Cerca nel blog

sabato 18 agosto 2012

Il mondo com'è - 106

astolfo

Egitto - Il presidente Morsi che silura il generale Tantawi, custode della tradizione nasseriana, per metterci Sisi, il generale che ordinò di far passate il test di verginità alle donne se manifestavano in piazza, che rivoluzione è, che democrazia? Perché è stato votato? Da chi, come?
Gli Stati Uniti vogliono che si instauri il voto libero come fondamento della democrazia – con eccezioni, per esempio in Turchia, ma all’epoca della guerra fredda. È giusto, non c’è democrazia senza voto libero. Ma il voto libero non sempre è prodromo di democrazia: in molti paesi islamici è la via a regimi islamici, non liberi, e ultimamente a divisioni radicali tra diverse confessioni islamiche.

Seguirà l’Egitto la traccia dell’Algeria, che si oppose all’islamismo e lo ha riportato alla cornice costituzionale, con la violenza? No, l’Egitto non è militante, è un popolo di contadini e non di nomadi e corsari – Algeri era anche, è, un dipartimento francese d’oltremare. No, finirà come l’Iran con Khomeini. Messo in trono dall’Occidente come stabilizzatore democratico, che l’Iran ha portato alla povertà e all’odio del mondo. A partire dalla minoranza cristiana, che in Egitto è il 18-20 per cento della popolazione.

Europa – È una legnosa burocrazia. Che si governa con gli “aiuti” – politiche centralistiche. Formalmente di equilibrio, e quasi di giustizia nazionale – di redistribuzione. Di fatto sempre come un piccolo tribunale di merito – incerto, inaffidabile. Che nella terminologia politica sarebbe corretto dire “sovietico”: dirigistico, di sottogoverno.

Imperialismo – Jovanotti, volendosi da qualche tempo riqualificare a sinistra, non perde occasione, e invita su “Repubblica” alla resistenza. I suoi concerti, dice, sono “l’unica resistenza che possiamo fare”. Lo dice anche alla vigilia del trasferimento negli Usa. Dove si fa più resistenza? Ma è indubbio che gli Usa, la potenza oggi imperiale, siano foco,lare, se non focolaio, di libertà.
L’imperialismo non ha mai avuto una funzione retrograda, esclusivamente negativa, come ora che si vuole liberatore e “giusto” (in guerre umanitarie, guerre giuste, guerre per i diritti civili) Nel mondo arabo e islamico in particolare, a cominciare dal Pakistan e dall’Afghanistan, dove ha voluto negli anni 1970 un islam militate, da usare come barriera contro il comunismo sovietico. E in Iran a conclusione della decade – l’imperialismo americano va veloce – giudicando Khomeini un baluardo più saldo dello scià contro l’Urss. E infine con la scelta filosalafita e sunnita che tanti lutti ha portato in Libano, alla prova generale, e poi in Algeria (tentativo fallito), in Iraq e ora di nuovo in Afghanistan e in Siria. Senza opposizione da parte di Israele. Solo perché questo islamismo è quello saudita, e quindi “americano”?

L’America è un buon padrone. Gli imperatori legittimi sono cattivi, nota Machiavelli, quelli d’adozione buoni. Lo stesso per gli scrittori secondo Jean Paul: “Ciò che un autore ruba è molto migliore di ciò che scrive lui stesso”. Imperialista fu l’ottimo Virgilio: “Tu regere imperio populos”, ingiunge a Roma nell’“Eneide”. E anche ora che è di marca Usa: l’imperialismo rispetta le forme. È corretto e perfino liberatorio, rispetto a ogni altro impero, in Europa, Cina, India, in Sud America, fra le dissolute tribù africane, i razzismi tribali, le tradizioni marce. Non ha imposto la vera religione, per esempio, lasciando crescere l’islam.

Anche l’imperialismo proletario, o straccione (la grande proletaria di Pascoli, etc.) ebbe una forte presa. Illusoria, ma duratura. Tra i palestinesi e in Afghanistan fino agli anni 1970 – in Afghanistan con Daud, il mussoliniano che volle il regime sovietico, fratello energico del conciliante re Zaher.

Sempre l’imperialismo moderno si vuole liberatore, dal giogo turco, lo scià di Persia, l’imperatore della Cina, le razzie, la schiavitù.

L’imperialismo segue all’impero, lo disse il Duce ma è vero. E non gli sopravvive.

L’imperialismo come opportunità. C’è anche questo: per il giovane di Rodi che nel Dodecaneso faceva il militare all’arsenale di Venezia, o il tirolese il fante a Roma, per il fellah curato nell’ospedale cristiano a Beirut. Il nazionalismo è naturale, come il diritto alla casa, è parte della personalità, la legge lo protegge. Ma è solo una forma di possesso. La libertà va con l’impero: l’orizzonte è largo, si impara, si gode, si guadagna di più.

Italia – Ranieri Polese trova l’altra domenica nella “Lettura” molto made in Italy negli anni 1950 in Inghilterra, per esempio in “Dalla Russia con amore” di Ian Fleming: la Beretta, la Vespa, la Lambretta, Annigoni, il “Corriere della sera” e il Martini Dry. Ce n’era molta di più prima, per esempio in Jemaes Hadley Chase, e nei thriller di Eric Ambler. Oggi non c’è molta Italia nei romanzi inglese o americani - c'è in abbondanza in Michael Dibdin, che però non ha molta fortuna. C’è spesso nei testi germanici (tedeschi, austriaci, svizzeri) – se non sono adattamenti in traduzione.

La ricerca storica torna alle radici, dopo aver latitato per un cinquantennio nella sociologia politica, quando non nelle grosse deformazioni del’opportunità polemica. Oggi per esempio “si fa” l’unità d’Italia, si analizza, si interpreta. Dopo centocinquant’anni di patriottismo incondizionato. Effetto del leghismo. È anche il nuovo meridionalismo.

Opinione pubblica - Conrad, “L’agente segreto”, ha “lo strano fenomeno emotivo chiamato opinione pubblica”.

Religione – La politica non ne può fare a meno, e la rivoluzione. Non c’è rivoluzione senza religione, ha sostenuto Alberoni, lo studioso dello statu nascenti. Non da solo. L’‘89, la rivoluzione borghese, fu sempre a rischio perché antireligiosa: isolata dalle rivolte anteriori, talora antichiesastiche ma religiose, Marx lo spiega, e Quinet. Anche se la leggenda nera antispagnola antigesuita, delle logge, i lumi e l’assolutismo, di Marnix, e Giuseppe II prima, e poi di Bismarck e il liceo zarista a Pietroburgo, fece testo tra gli stessi credenti. Che le religioni siano uguali è un sofisma, trova il laico Quinet. La Riforma fu poi derubricata a religione laica, mentre non apporta salvezza, neanche agli affari.
Sbaglia Montesquieu, cui risale l’errore: la religione non si uniforma alla politica. Ha ragione Quinet, uno storico sospeso dall’anticlericale Collège de France per eccesso di anticlericalismo, con Constant e Tocquevile: “Ovunque, sotto tutti i regimi politici, la religione è la legge delle leggi, sulla quale le altre si ordinano”. È stata l’unica libertà fino alla Magna Charta, l’antica libertà romana di culto, un analfabeta lo sa, ed è su di essa che i diritti si sono innestati, di coscienza, espressione, associazione, congregazione, stampa.
Montesquieu fece la religione accessoria: più la religione è severa più le leggi sono lassiste, dice, e il fatalismo trae dal dogma, il libero arbitrio dal codice. Ma la sostanza è la stessa, della religione e la vita civile. L’Inghilterra si ordina nel Seicento sulla chiesa episcopale, aristocratica, nota Quinet, gli Usa su quella presbiteriana, ugualitaria. L’Italia si ordina sulla democrazia plebiscitaria e anarcoide dell’ecclesìa.

Può essere questa un’altra forma del tribalismo. Bologna si governava bene col papa, o Siena, e Ancona, che rivaleggiava con Amsterdam, pure in libertà. Mentre gli americani sono democratici come gli inglesi, gelosamente uguali fra loro spietati fuori, ai giapponesi hanno spianato pure il cervello.

È sempre stata un cardine dell’impero americano. Nel secondo dopoguerra in Europa, e poi nel mondo islamico. In Europa gli Usa hanno scelto e rafforzato i partiti democristiani. Nel mondo islamico propongono il sunnismo, col sostegno saudita, in antitesi allo sciismo iraniano.

astolfo@antiit.eu

Provenzano lo sbirro

Quindici anni fa si poteva già capire di non avere capito, se se ne poteva scrivere:
“Riina consegnato (sacrificato) dalla mafia? Lui non l’ammetterà mai, perché lui è il capo dei capi. Ma è personaggio da “traditori di tutti”, è l’ipotesi più probabile. Con essa infatti tutto combacia. 1) Dopo di lui sembra non ci sia più mafia, e invece tutto continua come prima, solo che i suoi sostituti, i suoi giuda?, hanno un mercato garantito. 2) L’uomo era pericoloso per la mafia, col suo disegno di assecondare l’antimafia, Leoluca Orlando e il Pci: assassinio di Lima, assassinio di Falcone, assassinio di Borsellino, stragi a Firenze, Milano e altrove in Italia, patti con Sica, Orlando, Violante. 3) Con Rina sono finiti gli arresti dei capi mafiosi, Provenzano fa figura di imprendibile. È finita anche la collusione mafia-politica. È finita ogni emergenza mafiosa.
“Col comizietto a Reggio Calabria contro «i comunisti» (cioè: «Questi sono i nuovi nemici»), Riina mostra di non avere cambiato. La mafia invece vuole silenzio.
“Non gli hanno fatto fuori la moglie e i figli. Ma la moglie è sorella di Provenzano.
“I siciliani hanno finito per seguire l’esempio dei Mammoliti di Cstellace-Gioia Tauro in Calabria. Che hanno accusato i mafiosi di Rosarno insieme con i socialisti (l’onorevole “antimafia” Frasca), assicurandosi l’impunità e il mercato.
“Riina pensava di fare con le bombe nel continente il pendant di Mani Pulite. Ma la logica moralistica di Mani Pulite aveva bisogno di una vittima eccellente, e quindi si è applicata contro di lui”.

venerdì 17 agosto 2012

Problemi di base - 112

spock

Se lo sport è sudore, che sport è?

È la pubblicità che porta soldi allo sport, o lo sport alla pubblicità?

Troppa stupidità a Taranto per essere vera?

Perché Italiano è un cognome del Sud?

Perché s’incontrano girando per il Sud tanti mafiosi a piede libero?

Perché pretendere la democrazia nei paesi islamici con le forze islamiche?

Perché leggere i giornali?

Si parla tanto su internet, ma c’è qualcuno che ascolta?

spock@antiit.eu

L’aiuto allo sviluppo

L’operatore umanitario
Soprattutto s’impegna
Nel viaggio a Timbuctù
Pagato dalla Onlus
Sui fondi degli aiuti
Allo sviluppo
Del Terzo mondo
L’ignoto a penetrare
Con l’aereo pressurizzato
Di cui conversare
Con gli amici al bar
E la civiltà a portare
Tra i negri sventurati
A dieta iperproteica,
O sono palestrati?
È opera buona
L’aiuto allo sviluppo
Per l’operatore.

La sinistra stepanoviciana

Perché la lotta all’affarismo si è fermata a Previti dieci anni fa appariva chiaro:
“Se Previti, lombrosianamente, è colpevole (brutto e calabrese), non meglio si presentano le accusatrici: Boccassini, che voleva incastrarlo con la moglie di Vespa, e le giudici. Ma la miseria della magistratura è il meno, nell’affaire Previti, anche se contribuisce non poco allo straripare della destra. Peggio, volendosi muovere a sinistra, è la miseria morale degli ex Pci, Violante, Arlacchi, Folena, Brutti, dei neo comunisti, come Furio Colombo, l’uomo che vendeva le mine Fiat-Valsella all’America, e dei cattolici (ex?) Castagnetti, Orlando, Bindi.
“C’era già tutto in Stavroghin-Stepanovic. L’uno insofferente al potere, soprattutto se derivato dalla corruzione. Il secondo invece adoratore del potere, al quale soltanto sa, o gli è possibile, avvicinarsi, nella degradazione. La sinistra si penserebbe stavroghiana. Invece abbiamo avuto dieci anni d’infognamento nel’abiezione, fra pentiti, ricattatori, troie, spie (donne), falliti, e biechi giurisperiti, fra compromessi, concessioni e accordi sottobanco, con le banche svizzere come con i mafiosi. E non è finita”.

La strategia della tensione? È in Conrad

Sembra il manuale della strategia della tensione – a meno che essa non sia un canovaccio della storia (tutto era già avvenuto a fine Ottocento). C’è il Futuro del Proletariato. L’anarchico agent provocateur. Con un problema di detonatore. Un “Prefetto” che controlla la storia, l’ispettore capo Heat. C’è perfino il kamikaze.
Joseph Conrad, L’agente segreto

giovedì 16 agosto 2012

Letture - 106

letterautore

Allegoria – “A venticinque anni, sfogliando l’edizione completa delle opere del Tasso, ci imbattemmo in un volume che conteneva la spiegazione delle allegorie racchiuse ne “La Gerusalemme liberata”. Ci guardammo bene dall’aprirlo. Eravamo amanti appassionati di Armida, di Erminia, di Clorinda; saremmo stati privati di troppo piacevoli chimere, se quelle principesse fossero state ridotte a null’altro che semplici emblemi”. Nella riedizione-rifacimento del 1776 del “Diavolo innamorato” Jacques Cazotte, uomo di principi (si farà decapitare, tra i primi, dalla Rivoluzione che non accettava) anticipa e critica la critica del testo parigina che ha tenuto banco nel secondo Novecento. Con una ragione semplice, condivisibile.

Dante – In quanto narratore, è vittima della sua propria abilità allegorica. Di trattati che si affannano a sviscerarne i sensi. Contorti, confusi, inutili.

Il racconto di avventure Dante affida al fraudolento Ulisse - lui ne ha di ben reali. Con ironia? A virtute s’appella in Dante il solito bugiardo Ulisse. L’ironia in Dante è un tema.

Falsi – Jean Hardouin, gesuita, storico, filologo, a forza di dubitare scovò a fine Seicento il segreto della letteratura: che i classici sono falsi dei copisti. Compresa la patristica. Con eccezioni: Omero, Erodoto, Cicerone, mezzo Virgilio, la “Storia Naturale” di Plinio.
Hardouin scoprì pure che Dante riflette le società segrete ereticali di cui era membro.

Feltrinelli – “Gli scaffali che mai spiazzano la mente benpensante”: Corrado Ocone di malumore aggredisce gli “store Feltrinelli” su “Lettura” di domenica 12. Ma è vero: sono diventati il tempio del politicamente corretto, quasi di partito.

Identità – Le identità plurime o scoppiate sono un gioco e non un fiasco, meno che mai della contemporaneità: Pirandello è un tragediatore siciliano, uno che si diverte a vedere gli spettatori e i lettori imbizzarrire di fronte agli ostacoli che lui solleva.
Già Ulisse s’inventava con gaudio le identità, o Giove – per non dire Dio, per non essere sacrileghi, che è molti dei nella Bibbia. La coerenza è del ragionamento e non della persona, è una sintassi. La persona è felice d’essere libera, o il cane, il gatto.

Personaggio – Si vuole spesso farne uno dell’autore. In America sempre – compresi quelli che si sono rifiutati alla spettacolarizzazione: Salinger, Pynchon. Che i suoi autori vuole pugili, lavapiatti, ladri, assassini, tagliaboschi, scambisti ai treni, minatori, taglialegna, marinai, naufraghi, gigolò, venditori di frigoriferi e aspirapolvere, e invece ha tutti, indistintamente, sempre colti.
Qualcuno però ne è vittima - anche tra i migliori, Hemingway, Foster Wallace, i tanti finiti nell’alcol. Non sopportano di non essere “all’altezza” del personaggio.

Romanzo – Si vuole da un secolo di vita vissuta. Memoriale, diaristico, confessionale. La confessione, si sa, esce dalla testa di sant’Agostino, per il quale Dio sta sopra di noi ma va cercato dentro di noi. Ma ha una parentela. È Giobbe l’antenato della confessione. Come in Giobbe, la confessione ambisce a risuonare della viva voce dell’autore. Questo si vuole la confessione: parole a viva voce. Che, come un romanzo, ci trasportano in un tempo immaginario, creato dall’immaginazione, in circostanze anche immaginarie. Il romanzo ha origine nella lanterna magica, nella soffitta abbandonata, nella natura vergine. In un tempo diverso da quello della vita. Quando il tempo del romanzo è quello della vita - Proust, Joyce – si ha una confessione.

Ma dire Giobbe è dire pena, e dunque dev’essere il romanzo-confessione costituito da lamenti? Più propriamente sarebbe l’uscita dal sé in fuga, come buttarsi fuori dall’auto impazzita - si esce da sé perché non piace ciò che si è. Sant’Agostino si confessò per convertirsi, per levarsi vizi che non amava. Rousseau per esibirsi, è un Casanova sentimentale.

Viaggio – Ulisse, che è viaggiatore più che casalingo, come in Joyce e Omero, in Dante si perde – Dante ne sa sempre di più. Più spesso il viaggiatore è viaggiato. Per la storia dell’io frammentato, e la stanchezza.
I viaggiatori s’acquietano in Ulisse, che, nonché baro, è parto letterario. Della letteratura come teatro, a fine catartico, o al gusto del vino d’annata, consolatoria. Ma l’ “Odissea” non è credibile, fa perno su una donna che aspetta un uomo, che non è mai successo.
L’ebreo errante è, come il cabalista, un bugiardo, anche se ha di che narrare.

Ulisse è un eroe del non ritorno, si perdeva le strade. Mentre il viaggio presuppone il ritorno. Tutti i generi di viaggio: il turistico naturalmente, di avventura, di guerra, di emigrazione, fantastico.

letterautore@antiit.eu

La verità è difficile da credere

Due uomini in fuga dalla legge, John e Vanning. Con la stessa ragazza. Verso gli stessi soldi. Seguiti da un detective che vuole solo la verità, Fraser. Se non che, scoprono tutti, “a volte la verità è un cosa molto bizzarra, a volte è così sbalorditiva che ci si rifiuta di crederla”. In un giallo tirato via con la capacità di sprofondare il lettore nel mondo della narrazione alla prima pagina, quale il migliore Novecento italiano si sogna. Di uno scrittore che non ha mai goduto di larga notorietà, non fuori, Francia eccettuata, e nemmeno nella patria americana, se non come soggettista-sceneggiatore di suoi propri racconti.
David Goodis, ll buio nel cervello

martedì 14 agosto 2012

Siamo qui per parlare

Profondo e semplice, un trattatello “umbertechiano”. Siamo “parole incarnate”, e liberi di dare nomi (creare parole): “La facoltà di dare nomi è il vero big bang che ci riguarda” (“le costellazioni, le sinfonie ci sono solo perché ci siamo noi a guardare e ascoltare… Noi siamo parte del dato”, noi spettatori e ascoltatori). E anche Dio: “È il Dio in ascolto il Dio che crea”. Siamo “a immagine e somiglianza” di Dio, che nessuno ha mai visto, forse perché “capaci di dare dei nomi” – meglio che “vedere”? Che Dio accetta e fa propri.
Ma poi involuto, inevitabilmente, come ogni opera di linguistica. Che più della fisica potrebbe portarci al big bang, con creazione oppure no. Se non fosse ferma a Aristotele, anzi all’innatismo di Platone, da due millenni e mezzo. Più che altro, si può dire per ora, siamo qui per parlare. Anche se non sappiamo di che.
Andrea Moro, Parlo dunque sono, Adelphi, pp. 104 € 7

Ombre - 142

I ribelli siriani mandano in rete torture e atrocità, proprie. I media “occidentali” non si esimono dal riprodurle, per lo spettacolo. Salvo esecrarle come “infiltrazioni di Al Qaeda”. Il ribelle infatti nell’“Occidente” è bello-e-buono, oltre che sacro. Anche se, come avviene nel Nord Africa e in Medio Oriente, è peggiore del tiranno abbattuto – inevitabilmente?
È un Occidente molto figlio del Muro che è caduto.

Il presidente Morsi che silura il generale Tantawi per metterci Sisi si vuole far passare come un cambiamento generazionale. Mentre sovverte un secolo di storia, la storia dell’Egitto contemporaneo.
Il generale Sisi, che i giornali dicono non sapere chi sia, per ignoranza?, è quello che ordinò il test di verginità alle donne che manifestavano a piazza Tahrir.

Facebook, tremila sì alla chiusura dell’Ilva a Taranto. Il giornale lo riferisce come se fossero una maggioranza. Per il fascino della mobilitazione. Mentre non sono niente, internet è un palco come si usava una volta nei teatri, solo più largo, per esibizionisti in gran numero. L’altra differenza è che quelli del palco non facevano notizia e neppure maggioranza.

Zeman ha con sé, conclude “Il Messaggero” analizzando la costante antijuventinità del tecnico, che “lancia provocazioni” ogni mese e quasi ogni settimana, il settanta o l’ottanta per cento degli italiani, quelli che non sono juventini. Con l’aria di approvarlo. Tutti “lanciatori di provocazioni” dunque. E questa è Roma, l’altra capitale d’Italia.

Zeman sarà popolare perché contesta tutto della Juventus, anche il nome. Ma poi nemmeno alla Roma gli vogliono bene. Non molti. Tra i tifosi – per la Roma non ha vinto niente e ha anzi sprecato molto. E tra gli atleti, alcuni da lui slombati, Totti per primo.

In città Zeman è ritenuto, più che un tecnico offensivo e trascinante, un grimaldello in mano al vendicativo Badini, il padrone (non tanto) nascosto della Roma. Un altro che ha sprecato molto senza mai vincere nulla, da ultimo in Inghilterra. Ma Baldini è uno che contro la Juventus può schierare i giudici, oltre che il settanta o l’ottanta per cento degli italiani.

Maria Antonietta Calabrò è sola a ricordare che il Vaticano è stato promosso da Moneyval, l’organismo europeo di valutazione, tra le piazze finanziarie che danno maggiore affidamento di trasparenza, “con molti passi avanti in poco tempo”. E non bocciato, come sostiene l’ex Gotti Tedeschi. È stato classificato alla pari con Germania e Italia, insiste domenica Maria Antonietta. Patetica? Lei o la stampa neo guelfa (neo democristiana per intenderci) che non sa fare senza scandalo?

Casini rilancia il grande Centro con l’incognita dei ministri. Quanti ministri di Monti passeranno con lui, e se è opportuno candidarli: Passera, Cancellieri, Riccardi, Ornaghi, Profumo, Balduzzi tra gli altri, la lista è lunga. Ma quanti voti ha Casini?

La giustizia sportiva ha dell’incredibile. Che giudica, insindacabile, un mercato da un paio di miliardi – oltre che di radicate passioni popolari. Questo sito aveva già messo in chiaro l’inaffidabilità e le pastette del Procuratore Palazzi e del giudice Artico. Ma che un giudice dica all’accusa le pene da richiedere, e lo stesso giudice e lo stesso procuratore dicano un pentito credibile contro alcuni e non contro altri, beh, questo quasi li rende simpatici, tanto sono ridicoli.

Il pentito del calcio buono solo a metà, salomonicamente, non è male. È buono per le accuse a Conte e alla Juventus, contro i giocatori del Torino no. Perché il presidente del tribunale è torinista.

Goldman Sachs, dunque, la preferita dagli italiani? La banca che si è liberata di Btp, e l’ha fatto sapere, è la consulente preferita di Monti. Che era a sua volta consulente di Goldman Sachs. Al di sopra di ogni sospetto: Costamagna e Monti sono due gentiluomini milanesi.

Ostica partita Ingroia-Ostellino sul “Corriere della sera” giovedì. Che si oppongono a vicenda la ragion di Stato, senza che nessuno ci capisca nulla. Ma quando Ingroia rimprovera Ostellino, l’ultimo liberale allo zoo, di ignorare “secoli di elaborazione del pensiero liberale da Locke a Tocqueville”, è sublime: è proprio palermitano, anzi ingroiano, un sovvertitore della sovversione – un mestatore?

Si accavallano da mesi paginate sui giornali milanesi contro i Ligresti, che hanno perduto la corsa a ostacoli per entrare nel paradiso milanese, la Sai con la Fondiaria e tutto il resto. Senza che la cosa interessi a nessuno. Giusto per la Schadenfreude, la gioia maligna per le altrui disgrazie, molto lombarda: sono una famiglia “siciliana”, devono soccombere.

All’improvviso, senza nessuna ragione, un ciellino milanese in carcere per gli affari con la sanità, un certo Simone, ha diritto a una pagina sul “Corriere della sera”. Con la libertà di dire in prima: “Sono prigioniero dei magistrati e dei politici”. Presentato come “l’imprenditore Simonne”. È amico di Rotelli? Sì. E chi è Rotelli? Il più grosso imprenditore in affari pubblici della Lombardia. Oltre che padrone in petto del “Corriere della sera”. Per conto di Bazoli, l’ultimo banchiere di Dio.

Che fine ha fatto “Famiglia Cristiana”? Quando c’era Berlusconi era ben viva, con Monti tace. La macelleria sociale è cristiana?

Per un anno Mediaset “crollava”: così “Republica” informava quasi quotidianamente e “Affari & Finanza” quasi settimanalmente. Da un mese Mediaset è “sugli scudi”, e “Repubblica” non ci dice niente. Nemmeno “Affari & Finanza”. Informazione?
“Sugli scudi”?

I moderati contro i giudici

Dopo Napolitano, Monti deve ricorrere ala corte Costituzionale. Due moderati. Contro un giudice. Per non dire di Taranto, dove è “giustizia contro tutti”.
Depurata dall’ingombro Berlusconi, dopo la tragica farsa di Mani pulite, la giustizia appare per quello che è. In troppi casi politica, quasi sempre dannosa, per le lungaggini e l’arbitrarietà. Senza l’equilibrio e la probità che si richiede al giudice, in base all’etica e all’affinamento di millenni del diritto. Ma tignosa e anzi permalosa. Cioè personalizzata. In una con le ambizioni politiche che il giudice non dovrebbe nutrire, cioè di parte. Intromettente – non c’è aspetto della vita privata e personale in cui questa giustizia non si intrometta. Colpevole del cinquanta per cento almeno dell'improduttività italiana.
Napolitano e Monti, moderati per antonomasia, devono peraltro chiedere giustizia alla Corte Costituzionale. Un organismo che, in uno col Csm, è la quintessenza dell’inaffidabilità della giustizia. Di leguleisti di scuola napoletana in troppi casi, procedurale. E d’impianto giustizialista come l’ha voluta Scalfaro, autoreferente. Al di fuori della società e della storia, dentro le camarille.
Contro Napolitano e a favore di Ingroia “Il Fatto” annuncia la raccolta di quarantamila firme. È l’unico evento della vicenda che esce dal surreale. Seppure per trasferirci dentro uno stadio: la giustizia allo stadio è già un miglioramento rispetto ai tribunali.

lunedì 13 agosto 2012

La sfinge Ingeborg è un classico

È una lirica prosatrice, o una prosatrice lirica’? La stessa autrice aveva già risolto il quesito di Antonella Gargano, l’amorevole curatrice, optando per il primo ossimoro. Anche se questi racconti giovanili, proprio del tempo lirico di Ingeborg Bachmann, poetessa laureata del Gruppo 47 (Grass, Enzensberger, Uwe Johnson, e altri sopracciò) a 21 anni, sono amabili narrazioni.
“Il Comandante”, frammento del romanzo disperso “Città senza nome”, è un Kafka gemellare (“Città senza nome” sarebbe romanzo giovanile, scritto tra il 1947 e il 1951, ma vi è decisivo “il materiale registrato dalle telecamere”). Il “Ritratto di Anna Maria”, del 1955-57, è Antonioni. Il tutto è Ingeborg Bachmann, di sicura, ormai classica, cifra: da narratrice su fondo filosofico. La “luce” irrompe nelle occorrenze e nella mente di Reiter, il saldatore diplomato che lavora con la luce accecante, nella forma di un libro trovato per terra al caffè, “Umano, tropo umano”, e niente è più lo stesso, il lavoro, la moglie malata di tubercolosi, i bambini, il medico, Reiter stesso, che diventa un pazzo a tutti gli effetti, molto argomentativo – “come uno che è consapevole, che vuole
essere consapevole, ma non può più fare uso di questa consapevolezza per se stesso”.
Ingeborg Bachmann, Il sorriso della sfinge, Cronopio, pp. 110 € 14

Secondi pensieri - 111

zeulig


Dio – È deresponsabilizzante – può esserlo. Per questo se ne parla tanto.
Per questo la Bibbia lo vuole collerico, per evitargli questa brutta fine?

Ironia – Thomas Mann è uno che quando ha ragione si arroga “un diritto d’infamia” intellettuale: “Odio la politica e la fede nella politica, perché essa fa l’uomo borioso, dottrinario, testardo, disumano”. Benché sappia che “la impoliticità è anch’essa politica”. È che “l’ironia come modestia, come scetticismo volto all’indietro, è una forma della morale, è etica personale, è «politica interna»”. Detto ironicamente?
L’ironia sempre confluisce nel paradosso di Epimenide il cretese – quello per il quale tutti i cretesi sono bugiardi.

Esprime un bisogno di autenticità, ma disperante. O già cinico – un’impossibilità dell’autenticità.

Masochista – È il peggior sadico. Impermeabile, abbatte ogni difesa. In tutte le sue forme: ipocondria, misantropia, rivalsa (razzismo, classismo).

Morte – A distanza di sette mesi dal naufragio della “Concordia” si parla di 30 morti e due dispersi. È una distinzione “giuridica”, per le assicurazioni e lo stato civile, che però l’informazione usa come scongiuro. La morte è il tema principe dell’esorcismo.

Musica – “Il linguaggio sta solo in noi, come i teoremi e le sinfonie”. Così è per il neuroscienziato linguista Andrea Moro, “Parlo, dunque sono”. Ennio Morricone invece tenta di mettersi in sintonia con la “musica dell’universo”, sul presupposto non innocuo che “tutta la musica è già scritta in natura”. Ha ragione il musicista, ma in quanto il linguaggio, e la musica è un linguaggio, non può essere che conoscenza (scoperta) e non creazione – non nel senso radicale della parola. “Le costellazioni, le sinfonie ci sono solo perché ci siamo noi a guardare e ascoltare”, conviene lo stesso Moro: “Noi siamo parte del dato”. Noi spettatori e ascoltatori.

Pensare – Troppo è poco. Il pensiero vuole prudenza – ci si diletta a pensare, direbbe Gicciardini, “più a esercitare gli ingegni che a trovare la verità”.

Storia - Si potrebbe scrivere la storia, rileva Schumpeter, “in termini di occasioni perdute”. Il tradimento, si sa, è la sola azione umana che modifica il passato, per il tradito e i pettegoli. “I fatti della storia”, rileva Schopenhauer, “sono mere configurazioni del mondo apparente, senz’altra realtà se non quella che deriva loro dalle biografie individuali… Cercare un’interpretazione di quei fatti è come cercare nelle nuvole gruppi di animali o persone. Ciò che la storia narra non è altro che il lungo, pesante e intricato sogno dell’umanità. Non esiste un sistema della storia, come ve n’è uno delle scienze, ma solo un’interminabile enumerazione di fatti particolari” – no, un sistema di equazioni a ogni evento a più variabili. Anche per De Quincey: interpretare la storia è non meno arbitrario che vedere figure nelle nuvole. Ma la varietà delle figure lo appaga: la storia è inesauribile, la possibilità di combinare i fatti è un numero infinito di fatti.
Non così per il catastrofico Spengler: “La storia non ha a che fare con ciò che è irripetibile, ma con ciò che, nell’irripetibile, ha carattere generale”. La storia non passa. E per il poeta Yeats: “La storia è la grande memoria, che si eredita e si accresce”. Che De Quincey aveva già spiegato: “La memoria è perfetta, il ricordo ripesca ogni particolare”. Lo stesso che Novalis: “La storia produce se stessa”. È maschio e femmina. Al punto che, per alcuni, la storia è inevitabile, fatale, “what’s past is prologue”, Shakespeare direbbe. A volte si cancella. Altre no: “La storia è pure persistenza”, spiega Schopenhauer, e “non può essere, come la filosofastreria hegeliana vuole, ciò che sempre diviene e mai è”. Purtroppo non lo è la storia delle catastrofi per esempio, dalle quali non ci si salva. È ripetizione dunque, poiché l’uomo va per tentativi, imitazioni, innesti. Ma fino a un certo punto. Che il messianico Benjamin intuisce: “La storia ignora il cattivo infinito che si trova nell’immagine di due guerrieri eternamente in lotta”. Non ignora, sdegna. La storia raccoglie tutto, come una vecchia casa, gli oggetti di anni, e la polvere, i fantasmi, i segreti, animati dai padri e ogni altro spirito di passaggio. Per arrivare a Solov’ëv: “Nella storia del mondo ci sono eventi misteriosi, ma non insensati”. O tornare a Spengler, per il quale la storia è ciclica, c’è una morfologia della storia delle culture. È così che la storia è contemporanea, alla Croce, che nella storia vede “la liberazione della storia”, come un baule che vuol’essere aperto.

O la liberazione è dalla storia: la facciamo, cioè la scriviamo, e l’accantoniamo? Al modo del medievista Sapori: “La storia è il magazzino degli stracci, lo storico il cenciarolo”. È il paretiano “cimitero di aristocrazie”?

Molto di ciò che passa per storia è mito, fantasia. Ma “l’indifferenza”, nota Gramsci, “è la molla più forte della storia”. Che non conosce le origini di nessun popolo. E il perché Landolfi sa: “Il ricordo è un compromesso: gli uomini si difendono”. Le genealogie incluse, la continuità del sangue, che il ricordo nutre. Anche se Esiodo le dice catene di cause e non seguiti di fatti: le fonti, scoprì Burckhardt, sono inesauribili.

Non c’è storia necessaria, se la storia fosse eterna non ci sarebbe: è politica, il pas-sato è preludio al presente. L’unica affidabile rivela, con Tucidide, “aspetti della natura umana”. Anche involontari: “La storia è un lungo delitto perpetrato da innocenti”, ragiona Camus. Con Leopardi: “La storia è una serie di delitti e meritate infelicità”. E può darsi, com’egli vuole, che “non tutto l’uomo coincide con la storia”. Ma “die Weltgeschichte ist das Weltgericht”, pure Hegel ha ragione: la storia è il giudizio universale.
Il pensiero stesso è storico, argomenta Arendt: “Né il filosofo, il pensatore retrospettivo di Hegel, né il contenuto del suo pensiero, l’Assoluto hegeliano, si pongono fuori della storia o rivelano qualcosa che la trascende”. È uno specchio, che riflette chi guarda. E Chabod: “L’unico pensabile vero non si può ottenere se non attraverso le forme individuali e concrete della storia”. Schopenhauer conviene, pur non credendoci: “La storia è tanto più interessante quanto più è particolare: dà allora meno affidamento e s’avvicina al romanzo” – il precedente che dà ragione per una volta a Freud, dove dichiara i romanzi “i veri maestri”. È così che il romanzo è la storia, e pure il pensiero, della natura inclusa, la quale è in larga misura umana, si sa che le storie vere sono romanzate.

zeulig@antiit.eu

domenica 12 agosto 2012

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (139)

Giuseppe Leuzzi

Il paradiso ai diavoli
È un autunno caldo. Siamo a Reggio con Ezio scendendo dalle montagne del Friuli, dove i funghi sono stati pochi. Siamo a Reggio dopo essere stati su per l’Aspromonte, dove i funghi erano pochi, per vedere i bronzi di Riace.
Fa ancora caldo e ne approfittiamo per un gelato sul lungomare. Il lungomare di Reggio era un celebre orto botanico, che in qualche modo sopravvive a due flussi ininterrotti di traffico. Sulla terrazza del caffè il cameriere raccoglie le cartacce lasciate dai ragazzi delle scuole, che all’uscita si fanno ancora un gelato, per ritardare il ritorno a casa, e le butte nelle siepi circostanti.
Sul lungomare due bus si sono fermati. Trasportano un’orchestra russa ospite della città. Sono giovani, ma più che dal gelato sono attratti dal mare. Dallo Stretto, con Messina per sfondo e i Peloritani, che il sole autunnale indora come un lago placido. Dalle acque trasparenti in città, che non avviene mai. E sono tutti in acqua, uomini e donne, si sono rapidamente spogliati, indosso gli indumenti minimi per la decenza. Nuotano e giocano.
Un’ora non sarà passata, il tempo di ammirare lo Stretto, ordinare il gelato, gustarlo, discutere col cameriere che butta le cartacce nelle siepi, che i giovani già ripartono. Asciutti, perché c’è un’aria secca su questo mare, lo Stretto è ventilato. Il mare in città, pulito e scenografico. Il paradiso ai diavoli.

Reggio
Le piante zirlano
Sul mare cristallino
La città anfana

L’unità è svanita a Reggio
Il Museo Archeologico di Reggio Calabria doveva essere riammodernato e reinaugurato nel marzo 2011, per il centocinquantenario dell’unità – forse perché la città stabilì il record dei si all’annessione nel 1861, solo quattro no? Era il maggiore impegno al Sud delle celebrazioni. Ma l’opera, finanziata con 17 milioni, è rimasta naturalmente incompiuta. Col risultato che il Museo è chiuso. Non si sa per quanto tempo, poiché per completare il riammodernamento ci vorranno almeno venti milioni.
Nelle more del (mancato) ammordernamento del Museo è circolata l’accusa che Reggio non merita l’opera: la città è lontana, è difficile da raggiungere, il Museo non ha visitatori, ha solo i bronzi di Riace, i bronzi sarebbe meglio esporli altrove. La soprintendente all’Archeologia Simonetta Bonomi, che peraltro è veneta, si è dovuta mobilitare per contare i visitatori: sono stati, nei due anni di lavori inutili, 2010-2011, almeno 218 mila, scuole escluse, benché del Museo siano visibili solo i bronzi, ospitati in una sala-laboratorio a palazzo Campanella, dove ha sede il Consiglio regionale.
Il vecchio-nuovo Museo delle Culture a Milano, che ospiterà le collezioni etnografiche sparse per la città, è invece in via di completamento: la costruzione, avviata nel 2010, sarà completata entro l’anno. Con un spesa di 42 milioni.
Il Museo di Reggio è stato costruito nel 1932, su architettura di Piacentini, in un anno e mezzo. Ha una collezione ricchissima, forse più del Museo di Siracusa. Con molti pezzi di richiamo: i bronzi di Rice e quelli di Ponticello,l’Apollo Aleo di Cirò, i Dioscuri di Locri, il kouros di Reggio, e una collezione unica di pinakes votive e apotropaiche della dea locrese Demetra-Persefone.
La statua gigante di Persefone fu trafugata da Locri nel 1911 da trafficanti tedeschi, e fu pagata in contanti, benché non potesse esibire certificazioni, dallo Stato Prussiano, che ne fece il pezzo forte del Pergamon, il museo archeologico “tedesco”.

Però, nel mese di agosto, che pure è pieno di turisti, magari famiglie reggine di ritorno, e curiose di vedere i Bronzi e gli altri reperti famosi del Museo, che si sapevano esposti a palazzo Campanella, sede del Consiglio regionale: 1) il centralino di palazzo Campanella è automatico vocale, e quindi bisogna avere pronto un nome da compitare (la voce dirà anche: “Adesso la metto in contatto col centralinista”, ma niente avviene), 2) il numero verde 800 985 164 per prenotare la visita guidata “non è in servizio”, 3) gli uffici d’informazione ai turisti che è possibile reperire in rete hanno tutti numeri di telefono obsoleti, non più in esercizio; 4) il centralino del Comune non risponde se non al quinto tentativo, e non ha i telefoni degli uffici d’informazione; 5) il Museo archeologico non esiste in elenco, 6) molti siti sono stati dedicati ai Bronzi, al Museo, all’esposizione temporanea, ma tutte con riferimenti inutili.
La visita poi si rivela semplice. Il palazzo Campanella è di facile accesso, si parcheggia, i Bronzi sono nella sala d’ingresso, e anche la città non è male. Il Lido Comunale, a un euro d’ingresso, è pulitissimo, ordinatissimo, accuditissimo, con tutti i servizi, e l’acqua dello Stretto è trasparente – anche se Goletta Verde dice il contrario.

Sudismi/sadismi. Nell’ottobre 2009, preso atto delle infiltrazioni camorriste alle primarie del Pd in Campania, sulla prima pagina del “Corriere” Angelo Panebianco sostenne che bisognava commissariare “ampie zone del Sud”. Bisognava sospendere “la democrazia locale (comunale, provinciale, forse anche regionale)” e imporre “un commissariamento centrale”.
Panebianco si trova in compagnia eccellente. Bobbio – o Galli della Loggia? - voleva recintare alcune zone del Sud. Galli della Loggia – o Bobbio? - voleva separarle o metterle in quarantena.
Ma, allora, non sarà un problema di Scienza Politica invece che di Sud? Che Scienza Politica è quella che dice criminosa tutta la società?

Pentiti
Camilleri ha il diavolo pentito.

Dunque; c’è il pentito a rate, quello a orologeria o a comando, quello buono solo in parte, e quello non credibile. Negli Usa il pentito parla una volta sola, di fronte a più giudici e ufficiali giudiziari. In Italia parla in sacrestia, con un solo giudice, col giudice che si è scelto.

“Nel criminale si nasconde non tanto un ribelle solitario, quanto piuttosto un poliziotto”, è nota di Ernst Jünger a “L’Operaio”, in “Maxima-Minima”, p. 35.Ma ritagliata dall’osservazione: “Ciò si renderà subito evidente non appena conquisti il potere”. Sia pure quello minimo di accusare, abbattere, raggirare. Perché è nato servile: “Egli non è un anarchico, bensì un tipo sociale, ancora pù dipendente dalla società degli individui normali”.

leuzzi@antiit.eu

Il diavolo sedotto, don Giovanni è donna

Il reazionario Cazotte nel catalogo Feltrinelli è la vera novità di questa edizione. In una col diavolo di Camilleri – che però, anti-compromissorio, è in regola. L’accoppiamento ha anche l’effetto di un reagente: il militantissimo Camilleri ha un diavolo stritolato dal “compromesso”, fra diavoli e angeli, l’ufficiale di Marina Cazotte, che si farà decapitare tra i primi dalla Rivoluzione nel 1792, ha un diavolo di sfrenata fantasia. Reazionaria, certo: il diavolo è una cagna, Biondetta. Ma con forti aporie. Biondetta è in realtà una Silfide, e capitana la rivolta delle Silfidi, le Salamandre, gli Gnomi e le Ondine contro i negromanti e gli spiriti del male. Nulla di diabolico, è anzi lo spirito della felicità confrontato all’orgoglio e all’inquietudine degli uomini che lo impediscono. Una sorta di utopia della felicità: “L’uomo fu una mistura di un po’ d’acqua e fango. Perché una donna non sarebbe fatta di rugiada, di vapori terrestri e raggi di luce, di frammenti d’arcobaleno condensati? Dov’è il possibile? Dov’è l’impossibile?”. È anche il rovescio del don Giovanni – un “tipo” che non ha attecchito e resta sorprendente: il tentatore tentato, il seduttore sedotto. A generi rovesciati, protofemminista: lei lo seduce, lui resiste, l’uomo è ordinario (“la mia innmorta era seducente ma io volevo che fosse mia moglie”). È alla fine un incubo, come il contemporaneo don Giovanni di Da Ponte e Mozart. Fino a che la “diabolica” Ondina ci rinuncia: “La vostra specie rifugge la verità: soltanto accecandovi è possibile rendervi felici”.
Con una nota dell’autore, nella premessa alla riedizione-rifacimento del 1776, che è una caricatura pregressa della scuola francese dominante di critica testuale e di retorica: “A venticinque anni, sfogliando l’edizione completa delle opere del Tasso, ci imbattemmo in un volume che conteneva la spiegazione delle allegorie racchiuse ne «La Gerusalemme liberata». Ci guardammo bene dall’aprirlo. Eravamo amanti appassionati di Armida, di Erminia, di Clorinda; saremmo stati privati di troppo piacevoli chimere , se quelle principesse fossero state ridotte a null’altro che semplici emblemi”.
Dell’epoca in cui la Spagna non era stata cancellata dalla storia: erano Spagna anche Napoli e i Paesi Bassi. Anche se tutti egualmente “demoniaci”. Non solo per i massoni e i liberi pensatori che popolavano l’immaginario delle lettere ma anche, evidentemente, per i buoni credenti.
Andrea Camilleri, Jacques Cazotte, Il diavolo tentatore-Il diavolo innamorato, Feltrinelli, pp. 121 € 8