Cerca nel blog

sabato 15 settembre 2012

La solitudine dell’immigrato, violenta

Otto pezzi da antologia, dello scrittore collaboratore di Anghelopulos. Sugli immigrati albanesi, bulgari, russi, africani. Vittime perlopiù di se stessi, della follia della solitudine. Nell’indifferenza di una città perduta nel suo traffico – nell’occasione Atene. Charitos, il deus ex machina di Markaris, compare giusto per chiudere i conti, i racconti non sono gialli: la durezza della vita non si scioglie.
Petros Markaris, I labirinti di Atene, Bompiani, pp. 175 € 16

Secondi pensieri - (115)

zeulig

Colpa – È problema, si dice, e non soluzione, irresolubile. Il problema cioè è la Colpa stessa. Jaspers, si dice, che è psicologo e non giurista, s’è sbagliato inventando la Colpa: vergogna sarebbe stata la parola giusta. La colpa collettiva non c’è. Se non a specchio dell’antisemitismo - “sono tutti cattivi”.
La colpa, ha ragione il codice, è personale. E, ha ragione Primo Levi, è graduata. Quella del ferroviere dei treni della morte non è quella del torturatore e dell’assassino, tanto più che potrebbe non sapere che i campi di lavoro sono di sterminio. Figurarsi le donne di casa, quindi la metà dei tedeschi. E tuttavia c’è chi, pur nel razzismo, aiuta i razzisti a salvarsi, e chi invece li denuncia, tra il popolo e nelle istituzioni, Jaspers ha ragione.

In sé è discutibile. La filosofa Salomé, anch’essa psicologa, trova e accetta “la prevenzione innata contro ogni sentimento di colpevolezza”. Ma fino alla rimozione? Non senso critico ma colpa oscura? Meglio se umanizzata, cioè condivisa, ributtata sull’essere. Meglio se occidentale, dall’“Apocalisse dell’anima tedesca” all’“Escatologia occidentale” – è così che la filosofia tedesca approda all’Occidente. Ma è un rovesciamento della difesa “innata” di Lou Salomé. Il passaggio è semplice: si assoggetta una civiltà come una persona, inoculando i propri sensi di colpa – è anche il meccanismo della decadenza.
Un eminente analista disse a Jaspers nell’estate del ‘33: “L’ascesa di Hitler è il maggior atto psicoterapeutico della storia”. Era ebreo, ma non importa. “Questo uso sbagliato di psicologia, psicoterapia, psicanalisi e il modo a esso collegato di pensare, sono un’epidemia del mondo occidentale”, ne dedurrà il filosofo, “a causa della quale innumerevoli uomini sembrano andare in rovina come esseri umani dal punto di vista esistenziale”. A causa della decadenza, o gusto della morte. Cos’è l’uso sbagliato? Che non si rumina più: “Ciò che viene in maniera offensiva detto «ruminare» è piuttosto la «ripetizione», attraverso la quale la nostra esistenza ha un peso nel tempo, è ciò che forma la nostra storicità. Ciò rappresenta la costituzione storica, che dall’Antico Testamento ha pervaso la nostra esistenza occidentale”, scioccamente derisa dai moderni, con il lo-ro “piatto razionalismo e una psicologia superficiale”. Ma senza coscienza critica (certo, bisogna vedere cos’è coscienza e cosa critica)? La colpa è sempre condivisa. Ma non può essere di tutti, della condizione umana, anche soltanto in versione ridotta, “occidentale”.

La colpa tedesca, Schuld, è anche il debito, e in questo senso tutti siamo senz’altro colpevoli. Indebitati. Alla banca, al droghiere, allo Stato, all’amante, a Dio, alla filosofia, alla storia, e a ogni altro avente causa. E creditori anche, dipende dalla psicologia.

IndistinzioneContraria sunt complementa, direbbe Bohr, che se ne fece da baronetto il motto. Un angelo per esempio con una troia? E il movimento, si sa, non esiste, il mutamento, Zenone lo dimostrò tre volte. È il motto del momento, e tuttavia sofistico. L’unità dei distinti crociana resta – è in realtà l’affermazione dei distinti, della non indistinzione.

Limite – È il paletto che la realtà fa reale. Quando è che i granelli di sabbia fanno un sòrite o acervo. Dove il granello si fa montagna. Quand’è che una mela, che stiamo mangiando, non è più una mela.
È il paletto d’inizio del pensiero.
È quantitativo. Si presume anche qualitativo – quand’è che il buono diventa cattivo, e viceversa, la giustizia ingiusta. Ma questo è un giudizio: su un’azione, ex post, personale. Il limite è ex ante e volumetrico: di numero (di massa), di dimensioni, di natura (minerale, vegetale, animale).

Schadenfreude - Sarà stato il primo contributo tedesco alla scienza politica, la gioia maligna, per la disgrazia altrui. Anche se Hobbes già la censiva nel “Cittadino”: “Ogni piacere dell’animo e ogni zelo trovano la radice in alcuni nel confronto col quale ci si possa magnificare”.

Storia - La storia, che Napoleone voleva “favola concordata”, è profonda, per questo lenta a scorrere, direbbe Braudel. E concreta, aggiungerebbe Marc Bloch, nonché probabile. Distruggendo i miti e le menzogne, sia pure benevole, di cui essa stessa si compiace: il senso della storia è nemico delle illusioni. La storia non dà scampo all’uomo, la cui unica certezza è la morte, e in questo modo l’eternità si realizza nel tempo. Sarà “impenetrabile, e sommerge la ragione e ogni conoscenza”, come voleva Herder, ma è in realtà l’epifania del sacro: anche la storia profana, delittuosa, è sacra - poiché tutto è sacro, quello che l’uomo pensa. La storia è retorica, è stato anche detto, opus oratorium maxime, giudice dei secoli, serva della morale, nonché della teologia. “La libertà della scrittura è la vera madre della storia”, insiste ovvio Gregorio Leti. E insomma, ecco Valéry, è cattiva maestra. Un enigma sanguinoso e beffardo per il reazionario. O è la Provvidenza. La storia vera, si sa, è segreta. Va con l’intelligenza della vita. Che dev’essere poca.
Il bello di questa storia è che se ne può fare a meno. La storia non c’è, o meglio si dissimula. La storia va e viene, le città nascono e muoiono, i popoli, le culture. Può concepirsi solo a n dimensioni, direbbe Braudel. È la scienza di Epimenide, che dormì per 57 anni. O il lungo sogno di Dio di Scoto Eriugena e il vescovo Berkeley. Che ogni tanto si prende una pausa e lascia fare. Ogni conoscenza è memoria, e dunque lo è ogni novità? Memoria volontaria, quella di Proust, “che è sopratutto una memoria dell’intelligenza e degli occhi, non ci dà del passato che facce senza verità, ma un odore, un sapore ritrovato sì”. Il tempo è rovine, si dice in un racconto di Franco Lucentini. Ma c’è un tempo in cui il tempo non decade? Non un tempo storico – passato, presente, futuro. Ma questo tempo non tempo non può esserci stato, altrimenti non ci sarebbe il tempo. La modernità è assolutamente antica, direbbe Oscar Wilde. Di antico, cioè di stabile - reale - c’è solo quanto è moderno. Anche la tradizione che la modernità inventa, la quale altrimenti non esisterebbe.

Viaggiare - Non si sa perché si viaggia. L’incertezza del “che fai?” è tutta qui: ancora nel Settecento i lenti viaggiatori facevano testamento, prima di mettersi in cammino. Sono rustici i viaggiatori, nel mondo che l’intimità culla, di sguardi, suoni, contatti sommessi, chiusi in se stessi, taciturni. Schopenhauer ne trova il fascino nel piacere di vedere: affascinante è vedere, terribile essere - più superficiale del solito: vedere non è essere?
Non si tratta di andare da qualche parte ma soltanto di uscire, Lévinas lo insegna bene in “De l’évasion”: ci si esprime solo uscendo. In modo non assimilabile al mutamento o alla creazione, no, si esce senza sapere dove si va, tanto “nessuno è in casa propria”. Per il bisogno che, “come il malessere che lo causa, esprime la pienezza dell’essere”. Un bisogno che non è una mancanza, si viaggia per essere. Filosoficamente lo spiega Cusano, il cardinale, col rigore del tedesco dalla nomade natura: “Il moto è la realizzazione della quiete. Muoversi è passare da quiete in quiete”. Muoversi è passare da uno stato a un altro, e dunque “non è altro che quiete ordinata, quiete ordinata in serie”. C’è chi non sta in pace se non si agita.

zeulig@antiit.com

Fisco, appalti, abusi – 8

Si compri una lavastoviglie tedesca, che costa il doppio, perché dura il doppio, così dicono i consumeristi, e invece dura dieci anni. Meno della lavastoviglie italiana. Che costa la metà.

Hanno abolito gli assegni, per le banche erano un costo. Ora aboliscono il contante, che alle banche non rende. L’obbligo di bancomat viene spostato di pochi mesi, ma la nostra quotidianità è ormai “bancaria”: bisogna pagare per ogni spesa.

La libertà di antenna viene estesa all’apparato propriamente detto: il governo apre d’imperio terrazzi e terrazzini al libero usufrutto di tv e telefoni per le loro antenne trasmittenti. Al proprietario solo un diritto di indennizzo. “in base all’effettiva diminuzione del valore del fondo”. Si faceva ai tempi del feudo, anche il feudatario aveva degli obblighi, “effettivi”, cioè arbitrari.

Si obliterano le carte fedeltà, appena diffuse in massa. Il primo ciclo della crisi, fino a un paio d’anni fa, ha visto la moltiplicazione di queste carte, alcune con credito incorporato, che premiavano i consumi. Ora i premi sono scomparsi. Le procedure sono aggrovigliate, qualche carta si fa perfino pagare, e dopo vari giri dell’oca costringe alla resa. gli sconti sono condizionati in modo incontrollabile, i premi irraggiungibili. Un segno della crisi, ma anche un abuso.

Col Telepass l’utente fa un favore a Autostrade: paga all’istante, facendo risparmiare all’esercente un triplo turno di sorveglianti. Ma Autostrade vuole Telepass pagato, in anticipo.

venerdì 14 settembre 2012

Obama come Carter

A novembre del 1980 Teheran festeggiò la vittoria di Reagan, la Teheran di Khomeini. Esultavano gli ayatollah per aver vinto le elezioni americane, al posto del presidente in carica, il democratico Carter, essendo stato eletto il sicuro perdente Reagan. Carter aveva perso, a loro giudizio, per non aver potuto liberare i dipendenti dell’ambasciata a Teheran, 52 persone, rapiti dai “fedeli di Khomeini”: un’incursione militare, con gli elicotteri, era fallita malamente.
Obama ha mandato marines e droni a punire gli assassini dei suoi diplomatici a Bengasi. Non potrà finire come la missione salvataggio di Carter, tanta incapacità è ineguagliabile. Ma difficilmente nelle sette settimane che mancano al voto riuscirà ad “assicurare i responsabili alla giustizia”. È il fattore che potrebbe spostare l’elettorato americano, ora equamente diviso, verso il repubblicano Romney.
Non tutto sarebbe allora oscuro, in questa vicenda di un film blasfemo che non si vede. Che non porterà alla rottura fra i paesi arabi e gli Usa, impossibile. Ma a un presidente meno filoarabo sì, ora è possibile.

Gli Idòla della polemica noiosa

C’è di tutto nelle poche pagine. La “fine senza gloria” del “pensiero bipolare”, e del “bando alle «ideologie»”, nell’ambito di un “Sistema Autoritario Europeo”. Partendo da Altiero Spinelli e finendo, contro Elsa Fornero (“il lavoro non è un diritto”), sul corporativismo, di Fanfani, Concetto Marchesi repubblichino, Ugo Spirito e Camillo Pellizzi (che però non era corporativista). Senza le solide briglie di Paolo Mieli che l’ha lanciato come polemista politico, l’ottimo filologo Canfora dà fuori di matto, si sarebbe detto quando si parlava toscano.
Un’incommestibile raccolta di “luoghi comuni contro luoghi comuni” inaugura gli “Idòla” di Laterza. Un’altra collana inutile, dopo l’estiva “Contromano”? All’insegna dell’incolpevole Bacone. In novanta paginette, a nove euro, stiracchiando uno o due articoli di giornali. Più che gli sudi può dunque il giornalismo. Quello finto, da opinionisti ulcerosi che nessuno legge – una volta c’erano i pensionati, prima di Monti avevano tempo libero.
Luciano Canfora, “È l’Europa che ce lo chiede?” “Falso!” Laterza, pp.92 € 9

A Sud del Sud - l'Italia vista da sotto (143)

Giuseppe Leuzzi

Tra i compagni di cella del patriota Settembrini a Santo Stefano c’erano due calabresi. Uno di settantacinque anni, alto, magro, autore di trentacinque omicidi, che parlava “rado e assennato”. E il brigante Mascariello, canuto ma robusto come un toro, che vantava la vita del bandito, temuto da tutti. In lite coi compagni, si era rifugiato infine da un romito. Qui era stato catturato: non aveva avuto cuore di sparare ai gendarmi. Che lo condussero in paese su un asino, per lui segno di distinzione, e un berretto con la scritta “il famoso Mascariello”. Quando un ergastolano fu ucciso che gli aveva rubato le salsicce si rallegrò “oltremisura”: fece avere acquavite all’omicida e lui steso si ubriacò.

Vengono i pentiti dal diritto inglese? Ci sono nel processo a Wilde, e anzi sono quelli fanno condannare lo scrittore e Alfred Taylor. Prostituti e prosseneti che ne testimoniano le pratiche sodomitiche da “testimoni del regina” – c’era ancora Vittoria. Vengono cioè beneficiati penalmente e anzi mandati liberi perché denunciano correi. Senza dover mutare natura e condizione.

Clamore a Milano per le retate, anche se ormai periodiche, dei “locali” della ‘ndrangheta. Che non sono appartamenti ma persone, rappresentanti di ignote mafie calabresi. Delinquenti forse, ma roba da poco.
Si spara per le strade di Milano per la cocaina. Di cui la città è la più grande consumatrice mondiale pro capite. Con killer super addestrati. In scene da film. Ma non se ne fa sociologia: la cocaina a Milano non esiste. Forse perché non è calabrese?

Manomorta
Si potrebbe riscrivere la storia dell’Italia nell’ottica della manomorta. Del perché l’Italia non ha avuto e non ha una borghesia. Responsabile seppure inutile. Per l’appropriazione a vile prezzo dei beni della chiesa e del popolo da parte della famelica borghesia della nuova Italia. Non propriamente laica.
Nel “Gattopardo” la manomorta è “il patrimonio dei poveri”. Anche nelle “Lettere” di Pasquale Villari del 1862, a ridosso dell’unificazione e dell’applicazione delle leggi eversive: le rendite mantenevano i poveri e i malati bisognosi. Se ne appropria la borghesia, sotto il pretesto dell’anticlericalismo, e ogni sua funzione sociale è cancellata, se non sotto le specie dell’avidità e la corruzione.

Non è Schadenfreude reazionaria. Fu la prima legge dell’Italia unita, l’applicazione delle leggi eversive piemontesi. E fu il primo ministro delle Finanze dell’Italia unita, Pietro Bastogi, a imporre la manomissione. Nel 1861 Bastogi istituì il Gran Libro del debito pubblico, nel quale confluirono i debiti degli Stati preesistenti all’unificazione. Ma non gli attivi, gli immobili, gli arredi, le quadrerie, i terreni, dei principi, e dei principi della chiesa. In dieci anni, dal 1861 al 1871, il Gran Libro registrò un abbondante raddoppio del debito dell’Italia in rapporto al suo prodotto, dal 36 all’80 per cento.
Furono i consigli comunali del Risorgimento, specie al Sud, le borghesie predatorie della manomorta, che hanno regalato il demanio a figli, fratelli, nipoti, cugini, cognati, Giustino Fortunato lo documenta, e alienato gli usi civici inalienabili, per somme simboliche o per niente, bruciando gli archivi perché non ne restasse traccia. A partire dalla riforma antifeudale di Colletta e Scura. Anzi da prima, Augusto Placanica lo prova, dall’eversione illuminista o giuseppinista dei beni ecclesiastici, con la cessione della Cassa Sacra, che aveva nazionalizzato i beni ecclesiastici per la ricostruzione in Calabria dopo il terremoto del 1783, e hanno predato i boschi, per le guerre e per la pace.

Se ne ha una’incarnazione recente negli anni 1930 nell’appropriazione del Bosco d’Italia in Calabria a uso traversine ferroviarie da parte della famiglia Feltrinelli, grandi taglialegna, dei quali consacrò la fortuna – in una coi boschi della Dalmazia.

Autobio
Calabretto è toponimo molto comune in Grecia. Il paese greco Calabretto, Kalàvryta, è di mezza montagna. Ma non un semplice crocevia come ai piedi dell’Aspromonte. È il terminale di una ferrovia di montagna, la Diakopto-Kalàvryta, costruita tra il 1885 e il 1895 da ingegneri italiani. il paese che avvitò il 21 marzo 1821 la guerra d’indipendenza, issando la bandiera greca sul monastero di Agia Lavra, santa Laura. Il paese è ora più famoso per il massacro, analogo a quello di Sant’Anna di Stazzema. Il 13 dicembre 1943, dice il sito, gli occupanti tedeschi vendicarono l’uccisione di 80 dei loro soldati da parte dei partigiani col massacro di tutti i maschi (696, solo 13 sopravvissero) e l’incendio del paese.
Petros Markaris racconta la storia diversamente, alla fine de “La lunga estate del commissario Charitos”: come se, cioè, gli ottanta tedeschi, dapprima prigionieri dei partigiani dell’Elas, il fornte comunista, fossero stati uccisi dopo l’eccidio. I partigiani avevano preso prigionieri ottanta soldati. I tedeschi cercarono un mediatore, minacciando una “rappresaglia spaventosa” se i partigiani non avessero liberato i prigionieri. I partigiani rifiutarono. Il comando tedesco allora spostò a Kalàvryta un battaglione di disciplina Ebersberger, dal nome del comandante. Rinforzato da 300 squadristi greci, degli Squadroni di sicurezza, greci con uniformi tedesche. Mentre 1.500 squadristi circondavano il paese per evitare fughe. Secondo Markaris, i tedeschi del battaglione Ebersberger radunarono gli uomini, gli squadristi greci li uccisero.

Il parroco don Bruno si fa l’esame di coscienza in pubblico: “Ho 3.500 parrocchiani. Indiscutibile, il dato è anagrafico. Di questi 3.500, per mia scienza e coscienza, una cinquantina delinquono, la maggioranza di essi non abitualmente. In più aggiungerei venticinque giovinastri, una classe d’età più che una banda o una platea criminale, di giovani che periodicamente passano per il vandalismo. Ne subiscono il fascino, per l’età, e per l’attenzione carente delle famiglie. Ma a fronte di questa esigua minoranza il popolo non ha voce. La comunità non ha la parola. Ci manca quella comunità di popolo, sostrato di ogni rivoluzione”

“La luna di Napoli è più grande di quella di qua”, andava sostenendo il coscritto in licenza o in congedo, tornato in paese per vie traverse (itinerari sbagliati, treni accelerati, treni perduti), e questa sicurezza gli ha valso il soprannome, Luna ‘e Napoli. Che è sempre spregiativo.

“Per via di Foggia” è invece modo di dire, ma legato anch’esso a qualche coscritto. Rientrato da Napoli dopo alcuni giorni “per via di Foggia”, avendo sbagliato treno. È una storia postunitaria, dato che la coscrizione fu il primo provvedimento sociale dell’unità.
Si va da Napoli a Reggio Calabria direttamente solo da fine Ottocento. Prima bisognava passare però non per “via di Foggia” ma di Metaponto. Si raddoppiava comunque il percorso. Su treni locali, quindi cambiando spesso. Era facile perdersi. Tanto più per gli analfabeti. Molti, con la “bassa” di passaggio in mano, che non sapevano leggere o non si orientavano sugli itinerari, prendevano i treni più diversi. Dopodiché i capotreni dovevano farli avanzare e mai tornare indietro.
Lo stesso “errore” fa Lampedusa nel “Gattopardo”, p. 237 della riedizione di Lanza Tomasi: nel 1883 il principe Salina decide di tornare a Palermo da Napoli, dove è andato con la nave a farsi visitare da un illustre clinico, via terra. E ha una brutta sorpresa: “La linea ferroviaria non era ancora compiuta: nel suo ultimo tratto vicino a Reggio faceva una larga svolta per Metaponto attraverso paesaggi lunari che per scherzo portavano i nomi atletici e voluttuosi di Crotone e di Sibari”.
Nel 1883 la linea ferroviaria Napoli-Reggio non era effettivamente compiuta, ne mancavano lunghi tratti. Anche la “larga svolta” teoricamente c’era, poiché triplica il percorso. Ma Metaponto dista da Reggio come Napoli. Anche l’itinerario è sbagliato, Sibari è tra Metaponto e Crotone, non dopo.

leuzzi@antiit.eu

giovedì 13 settembre 2012

Il sesso ai remainders’

Il titolo è di Wodehouse – il settimo della serie del castello Blandings. Sapendolo, la lettura si alleggerisce. Anche sapendo il nome degli autori. Marco Lombardo Radice, allora ventottenne (morirà di 41 anni), era già direttore del reparto Adolescenti di Neuropsichiatria Infantile della Sapienza – “Porci con le ali” ha anche un sottotitolo ingombrante, “Diario sessuo-politico di due adolescenti”. Lidia Ravera, allora venticinquenne, è scrittrice di vasta bibliografia. Fece scandalo perché il sesso viene visto attraverso gli occhi di due sedicenni. Era un’esercitazione pratica della teoria di Marco Lombardo Radice, che i conflitti, in età giovanile, si possono sciogliere nella “normalità”, quelli derivati da situazioni familiari e sociali.
Malgrado la attenuanti, il racconto mantiene tuttora la carica eversiva di quando uscì, nel settembre del 1976. Più beffarda che umoristica, mono ed eterogamica, saffica, sodomitica, e anche sadomaso. Ma la riedizone negli Oscar è finita ai remainders’. Il sesso non interessa più - – sotto le “sfumature” delle classifiche estive  che altro ci sarà?
“Rocco” e “Antonia”, Porci con le ali

Tassare la povertà

C’è dunque per legge l’obbligo del conto corrente in banca. Mai gratuito – il costo minimo, del Bancoposta, è di 30 euro l’anno (in realtà il doppio). Con una tassa mensile, 35 euro l’anno. Si è ora aggiunta – c’è da tempo ma non ce l’avevano detto - una tassa trimestrale sul possesso di titoli, altri 35 euro. Retroattiva. Titoli di cui non ci si può sbarazzare, essendo mediamente al 50 per cento del valore di carico. Piccole cifre? In effetti, ma fanno subito i milioni dovendosi applicare a tutti i cittadini. Poveri compresi. Tassare la povertà? Non ci aveva pensato nessuno.
Il repertorio più completo delle tasse è sempre di Aristotele. A caso: vendere il demanio (si fece a Bisanzio), vendere la cittadinanza agli immigrati (idem) e ai fuggiaschi, mettere all’asta lo spazio sovrastante le costruzioni abusive che sporgano sulla pubblica via (Ippia di Atene: gli abusivi corsero a comprare a caro prezzo), tassare le scale e i ballatoi sul suolo pubblico e le porte che aprono verso l’esterno (sempre Ippia, che così tassava tutti: le porte si aprivano allora verso l’esterno, dalla parte della strada, prima di aprirle si bussava dall’interno), gli incarichi pubblici e privati (vari), i capelli lunghi (Condalo, luogotenente di Mausolo), i funerali (lo stesso). Lo Stato italiano si è già rifatto a Aristotetele, e Ippia, nella crisi del 1974, tassando “la proiezione sul suolo pubblico di balconi, tende e pensiline, anche se da ciò non deriva alcuna limitazione all’uso dello stesso”, una tassa sull’ombra. Monti ha superato Aristotele.

Le intercettazioni come lettres de cachet

Intercettazioni, indiscrezioni, confidenze, preannunci: c’è una giustizia parallela e anticipata rispetto a quella cosiddetta ordinaria, che corre tra alcuni Procuratori della Repubblica e alcuni giornalisti. Che per questo hanno un importante mercato. Non da ora, da molti anni. C’è un parallelo che questa giustizia definisce nel senso dell’arbitrio e della prepotenza, ed è con le lettres de cachet dell’ancien régime, le lettere d’imperio.
Citiamo naturalmente da Wikipedia, che è il vangelo della verità: “Le lettres de cachet erano lettere firmate dal re di Francia, controfirmate da uno dei suoi ministri e chiuse con il sigillo reale, o cachet. Le lettere contenevano ordini diretti del Re, spesso per forzare azioni arbitrarie e giudizi a cui non si poteva fare appello”. Contro questo o quell’individuo (ci sono carcerazioni a vita imposte dalle lettere sovrane) oppure per imporre decisioni politiche. “In caso di organizzazioni le lettres de cachet venivano emesse allo scopo di prevenirne l'assemblea o per ottenere degli atti ben precisi” dall’assemblea stessa.
Questo secondo caso non sembra ricorrere nelle intercettazioni, all’apparenza. Mentre hanno distrutto a vita dei personaggi, per esempio Lorenzo Necci, o Guido Bertolaso, che non c’entravano nulla, non hanno imposto decisioni politiche. Non sembra. E invece sì. C’è almeno un partito in Parlamento che prospera sulle intercettazioni. Alcuni giornali. E una legge non si può fare sull’abuso delle intercettazioni, nessuna legge.
Un terzo caso contempla Wikipedia: “I benestanti talvolta compravano queste lettres per sbarazzarsi di individui indesiderati”. Non ci sono più i benestanti, ma c’è un mercimonio di queste intercettazioni? Sì, ci sono i potenti, quelli che nominano i capi degli uffici giudiziari. Con questi capi, e i concorrenti.

mercoledì 12 settembre 2012

Ombre - 146

“Il Fatto Quotidiano” si celebra con un festival, come già “l’Unità”. Con concerti ricchi, Antonella Ruggiero, Franco Battiato. Alla Versiliana, la villa che fu di d’Annunzio. A Forte dei Marmi, la città dei ricchi. Contro le caste e i potenti.

I giudici palermitani dello Stato-mafia vanno al “Fatto Quotidiano” senza infingimenti, a parlar male di Napolitano. Senza nemmeno avercela con lui, per incassare la cedola politica.

Il giudice Teresi, segretario palermitano dell’Anm, il sindacato dei giudici, critica le critiche del suo presidente Sabelli a Ingroia. Che dice “episodio di critica affrettata” e “elemento di attacco” a Ingroia, “oggettivamente”.
Teresi, in gioventù protagonista di aspre battaglie a Palmi col giudice Cordova, Pci contro Msi, a base di “ti sei fatto tinteggiare la casa dall’indagato X” contrapposto a “hai il posto barca coi mafiosi”, non si è desovietizzato.

Si dice che il pil è diminuito del 2,6, “ai minimi dal 2009”. Non si dice che nel 2009 il mondo era in crisi, oggi solo l’Italia.

L’onorevole Pecorella, della commissione Antimafia, parla con M.Antonietta Calabrò sul “Corriere della sera” lunedì come se la trattativa Stato-mafia ci fosse stata, e spiega che Forza Italia ne fu l’esito. Il partito di cui è l’eletto.

L’avvocato aggiunge che Dell’Utri andrebbe cacciato dal Parlamento – “chi sia stato anche solo sfiorato dal sospetto”. Mentre fa grandi lodi di Mancino, che non è “sfiorato dal sospetto” ma rinviato a giudizio. Sragiona? No, è uno degli “avvocati di Berlusconi”.
Gli “Avvocati di Berlusconi” farebbero un bel plot, di “terroristi a fattura”, milionaria, molto milanese.

Il Grande Centro si presenta a Chianciano schierando Buttiglione e Pomicino, e chiedendo il governo per un tecnico, Monti. È il Grande Centro delle banche?

Nel 2004 Berlusconi, incalzato da Casini, dovette rimuovere Monti da Bruxelles per fare posto a Buttiglione – che poi si fece cacciare dalla Commissione Ue. Dovette anche nominare Follini, allora casiniano, vicepresidente del consiglio. Com’è che questa gente ha tanta buona stampa, la stampa dell’anticasta?
Compresi Passera e Marcegaglia, che oltre a non avere combinato nulla non hanno un voto.

Il “Fatto Quotidiano” pubblica un goloso siparietto, sotto forma naturalmente d’indiscrezione: Berlusconi che sorridente consiglia Ingroia di darsi alla politica. Ingroia si riserva di confermare. Conferma cioè che è lui a parlare con il giornale. Questi diavoli sembrano da commedia, da piccoli molierismi.

Come scontato, la Ferrari fa di tutto per perdere e Alonso la riporta in cima. Sarà lo spread Spagna-Italia? Costanza contro superficialità: la Ferrari ha da quattro anni sempre lo stesso team che fa di tutto per perdere.

Si sa nella crisi che la Peugeot-Citroën ha avuto quattro miliardi di aiuti pubblici negli ultimi quattro anni, secondo il ministro della Sanità francese Marisol Touraine. Otto negli ultimi otto anni. Senza scandalo per Bruxelles, per il Comissario e l’Autorità alla concorrenza – in questo senso l’asse franco-tedesco funziona.

Sembra impossibile ma la trattativa Stato-Mafia è una faida tra vecchi dc. Enzo Scotti, l’ultimo degli andreottiani, contro Nicola Mancino. Dopo Massimo Ciancimino, erede del vecchio capo Dc Ciancimino, il pilastro dell’accusa è ora Elio Ciolini, un (piccolo) avventuriero asso nella manica vent’anni fa di Scotti.

Che c’entrano in questa faida Ingroia e Messineo, i Procuratori della trattativa? C’entrano. Sono “concorrenti esterni” nell’offensiva casiniana contro Berlusconi.
In Sicilia, Calabria, Campania, Lazio e Lombardia, i giudici “amici” sono mobilitati. Negli anni 1990 gli eredi di Buttiglione si aspettavano la morte di Berlusconi, proprio così, ora ci tentato, anche loro, con i giudici.

Berlusconi si riscopre vivo per apprezzare il riconoscimento di Monti. Che l’ex commissario europeo, peraltro nominato da lui, abbia riconosciuto che il suo partito fa parte del Partito popolare europeo. È proprio ridotto male. Si è fatto perfino interrogare dal Procuratore-che-non-esiste Messineo.

Più si scava a Sant’Apollinare a Roma più si trovano ossa. È inevitabile, le chiese servivano per le sepolture. A che scopo scavare, allora? Per andare sui giornali. Per fare contento l’incontentabile Pietro Orlandi, il fratello, e tenere occupata la Procura antimafia. Che a Roma non ha nient’altro da fare.

Finora ce l’eravamo sentito dire da Berlusconi, e perciò non era credibile. Ora lo dice Buffon, che in Italia uno parla con i giudici e dopo un minuto i giornali sanno tutto, e allora che pensarne? Buffon, nomen omen, personaggio in commedia?

Il mondo com'è - 109

astolfo

Imperialismo – C’è un imperialismo basato sull’antimperialismo. Sull’anticolonialismo e sulle guerre di liberazione, come meglio sui movimenti democratici di piazza – la democrazia delle comunicazioni di massa, caratteristicamente malleabili.
In tutta la decolonizzazione, i trent’anni dopo la guerra, anche quando essa si è fatta con guerre di liberazione che implicavano un’attenzione particolare, se non una presenza, delle potenze comuniste, c’è stata una costante: gli Usa che fanno le scarpe agli alleati europei, gli ex alleati della guerra antinazista rischierati nella Nato contro l’Urss. In Indocina e nel Nord Africa contro la Francia, in Africa contro il Belgio e il Portogallo, a Suez contro la Gran Bretagna.
Per la guerra di Suez, nel 1956, la Bbc elaborò cinque anni dopo una serie radiofonica molto drammatica, sceneggiata da Peter Calvocoressi, in cui la sostituzione affiorava prepotente dalle voci, dai toni e le cadenze prima che dalle cose dette. Le voci di Dayan e Bidault s’intrecciavano a sbugiardare sonore Eden, tutto naso. Giocata sul tempo reale, le aristoteliche unità di tempo, luogo e azione, la trasmissione, che la Bbc ha in archivio, dà immediato il senso delle storia: l’America che si sostituisce all’Europa, scalzandola da sinistra, l’imperialismo basato sull’antimperialismo.

È stato un fardello, aveva ragione Kipling. E “una tigre di carta”, aveva ragione Mao. I conti del professor P.T.Bauer alla London School of Economics hanno documentato quarant’anni fa che le partite correnti delle potenze coloniali con le colonie e i territori dipendenti sono sempre negativi: spendevano di più di quanto riuscivano a recuperare. Era una partita politica a senso economico, oltre che etico, negativo.
Per non dire dell’imperialismo italiano, che, pur straccione, fu tutto spese suntuarie, palazzi, piazze, viali, marine, qualche scuola, qualche ospedale, e niente profitto. Giusto per divertirsi buttando i li-bici dall’aereo, o cacciare gli abissini nei boschi con le bombe incendiarie. L’imperialismo è un problema che è anche la soluzione.

La Gran Bretagna sa di aver guadagnato in America molto di più dopo l’indipendenza degli States, senza più obblighi di spesa. L’imperialismo è anticapitalista. Quello predatorio di Lenin, dei prestatori di denaro, dell’oppio imposto alla Cina, dei mercanti di spezie, e quello delle potenze. O quello di emigrazione, per la voglia comune di disertare casa e famiglia. Di fottersi le indigene, e di ergersi, cafoni sgorbi, a gentiluomini di campagna. Il primo imperialista è Robinson Crusoe, l’europeo che si crea un feudo in un’isola lontana.
Non è mai stato neppure potente, per quanto feroce. E sempre è stato sconfitto. In Vietnam a caro prezzo, col semplice digiuno in India. I movimenti di liberazione africani hanno vinto scalzi l’Italia, la Francia, la Gran Bretagna e il Portogallo. Il privilegio dell’imperialismo, nel jingoismo, il destino manifesto, il fardello dell’uomo bianco, la grandeur, la Grande Proletaria, oggi nella democrazia, è di conquistarsi con queste sciocchezze il plauso delle masse. Mentre è stato, per la politica e l’economia, autodistruttivo, spendendo più di quanto ricava, nei conti di Bauer e successivamente – oggi nelle guerre di liberazione che combattiamo in Afghanistan, Iraq e altrove. Le spezie, le materie prime, il lavoro gratuito o a poco prezzo sono sempre stati ragioni posticce.

L’imperialismo delle potenze, superbamente idiota, ha costruito il Medio Oriente per lo spasso degli agenti inglesi. E ha sovrammesso degli Stati agli odi ancestrali, ripescando la tribù dal disarmo: “Gli europei erano convinti che gli africani appartenessero alle tribù”, spiega Iliffe con dovizia ne “L’invenzione della tradizione”, “gli africani costruirono le tribù cui appartenere”.

Islam – In Arabia Saudita, dove la prima scuola per le bambine fu aperta nel 1973 dall’illuminato re Feisal, che per questo pagherà con la vita, con insegnanti ciechi, c’è almeno una regista di cinema, Haifaa el Mansur. Un suo film, “Wadjida”, è stato presentato a Venezia. Su una ragazzina ribelle. In un mondo dove la segregazione femminile può essere una scelta.

Manomorta – Con le leggi eversive del 1848, Umberto Eco fa spiegare al suo doppio abominevole Simone Simonini nel “Cimitero di Praga”, Carlo Alberto si prese i beni dei gesuiti, e anche dei “gesuitanti”: gli oblati di san Calo e di Maria Santissima, i liguoristi. Dei preti attivi nella società. Nonché degli ordini contemplanti mendicanti e contemplativi – gli ordini fanno uno dei formidabili repertori di cui Eco si compiace, che sembrano inventai e invece sono veri: canonici lateranensi, canonici regolari di sant’Egidio, carmelitani calzati e scalzi, certosini, benedettini cassinesi, cistercensi, olivetani, minimi, minori conventuali, minori dell’osservanza, minori riformati, minori cappuccini, oblati di santa Maria, di nuovo, passionisti, domenicani, mercedari, servi di Maria, padri dell’Oratorio, e poi clarisse, crocifisse, celestine o turchine, e battistine.
Non c’era allora la protezione della biodiversità.

È la borghesia famelica della manomorta all’origine del deficit di legittimità dell’Italia unita? O dell’Italia, si può dire, giacché la Repubblica, per quanto cattolica e democristiana, non ha saputo fare la vera semplice storia dell’unità. Le leggi eversive non tralasciarono nulla, case, palazzi, opere d’arte, arredi, argenti, i banchi e le campane delle chiese, i libri, i mobili, con i terreni naturalmente.
La vendita si fece, questo è certo, senza beneficio per lo Stato. Grazie alle arti di Pietro Bastogi, gra massone e primo ministro delle Finanze dell’Italia unita. Nel 1861 Bastogi istituì il Gran Libro del debito pubblico, nel quale confluirono i debiti degli Stati preesistenti all’unificazione. Ma non gli attivi, gli immobili, gli arredi, le quadrerie, i terreni, dei principi, e dei principi della chiesa. In dieci anni, dal 1861 al 1871, il Gran Libro registrò un abbondante raddoppio del debito dell’Italia in rapporto al suo prodotto, dal 36 all’80 per cento.

Nazionalismo – Già avido di guerre, da qualche tempo si nutre di partite di calcio. È il caso della Spagna, che, in crisi profonda da tutti i punti di vista, economica e perfino nazionale, regge grazie alla indiscussa qualità delle sue squadre di calcio. La vittoria della Francia di Zidane “tricolore e multicolore” al Mondiale di calcio del 1998 smontò l’onda ricorrente del minuto razzismo francese. Analogo effetto ebbe in Italia la vittoria del 1982 al Mondiale di Spagna: per qualche settimana le città furono più ordinate, e un’ondata di proficuo ottimismo si riverberò sugli anni successivi, perfino sulle attività di governo – gli anni 1980 furono una parentesi nell’ordinato-disordine itaiano.

Televisione – Ne resta poco dopo la pubblicità. La sua unica “natura” è l’occupazione delle frequenze (i ripetitori). Per il resto è pubblicità. Si dice dei “contenuti”, della tv e dei videotelefoni, come di un’industria. Ma anche i “contenuti” (sceneggiati, format, film, e compresa l’informazione) sono pubblicità: è la pubblicità che decide tipologie e linguaggi dei programmi, la programmazione, la presentazione e, indirettamente, il gradimento del pubblico (la pubblicità “forma” i gusti del pubblico, li doma, li trasforma, li adatta).

Si fa una grande differenza tra quella generalista e quella a pagamento. Mentre è tutta uguale, la differenza è che una si paga, caro.
La differenza la fanno i comunicatori (esperti vari, sociologi della comunicazione, giornalisti) perché la tv a pagamento ha più mezzi e fa più pubblicità attiva. Compresi i compensi degli esperti. Ma i programmi non sono diversi, né i tempi di programmazione.
La pubblicità sancisce questa realtà. Il pubblico della tv a pagamento si presume più “selezionato”, cioè con più capacità di spesa, e per questo la pubblicità dovrebbe costare più cara. Ma s’indirizza a un pubblico che è necessariamente una quota piccola di quello generalista (della tv gratuita), e quindi è una pubblicità che paga (costa) poco. Per questo anche la tv a pagamento ne fa molta, proprio come le reti generaliste meno seguite.

astolfo@antiit.eu

martedì 11 settembre 2012

Problemi di base - 115

spock

Dice il governo che con la giustizia ci cresce il pil. E con Ingroia?

Giustizia, ma di che stiamo parlando?

Un Grande Centro, ingombrante cioè?

È il governo del recupero crediti, dice Grillo di Monti: è falso?

Ma le banche, sono creditrici o non ci debbono qualcosa?

Perché a Venezia non hanno dato un premio a Bellocchio, lamenta Napolitano: dovevano darglielo?

Com’era il mondo, la rappresentazione del mondo, prima del cinema, il mondo di ombre?

O era di ombre già al tempo di Platone, e il cinema non ha inventato nulla?

spock@antiit.eu

Il giallo etnico

Markaris come il suo maestro Camilleri beneficia della malia che le rispettive aree di appartenenza esercitano, la Grecia e la Sicilia. Che sopravanza le rispettive disgrazie, la crisi e le mafie, e anzi vi si acuisce. Entrambi da ex comunisti, ma Markaris con una bio vera: “Siamo una generazione che è partita da sinistra ed è finita stronza”. Lui armeno di Istanbul, educato a Vienna e Stoccarda, greco per scelta, nel 1964, a quasi trent’anni. Uno che vive la sua realtà, i media, non da lottizzato cioè. E questo si vede: Markaris ha una singolare capacità, a differenza del conformista Camilleri, di “narrare” l’attualità. Qui la stiracchia al doppio della lunghezza “regolare” del genere, e non stufa.
L’analisi del momento è sempre concisa e precisa. “La Grecia è una repubblica governata da tre famiglie reali”, Karamanlìs, Panpandrèou e Mitotàkis. Nel 2005 c’erano già in Grecia i tedeschi, che poi si impadroniranno del paese, 'nata vota. Prendono in affitto le case per le vacanze, pagando in anticipo e bene. E così la Grecia vive “di affitti e prestiti”, all’epoca “dei pagamenti rateali e della carte di credito”. Atene è il suo traffico.
La vicenda è di terrorismo. Della sola azione che Al Qaeda non ha fatto, per mare, dopo l’aria (Torri Gemelle), la terra (stazione Atocha) e il sottoterra (metropolitana di Londra). E di pubblicità tv, il business della pubblicità.
Petros Markaris, La lunga estate calda del commissario Charitos, Bompiani Tascabili, pp. 375 € 5

I giudici allegri

Dunque, i giudici Ingroia e Di Matteo hanno lasciato Palermo e la loro diuturna guerra alla mafia, nella quale ancora non sono riusciti a catturare nessuno, e vanno per i cinquant'anni, per un tour al Nord alle feste politiche.
Non sono andati da Casini a Chianciano ma a quella del Pd e del “Fatto Quotidiano” sì. Nella prima il giudice Ingroia ha “confermato” la “rivelazione” del “Fatto Quotidiano”, che Berlusconi, da lui interrogato penalmente qualche giorno prima, lo ha incitato a entrare in politica. Ha confermato cioè che è lui che da Palermo parla col giornale, ma pazienza: la festa era del Pd e comunque di Berlusconi si può ridere. L’Anm, il sindacato dei giudici, e per esso il segretario, il democratico Rocco Sabelli, della democratica Procura di Roma, hanno glissato. Poi Ingroia è andato alla festa del “Fatto”, che è stata una sagra anti-Napolitano. Sabelli allora ha emesso un comunicato: “Ingroia fa politica”. Perché, prima cosa faceva (il soggetto è Ingroia o Sabelli, a scelta, o tutt’e due)?
Il fatto è severamente giudicato dal “Corriere della sera”, il giornale dei benpensanti. Che in un commento di Bianconi scagiona Ingroia e irride Sabelli. Il “Corriere della sera”, allora, e i giudici palermitani in favore dello scandalismo? Sì. E i benpensanti? Si suppone pure.

I giudici in conflitto come Berlusconi

Dieci anni, fa giorno per giorno:
“Il conflitto d’interesse di Berlusconi rispecchia quello dei magistrati, che vogliono essere accusatori e giudici. È con la stessa acribia dei magistrati che Berlusconi difende la doppia posizione, di capo del governo e del maggiore gruppo dei media: “Sono io il garante dell’autonomia”, l’eletto del popolo, di Dio. E anche: “L’autonomia si garantisce meglio se ho la doppia funzione”. È ridicolo? Ma i giudici più dell’imprenditore, che deve avere un ego spropositato”.

Le Mani Pulite di Andreotti

Vent’anni fa, giorno per giorno:
“Dunque solo Andreotti, nel pentapartito, è risparmiato da Mani Pulite. Lui e i suoi – a parte Pomicino, ma quella di Pomicino è una faida napoletana. Incongruamente, anche in maniera vistosa, essendo egli il dominus incontestato di tutti i traffici romani, comprese le tangenti, le manomissioni palaziali, e le protezioni giudiziarie (preavvisi, insabbiamenti), quindi il più corrotto, anche se non prende soldi. Specie nel tangentone Enimont, gestito in prima persona col fedelissimo Franco Piga, e con gli ufficiali pagatori, tutti “romani”.
“È lui il fornitore, surrettizio naturalmente, indiretto, degli indizi, delle prove-non-prove, degli oggetti di reato? È la sua cifra politica, da quando esordì nella politica nazionale nel 1968 alfiere della destra, con le carte allo “Specchio” contro i socialisti, e all’“Espresso” contro la destra di Antonio Segni. E sei anni dopo contro il generale Miceli, cioè contro Moro, per indurlo a patti sul compromesso storico.
“Si vendica per non essere stato eletto dal pentapartito, che gli aveva preferito Forlani, alla presidenza della Repubblica? Questo spiegherebbe perché dalla carte della corruzione siano scomparsi anche i comunisti: Andretti-Mani Pulite si vendica di chi non l’ha candidato. Di Pietro è, per quello che se ne sa e per quello che non se ne sa, tipicamente il suo uomo. E Borrelli?
“Altri comprimari romani, cioè andreottiani, del tangentone Enimont: l’inafferrabile Garofano, succeduto al demitiano Schimberni, Paolo Cirino Pomicino, il simpaticone Luigi Bisignani, la traccia più evidente, e molto probabilmente lo stesso Guido Carli. Andreottiana anche la sfida, e il fronte avverso che essa mette in piazza: Craxi e i suoi, antipatizzanti da sempre, i Ferruzzi-Gardini, irriducibili, il fronte Mediobanca, minacciato ma non affondato, che opportunamente si defila, e nella Fiat Romiti, con l’aiuto dell’“andreottiano” Umberto Agnelli.
“E dire che a Andreotti minacciava di andargli male. Anzi gli era andata male, dopo i trionfi contro il “compromesso storico”, culminati nel 1979 con la storica sconfitta di Berlinguer, la prima subita dal Pci nella storia della Repubblica. Alle elezioni di aprile ha beccato anche lui, pesantemente, bastava dargli una spintarella. A meno che non abbia una forza recondita. Una forza reale, non i Lima, i Vitalone, gli Sbardella, i Pomicino, gli Evangelisti, i Bisignani, tutta gente d’ordine”.

lunedì 10 settembre 2012

Rinvio alla Corte Costituzionale tedesca

La decisione favorita dalla Corte Costituzionale tedesca mercoledì sull’euro sarà un rinvio. La motivazione ancora non si sa, ma l’umore prevalente tra i giudici è questo. Per non saper che fare. Ma alla fine per aumentare l’incertezza, l’unica politica tedesca riconoscibile.
L’euro appeso a una Corte Costituzionale sarà l’emblema della totale indigenza tedesca. Indigenza politica. Appeso ai ricorsi che si succedono di questo o quel deputato per prevenire in realtà una decisione, cioè per dilazionarla, col solo fine di mantenere l’incertezza, favorendo la speculazione. Può darsi che questo o quel deputato sia corrotto, ma è la Germania – il governo – che nell’attesa non decide. Avendo già prolungato di un anno l’incertezza per un parere di una commissione parlamentare al Bilancio. La strumentalità è evidente.
L’euro appeso ai tribunali è comunque una non moneta. Volendo astrarre dai fatti, dalle cose come avvengono realmente tra finanzieri furbi e deputati corrotti, non c’è futuro in una moneta che dei tribunali debbano decidere di volta in volta come deve funzionare. Tra ritardi, rinvii, ripensamenti, come è possibile avvenga mercoledì. “Dall’una parte e dall’altra” è un atteggiamento mentale tedesco che G. Grass depreca. Ma è normale per qualsiasi decisione collegiale e “politica”.

L’asse inclinato con Parigi, o lo spogliarello tedesco

La Francia dopo l’Italia, dice George Soros nel saggio “The Tragedy of the European Union and How to Resolve It” sulla “New York Review of Books” - che “Lettura” ha anticipato ieri, col titolo “Ultimatum a Berlino”. Completato a fine luglio e confermato dagli eventi successivi, specifica Soros in una nota. La Francia beneficia della tripla A tedesca, ma non ha nessuna ragione propria per avere una valutazione del proprio debito pubblico e della propria economia migliori di quelle che affardellano l’Italia. Non ci vorrà molto, aggiunge Soros, perché la Germania si liberi di questa zavorra. In un gioco al massacro, peraltro, che vedrà tutti gli europei perdenti.
Un domino inevitabile. La Germania si è intrappolata in un assurdo revanscismo antieuropeo, come se l’Europa fosse lì per derubarla e non l’avesse fatta invece e la faccia ricca. O meglio, poiché non è un gioco aggressivo ma l’esito di un’incapacità, più che un domino uno spogliarello, che lascia scoperte nudità non esilaranti: disoccupazione e povertà.
L’unica ragione che Soros trova alla crisi europea è il vantaggio comparato che la Germania ne trae, a spese dei partner-concorrenti nell’eurozona. Che però non potrà essere a tempo indefinito. Fino a ieri “la rottura dell’euro era impensabile. Le attività e le passività denominate nella moneta comune erano talmente compenetrate che una rottura avrebbe portato a un collasso incontrollato”. Ora è già diverso: “Con l’avanzare della crisi il sistema finanziario si è progressivamente riorientato su base nazionale. Se la tendenza continua, la disgregazione dell’euro sarà possibile”. Senza un collasso totale, ma la disgregazione lascerà alle banche centrali dei Paesi creditori pagamenti difficilmente esigibili dalle banche centrali dei Paesi indebitati. Un credito, si può dire, da famoso debito egiziano, che si ristruttura da quasi un secolo.
La Germania, cioè, non può pensare di veleggiare impune nel mentre che impone al resto dell’Europa politiche deflazionistiche e anzi recessive. Queste sono sciocchezze da vecchio nazionalismo. Da cui la Germania è sicuramente vaccinata ma non, a quel che sembra, i suoi governanti, bavaresi o sassoni.

Se il corpo è l’anima

Michela Marzano, che ha debuttato dieci anni fa a Napoli con “Norme e natura: una genealogia del corpo umano”, rinforzato tre anni dopo da “Straniero nel corpo”, ora filosofa a Parigi, fa qui il punto della sua riflessione originale. Con pezze d’appoggio prevalentemente letterarie e antropologiche, il corpo è un concetto filosofico da costruire.
Da molte filosofie e religioni ritenuto una prigione dell’anima, checché l’anima voglia dire, il corpo è però un fatto. “Il” fatto, concluderà Marzano: “Il corpo è il nostro destino”. Non nel senso che siamo predestianti, ma come dato: “Ciascuno è il corpo che ha, ciascuno ha il corpo che è”. Dopo un percorso accidentato, attraverso l’uomo macchina, il corpo liberato di Nietzsche, la malattia, il trapianto, il Dna, i generi, il corpo-cosa dei lager, il corpo senz’anima di Sade, e l’uomo neuronale.
Michela Marzano, La filosofia del corpo, Il Nuovo Melangolo, pp. 106 € 11,70

domenica 9 settembre 2012

La prigione fa bene alla letteratura

Un testo eccezionale, tanto è elegante, brioso, ritmato. Su un’idea brillante: gli “scrittori in catene”, in guerra e in pace (dal Settecento a oggi). Alla sommatoria una disgrazia produttiva: la prigione fa bene alla letteratura. Una galleria di ritratti sfolgoranti. Anche quando i personaggi sono dimenticati: Lacenaire, rivoluzionario del 1830 deluso, assassino per rivalsa, o Libri Carrucci della Sommaia, professore a vent’anni di fisica matematica a Pisa, ladro per un vita in Francia d’incunabili e libri preziosi che rivende in Inghilterra, sposo dell’innamorata da cui Mérimée era fuggito in Spagna.
Galateria ha censito 43 storie, ma l’aneddotica sembra inesauribile, maneggiata com’è con effervescenza. Proust, che non è in elenco, evitava la prigione nelle retate professandosi rentier, un signore. Mentre Céline, scarcerato in Danimarca, nudo al sole su una spiaggia, si mostra circonciso.
Un testo editato alla sanfasò - sarà la crisi, quando l’impegno si fa minimo. A ogni pagina, quasi – Céline, poi, naviga tra prigioni di genere doppiamente diverso: a p. 12 sta in “un carcere danese pulito come un albergo di lusso”, mentre a p. 261 “le carceri danesi non erano alberghi di lusso come si è detto”. Ma senza danni.
Daria Galateria, Scritti galeotti, Sellerio, pp. 306 € 14

La scomparsa della Consob

La Procura di Milano, si sa, è inesistente per gli affari dell’establishment - che a Milano è tutti quanti, eccetto Berlusconi. Ma la settimana scorsa è scomparsa anche la Consob. Succedono cose in Borsa che nemmeno nel Terzo Mondo più sguaiato.
Per una settimana Rcs è salita, la società proprietaria del “Corriere della sera”, a balzi del 20 e del 30 per cento. Poi giovedì e venerdì s’è sgonfiata. La banca Monte dei Paschi di Siena rimbalza ogni giorno del dieci e venti per cento sul niente, su “notizie” senza autore. Sulla cordata Camfin-Pirelli-Prelios, che ha cinque o sei titoli quotati, un certo Malacalza di Genova pubblica attraverso Indymedia da un paio di mesi documenti riservati. Col fine non celato di specularci sopra. La Consob è in vacanza?
Tronchetti Provera, il padrone di Camfin e Pirelli, fa parte di Milano, dell’establishment. Ma neppure lui riesce a smuovere l’indifferenza delle Autorità di controllo. Ha presentato in Procura due denunce penali, di cui una un mese fa. Senza effetto.

Cofferati come Berlusconi

Giorno per giorno, dieci anni fa:
“Cofferati che stringe le mani a Genova, a Bologna, a tutti i festival di tutte le sinistre, escluso solo Mastella, si propone come il modello Lula. Ma il momento del leader sindacale brasiliano è arrivato dopo vent’anni di tentativi. Il modelo inconscio di Cofferati è invece Berlusconi, del “veni,vidi, vici”.
“Solo che questo Berlusconi è quello della macchietta. Mentre il vero è uno che sa cosa sta facendo e può fare, un calcolatore. Fa sondaggi, commissiona ricerche di mercato, e ha profittato della scoperta semplice che c’era un grosso vuoto politico da riempire. Cofferati non è una macchietta, ma si comporta come se. In uno schieramento super presidiato, da partiti e leader”.

Berlusconi beato

Giorno per giorno, dieci anni fa:
“Non pioveva in Sicilia. “Ci penso io”, ha detto Berlusconi, e ha piovuto furiosamente. Le sue aziende erano indebitatissime e ora sono floride. Ha ereditato conti nazionali pieni di buchi ed è riuscito a tapparli. Senza mettere ticket, senza aumentare le tasse, e dando un milione ai pensionati. È riuscito perfino a far cantare “Fratelli d’Italia”, o che cos’era, ai “comunisti”….
“Berlusconi è decisamente sulla strada della beatificazione, i miracoli li ha già fatti. Primo fra tutti, in un Paese che ha un senso forsennato del ridicolo, di riuscire a scapolarla”.