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sabato 6 ottobre 2012

Della Valle-Rotelli, le riserve Rcs di Bazoli

Far fuori Mediobanca-Fiat dalla Rcs, l’editrice del “Corriere della sera”. È l’obiettivo di Della Valle, che ne spiega l’inconsulta animosità verso Elkann, il padrone della Fiat, e l’ad Marchionne, già suo personale amico. Le quote di Mediobanca e di Fiat, alleate, sono maggioritarie e condizionanti nel patto di sindacato che gestisce Rcs. Ma per la vecchia “legge” che le azioni si pesano e non si contano, Della Valle e Rotelli contano molto di più.
Della Valle opera di conserva con Rotelli, il monopolista della sanità lombarda che è il maggiore azionista della Rcs, anche lui con un piede mezzo dentro e mezzo fuori del patto di sindacato. Entrambi sono coordinati da Giovanni Bazoli, il patron di Banca Intesa, dominus di fatto della editrice del “Corriere della sera”.
In armonia e per conto di Bazoli, Della Valle ha già operato analogo assestamento in Generali. Dove Mediobanca ha un sistema di controllo più garantito, ma ha dovuto sacrificare parte della sua gestione esclusiva, con l’allontanamento del suo uomo di fiducia Perissinotto e con un nuovo assetto gestionale.

La vera storia di don Verzé

La semplice testimonianza di una segretaria, al processo milanese per il crack del San Raffaele ha spiegato ieri tutto quello che la Procura di Milano ha evitato di accertare in un anno e mezzo. Confermando che si è trattato di una vicenda di signoraggio. Contro il potente in uscita, il prete veneto, e contro il Vaticano che dvev a subentrargli. A favore di Rotelli, il monopolista della sanità lombarda. Nonché azionista di riferimento della Rcs-Corriere della sera, per conto di Giovanni Bazoli, suo potente patrono..
Don Verzé avrebbe voluto che la struttura, una volta emersa la debolezza finanziaria, passasse al Vaticano. Per questo aveva allontanato tutti gli amministratori, compreso il suo vice Mario Cal, che il gruppo avevano portato al quasi fallimento, e premevano perché fosse invece ceduto all’industriale lombardo della sanità, Rotelli. Come poi avvenne. Grazie all’azione congiunta della Procura di Milano e del “Corriere della sera”. Una verità che si vuole occultare.
Il “Corriere della sera” dà grandi spazi al processo, senza menzionare i fatti – oggi omette la testimonianza della segretaria. Mentre continua a difendere Gotti Tedeschi, l’anti-Verzé che rese possibile l’operazione Rotelli da dentro il Vaticano, dove amministrava allora la banca Ior. Anche se al processo per le carte sottratte al papa, l’accusato Paolo Gabriele fa capire che il “corvo” è proprio Gotti Tedeschi. Gabriele si mise in casa i documenti del papa fin dagli inizi del suo incarico, nel 2006, ma li passò a Nuzzi all’inizio del 2011, quando si preparava l’attacco a don Verzé, su indicazione di un “importante professionista”. Anche questo è stato detto a un processo ieri, senza eco nel “Corriere della sera”.

Il giallo controvoglia

Tre racconti gialli controvoglia, quale è la maniera di Vargas. Specialista interdisciplinare, che i linguaggi quindi occupano, a danno degli intrecci. Qui dà la parola ai barboni sulla panchina, o all’uscita dalla metropolitana: anche loro sono parte del giallo.
Fred Vargas, Scorre la Senna, Einaudi ET, pp. 95 € 9

venerdì 5 ottobre 2012

A Sud del Sud - l’Italia vista da sotto (146)

Giuseppe Leuzzi

Maroni va a Torino e propone “Dodici progetti per far ripartire il Nord”. Uno è il taglio di un milione di dipendenti pubblici, nelle “regioni non virtuose”. E quali sono le regioni virtuose? La Lombardia? Che la Lega governa. Dove rubano tutti. – i padroni del vapore. Mentre le Procure fanno da palo.
No, il taglio va fatto nelle regioni meridionali.

Vertice a Milano
La prima ad arrivare viene da Verona ma si chiama Elena Cosenza. È la prima fan al concerto a Milano di Lady Gaga. La quale arriva al concerto da una cena molto selezionata di Donatella Versace, la sua “sarta”. Con la quale hanno ricordato Gianni, che arrivò a Milano da Reggio Calabria, sarto già fatto. Lady Gaga invece no: fa di nome Germanotta, ben sassone quindi di origine, ma siciliani sono i suoi genitori, di Palermo.

Essere e non essere
Il modo di essere è a volte l’unica cosa che noi siamo. La lingua e i linguaggi che ci sono stati dati, le tradizioni, per quanto povere. O altrimenti restiamo “spaesati”, è la parola giusta, esposti a tutti i venti. Può succedere con l’emigrazione, Non tanto per lo spaesamento vero e proprio, in mondi remoti, dove si parlano lingue sconosciute. Quanto per l’oblio, spesso non richiesto ma nelle cose. Che va con l’integrazione: passare per esempio dalla vita di paese o di campagna alla fabbrica. A un ruolo sempre e comunque insignificante. Che non integra, non ha dove, ma disintegra – può farlo e lo fa: raschia cioè ciò che c’era, seppure in crosta (forme morte, tradizioni stantie), per lasciare un vuoto a perdere.
Leonardo, giovane operaio al frantoio, a Arcimedi, si prendeva il lunedì di malattia. Per andare a caccia. Il fatto era governabile – era a suo modo previsto. Anche se non piaceva, né ai suoi compagni né a papà. Quando emigrò a Genova per fare il manovale ai cantieri, tornò indietro dopo il primo inverno: il lunedì non sapeva dove andare, e quella vita fu subito senza senso per lui (ma non seppe fare a meno di Genova, dove poi si è perso).
L’inesistenza del Sud è la cancellazione del suo modo di essere, ciò che si condensa nella “tradizione”. Per l’acquisizione supina di modelli che, se promettono l’integrazione in realtà superiori (migliori, aggiornate), più spesso cancellano invece ogni consistenza.

Autobio
Varie specie alimentari nutriamo di speciale sapore e ottime opportunità di mercato, quale oggi si configura, che pregia le varietà. La castagna ‘nserta (innestata), grande, dolce, mondarola. pappaluni, fagioli bianchi di Spagna, a Roma ciavattoni – ma dal gusto più denso, al sapore di castagna e acqua pura di vena, macerata attraverso vari minerali, terreni, radici. I vajaneji (baccellini), fagiolini del tipo corallo, con i fagioli dentro in via di sviluppo, del mese di agosto, per minestre dai sapori variati e densi. Funghi che l’industria conserviera lombardo-svizzera considera di proprietà organolettiche superiori.
Ma nessuna di queste specie ha generato un’industria: ortofrutticola, conserviera, della ristorazione. C’è solo un pizzeria in paese, che non cucina questi alimenti.

Sulla castagna si è imbastita un’industria che tiene campo per tutto l’autunno in tre quarti d’Italia, dal Piemonte alla Sabina, per farine, salse, pietanze, salse, dolci, sagre, e vendite al minuto a prezzi d’oro – è il prodotto agricolo che si vende più caro, pur  essendo il meno costoso. Noi della castagna ‘nserta non sappiamo nemmeno con che è stata innestata. I pappaluni il dizionario del Rohlfs non registra: il suo informatore, l’arciprete Carrozza, deve aver trascurato di segnalarglieli – un fagiolo non è materia nobile?
Siamo al vertice dell’area olivicola più grande e spettacolare del mondo, la piana di Gioia Tauro, ma non ne abbiamo l’industria. Neanche basilare. Neanche politica, anche se gli assessori non mancano e una “giornata dell’olio” non si nega a nessuno. Abbiamo cultivar caratterizzate, sinopolese, ottobratica, con proprietà di gusto e organolettiche ben differenziate, e non sappiamo farne un marchio. Mentre la Sabina, dove non ci sono più olivi, e la Toscana, hanno una dop (l’olio si può vendere al triplo) – per non dire del lago di Garda, dove gli olivi non ci sono mai stati, se non come decorazioni in giardino. 

Si parla molto in famiglia, di ogni evento, importante o banale. Col silenzio. Lo sguardo. Le pause. Per inteso.
Questa “lingua” muta è di grande comunicazione, presupponendo un collaudato linguaggio familiare. Dei genitori fra di loro, dei genitori con i figli, dei figli tra di loro. Di significati, sfumature di significati, e giudizi di valore condivisi nella comunità. Sedimentati. Sicuri, cioè immodificabili.
Il familismo si alimenta di questo linguaggio muto, dell’intimità. Ma non è una brutta cosa – sono molto peggio le famiglie dove non si parla, con danni psicologici e sociali. Il problema è che questa famiglia non espelle, come un nido che non si chiudesse avendo completato la sua funzione con la nascita, il primo nutrimento e il primo volo.

La strada principale è tortuosa e lunga, seguendo l’altimetria scoscesa del paese, e la curva della valle in capo alla quale è adagiato. Un tracciato da vecchia strada statale, che segue le anfrattuosità del terreno, con pendenze accentuate. Dovrebbe avere dodici metri di larghezza ma a tratti ne ha dieci, rendendo la circolazione problematica ora che un lato della strada è preso dal parcheggio. Bisogna destreggiarsi quando s’incrocia una macchina in senso inverso, si formano ingorghi. Ora siamo fermi. Tra una Mercedes 220 Slk, uno spiderone Mercedes, una Audi Q5, una Bmw 7, che da sola occupa tutta la strada, e un grosso Vw di nome Touareg, così, alla francese. Tutte macchine che costano tre e quattro volte la piccola Alfa di proprietà. Più spese doppie di bollo, e forse di benzina e assicurazione. Roba da 100 mila euro di reddito l’anno, almeno.
È bello sentirsi tra cinque ricchi. Ma inquietante. Non saranno macchine di seconda mano? No, non usa più ritargare le macchine, e le targhe sono recenti: le macchine sono vere. L'Audi Q 5 è appena uscita.

Oppure si cammina per strada in solitario, s’incontrano solo macchine. Pazienti, evolvono tra le macchine in sosta, si regolano su sensi unici alternati, con attese, retromarce e salite sul marciapiedi, e vanno e vengono instancabili. Anche i saluti e le conversazioni si fanno in macchina, incrociandosi. È una delle ragioni per cui si formano ingorghi.
Anche gli scout, la domenica, vanno in macchina.
Si facevano escursioni nel tempo libero o i giorni di festa, a mezza costa, fino all’altopiano, o in cima alla montagna, di una, due o tre ore. Ma il sentiero non c’è più, tagliato dalle recinzioni.

La messa delle 8.30 la domenica, un tempo la più affollata dai ragazzi, perché durava poco, ora è deserta. Le anziane sole sono andate alla prima messa alle 7. Le famiglie andranno a quella solenne delle 11. I ragazzi erano in attività presto la domenica, per le strade, in piazza e in chiesa, svegli all’orario di scuola ma con tutto il tempo per loro. Ora non si vede nessuno. Le mamme non vorranno che i figli vadano in strada. O con la televisione la sera vanno a letto tardi. Ma non si formano più gruppi, neppure i giorni feriali: non c’è più lo spirito di gruppo.

Ogni giorno di più, da troppi anni, la visione, frontale e laterale, è di una favelha sudamericana: case come tuguri, di pali di cemento e mattoni forati, ammassate le une sulle altre, dietro tubi di plastica colorati e rifiuti, in sacchi e sfusi, brande, materassi, cucine, frigoriferi. Spesso delle case è abitato solo il piano terra, nel senso che è finito, con le imposte e i pavimenti. Ma anche al piano terra c’è chi butta i rifiuti dalla finestra, piuttosto che portarli fino ai cassonetti. Una veduta estemporanea dell’ottimo pittore Michele Frisina documenta non molti anni fa un paesaggio modesto ma integrato, nella natura e nell’urbanistica, e non pare vera. Il paese si disponeva un tempo a conca su giardini e frutteti digradanti verso gli ulivi della piana di Gioia Tauro, una sorta di giardino di Armida, una selva monotona alla vista, di ulivi verdegrigio, ma piena di sorprese, e sul mare vero e proprio che guarda le Eolie. Ora non più, massicci casoni di tre e quattro piani, per venti e trenta metri di lato, hanno preso l’orizzonte. Costruiti non per uso, anzi inabitati perlopiù e mai finiti, la popolazione si è dimezzata, ma per ostruire la veduta al vicino. Non ci sono più le farfalle, gli antiparassitari non lo consentono. Né le rondini, che arrivavano ogni anno un pomeriggio tiepido di primavera, sotto ogni balcone si facevano un nido, e ci proteggevano dalle zanzare, insettivore – ora ci vogliono gli antiparassitari. Anche di notte, le luci nel buio terso e nel silenzio non brillano più. Lo smog non c’è, forse è il malanimo a ottundere l’aria.

leuzzi@antiit.eu

La voglia di vivere più forte della rivoluzione

I pogrom in Ucraina nella guerra civile, 1918-1920, furono 330, con almeno trentamila morti. Ma Irène Némirovsky, ebrea di Kiev, mantenne un ricordo fatato dei suoi primi quindici anni. Del sollevamento popolare, gioioso, giocoso – prima dell’avvento del “diavolo”. Dello sfollamento nel ghiaccio in Finlandia, tra scherzi di ragazzi che si riveleranno veri. Della contessina polacca Plater, che morì per la patria nel 1831 a 25 anni di stenti e di freddo, dopo aver combattuto troppe battaglie perse. Susanne Scholl, che ha collazionato i tre elzeviri, la butta in politica, ma Irène vi era allergica: amava la voglia di vivere.
Irène Némirovsky, Nascita di una rivoluzione, Castelvecchi, pp. 61 € 7,50

giovedì 4 ottobre 2012

Il mondo com'è (112)

astolfo

Cuccia – Si vorrebbe dirne bene: il più fantasioso e meno caro creatore di capitali dell’industria italiana. A volte contro l’industria stessa, per l’incapacità dei suoi dirigenti, da Valerio agli Agnelli. Uomo di fede e forza, sprecato nell’Italia meschina. Ma ha imbroccato solo fallimenti: troppo poco, troppo tardi, giusto per “salvare” – oggi di dice più correttamente sprecare - e non per creare. Una banca d’investimenti che si fa vanto di salvataggi, tutti destinati inevitabilmente al fallimento. Olivetti 1. Montedison. Rcs. Banche d’interesse nazionale. Generali dalle ali tarpate. Olivetti 2. Uno Spregiava i giornali e si è preso il “Corriere” – pagandolo pure poco, uno scandalo. Mentre ha accusava d’invadenza Mattei e l’Eni, che ha combattuto con ogni mezzo, uno dei gruppi più attivi. E Milano, la Lombarda? La Cariplo dell’uomo pio Giordano Dell’Amore vantava a fine anni 1980 la creazione di 350 mila aziende nella regione. Cuccia non ha creato nulla, e ha distrutto molto. Sotto la pretesa di salvare il salvabile.

Fiat – La storia si può aggiornare, ma sempre sulla stessa linea, della sopravvivenza. Sentire Romiti che discetta in tv e dà lezione di buon management è raccapricciante: Più ancora perché nessuno lo contraddice, mentre tutti sanno: il ruolo di contrasto con ogni innovazione e ogni investimento, la sua Fiat doveva solo “fare il bilancio”.
All’ennesima crisi fu salvata all’inizio del millennio da Fazio, governatore della Banca d’Italia - peraltro vituperato - che ne impose il salvataggio, con crediti in conto capitale.
Patita come strapotere in Italia, immagine che essa stessa variamente accredita, non ha mai contato e non conta nulla. In politica, s’intende: nell’opinione pubblica, nel “palazzo”.

Imperialismo - Sono migliori i governanti dei governati, quasi sempre. È il paradosso del potere, che però non è un paradosso. Gli antichi romani l’impero governavano per identificazione, come già i greci, benché litigiosi, le loro colonie, per cui tutti volevano essere greci, pure i persiani. Gli in-glesi hanno imposto al mondo la rasatura ogni mattina per vendere il gillette. Ma il rasoio è buonissimo. Anche l’amministrazione era buona. Sarà per questo che l’India ha mantenuto l’Inghilterra per un paio di secoli. Senza cannoni né fruste. Molto civilmente, l’India comprava dalla Inghilterra tutte le merci che non avevano più mercato in Europa, alimentava il Gold Standard, e consentiva con le sue rupie agli inglesi di comprarsi le bistecche e le cose buone del mondo. O si può dire al contrario: gli inglesi, dovendosi radere ogni mattina, fecero un ottimo rasoio.
Ma l’India non ha cattiva memoria dell’Inghilterra. Che ne beveva a sua volta il tè. Ma, direbbe P. T. Bauer, dopo avercelo introdotto, dopo avere insegnato agli indiani a coltivarlo. Non ha cattiva memoria di Venezia l’ex giovane d Rodi che fece il marinaio all’Arsenale. O di Roma il tirolese dell’impianto di sci a monte, che fece il granatiere alla caserma Macao. Ci sono alti e ci sono bassi nella storia come nella vita di ognuno. Gli ebrei, che si lamentano di Roma, dove sarebbero senza? Nel Medio Oriente seminomadi. Certo, uno può cascare sui cappuccini ignoranti invece che sui gesuiti. Sarebbe stata un’altra Italia se, come l’India, avesse avuto gli inglesi invece dei borboni e gli asburgo. In quel momento decisivo per la formazione delle nazioni che fu l’Ottocento una scuola di libertà e buon’amministrazione invece che di polizia, censura, caserme. E di carbonerie e bombe. Anche le italiane sarebbero migliorate, invece di aspettare squittendo gli ufficialetti impomatati in divisa. Si dice il Risorgimento incompiuto, ed è vero, non ha portato l’Inghilterra in Italia, malgrado gli anglofili Cavour e Garibaldi. L’Italia era per quattro quinti austriaca, Lombardo-Veneto de-presso che ora è invece ricco, il Regno, i ducati, la Toscana.

Il Commonwealth britannico fu stupendo modello di democrazia dell’imperialismo,
E resta da definire l’imperialismo antimperialista. Un imperialismo che la conquista chiama liberazione, contro il fascismo, il colonialismo, il comunismo.

Gli inglesi in India, dice Marx, fecero la prima rivoluzione sociale dell’Asia. L’Africa la rivoluzionarono i missionari, ignoranti la gran parte e col mal di fegato, nonché il re del Belgio, che impose la pace - per avere braccia da lavoro, certo. L’imperialismo ha bloccato le razzie e i conflitti endemici, insegnato le lingue e l’amministrazione, preparato i risorgimenti. L’etnia sbriciola, l’imperialismo unifica. Ha fatto guerra all’Africa e all’Asia per profondervi edifici durevoli, piazze, porti e viali. Anche con durezza. Feroce fu l’Italia, la grande proletaria, che in Etiopia, Libia, Somalia non fece poi che quello, solide murature. Mentre la decolonizzazione sarà la trovata degli africani per tornare all’antico: possono ora razziarsi e annientarsi dandone la colpa all’Europa, all’imperialismo europeo magari religioso. Non è bene gravare i poveri di utopie, ma in Africa pure il mahatma Gandhi fu razzista.
O bisognerà forse, con i santi “stolti” di Bisanzio, “diventare stolti per essere saggi”. La decolonizzazione forse è liberatoria, di sicuro non è indolore. Si capisce che l’America voglia imporre la democrazia ai popoli del mondo, la stragrande maggioranza, che ne sono privi.

Si discute se l’Europa nella sua missione civilizzatrice abbia lasciato qualche traccia e non soltanto rovine, ma quel che è certo è che essa già manca. La trasmissione e l’incrocio delle culture sono buona pedagogia, benché impositiva. Ci sono colonie buone. I focesi di Elea, che colonia superba, tra Senofane, Parmenide e Zenone. Senofane, che Elea creò, veniva da Efeso, dove c’era Eraclito. Superba filosofia, ci devono essere colonie. L’assimilazione arriva col colonialismo, che dunque è liberazione. Se è l’applicazione planetaria dei lumi e del principio di uguaglianza: al sole della civiltà si dissolvono le paure, e gli stenti di troppi millenni.

Tartufo – È ritornato, e non sempre ha dismesso la veste talare, seppure non più gesuitica. Non più di famiglie ricche ma d vip. Meglio se della cultura – ma non disdegnando qualche milionario, purché eccentrico: polemisti, direttori, Grandi Giornalisti, scrittori, attori, attrici. Anche quote rosa, purché attraenti. Le donne di casa in calore sono sostituite dalle vamp. Caste.
Il consigliere spirituale ritorna come opinionista invece che come istitutore domestico. E, nella secolarizzazione, come compagno nella ricerca di Dio – che sempre non risponde - invece che come moralista.

astolfo@antiit.eu

Dio viene col vuoto e la sofferenza

È un libro di Martin Steffens in realtà, agregé de philosophie come Simone Weil, insegnante, su 15 proposizioni di Simone Weil, estratte dalle opere più note. Soprattutto dalla riserva interminabile di filosofia del divino, la più insistente forse dopo sant’Agostino, che sono i “Quaderni”. Un percorso parenetico e pio, di induzione alla preghiera. Quindici prediche. Ma in forma di meditazione, piane, molto zen. Steffens ricorda di S. Weil che lesse molto, traducendo dal sanscrito, la “Baghavad-Gita”, ma “fare il vuoto in sé” come via a Dio è il tema costante della sua riflessione: “La religione in quanto fonte di consolazione è un ostacolo alla vera fede. In questo senso, l’ateismo è una vera purificazione”. Lo è per chi ha la tendenza a fare di Dio un idolo, si prega per lasciare spazio a Dio creando il vuoto.
Avulsi, i passi sono di forte impatto. Orientati, anzi apodittici e in certo modo ultimativi, come si vuole il pensiero di S.Weil: semplice e inoppugnabile. “Nessun essere umano sfugge alla necessità di concepire al di fuori di sé un bene verso il quale volgere il pensiero in un movimento di desiderio, di supplica, e di speranza”, e qui entra in ballo Dio. Come è pure vero che “il regno della forza” è ovunque, non solo tra ricchi e poveri. Senza omettere la sofferenza, che è la vera esperienza di Simone Weil: “La sofferenza rende Dio assente, più assente che un defunto, più assente della luce in una cella d’isolamento”. Ma è in questo vuoto che Dio può manifestarsi, Dio si è ritirato in segno di amore. Molto Simone Weil, mistica ragionativa, ripete Platone, che dice “un autentico mistico, e anche il padre della mistica occidentale”: senza un ideale di giustizia, non si soffrirebbe l’ingiustizia.
Curiosa rigenerazione di un genere perento, questa di Steffens, il sermone. Con prediche non inutili: fanno rivivere Dio e il cristianesimo (creazione, incarnazione, passione, eucaristia) attraverso la sofferenza e l’abbandono. Giovandosi dell’“ermeneutica dell’ermeneutica” in cui Simone Weil eccelle – l’ermeneutica è sempre esercizio allo specchio, ma in S.Weil con lampi illuminanti.
Simone Weil, a cura di Martin Steffens, 15 Meditazioni, Gribaudi, pp. 104 €7,50

mercoledì 3 ottobre 2012

Fisco, abusi, appalti – 13

Una grande banca consumerista inglese, con carta di credito molto diffusa, peraltro conveniente, cambia le regole dell’accesso ai conti online. Nuove procedure, nuovi riferimenti (utente, password), ma con un sistema di accredito da terno al lotto – che lo stesso servizio clienti prega di scusare. Si direbbe buono per i ladri e ogni altro intrusore.

Sulla Salerno-Reggio Calabria, nel tratto Salerno-Gioia Tauro, 393 km., l’Anas ha impiantato non meno di 780 limiti diversi di velocità. Non per la sicurezza, il guidatore ne è fatalmente distratto. Limiti inopinati peraltro appaiono nei tratti rettilinei a tre corsie, e a quattro. Mentre scoloriti fine-divieto si assembrano a ridosso di nuovi o diversi limiti. C’è un business delle paline?

Sull’Aurelia, nella parte della Tirrenica non coperta dall’autostrada, da Civitavecchia a Rosignano, 210 km., l’Anas ha impiantato almeno 485 limiti diversi di velocità. Con forti sbalzi, da 90 (o 110) a 50 km. e un paio di volte a 40. Se ne avvantaggiano i Comuni attraversati, per arricchirsi, vantandosene, con le multe. Benché non ne abbiano titolo sulla strada di un ente nazionale, C’è una tassa sul viaggio? O l’Anas è un altro tipo di società, sia pure onorata?

Unicredit finanzia con 25 milioni la “campagna acquisti” dell’As Roma, la squadra di calcio. Dopo aver messo a giugno 20 milioni nel capitale della società. Verso la quale ha crediti per 220 milioni.
I 25 milioni di fidejussione coprono gli acquisti dell’estate, da pagare nei prossimi mesi. Portando i debiti quindi a 250 milioni. Che si aggiungono a un investimento complessivo di Unicredit nell’As Roma di 60 milioni. A fronte di niente.

Matteo Renzi promette “un fisco dalla parte di chi lavora e intraprende”, lasciando intendere che ridurrà le tasse. Rinvia per questo alla sua attività di sindaco: a Firenze avrebbe promosso “l’alleggerimento del carico fiscale”. Ma ha la fiscalità indiretta, che tutti pagano, tra le più alte d’Italia. L’Imu sulle seconde case ha voluto all’1 per cento, record assoluto – Firenze, con una popolazione quasi dimezzata in un trentennio, è di necessità una città di seconde case.

Tra gli impegni a Roma, uno o due giorni a settimana, i raccordi con le federazioni locali del Pd per guadagnarsene l’appoggio, e i viaggi all’estero come ambasciatore di Firenze, Renzi è stato più tempo fuori che non nella città che amministra. Secondo un calcolo, sette giorni su dieci.


I curricula dei superprofessori che saranno commissari all’abilitazione per l’insegnamento nelle università potranno fregiarsi di scritti su “Fare Futuro Web Magazine”, finiano, “Yacht”, “Barche”, “Nautica”, “Airone”, il “Mattino di Padova”, che è un quotidiano, la “Rivista del clero italiano”, e altre pubblicazioni esornative. Non è uno scherzo.


Grave caduta di stile, Holmes da Freud

Una delusione. Più di tutto per le chiose sulla vecchia copia, irrilevanti, anche insulse. La rilettura è uso pericoloso, ma qui non funziona nulla. Neanche l’idea “geniale”, Holmes in cura da Freud. A Vienna, senza la nebbia. Prolisso. Che si compiace della scemenza invece di costeggiarla, che è il suo forte. “Non tiro a indovinare, io non posso pensare”. O: “È solo una questione di assemblare probabilità nel modo più probabile”, che non vuole dire nulla. Dopo aver discettato sulla “Tempesta” di Shakespeare. O Watson cui Holmes ricorda il Chisciotte, e il dr. Moriarty ”l’arcinemico del Chisciotte, l’Incantatore”. Non funziona al modo del cineasta Meyer, sceneggiatore, regista: al modo del pastiche. Mimando insulsaggini.
Nicholas Meyer, La soluzione sette per cento

Problemi di base - 118

spock

“Perché ci fosse un inizio”, dice sant’Agostino, “fu creato l’uomo”, dopo il mondo. Che quindi non c’era? Non c’è?

Dio creò il mondo, e non fu contento. Allora creò l’uomo, e non è contento. Non sarà uno incontentabile?

Diciamo Dio per dire, a lui che gliene frega?

Se pensare è inutile, perché si pensa?

Le monadi di Leibniz, “senza finestre”, si spingono “le une addosso alle altre”: è il solo modo dell’amore, a occhi chiusi?

Se amare è amarsi, perché amarsi non è amare?

Ma la Litizzetto, deve far ridere o piangere?

spock@antiit.eu

martedì 2 ottobre 2012

Ombre - 149

Deplorazione universale per Vauro, il vignettista di Santoro, per uno sberleffo a Elsa Fornero. Li può fare solo a Berlusconi.
È vero che non si rideva neanche con Berlusconi. Ma che c’è da ridere?

Conte, l’allenatore della Juventus, è in corsa per una riduzione della squalifica a 4 mesi, dai dieci della prima condanna. Ma la Rai insiste a dire che Conte si aspetta una riduzione della squalifica di 4 mesi.


E la Guardia di Finanza che ogni mezzora, a ogni giornale radio, si reca a controllare gli uffici della Regione Emilia-Romagna? Ci va da una settimana, ma ancora non sappiamo a cercare che.

Scalfari si ribadisce domenica “riformista liberale”, e rivendica di avere votato, in successione, “i repubblicani di La Malfa, il Pci di Berlinguer, il Pds, i Ds e adesso il Pd”. Si vede che quando fu eletto al Comune d Milano e poi alla Camera nelle liste del Psi non ha votato per sé. Neanche quando fondò il partito Radicale con Villabruna si vede che poi non lo aveva votato. Ma Berlinguer “riformista liberale”?
Monti ha ammazzato l’Italia. Dice per fare felice la Merkel, ma non è certo. Ora si propone di continuare per altri cinque anni – dice di no, ma è in marcia di avvicinamento. Col plauso dei vescovi. Ci vogliono morti? Ma poi non ci sarà la crisi delle vocazioni?

Importiamo più auto Fiat di quante ne esportiamo, questo è vero. Ma perché la colpa è di Marchionne?

Le auto si vendono in Germania a forte sconto, al 30 per cento, anche questo è vero. Alcune case, Opel-Gm, perdendoci. Altre, Vw, compensando le perdite coi guadagni oltremare. Un po’ come Marchionne con la Chrysler. Ma per Marchionne questo è un peccato, per Volkswagen una virtù – che pubblicizza la Nuova Golf “con una riduzione di prezzo di 1.270 euro rispetto al vecchio modello”.…

Bersani riunisce a Lamezia gli stati generali del Pd per il Sud, e non dice niente: non propone, non critica. Solo chiede che il consiglio comunale di Reggio, eletto quattro mesi fa, sia sciolto. Naturalmente per mafia, trovandosi in Calabria. Mettendo nell’imbarazzo il ministero dell’Interno. Non aveva altro da dire?

Nello stesso giorno il sindaco democratico di Amantea, a pochi chilometri da Lamezia, Francesco Tonnara, una vita nel Pci-Pds-Ds-Pc, sindaco della quarta maggiore città calabrese governata dal Pd, lascia il partito: “Troppo nepotismo”. A Bersani non glielo hanno detto?

Augusto Barbera, costituzionalista insigne, insegna che “Guareschi andò in carcere per una vignetta che offese il capo dello Stato, che allora era Luigi Einaudi”. L’(ex) Pci ha cancellato anche la memoria delle cose.

Lavitola scrive a Berlusconi e manda la lettera ai giudici di Napoli. Che mettono in moto Fini. Il quale va da Lilly Gruber e con ira dice: “Io sono stato ministro degli Esteri, qualche contatto con i servizi l’ho mantenuto”. Fa pure l’occhiolino, per dire “ci intendiamo, so tutto”. Alla Gruber che ne sembra felice.
Lilly, vecchia democristiana, non si sarà congratulata con se stessa: “Se questo è il nuovo Andreotti”?

I servizi segreti a Montecarlo non sono una grande plot. Ma il fondale meriterebbe, meglio della torva Berlino. In armonia con i servizi italiani, i quali, secondo Umberto D’Amato, soprattutto ambiscono alla diaria, per permettersi “un buon ristorante francese”.

Anche la saggezza al Sud è frammentaria

Fra i luoghi comuni più trascurati, dopo Sciascia, e i più sapidi. I proverbi e i wellerismi, così detti dal Sam Weller di Dickens specialista del ribaltamento giocoso dei proverbi stessi. Della sua raccolta Spezzano segnala anzitutto la frammentarietà, o diversificazione plurima: tra forme dialettali, di lessico all’interno delle stesse forme, e perfino di ortografia. Per ragioni storiche: la tarda e tortuosa latinizzazione della Calabria meridionale, grecanica, rispetto a quella settentrionale (Rohlfs). Cui Spezzano aggiunge l’orografia.
Ma più vero è che la frammentarietà è comune a molte delle regioni che fanno il Sud, alla Sicilia, per esempio, e alla Sardegna – in questa collezione lo documentano le raccolte d Emma Alaimo e Salvatore Loi. Per una comune mancanza: l’unità di comando, la universitas, comunale, signorile, statale. Di organizzazione, di governo – che è anzitutto collaborazione a uno scopo comune. Una mancanza che molto altro spiega: l’assenza di un tessuto sociale altro che familiare, il ribellismo vacuo, la violenza irriflessa, improduttiva.
Francesco Spezzano, Proverbi calabresi, Giunti, pp. 158 € 7,90

lunedì 1 ottobre 2012

Lorca più grande di Lorca

Fa impressone vedere Lorca nelle edicole, regalato, sia pure per promuovere una collana del “Corriere della sera”, i Classici della poesia. Fa impressione anche che la poesia, sia pure a prezzi di saldo, sia reputata utile per mantenere, e sperabilmente accrescere, le vendite del maggiore quotidiano – a Lorca seguiranno Whitman, Quasimodo, Rimbaud, Verlaine, D’Annunzio, Celan “e molti altri”.
Sono le poesie di Lorca del periodo giugno 1917-novembre 1919, tra i 19 ai 21 anni, tra le prime ma non acerbe. Pubblicate molto tardi, nel 1994, erano state tuttavia riorganizzate da Lorca stesso in vista di una pubblicazione, tra tutti i materiali che aveva scartato alla sua prima pubblicazione, il “Libro di poesie” del 1921, con componimenti del 1918 al 1920. Coprono un periodo di svolta nella vita del giovane Lorca: la fine degli studi musicali, con la morte del suo maestro Antonio Segura Mesa, un verdiano, la decisione della famiglia di troncarne gli studi a Parigi, la scoperta della Spagna, in viaggio con gli amici, e il primo approdo alla madrilena Residencia de Estudiantese, dove risiederà per un decennio, fino ai trent’anni.
Lorca incarna la resistenza al franchismo, di cui fu una delle prime vittime, e delle meno giustificabili, ma era nel 1936,allo scoppio della guerra civile, già un poeta “nazionale”. A Madrid come a Cuba e nel Messico, a New York, a Parigi, a Barcellona. Da qualche tempo incarna anche il gay pride, ma non ne ha bisogno: è di più, prima. Leggendo queste prime poesie, se ne ha come una scossa, su tutti i temi dell’adolescenza da cui usciva, l’amore che sgomenta, la questione sociale, la natura e la storia. L’infanzia è privilegiata, come regressione alla vita senza traumi o rimozioni – “Io sogno adesso quel che ho vissuto nei miei anni di bambino”. Socievolissimo e angosciato. Con una notevole educazione musicale, che si riverbera nella scrittura, da orecchio assoluto.
Federico García Lorca, Il mio segreto. Poesie inedite 1917-1919, Meridiani Mondadori-Corriere della sera, pp. 611 € 2,90

Letture - 112

letterautore

Amico di penna – Reso famoso da “Charlie Brown” e oggi soppiantato da internet (facebook, blog, chat), vi ha trasposto le proprie caratteristiche. Di un rapporto per lo più “inventato”: desideri, suggestioni, proiezioni, che il reale spesso fanno fantastico, e viceversa. Generalizzando a tutte le età e condizioni storiche e sociali quello che era un rapporto pedagogico. Caratterizzato: adolescenziale, borghese, di buone maniere, per vincere il ”rispetto umano”, o la timidezza, e imparare a esprimersi. Come fare teatro, giocare al calcio o altro sport di squadra, cantare in coro.

Dante - Fu un mezzo Casanova. Questo lo dice Boccaccio, che conobbe alcuni suoi contemporanei: “Tra cotanta virtù, tra cotanta scienzia,… truovò ampissimo luogo la lussuria, e non solamente ne’ giovani ani, ma ancora ne’ maturi”.
È anche semplice, molto maestro di scuola.
E mago. Questo lo attestano un documento notarile del 1320, e i Visconti signori di Milano, Matteo e il figlio Galeazzo. I non ancora duchi, ghibellini, volendo attentare alla vita di papa Giovanni XXII col veleno, lo vantano come consulente a un candidato killer.

Evita sempre la morte. Non di proposito, come modo di vita: viaggia tra i morti come se fossero vivi. Traspone la storia – la attualizza. Nietzsche, che non lo leggeva, per questo lo dice, nel “Crepuscolo degli idoli”, “una iena che fa poesia tra le tombe”. È sgradevole ma vero.
Nell’“Ecce Homo” Nietzsche s’innalza al confronto: “Dante, paragonato a Zarathustra, è solo un credente, non uno che crea prima la verità, uno spirito che domina il mondo, un destino”. Nietzsche, dice Gide di scorcio nel “Dostoevskij”, era geloso: “Nietzsche è stato geloso del Cristo, geloso fino alla follia”. Più di Dante – o Dante non era geloso (questa nel repertorio di Papini non c’è)

Follett – D’Orrico magnifica Ken Folett come un folletto della scrittura. Geniale, sorprendente. Un socialista, l’ultimo rimasto. Uno dei cinquanta, si aggiunga, che si opposero alla visita del papa a Londra. E uno storico. Avendone riletto “Sulle ali delle aquile”, cinquecento fitte pagine commissionate da Ross Perot, si dubita che i Follett siano due. Il peana fu sfornato in tempo per la vendita della società di Ross Perot alla General Motors nel 1984, con un’enorme plusvalenza, e l’avvio della divertentissima vecchiaia del milionario, con ben due campagna presidenziali vissute da candidato.
Un genio, però, certamente. La sua socialistissima moglie è quella che ha propiziato con le spese stravaganti lo scandalo delle note spese ai Comuni – inaugurando il filone dei romanissimi “Batman” , e la sconfitta dei laburisti.

Anche la “candidatura” di Ross Perot si può dire geniale, perché no: alle presidenziali nel 1992 e nel 1996 si fece i voti dei “democratici per Reagan”, e fece così vincere i democratici di Bill Clinton, dopo una lunga serie di presidenze repubblicane.

Italia - Si può andare indietro nel tempo, fino a tutto il Settecento, quando italiano non è soltanto il linguaggio della commedia e la lingua della musica, nonché il language des dames, ma è anche il disegno architettonico e urbanistico, la critica dell'economia, e perfino la speculazione filosofica. Non solo per Vico ma anche, per esempio, per Pietro Verri – dopo Giordano Bruno e calabresi Campanella e Telesio. Piero Giordanetti ha collazionato alcuni testi dell'“Antropolgia pragmatica”, nella quale Kant sintetizzò trent'anni di corsi universitari, in maniera da evincerne un debito esplicito, per filoni importanti di ricerca, su piacere e dolore per esempio, e su filosofia e teodicea, verso la filosofia italiana. Scrivono molto in italiano la regina Margherita, Louise Labé, Montaigne, Diderot nei “Gioielli indiscreti”, fino all'antipatizzante Herder. Goethe padre, Caspar, scriveva in italiano. Mozart scriveva indifferentemente in italiano e in tedesco. Voltaire, che aveva eletto l'italiano a langage des dames per corrispondere con madame Denis, sua nipote, e altre amanti, scrive in veneziano a Goldoni, e a Cesarotti con lusinga: “In italiano si dice tutto ciò che si vuole, in francese solo quel che si può”.
Il Settecento era tempo di eteroglossie, a giudizio di Gianfranco Folena, “L'italiano in Europa”. Goldoni e Casanova scrivono in francese le memorie, un genere francofono, benché derivato dai “Commentari” di Cesare - altro esito avranno, fuori dal Settecento eteroglosso, i tentativi di D'Annunzio e Malaparte. Ma italiano era indubitalmente il linguaggio della cultura. Da Pietroburgo a Vienna, a Londra e a Madrid. Fino a Ottocento inoltrato, alla “nostra Italia” di Elisabeth Barrett Browning.

Luoghi comuni – Facebook se ne può dire il trionfo, il luogo della comunicazione per eccellenza.

Ne stabiliva l’attualità già nel 1975, un secolo fa, un accademico studioso di Flaubert, l’americano Shoshama Felman, dell’università di Yale (“Modernité du lieu commun”, in “Littérature”, n. 25). A margine di “Novembre”. Facendosi forte di Baudelaire: “Esiste qualcosa di più attraente, di più fertile e di natura più positivamente eccitante del luogo comune?”, senza ironia (“Salons”, 1859). E di Léon Bloy, anche lui autore di una “Esegesi del luogo comune”: “Troppo facile dire «sembra un luogo comune». Ciò che è in realtà, chi può dirlo?”. Chi può dirlo, si chiede Felman.
Luogo comune è stereotipo, automatismo, ripetizione, cliché, la “lingua degli imbecilli” per Bloy, mentre la modernità è novità. Più paradossale, continua a dirsi Felman, attribuire questa modernità a Flaubert, che del luogo comune fu inflessibile cacciatore, fino a comporne un beffardo “Dizionario delle frasi fatte”. Un repertorio che ne ridicolizzasse l’uso. Ma c’è poi la questione dei “rapporti tra la scrittura e il silenzio”, nota Felman. Flaubert, come poi Bloy, andava alla caccia dei luoghi comuni affinché, con la scrittura “non si osasse più parlare”. Sarà il rovello di Beckett, è il problema della contemporaneità: l’abolizione dell’io. La ricerca, singolarmente “comune”, del proprio anonimato.

Silenzio – Può essere la parola più pregnante – la forma più complessa e articolata di comunicazione. Barthes, in “Dove lei non è”, il lungo lutto in morte della madre, ricorda un haikù di Bashô, “Restammo seduti per un lungo momento nel più estremo silenzio”, e si consola: “Trovo d’un tratto una specie di pace, dolce, felice, come se il mio lutto si calmasse, si sublimasse, si riconciliasse, si approfondisse senza annullarsi – come se “io mi ritrovassi””. Subito prima ha detto, della madre morta: “Poche parole tra di noi, io restavo silenzioso (frase di La Bruyère citata da Proust) ma mi ricordo del più minuto suo gusto, dei suoi giudizi”.

Una maniera muta, identificativa, di significare (estrinsecare) gli affetti, duratura.
E poi, ancora Barthes della madre: “Condividere i valori del quotidiano silenzioso (gestire la cucina, la pulizia, gli abiti, l’estetica e come il passato degli oggetti), era la mia maniera (silenziosa) di conversare con lei”.
Comunicare non “dicendo” le cose, tesoro, ti amo, etc., ma identificandosi. Trasponendosi nell’altro, per un riconoscimento”naturale”, spontaneo, immediato, nelle cose, nei gesti, nei gesti rattenuti. Questa comunicazione “naturale”, non ostensiva, non posata, senza preoccuparsi di sembrare, buoni, pii, santi, bravi, Barthes chiama “Santità” – il modo d’essere naturale, non inarticolato, vissuto.

letterautore@antiit.eu

Il calcio è imprevedibile, poco serio

Molti gol – il calcio è imprevedibile - e molte calciopoli in agguato, in un sola giornata. Fortuna che non dobbiamo preoccuparcene, il calcio non è una cosa seria. Alcune chicche.
Basta una sconfitta e Zeman diventa “il boemo” per la coscienza di Roma, “Il Messaggero”, in un col “Corriere dello Sport” e il “Corriere della sera-Roma”. Come allo stadio Juventus. Una settimana prima era un idolo, l’uomo che avrebbe sderenato la Juventus.
Ma il peggio è il non detto: l’oscuro Baldini e l’oscura proprietà della Roma – dietro i “portatori” americani. I quali più che sulla squadra lavorano sul titolo.
Tagliavento che sbaglia sempre a favore del Napoli, in Sampdoria-Napoli, che storia è questa? Non era l’arbitro della Juventus? O è deciso che Napoli e Juventus debbano farsi la gara? Sarebbe importante saperlo, per le scommesse.
La Samp viene decimata dalle ammonizioni in vista della partita col Napoli. Che poi l’arbitro Tagliavento decide ad arbitrio, palese, senza possibilità di errore. Era questa l’essenza del “moggismo”, secondo i pubblici accusatori Auricchio e Narducci al famoso processo napoletano.
Ce ne sarebbe più che abbastanza per una napoletanopoli. Sempre con lo stesso giudice: il giudice Narducci dovrebbe avere tempo libero per occuparsene, ora che ha solo l’antimafia, non fa più l’assessore per il giudice De Magistris. Ma non si farà, la giustizia si differenzia dal calcio, è più prevedibile.

domenica 30 settembre 2012

Il miglior S.Holmes, senza Conan Doyle

Fra gli apocrifi (Freud, Marx, il samba..) il più sherlockholmesiano - editato anche con generosità, ci sono pure le note. La nebbia è se possibile più spessa, gli indizi più sorprendenti – è il trionfo degli indizi. Senza mai inverosimiglianze: c’entra Jack lo Squartatore, ma senza strappi al “canone”, come la “Bloofer Lady”, la dama bianca di Stoker, e il professor Van Helsing, e c’è altrettanto naturalmente Dracula, benché sia un soggetto poco malleabile. Conan Doyle ne sarebbe invidioso.
Loren D. Estleman, Sherlock Holmes contro Dracula, Gargoyle Pocket, pp. 183 € 9,50

Con Monti finisce il Pd

Essendo avvezzo alle ruote di scorta, ad averne di doviziose al suo servizio, femministe, sindacaliste, giornaliste, eccetera, ora che deve fare la ruota di scorta, per questo il Pd non sa che fare? O è che il pendolo del compromesso storico, il cui fulcro era “mi metto in tasca i democristiani”, si è spostato sull’altro versante – vi dicono che la politica è un’altra, che non c sono più democristiani e i comunisti, ma non è vero, basta andarci a parlare? Non c’è una ragione perché Bersani si faccia innervosire da Monti che dichiara di voler governare senza elezioni, e questa è già tutta la storia. Nel senso: che partito è questo Pd?
È maggioritario. Nel senso che si vuole dominante, “egemone” si sarebbe detto quando c’era Togliatti. Solo che la politica non è finita, è cambiata; e non sono cambiate le parole, anche i fatti sono molto lontani da quelli di Togliatti, e da Togliatti. L’inesistenza del partito nelle regioni periferiche (Sicilia, Calabria, Campania), e non periferiche (Toscana) ne è una riprova, avendo l’unica origine nel fatto che si voleva perpetuare il togliattiano centralismo democratico, senza Togliatti, dopo cinquant’anni, e senza organizzazione.
La storia è poi questa: si fosse votato all’ombra dello spread, e col porcellum che gli dà maggioranze schiaccianti in Toscana, il Pd poteva vincere facile. Bastava avere il coraggio di votare. Non ha osato – osare votare? – e ha inventato invece Monti. Cioè il vero Berlusconi, non la macchietta dei giornali: l’uomo del capitale. Che ora impicca il Pd alla sua stessa corda.

Vescovi, giudici e banche, il partito di Monti

Vescovi, giudici e banche sono dunque al centro del Grande Centro. Monti ha scelto la tribuna americana per fare il grande annuncio, e l’effetto c’è stato: oltre che potenti, i neo guelfi sono anche moderni, ci sanno fare. I tempi e il modo scelti da Monti hanno molto colpito i professionisti della comunicazione.
Un primo effetto le constituencies di Monti lo hanno ottenuto: ci hanno liberato dei Montezemoli, che il partito dei banchieri candidava - se non era un falso scopo, la “lepre” delle corse di resistenza. Quello in titolo infatti si è subito schierato, non avendo altro da dire. Restano ancora da trovare gli altri voti. I vescovi e i loro alleati sono gli onesti per definizione. Non rubano. E le tasse le pagano. Non c’è destra e sinistra, dicono nei loro (grandi) giornali, c’è chi paga le tasse e chi no. E loro le tasse le pagano. Anche i giudici per qualche sapido arbitraggio internazionale. In Svizzera, al Lussemburgo, a Montecarlo, in ditta con lo Ior, ma le pagano. Hanno quindi titolo a dare lezioni. Resta da vedere se hanno anche i voti, il magistero dei vescovi non è così infallibile, come tendeva a pensare Ernesto Rossi.
Renato Mannheimer ha subito accreditato a Monti l’80 per cento dei suffragi. Ma forse c’è un errore di stampa, l’8 è più realistico. Vicino al 4 per cento di Casini. Che però non ha oberato gli italiani di tasse.