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sabato 11 marzo 2017

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (319)

Giuseppe Leuzzi

Da quattro anni almeno la Cina fa passare le sue esportazioni di scarpe e abbigliamento da Londra perché lì l’ingresso nella Ue non coste niente, centesimi – meno di un euro di dazio per un kg. di capi d’abbigliamento, contro i 18 della dogana italiana. Nel 2016 quattro quinti delle importazioni europee di scarpe e abbigliamento dalla Cina sono transitati per Londra. Dopodiché, affrancate, hanno potuto girare sottocosto per tutta Europa.
La cosa si viene a sapere perché la Commissione di Bruxelles, vendicativa dopo la Brexit, multa Londra per due miliardi di euro. A leggere i giornali italiani tutti questi anni, specie i milanesi, le merci cinesi invece entravano di straforo in Europa transitando per Gioia Tauro. Per nessun’altra ragione che Gioia Tauro, il più grande scalo del Mediterraneo, è in Calabria.

Dopo aver visto “Ladri di biciclette”, quindi siamo nel 1948, Mario Soldati scrisse la sua ammirazione a De Sica (la lettera è pubblicata da Angelo Varni sulla “Domenica” del “Sole 24 Ore”): “Tu «albeggi». Noi (tutti noi registi italiani) «tramontiamo»… Un popolo sorge. Un popolo dell’Italia Centro meridionale. E un popolo tramonta: la borghesia dell’Italia settentrionale”.
Non è andata così. Il “popolo dell’Italia Centro meridionale” si è adagiato nella sfiducia e il vittimismo: emigrazione, odio-di-sé. E la “borghesia dell’Italia settentrionale” ha reagito, eccome, e non  molla nemmeno l’osso del cane. Ma quella di Soldati non era un auspicio, era una constatazione, mesta.

“Nessun italiano può dirsi estraneo a Napoli”, intima Aldo Cazzullo dal “Corriere della sera”. Un meridionale obietterebbe.

La corazza “Padrino”
Cè un libro che ha fatto, fa, la metà dell’immagine italiana nel mondo, e quella tutta di Corleone, da cui il protagonista ha preso il nome, e della Sicilia. C’è un Sud di prima del “Padrino” e di dopo.
Alla rilettura, “Il padrino” non è credibile. Contro Hollywood, per esempio, dove non ci sono che puttane dipinte, e contro Frank Sinatra – un buon quarto del libro. Prolisso, anche noioso. E ambiguo. Il “pezzo novanta”, come lo chiama Puzo, il mammasantissima che Marlon Brando immortalerà, è una vittima della mafia, da bambino della violenza mafiosa al suo paese, di cui il padre è vittima indifesa, da giovane capofamiglia a Manhattan delle soperchierie e del “pizzo” della Mano Nera. Ma un personaggio riuscito, una serie di personaggi riusciti, specie nei film di Coppola con lo stesso titolo, hanno creato uno stereotipo. Una serie di stereotipi, sovrimpressi alla Sicilia e al Sud, che tengono ancora bloccati la Sicilia e il Sud, avendoli come mesmerizzati, immobilizzati: la Sicilia e il Sud paradossalmente vi si riconoscono. Meno per i film, che non sociologizzano, non tipizzano. Nel romanzo invece è costante la sottolineatura: etnica, tribale, familiare. Che si tratti di linguaggi, cibi, affetti.
Un costruzione “eccessiva” che però è formidabilmente attiva. Una sorta di calco ineliminabile, indistruttibile, soprammesso al corpo del Sud. Ci sono anche molti errori – eccessi già all’epoca in cui Puzo scriveva. Il “sangue”. La “Sicilia”. L’omertà - “Solo a un Siciliano, nato ai modi dell’omertà, la legge del silenzio, poteva essere affidato l’incarico di consigliori”, mentrenon è così, il siciliano va tenuto con la briglia corta, altrimenti si sa che sono chiacchieroni, anche a sproposito, e traditori. Il ridicolo di certe rappresentazioni a chiave: Fontane-Sinatra, Margot Ashner-Ava Gardner, il megaproduttore Woltz-Mayer, il Senatore-che-non-c’è. La stupidità femminile: non una moglie, figlia o fidanzata si salva - la famosa “donna del Sud” è anche di questo romanzo.
E quanto “Il Padrino” ha formattato la pubblicistica sul Sud dopo la sua uscita nel 1969? Non si può dire – c’è, c’è stata, abbastanza ferocia nella Corleone propriamente detta e nella Sicilia in quegli anni e dopo per giustificarne l’immortalità. Ma ha determinato il linguaggio: andando a ritroso, c’è un prima e un dopo “Il padrino” nella pubblicistica sul Sud. Dopo sono gli stessi personaggi, ovviamente in vesti diverse, le stesse situazioni, le stesse mentalità (linguaggi): Puzo ha disposto (creato) tutto un mondo. A rileggere il libro non sembra – non sembra possibile. Ma si sa che successo chiama successo. Il successo crea lo stereotipo, dopo si fa in copia. Non c’è bisogno di chiamare in causa la pigrizia, l’industria va avanti per copie, quindi anche l’editoria. Anche perché il Sud vi si adagia, non protesta.
In questi cinquant’anni dal “Padrino” molta robaccia è stata ripulita a Manhattan. La polizia corrottissima di New York per prima. Anche la comunità italoamericana non è più trattata da dago e guinea (africano), o guinea giallo - che lavventuosa traduttrice Mercedes Giardini Ozzola rende misericordiosa con contadino terrone. Mentre la Sicilia e il Sud Italia sembrano averli adottati, Puzo e il suo monomaniaco romanzone. Come una corazza e quasi un modello di vita. Si leggano i giornali locali, in Sicilia, a Napoli, in Calabria, si conversi con chi ci vive, non c’è altro argomento: morti, minacce, dispetti, e padrini. Non si scampa.

L’invidia di don Milani
Le “Lettere a una professoressa”, il manuale pedagogico 50 anni fa di don Lorenzo Milani, è stato celebrato con una critica dal “Sole 24 Ore”. Lorenzo Tomasin, filologo romanzo a Losanna, ex Ca’ Foscari e ex Bocconi, vi ha individuato il nucleo dello sfascio della scuola, che non forma più e non insegna nemmeno. E dell’invidia sociale - allora si diceva “odio di classe” - che connota sempre più pervasivamente la società. A difesa di don Milani è poi intervenuto Carlo Ossola. Mentre la critica è stata ribadita da Franco Lorezoni, maestro e pedagogo. I tre interventi si sono soffermati sull’indirizzo seguito, a partire dagli anni 1970, dalla scuola dellobbligo sulla traccia di don Milani.
La “Lettera a una professoressa” si rilegge oggi come una “Lettera alla madre”. Di un giovane fiorentino di ottima famiglia, sportivo, colto, che giovane decise d’indossare la tonaca. E di dedicarsi ai più umili. Fuori città, però. E non da prete operaio, come allora usava nel cattolicesimo impegnato, ma da borghese illuminato.
L’azione pedagogica il giovane prete fiorentino – molto - rinforzava con un certo orgoglio contadino, per indurre  suoi ragazzi a uscire dall’apatia e accettare il diritto-dovere di migliorarsi. Con lo studio e l’applicazione. Sono però contadini come li vede la città, semplificati e santificati, alla Rousseau. E c’è indubbio, alla rilettura, una sorta di odio-di-sé borghese, che indirizzava i ragazzi non all’odio di classe, don Milani non era marxista né del Pci, ma sì all’invidia sociale, partendo dal disprezzo del ceto che pure, indirettamente, insegnava a imitare: quello borghese, del fare. La parte ordinativa faceva giustizia della scuola ridotta a burocrazia, a rito stanco. Da qui i nuovi indirizzi,di cui però non si può fare colpa a don Milani. L’impegno della “professoressa” della nuova scuola che Tomasin difende è semmai donmilanesco. Mentre l’abdicazione della borghesia è nei fatti, una recessione storica - don Milani, la sua mamma, la sua città, il suo stesso impegno, erano ben borghesi.
La polemica spiega però il ritardo del Sud. Che si è aggravato, malgrado i tanti soldi spesi per lo “sviluppo”, su questo snodo: l’invidia sociale eretta a sistema. Perché, autoreferente, non ha indotto né induce a fare ma a disfare. Annegando nella corruzione, contro la quale prima, in epoca “borghese”, c’era no argini, ora non più. Mentre la criminalità propriamente detta non si riesce più a arginare e prolifera – l’unico luogo al mondo senza anticorpi.
Il Sud ristagna per l’abdicazione della borghesia. Si dice il ceto politico meridionale inquinato, per storia, carattere, estrazione sociale. Ma non lo era fino a un certo punto della storia del dopoguerra- Non in Calabria (Mancini, Misasi), non in Sicilia (Alessi, La Loggia, gli stessi Mattarella, Macaluso), in Puglia (Di Vittorio e Moro su tutti), i tanti ottimi liberali e comunisti di Napoli.

Germania, o cara
Un ragazzo rumeno sa tutto degli alberi. Dell’habitat, la stagionalità, la fioritura, la fruttificazione.  Il tipo, la quantità e il tempo della concimazione. Il tempo in cui potarli, e il modo. Vari ragazzi prima di lui, varie coppie di ragazzi, locali, paesani, si sono solo divertiti con la sega elettrica. Non sapevano nulla, benché il paese sia di campagna, e non hanno imparato. Non avevano imparato, né alla scuola agraria, né nei campi, e non hanno voluto imparare.
Il giovane Micha è rapidissimo nella potatura, benché si paghi a ore, e poi nella disposizione delle frasche e la ripulitura dell’orto. Non è il solo, altri come lui, venendo sempre da lontano, anche dal Nord Africa, fanno gli stessi mestieri in campagna, precisi. Tristi magari, quelli in età, isolati dalla lingua, ma sempre applicati. Preferiscono lavorare , benché isolati, in queste zone remote di campagna, perché il guadagno fanno praticamente netto, poco o nulla pagando per l’alloggio. Hanno bisogno, sanno come fare fronte.
Si riapre la polemica contro gli immigrati che “rubano il lavoro”. Se non altro perché si pagano meno, e senza vincoli, fiscali o assicurativi. Ma si trascura che il giovane disoccupato a cui l’immigrato toglie il lavoro non fa nulla, non sa fare e non vuole imparare. Un tempo si diceva dei lavori pesanti, ma ora è vero di qualsiasi lavoro – che non sia naturalmente il “posto” checcozaloniano. Questo al Sud non è solo esperienza personale, si vede ovunque.
In parallelo si fa la polemica sui giovani che “devono” emigrare. Ma anche qui. Dei cinque giovani di cui genitori e amici hanno tentato l’inserimento nei piccoli lavori dell’orto, quattro sono emigrati in Germania. Tre fanno le pulizie, nelle case e negli uffici, cosa che non avrebbero nemmeno contemplato di fare in paese. A cinque euro l’ora mentre in paese se ne pagano otto. Il quarto fa il manovale in fabbrica: sveglia alle cinque, inizio del turno alla sette, a Rostock, dove sei mesi l’anno si vede il sole una o due ore, e non si può stare all’aperto più di cinque minuti. La paga è giornaliera, ma è di 65 euro per sette ore e mezza, mentre in paese è di 80. Tutt’e quattro devono pagare l’alloggio, che in Germania è meno caro che in Italia, ma al paese avevano la casa di proprietà.
Questo è un fatto noto: si accettano in Germania, dagli stessi lavoratori tedeschi, paghe e contratti che in Italia sono improponibili – per esempio i “mini-job”. Meno note sono le due mancanze del Sud. La scomparsa della voglia di imparare – della costanza, del lavoro ben fatto. E l’insofferenza, per cui emigrare è sempre un bene, anche nelle condizioni peggiori: la perdita di ogni nucleo di ogni nucleo di consistenza, e di ogni criterio comparativo, l’odio-di-sé. Il Sud è soprattutto cancellato (indebolito, maledetto) dall’immagine del Sud.

leuzzi@antiit.eu 

Il populismo si combatte col populismo

Si può dire dei populisti, di destra  di sinistra o solo arrabbiati, quello che Benedetto Croce diceva dei radicali che scalpitavano all’interno del suo partito Liberale: “Non sanno quello che vogliono, ma lo vogliono subito”. Questo non esime dall’occuparsene. Tanto più che, pur non sapendo quello che vogliono e poco di altro, sono al governo negli Usa, nientedimeno, e in Polonia, e potrebbero esserlo a breve in mezza Europa, a partire dalla Francia fra un mese o dall’Olanda, o dall’Italia fra un anno. Il fenomeno qui studiato è già imponente, anche elettoralmente.  
Uno studio econometrico della politica non è agevole – chi vive a Roma potrebbe anche dirlo presuntuoso: il populismo è un’infatuazione, superficiale. Le banche dati compulsate per questo studio offrono una serie rilevantissima di indicazioni: orientamento politico, propensione al voto, fiducia nei aprtiti, reddito, occupazione, livello degli studi. Ma è difficile metterli in rapporto col voto populista  di protesta, che è per o più istintuale. Trovare loro delle costanti, delle determinanti.  Ma qualche regolarità i quattro studiosi riscono a individuarla.
Tutte le offerte politiche populiste sono centrate sull’immediato, evitando di prospettare i costi di lungo periodo, o nascondendoli. È un fenomeno che attrae chi ha studiato di meno: più sono gli anni di studio, minore è il richiamo populista. Il populismo appare quando l’insicurezza economica e la sfiducia nei partiti si combinano: l’esito è l’astensione dal voto e\o la scelta delle “soluzioni semplici”, che lo studio sintetizza come “politiche protettive di breve termine senza riguardo per i costi a lungo termine”. L’astensione mitiga la deriva populista - fino a un certo punto, poi la diga si rompe.
Dal punto di vista dell’“offerta”, questa si rafforza quando la politica si frammenta, e dove le istituzioni sono deboli. D’altra parte, nell’immediato, s’instaura una dialettica che favorisce l’allargamento del populismo: la risposta dei partiti tradizionali non può che fare propri anche i richiami populisti, “per ciò stesso ingigantendo l’offerta aggregata di politiche populiste”.
Come dire: il populismo è un morbo, ma quando si è installato non è possibile evitarlo – ci si può vaccinare prendendone a piccole dosi.
Uno studio originato e svolto per il romano Cepr, Center for Economic Policy Research, da quattro economisti: Luigi Guiso dell’Einaudi Institute for Economics and Finance di Roma (Eief), e del Cepr, studioso dell’impatto econmico dei fatti culturali, Helios Herrera dell’università di Warwick, Massimo Morelli (Bocconi e Cepr) e Tommaso Sonno (Cattolica di Lovanio).

L.Guiso, H.Herrera, M.Morelli, T.Sonno, Demand and supply of populism, free online

venerdì 10 marzo 2017

Letture - 295

letterautore

Felicità – È il tema che registra più titoli probabilmente in libreria: romanzi, poesie, e anche opere storiche. In aggiunta a un’editoria in Italia marginalissima ancora vent’anni fa: la manualistica del vivere felici – curarsi, camminare, riflettere, bricolare… Giacomo Papi sul “Robinson” di “Republica” conta “circa trecento libri “usciti nel 2016 con la parola felicità nel titolo. C’è anche, best-seller, un “Felicità del riordino”, degli armadi di casa. C’è pure una app che insegna a non soffrire d’amore, Mend, e pare abbia un successo milionario.
Ai libri va naturalmente aggiunta l’attività dei media, nei quali è prevalente, in termini di minutaggio e di lirismo, la celebrazione della felicità: cucina, sport e fitness, viaggi e spettacoli, la sessualità “libera”, o anche la sola presenza (notorietà), ai giochi, agli intrattenimenti.

Gelosia – Se ne racconta molto – perché è scomparsa (resiste, si dice, nella forma del femminicidio, ma lì è tutt’altra materia)? Willy Pasini, Catherine Millet, critico e mercante d’arte, l’autrice della disinibitissima “Vita sessuale di Cathérine M.”, Ilaria Gaspari, dottoranda di filosofia, mentre si ripropongono le trattazione di Jaspers e Freud. Si racconta ancora come passione divorante, quando non ne esistono più, se non forse per i soldi. L’archetipo d’altronde, Anna Karenina, si suicida per gelosia (non per aver abbandonato la famiglia) dopo una sere di scenate molto banali con l0pamante Vronskij.
Trascurate sono stranamente le mille pagine di Proust attorno a Albertine. Forse perché posticce, di testa?
Le gelosie di cui si tratta – altra peculiarità – sono femminili. Quella maschile è ferma a “Otello” – i femminicidi che infuriano non sono indotti da gelosia.

Generi  - Breve prontuario dei generi editoriali – sotto forma di X regole del buon (perfetto) funzionario editoriale, estratte da Astolfo, “Non c’è anarchico felice”:
Romanzo generazionale: ventenni sui ventenni per ventenni, quindicenni(se ne trovassero!) sui quindicenni per quindicenni, etc. Vale per i giovani, fasce di mercato nuove. I cinquantenni possono invece scrivere anche della loro infanzia, ciò fa parte del
Com'eravamo, o del si stava meglio quando si stava peggio, con abbondanza di zie, sentieri sterrati, contadini filosofi, lucciole, etc. Genere in estinzione ma funziona ancora.
Casi umani, o franchi narratori: la suora “spretata” che racconta il suo amore sempre vivissimo per Gesù Cristo, la ricca infanzia del famoso ladro, le trame sanguinose della casalinga, la maestra che odia i bambini... È il genere della sorpresa.
Personaggi. Ma veri: l’infanzia della Carrà, il primo matrimonio di Pippo Baudo (con chiari di luna, serenate, promesse e anche molta fiction-verità: carte notarili, memorie di avvocati, decisioni di tribunali), Giuliano Ferrara a Torino, la storia amorosa di Francesco Cossiga, etc.
Biografie. Ognuna deve contenere una novità..
Morti. Meglio se fuori diritti. Ma anche un morto recente può andare. Si ricordano casi di esordienti quasi morti.
Libro politico, da tenere pronto come il necrologio, e prodotto come i giornali, su tre turni nelle ventiquattro ore, dopo dieci giorni non regge, ma rende sempre – non è vero ma bisogna crederlo, dà l’idea di vivenza, direbbe un attuariale. E i generi tradizionali:
Thriller o d’avventura,
Carattere,
Romantico. Mentre non si fanno che instant books, l’invenzione della realtà.

Libri . Sono più che mai merce. Oggetto di mostre mercato, oltre che di premi, festival, celebrazioni. Milano ha voluto la sua grande fiera, in concorrenza con Torino. Roma, in silenzio, aveva già aperto la sua, scansionandola in tre eventi, “Più liberi più libri”, autunnale, “Festival delle Letterature”, estiva, e la primaverile “Libri Come. Festa del Libro e della Lettura”, In quest’ultima kermesse sono coinvolti quest’anno trecento scrittori, segno che la manifestazione è in buona salute.
La lettura però ristagna. Le vendite di libri sono tornate nel 2016 ai livelli del 2010, a circa 1,33 miliardi di fatturato – ma con l’aggiunta di un valore stimato in 120 milioni per Amazon.it.
La lettura resta divisa in Italia tra lettori forti, almeno un libro al mese, e gli altri: i primi incrementano gli acquisti, i deboli li riducono. L’effetto è visibile nella grande distruzione, dove le vendite del comparto libro sono crollate, malgrado i forti  sconti e le continue promozioni, di un 10-12 per cento ogni anno nell’ultimo quinquennio. Mentre migliora l’attività delle librerie, in particolare delle catene.

Primo capitolo – Ha sostituito la retorica dell’incipit cattura-lettori. Molte editrici, specie quelle del gruppo Guanda-Ibs propongono in lettura gratuita il primo capitolo, per invogliare all’acquisto. Solo che il primo capitolo solitamente scoraggia: non si ricorda nessun primo capitolo folgorante. A volte ci si chiede anzi come siano stati pubblicati tanti romanzi: i lettori delle case editrici sono eroici e vanno a fondo anche malgrado il primo capitolo?.

Riscritture . Se ne sono fatte in Germania dopo la guerra  per eliminare tracce di nazismo. Sono noti i ritocchi, minimi ma sensibili di Ernst Jünger, che pure non era stato hitleriano, al “Lavoratore”, per allontanare ogni sospetto. Sidonie Kellerer, la ricercatrice di Colonia che dirige il progetto “Heidegger and Postmodernity: the Story of a Delusion?”, ne ha rintracciate in “Die Zeit des Weltbildes” e in “Wege zur Aussprache”, sentieri di spiegazione. Ne “L’epoca dell’immagine del mondo”, un conferenza del 1938, poi ricompresa in “Sentieri interrotti2, 1956, Heidegger demoliva con protervia Descartes, e in genere la latinità, nel nome del superiore idealismo tedesco, l’erede dei greci, anzi dei presocratici.

letterautore@antiit.eu

Le primarie fatte in casa

Virginia Raggi resta gradita, secondo tutti i sondaggi, a un grillino su due. Al più. Non più dai berlusconiani, che peraltro l’hanno votata al secondo turno per opportunismo. E nemmeno, va presunto, dagli ex democratici dalemiani.
Era inevitabile, perché: chi è Virginia Raggi, chi era al momento del voto? Come si era formata, cosa aveva fatto, cosa progettava, come, e con che forze – oltre a Marra e Romeo? Era una outsider, che ha racimolato mille likes alle primarie online dei 5 Stelle per il sindaco di Roma, e ciò le è bastato per diventare la candidata.
Si sono adottate le primarie, per battere la “vecchia politica”, come se fossero una pacca sulle spalle. In pochi giorni e non in mesi e anni di lavoro. Senza un programma, e senza la mobilitazione di vasti dibattiti. Senza organizzazione. Queste estemporaneità vantando come migliore: più aperta, democratica, egualitaria. Parole: vince le primarie all’italiana chi ha un gruzzolo di seguaci fedeli, parenti compresi. Non ha bisogno di spiegazioni, apparentamenti, programmi.
Le primarie storicamente più importanti, quelle che videro emergere Renzi candidato sindaco a Firenze nel 2008, subito dopo l’adozione del sistema da parte di Veltroni, si svolsero così. La città era saldamente in mano all’ex Pci, da un quarantennio. Si candidarono tre ex Pci, e il giovane Renzi, presidente della provincia, cioè la minoranza cattolica del Pd, divenne maggioranza. I tre ex Pci si divisero il 60 per cento, e lui col 40 trionfò.

Ritrovarsi, e perdersi, a Kabul

Un viaggio impossibile oggi. Inimmaginabile. Di due donne, in macchina, attraverso i Balcani, la Turchia, la Persia, l’Afghanistan. Senza meccanico né autista, senza guardie, senza parole (poco persiano). Nell’estate 1939 , quando la guerra si accende. Senza mai un incidente o un inconveniente. Di macchina sì, le forature sono quotidiane, ma non di persona. Accolte ovunque, e in Afghanistan specialmente, presso la varie etnie indistintamente, dai barbuti capivillaggio con senso generoso dell’ospitalità – di “cordialità autentica”, .
Questa idea del viaggio è la parte più attraente della raccolta. Qualche corrispondenza, ma di nessun evento, e alcuni varchi di memoria che la scrittrice pubblicò al ritorno in Svizzera su vari giornali, non ispirati. Il viaggio Annemarie fece in compagnia di Ella Maillart, che ne riferirà poi con ben più sostanza in “La via crudele”. Per lei fu non un consolidamento degli istinti vitali, per l’organizzazione e lo spirito di avventura che comportava, ma un ritorno alla droga, facilitato dalla reperibilità. E dalla passione violenta per Marie “Ria” Hackin, archeologa, sposata al capo della Dafa, la Delegazione archeologica francese in Afghanistan - responsabile degli scavi a Bagram, la località ora famosa dopo le devastazioni dei talebani. Ma di questo non c’è traccia, se non, qua e  là, nella “desolazione dell’aurora”.  
È un viaggio più introspettivo che di scoperta o avventura: “Non è necessario sperare per intraprendere, né riuscire per perseverare”, Annemarie si dice. E più sotto la forma anodina della bella prosa – poema in prosa, lirico, nostalgico – che della prosa fattuale, della stessa Schwarzenbach per esempio negli Usa, o nel suo primo libro della Persia.  C’è la mistica della montagna, l’Ararat, l’Hindukush, e poco altro. Il deserto respinge, i nomadi pure, né ci sono incontri (situazioni, figure), mancando la lingua. A parte la presentazione della donna afghana, annientata sotto il burka,  allora chiamato shadri. Vista senza la “differenza” antropologica, nella figura di una ragazza normanna che a Parigi ha sposato un giovane promettente afghano: una giovane ebetizzata. Una condizione detta senza trucchi, per quello che è: una forma di schiavismo. Con forti argomenti, dalla parte delle donne, che il multiculturalismo avrebbe difficoltà a contestare. Compreso l’uso aggressivo – censorio, invasivo – della religione.
Annemarie Schwarzenbach, La via per Kabul. Turchia, Persia, Afghanistan 1939-1940, Il Saggiatore, pp. 157, ill. € 8,50

giovedì 9 marzo 2017

Secondi pensieri - 298

zeulig

Arte – È “la natura del’uomo” (Burke): la capacità di fare. La perfettibilità. Non l’adattabilità: l’uomo è qualcosa in più della natura, del caos ordinato.

Crisi - La critica non avvince se non da un punto fermo. Se non afferma una cosa: una forza, un partito, un gruppo, un’idea condivisa.
Il discorso sul declino della civiltà genera una reazione conservatrice, di rigetto: la decadenza vuole potersi compiangere, o resistere, sia pure all’ultimo sangue.
Una storia di crisi in una società in crisi, è possibile? Cioè, si fa credere?

Etimologia – Porta inevitabilmente a radici comuni, ma con l’effetto – lo scopo? – di diversificare nel processo, di una “irreductio ad unum”. Anzi, di esaltare la diversità, al fine di primeggiare: la lingua corrobora, e in molti modi sostanzia, la singolarità, unicità, della comunità.

Gelosia – È il possesso, si sa per più scritture. E l’invidia, come vogliono la Bibbia (“Perché Io, il, Signore Dio tuo, sono un Dio geloso”, “Esodo” 20,5) e Erodoto (“l’invidia degli dei”). Ma è passione della delusione – nasce dalla delusione. Si vede dai femminicidi improvvisamente frequenti – “si vede” all’ingrosso, perché la socio psicologia ancora latita in materia, benché il fenomeno sia invadente. Un rapporto  e una maniera di porsi e d’essere intimi e intensi, spesso con figli, si tramuta in guerra. Il nemico di lui, di lei, è come se avesse sottratto una parte di sé. E quindi la gelosia è una manifestazione di possesso, ma come si può avere nei confronti di un ladro.
La delusione, oggettivata nell’altro, è di fatto una mancanza di sé. Una perdita, di anni, energie, desideri,realizzazioni, costruzioni – l’uomo è costruttore.     

È la zelotypìa, il cui conio è stranamente di Aristofane, “Pluto”, quindi in un contesto comico: la donna in età tradita dal marito giovane ricorda come questi la difendesse dalla malignità delle donne magnificandone l’ira, la collera - lo zelos da cui gelosia deriva. Come tale resta, più o meno surrettiziamente, vista dagli altri. Ma era già stata, seppure sotto forma di “ira”, passione violenta di Achille – “ira” è la prima parola dell’“Iliade” . E di molte donne in vario modo celebri, e anzi mitiche: Deianira, Clitennestra, Medea.  
È dunque all’origine maschile e femminile, ma di più femminile. La pratica del femminicidio va quindi letta come una femminilizzazione dell’uomo, del partner maschile della coppia? Ma la sua pratica, se non i suoi effetti, sono di vendetta, e la vendetta usa pensarsi maschile, in antico perfino eroica.

Giallo – Eco ne ribadisce l’ affinità” con la filosofia e la scienza, nella presentazione a Giovannoli, “Elementare, Wittgenstein!”, e nella recensione che ne fa, “”Lo spazio in forma di cavatappi” (in “Pape Satàn Aleppe”).. Giovannoli lega Dashiell Hammett alla teoria della relatività e alla topologia, e Eco lo prende sul serio. Oppure no? È filosofica non solo la deduzione, la “Grande Catena dell’Essere”, di rapporti disciplinati e quasi obbligati causa-effetto in un mondo ordinato, ma anche il “paradigma «pragmatista» in cui il detective, più che risalire alle cause, provoca effetti” – non pensa ma fa: una logica dell’azione?

Millenarismo . Rinasce con Heidegger - Heidegger “pensava per secoli”, Hannah Arendt? La
ripubblicazione nel 2000 del “Discorso del rettorato”, insieme con altri testi apertamente nazisti,  
tomo16 delle “Opere”, è stata calcolata per far cadere al 2300, “fra tre secoli” come già profetato,
la fine dell’“americanismo”? L’avvento dello “spirito” è atteso nell’intervista-testamento, “Solo un Dio ci può salvare”: l’alba deve ancora venire, il cammino è solo interrotto, non terminato.
Ci si interroga pure sul 2014, l’anno scelto da Heidegger per la pubblicazione dei “Quaderni neri”.
Che non celebri il 2014, l’inizio della fine cui Heidegger, e la grande destra conservatrice tedesca, se  non nazista, erano “nati” per reagire, diciotto-ventenni alla prova della fine delle illusioni? E il colore dei quaderni – non il colore delle copertine, uniforme all’epoca, ma la scelta del colore come titolo?
Il risentimento è il dato ricorrente del pensiero di Heidegger, è stato detto. Ed è vero, a rileggerlo.
Heidegger profetava. Questo si coglie a ogni parola, e più negli appunti che ha voluto pubblicati, i “Quaderni neri”.

Un Heidegger cabalista è quello che mancava. Vero è che molte etichette gli si possono attaccare, come ai santi, nessuna non coerente per quanto stramba, ma a condizione di avere la fede.

Nazismo –  Decadenza è parola tedesca, ha cioè senso in tedesco. Quando Nietzsche la incontrò nel saggio di Bourget su Baudelaire la disse subito migliore del tedesco Verfall, e d’allora in poi la trovò in ogni piega del suo discorso.
La Entartung, degenerazione dell’arte, era da quarant’anni prima di Hitler in due grossi volumi così titolati di Max Nordau, il fondatore del sionismo con Herzl. Che si basava su Lombroso. Ma con argomenti che Lukáks celebrerà ancora nel 1954, dopo Hitler e dopo Stalin, ne “La distruzione della ragione”. Hitler insomma c’era prima, e continua a prosperare.

Storia – Nasce dalla politica, nella sintesi di Joseph de Maistre (“Stato di natura. Contro Rousseau”). Ed è vero – tanto più detto da un reazionario, un tradizionalista: “La storia è la politica sperimentale; è la migliore o piuttosto la sola buona”.  

Vergogna – È una delle parole chiave della riflessione contemporanea - che si centra su parole chiave: “silenzio”, “gelosia”, “invidia”, vergogna” etc. (dopo il postmoderno nulla, un po’ di retorica?). Eco, riferendosi al saggio di Esposito, “La vergogna perduta”, e ai libri di Belpoliti, “Senza vergogna”, e di Turnaturi, “Vergogna. Metamorfosi di un’emozione”, la trovava da ultimo  scomparsa, e legava l’evento al nuovo bisogno della “visibilità” o “reputazione”. Quello per cui, invece che avere vergogna, bisogna apparire e spendersi, specie se si ha poco in riserva.
In un certo senso concorda l’antichista, forte di una spessa tradizione: “La vergogna è una passione sociale” ingiunge Giulia Sissa dall’alto della sua familiarità con i classici. Ma anche “una repressione culturale di massa”. Ma allora auto inflitta: è una difesa. Non dall’esterno, che comunque colpisce dove vuole, ma da se stessi. Una sorta di paratia che blocca deliqui, degenerescenze, sensi di colpa. Anche preventivamente, bloccando le manifestazioni che possano nuocere.
La vergogna previene il peggio, secondo la Rochefoucauld: “Le sofferenze della vergogna e della gelosia sono così acute perché la verità non può aiutarsi a sopportarle”. Ma non in senso euristico: in senso patologico, passionale.

Viaggio - È la vita per Annemarie Schwarzenbach, (“Viaggio a Kabul..”:  «La nostra vita somiglia a un viaggio…. E piuttosto che un’avventura o un’escursione in regione in abituali, il viaggio mi sembra essere un simbolo della nostra esistenza”. Nel suo caso, di una che sempre, quasi disperatamente, viaggiò, è un fuga. Anche una sorta di speranza, o scommessa nel meglio. Ma anzitutto un rifiuto di sé.

zeulig@antiit.eu

La superrazza italiana

L’uscita è sospetta, il 1941. Anche la finalità. Evola rimanda subito, nella presentazione, a “Il mito del sangue” e “Sintesi di dottrina della razza”, i saggi elaborati in cui critica la concezione biologica e quella antropologica della razza, per farne invece una questione di “mentalità” (cultura, tradizione). L’“arianità”, a ogni buon conto, mettendo sempre tra virgolette. Ma poi propone un manuale a uso degli educatori, perché “si insegni” infine la razza.
Reazionario – non è una sorpresa. Contro Darwin – contro “il pregiudizio evoluzionistico… in stretta connessione con quello storicistico-progressistico. Contro anche l’ arianesimo”, quello per cui “ex Oriente Lux”. Ma allora in favore del Nord, la cui supremazia invece in precedenza aveva fieramente contestato nel nome della latinità. Questa ora disprezza: “Non orientale ma occidentale, e Nord-occidentale, l’origine delle più alte civiltà di razze bianche”. Anzi: “«La Luce del Nord», «il mistero iperboreo», questo è un motivo fondamentale della nostra dottrina della razza”.
L’ingegno c’è sempre. “Tutte le doti sono presenti nelle varie razze, ma in ciascuna… assumono un significato e una «funzionalità» diversa”. Poi, però, il bianco può sposare la nera, il nero non può sposare la bianca – i caratteri maschili sono “dominanti”. Attenzione alle campagne demografiche: si rischia una selezione a rovescio - dunque, bisogna “selezionare”? E la “latinità”? È un dirozzamento: i Latini erano in Italia, prima degli Etruschi e dei Celti, “propaggini di razza nordica”, infatti bruciavano i morti e non li seppellivano - la “latinità” viene dopo “la civiltà eroica, sacrale, virile, e più propriamente aria sia delle origini elleniche che di quelle romane” (sono gli studiosi stranieri che hanno inventato la “romanità”: asce, aquile, lupi rinviano a una romanità aria, anzi iperborea).
Inalterato è solo il laicismo: “Nostra deve dirsi l’Italia ghibellina”, mistico-feudale, “e di Dante, non quella guelfa e comunale”. Chiude, prima del “Luogo storico del razzismo fascista”, con la “superrazza” italiana: “Il tipo della nostra «superrazza»” - un “tipo alto, con spalle ampie negli uomini, membra proporzionate, snello, nervoso, dolicocefalo…”, e “prevalentemente bruno”. Non latina, non romana, e neanche iperborea?
Julius Evola, Indirizzi per un’educazione razziale

mercoledì 8 marzo 2017

Ombre - 357

Nella lunga presidenza Obama la Cia e l’Fbi hanno svolto attività investigativa senza limiti e senza precedenti. A danno di tutti, da Angela Merkel in giù, e compreso il governo alleatissimo di Londra. Senza mai prevenire un attentato. Ma non c’è nessun commento che leghi questo spionaggio forsennato a una direttiva politica – o a un lassismo, che è la stesa cosa. No, è la tecnologia. Lo spionaggio lo muove la tecnologia.

Le prime dodici pagine del giornale oggi sono di scandali. Tutti di sinistra.

Dice bene l’economista Perotti su “Repubblica”: per ridurre i costi dl Parlamento basterebbe una delibera degli uffici di presidenza. Che riduca “indennità scandalosamente alte”. Perotti non dice però che queste indennità – rimborsi spese senza giustificativi – furono decise dal presidente della Camera Violante, presidenti del consiglio Prodi e D’Alema.

Denis Verdini e Renzi padre, stessa lotta, senza paura. Stessa loggia? Ma questa giustizia è una guerra di obbedienze?

Nel “tutto Trump” da abominare Bernard Henri-Lévy mette sul “Corriere della sera” anche l’antisemitismo in America. Sul gobbo di un presidente così spiccatamente filoisraeliano? Forse è la voglia di visibilità di Henri-Lévy, quello del caos in Libia e in Siria, buona evidentemente per i lettori del giornale, che ancora lo premia. Ma l’antisemitismo, a chi dobbiamo credere?

Dunque, una ex sindacalista guadagna più di un ex banchiere, se Fedeli batte Padoan 3-1, anzi no, 4-1. Forse per questo che il mestiere di sindacalista sta scomparendo, mentre i banchieri si moltiplicano. Il segeryto è non pagare le tasse.

Dunque, i veri socialisti, quelli del partito Socialista, restano col Pd.  I neo socialisti, quelli del partito Comunista che hanno combattuto i Socialisti fino alla dissoluzione, sono fuori, lamentandosi jugulati dal giovanottone Renzi. A chi credere, se i persecutori ora si dicono perseguitati?

Nel suo Libro Bianco sull’Unione Europea” per i sessant’anni dei trattati il presidente della Commissione Juncker non trova spazio per l’occupazione: “Proponiamo di ridurla, ma questo è fuori dalle possibilità Ue”. Di che altro si occupa la Commissione?

“A Di Pietro non resta che il ricordo di Mani Pulite: è tipico dei reduci mondarsi dei propri peccati”, chiude così il ritratto dell’ex giudice su “Sette” (“Di Pietro, professione reduce) Aldo Grasso. Voleva dire: il grato ricordo di Mani Pulite, non molto condiviso (il più grande flop di Sky è la serie “Mani Pulite”).

Manca al ritratto di Grasso un altro elemento essenziale: che Di pietro fu voluto parlamentare da D’Alema. Che lo candidò per averlo caro nel collegio blindatissimo (allora, 1996, preistoria) del Mugello. Dove Di Pietro prese tutti i 60 mila voti che il fresco ex Pci controllava. Non uno di meno – benché fosse in concorrenza con Sandro Curzi e Giuliano Ferrara: era settembre, stagione di caccia, ma nessuno si privò del piacere di votare Di Pietro senatore.

L’ex giudice è uscito di scena per avere riconosciuto in tv di essersi appropriato della cassa del suo partito. Ma non è stato processato. Nemmeno inquisito. Giustizia?

Non c’è dubbio che la visibilità è il bene dell’epoca. Se si fonda un partito per cercare la visibilità. A rischio di scomparire come partito, ma non vuol dire, basta andare in tv.  

L’Italia, offesa dallo scempio sul povero Regeni, ha richiamato l’ambasciatore al Cairo: da un anno l’Italia non c’è più in Egitto. Ci si difende meglio chiudendosi sdegnosi in casa?

L’islam senza giustizia

Una panoramica delle origini, la storia, l’attualità dell’islam – “Passato, presente e futuro” è il sottotitolo. Molto analitica su tutte le accezioni della professione di fede islamica. Comparatistica il giusto, di più scandagliata dall’interno. Un buon terzo dell’indagine è dedicato alle “prospettive”: politiche, economiche, di modello di vita. Con i problemi aperti di una concezione egualitaria del diritto, e della stessa professione di fede.
Il teologo emerito di Tubinga non arretra davanti ai problemi spinosi. Non tratta del fondamentalismo nella deriva terroristica che caratterizza il Millennio, ma delimita  l’aggiornamento religioso nel senso fondamentalista. Su Israele fa sul “il dilemma arabo”: o Stato non ebraico o Stato non democratico. Sulla conquista araba fa sua la conclusione di Fred McGraw Donner, lo storico di Chicago: fu “una politica mirata di conquista e di insediamento, propria delle élite islamiche dominanti a Medina e alla Mecca, degli «aiutanti» e dei Qureishi”. Non l’effetto di un eccesso demografico, né di una desertificazione dei pascoli, non la crisi del commercio di beni di lusso, né naturalmente un’improvvisa aspirazione dei beduini alla sedentarizzazione.
Il teologo è l’unico studioso – fra i tanti, specie in Francia e negli Usa - dell’islam che non sottovaluta il problema di un assetto del diritto. Problema ben predente in tutte le società mussulmane contemporanee, a partire dall’Iran khomeinista al suo insediamento nel 1978.  Il problema della sharia, dell’applicazione di un diritto civile e politico basato sul “Corano”, nasce con “i potenti califfi di Baghdad”, quando “dichiarano di volersi attenere, diversamente dagli Omayyadi, al contesto giuridico tramandato, così come è dato dal Corano e dalla Sunna”. Ma più che di un corpus di leggi se ne estraggono misure variabili: “La cosa importante è che la sharia non è codificata – diversamente dal diritto religioso romano - e tale è rimasta fino a oggi”.
Hans Küng, Islam, Bur, pp. 910 € 15,50

martedì 7 marzo 2017

Declino e caduta dell'opinione pubblica

Nonché contro il nemico invisibile contro cui punta i suoi moltiplicati budget militari,  la sua prima vittoria Trump potrebbe averla vinta contro i media. Li ha presi di petto sembrava per avventurismo  (irruenza, superficialità, insofferenza, reazionarismo), ma potrebbe non aver sbagliato il colpo. Detta l'agenda, con uso più accorto dei social. E fa senza essere in realtà disturbato.
Trump è alla Casa Bianca da due mesi ormai, e sicuramente non è stato con le mani in mano. Per temperamento. E perché un inquilino della Casa Bianca ha poteri enormi. Ma non ne sappiamo nulla. Solo che l'Fbi lo perseguita.  Ci ha provato con le escort, ci prova con i russi - improbabili giornalisti riaffiorano dall'Azerbaigian, dal Kazakistan,  dal Cremlino, e ci raccontano quanto questo presidente sia depravato. Che può essere ma non ce lo provano. Anche del golpe Fbi sappiamo poco, dobbiamo dedurre.
Un caso come questo, in cui tutta l'opinione è contro un presidente, contro il voto, contro un programma, sia pure aborrito, contro un governo, sia esso criticabile in ogni piega, dimostra che l'opinione pubblica è un potere. Certo, Montesquieu non può essere eterno, ma questo nuovo potere è - è diventato - uno deteriore. Se, poiché, va contro il suo primo dovere, che è di informare.
Poniamo che tutti gli Stati Uniti, benché lo abbiano eletto, siano contro Trump. Noi non lo sappiamo. Quali sono gli argomenti degli Stati Uniti contro Trump? Che, se mancano i borsisti musulmani, si fermano la libertà e la ricerca nelle università americane? E resta naturalmente da spiegare perché un'elezione presidenziale stravinta in partenza (genere e curriculum, sponsor, fondi, media) sia stata persa.

Heidegger Messia germanico

Tutto quello che ormai tutti sanno (in Francia i "Quaderni neri" non sono stati tradotti): che Heidegger era nazista non di facciata, antisemitismo compreso.
Gli anti-Heidegger, alla Faye, si spingono anzi a trovare nel primo Heidegger, di prima di Hitler,  un presagio e un prodromo del nazismo.  I filo-Heidegger sono meno combattivi.  Denunciano un'ossessione anti-heideggeriana. E la apparentano all'antisemitismo, che va a caccia cioè di un Heidegger che non c'è, così come questo dell'ebreo che non c'è.
Ma due punti sono sollevati destinati a emergere. Patrice Bollon ripropone l'ambiguità di concetti "determinanti" indeterminati: quello di rivoluzione, e quello stesso di nazismo, che andrebbe invece visto come fenomeno "occidentale", radicato in una tradizione. L'altro lo solleva lo scrittore bilingue Georges-Arthur Goldsmith,  acceso anti-Heidegger in quanto - assicura - la lettura del filosofo in originale non lascia dubbi: "Albagia e fierezza caratterizzano lo stile di "Essere e tempo". Tutto è costruito su un ritmo militare binario: è una lingua dura e cupa, eliminatoria e accusatrice, come l'aveva già rimarcato Hans-Georg Gadamer, il discepolo per eccellenza... Il risentimento è il dato fondamentale del pensiero di Heidegger".
Il nazionalismo, questo Heidegger non l'ha mai camuffato, anzi lo celebra in tutte le forme, dalla festa sveva di paese all'Essere - al destino. Neppure il.risentimento. non ha mai cessato di considerare nemica la Francia, da Descartes a René Char, che pure lo ospitava e lo rispettava. Che il cammino è solo interrotto,  in attesa di una nuova alba è quanto dice, onesto, nell'intervista testamento con lo "Spiegel" - metafora non ambigua, come il colore dei quaderni.
Heidegger profetava.  Questo non è  stato detto ma si coglie a ogni parola, e più negli appunti che ha voluto pubblicati, i "Quaderni neri".
Heidegger, le philosophe et le nazisme, "Le Magazine Litteraire", febbraio, pp. 98 euro 6,20

lunedì 6 marzo 2017

Quel Romeo tra D'Alema e Renzi

Non si sa se congratularsi per la giustizia negli appalti, oppure impaurirsi per unindagine accanitissima che non produce prove. Sacchi della spazzatura controllati al microscopio, microspie, telecamere e teleobiettivi ovunque, roba da campagna militare. Nessun ristorante, marciapiedi, piazza e piazzola, forse pure il bagno privato, di Renzi padre è andato esente da intercettazioni ambientali.
Sembra di essere al cinema, ma col cuore in gola. Lo scandalo impazza ma la suspense e interminabile, intollerabile.
È anche un filmaccio. Troppe chiacchiere: quello ha detto che quellaltro ha detto. Dopo tanta mobilitazione di uomini e mezzi.
O allora perché  le chiacchiere non farle tutte? Romeo, l'imprenditore degli appalti pubblici, era stato portato a Roma da DAlema: copriva le buche. Ufficialmente: in realtà controllava tutte le esternalizzazioni del Campidoglio, un business enorme, specie la gestione del patrimonio immobiliare del Comune, plurimiliardario. 
Finito in carcere, se nera tornato a Napoli. Dove ha lavorato con Quagliariello e Bocchino. Ma laccusa di Pignatone si restringe sul Pd. Sul Pd di Renzi, di cui Renzi vorrebbe restare a capo con le primarie.
Pignatone,  Pd professo, è passato con DAlema? O i giudici non vogliono un governo? Perché il delitto, dopo tanti giorni, ancora non cè?

Già Lucy era gelosa

Casi di vita vissuta, estrapolati dalla pratica professionale. Con un test semiserio, per sapere se siamo gelosi e quanto.
Siamo portati a giudicare l'altrui universo e ad appropriarcene. È come una difesa primordiale, istintiva. I tanto casi, tutti individuali,  lo psicologo propone di ricondurre all'istinto di sopravvivenza.Nella forma specifica della preservazione della specie. Un esito derivato dall'etologia, che l'ha rilevato in altre specie.
Specioso, ma non senza fascino. La gelosia irrompe con l'essere umano, quindi un milione di anni fa, sull'altopiano etiopico-keniano. Lucy, la prima donna, vive col timore di essere abbandonata, senza cibo, per un'altra donna, il suo il compagno col timore di allevare figli altrui.
Willy Pasini,  Gelosia. L'altra faccia dell'amore, Mondadori, pp. 238 euro 7

domenica 5 marzo 2017

Asse Iran-Turchia contro il Curdistsn

Ruhani incontra Erdogan in Pakistan a una conferenza islamica. Rappresentano le due potenze del Medio oriente, concorrenti in termini di influenza, nemiche in termini confessionali, l'Iran capofila degli sciiti, la Turchia dei sunniti. Ma non è stato un incontro fortuito. Al termine il presidente iraniano si è qualificato garante dell'integrità territoriale della  Siria e dell"Iraq.
Un accordo cioè è stato raggiunto tra Iran e Turchia sul comune problema dei curdi, di cui forti minoranze esistono nei due paesi ma che - questo voleva dire Ruhani - non potranno costituirsi in un Curdistan indipendente, sulle macerie di Siria e Iraq. Inevitabile polo d'attrazione per le minoranze curde in Turchia e Iran. Quanto al futuro assetto politico della Siria, Erdogan collabora con Putin e Ruhani nella conferenza di pace di Astana.

Erdogan fa da solo

Sul futuro della Siria e dell'Iraq la Turchia di Erdogan si muove da sola. Senza più il patrocinio degli Usa. E anzi in sintonia con l'Iran, che la nuova presidenza americana vorrebbe rimettere tra gli Stati "canaglia". E con Putin, che l'industria militare angloamericane ha eletto a nemico di comodo.
Erdogan ha anche allentato, da tempo,  il legame con l'Arabia Saudita. Un legame stretto sulla Siria, a  nessun effetto, se non favorire la nascita dell'Is, e portare la Turchia alla crisi con Israele. Nonché a ipotesi di divisione,  tribale e/o confessionale,  in Siria e Iraq.  È questa ipotesi che ha riavvicinato Iran e Turchia, contro ogni forma di autonomia curda.
Dagli Usa Erdogan si è allontanato per le incertezze dell'ultimo Obama. Dopo la mancata applicazione di una "no fly zone" - un'area di scambi incontrollati -  lungo il confine con la Siria, ha rapidamente ripreso i contatti con Mosca. Con l'intento di chiudere presto la questione siriana.  Per paura, al dunque, di una crescita dell'oltranzismo islamico, l'unica forza politica che ora teme in Turchia.
Sul piano personale, Erdogan ha fatto grande caso del poco riguardo personale ricevuto ai funerali di Cassius Clay-Mohammed Ali. Di minore impatto viceversa,  in Turchia e nell'entourage presidenziale, lo scontro in atto con la Germania sull'arresto - l'ennesimo - di un giornalista turco corrispondente di un giornale tedesco.

Netanyahu sull'onda

All'improvviso il premier israeliano Netanyahu passa dall'isolamento alla corazza di ferro. E questo proprio nel momento in cui accentua la sua politica di annessione surrettizia della Cisgiordania, in contrasto con le decisioni Onu.
Era in lite con gli Usa, il grande protettore di Israele, nella seconda presidenza Obama. E senza più riferimenti nel Medio Oriente. L'Egitto dei Fratelli Mussulmani prima, e ora della difficile restaurazione nasseriana di Al Sisi. La Turchia presa dall'alleanza con l'Arabia Saudita sulla questione siriana. 
Ora il vento  è a suo favore. Trump si è spinto a ipotizzare una Gerusalemme capitale di Israele, sopravanzando lo stesso premier israeliano. Con Al Sisi Netanyahu può vantare, per quello che vale, l'appoggio sulla questione libica. Con Erdogan in Turchia i rapporti sono tornati stabili.

La volontà di apprendere

"L'educazione di un pastore" è il sottotitolo di questa riedizione. Un reliquato, di un mondo arcaico già al suo tempo. E troppo duro per essere vero - sul modello di Alvaro di "Gente in Aspromonte", di un mondo cioè di inizio Novecento, e comunque non monodimensionale.
Nella prima parte. La seconda,  che alla prima lettura (Ledda inaugurò nel 1975 la collana Feltrinelli dei Franchi Narratori,  narratori di strada) sembrava solo- si direbbe oggi - politicamente corretta, è invece piena d'interesse: la voglia di imparare, nientedimeno. Dall'alfabeto al mestiere e alla ricerca astratta, invece che apparire e rigirarsi i pollici. Il Pastorello impara l'alfabeto da soldato, e poi insiste fino a diventare ricercatore all'università. Succedeva del resto a un'epoca di rifiuto del lavoro, ci sono dei cicli nella storia. Il rifiuto era allora ideologico: il rifiuto dell'"integrazione". Perché evidentemente c'era la fame ma non c'era il bisogno.
Gavino Ledda, Padre padrone, Baldin & Castoldi, pp. 213 euro 12