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sabato 31 gennaio 2015

Letture - 202

letterautore

Conan Doyle – Ha, ancora a fine Ottocento, evidente soprattutto nelle storie di Sherlock Holmes, il vecchio stile conversativo che la letteratura si portava dietro dal Rinascimento, prolisso e pieno di preamboli. Evidente a contrasto con la rapidità che si richiede al giallo. Che invece Sherlock Holmes in vari modi interpreta: misterioso il giusto, e poi uno che pensa, parla e fa fulmineo, muovendosi come un ninja  e quasi ubiquo. Anche perché la velocità connotava il Fine Secolo, nei trasporti, nelle comunicazioni. Conan Doyle il medico scozzese è uomo del suo tempo, ma si voleva scrittore come aveva imparato a leggere.

D’Annunzio – Anglodipendente più che francofilo. Mario Praz lo riconduce alla poesia, la saggistica e la sensibilità inglesi, tracciandone gli echi e i calchi. Soprattutto nella introduzione alla raccolta, cinquant’anni fa, di “Poesie, Teatro, Prose” per i classici Ricciardi. Con un’infinità di riferimenti, nella filiera decadente, a Pater-Swinburne, ma anche a Shelley (e Keats) e a Whitman. Per letture dirette o mediate da Adolfo de Bosis, Enrico Nencioni e altri letterati suoi amici. E più dalla pubblicistica francese, il “Diario” dei fratelli Goncourt, e alcune traduzioni – che Praz identifica come fonti per i comuni errori.

Debito – Usava tra i letterati e artisti indebitarsi. Fino a D’Annunzio era quasi una regola. Poi tutto è cambiato, e anche l’artista si vuole uno regolare, in pace col fisco e gli amici. In economia il debito è durato più a lungo. Fino a Keynes, si può dire – che per l’Italia significa ani 1970-1980. È da poco che è demonizzato. Il problema sono i creditori. Che normalmente vogliono prolungare il debito. La Germania è una novità, che vuoe che glielo paghiamo tutto subito.
Rabelais ne fa l’elogio, ai capitoli Terzo e Quarto del “Terzo Libro”: Panurge, a cui Gargantua rimprovera di avere mangiato il suo grano in germoglio, si lancia in un “Elogio dei debiti”. “Ma”, gli chiede Pantagruele, “quando ne sarete fuori?”. “Alle calende greche”, risponde Panurge, “Dio me ne guardi di non averne. Non troverei allora più nessuno che mi presti un denaro. Chi la sera non lascia levito, al mattino non potrà fare il pane. Dobbiate sempre qualcosa a qualcuno”.
Rabelais trasse l’idea dal Berni, ha scoperto Giovanni Macchia per molteplici indizi – nell’introduzione alla traduzione di Augusto Frassineti, 1970. Uno dei “capitoli” di Francesco Berni (“Capitoli e sonetti burleschi”), Il XXVI, è “In lode del debito”: chi s’indebita vive bene, e senza faticare. Ma il canone l’aveva meglio stabilito prima, al cap. XXI (“Capitolo primo della peste – A messer Pietr Buffet cuoco”): “Accatta e fa’ pur debito, se sai,\ Che non è creditor che ti molesti”.
Rabelais ne fa il motore dell’armonia dell’universo: il debito è la Grande Anima del Tutto. Ne farà l’elogio anche Charles Lamb, in uno di “Saggi d’Elia”: “La specie umana è composta di due razze d’uomini, gli uomini che prendono a prestito, e gli uomini che danno a prestito… L’infinita superiorità dei primi, che io decido di chiamare la gran razza, traspare dalle loro figure, dal portamento, e da un certo senso istintivo di superiorità”.  

Elezioni – Comprare i voti, come alle primarie del Pd, si faceva già al tempo di Poe, che probabilmente ne morì. L’autunno 1849 era tempo di elezioni. L’uso era di irretire possibili elettori convogliandoli in locali detti coops, pollaio, stalla. Poe fu probabilmente uno dei polli di queste bevute elettorali, alle quali non resse. Fu trovato la sera del 3 ottobre abbandonato per terra in una pozza sotto la pioggia. Ricoverato, morì quattro giorni dopo in ospedale di delirium tremens.

Pasolini – Ma ce n’è uno anche reazionario e inappetibile. Col protagonismo strapaese, molto malapartiano – accorto, opportunista, giornalistico (ma non beffardo). Nel 1968, per esempio, in cui non fece solo che schierarsi con la Celere. Superfiale a volte, disinvolto: “Il Terzo mondo, fuori dalla retorica, è stupido”, poetava. Per il motivo “che la comodità allontana dalla natura,\dove il modello di comportamento è dato dai sublimi asinelli,\dove i vecchi vanno a sedere scoperto,\e quanto ai ragazzi il loro unico ideale è essere servizievoli”. In Siria? Mostruosamente falso – il sesso vi sarebbe “solo funzionale, il modello del coito è quello dell’asino”.

Bisogna volere bene ai poeti, ma il panflettista sconcerta. Figlio di un padre che amava la madre “senza reciprocità”. Con una esistenza quindi posticcia, come il friulano appreso per poetare, o il romanesco. Ero comunista, voleva si dicesse nel suo coccodrillo, perché ero conservatore. Jan Palach non gli piacque, lui che piangeva su ogni destino. Era andato a Praga, e inaugurava la rubrica su “Tempo” – erede proprio di Malaparte - al tempo dell’invasione e non ne ha fatto cenno. O si può dire di lui quello che “non sa nulla, ma lo sa meglio”, come si diceva a Praga?
Non si sa che pensarne, di uno che scrive: “Dopo Venezia, Bologna è la città più bella d’Italia, oggi a Bologna c’è il congresso del partito Comunista... Soltanto a Natale e Pasqua c’è nei gesti della gente tanta letizia e ansia di qualcosa che si riconferma come nuovo”. A Natale e Pasqua però “la letizia è sciocca”, a Bologna “buona e sincera”.
L’assassinio del fratello imputava ai “fascisti di sinistra”, il comodo scarico dell’ipocrisia.

Proust - ”Molto di Proust c’era già nel “Fanciullo nella casa” di Walter Pater, nota Mario Praz, in uno degli articoli che dedica a Vernon Lee in “Il patto col serpente”. Praz insiste molto sull’incidenza di Pater nella sensibilità e la stessa opera di Proust..

Roma – Ha  istruito e ispirato mezza pittura europea. Secondo Diderot la migliore: “Le più belle composizioni dei pittori, le più rare sculture degli statuari, le più semplici, le meglio disegnate, quelle che hanno il più bel carattere, il colore più vigoroso e più severo, sono state fatte a Roma, o al ritorno da Roma”.

Sogno – Prima di Freud e del surrealismo, i sogni erano una macchina da letteratura, per essere carichi di mistero, anche quelli beati. Di contorni spesso, ma sempre di una sostanza che s’intende “più” del reale, dell’immaginazione quotidiana. Se non altro per essere differente, di proporzioni, di forme, di combinazioni.
Il caso più noto è quello di Stevenson, nei ricordi della moglie: “Nelle ore piccole del mattino fui svegliata da grida d’orrore di Louis. Pensando che avesse un incubo lo svegliai”. Era vero, era il sogno dello “Strano caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde”. Che però non fu scritto come nel sogno. Stevenosn si arrabbiò con la moglie: “Perché mi hai svegliato? Stavo sognando un bellissimo racconto da far accapponare la pelle”. E per tre giorni si concentrò a scrivere di furia il racconto, come lo ricostruiva nel sogno. Ma non funzionava: lo lesse alla moglie, che non ne fu impressionata, e allora o bruciò. Poi lo riscrissi con calma nella forma attuale.

Se ne è sempre fatto l’elogio, in poesia e anche in prosa – Dante certo, a partire dalla “Vita Nuova”, e un’infinità di altri autori, se non tutti. Ma di più nel romanticismo, che ne teorizzò variamente la funzione creativa. La “camera oscura” della mente chiama il sogno De Quincey, il “mangiatore d’oppio inglese”. Che lo associa all’oppio per una doppia funzione “creativa”: sognare con l’oppio. Ma lui non ci riuscì, i suoi “Suspiria” sono frammenti non notevoli. Anche Poe: “Eureka” non è il suo miglior racconto. Coleridge pretese di avere composto “Kubla Khan” con visioni di sogno sotto l’effetto dell’oppio – poi gli studiosi hanno scoperto che assemblava, migliorava, “visioni” scritte da altri. Una visione tra oppio e sogno che ha fatto epoca è di Baudelaire – ne parla Calasso, “La folie Baudelaire”. Ann Radcliffe s’ingozzava la sera di cibi pesanti per favorire gli incubi. Allo steso effetto Füssli, il pittore,  si nutriva di carne cruda.

letterautore@antiit.eu 

Un crescendo di Insignificanze - europee

Molta pietas, sul filo zen-san Giovanni della Croce (“per avere quello che non possiedi, devi fare la strada della privazione”, etc.), nessun guizzo del “folletto filosofo”. Il migliore è il disegno in copertina. Oppure no, qualche guizzo c’è. Le mutandine dell’Angelo Azzurro Marlene Dietrich tanto più intelligenti del “Discorso del Rettorato!” del barbagianni Heidegger, il “muso” di Ceronetti. La liberazione dalla Bellezza nell’arte: “Grazie, Paul, per averci liberati dalle catene della bellezza femminile obbligatoria nell’arte! Madame Cézanne era una donna tra il brutto e l’insignificante”, e o sposo ha potuto dare “lo stesso epso di realtà formale di una Natura Morta di mele”.
Anche la  deriva dell’Europa. Non più verso “malvagi poteri totalitari”. No, “si andrà di degenerazione in degenerazioni, di legalità in legalità formali incurabilmente amorfe, rive di linfa, di sfinimenti in sfinimenti di ogni principio, in un crescendo di Insignificanze”. 
Ma alla fine poco rimane, il massimario è genere arduo 
Guido Ceronetti, L’occhio del barbagianni, Adelphi, pp. 60 € 7

Un Renzi lungo tre legislature

Sette anni, presiederà a due elezioni, non creerà problemi a Renzi, nemmeno convocandolo a giorni alterni come usava Napolitano, anzi ne sarà lo scudo. S’inaugura con Mattarella l’era Renzi, che durerà almeno quindici anni, i due-tre che mancano alle elezioni, e le due legislature successive.
L’economia potrebbe aiutare, tornando infine a crescere in qualche modo. Di più aiuterà la connessione europea, che Renzi è riuscito in breve a capovolgere in favore dell’Italia, dopo cinque anni di isolamento. Grazie anche alla Grecia, che ha votato l’estrema sinistra di Tsipras. E presto probabilmente grazie anche alla Spagna, che voetrà socialista, o anche Podemos, due partiti che guardano molto a Renzi. Il passo decisivo comunque Renzi l’ha già fatto catturando Angela Merkel.
I due guidano i due schieramenti maggiori e opposti in Europa, il popolare e il socialista-progressista. Ma è come se comandassero la stessa barca. Il partito della Merkel in Italia è rappresentato da Berlusconi, ma l’unico legame è con Renzi. Unisce i due la rottamazione, che era di Merkel prima che di Renzi. E la necessità di rilanciare l’economia, che a questo punto è anche di Merkel. Senza pagare troppo per il problema Grecia.
Ma più di tutti conta il successo per il Quirinale. Al primo voto utile. Ancora più che quello delle Europee. Si prenda il primo caso, la legge elettorale. Con uno specialista in materia al Quirinale, la fronda interna si è castrata: potrà criticare la legge di Renzi ma con giudizio. 

Un Pd sbiancato

Torna la Dc, non c’è dubbio, il tono dei commenti degli ex Dc non è provocatorio, è un fatto. Rifatta: il Pd non si chiama e non si chiamerà cristiano ma sarà democratico in quel senso lì.
Non sarà un partito (cristiano) democratico anni Cinquanta, ma un partito “popolare” e di potere sì. Basta vedere il sollievo e gli osanna dei vecchi brand, la Rai, le gazzette, le banche, gli ex enti pubblici ora campioni nazionali, la Confindustria. Non cè altro Pd, giusto la filiera Sinistre Dc-Popolari-Margherita-Ulivo. La filiera è Non farà referendum contro il divorzio, ma non si sbraccerà sui diritti civili, che infatti ha già accantonato. Forse farà anche qualche legge, ma sarà ferocemente diviso in correnti, per meglio gestire il potere anche negli interstizi.
C’è molto di già visto in questa congiuntura del partito di Renzi. Se ne sono accorti quelli dell’Ncd che non erano Dc: Di Girolamo e Sacconi. Che a questo punto però sono fuori dalla politica, irrecuperabili anche da Berlusconi, se dovesse riuscirgli l’ennesima rimonta.
Nonché i Casini, Cesa, Alfano, Schifani, tutti i vecchi Dc curricolari, svaniscono, e forse scompaiono, anche le alternativa muscolari a Renzi tra centro e destra: Berlusconi naturalmente, Passera, Della Valle, Monti. “Tornerà, tornerà”, dice Renzi di Berlusconi, al patto del Nazareno, come a dire “stai sereno”: che altro può fare (oltre a fingere di fare lo statista)? E questo è proprio democristianese doc.

venerdì 30 gennaio 2015

La seconda guerra europea all’Italia

Dopo l’attacco al debito italiano l’attacco al sistema bancario? Sì, è l’evidenza. Per la tempistica: i “giorni della merla” della politica e del governo, impegnati nell’elezione presidenziale. Per le dimensioni e il coordinamento dell’attacco a Mps.
L’obiettivo minimo è fare del Monte dei Paschi una preda facile, di nessun prezzo. Dopo aver terremotato le banche italiane, in Borsa, nel patrimonio, nella fiducia dei risparmiatori e investitori, per i tanti vincoli che hanno con Mps. Non è lo stesso che l’attacco al debito, che poi si scoprì innescato da Deutsche Bank, le poste da movimentare sono minori, ma dimezzare il titolo in tre giorni non ha altro senso: far fallire una banca italiana, la terza più grande banca.
Fallire propriamente no, non si può, ma terremotare Mps e il sistema bancario si: 1) L’attacco al Monte dei Paschi c’è, concentrato, organizzato: in tre giorni è stato vanificato laumento di capitale per il quale era stato organizzato il collocamento, che ora dovrà essere raddoppiato. 2) Passa da Londra ma viene dall’eurozona, non da mani americane, cinesi o arabe. 3) È stato propiziato da Francoforte, dall’allegra gestione della vigilanza bancaria europea al suo debutto, parziale e pettegola.
L’attacco al debito fu avviato e alimentato a febbraio 2011 da Deutsche Bank, si scoprì a cose fatte. L’attacco alle banche si sa già che è stato innescato da Francoforte, dalla vigilanza Bce. I criteri di analisi della vigilanza bancaria devono essere uniformi, e la discrezione assoluta. A Francoforte è al contrario, tutto si fa sapere, molto più del necessario e anche del giusto – a partire dagli stress test, gestiti come un mercato delle vacche, o una sorta di asta olandese, al ribasso. Non è per caso che l’offensiva è partita dopo che la banca italiana ha spiegato i suoi progetti a Francoforte, alla vigilanza Bce, che ha fatto sapere di non esserne convinta.  

Tre forni per le elezioni

Un governo con Alfano, una maggioranza parlamentare con Berlusconi, e una presidenza della Repubblica con Vendola. Renzi vuole battere Andreotti anche in questo, giocando con tre forni invece di due – o era al contrario, giocavano coi due forni i nemici di Andreotti, i socialisti? La cosa sarebbe sorprendente se gli riuscisse.
Renzi, anche qui, è in linea con la contemporaneità. Angela Merkel, la maestra di tutti, ha governato con i Verdi (sinistra), con i Liberali( destra), e ora da qualche tempo con i Socialdemocratici (sinistra). Ma non con tutti insieme. O Renzi ha fatto confusione?
Forse Renzi vuole soltanto sbugiardare tutti gli altri, il centro, la destra e la sinistra. E non ha tutti i torti. Ma poi deve scegliere. Cioè andare alle elezioni.

Ombre - 253

“Quirinale: Napolitano vota accompagnato dagli applausi”. Ma non c’è nessun Mattarella allo scrutinio. Anche Napolitano vota scheda bianca?
O non avrà votato Emma Bonino?

Al mare, al caffè, in sala d’attesa dal dottore, anche sulla metro, nei rari momenti in cui non è piena, s’incontra solo gente che legge “Il Fatto quotidiano”. Che però dichiara una diffusione di 30-40 mila lettori. “Il Fatto” è una giornale che si legge in pubblico? O i suoi lettori li incontro tutti io? E votano Magalli al Quirinale.

Banner ad in apertura di Repubblica.it: “Vola con Emirates in business class a partire da € 1.774”. Il pubblico di “Repubblica” è un altro mondo? Beh, c’è anche l’economy, “a partire da € 446”.

“38 ispettori da Bruxelles per verificare i conti italiani”. La gita a Roma piace sempre, anche ai burocrati come ai sindacati. Del resto è tutta spesata.

Si moltiplicano gli Anni Giudiziari a Roma, ogni presidente vuole il suo. Che i penalisti quest’anno disertano, definendoli “riti vuoti” – in effetti di tipo e animus fascisti. E affermano che i problemi non sono quelli che i presidenti snocciolano ogni anno. Cosa che tutti sanno.

Sfilano gli ermellini per l’apertura dell’anno giudiziario, la prima di una serie, e mezzo quartiere Prati a Roma è off limits: auto rimosse, divieti di fermata, squadroni di Polizia a ogni angolo. Peggio di un G 7.

Il presidente di Milano Canzio ruba la scena a Palermo, assolvendo con onore Giorgio Napolitano da ogni sospetto. Poi dice che la mafia domina Milano.
Ma il presidente Canzio conosce Milano?

Non c’è inaugurazione di anno giudiziario in cui non si attacchi con ferocia Renzi, segretario del partito Democratico, e il suo governo. I presidenti delle inaugurazioni sono tutti fascisti? No, hanno paura che Renzi gli metta il massimale alle retribuzioni. Magari il tetto dei 220 mila euro che ha imposto agli altri dirigenti pubblici.

Nessuno dei fortunati autori della “casta” ha mai messo in discussione le retribuzioni dei giudici. Dai 680 mila euro del presidente della Consulta – tre volte l’appannaggio del presidente della Repubblica - in giù. Più tutti i benefits: alloggi di servizio, con servitù, “collaboratori” (attendenti), autisti, auto blu, telefoni etc. Sono quelli della “casta” figli e nipoti di giudici? Ne hanno paura? Ne sono complici.

Un anno e mezzo di appalti al Comune di Roma, da quando c’è Marino, senza gara d’appalto. Ma non s’è saputo. Si vede che a un certo punto le intercettazioni si sono inceppate.

È argomento dell’Uaar, Unione Atei e degli Agnostici Razionalisti, ma è vero che il terzo settore è opaco, opacissimo. Nessun dato delle entrate e delle uscite, né online né nei bilanci depositati. Il “volontariato” lavora con gli enti pubblici – ne spende i soldi, miliardi, in convenzione o appalto – ma senza darne conto.

L’inchiesta Mafia Capitale, che riguarda il terzo settore a  Roma, è stata deviata su Carminati e Buzzi, perché ex carcerati. Tutti contenti, Pignatone e Prestipino in testa che hanno avviato il comodo filone della mafia romana, perché così non si parla del volontariato. Di cui Buzzi era un protagonista.
Buzzi era il referente della Lega delle Cooperative a Roma, il più efficiente.

Mafia, certo. Un’inchiesta sulla corruzione spicciola a Roma tutta Pd, peraltro benefica poiché mirata a far lavorare carcerati, tossici e altri che altrimenti non potrebbero, la Procura di Roma ha trasformato in un serie di “avvertimenti” ad Alemanno.  Cioè alla destra. Con coro quotidiano unanime.

Lo sceicco Fellini

Un ricco volume di serial tv, e incontri con registi (Solanas, Loach, Olmi, Wenders), con Storaro e con Piovani, per amatori e non. Con un’accattivante “felliniana”: le interviste con Jean Gili, che insegna cinema a Parigi, della rivista “Positifdisegni, tratti dal Libro dei sogni, qualche curiosità. La parte migliore. Malgrado le solite scemenze (coinvolto pure Gianni Canova: argomenta che Fellini profetizzò il berlusconismo – non il sindacalismo asfittico?).
La cosa migliore di questa parte migliore è di Gianfranco Angelucci, che fa la lista delle donne del vitellone . Che però dovrà aggiornare, Anita Ekberg non ne ha lasciato morendo un buon ricordo: “Apparentemente gentile”, aveva confidato a Emilia Costantini, “in realtà un despota. In privato era un disastro… non aveva rispetto delle donne” - era solo “affamato di sesso” e di “prestazioni particolari”.
Fellini, il cinema, le donne, “Micromega”, dicembre 2014, pp. 215 € 15

giovedì 29 gennaio 2015

Il mondo com'è (203)

astolfo

Cina - È stata preparata all’ipercapitalismo, che esercita al meglio, dal comunismo. Che ha scardinato in breve, in quarant’anni, sia la tradizione vetusta, nella quale affondavano le masse nelle campagne, sia la modernizzazione indolente (passiva, succube, viziosa, drogata) nella quale affondavano le città. Il maoismo ha mobilitato i cinesi, restituendoli al fondo al loro incessante inesausto attivismo o individualismo,  nel mentre che li strappava all’accettazione servile - rassegnata perché quasi obbligatoriamente povera - della modernità.
È forse la nazione più in linea col suo substrato psicologico, se esistono le psicologie nazionali. Come un’immensa Napoli – che anch’essa s’immagina refrattaria alle frantumazioni dell’io – che un despota avesse liberato dei vecchi stracci e dei tanti banditi di strada, e dell’indolenza con cui ritiene di farsi perdonare dalla modernità. I vizi e le debolezze superando d’impeto grazie all’arricchimento, alla produzione, all’applicazione inventiva.

Civile – Si dice della guerra quando è incivile.
Si dice anche della società quando è eletta - gerarchica. All’origine della nozione, l’ “Enciclopedia” la sanciva coma la società non religiosa, fuori da “fanatismo e superstizione”.

Germania – È il paese col quale l’Italia ha avuto in passato meno pendenze. È anzi il paese insieme col quale l’Italia ha sempre prosperato.
Pupilla degli occhi degli imperatori del Sacro romano impero, da Carlo Magno agli Ottoni e a Federico Barbarossa. Ha avuto con l’Italia due guerre ultimamente di cui una penosa, ma le colpe sono condivise. Il Barbarossa venne cinque volte in Italia, ma per le insistenze italiane, di Como soprattutto, Lodi, Pavia, Mantova, Ferrara, in odio a Milano, della stessa Milano a un certo punto, e delle repubbliche marinare Pisa e Genova, nonché del papa Anastasio IV. E solo da ultimo con un vero esercito, forse per dare lustro alla Lega Lombarda a Legnano – e confermare l’assioma che nessun generale tedesco ha mai vinto o può vincere una guerra (se l’ha vinta è per colpa degli sconfitti).

La Germania non ha mai invaso l’Italia, a differenza di Spagna e Francia. Mai un Sacco di Roma come quello del cattolicissimo Carlo V. La memoria è sempre per ogni aspetto positiva degli Hohenstaufen al Sud,  il compianto unanime che con loro sarebbe stata un’altra Italia.

Islam – Non ha liberato il mondo di riferimento, non l’ha energizzato. Non l’ha reso omogeneo per valori, cultura, mentalità, al contrario del cristianesimo, che è uno anche giuridicamente e socialmente, attraverso riti e culti stringenti fin nelle foreste dell’Amazzonia. L’islam è più mondi e anzi quasi isole, dalla Nigeria all’Afghanistan e all’Indonesia. Nulla di più diverso, come mentalità, cultura, tradizione, società, che l’Iran e l’Afghanistan, che pure hanno in comune una frontiera mobile di quasi mille Km., e sono da sempre ugualmente islamizzati. O tra l’Iran e i vicini arabi. Mondi agli antipodi benché confinanti, le donne totalmente ma anche gli uomini, anarcoidi gli uni, vecchi pastori, urbani gli altri, la tribù contro la nazione, il deserto contro la città, e nello stesso sentimento religioso e la relativa ritualità.

Aveva impoverito – che è quasi impossibile - l’Afghanistan, in pochi anni prima della guerra Usa. Non ha migliorato l’Iran. Ha bloccato e deviato lo sviluppo di metà abbondante del mondo arabo. Negli ultimi quarant’anni tutte le basi per lo sviluppo che erano state approntate dall’Afghanistan fino alla Tunisia - istruzione, formazione, comunicazioni, commerci, qualità della produzione, diritto civile - sono state distrutte o sterilizzate. Ora prova a distruggerle in Nigeria, anche se è islamico un terzo soltanto della popolazione. In Algeria il cammino è stato interrotto dall’islam per un lungo periodo con gravi danni. A danno più spesso della popolazione islamica, per esempio in Libano e in Siria.
Non contesta, e in qualche modo garantisce, la feudalità – gli “Stati patrimoniali” direbbe Max Weber: nella penisola arabica e nei sultanati oceanici. Accontentandosi della subordinazione della donna, chiude gli occhi su altre gravi trasgressioni alla legge coranica. Mentre ha distrutto e distrugge i regimi democratici, sia pure fascisti.

La legge islamica è sempre stata in vigore in Afghanistan. Che è il paese forse più povero della terra.

Le guerre cristiane, anche folli come le ultime due, parlano lo stesso linguaggio e si ritengono guerre “civili”, intestine. Sono invece irriducibili, da sempre, i rapporti tra l’Iran e i vicini. Tra il Bangladesh ultimamente  e il Pakistan. O tra il Pakistan e l’Afghanistan, che si dividono l’etnia  più forte, i pashtun, che è la sola – con i curdi – senza un proprio Stato. Nonché all’interno dell’Afghanistan, della Libia, dell’Irak, perfino della Siria, fra le tribù.

Lega Lombarda – La si vorrebbe agli inizi della storia d’Italia, ma fu una Lega a nessun effetto. Di potentati locali occasionalmente alleati invece che nemici, quali erano di solito.

Marx - Era e rimase un borghese, il diavolo ne avrà preso possesso, anche quando dalla rivoluzione passò al materialismo e al proletariato. Fu protagonista del Quarantotto, col suo giornale, la “Neue Rheinische Zeitung”, sostenendo la guerra tedesca contro la Russia, la Danimarca, e i polacchi austriaci. Compagno e mallevadore - già autore a ragione celebrato del “Lohengrin” - quel Wagner che proclamava “il tedesco è conservatore”, e “solo l’assolutismo è”, grazie a Dio, “tedesco”: nasce indefettibilmente romantico, il suo borghese sta tra il romantico e il filisteo, che è  il borghese non romantico.
Poi fu un emigrato. Arrivò al socialismo critico non dai bisogni del proletariato, che non conosceva, ma da se stesso, giovane, tedesco, intellettuale del Marzo ’48, eretico per esigenze di ruolo, il condottiero che, aperto un varco, ci erige sopra il suo castello, da hegeliano, e da hegeliano rovesciato il castello lo fa al quadrato. Che non è apostasia, non c’era il marxismo all’epoca, ma un modo d’essere, non antipatico. Marx sarebbe stato in guerra coi suoi esegeti, li avrebbe spernacchiati, usava così: lui non ha colpa di questo chiacchiericcio che cela le cose, parlava e scriveva diretto. È Cristo, anche se non lo sa, è evangelico – se era ebreo, s’è convertito: per il dovere del paradiso in terra, della giustizia. Un Cristo laico, per la fregnaccia del Diamat. La classe resta vaga, su cui ha scritto migliaia di pagine - ma non sarà una goliardata?

Il vecchio “Che dice Marx?” o “Il vero Marx” era cosa sovietica. Dei Soviet in quanto eredi di Lenin. Solo Lenin aveva letto Marx, alcune brossure di Marx, e lo ha applicato: Marx voleva un partito di tiratori scelti. Intellettuali, ma abili a infilarsi tra le pieghe della storia, a mimetizzarsi e scardinarla, imprendibili ninja. Per fare ciò che invece non c’è scritto in Marx, solo Colletti e Althusser a un certo punto l’hanno saputo: la dittatura del proletariato.

astolfo@antiit.eu

Viva Calipari abbasso tutti gli altri

È un omaggio a Nicola Calipari, a dieci anni dalla morte: con lui Polo, all’epoca direttore del “Manifesto”, collaborò per organizzare la liberazione di Giuliana Sgrena, rapita a Baghdad il 4 febbraio 2005. È anche l’unico libro che celebra Calipari, e questo lo salva. Ma scontatamente querimonioso: Nicola Calipari sì, i servizi segreti no. I “calipariani” sì, in qualche modo, gli altri no; i “calipariani” sono stati dispersi; dopo Calipari “il Servizio verrà travolto” dagli scandali Nigergate, Abu Omar, Telecom Pirelli; dopo Calipari i servizi hanno perso i contatti nel Medio Oriente. Pur continuando a salvare altre vittime di rapimenti? Da ultimo le due ragazze, avventate come Giuliana Sgrena con contatti fasulli.
Uno, con queste letture, è tentato perfino di difendere i servizi, per natura indifendibili. Troppi si fanno belli, anche in famiglia, con Calipari. Il Nigergate, il rapimento di Abu Omar e le intercettazioni Pirelli Telecom si facevano mentre Calipari era in servizio e in attività. Un’occasione perduta. A volte si dubita perfino che Polo abbia frequentato come dice Calipari, non in “una vicenda piena di segreti”.
Nicola Calipari è un onest’uomo. Scout cattolico e capo-scout, come Renzi, a Reggio Calabria, la sua città, dirigente di Polizia a Roma, distaccato al Sismi, il servizio segreto militare, da soli due anni e mezzo quando è stato ucciso in Irak a un posto di blocco americano. Trasportava in macchina Giuliana Sgrena, giornalista del “Manifesto”, che era stata rapita un mese prima rapita in Irak a scopo di riscatto.
Gabriele Polo, Il mese più lungo, Marsilio, pp. 188 € 18

mercoledì 28 gennaio 2015

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (233)

Giuseppe Leuzzi

Il Sud ha insegnato l’insalata e le altre crudità a Milano. Alla Svizzera. A Londra e fino alla Scozia. E agli Stati Uniti d’America. Georges Simenon ha un ispirato capitolo conclusivo alle sue scorribande per gli Usa dopo il 1946 (“L’Amérique en auto”), intitolato “L’odore dell’America”, che è un inno all’Italia, e al Sud. Gli italiani hanno insegnato agli americani il crudo e anche il cotto: “praticamente”, dice, hanno insegnato agli americani a mangiare. Venendo anche dal Piemonte e dalla Toscana, ma soprattutto da Napoli, da Palermo e dalle Puglie. “Hanno introdotto in Florida e in California l’arancio e il carciofo, piantato, lungo tutta la costa del Pacifico, vigne con cui fare il vino” – due industrie che in pochi decenni (Simenon scriveva nel 1951) avrebbero reso rinomata l’America anche n cucina.

L’Europa dichiara guerra a Putin, il Sud la paga. Arance, mandarini, limoni e kiwi, tutto l’arsenale delle vitamine C, è rimasto questo inverno in gran parte attaccato agli alberi.

La mafia a Milano
A Palermo i giudici del processo Stato-mafia hanno disertato l’inaugurazione dell’anno giudiziario.
La mafia si è trasferita altrove?
È quello che sostiene il presidente della Corte d’Appello di Milano, il più alto magistrato in città, Giovanni Canzio: “La mafia si è preso il Nord, distruttiva come la metastasi di un cancro”, e la metastasi è soprattutto diffusa a Milano e dintorni. La cosa è difficile da concepire, forse il presidente non conosce Milano.
Di Milano non c’è da meravigliarsi, è sempre al città degli untori. Ma Canzio non è il solo. Da Reggio Calabria il Procuratore Capo Cafiero de Raho assicura che la ‘ndrangheta ha il monopolio della cocaina, e che Gioia Tauro è il suo porto, il porto della ‘ndrangheta. Cafiero de Raho, napoletano, forse non conosce il porto e Gioia Tauro. Ma, dopo che la cocaina è uscita dal “suo” porto, come fa la ‘ndrangheta a mandarla in tutta Europa, per corriere?
E la ‘ndrangheta cos’è, un corpo solido? O non tanti piccoli, visibili e individuabili, delinquenti, coalizzati in gruppi o famiglie, in concorrenza tra di loro? I giudici devono averne un’idea di riflesso: ai delinquenti pensano come a un corpo costituito ferreo, una specie di Csm – quando c’era il comunismo si diceva un’impresa (con più verità: la concorrenza nelle mafie è spietata).

Calabria
“Forse non c’è fortuna in una penisola”, è uno dei finali alternativi che Hemingway scrisse e poi cassò per “Addio alle armi”, il romanzo (americano) della Grande Guerra italiana. Il mare non difende ma isola. Peggio nella penisola della penisola. “Vedi Napoli e poi muori è una buona idea”, dice il paragrafo cassato: “Forse non c’è fortuna in una penisola”. Dove si è soli, e senza riparo, esposti.
Il finale alternativo, uno di 47 censiti, proprio questo dice, dopo che “tutti” sono morti nel romanzo in vario modo, gli amici e l’innamorata: “Forse non sei mai stato solo. Forse non sai cosa significa essere solo… Vedi Napoli”, etc.

Scompare dal governo Maria Carmela Lanzetta, che nessuno sapeva fosse ministro – era agli Affari Regionali. Ma scompare in modo ancora più strano: si dimette per fare l’assessore regionale in Calabria, e poi rinuncia. Rinuncia perché tra gli altri assessori ce n’è uno indagato per voto di scambio: i carabinieri trovarono i suoi volantini elettorali in casa di un mafioso.

“Paura di altri attentati?”, chiede Goffredo Buccini all’ex ministro Lanzetta, che da sindaco di Monasterace ebbe la macchina incendiata. “”No”, è la risposta: “Ma in Calabria, sa?, c’è qualcosa di peggio: la fatica di vivere ogni giorno”.

Il nome i greci diedero alla regione come della bella abbondanza. Una regione di sperperatori? O di pentiti, se se ne spogliano con determinazione. Ma senza essere francescani. Per stupidità allora, per quale ragione?

Il consiglio regionale Calabria, eletto a fine novembre, si è preso alcune settimane di ferie prima di riunirsi a metà gennaio. I vecchi consiglieri rieletti non lavoravano da un anno circa, da quando il consiglio era stato nei fatti commissariato. E i nuovi sono già stanchi?

Malgrado abbia una solida maggioranza, il vecchio comunista democrat Oliverio, presidente della Regione, non riesce a varare una giunta. L’ha limitata a quattro o cinque assessorati, e niente. Poi dice che il calabrese è testardo

I “Pre-Italici” della collana Scheiwiller ne fanno una sorta di caput Italiae. La quale deve il nome a Italo, re degli Itali, “uomini delle montagne”, gli Enotri che abitavano la Calabria. Italo che era nipote di Minosse, re di Creta, etc. Ma è la regione che ha meno il culto della storia. Cioè meno storia.

“Il viaggio a Crotone: scoprire la Calabria dall’antichità ai giorni nostri”, è tema di un colloquio di studi a Ginevra l’anno scorso. E di un progetto di ricerca dell’archeologo classico svizzero Lorenz Baumer.

È vero che Minosse era un pastore. Anche Zaleuco di Locri. Ma non è una diminuzione: Minosse fu grande legislatore, Zaleuco pure, pastori erano i capivillaggio, pastori non di fede ma di animali domestici. È quindi un peccato, i calabresi non sono nemmeno pastori?
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Francesco Caruso diventa professore all’università di Catanzaro senza nessun titolo scientifico. Forse perché era deputato di Rifondazione. Sicuramente perché è un personaggio, e darà lustro, si pensa, all’università di Catanzaro. Dopo i due anni alla Camera – nel 2008 naufragò con Rifondazione – aveva trovato impiego al Parco Nazionale del Gran Sasso.

Il personaggio in Calabria deve essere anche non calabrese: radicale è il rifiuto di se stessi. Caruso dev’essere stato scelto anche perché è napoletano.
  
Il mafioso come un ladro, terrorista
Il delitto perfetto vuole l’occultamento del cadavere: se non c’è il morto non c’è l’assassino. La mafia invece vuole i suoi morti esposti, che si sappia, e per questo si fa anche terribilista. Il suo “delitto perfetto” è incutere il terrore.
Non a fini politici, è naturale, non gliene frega nulla ai Riina di cosa pensa la gente e di come convincerla meglio. Purché li tema. Con venature: da chi impone le stragi (Riina) a chi non uccide (‘ndrangheta – gli ammazzamenti sono vendette intestine).
Perché la gente debba temere i mafiosi, anche questa domanda ha una risposta semplice: l’arricchimento. Il mafioso è un ladro assassino. Non è un ladro tanto per sopravvivere, o per cleptomania. È un accumulatore, e il patrimonio accumula allargando le sue trincee di violenza. Nella guerra tradizionale cecchini e mitraglieri si proteggevano con sacchi di sabbia, cavalli di frisia, trincee e muri di mattoni. Il mafioso è un cecchino mobile, e si allarga col fuoco di sbarramento. Per sbarramento l’arte militare intende le cannonate, ma qualsiasi arma, anche solo una tanica di benzina, è un cannone per il mafioso, poiché affronta gente inerme e indifesa.
La lotta alla mafia per questo è stata sterile. Perché pensa di poter proteggere la vita senza proteggere la proprietà. – il lavoro onesto, il guadagno. Mentre avviene al contrario, che la mafia usa la violenza alla persona, senza limiti in realtà, per il possesso, per allargare il suo possesso.
Un mafioso è un ladro terrorista. Un capomafia naturalmente, gli altri sono sicari.

leuzzi@antiit.eu 

L’amore desolato

“Chi sa, d’altronde, se si sarebbero conosciuti ancora tra un’ora, tra una mezzora”. Una storia d’amour fou come una parusia: un evento continuato, ripetuto, e tuttavia sorprendente. Tra due solitudini, certo - sono la precondizione dell’amore pazzo. Con i silenzi, le attese, la separazione.
Il set è Manhattan, di notte. Lui è in età, uno sradicato: un grande attore a Parigi abbandonato dalla moglie per un attore giovane la metà dei suoi anni. Lei, la sconosciuta, è l’amante perfetta, sempre presente, che ha già visto e sa tutto e niente scoraggia, nemmeno l’età – “un uomo in queste cose non ha età”. Lui sa che lei mente. Ma a metà, “per deformazione, per esagerazione, o per omissione”, e come per diminuirsi: “Se le rimproverava qualcosa era d’infangarsi ai suoi propri occhi con una sfrontatezza che rasentava la sfida”.
Un tour de force di abilità, una sfida riuscita. Intrapreso da Simenon, e rapidamente concluso, al Québec a fine 1945, sull’impressione delle poche ora passate a Manhattan arrivando dall’Europa. Ma non è lui lo sbandato della storia, sebbene gli attribuisca la sua stessa età, 48 anni – se non di rimpallo: Simenon era molto distaccato dalle false accuse di collaborazionismo che l’avevano ostracizzato in Nord America. È una vicenda senza eventi, solo sensazioni.
È una storia, al fondo, di donna fatale, e un po’ anche di dark lady, ma si svolge con le parole, a mano a mano che viene scritta. Senza eventi, o esteriori deus ex machina. Gli umori sono espressione delle parole, che si dicono o non si dicono. Con un grand’angolo sbieco, deformante. È attraverso la riflessione-confessione-esposizione di lui, un po’ visto dall’esterno un po’ dall’interno, che la vicenda si grana, in tempo reale, vissuta mentre viene raccontata. L’autore è nella pelle di lui, della sorpresa, dell’amore, dell’incertezza. Ma non è lui che conduce il gioco: “Lei lo sapeva. Lei sapeva tutto”.
Come diversivo alla sua propria vicenda umana non c’è male: è forse il miglior romanzo di Simenon - unico sicuramente: è una storia d’amore.
Georges Simenon, Tre camere a Manhattan, Adelphi, pp. 181 € 12

Detti male detti - organici

Dagli organi di stampa
“Non c’è una destra degna di questo nome”, lamenta Cristina Comencini con Vittorio Zincone su “Sette”. Appellandosi a Berlinguer: “A volte per fare la rivoluzione bisogna essere conservatori”. Rivoluzionaria volendosi anche ai Parioli. Di organicità gramsciana? Che non si sa cos’è, ma è la legge ferrea dell’impegno.

Berlinguer non ha detto “a volte per fare la rivoluzione bisogna essere conservatori” – lui diceva poco. Ma il mercato è più organico di Gramsci, si appropria di tutto.

L’Inps (istituto) è sorpresa dalla nomina
L’Eni (ente) è esposta ai ricatti
L’Enel (ente) è invitata a disfarsi di Endesa
L’organicità è qui materna?

“Il Campidoglio assicura: presto il piano”. Forte? Organico?

I giudici del Riesame della Mafia Capitale: “La partecipazione di Buzzi nell’associazione criminale di cui si è tracciato il profilo è assolutamente pacifica”. Dunque, questo Buzzi non è organico. Ma pacifico?

martedì 27 gennaio 2015

La presidenza della restaurazione

Napolitano lascia il Quirinale con unanimi plausi, ma con un distinto segno politico dei suoi quasi dieci anni: ha restaurato il Centro, la Dc. Forse controvoglia, ma con costanza. Hanté forse da Berlusconi, dal timore di sanzionarne l’attendibilità politica, anatema nel suo partito d’origine, ma con determinazione. Infilando una serie di errori politici.
La sua preoccupazione fondamentale, che lui ritiene in difesa della Costituzione, di difendere il Parlamento e il voto popolare, ha confluito nel dare il potere in successione ai gruppi confessionali, poco o affatto proposti dal voto, con criteri di emergenza: Monti, Enrico Letta, Renzi. Eliminando politicamente, con Berlusconi, anche la sinistra, nella quale pure ha militato una vita. Quando Grillo rifiutò ogni possibilità di governo col Pd, il ritorno  al voto l’avrebbe sicuramente dimezzato, se non ridotto alla misura fisiologica del voto di protesta, l’8 per cento – ancora alta, ma un terzo di quella che Grillo vanta. Napolitano ha preferito le grandi intese alla democristiana, di corridoio, sottobanco.
Per una deficienza di fondo, in realtà, malgrado la lunga militanza e le quotidiane perorazioni in difesa delle procedure e le istituzioni. Di fatto è il presidente che più ha operato contro la politica e il voto popolare. S’è inventato a presidente del consiglio un professore, Monti. E Renzi ha imposto che, benché segretario del suo partito, non era nemmeno parlamentare. Forse per la sindrome Berlusconi, ma nel quadro della sindrome da “società civile”, dei “tecnici”, degli “uomini giusti”. Del “salotto buono” della politica, altrimenti sporca e cattiva.
Ne misura l’inadeguatezza la pusillanimità di fronte ai giudici. Della Procura d Palermo che lo incrimina in forma perfino assurda. Della Cassazione che si organizza, sovvertendo la procedura, per condannare Berlusconi. Dei giudici democristiani di Santa Maria Capua Vetere che gli liquidano democristianamente il governo Prodi - incriminano la famiglia Mastella al solo fine di bloccare ogni proposta di riforma del sistema giudiziario, a nessun effetto penale sulla coppia. La sua presidenza non si è nemmeno posto il problema della grazia a Sofri, che a diritto o a torto aveva tenuto banco con i suoi due predecessori. Non disturbare il manovratore sarà stata la sua divisa, stinta, come in tutta la sua carriera politica.

Perché non possiamo dirci tedeschi

“Che significa il voto tedesco per i nostri soldi” è la prima pagina-pugno nell’occhio, coi soliti caratteri neri enormi, della “Bild Zeitung”, il giornale del popolo (Volk) tedesco. La “Bild” non rappresenta in realtà la Germania, che ha ben altra intelligenza, ma esprime il modo di pensare, oltre che della piccola borghesia, di molti intellettuali: economisti, banchieri, politici.
Questa miopia è stata finora mediata da Angela Merkel, sia nel governo di centrodestra con i liberali, e con meno difficoltà ora che governa in coalizione con i socialdemocratici. Ma è un riflesso condizionato costante dacché la Germania non ha più i russi a Berlino. Affine all’isolazionismo americano, che è stato forte fino a mezzo secolo fa, prima di Kennedy, senza riguardi per la convenienza economica – affine è anche la natura dei due paesi: la Germania non è un semicontinente come gli Usa ma è pur sempre un paese continentale, anche senza contare l’ “area germanica”.
Prima del voto geco un consenso si era formato sulla necessità per la Ue di uscire dal ristagno e dalla deflazione. Ora è da vedere se il voto greco non rilancia nell’“area germanica” il fronte opposto, del “salviamoci e fottetevi”. 

La Colpa indigeribile

Fa notizia Angel Merkel che celebra l’Olocausto, ricordando la colpa della Germania. È una novità in effetti, dopo settant’anni. La cancelliera si era già distinta - come si racconta in “Gentile Germania”, che tratta a lungo il tema della Colpa - per avere visitato per prima tre anni fa un lager. Ma era quello di Dachau, dove erano internati soprattutto prigionieri politici tedeschi, e ora è un bel parco fiorito. La Colpa è lenta da digerire.
Merkel fa eccezione perché fino ai 34 anni ha vissuto nella Repubblica Democratica, a Berlino Est, e quindi con gli slogan contro il nazismo, seppure senza una buona ricostruzione storica. Ma un terzo della popolazione non sa nemmeno di che si tratta. Degli altri due terzi i più non vogliono pensarci. E ci sono ancora, seppure in età avanzata, molti tedeschi che non sapevano, non vedevano, non sentivano.
La disattenzione deriva non dall’antisemitismo ma dalla vergogna di avere perso la guerra. La festa nazionale è il 3 ottobre, giorno della riunificazione. Ma prima e dopo la riunificazione – la fine dell’occupazione e della guerra – non c’è stata una festa della Resistenza, non all’Ovest ma nemmeno all’Est, o un giorno della Liberazione.

Il processo civetta, dalla Sme di Prodi a Mafia Capitale

Processare uno per non processare un altro è tecnica perfezionata e praticata nelle Procure della Repubblica. È così che la mafia a Palermo non esiste, solo lo Stato è mafia. Non si processano altri – in attesa naturalmente di Messina Denaro, il “capo dei capi”, la “primula rossa”, etc. etc.
La pratica è stata consacrata, sotto l’ingenuo Caselli – o Caselli non è un ingenuo? – dai suoi sostituti Lo Forte e Sciacchitano, col famoso processo a Andreotti: dieci anni di indagini e di chiacchiere, 120 mila pagine di atti istruttori, e l’assoluzione. Ma era stata messa a punto a Milano, attorno all’affare Sme, su cui la capitale morale d’Italia sempre ha evitato di indagare. Un caso clamoroso e acclarato di cessione fraudolenta (a titolo gratuito e con un prestito di favore) del gruppo alimentare da parte di Prodi, allora all’Iri, a De Benedetti nel 1985. Dapprima il Procuratore Orsi non ci trovò nulla di strano, traccheggiò, e insabbiò. Poi il colpo d’ingegno: Boccassini, reduce da Palermo, processò per l’affare Sme … Berlusconi. Non per condannarlo, per trascinare la cosa in lungo, una dozzina d’anni: il processo-scaccia-processo tipo.
Ora si processano Buzzi e Carminati come se fossero i padroni di Roma. Ogni giorno faldoni di chiacchiere. Ma: per non processare chi? 

Il serpente felice della letteratura

Una riproposta fuori stagione, fuori dalle parole all’ammasso che ora fanno letteratura, di uno scrittore arguto, mai sbagliato, raffinato, misurato. La raccolta si presenta come una coda dell’opus magnum -  e anche il suo primo, nel 1930 – di Praz, “La carne, la morte, il diavolo nella letteratura romantica”. Ma è una silloge di vari temi, per lo più fuori dal romanticismo.
In chiave romantica si visitano subito “Tre maestri dell’orrore”, quattro con Hans Baldung  Grien: Lewis (“Il monaco”), Poe, Fuseli (Füssli). Con la “fanciulla perseguitata” comodo tema di Sade, Lewis (“Il monaco”), Radcliffe, Goya. Anche i preraffaelliti sono riflessi in qualche modo nel romanticismo. Ma la sua famiglia Rossetti, Antonio, Gabriele, Dante Gabriel e Christina, si fa leggere come un romanzo. E lui lo sa, che suggerisce uno Zola che sulla “famiglia Rossetti” scriva uno storione alla “Rougon Macquart”.
Ma il grosso della raccolta è fuori tema. Poe – da cui Praz ha tratto la sua “Filosofia dell’arredamento”, il titolo e l’idea - è un libro a parte, con molto spazio alla vita e alla (non) fortuna dello scrittore. Non nel mondo anglosassone – dove l’unico che lo apprezzò era Shaw. Al quale, si scopre incidentalmente, si deve il titolo per cui Praz è famoso (“scrittori come Poe cominciano dove cessano il mondo, la carne e il diavolo”). E con una sbrigativa anamnesi del giallo: “Con la letteratura il romanzo poliziesco non ha di per sé altro in comune che la veste esteriore: è un libro come può esserlo l’elenco telefonico o la tavola dei logaritmi” – Poe escluso, naturalmente.
C’è molto D’Annunzio. Molto Proust. Molto Pater. Kokoschka. Il floreale. E una galleria di eccentrici – le trenta pagine di evocazione di Vernon Lee, in questa sezione, sono anch’esse straordinariamente creative.
Con aneddoti e pointes sempre accattivanti. Lewis (“Il monaco”) e Beckford (“Vathek”) in Parlamento ai loro vent’anni, a fine Settecento. Winckelmann “esaltatore di un’arte greca a lui sconosciuta”.  La fortuna letteraria: Verga è noto nei paesi anglosassoni quale autore della “Cavalleria rusticana” – ma l’opera di Mascagni rivela “una nuova provincia del pittoresco….i cui riflessi si possono avvertire ancora oggi in un dramma come «Uno sguardo dal ponte» di Arthur Miller”. Mentre si deve all’imperatrice Eugenia – sì, alla pia musa e protettrice di Lucien Daudet, e quindi di Proust, di Cocteau e molti altri – “la scandalosa innovazione delle mutande corte”, invece delle “brache lunghe”. Col bisogno inesausto d’amore di Ruskin, che la moglie aveva abbandonato per il più pratico pittore Millais, sciogliendo il matrimonio perché non consumato. C’è anche un Frederick Hankey, “quel bello spirito incontrato da uno dei Goncourt nel 1862, che tra poco sarà il modello del sadico inglese del «Piacere» d’un romanziere italiano”. Le chicche non si contano, la felicità della letteratura.
Il giudizio dell’anglista e professore è sempre corretto, a distanza di tempo - sono testi degli anni 1960, la raccolta è del 1972. Forse anche quello su Wilde: un tardo damerino di quelli di cui Gilbert and Sullivan avevano fatto la satira già nel 1881, nelloperetta “Patience”, che si salva con le commedie, dove mette a frutto la sua vera abilità, di conversatore – per il resto “troppo ornato, troppo colorito, asiatico, barocco”.
Il “patto col serpente”, il serpente del paradiso terrestre, è di Elémire Zolla, altro desaparecido, “Storia del fantasticare”: “Coloro che firmano il patto col serpente entrano in un universo dove tutto viene rovesciato, la fantasticheria invece che messa in fuga vien coltivata, ornata, ci si offre in pasto ad essa”. È il patto del letterato.
Mario Praz, Il patto col serpente. Paralipomeni di «La carne, la morte e e il diavolo nella letteratura romantica», Adelphi, pp. 578 € 28

lunedì 26 gennaio 2015

Il vero politico si misura alla «sfida dell’eccezione»

Alla fine Weber pone questa alternativa, in regime democratico: o la “democrazia guida”, in grado di determinare le scelte, e governare la macchina statale, oppure la “democrazia senza guida”. Il predominio dei politici senza professionalità, dei dilettanti - quali sono in Italia quelli che da un paio di generazioni hanno invaso il campo, che il Parlamento degradano a talk show, a giochetti di oneupmanship, la battutina, l’ultima parola, la telegenia, e ora il tweet.
È la raccolta che opera la famosa canonizzazione del politico di professione. Contro la burocrazia, dell’esecutore cieco. Ma nella forma, che poi sarà di Carl Schmitt, del politico decisionista. A conclusione del processo di disincantamento del mondo quale Weber intravede da studioso della religione-magia e delle forme magico-religiose – disincantamento, affine a disincanto, traduce male la sua Entzaüberung, il cui senso è di smagamento, disincantesimo: ne “Il lavoro intellettuale come professione” la definisce “la coscienza o fede che basta soltanto volere per potere sempre conoscere qualcosa, e che quindi non vi sono, per principio, misteriose potenze incalcolabili che entrano in gioco, ma si può invece dominare  ogni cosa – in linea di principio – attraverso il calcolo”.
Nella vecchia premessa, Franco Ferrarotti collocava la nuova categoria del politico di professione nella contemporanea ricerca che Giovanni Gentile svolgeva in Italia (“La filosofia al potere”) sul ruolo guida dell’intellettuale in politica: “Ben diverso l’orientamento filosofico e l’indirizzo politico di Weber, ma l’intento profondo è lo stesso: come formare una classe dirigente che sappia prendere decisioni in base al calcolo razionale, e che non si limiti alla cura abitudinaria degli affari correnti, secondo il vizio e il vezzo, che è però è la loro specifica virtù, dei burocrati sine ira ac studio, ma sia al contrario in grado di far fronte alla «sfida dell’eccezione»”.  
È una raccolta di saggi del 1917, un secolo fa, nel pieno della guerra, pubblicati in volume nell’agosto del 1918, quando era in corso quella che doveva essere la risolutiva offensiva tedesca. In epoca ancora guglielmina. Che Weber intende postbismarckiana e non anti, i successori accomunando al Cancelliere di ferro, contro le cui politiche si appunta il primo dei saggi, “L’epoca di Bismarck”. A Bismarck e ai successori Weber imputa l’indebolimento del Parlamento, in una fase di crescita e formazione della maturità politica della giovane nazione. Con un cesarismo che impedisce e allontana la maturazione stessa.  
Il titolo originale è “Parlamento e governo nel nuovo ordinamento tedesco” – nuovo è postunitario. Il sottotitolo è “Per una critica politica delle burocrazia e della partitocrazia”. La burocrazia, “spirito congelato”, di cui Weber sanziona la prepotenza quale sarà dello Stato sovietico, è qui quella guglielmina. In rispetto alla quale vuole ridare autonomia e iniziativa alla politica. L’approdo è all’analogia tra Stato moderno e impresa. Lo Stato spogliato quindi dell’Auctoritas, di ogni connotazione extramondana.
L’analogia sarà ripresa due anni dopo, nella prima stesura di “Essenza e valore della democrazia”, da Kelsen. A cui Schmitt obietterà: “Una forma di organizzazione politica cessa di essere politica se viene fondata, come l’economia moderna, su basi di diritto privato”. Ora il paradigma economicistico, della combinazione dei fattori, dell’efficacia, dell’ottimizzazione delle risorse, si è affermato, da Schumpeter in poi, e più con la dominante riflessione anglosassone. Ma la concezione economicistica dell’azione politica, dei fattori per il risultato, che Max Weber non critica e anzi auspica, non approda a una razionalità limitata, utilitaristica e finalistica, fuorviante?

Max Weber, Parlamento e governo, Latrza, pp. LVII+159 € 7,50

Fisco, appalti, abusi (65)

Google Apps, per aggiornare soltanto la vostra carta di credito, v fa fare un giro del’oca estenuante. Per motivi si sicurezza? Ma si spendono pochi dollari, altri acquisti su altri siti si fanno in sicurezza per centinaia di dollari con un clic. No, per sapere tutto di voi.

Il “bugiardino” del Klacid, “antibatterico generale per uso sistemico”, tra le “precauzioni per l’uso” segnala “casi di diarrea…. dalla diarrea moderata alla colite fatale”. Quante “coliti fatali” si sono avute per testare il medicinale?

Acea Energia, di cui non si è più clienti da anni, fattura a fine 2014 bollette stratosferiche per il gas, arretrate, arretratissime, e prossime future. Di cui poi invia il ristorno. È il sistema di fatturazione impazzito? No, le fatturazioni sono di metà dicembre, i ristorni di metà gennaio. É per fare fatturato.

L’Autorità per l’energia ha reso gli utenti del mercato libero un terreno di caccia di frastornanti organizzazioni di analisi delle fatture. Ci vuole lo specialista per decifrare la bolletta dell’elettricità e del gas. Due consumi che hanno la stesa complessità tariffaria dei cellulari (offerte a termine, tariffe maggiorate per disponibilità maggiorate, etc.). Con la differenza che si tratta di consumi primari, a differenza dei telefonini.

Si propongono e si concludono contratti con fornitori di servizi, specie dell’energia, per sms. Mentre poi ci vorranno chili di raccomandate, pratiche e ricorsi per difendersi dall’avidità e l’inefficienza dei gestori. Complici le Autorità, che dovrebbero vigilare il mercato per conto degli utenti, dai quali sono pagate, e invece sono feudo dei gestori.

domenica 25 gennaio 2015

La Grecia e il harakiri dell’Europa

Paura della Grecia? Com’è possibile? Si fanno vivere le elezioni in Grecia come se fossero la fine del mondo. Si è vissuto il caso della Grecia da cinque o sei anni come se fosse la fine del mondo. Mentre non è niente, è solo una piccola, piccolissima crisi. Cosa può fare la Grecia all’Europa e al mondo? Niente. L’Europa può però schiacciare la Grecia, e lo ha fatto. E questo è quello che è successo. Ma non soltanto la Grecia, questo è il punto.
La fine del mondo è che attorno a questa minima crisi sia stata atterrata, immobilizzata, l’Europa intera. L’Europa si è atterrata. Per la protervia e l’incapacità del Nord Europa, della costellazione merkeliana, che sulla Grecia e paesi viciniori, Italia, Spagna, Portogallo, hanno risolto i loro problemi e messo molto fieno in casina, un centinaio di miliardi l’anno. Col disegno risuscito di addebitare il costo del proprio debito a questi paesi, deboli o cialtroni, Attraverso lo spread. La fuga artificiosa, fomentata a giorni alterni dalle massime autorità di Berlino, verso i titoli tedeschi e satellitari.
Adesso che la Germania stessa non se la passa molto bene, per effetto di questa crisi, Angel Merkel va a Canossa a Firenze. Dove è ricevuta da regina della notte. Lei se ne compiace, ma la crisi è ancora qui, e semmai si allarga invece di restringersi. Una sorta di harakiri. Non restano che (alcuni) italiani a combatterla: sperduti  nella giungla?

L’informazione deviata

Leggendo la stampa americana, inglese, tedesca, francese, anche la spagnola, si sa la verità. Perché l’Europa è in crisi, perché non sa uscire dalla crisi, cosa ha fatto e cosa non ha fatto l’Italia (record di flessibilità del lavoro  record di pensionamenti ritardati), e di chi è la colpa. Non manca l’informazione all’italiana anche tra gli stessi giornali ed economisti conservatori, ma è solo in Italia che la crisi è a italiana o, più assurdo ancora, greca.
Non per incapacità o ignoranza naturalmente: tutti i giornalisti economici sono laureati – tutti i giornalisti sono oggi laureati, oggi che l’informazione è così decaduta. E probabilmente tutti sanno cosa è successo e ancora succede. Ma non lo dicono. Dicono quello che i loro informatori vogliono che si dica: accrescere l’incertezza, prolungare la crisi. I loro informatori sono affaristi (finanziarie e fondi speculativi di varia natura), banchieri d’affari, banchieri.
La crisi continua è il luogo dei più facili affari per gli affaristi, comprese le banche d’affari. E anche per molte banche generaliste, per esempio la Deutsche Bank: la più grande banca tedesca è uscita da una voragine, per enormi operazioni speculative fallite, vendendosi tutti i titoli italiani in portafoglio al’inizio del 2011, e ricomprandoseli a termine dopo aver comunicato la notizia riservata al “Financial Times”. Scommettendo cioè sulla svalutazione del Bot, e garantendosi le spalle questa volta con l’appoggio – e forse con l’intesa - della Bundesbank, cui col botto-antibot ha fatto da apripista. 

Barricate in ermellino a difesa dei privilegi

Un tempo erano una manica di fascisti sotto tutti i punti di vista: mentalità, modi, carrierismo, e leggi. Ora le leggi sono cambiate, ma i giudici sono gli stessi: furbi e prepotenti. Non  una presentazione del proprio lavoro nelle innumerevoli cerimonie in cui, come ogni anno, si esibiscono in ermellino in questi giorni. Non un’autocritica. Critiche invece velenose contro tutto e tutti, la società, gli italiani, il Nord, il Sud, e la politica. Di più naturalmente contro il governo in carica – quest’anno è toccato a Renzi.
Sono gli unici superstiti dell’Italia dei privilegi, ancorché intoccati dai valorosi cronisti della “casta”. Che difendono con bizzarra albagia, attaccando e minacciando chiunque - come le mafie: chi ha avuto a che fare con le mafie non ci trova differenza. E che privilegi! Quello di non lavorare anzitutto. E un sistema retributivo-contributivo che non ha eguali in Italia. Più e meglio della Banca d’Italia. Più e meglio delle Camere, di Palazzo Chigi, del Quirinale.: Al vertice a ogni gradino della categoria: dai 680 mila euro mensili del presidente della Corte Costituzionale, tre volte l’appannaggio del presidente della Repubblica, a cascata. Con attendenti, autisti, famigli di ogni genere, macchine di servizio, alloggi di favore.

Cannibali dell'anima a New York

La scena iniziale è in un bagno microscopico di un ristorate cinese, puzzolente, da cui non si può uscire perché la maniglia è rotta. È una scena d’innamoramento, la meno tesa della lunga storia. Ma la claustrofobia è già impiantata nello spettatore, non c’è bisogno di essere antivegani per soffrire – la dieta vegana è la materia del film: i cuori del titolo sono affamati dei cuori altrui, cannibali, benché in cerca di purezza. Costanzo, operatore di professione, martella inquadrature strette e strettissime, primi e primissimi piani, usa anche il fisheye deformante, e non c’è scampo. In una New York desolata, di periferia senza carattere. Un film potente, come si suole dire, ma per amatori: aggressivo.
L’epilogo non c’è, e allora interviene il deus ex machina della tragedia antica. Di sesso femminile, ma sempre risolutore, senza riguardi per le verosimiglianza - è pure vero che negli Usa si spara a palle piene per niente: l’edizione originale è americana, benché il film sia della Rai.
Saverio Costanzo, Hungry Hearts