “il sogno di una vita impossibile”. O inventarsi una vita, contro l’indifferenza. Questo almeno è quello che si propone. E invece niente. Forse il romanzo abortito di una signora Milagros, tenutaria di onorata pensione, che sa andare spedita sul niente – i pensionanti - per metà libro. Ma il resto?
Marco Denevi, Rosaura alle dieci, Sellerio, pp. 311 € 10

domenica 7 agosto 2022

Ombre - 627

“Tanti i nigeriani presenti” al funerale dell’ambulante ucciso a mani nude a Civitanova Marche da un operaio, italiano, “pochi i cittadini presenti”. L’indifferenza alla lunga agonia del nigeriano sotto i colpi dell’aggressore non era casuale. Si fa presto a dire integrazione – che il sindaco vanta: “Il 10 per cento della popolazione qui non è italiana”, ma la città vive “nel segno della pace e della fratellanza”.

Migranti, “finalmente l’Europa c’è”, esulta la ministra dell’Interno Lamorgese. L’Europa c’è nel senso che invia suoi funzionari, nel caso francesi a Bari, per scegliersi i migranti “migliori”, quelli che danno più affidamento o di cui il mercato del lavoro ha più bisogno. Gli altri se li tenga l’Italia, paese di primo approdo – si dice accoglienza, ma è un eufemismo.

“la Repubblica”, naturalmente in prima linea contro la Lega, si fa dire dal vicesindaco leghista di Lampedusa: “Chi mi conosce sa che non sono contrario a una vera accoglienza (ha già detto: “Lampedusa ha nel dna la vera accoglienza. Quando ero piccolo mia madre accoglieva i migranti in casa, giocavamo e ci facevamo la doccia insieme”, n.d.r.): volontari di ong che arrivano al porto in  giacca e cravatta, donne e bambini costretti a dormire sotto gli alberi”. Se lo fa dire in piccolo, nelle pagine regionali, di Palermo, ma l’“accoglienza” come business, indagarla, perché no?                                                 

“A oggi non possiamo fare una risonanza magnetica”, dice ancora il vice-sindaco leghista di Lampedusa. A oggi, cioè dopo trent’anni dacché l’isola è diventata l’hub mediterraneo del traffico di esseri umani.

“Extraprofitti del settore energia, mancano 10 miliardi”. Monito di Draghi: “Le imprese dovranno pagare tutto”. Hanno pagato solo le grandi imprese, Eni, Enel, Edison. Sembra inconcepibile che di 11 miliardi di tasse sugli extraprofitti sia stato pagato solo un miliardo, poco più. E che il presidente del consiglio debba ammonire. Ma il settore energia è pieno di niente, piccoli e grandi speculatori, dacché è stati liberalizzato – Draghi lo ha liberalizzato.

C’è Crosetto ogni giorno con una pagina sui quotidiani o una intervista “seduta” ai tg. Meloni, Fratelli d’Italia non hanno altri da proporre, che un liberale, sia pure di due metri, uno solo?

Si introduce la figura del “docente esperto”, un numero chiuso ancorché consistente, ottomila, per stimolare l’aggiornamento degli insegnanti, con un premio. Ma il sindacato non vuole, i soldi per la scuola, se ci sono, devono essere suddivisi fra tutti. Si celebra periodicamente il funerale della scuola, non più formativa – della scuola pubblica. Ma non si dice che è sindacalizzato, male: è solo un’Inps, gestisce le retribuzioni. 

Il liberista Macron rinazionalizza Electricité de France, l’ex monopolista elettrico pubblico. Oh, come mai? Perché è un vero liberista, non uno stupido – sa come vanno queste cose.

La Ferrari continua a perdere posti e punti per errori di management, della squadra ai box, dei tecnici – delle gomme, della meteorologia, perfino del pit-stop. Non da oggi, da anni. E niente succede, non ci sono licenziamenti né correzioni.

Il pit-stop era una volta dominio dei meccanici italiani e inglesi, girando per i boxes. Poi si vede che gli italiani hanno preso altri mestieri, snobbando il meccanico.

In dieci anni o poco più la Ferrari ha bruciato una lunga serie di vincenti: Alonso, Raikkonen, Vettel, e ora Leclerc e Sainz Li paga di più per massacrarli meglio?

Sono partiti Insigne e Bernardeschi per il Canada come stelle inseguite dai milioni. Mentre la squadra dove giocano, il Toronto, è penultima, dopo 22 partite – tra le 14 squadre della Eastern Conference, il campionato canadese orientale.

Cronache dell’altro mondo – collettive (207)

Diane Warren si scusa per un tweet nel quale denunciava la collaborazione di ventiquattro autori per una canzone – la scusa intendendosi come riproposta del tweet. Il riferimento viene letto a una canzone dell’album “Renaissance”, appena uscito, di Beyoncé – per la quale Warren aveva lavorato in passato.

Scrivere canzoni, si è accertato nei social a seguire, è un lavoro collettivo, e anche di grande organizzazione: di “conclavi di settimane” e di “campi di scrittura”, nei quali “dozzine” di produttori top e scrittori, di tutto il mondo, vengono riuniti per giorni e anche settimane, per programmare una hit, un motivo e un testo di successo. Non c’è più, nemmeno a fini promozionali,  la romantica ispirazione.

Rihanna, Beyoncé e tutti quanti seguono questo metodo: sono interpreti, di un tema studiato, per il successo oggi.

Succede anche, per questo metodo collettivo di creazione, che diverse melodie abiano punti in comune, ma non è più motivo a liti giudiziarie.    

Pelosi a Taiwan, una palla facile alzata per la Cina

Una lunga intervista con la massima esperta in America di Taiwan, Shelley Rogers, scienziata politica, sulla high-profile visit, così il settimanale presenta la visita di Nancy Pelosi a Taiwan – sotto un manifesto di benvenuto che ritrae la speaker dei Rappresentanti qualche decennio fa. L’esito della visita è “in definitiva un fatto di politica interna american a e di politica interna cinese, Taiwan è l’ostaggio nel mezzo”. Niente di nuovo seguirà. Ma la visita, la prima in quasi trent’anni, sarà stata l’occasione per Pechino per riaffermare l’unità della Cina, Taiwan compresa – una palla facile alzata per la Pechino, in gergo tennistico.

In generale, dice l’intervistata, “l’esito, io credo, è molto controproducente. Non ne trae beneficio Taiwan, probabilmente danneggia la sicurezza di Taiwan, e ha peggiorato le relazioni tar Cina e Usa, che erano già abbastanza confuse”. In linea generale, dice Rogers, “a meno che la politica americana non voglia buttare va il più importante rapporto diplomatico del mondo contemporaneo, dovrebbe essere strategica e riflessiva sui costi e benefici di una particolare azione”.

Isaac Chotiner, The Provocative Politics of Nancy’s Pelosi Trip to Taiwan, “The New Yorker”