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sabato 15 dicembre 2012

Secondi pensieri - 127

zeulig

Amore -  “Il presupposto «il cuore ha una storia» è quello che ha permesso lo splendido sviluppo del romanzo moderno”, dice bene Maria Zambrano. Il cuore è l’organo dell’epoca, della poesia, la filosofia, la religione, la rivoluzione, con la sua passione specifica, l’amore. Come nel Cinquecento, quando entrambi confluirono nelle guerre di religione.

Trova una soluzione, si dice, agli ostacoli che via via insorgono. E a se stesso? Cos’è l’amore? A quindici anni o a venti non è la stessa cosa che a trenta o quaranta. E non è la stessa cosa a Königsberg e a Bologna, dice Stendhal, che c’è stato. C’è chi fa l’amore nei casini. E non è la stessa cosa per l’uomo e per la donna, per non parlare dell’amore omosessuale. E ieri? L’amore di Ero e Leandro, o Giulietta e Romeo, la fedeltà oltre la morte, porterebbe oggi dall’analista. Per le nobili mantenute del Settecento è una forma dell’impossibilità: il cavaliere accorre e ha buoni sentimenti, oltre che mezzi, ma la donzella muore oppure è raggirata.

C’è poi la categoria dilagante dell’amore morte. Anche all’Oriente. Con Versailles si fa eco, nel fecondo Settecento, la Cina, o Giappone che sia, col precetto che l’amore è cieco, e si purifica nell’assenza, l’attesa, la memoria. Insomma nella morte. È difficile portare l’amore in piano.

La morte è la cosa di cui meno si parla al mondo, se si eccettua la Germania. Anche questo Stendhal dice meglio: “La morte è una parola senza senso per la maggior parte degli uomini. È solo un attimo, e in genere non lo si avverte”. Ma si può farsene una grandezza, proiettando quell’attimo su tutta la vita, e in questo l’amore teutonico è insuperato, Freud non inventa nulla, amore e more è marchio di fabbrica. Sommo diletto è in Schlegel fantasticare la morte dell’amata Lucinde, straziarsi per lei. O nel giovane Kleist, e in Rilke. In Kafka non si muore per accidente, malattia o vecchiaia, ma inevitabilmente per amore. L’amore biedermeier muore anch’esso giovane, sui vent’anni, nella penombra. Lo stesso olimpico Goethe fa morire tutte le eroine d’amore nel “Wilhelm Meister”, il romanzo dell’“arte di vivere”: Sperate, Mariane, Mignon, Aurelia, l’arpista. Tristano e Isotta si amano per morire. “La notte appartiene alla morte”, sussurra la Sibille thomasmanniana al fratello Wiligis per incitarlo all’incesto – col quale, prima di farlo, dialoga in occitano, oh sublime ridicolo. Da qui il verso celebre di Celan: “La morte è un maestro della Germania”. I tedeschi sono, padri o figli di Freud, in sonno, in partibus, in incognito, igienisti. Dei sentimenti, delle passioni e della ragione.
Anche Leopardi per la verità è del parere: “Quando novellamente\nasce nel cor profondo\un amoroso affetto\…\ un desiderio di morir si sente”. E al suo seguito oblazioni alla morte usarono per un periodo pure in Italia. Ma già il Belli ne decreta la fine, sceneggiando la “Morte della Morte”, un assassinio in piena regola. L’amore è in realtà esso stesso malattia, nutrendosi di mancanza. È su questo confine che è nata la filosofia, quel poco in argomento che se ne fa. E il romanzo? Il romanzo viene dalla lanterna magica, dalla soffitta abbandonata, come dice Zambrano. Con un tempo diverso da quello della vita. Quando giunge a essere tempo del-la vita, Proust, Joyce, è una confessione. E, come in Giobbe, risuona della voce dell’autore. Che è il pregio della confessione: parola a viva voce.

Indignazione – È all’origine nemesi. La hubris, come è invece comunemente intesa,  è dismisura.

Purezza – È la virtù più in domanda. Da un secolo, e malgrado i disastri. Dalla purezza della razza al politicamente corretto, del linguaggio e delle guerre umanitarie, e a tutto l’armamentario ecologico, oggi come nel naturismo del primo Novecento. Si accompagna all’igienismo: la “vera” igiene non tollera accezioni (impurità). E a disegni imperiali: la razza e il naturismo alla Germania, il politicamente corretto agli Usa. Un’altra coincidenza è che la purezza s’impone accantonando i tabù sessuali.

Riso – Imbarazza, come ogni funzione umana: non si sa immaginare Dio a ridere.
A meno che non sia una funzione diminutiva o distruttiva: si può pensare solo il male?

Roberto Calasso, cultore di Baudelaire, estrapola dal saggio sulla caricatura, “De l’essence du rire” (1855), la parte in cui il poeta immagina che la natura teologica del riso gli viene “suggerita” dall’avventura di Virginie nel Palais-Royal. Suggestione anche questa comicissima. Virginie, nomen omen, è l’eroina di “Paul e Virginie” di Bernardin de Saint-Pierre. Il Palais-Royal in cui s’addentra, che i lettori di Calasso ricordano dalla “Rovina di Kasch”, è l’ala delle prostitute, di cui Restif aveva fatto il catalogo comico (“Boutonderose”, “Pyramidale”, “Sensitive”, “Barnerose”…: nel 1790 ce n’erano almeno 2.200, calcola Calasso, in tante firmarono una petizione all’Assemblea Nazionale della rivoluzione).
Il riferimento è al centro del discorso che Calasso ha tenuto mercoledì a Parigi, all’Institut de France che gli conferiva il premio Chateaubriand per “La folie Baudelaire”, pubblicato lo stesso giorno sul “Corriere della sera”:
Il riso, dice Baudelaire, essendo umano è diabolico: “Gli angeli non ridono”. Ma è sbagliato: gli angeli non fanno che giocare e ridere, come Gesù Bambino.

Storia – “La storia”, Marx spiegava a Kügelmann in una lettera famoso il 17 aprile 1871 sulla Comune di Parigi, “sarebbe facile a fare, se l’impegno si prendesse solo a condizione di opportunità infallibilmente favorevoli. Avrebbe d’altra parte un carattere mistico, se il «caso» non vi avesse grande parte”.
Il “caso” Marx intendeva come gli “episodi” nelle partite di calcio, le intromissioni degli arbitri: “I casi si compensano con altri casi”.

Capita di sentirsi nella storia come Joyce nella sua giornata, in un incubo. Che storia è questa? La successione spagnola, la successione austriaca, la terza-guerra-di successione-al-trono-di-Polonia, e le magnifiche sorti e progressive degli Hohenzollern, per non dire degli inglesi, che dopo avere assaporato Cromwell si sono cercati re stranieri un po’ dementi. Le storie nazionali sono miti. E le storie sociali? E il culto della storia con esse. In realtà la storia, la morale della storia, non c’entra nulla, non con la verità.

zeulig@antiit.eu

Il poeta è ipocondriaco

Fra le tante compilazioni una delle più felici, voluta dalla stessa Alda ancora in vita. Partendo dall’ovvio “se Leopardi fosse andato in televisione”. I poeti deludono, “noiosi, attaccabrighe, ipocondriaci, magari malaticci”. La conclusione è: “Soltanto io sono bella come la poesia”. La forza aforistica è qui costante, un bombardamento. “Al silenzio non c’è risposta”. “Sentirsi colpevoli è come sentirsi chiamati a un perenne riscatto”. Sempre biografica, di sofferenza carnale. Inquieta, finché “un santo non mi ha risposto: perché non ti ami?” Con molta vecchiaia, la parola immonda.
Alda Merini, Antenate bestie da manicomio, Manni, pp. 79 € 10

venerdì 14 dicembre 2012

Partita doppia con l’amore

Su un tema abusato molta freschezza, premio Scriveredonna 2011. La biografia di un amore - “cerco un uomo senza paura”, “sei me\ e tutto quello che detesto”, nella “paura di non vivere\ mai del tutto”. Imaginifica: “Sono legata a questa vita\ come un’ala impigliata\ nella rete”. Filosofica – “È con me stessa\ che baro”, “il dramma dei perché\ è che nemmeno gli dei danno più la risposta”, “giriamo su noi stessi\ senza incontrarci mai”. E quindi leopardianamente solitaria – quando si facesse un censimento delle tracce leopardiane nella poesia dei due secoli successivi si troverebbero probabilmente molti più echi, e anche calchi, che non di Petrarca nei quattro precedenti. E tattile, quasi realistica, inconsueta per la cosiddetta “poesia femminile”: “Scrivo d’amore\ per nasconderlo\ e custodirlo per sempre”.. Su una passione forse irrisolta: “In un universo parallelo\ la porta si apre…”. Con una cifra molto personale, che s’innesta nel bilinguismo, nell’uso dell’inglese accanto all’italiano.
Conosciamo il mistilinguismo di Contini, esemplato su  Montale, riscontrabile in altri poeti, per esempio Pasolini e il Nobel Dario Fo: l’uso incidentale di parole (concetti) di altre lingue, anche dialettali,  in un discorso italiano. Patrizia Licata scrive in inglese (americano) come in italiano, usa cioè due lingue diverse, due linguaggi, due semantiche, due sensibilità diverse. Poi magari traducendo nell’una e nell’altra lingua (le poesie confluite in questa raccolta sono date in entrambe le versioni). Con effetti sorprendenti in  inglese. Non per una maggiore pregnanza della lingua, dell’inglese rispetto all’italiano, che non può essere naturalmente. Ma sì della pratica poetica, mediata dalle letture: la lingua della poesia americana dopo Eliot e Pound è più incisiva che non la pratica italiana dopo Montale (con l’eccezione di Alda Merini? della sua “grazia naturale”). E tuttavia con sorprese, lampi di genio si direbbe se fosse una partita poetica. Per un risultato diciamo in parità: come se a una pratica ordinata, di tecnica elevata, rispondessero a lampi gli estri.
I “minuscoli pezzi” del “vetro infrangibile” si frangono meglio in “tiny\ ever-multiplyng pieces”, e così il “tormentato spazio deformante\ dove di depositano tutti i casi irrisolti”, i “tortured distorting spaces\ where all the cold cases are sediment”. Mentre “Fool me into believing\ you are immortal” si risolve incisivo nel fulminante – prosodia e suono - “Illudimi che sei immortale”. Un doppia capacità espressiva, una doppia miniera. Una duplice, curiosamente, personalità.
Patrizia Licata, Poesia d’amore e solitudine, Tracce, pp. 87 € 10 

La crisi più grave della Repubblica

Una crisi monetaria, fiscale, produttiva e politica, in atto ormai da quattro anni: l’Italia ha avuto più punti di crisi, nella storia della Repubblica, ma non una complessa, duratura e profonda come questa. E tutta europea, provocata da europei contro altri europei - il resto del mondo marcia, solo appesantito dall’Europa.
Dopo la crisi petrolifera del 1973 e in concomitanza col terrorismo l’Italia si umiliò a chiedere un prestito alla Germana - che pretese in pegno l’oro della Banca d’Italia (gli Usa l’avrebbero preteso? O la regina Vittoria?). Nel 1992 i giudici di Milano cancellarono la politica e la speculazione cancellò la lira. L’ultimo governo di centro-sinistra riuscì a rimetterla in piedi, ma con una pesante tassazione, e a prezzo di una perdita enorme di posti di lavoro, 1,7 milioni Oggi è peggio, e non se ne vede la fine.

La crisi è tedesca.

Questa Grande Crisi ha una causa specifica. Non i fallimenti bancari che l’hanno originata, e che in qualche modo sono stati delimitati.  Ma il rigore di bilancio che la Germania, forte di un suo piccolo vantaggio rispetto agli altri partner europei, ha imposto per scivolamento dalla crisi bancaria, tutto e subito. È così che la crisi vede tutti gli altri sofferenti e solo la Germania indenne, con i suoi vassalli attorno al Baltico.
Si dice che la Germania ha il vantaggio di avere liberalizzato all’estremo il lavoro, ha milioni di minijob a 400 euro al mese, ma non è vero. Ha il vantaggio di poter spendere, unico paese europeo, per esempio per il sostegno sociale a chi lavora per 400 euro, mentre impone agli altri terapie radicali. E ha soprattutto il vantaggio della straordinaria inettitudine politica di Francia, Italia e Spagna che glielo consentono. A fronte di argomenti pretestuosi e derisori, perfino comici, che di volta in volta avanzano il presidente della Bundesbank Weidmann o il ministro dell’Economia Schaüble.
All’inizio della crisi europea, nel 2010, l’intervento fu rapido e adeguato per tamponare l’Irlanda: 85 miliardi in tre anni, senza se e senza ma, di cui 35 per salvare le banche e 50 per alleviare il debito. Nella successiva crisi della Grecia, Angela Merkel ha visto una leva per mettere in difficoltà le economie europee concorrenti, l’Italia per prima, la Francia e anche la Spagna, e non consente nessuna soluzione. Previo l’autostrangolamento.


Fisco, abusi, appalti – 20

Si vada in rete, agenziaentrate.gov.it, “Come compilare il modello F 24” per pagare l’Imu. Si troverà un grande bianco: “Esempio non disponibile”. Chissà quanto costava alle Entrate lasciarlo  online. O era troppo lavoro?

Sia la vostra assicurazione auto chiamata a rispondere di un danno da voi procurato. Abbiate voi provato alla vostra assicurazione che il denunciante è un millantatore. Immancabilmente scoprirete al rinnovo annuale della Rca che la vostra classe di merito è peggiorata. Perché la vostra assicurazione ha pagato al millantatore 800 euro. Invece dei 200 che richiedeva.

Le liquidazioni attraverso la propria assicurazione vanno poi normalmente in  arbitrato. Dove però non si fa opposizione alla richiesta. Sul presupposto che, questi pagamenti andando in compensazione ogni anno, ogni assicurazione ne esca più o meno indenne. Una specie di bengodi per tutti, eccetto che per l’assicurato.

Prospera copiato dall’America l’avvocato a percentuale. Contro le assicurazioni. Sempre più nella sanità, e da tempo per i danni automobilistici limitati, da poche diecine di euro, o inventati. Che senza fatica trasforma in liquidazioni fino a mille euro. Contando sul benign neglect delle assicurazioni, che queste transazioni rilevano alla compensazione annuale tra i diversi soggetti. E sulla partecipazione attiva, a percentuale, dei liquidatori.

Si faccia un ricorso contro una multa al giudice di pace. L’avviso di convocazione, in otto casi su dieci, verrà affisso all’albo comunale. Per risparmiare sull’e-mail? No, perché l’albo è invisibile. Il ricorso decadrà per contumacia. La multa raddoppierà.

Ogni appalto pubblico implica un ricorso al Tar – da qui la superfetazione del Tar del Lazio. Che a sua volta implica maggiori oneri da ritardi e revisione dei capitolati e dei parametri. Il ricorso “automatico” è la prima causa della costante superfetazione degli appalti, di due e anche tre volte il valore di capitolato.

Il ricorso al Tar costa ma evidentemente non abbastanza. Rispetto cioè al potere di ricatto che esercita. Altrove c’è il reato di ricorso arbitrario, punire con l’esclusione (temporanea, settoriale) da futuri appalti: il ricorso pretestuoso come prova dell’incapacità a operare, e come turbativa d’asta. In Italia no.

Il ricorso costante sugli appalti non è contestato da Confedilizia e organizzazioni imprenditoriali analoghe. Conviene anche a chi ha vinto la gara. Si fa infatti a spese delle finanze pubbliche.

Berlusconi vittima delle donne

Berlusconi è anatema. Berlusconi e le donne roba da postribolo. Ma è il politico che più ha dato spazio alle donne, e peggio ne è stato ripagato. C’è da rifletterci. Il discorso si fa serio.
Berlusconi ritornato non è tutto da buttare. Intanto dà linfa ai comici, che avevano perduto la vena. E alla sinistra, che non sapeva per che cosa combattere. Dà anche ogni giorno l’agenda politica – la scoperta che la crisi è europea, che Monti sarebbe miglior candidato, che la destra senza di lui non esiste, che la Merkel ha fatto dell’Italia un punching ball, che Hollande non sa come si chiama….  Ma più dà materia di riflessione sulle donne.
Berlusconi è vittima di se stesso. Ma per essere stato vittima delle donne. Che ora non lo voteranno più, e sono la metà dell’elettorato. Uno che si era perfino divorziato per sposare una donna che poi lo ha vilipeso in tutti i modi, la famosa “donna lombarda” seppure emiliana, gli ha educato a modo suo le figlie, e lo ha lasciato solo a Roma, in balia delle Ruby. Ha promosso a incarichi importanti Letizia Moratti, che doveva essere la sua erede e gli perso Milano. Ha dato la parola a molte donne che non l’avrebbero mai avuta, benché giovani e belle, Carfagna, Gelmini, Brambilla, Mussolini, Santanché. E ha dato una ragione d’essere alle donne giudici milanesi, che possono processarlo ogni paio di giorni, fotografandosi con lui. E dunque? Il Pd è più saggio - vecchia scuola togliattiana: ha fatto eleggere le Madia e le Zampa, ma non le fa parlare.

giovedì 13 dicembre 2012

Merkel über alles - l'eccezione tedesca

La vigilanza alla Bce sulle banche della zona euro è infine passata dopo una forte resistenza tedesca. Con limiti: la vigilanza europea entrerà in vigore dopo le elezioni tedesche, tra un anno. E con l’eccezione della Landesbanken tedesche, gli istituti di credito della politica regionale in Germania.
È stata la riprova ennesima, per la delegazione italiana, che niente si può fare in Europa che non voglia la Germania, e che si può fare solo quello che vuole la Germania. È vero, è da aggiungere, che niente si può fare nell’euro se non all’unanimità, ma il veto tedesco è l’unico politicamente corretto.
Il voto contrastato cade mentre la Germania monta una campagna vittimistica, contro il “populismo antitedesco”. Attribuito ridicolmente a Berlusconi – ridicolmente perché finisce per essere una vera pezza d’appoggio a un’eventuale offensiva europeista antitedesca, se non a innescarla. Ma nello specifico della vigilanza bancaria bisogna dire che la proposta è tedesca. Del membro tedesco del direttivo della Bce, l’economista Jörg Asmussen. Che è socialdemocratico e specializzato della Bocconi, ma è stato anche direttore generale e sottosegretario alla Finanze. Più che di Germania, bisogna dunque parlare di interessi della coalizione democristiana, Cdu-Csu, raccolta intorno alla cancelliera Merkel. 
La resistenza contro la vigilanza europea. del ministro dell’Economia Schaüble, Csu, si basava su questo argomento: la Bce entrerebbe in conflitto d’interessi, cumulando la politica monetaria con la vigilanza sulle banche. Conflitto di cui invece non soffrivano la Bundesbank, la banca centrale tedesca, e le altre banche centrali nazionali? Una posizione palesemente artificiosa, ma utile a ottenere l’eccezione per le Landesbanken.

Nanni Moretti lirico sul sillabario

Poesie in forma di prosa Parise dichiara questi “Sillabari” in esergo. A partire dalla A di Amore, naturalmente. Non la sola voce lirica: non mancano “Amicizia”, “Anima”, “Carezza” e “Malinconia”, fino a “Solitudine” - Parise, malato, volle abbandonare il carapace.
Un altro “Sillabario” famoso, quello di Valéry, letterario e quasi filosofico, connota questi di Parise quali favolelli. L’impianto è anzi quello: “Un giorno un uomo (un cane, una signorina, una donna bionda e rotonda…)”. Se non di moralità, all’uso dei favolisti esopici. Quanto di più corrivo a Nanni Moretti, alle sue rappresentazioni quasi sempre paradigmatiche.
A prima vista è sorprendente la scelta di Moretti per l’impolitico Parise, coi ritratti smagati di donne senza fronzoli, se non quelli della cura di sé e e dell’amore, non necessariamente nevrotiche, anche le “ragazze madri”. Nonché di ragazzi delle cattivissime Brigate Nere negli anni bui, gli Stukas che incantano i ragazzi, soldati tedeschi buoni, e film tedeschi che si proiettavano a grande successo, nel quadro dell’Asse. Ma Parise aveva scritto un “Caro Diario” con questi “Sillabari”. Che la lettura di Moretti ha trasformato nel successone della Fiera dei piccoli editori l’altra settimana a Roma, “Più liberi più libri”, con folle da stadio, e non solo per il divismo.
Il saggio di lettura che il regista-attore ha dato nel salone delle conferenze aveva conquistato si può dire tutti i visitatori per caso all’ascolto. Un accoppiamento, si vede, specialmente riuscito, se ha dato ai lievi testi di Parise un richiamo vasto, nelle corde anche dei semplici curiosi. Si può dire un’editoria nuova, questa degli audiolibri, che si va diffondendo ora anche in Italia. Ci vuole un intuito speciale per accordare i testi all’ascolto con una voce e una sensibilità specifiche.
I “Sillabari” sono spicchi di varia autobiografia – altra cifra morettina – vissuti con distacco. Come da fuori, o da un dopo irrimediabile. Specie dell’adolescenza, negli anni della guerra, e di ciò che poteva essere e non è stato - della vita sentimentale che si dice “irrisolta”. Una raccolta densamente nostalgica, non del passato ma della generosità. Di un punto mancato nella strategia di godere e dare la felicità. Di uno che si rimproverasse di non aver saputo essere allaltezza della situazione, che lui stesso ha creato, per generosità appunto.
Goffredo Parise, Sillabari, letto da Nanni Moretti, Emons Audiolibri € 18,90

Problemi di base - 127

spock

Ma Angela Merkel paga i giornali italiani?

Perché i Nobel per la letteratura devono essere comunisti osservanti, di Pechino, di Castro, reduci di Mosca?

Perché Dio vuol essere assassino e torturatore? Inventandosi pure il diavolo

Perché Dio perseguita l’uomo?

Perché l’Europa dovrebbe dirsi cristiana, se è suicida? Dopo essere stata assassina

È Sanremo o il miracolo ogni anno di san Gennaro? È per questo che non si può spostare?

L’Italia ha un problema Berlusconi, perché Berlusconi lo nega?

Tutti questi liberali, non li avevamo messi allo zoo?

spock@antiit.eu

Vero o falso - 2

Che vuol dire lo 0101 che bisogna mettere nell’F24 per pagare l’Imu sulla prima casa? Che bisogna andare dal fiscalista, o da un Caf. Vero o falso? Falso, ma è anche vero.

La Germania esenta le Landesbanken, le banche regionali,  dai controlli europei perché quelli nazionali sono più severi. Vero o falso? Falso.

La Germania esenta le Landesbanken dal controllo della Bce perché sono il centro del sottogoverno. Questo è vero.

L’Udc è il partito di Casini. Ma il partito, dove ha i voti, in Sicilia e a Roma, sta a destra. Mentre Casini si è spostato a sinistra. C’è una ragione? Sì, la famiglia Caltagirone, di cui Casini è famiglio. Che vuole l’Acea, che solo il Pd può dargli – l’ ha dimostrato, bloccando Alemanno che avrebbe voluto darla lui a Caltagirone, lo ha bloccato attraverso Pignatone. Vero o falso? Vero.

Il grillino Panzironi si documenta online su cosa dovrà fare da presidente della Regione Lazio? Vero.

Il grillino Panzironi, 31 anni, ha già girato cinque partiti? Vero.

Il salvataggio della Grecia tre anni fa sarebbe costato 30 miliardi, oggi costa 300. Vero o falso? Vero.

Nei giudizi per lesioni da guida incauta, la droga è considerata un’attenuante e l’alcol un’aggravante. Sembra strano ma è vero.

mercoledì 12 dicembre 2012

Il mondo com'è (121)

astolfo

Allattamento – La soprano Annette Dasch diventa una vedette non per la voce – e per l’eccezionale performance alla Scala nel “Lohengrin” all’ultimo minuto - ma perché allatta, anche in camerino quando l’opera è lunga, come il “Lohengrin”, cinque ore, la bambina. Che ha dieci mesi. È l’esito dell’adozione in Germania, negli anni 1960, della pedagogia italiana, del “mammismo” – prima il bambino veniva educato a sberle. L’infante viene di preferenza allattato dalla madre, è accudito dalla stessa madre fino ai tre anni e solo dopo comincia la scuola, ma continua a essere spensierato nel tempo libero, seguito più che represso. Sono state cambiate per questo le leggi: una madre ha diritto allo stesso posto di lavoro dopo tre anni, e nel periodo che passa in casa per la maternità a cospicui assegni familiari - analoghe leggi sono state adottate in Francia dieci anni più tardi, a fini demografici invece che pedagogici.
Questo mentre in Italia si adottava, per un malinteso femminismo, l’indirizzo opposto. Del bambino al nido, anche se sofferente, per mantenere la madre al lavoro. Da parte di governi peraltro  confessionali, se non quasi di sacrestia.  Fini di sottogoverno: l’assunzione e la gestione del personale, i servizi e le strutture (appalti) degli asili nido. La pedagogia ex italiana importata in Germania ha infatti un costo inferiore a quello degli asili nido privilegiato in Italia. Dove per ogni bambino lo Stato e il Comune spendono  circa 12 mila euro l’anno. Senza contare gli immobili in uso, con i relativi costi di manutenzione, ordinari e straordinari.

Ebraismo - C’è più letteratura che religione nella Bibbia, sarà per questo che gli ebrei non si prendono molto sul serio e si erano fatti tedeschi, ma in cuor loro no.  C’è sempre un “narcisismo delle piccole differenze”, nota Freud, un bisogno, se non un piacere, di disprezzare, odiare, perseguitare, quanto meno ridicolizzare, il vicino prossimo. Gli ebrei per esempio erano troppo simili ai tedeschi. Così come per secoli erano stati troppo vicini al narcisismo cristiano. Con gli arabi è diverso, sono due popoli vagabondi. Beduini, cammellieri, contemplatori delle stelle. Che fanno del sangue la loro sostanza, checché la razza e la genealogia vogliano dire, la filologia, la mitografia, la scienza del sé medesimo. Si dice che la contesa è sul Dio unico ma non è vero: la vera contesa è sulla somiglianza.

Eugenetica – Abolire l’imperfezione dal mondo, la malattia, l’incapacità, il dolore, è richiamo inarrestabile. Ma, nella scia di Darwin e dell’evoluzionismo povero, ha portato a intendere l’eugenetica come perfezionismo. Per l’illusione canonizzata dall’“Enciclopedia Britannica” già nel 1910, e da successivi premi Nobel (per la Medicina Chares Richet, per l’Economia Gunnar Myrdal, per la Pace Alva Myrdal), che l’umanità, intesa come fisiologia umana, è perfezionabile all’infinito. E che la razza è biologica, l’ereditarietà è razziale. Per questo quindi alla base delle dottrine razziste, oggi perente, per primo il nazismo. Ma anche, e di più, alla base dell’eugenetica come forma umana della selezione naturale. Applicata alle nascite: controllo delle nascite, con la contraccezione ma anche mediante l’aborto procurato (di figli deformi o comunque indesiderati, spesso le femmine), sterilizzazione, delle donne prolifiche (referendum a Berna nel 1926), dei devianti, ladri o assassini (negli Usa dal 1907 fino al 1980), dei folli o minorati gravi (in Danimarca dal 1929, in Svezia dal 1935 al 1976). Ora anche con l’eutanasia.
L’eutanasia fu praticata estesamente in Germania negli anni di Hitler per gli handicap fisici gravi o mentali. Ma non fu un’eccezione. Il Nobel 1913 per la Fisiologia e la Medicina, Charles Richet, iniziatore della sieroterapia e benemerito studioso dell’anafilassi, spiega in “La sélection humaine” l’anno del Nobel, che “il primo passo nella via della selezione è l’eliminazione degli anormali”. Non volontaria, proprio come nella Germania hitleriana, per handicap accertato. E questo “dopo l’eliminazione delle razze inferiori”. Il razzismo biologico, che si vorrebbe confinare nel mostruoso, insieme con tutta la Germania di Hitler, è stato invece, è, di comune accezione, e anzi orgogliosamente rivendicato come segno di civiltà. Richet non vedeva “nessuna necessità sociale di conservare i bambini tarati”.  Il libello era inteso a estendere a gialli e neri la “selezione individuale” che si deve praticare tra i bianchi: una “selezione specifica, scartando risolutamente ogni mescolanza con le razze inferiori”.  
Gli stessi concetti Richet riprende nel 1919 in “L’homme stupide”. Quest’ultimo è un pamphlet antibellicista, ma anche fortemente razzista – “I negri non hanno niente di analogo (all’umanità bianca). Continuano a vivere, anche in mezzo ai bianchi, un’esistenza vegetativa, senza produrre nient’altro che acido carbonico e urea”. Come i gialli, già condannati in “La sélection”.
Richet per primo formulò la dottrina alla base del programma hitleriano dei Lebensborn, la selezione attraverso “l’accoppiamento dei migliori”. Con il coinvolgimento di molti “esemplari umani” scandinavi, soprattutto donne. “Dunque si possono modificare le specie con la selezione”, concludeva Richer: “Dunque c’è trasmissione ereditaria. Dunque, continuando questa selezione, cioè l’accoppiamento dei migliori, senza sospensioni, per numerose generazioni, si forzeranno certi caratteri, sia psicologici che fisici, a fissarsi sulla specie. Perché la forma dello spirito è sottoposta all’eredità, tanto quanto la forma del corpo”.

Molte le pratiche eugenetiche per il “miglioramento della razza umana”. La Rassenhygiene nazista fu un’altra parola per la stessa cosa. E arrivò all’Olocausto al termine di una progressione decennale: il gas e le altre tecniche di uccisione di massa furono introdotte per i tedeschi portatori di handicap, il programma T 4. Il programma Lebensborn mirava al miglioramento della specie attraverso accoppiamenti selettivi (ufficialmente, le cliniche Lebensborn non erano pensioni equivoche dove bionde scelte copulavano per migliorare la razza, ma accoglievano le donne incinte dei soldati, per evitare gli aborti).  In chiave eugenetica si ponevano gli esperimenti di Mengele nei lager di Hitler sui gemelli. Molta eugenetica si sperimentò a Mosca fino alle grandi purghe del 1936, parte della campagna antireligiosa esclusiva in quegli anni. Nell’Istituto per le resurrezioni. E in vari programmi di accoppiamenti con scimmie – sempre smentiti. In India, in Cina e nei paesi islamici è pratica corrente l’aborto provocato selettivo, se il nascituro è femmina.

Imitazione – Ci sono più uxoricidi, da qualche anno o mese a questa parte? Statisticamente sì. Anche ad allargare la categoria ai “femminicidi”, agli assassinii di donne perché più deboli, spesso anziane, o perché oggetto di desiderio. Non si può dire che prima c’era ma non se ne parlava. Questo è vero, ma non ce n’erano così tanti quanti oggi, non almeno secondo le statistiche dei casi denunciati e\o accertati. E dunque un effetto “imitazione” c’è. Specie sulle menti più deboli o annebbiate, dalla solitudine, dalla colera. È come se il tanto parlare della violenza sulle donne, invece di ridurla, l’accrescesse.

Islam – La modernità vi è stata laica, nel dopoguerra e nelle guerre di indipendenza. Oggi va col fanatismo religioso. Nelle comunicazioni, ultimo il blackberry. Nelle strategie di comunicazione: tempi, modi, “messaggi”. Negli esplosivi.

L’uso politico della fede era oggetto della critica delle “Provinciali”, le lettere di Pascal.

Si parla molto di dialogo tra le fedi. Ma non è il problema principale, ogni chiesa può benissimo stare per sé. Tra le fedi si pone un problema di etica (politica). Di rispetto di alcuni valori, tra le comunità e all’interno di ognuna di esse. E un problema di identità: che per secoli ha afflitto i mussulmani, sottoposti al colonialismo e all’imperialismo occidentale, se non cristiano. E da qualche anno minaccia invece l’Europa.
Sono i termini in cui papa Ratzinger ha posto la questione, ma sono gli unici validi.

Ci sono pregiudizi. Anche contorti. Una persona sensibile come Augias sostiene la scemenza che i terroristi islamici sono come i martiri cristiani.

astolfo@antiit.eu

Questa storia è troppo mafiosa

Tutto quello che (non) avreste voluto sapere su camorra, mafia e ‘ndrangheta. Epicizzare la storia, personaggi e eventi trasformando in eroi e imprese, su fondali muti, oggi si dice fuori contesto, si è sempre fatto, ma senza pretese sociologiche. Queste storie bugiarde della mafia, che non ne prospettano mai la natura di vessazione sui comuni cittadini, sono anche criminali. Lo sarebbero se ci fosse ancora una concezione non strumentale del diritto – strumentale ai poteri: politico ma anche editoriale, e di opinione. John Dickie è doppiamente colpevole, che non traduce “Darkest Italy”, con cui si rese benemerito degli studi sull’unità d’Italia a fine Novecento, sulla traccia dell’americano Nelson Moe. Sugli stereotipi imposti al Mezzogiorno come una “maniera di essere” dell’Italia stessa, la creazione di un “altro” brutto, sporco e cattivo a fronte del quale perdonarsi e esaltarsi. Troppo impegnato a scalare le classifiche, moltiplicando qui per tre il successo di “Cosa Nostra” cinque anni fa?
Per il poco che naviga fuori del “misteri dei ministeri”, lo storico non trova altro che Osso, Mastrosso e Carcagnosso. “Gallinelle” e “pollanche”. E bambini “pungiuti”. I mafioso sono qui con noi: perché questi storici non vanno a incontrarne uno, magari una “pollanca”?
John Dickie, Onorate Società, Laterza, pp. 432 € 20 

martedì 11 dicembre 2012

Si balla a Mosca la fine dell’Europa - e dei Malaparte

Intanto, bisogna sapere il francese. Come “Guerra e pace”, questo “Ballo” è scritto indifferentemente in italiano e in francese. Ma anche così non morde, non decolla. Il graffio c’è. Il “tipico narcisismo slavo, da cui è dominato ogni personaggio della letteratura russa, specie di Dostoevskij, ogni eroe russo, il più umile, il più diseredato, il più ignobile, corrotto” (p.31). O: “Il cielo russo ha il colore, il disegno, la porosità della pelle umana” (33). Sul cielo di Mosca Malaparte ha molti pezzi da antologia. In una delle redazioni espunte ha anche (pp.197-198) l’odore di Mosca, “che non è l’odore di miele cotto di Atene, di Smirne, di Venezia, né quell’odore di cuoio vecchio che è l’odore di Parigi”, etc., etc., “l’odore di Mosca non è umano. È l’odore della natura…”. Su Dio anche, oggetto di una campagna di massa del protostalinismo, l’unica campagna politica in quegli anni di reazione, molto viene detto, non banale, e forse non di maniera, al fondo rilevando  “quella forza di negare Dio che è un modo di affermarlo, di invocarlo, di amarlo”. Non del tradizionale, etnico, animismo religioso del popolo russo ma delle nuove generazioni, sovietiche. Con scorci di straordinaria umanità – straordinaria per Malaparte, non affettata cioè e aperta sulla rivoluzione, sui destini delle rivoluzioni, sull’umanità post-rivoluzionaria e neo-rivoluzionaria. Sul “sogno dell’operaio” (p.47). Sulla “folla di Mosca, quella povera folla scarna, pallida, sporca, dal viso madido di sudore, quel viso di polpo, umido e molle” (p.60). Ma non ingrana. La vena è forte del surrealismo - come poi in “La pelle” e già in “Kaputt” e altri racconti. Che Malaparte aveva anticipato al debutto, nella “Rivolta dei santi maledetti” (1921), nelle radici futuriste del surrealismo stesso. Ma non vibra. È, a suo modo, “politicamente corretta”.
 “Florinski annunciava, nella sua stessa perversione sessuale, il tragico tramonto di una società rivoluzionaria presto inquinatasi, corrottasi nel godimento del potere, nell’esercizio scomposto del potere, nel contrasto delle ambizioni smodate, e nella particolare immoralità delle élites rimaste fedeli a un’utopia irrealizzabile”. Malaparte aveva scritto prima di ogni altro un romanzo sulla Nomenklatura corrotta a Mosca e non l’ha pubblicato. Ce l’aveva nel 1945, accanto a “Kaputt” appena uscito e a “La Pelle” (all’epoca “La peste”) che si affrettava a completare. Sarebbe stato un terzo scorcio, sulle malefatte dell’”altro Alleato”, “mentre «Kaputt» era l’Europa sotto i Tedeschi, e «La Peste» sarà l’Europa sotto gli Alleati, specie Americani”. La fine dell’Europa.
Il “Ballo”, una costola della “Pelle”, era solo da rifinire, ma Malaparte non lo ha fatto. Voleva pubblicarlo in Francia, a metà 1946, per evitare gli anatemi in Italia. Voleva perfino cambiare traduttore, considerando inaffidabile la fedele Juliette Bertrand perché  “comunista militante”. Sarebbe arrivato molto prima del Rapporto Krusciov sui crimini di Stalin. Avrebbe spiegato – lo spiega infatti, cosa che il “Rapporto” non farà – le ragioni, oltre che i modi, dell’involuzione. In una delle versioni del “Ballo” recuperate da Raffaella Rodondi si leggono due pagine magistrali (215-216) sulla funzione dello scrittore come “storico”, il problema già di Erodoto e Tucidide, con occhio lieve (“l’Italia vera è quella di Stendhal, non quella di Gregorovius”). Ma per opportunismo se ne privò. Dapprima per non indisporre Togliatti, da cui dipendeva la sua defascistizzazione. Poi per la convenienza di farsi neocomunista.  Pur essendo visceralmente anti, si vede nella corrispondenza, di più con gli editori francesi. Del Ballo” pubblicherà un terzo circa su “Vie Nuove”, il settimanale del Pci, come corrispondenza da Mosca nel 1957. Dopo cioè l’Ungheria, quando molti invece si allontanarono dal Pci. Fu a Mosca due notti tra un aereo e l’altro per il viaggio in Cina, che lo stesso Pci gli aveva organizzato, dove contrasse l’infezione letale. Ne approfittò per una rivalutazione, a suo modo obliqua e intelligente  (qui riprodotta in appendice, (“Trozki, Gorki, e altri volti”), dello stalinismo dopo le infamie del Rapporto Krusciov l’anno prima.
“Kaputt” Malaparte definiva “romanzo storico contemporaneo”, “La Pelle” invece “storia e racconto”, d’invenzione cioè, “Il ballo” avrebbe potuto essere una “storia di costumi”. Lo annunciò all’editore francese nel 1946 come un affresco satirico dell’“alta nobiltà marxista di Mosca, le sue vite, i suoi scandali, i suoi costumi, le sue passioni, i suoi terrori”. Datato 1929.  Riscrivendo le impressioni, le fantasie e gli articoli che in quell’anno aveva maturato nella capitale sovietica, quando da giovane direttore de “La Stampa” vi aveva passato alcune settimane tra maggio e giugno. Attratto dal cambiamento politico, alla fine della Nep, del relativo liberismo sovietico, che lo colpì subito – fu , con Corrado Alvaro, uno dei pochi viaggiatori occidentali all’Est non “utili idioti”, come li aveva bollati Lenin. Ricavandone la raccolta di articoli “Il Volga  nasce in Europa”, e i due saggi di politica leninista che fecero epoca, la “Technique du coup d’État” e “Le bonhomme Lenin” – questo pubblicato in contemporanea anche in italiano, col titolo “Intelligenza di Lenin”, il primo, inviso a Mussolini, solo nel 1948. Dove spiega che la rivoluzione era arrivata al capolinea, con l’esilio di Trockij nel Caucaso e di Kamenev sul Volga, gli ultimi compagni di Lenin, e l’inizio delle epurazioni – mentre Malaparte stava a Mosca “spariva” Kamenev, uno degli ultimi “compagni di Lenin”. Finiva il romanticismo della rivoluzione.

Ancien régime
Qui Malaparte è ancien régime – lo fu a suo modo tutta la vita, seppure sotto la scorza proustiana, dell’ideologia della fine. “Il ballo” svolge al ritmo dello small talk, lui dice potin, da francesizzante, tra i “balli delle ambasciate”, nello “splendido tedio della vita modana” – da Proust minore, disidratato. In una Mosca metafisica. Immaginando di accompagnarsi ai personaggi più noti, Majakovskij, Lunač’arskij e moglie, il ministro dell’Istruzione italianista (anche lui ultimo compagno di Lenin, col quale a Capri aveva organizzato una “scuola di comunismo”alla Pensione Weber alla Marina Piccola) e l’attrice sua moglie, la cuisse legère più famosa di Mosca, Bulgakov, la sorella di Trockij moglie di Kamenev, la star del balletto Semënova, il ministro degli Esteri intramontabile Litvinov, e l’incredibile Florinskij, un omosessuale che pavoneggiava le sue inclinazioni, truccato, atteggiato, capo del Cerimoniale agli Esteri, l’uomo di tutte le ambasciate - in una delle quali, quella greca, sarà prelevato al tavolo del bridge dalla “giacche di cuoio della Ghepeù” nel 1936. Visti però col senno di dopo, dello stalinismo realizzato.
Malaparte è certamente anche uomo del suo tempo. Molto interessato quindi al sovietismo.  Fin dai suoi inizi, dalla “Rivolta dei santi maledetti” (un racconto che ne impose subito la peculiare capacità analitica, di narratore della storia: Malaparte vi individuava da solo il senso della guerra, le plebi che si liberano del ceto dirigente giolittiano, liberale, risorgimentale, affaristico, notabilare, di formidabile modernità prima ancora che di rivoluzionario futurista-fascista - ma più esatto sarebbe nazionalista). Se non da prima, quando rifiutò la paternità del sassone Erwin Suckert facendo circolare la voce che era figlio invece del pittore Paolo Trubeckoj, incolpevole ma russo di origine. Da russista nell’animo, si può dire, per una sorta di comune panteismo. Nel 1929 partivano a Mosca i piani Quinquennali, una delle cose che lasceranno un’impronta sul secolo, ma Malaparte non ne intese la portata - salvo ex post, nel 1957, per rivalutare Stalin. O se ne disinteressa. Vede i visi e le anime, le correnti sotterranee della storia. In un progetto anticomunista, però. Violento. Di cui poi si privò, pur pubblicando di tutto, libri anche irrilevanti, per sfruttare il successo della “Pelle”.
Beffardo il commento di Raffaella Rodondi, che cura questa riedizione (una prima edizione postuma, nella collana affrettata delle sue opere edita da Vallecchi, è uscita nel 1971 in un volume farcito con altri racconti e scritti vari): Malaparte ha mancato l’ultimo colpo. Pubblicato nel dopoguerra, sia pure dopo la destalinizzazione, “Il ballo al Kremlino” sarebbe stato attualissimo, la controprova dei crimini di Stalin. Ma non sarebbe stato Malaparte, uno che soprattutto si adattava. Per una sorta di camaleontismo connaturato - si può dire che si è preso al suo laccio. Secondo la credibile testimonianza di Lino Pellegrini, giovanissimo inviato di guerra del Popolo d’Italia”, l’unico che veramente seguisse le truppe dell’Asse, con Malaparte, nella guerra all’Urss, avallata ora dal biografo Serra, il “Kaputt” antitedesco si chiamava nel 1942 “God shave the King”, Dio fa la barba al re invece di salvarlo. Sarebbe stato antinglese – nel 1942 Hitler aveva vinto la guerra.
Una trilogia europea che comprende, dunque, nella sua abiezione pure i Malaparte. Quello del nome e gli amici di fascismo. Montanelli per esempio, Longanesi, che non gli perdonarono niente e anzi lo resero quasi simpatico col vilipenderlo, come scrittore e come uomo. Casi non eccezionali di destra che si vuole sinistra, e viceversa. Ora Malaparte recupera Adelphi, dunque “da destra” secondo la non desueta tipizzazione dell’ambiente. Dopo mezzo secolo di ostracismo, editoriale e critico, se si eccettua la devozione della sorella Edda Rochi, e qualche biografia scandalistica, meglio se con foto.
Il vero romanzo è la “Nota” di Raffaella Rodondi, sulle varianti ma anche sulla gestazione di questo progetto. Una primizia filologica, cento pagine di montaggio e smontaggio di un’opera inedita e non finita. E un’edizione critica, con 150 pagine di racconto, 150 di varianti, e 100 di nota filologica, proposta come un libro da banco, un romanzo come un altro. Ma, per il lettore che non s’arrende, con diletto.
Curzio Malaparte, Il ballo al Kremlino, Adelphi, pp. 417 € 22

Ombre - 158

Giovanna Melandri ha preso subito possesso della presidenza del Maxxi, inaugurando il nuovo programma di arte contemporanea con le presentazioni dei libri di Cazzullo e Severgnini. Non c’era nessun altro del “Corriere della sera”, ma Passera sì. Senza vergogna.

Davide Barillari, che Grillo candida alla Regione Lazio, si sta “documentando su Internet”, spiega in un’intervista a un giornale romano. Attraverso forum , chat, social network, wikipedia.
Non sembra possibile. E invece è vero.

Battiato è assessore a tempo perso alla Regione Sicilia. Avviando il suo tour invernale dice che alla sua Regione “un signore ha rubato 19 milioni di euro dai biglietti dei musei portandoseli a casa”. Che non è possibile, i musei siciliani non fatturano, purtroppo, 19 milioni in un anno. Franco di nome. E di fatto?

Si diceva l’Italia come la Grecia, nell’anno di Berlusconi. Ora si dice l’Italia come la Spagna, dopo il ritorno di Berlusconi. Senza contare che l’Italia non è la Spagna, non balla su una bolla immobiliare, grande quanto la stessa Spagna. Terrorismo economico dunque. Solo stupido?

Da Fazio, Luciana Litizzetto irride Banderas con la gallina nella pubblicità del Mulino Bianco. Che però ha, con la gallina e in pochi secondi, molta più presenza scenica (carattere, sostanza, materia) che non i quindici minuti ripetitivi, da anni ormai, della stessa Litizzetto nella trasmissione di Fazio.

Domenica il milanista Ambrosini prende la palla con le mani mentre sta per andare nella sua porta. Con le due parti, da buon portiere. Per la Rai non fa nulla. Per il Torino nemmeno, che così perde fragorosamente col Milan. La stessa squadra che si era invece molto lamentata dell’arbitro nella partita persa contro la Juventus. Tutto il calcio è parlare male della Juventus?

Mercoledì a squadra ucraina di Lucescu è sconfitta con merito dalla Juventus. Lo hanno visto tutti in tv. Ma Lucescu si prende la scena su Mediaset e dice che il “merito” è dell’arbitro. Ammiccando furbo. Non contraddetto dai conduttori. Rai e Mediaset unite nella lotta?

“Uno scarpone si vede all’inizio del primo atto e ritorna alla fine”, spiega Armando Torno, persona colta, scrittore fine, del “Lohengrin” psicoanalitico che apre la Scala: “Di esso non c’è traccia nell’originale. Chissà quale era la sua missione”. Quale è la missione della psicoanalisi?

Il “compromesso storico”, spiega Sergio Romano a un lettore del “Corriere della sera”, è “gli accordi di convivenza tra due poteri dello Stato”. I comunisti e i democristiani?

“Il mondo ci guarda”, ammonisce il “Corriere della sera” per la crisi di governo. Il provincialismo che si pensava Dc (il fondo è di Massimo Franco) è di Milano.

La Consulta decide la distruzione delle intercettazioni del presidente della Repubblica sulla trattativa Stato-mafia. La Procura di Palermo, che nel procedimento alla Consulta sosteneva l’irrilevanza delle intercettazioni, decide allora di non distruggerle. Non finché la Consulta non avrà motivato la sentenza. La Consulta che è inappellabile. Dov’è la mafia?
Certo, la Procura è anch’essa Stato.

Tre televisioni seguono con una troupe Bersani nello storico viaggio a Tripoli. La capitale libica è lo sfondo per la dichiarazione del giorno di Bersani (“voglio sfidare Berlusconi”), uno senario importante per occupare le prime pagine. I tre inviati, ognuno con operatore e aiuto operatore, lo seguono a proprie spese? E la Rai come le giustifica?
A spese del partito? Alla voce costi della politica?

La 7 perde 120 milioni. Che paghiamo tutti con la bolletta del telefono, dato che La 7 è un gioiello di Telecom Italia. Erano 80-90 negli anni passati, ora bisogna pagare pure Mentana e Santoro, a garanzia della democrazia. E sia. Ma nei 120 è compresa la gita a Tripoli?

Bersani deve avere lo spin doctor di Veltroni, bravissimo a farlo “uscire sui giornali” ogni giorno con una “notizia”. Ma poi Veltroni perse Roma, di cui era sindaco, e perse pure le elezioni politiche. Quando è troppo brava la propaganda non sarà negativa?

L’Osservatorio di Pavia che fine ha fatto? Registrava ogni sforamento partitico negli spazi in tv fino a che il Pd non li ha monopolizzati?

lunedì 10 dicembre 2012

Luciana lucida il blasone

Usavano, sono i “blasoni” di cui più non si parla, le lodi di un membro del corpo. Litizzetto rispolvera il genere per il membro maschile, e aggiorna il catalogo, a un’occhiata, di 22 neologismi, sul totale di 25 sinonimi che usa per la parola impronunciabile (uno se l’è perso, il migliore, che aveva sottomano: fly italianizzato nel titolo invece di flay sarebbe stato un altro “titolo”). Un dieci per cento buono d’innovazione, considerato che il catalogo precedente, non recente, si attestava su 228 sinonimi.
Alla comica – malgrado tutto lo è, malgrado il quarto d’ora di penitenza che Fazio le infligge domenica sera, con i sinonimi del caso più triti per Berlusconi – D’Orrico rimprovera la freudiana invidia del pene. Ma lei non ne è l’arcigna censora, proprio con le forbici? Recidiva anzi del vilipendio, “La principessa sul pisello”, “Rivergination”, “Minchia!”, “Col cavolo”, sono anni che ci gira attorno. Ha saputo però reggere un anno all’assenza di Berlusconi, passando da Bocchino a Passera – merito non minore, i comici di questi tempi sono affliggenti. Per un’invenzione linguistica forsennata, meglio da leggere che da ascoltare: la Jolanda e altri paesi bassi, Belèn Belìn, la Walteranschauung.
Luciana Litizzetto, Madama Sbatterflay, pp. 185 € 18

Milano prospera a danno dell’Italia

Si può ironizzare sull’olimpico Monti che si fa vendicativo al primo ostacolo – “muoia l’Italia con me”. O sulla Lega, che voleva il marco come moneta, e ora vuole l’Italia in guerra contro la Germania. O su Berlusconi, che un mese si ritira e un mese si ricandida. A questo punto la logica vorrebbe che Berlusconi e Maroni – e Monti - dicessero: abbiamo sbagliato, ci ritiriamo. Invece di continuare a insolentire gli italiani.
Ma è la legge di Milano, capricciosa apparentemente e volage, mentre si fa gli affari suoi, operosa e spietata. Milano ama giocare con l’Italia, non da ora, almeno da un quarto di secolo buono. E anzi da quasi mezzo secolo, con piazza Fontana e il terrorismo. Meglio, dovendo essere precisi, da quasi un secolo, con Mussolini e la marcia su Roma. Mentre prospera.
A questo punto c’è da chiedersi se Milano non prospera affossando l’Italia. In questo caso da vera potenza tedesca, seppure fuori le mura: allo stesso modo come la Germania prospera affossando l’Europa.

La sinistra più realista del re

“Se, facendo i conti, ti accorgi di aver già versato in acconto più di quanto dovevi per l’Imu annuale, perché magari il Comune ha ridotto l’aliquota, ovviamente non dovrai pagare il saldo di dicembre. Informati presso il Comune sulle modalità per chiedere il rimborso dell’eccedenza”. Quasi tutti gli 8 mila Comuni hanno innalzato le aliquote da giugno, nessuno le ha ridotte, ma “altoconsumo” il 27 novembre dà questa avvertenza. Non, per esempio, quella di ricalcolare le aliquote retroattivamente per tutto l’anno, anche se il Comune ha aumentato le aliquote tardi. Perché la sinistra dev’essere più realista del re?
Non c’è altra risposta: per i sensi di colpa. Paghiamo ancora il Muro. La sinistra non è per il fisco avido. La sinistra è per la giustizia fiscale, e non per le tasse sul macinato. Eccetto che in Italia: gli elogi del governo Monti, depurati della strumentalità anti-Berlusconi, sono agghiaccianti. 

domenica 9 dicembre 2012

Che risate l’Italia, senza allegria

Un’inversione che è un trattato filosofico: non la povera Italia, ma Italia povera, senza l’articolo. Come è dell’umorismo di Bucchi. Nero, si dovrebbe dire. Ma più che altro è pieno di sensi da sviscerare. Attraverso le inversioni, che sono il trademark del columnist grafico di “Repubblica”, di parole, sintassi, immagini, significati.
Un lavoro da storico, se se ne seguono correttamente i meandri. Bucchi non si limita ogni anno a commentare giornalmente l’evento, ma nell’evento riflette e analizza costanti, rinascite, ritorni, con ombre, deviazioni, trappole. Piazza Fomtana, l’Italicus, Bologna, Pisciotta e Sindona, Berlusconi e Padre Pio, Bucchi non dimentica, e non tralascia.
Un lavoro isolato, Bucchi non ha creato un genere. Ha faticato anche a trovare un editore. Il fumetto è freddo, quando non è cattivo. La sua grafica distanzia invece di coinvolgere, con collages, proiezioni, riproduzioni, viraggi d’immagini note. Si può ridere, di un mondo non allegro.
Massimo Bucchi, Italia povera, Saggiatore, pp. 156 ill., € 13

Italia sovietica - 12

Il sovietismo è morto da venticinque anni, quasi, ma non Italia - dove non c'era. Gli ultimi casi:
Le indagini che durano anni, invece che giorni.
Monti, vittima del regime.
Le banche, una tassa sui poveri.
L’Imu, idem.
I misfatti del compromesso storico:
- la guerra civile costante - il popolo “diverso”
- il conformismo alle primarie: o volontario o, peggio, indotto attraverso radio, tv, riviste, giornali, bollettini
 - chi paga? Sempre il contro Rodetta?
- la Rai, specie ora che è di Casini
- i giudici sempre
- gli utili idioti ex Pci
I misfatti del compromesso storico sono infiniti
Compreso Berlusconi
E l’antiberlusconi corale: a una voce sola, piatto.