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sabato 25 aprile 2020

Ombre - 510

A proposito di Mes, troika, Grecia, etc. , Renzi rivela che Germania e Olanda volevano cacciare la Grecia dalla Ue, in “un drammatico Consiglio europeo del luglio 2015” – probabilmente il 12 luglio: “Da un lato soprattutto Merkel e Rutte, che erano pronti a cacciare la Grecia dall’Unione. Dall’altro Hollande e il sottoscritto a difendere a spada tratta la Grecia”. Capitava che il primo ministro greco Tsipras dovesse uscire a consultarsi con i suoi e Renzi doveva “difenderlo in caso di attacchi in sua assenza”.  

Per dirlo, Renzi deve scrivere una lettera al direttore sul “Venerdì di Repubblica”. Cita anche testimoni: “Questa è la realtà dei fatti. Possono testimoniarlo, nell’ordine, Alexis Tsipras, Angela Merkel, Mark Rutte, François Hollande”. Come non detto.

Alle lettere al direttore del “Venerdì di Repubblica” Renzi peraltro può accedere solo in risposta a un articolo di Gad Lerner che dice “falso” su Europa e Grecia nel 2015. Grazie cioè alla legge sulla stampa: c’è la damnatio memoriae nel Pd – cioè nel Pd no, nei suoi giornalisti.

Alcuni sindaci hanno detto e fatto cose colorite all’inizio del lockdown per far capire ai concittadini che non dovevano uscire di casa. Da New York a Pechino si sono divertiti, in una certa Italia no. Il “Venerdì di Repubblica” scomoda giuristi, politologi e sondaggisti per censurare “le Sturmtruppen italiane dei sindaci furiosi”, “effetto collaterale del virus”, “piccoli borgomastri da marciapiede”, “alcalde del Sud”. Non c’è umorismo a sinistra, in una certa sinistra.
  
La Lega non sa se incolpare dell’epidemia i tedeschi, presenti in gran numero in Lombardia e nel Veneto, oppure il Sud. Ma non è sola, i suoi elettori la pensano allo stesso modo: i sondaggi non segnalano crolli della Lega, al contrario. Ha disamministrato, ha provocato un’ecatombe umana, ha immiserito l’Italia, e niente: l’Italia era già perduta prima del virus (la Lega è più forte del virus).

Il pio professor Ricciardi, direttore (uno dei direttori) dell’Oms, punta di diamante dello schieramento cattolico progressista, consulente del governo e di ogni ente impegnato contro l’epidemia, si sollazza prendendo a pugni Trump. Ogni tanto dicono la verità anche fuori dal confessionale.

Zitta zitta, quatta quatta, nel mondo distratto dal coronavirus, la Cina di Xi fa arrestare a Hong Kong i giovani che hanno alimentato la protesta. Una non notizia.

Ma la Cina e il Pcc restano sempre più in cima alla scala del lusso, al top dell’Occidente, del Sogno Occidentale: a Guangzhou (Canton) Hermès ha fatturato il giorno della riapertura dopo il lockdown tre milioni di dollari. Una sola borsa, Hymalayan Bird, di coccodrillo tempestata di diamanti, è stata venduta per 295 mila dollari. Un comunismo che non  si fa mancare nulla. E se ne vanta.

Il cardinale australiano Pell è stato assolto dopo un anno di carcere su sollevazione dell’opinione pubblica per un’accusa di pedofilia palesemente falsa. Al processo l’accusa si è dovuta dichiarare, e consisteva nell’abuso di due chierichetti, in uno sgabuzzino, alla fine di una cerimonia solenne, con indosso i paramenti, due diaconi e un cerimoniere al seguito, e 16 ministranti – in uno sgabuzzino non ancora costruito.
Ma il processo non è stato una vendetta di mafia o massoneria. O meglio: l’accusa sarebbe partita da Roma.

“Nel 2019 agenti e intermediari hanno incassato per i trasferimenti internazionali (dei calciatori) 653,9 milioni di dollari. Quasi il triplo del 2014. Con i trasferimenti nazionali (italiani), l’ammontare delle commissioni viaggia verso il miliardo a stagione”, “Il Sole 24 Ore”.
Quello dei procuratori è un mercato a sé. Si comprano e si vedono calciatori, spesso senza mai mandarli in campo, senza esigenze tecniche o di marketing, solo per generare commissioni. Che poi si dividono?

Il fenomeno è particolarmente acuto in Italia. “Nell’ultimo quinquennio la spesa dei club (di calcio) italiani per mediazioni su trasferimenti o rinnovi contrattuali è stata di 775 milioni di euro”, “Il Sole 24 Ore”. Una cifra folle.
Nel solo 2019 i procuratori hanno incassato 13,7 milioni dagli atleti che rappresentano, e 188 milioni dalle società di calcio. A beneficio di chi?

Quando l’Irlanda fu salvata

Al secondo blocco la miniserie di Sky colpisce per il contesto internazionale, che evoca con immagini dell’attualità, dal vivo, degli eventi che i protagonisti hanno vissuto a una certa età, restandone marchiati. Il fallimento argentino nel 2002. Il “colpo di teatro” montato nel 2011 dagli Stati Uniti di Obama - da Hillary Clinton, segretario di Stato - per abbattere Gheddafi (le foto apocrife di fosse comuni attorno a Tripoli), per conto dei potentati petroliferi della penisola arabica, per Al Qaeda e i salafiti dell’Is. E, purtroppo in breve, l’evento più attuale, coevo alla storia narrata: il salvataggio delle banche irlandesi nel 2008 – attuale per il mancato impegno europeo a favore dell’Italia e degli altri paesi colpiti dal coronavirus: si ricorda la Grecia, non si ricorda l’Irlanda.
Il salvataggio, come si spiega alla fine del quarto episodio, fu imposto da Angela Merkel alla Banca centrale europea, perché le banche tedesche erano molto esposte in Irlanda. Il salvataggio la Bce girò in parte allo Stato irlandese, che si dovette fare carico della nazionalizzazione delle banche stesse, sottraendo risorse agli investimenti e alla spesa sociale. L’Unione Europea contribuì con 85 miliardi – almeno 85 miliardi.
Il fatto è ben spiegato in “Gentile Germania”, 2014, libro ancora attuale e in commercio: “Il 27 novembre 2010 l’Ue salvò l’Irlanda dalla bancarotta, con un prestito gratuito di 85 miliardi, di cui 35 per le banche e 50 per alleviare il debito. Un anno prima la Grecia, che chiedeva 30 miliardi contro la speculazione sul debito, non li aveva ottenuti, la Germania s’era opposta”. Un episodio non da poco, e anzi imponente, della storia europea recente. Che si obnubila, in Italia. Come tutto ciò che avviene. 
La serie si rivela uno sguardo critico sulla globalizzazione – che è degli interessi, non dei diritti. Preciso e chiaro, ma forse complicato per il ritmo della narrazione che si vuole velocissimo. Sicuramente complicato in italiano. In inglese suona ordinario. Anche nelle didascalie inglesi, nella versione doppiata, dei giornali e i notiziari tv londinesi e americani. Una conferma deprimente del bassissimo livello dei media italiani: di quanto l’italiano, la lingua e il popolo, sono stati impoveriti negli ultimi decenni. Anche la politica, rozza. Non sappiamo perché non capiamo, non sappiamo capire.        
Jan Maria Michelini-Nick Hurran, I diavoli

venerdì 24 aprile 2020

Cronache virali

“I morti per il virus in Italia sono 10 mila di più di quelli ufficiali”. Settemila nella sola Lombardia. È la conclusione di uno studio interdisciplinare condotto alla Sapienza di Roma, sui dati dei decessi registrati dall’Istat, dai fisici Giorgio Parisi, Enzo Marinari, Federico Ricci-Tersenghi, Luca Leuzzi e dal biologo Enrico Bucci, la Repubblica.
“Sarà difficile fare una valutazione finale della letalità del virus per classi di età perché i criteri di valutazione sono cambiati in corsa”, Corriere della sera.
Metà dei morti da coronavirus nelle case di riposo, Oms. 
La commissione Colao propone la pensione e la reclusione a casa dei sessantenni.
Nel mese di marzo l’inquinamento a Roma non è diminuito ma aumentato. Secondo le misurazioni di IQAir, una società svizzera che fa le rilevazioni per conto del Comune di Roma. Che usa evidentemente rilevatori guasti. O fa il lavoro per modo di dire. Senza senso del ridicolo. Senza pudore anche – ma l’ecobusiness è spudorato.
La pandemia da coronavirus resterà negli annali come una sconfitta della scienza, professione medica compresa: troppa approssimazione, disinvolta.

La donna del Sud, divorante

La donna divorante. Appassionata e cinica. Abbandonata e assente. Attraente e odiosa. (Forse) anche assassina. In un mondo di donne, le figlie, la cognata, l’amica, la padrona. Un caso palpabile  di “donna del Sud” - come forse a Milano non possono capire.
Non la virago del femminismo, un prototipo, semplificato. Una figura complessa, irrisolta - non chiara a se stessa. Che tutto abbraccia, indistintamente, per il cosiddetto istinto vitale. Uno sforzo titanico per l’ex suora delle serie Rai, Elena Sofia Ricci, che domina quasi ogni scena.
Ma una storia molto caratterizzata.  Sempre più un mondo - le donne, estroverse e segrete, la città, i misteri, i fulgori - di creazione gay, dopo la Napoli di Ozpetek. Di una potenza femminile più vera, significante, di quella classica, e freudiana, della “madre divorante” - madre, semmai, perché divorante. 
Pappi Corsicato, Vivi e lascia vivere, Rai 1

giovedì 23 aprile 2020

Letture - 418

letterautore
Americana – Una letteratura della morte piuttosto che dell’American Dream? È l’ipotesi di Mario Praz, “Il mondo che ho visto”, 84, che fa un elenco cospicuo di scrittori pessimisti: “Per un Whitman, avete un Poe, un Hawthorne, un Melville, un James, un Faulkner”. La lista si può aggiornare con  Hemingway, Carson McCullers, Frances O’Connor, Truman Capote, Vonnegut, Anne Sexton, Sylvia Plath. Quelli più propriamente americani – nel secondo Novecento e in questo primo Millennio molta letteratura americana è ebraica, di immigrazione - ma già Woody Allen è sulla traccia mainstream.

Gli Stati Uniti, che “guidano il resto del mondo nella scienza e nella tecnologia”, sono “il Paese occidentale più ostile alla scienza”, alle “magnifiche sorti e progressive”, spiega a Paolo Giordano su “La Lettura” Jared Diamond, esperto di Fisiologia, Biologia evolutiva, Biogeografia, che ha insegnato Geografia Politica alla Luiss con Antonio Giordano. In effetti, il darwinismo è ancora contestato in molti Stati americani, e il creazionismo è forse prevalente. La resistenza, secondo Diamond, che “è un esito dell’anti-intellettualismo. Che è dominante, anche nei ceti medio-alto borghesi  - “è routine”, dice Diamond. Che non ha una spiegazione onnicomprensiva, ma una sì: “Una è legata alla nascita stessa degli Stati Uniti, che vennero fondati da emigrati europei in cerca di libertà religiosa. Qui non c’erano le grandi Chiese come in Europa, bensì una miriade di piccole comunità scismatiche. Nei secoli successivi abbiamo avuto più movimenti religiosi fondamentalisti”, cioè catastrofisti, “di qualsiasi altro Paese al mondo: i mormoni, gli avventisti del settimo giorno, i testimoni di Geova… Il risultato è questo anti-intellettualismo, spesso associato a un primitivismo religioso”.

Brasile – Da bois de braise, secondo Lévi Strauss, “Tristi tropici”, § “La ricerca de potere”, legna da ardere.

Carrara – Molto marmo bianco di Carrara è stato utilizzato nelle case a New York e negli Stati vicini a fine Ottocento-primo Novecento, come residuo delle traversate degli immigrati: veniva utilizzato come zavorra dai piroscafi.

Cina – Peter Frankopan autore in tre anni di due libri promozionali della Via della Seta, è professore a Oxford, informa “La Lettura” – insegna Storia bizantina. In effetti i potentati asiatici ex comunisti hanno investito molto a Londra nel Millennio, per la comunicazione. Con munificenza. Frankopan piega a Luigi Ippolito che “l’Asia guiderà il nuovo mondo”. Non fra un secolo, subito dopo la pandemia.

Classici – Risorgono, si rianimano: sono classici in quanto contemporanei, al gusto della contemporaneità che si vuole variabile. C’è un tempo per Catullo, oppure per Orazio, o Marziale. Per l’“Odissea” oppure per l’“Iliade”. Ci fu, a lungo, per Lucrezio. Tornerà per le “Georgiche”, per Esiodo? Perché non dovrebbe, dopo Greta?
Mario Praz, invitato a un banchetto a Roma, racconta in un prosa ora in “Il mondo che ho visto”, che si vide attorniato da Eumolpo, Ascilto, Gitone, e che anche l’anfitrione generoso, “che non parve gradirlo”, vedeva come Trimalcione. Mentre riflette: “Quale donna d’oggi sarebbe così sciocca da comportarsi come l’eroina di quel romanzo d’amore che pure è definito il primo romanzo moderno”, “La Principessa di Clèves”? O “quale innamorato moderno penserebbe di sottostare alle prove descritte allegoricamente da Guillaume de Lorris”?

Dante – È sempre “in futurum”, in progress si direbbe, sempre in qualche modo attuale e nell’attualità?  Come lo voleva Mandel’stam, Conversazione su Dante”: “È assurdo leggere i canti di Dante senza attrarli verso l’attualità. Sono fatti per questo. Sono proiettili lanciati per cogliere l’avvenire. Esigono un commento in futurum”.

È leggibile in francese in almeno cinque traduzioni. L’ultima, di René de Ceccaty, proposta come un libro di poesie, di un contemporaneo – dopo una lunga introduzione. La penultima, ritmica, molto dantesca, di Jacqueline Risset. Un’altra nuova se ne prepara , con l’originale, nella Pléiade, per l’anno prossimo per i settecento anni .

Eliot, T.S. – Fu, molto, Pound – tanto quanto lo fu Joyce. Ancora giovane poeta americano venuto in Europa per svecchiare la stracca versificazione inglese, Pound tagliava e cuciva i testi di chi si avventurava a proporglieli per un consiglio. Di Eliot fu l’artefice del taglio probabilmente risolutivo dei 55 versi che aprivano “La terra desolata”, dove si raccontava di una sbornia fra ragazzi lower class a Boston. Per l’incipit folgorante e poi famoso, “Aprile è il più crudele dei mesi”. Un calco, per molti aspetti, la metrica, la primavera pregna, di Shelley, “Ode to the West Wind”, una ode al Ponente: “O Wind, if Winter comes, can Spring be far behind?”.

Io - Il “vecchio animale” di cui Svevo diffida, servendosene senza ritegno. O Gadda, che lo vuole "il più lucido di tutti i pronomi", abusandone a ogni riga. Sembra oggi un modo per mettere le cose al loro posto – in prospettiva. L’unico.

Fiche “Fare le fiche” - figa in portoghese - Lévi-Strauss, che lo rimarca come gesto consueto in Brasile, dice “un antico talismano mediterraneo in forma di avambraccio col pugno chiuso, da cui il pollice emerge tra le prime falangi delle dita di mezzo, senza dubbio una figurazione simbolica del coito”.

Oude Kerk – La Chiesa Vecchia, la vecchia cattedrale, al centro di Amsterdam, è chiusa e sconsacrata perché il quartiere delle prostitute in vetrina.
Vi è (era?) sepolto Karel van Mandel, il Vasari fiammingo, che tanto ci ha testimoniato onesto dei pittori italiani, anche di quelli che conosceva solo per fama.

Sfinge – Quella del Cairo Praz dice maschile, “Il mondo che ho visto”, 272: “Effettivamente uno Sfinge, rappresentando il dio Harmakhis” – anche se, nel crepuscolo, “assumeva il volto di Brigitte Bardot”.

Shakespeare – Giovanni Florio, che passa per suo nemico, e forse pure concorrente sula scena, perché non sarebbe stato suo amico? O, se non amico, quello attraverso cui poteva leggere i racconti italiani? Ma Shakespeare non sapeva sicuramente l’italiano di suo…?
La cosa non è senza importanza, giacché Giovanni Florio fu amico di Giordano Bruno, nel tempo che Bruno passò in Inghilterra. Bruno e Shakespeare, grande soggetto.
Ma Shakespeare sembra a leggerlo, nelle cose italiane e non solo, un buon cattolico – non “fa politica”, però… Anche tanta Italia nei suoi drammi e le commedie, sicuramente era in sospetto di papismo. Già prima di lui, per continuare a curarsi dell’Italia, o della Francia, dopo lo scisma anglicano i ricchi e nobili inglesi s’inventarono il Gran Tour, come una visita ai luoghi dell’antichità. Alle rovine.

Voss - Il Vossio – Johannes Voss - sbertucciato da Casanova, “Lana caprina”, per il famoso detto “foeminae non esse homines”, fu un martire della libertà, della tolleranza religiosa. Gli fu tolto l’insegnamento perché variamente sospettato, di pelagianesimo, di arminianesimo. Ancora nell’Ottocento Barlaeus e Vossio, nomi già celebri, che l’Atheneum Illustre d’Amsterdam avevano inaugurato due secoli prima con orazioni famose, la Mercator sapiens e la De historiae utilitate, quando la città, divenuta la Borsa d’Europa, si dotò dell’università, vennero in sospetto, e con loro lo stesso Atheneum: per sospetta tolleranza di culto, di culto cattolico.
I cattolici furono discriminati in Olanda fino a due secoli fa. Dopo i diritti redditizi delle minoranze, nel 1630 Maurizio I di Nassau, principe di Orange, alchimista, sancì la libertà di culto. Dopo aver fatto uccidere il Gran Pensionario Barneveldt, fautore della libertà religiosa e della pace. Maurizio sancì la libertà di culto calvinista, allargandola a luterani, israeliti e anabattisti, che poterono avere templi pubblici. Arminiani, mennoniti e cattolici invece no, solo chiese chiuse. I cattolici erano gli ultimi benché-perché numerosi. Aspetteranno di riaprire le chiese con l’Albero della Libertà, eretto nel 1795 dai francesi: le rivoluzioni fanno bene alla religione. Ma non del tutto, nel tardo Ottocento si discriminava ancora.

letterautore@antiit.eu

Il Benvenuto Cellini dell’antropologia


L’islam siamo noi, tristemente. Già nel 1955: “L’islam che, nel Medio Oriente, fu l’inventore della tolleranza, perdona male ai non mussulmani di non abiurare alla loro fede a vantaggio della sua, perché essa ha su tutte le altre la superiorità schiacciante di rispettarle”. Una lettura vertiginosa dei mondi altri finisce con un saggio, breve ma esauriente, su come siamo: “Quando i cittadini del New England decisero un secolo fa di autorizzare l’immigrazione dalle regioni più arretrate d’Europa e dagli strati sociali più diseredati, e di lasciarsi sommergere da questa ondata, fecero e vinsero una scommessa la cui posta era altrettanto grave di quella che noi ci rifiutiamo di mettere in gioco”.
Un libro di viaggi ancora nuovo, cioè veritiero, dopo quasi settantanni. A dispetto di se stesso? Il futuro grande antropologo alla prima frase dice: “Odio i viaggi e gli esploratori” . Tantissimo tempo perduto, è la seconda. Per un libro di viaggi raccontati per quattrocento densissime pagine. Non senza qualche ragione, soprattutto quella che “oggi” (1954-55, quando il memoir fu scritto), il viaggio è “fatto” prima della partenza. E allora dov’è la diversità, la novità? Ma si dice per dire, l’autore non ha fatto che viaggiare.
Il libro del primo incarico universitario, a San Paolo del Brasile, dove il maestro di Lévi-Strauss alla Sorbona, George Dumas, aveva fatto aprire dai ricchi brasiliani una università, e vi svezzava i suoi discepoli. Lévi-Strauss vi arriva come professore di Sociologia. E vi diventa etnografo. Raccontando in dettaglio, con abbondanza di illustrazioni, le prime, faticose, lente, complicate, ricerche, fra i Natikwé, i Bororo del Mato Grosso, i Tupi-Kawahib – “che Montaigne ha incontrato a Rouen” – imparentati con i Tupi americani, il sertão, le città inventate, allora Goiania, prima di Brasilia, o Karachi. Irrispettose a volte: “L’Amazzonia, una Frontiera fallita”, ridotta a scolare gli alberi della gomma. Dettagliate come ogni buona ricerca etnologica – benché di molti reperti il giovane ricercatore deve dire a più riprese che sono fruibili a Roma, portate dall’etnologo Guido Boggiani, che le stesse zone aveva visitato nel 1892 e nel 1897, lasciando “di questi viaggi importanti documenti etnografici, una collezione che si trova a Roma, e un grazioso giornale di viaggio”. Ma è il libro di un scrittore, che si fa leggere dall’inizio alla fine, perfino nei minuziosi inventari etnici o folklorici. Pieno di bon mots e di illuminazioni.
Il tropico è triste: trasandato, presto fatiscente, immemore. Ma il giovane ricercatore sa farsene un tesoro. Essendo di curiosità insaziabile – quella del suo etnografo tipo: “Simile ai fuochi indigeni della brousse, accende terreni talora vergini, li feconda per tirarne in fretta qualche raccolto, e lascia dietro di sé un territorio devastato”. L’etnografo che lui diventerà dopo. Sempre con riserva, l’etnologo volendo (“non so se sia esatto in generale ma probabilmente è vero per molti di noi”) un disadattato:  “La difficoltà di adattamento all’ambiente sociale nel quale si è nati è il motivo che spinge a diventare etnologi”. 
La prima parte è un’autobiografia intellettuale. Con molte annotazioni fuori campo – Lévi-Strauss non era ancora convinto di fare l’etnografo. Anzi, dirà alla fine: “In etnologia sono un completo autodidatta: una prima rivelazione l’ho avuta per ragioni inconfessabili: smania d’evasione, desiderio di viaggiare”. Ma non a suo agio fuori della scienza, troppa faciloneria. Per cui il professorato resterà “il solo mezzo offerto agli adulti per permettergli di restare a scuola”. L’impegno politico invece è impossibile, è una contraddizione: “È guardare le cose dal di fuori, è un’altra maniera di restare disimpegnati”. D’altra parte, “il liberalismo moderato è l’arma ideologica abituale delle oligarchie per il potere personale”.
Soprattutto è ossessionato dalla filosofia, che evidentemente lo attraeva: troppe congetture. “Il significante non si rapportava più a un significato, non c’era referente”. Ridotta a arte meschina del calembour, delle omofonie e ambiguità, e dei colpi di scena ingegnosi, in realtà secondo schemi ripetitivi. Al meglio, “la filosofia non era ancilla scientiarum ma una sorta di contemplazione consolatoria che la coscienza fa di se stessa”. Ma più che altro un cicaleccio, attorno alla “riflessione decisiva che un pensatore, o la società che creò la sua leggenda, perseguì venticinque secoli fa, e alla quale la mia civiltà non poteva contribuire che confermandola” - “Ogni sforzo per comprendere distrugge l’oggetto al quale ci eravamo attaccati, a beneficio di uno sforzo che lo abolisce, a beneficio di un terzo, e così via di seguito, fino a che non accediamo all’unica presenza duratura, che è quella in cui svanisce la distinzione tra il senso e l’assenza di senso: la stessa da cui eravamo partiti”.
Un monumento al Brasile. Ancora oggi, che il Brasile si vuole industrializzato, fuori della “tristezza tropicale”, dell’antropologia. Qui è là, prima e dopo le ricerche in Brasile, molte annotazioni di viaggio. Sul mondo pulviscolare asiatico. Sulla città americana sempre simile, per la leggerezza, a un’esposizione universale diventata permanente - ma l’America, vista per la prima volta a Portorico nel 1933 o giù di lì, avrà sempre per Lévi-Strauss un’aria ispanica.
“L’apoteosi di Augusto”, il capitolo conclusivo, è la vita angusta, faticosa, poco produttiva, dell’etnologo al lavoro.Una vita più di macerie pratiche che di ricerche: la malinconia, e il dramma, dei pomeriggi “sopra l’amaca, dentro l’amaca, sotto la zanzariera spessa”, da togliere la luce e il respiro. “Critico a domicilio, e conformista fuori”, anzi reazionario: “Volentieri sovversivo tra i suoi e in ribellione contro gli usi tradizionali, l’etnografo appare rispettoso fino al conservatorismo quando la società che osserva è diversa dalla sua”.
Un viaggio contro il viaggio – da etnologo quasi controvoglia. Ma ben un viaggio ricco, di novità ancora oggi che nulla sembra più poter essere nuovo o ignoto: l’aneddotica riempie ogni pagina, insieme con una tela di fondo da robusto narratore. Con incursioni temerarie in varie direzioni, non solo nella filosofia e l’etnografia. Tra esse questa, alla fine del § “San Paolo”, che raffronta l’Europa del 1955 a quella di vent'anni prima, in molti modi profetica – la storia è come la fenice, si rigenera: “Pensando a che cos’era l’Europa, e a quello che è oggi, ho imparato, vedendo superare in pochi anni uno scarto intellettuale che si sarebbe creduto di parecchie generazioni, come scompaiono e come nascono le società; e che questi sconvolgimenti della storia che sembrano, nei libri, risultare dal gioco di forze anonime che agiscono nel cuore delle tenebre, possono anche, nel lampo di un istante, compiersi per la risoluzione virile d’un pugno di ragazzi ben dotati”.
Con una precisa visione infine, non artificiosa come sembra, dell’europeo etnologo: “L’Europa offre forme precise sotto una luce diffusa. Qui (nel tropico, n.d.r.), il ruolo, per noi tradizionale, del cielo e della terra si rovescia. Al di sopra della scia lattiginosa del campo, le nubi disegnano le più stravaganti costruzioni.  Il cielo è la regione delle forme e dei volumi: la terra conserva la morbidezza dei primi tempi”. E con la curiosa ripetuta professione di amore, anzi un’identificazione, con Benvenuto Cellini, non certo per la litigiosità, forse per la versatilità, manuale, pratica.
Claude Lévi-Strauss, Tristi tropici, Il Saggiatore, pp. 379, ill. € 24

mercoledì 22 aprile 2020

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (423)

Giuseppe Leuzzi
C’è a Milano chi, anche madri giovani, cucina fino a duecento pasti al giorno per le persone povere o in quarantena per il contagio. Nella propria abitazione, con le sole sue forze. È questa la forza della città, la dedizione personale.

“Da Milano a Enna si moltiplicano le indagini per omicidio colposo plurimo e per epidemia colposa”, trionfale apre il “Corriere della sera” sulle indagini per le morti nelle case di riposo. Che sono quasi tutte, le morti, in Lombardia. Questo invece è l’altro lato della città, la sfacciataggine.

La neo presidente in petto dell’Eni, Lucia Calvosa, è stata in passato presidente anche del Banco di San Miniato in Toscana. C’erano malversazioni, lei le sanzionò, le fu bruciata la macchina. Un “avvertimento”. Ma non tra Pisa e Firenze (il Banco è di qua e di là), non c’è mafia.

Dei curricula in rete della presidente designata dell’Eni solo Gianni Dragoni sul “Sole 24 Ore” ricorda che lo zio le fu ucciso dalle Formazioni Combattenti Comuniste, e che l’auto le fu bruciata a San Miniato. “Il Fatto Quotidiano”, pur sensibile alle cronache giudiziarie, non ne fa cenno.  Bonaccia? Altrove si direbbe omertà.

Imprevidenza e sufficienza
Il “Corriere della sera” fa una ricostruzione dei primi giorni del contagio sorprendente per l’imprevidenza e la sufficienza che si potevano rilevare anche guardando le cose da fuori:
A gennaio alcuni medici di base del bergamasco segnalano polmoniti insolite alle Asl, senza riscontro. Il 31 gennaio si decreta l’emergenza, ma senza dire come. L’unico provvedimento che si prende è il blocco dei voli dalla Cina, ma non dalla Cina via Zurigo o Francoforte. Il 2 febbraio, alla Rai da Fazio, il virologo milanese Burioni dice il rischio “pari a zero”. Il 15 febbraio il governo italiano manda con volo speciale in Cina due tonnellate di mascherine e tute di protezione. Il 21 febbraio quello che si far à passare come “paziente zero”, è trattenuto in ospedale un giorno e mezzo senza precauzioni. Il 28 febbraio si divulga la stima della curva epidemica: l’indice Ro (di contagiosità del virus) è superiore a 2.
Solo l’1 marzo, un mese dopo il decreto dell’emergenza, si stabilisce il ricovero dei contagiati in Pneumologia e terapia intensiva. E  si ordinano i primi ventilatori meccanici.
Il 23 febbraio 500 sindaci lombardi, quelli del Pd, compresi il sindaco di Milano Sala e quello di Brescia Gori, chiedono di tenere aperti bar, mercati, centri commerciali, attività sportive. Quattro giorni dopo il sindaco di Milano Sala lancia la campagna #milanononsiferma. Lo spalleggia il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, venuto apposta a Milano, che posa per un aperitivo in compagnia in un locale all’aperto sui Navigli – poi, positivo al virus, starà in quarantena a casa a Roma. E il nemico (politico) Salvini, che in un video chiede di “riaprire tutto”, e invita gli stranieri a visitare “il Paese più bello del mondo”.
Due settimane dopo, quando i morti sono tanti che non si riesce a inumarli e nemmeno a incinerarli, bisogna trasportarli con carri militari per destinazioni ignote, a Bergamo e in val Seriana non si dichiara la zona rossa.
Già dal 28 febbraio la Lombardia sa ufficialmente, con un Ro superiore a due, e che il sistema ospedaliero rischia il collasso. Lo stesso giorno l’Emilia-Romagna, infetta dalla bassa lombarda, chiede una deroga per tenere aperti cinema e teatri. Il Veneto la chiede per le terme. Tutta l’Italia sarà “zona rossa” una settimana dopo.  

Die Welt e le mafie
“Die Welt”, il quotidiano liberale (conservatore) tedesco di cui si è contestata la richiesta a Angela Merkel di non deflettere al vertice europeo di domani dal no ai coronabond comunitari, è il giornale che nei primi anni 1970 rivelava, solitario, agli italiani come i liquami e gli scarichi velenosi delle industrie svizzere e tedesche finivano in Lombardia, grazie a imprenditori compiacenti. Naturalmente non mafiosi, ma ugualmente micidiali, minacciando con gli sversamenti di mercurio le falde freatiche, e con gli accumuli la diossina l’aria – come poi si è dimostrato a Seveso.
Lo spiegava il corrispondente economico del quotidiano a Milano, Gunther Depas. Questo il racconto che Astolfo ne fa nel romanzo “La gioia del giorno”, degli eventi attorno al 1969 – Walser sta per Depas:
“- Nulla a Milano è come appare - sostiene Gunther Walser, cordiale corrispondente della Welt. Neanche i milanesi. Luciano, che ha aperto una libreria anarchica, è sospetto, benché innocuo. Mentre un gruppo cattolico progetta una casa editrice terzomondista. Coi soldi dell’Ente. Per pubblicare la teologia della violenza di Marighela, che sarebbe un prete.
“Il patriottismo è sospeso a Milano: ognuno ha industrioso il conto in Svizzera, incluso chi vota a sinistra, che è a due passi, dove le banche sono numerose, e non si fa la coda. Ma Walser teutonico non ci sta. Non accetta che Milano si prenda gli scarti tossici che le leggi impediscono di disperdere nell’ambiente in Svizzera e Germania:
“- Questi veleni inquineranno la falda freatica. – Fiumi di mercurio vede, diossina e ombre losche: - La merda di Milano finisce nel Ticino, il Lambro, l’Olona, l’Adda, che finiscono nel Po, e contagerà l’Italia. 
“Walser ha la fissa dell’acqua. Non sa che Milano moriva di peste non è molto, irridendo gli spagnoli che le negavano le acque putride della tessitura, la coloritura, la risicoltura, tra i propri funzionari in città al tempo dei Promessi Sposi annoverando Calderòn. Né che tra Pavia e Vercelli sono già alla falda i diserbanti e gli antiparassitari del riso, il fatto era notorio all’epoca del militare, al rubinetto non si poteva bere, un chilo di riso volendo venti ettolitri d’acqua. Milano è tossica in allegria. Benché heimlich gemütlich, ventre gravido di buona madre. L’antica Mediolanum, in mezzo al piano, che il tedesco ingentilisce in Mailand, terra di maggio:
“- O terra di mai – Walser ironizza, felice di stare a Milano. Più è felice che il figlio sia chimico: - È solo italiano l’orgoglio del giudice figlio di giudice, del primario nipote di primario. – La funzione ereditaria lo esilara: - Il chirurgo ereditario è fantastico. È Hoffmann: il primogenito generato dal chirurgo, col bisturi. – E tornando tedesco spiega che la democrazia è venuta con l’abolizione del maggiorascato e il fedecommesso: - Ma per la borghesia è titolo di nobiltà la concussione”.

Quando discriminato era l’italiano
L’immigrazione in America a cavaliere del 1900 è stata una “invasione” senza precedenti, seppure con biglietto sul piroscafo e visto d’ingresso. “Durante gli ultimi dieci anni”, scrisse Josiah Strong nel 1891, “abbiamo sofferto un’invasione pacifica da parte di un esercito quattro volte il numero supposto dei Goti e dei Vandali che invasero l’Europa meridionale e sopraffecero Roma”.
La questione non era, come oggi non è, semplice. “Quando i cittadini del New England decisero un secolo fa di autorizzare l’immigrazione dalle regioni più arretrate d’Europa e dagli strati sociali più diseredati, e di lasciarsi sommergere da questa ondata, fecero e vinsero una scommessa la cui posta era altrettanto grave si quella che noi ci rifiutiamo di mettere in gioco”, come scrive Lévi-Strauss in “Tristi Tropici” - scriveva nel 1955.
Strong era un pastore evangelico molto impegnato nel sociale e molto popolare, ma inflessibile razzista. Sei anni prima, nel suo libro più famoso “Our Country”, aveva sostenuto che “gli anglo-sassoni”, essendo “una razza superiore”, avevano il compito di “cristianizzare e civilizzare” le razze “selvagge”, per il bene dell’economia americana, e delle “razze minori”. I selvaggi erano gli indo-americani e i neri, per razze minori intendeva i latini, soprattutto italiani, e i polacchi, cattolici.  
Edward Ross, un cattedratico influente di Sociologia, che insegnava a Stanford, punterà anche lui l’immigrazione dall’Italia. Nel 1914, prima della guerra, scrivendo:”William non ha tanti figli come Tonio perché non ammassa la famiglia in una stanza, non mangia maccheroni su una nuda tavola, non fa lavorare la moglie scalza nei campi, non fa raccogliere cipolle ai figli invece di mandarli a scuola” – molti cenni sono tratti da Daniel Ockrent, “The guarded Gate”, una ricerca documentaria sulle preclusioni contro cattolici, italiani specialmente, ed ebrei .
Ross era un progressista. Sarà sostenitore della rivoluzione bolscevica in Russia e poi degli interventi pubblici in economia voluti dal presidente della Ricostruzione dopo il crac del 1929,  F.D. Roosevelt. Nel 1937 fece parte della Commissione Dewey, costituitasi in America negli ambienti intellettuali socialisti per accertare la veridicità delle accuse di Stalin contro Trockij – la Commissione processò Trockij in Messico e lo dichiarò innocente. Ross morirà nel 1951.
All’epoca Ross era famoso per l’espressione «suicidio di razza», da lui coniata dal 1900: i differenziali di fertilità tra le donne native protestanti e le immigrate cattoliche avrebbe portato presto alla fine la società americana. Ross invocava una legislazione eugenetica per prevenire questo rischio, basata su una politica demografica a favore delle donne native americane, e sul controllo delle nascite per gli immigrati, anche con la sterilizzazione dei maschi. Due anni più tardi il neo eletto presidente Th.Roosevelt, un pioniere  dell’eugenetica, con la New York Zoological Society da lui fondata nel 1895 con l’avvocato Madison Grant, per il blocco dell’emigrazione dall’Est e il Sud Europa, e la sterilizzazione degli immigrati maschi, dichiarava il suicidio di razza “la questione fondamentalmente infinitamente più importante in questo paese di ogni altra”.
Gli italiani in particolare Th. Roosevelt diceva “la più fertile e meno desiderabile popolazione d’Europa”. Ross ce l’aveva con i napoletani, “una razza degenerata”, con “un’angosciosa frequenza di fronti basse, bocche aperte e lineamenti sgraziati”. Th. Roosevelt sarà Nobel per la pace nel 1906.
Negli anni 1910, con le presidenze Wilson, la polemica anti-immigrati non ebbe scocchi. Ma riprese virulenta subito dopo, negli anni 1920. Un ricco avvocato, immobiliarista, collezionista d’arte e filantropo, Charles W. Gould, argomentava nel 1922 in “America. A Family Matter”, a favore della “razza Nordica”, contro l’immigrazione dall’Italia, contro le donne: “Il matrimonio di un uomo bianco educato e raffinato con una bella contadina del Sud Italia potrebbe rimandare indietro i suoi figli, quanto a sviluppo intellettuale, di molte centinaia di anni” - il libro è ancora in edizione, reperibile online.

Nel 1921 e nel 1925 due nuove leggi introdussero quote nazionali per l’immigrazione, limitate per i latini. La legge del 1925 con le quote nazionali limitative resterà in vigore fino agli anni dopo Kennedy, alla presidenza Johnson. Nel 1921 gli immigrati dall’Italia erano stati 222.260, nel 1921 furono ridotti a 2.662 – e su questo cifra si mantennero negli anni successivi.

leuzzi@antiit.eu

La filosofia della morte, una barzelletta

“La lettura da cima al fondo del suo capolavoro, «Essere e tempo», è l’approssimazione esistenziale di un’esperienza di quasi morte” – per il lettore. Dell’opus magnum di Heidegger, per il quale invece (antisemitismo?) la Todtriebe di Freud, la pulsione di morte, è fonte di “inestimabile gioia” – è come assistere a un funerale, direbbe un Woody Allen immaginario.
“Le barzellette sull’aldilà che spiegano l’aldiqua” è il sottotitolo dell’edizione italiana”. Ma non un libro umoristico, benché dedicato a Woody Allen, “il nostro mentore filosofico, la cui sagace analisi fenomenologica suona vera ancora oggi: «È impossibile sperimentare la propria morte oggettivamente e stare ancora intonato»”. Riflessioni in realtà molto filosofiche, benché semiserie, e intercalate da barzellette in tema, sul perché si rifiuta la morte. Con letture di Freud e la Todtriebe, Schopenhauer, Kierkegaard, Heidegger, Sartre, Platone, e fino all’ipod. Spesso annichilenti – di che stiamo parlando quando parliamo di vita, o di morte. Con note, bibliografia, letture consigliate, e un indice utilissimo dei nomi e delle materie.
Una coppia alla Fruttero & Lucentini applicata alla filosofia (della morte) invece che alla stupidità. Con molto Woody Allen in veste di filosofo. “Tutti vogliono andare in paradiso, ma nessuno vuole morire” è la morale dei due autori.
Thomas Cathcart-Daniel Klein, Heidegger e l’ippopotamo, Rizzoli, pp. 237, ill., ril. €14

martedì 21 aprile 2020

Problemi di base woodyani - 557


spock
“L’esistenza umana è un’esperienza brutale, insignificante – un’esperienza tormentata e insignificante”, Woody Allen?

“La condizione umana è un’agonia”, id.?

“Tutti sappiamo la verità. Le nostre vite consistono in come scegliamo di distorcerla. Alcuni la distorcono con le cose religiose. Ma alla fine ognuno finisce sottoterra, nella stessa insensata maniera”, id.?

“Non è giustizia, non c’è una struttura razionale per questo”, id.?

La metafisica è incomprensibile ma non fa male”. Id.?

“Kierkegaard ci si divertiva”, id.?

“Lagnarsi dà non poco sollievo”, id.?

spock@antiit.eu

Cronache virali

140 medici morti di coronavirus non sono un numero “normale” – anche se alcuni sono morti per concomitanti patologie: mostrano come il virus è stato affrontato con superficialità.
550 morti in una giornata, in cui si liberano solo venti o trenta posti di terapia intensiva, significa che molti decessi sono causati dalla mancata terapia intensiva – è qui il grande differenziale di letalità con la Germania.
Si scopre ora che molti contagiati in età a Milano e dintorni venivano smistati alle case di riposo. Cioè mandati a morire. Facendo così delle case di riposo, Rsa, focolai di contagio. Un’assurdità prima che una leggerezza, o disorganizzazione.
I gestori di queste Rsa, che ora si mandano a processo, sapevano bene di cosa si trattava – smaltire rapidamente la popolazione in età poco o non autosufficiente. La gestora di una  di queste case, che non ha avuto nessun deceduto fra i suoi 84 ricoverati, Manuela Massarotti, “Domus Patrizia”, lo spiega con chiarezza al “Corriere della sera”: “Ricevevo venti telefonate al giorno con la richiesta di accettare pazienti dagli ospedali. Ho tenuto duro”.

La caccia agli untori nelle Rsa

Ci sono nelle Rsa, le residenze sanitarie assistenziali, degli imbrogli. Nei casi in cui non hanno i requisiti ma sono qualificate come tali. Sono abusi, e nel caso di inadeguata assistenza sanitaria, come nelle morti per coronavirus, anche delitti. Ma la responsabilità (colpa) è dei sorveglianti, le Asl (Ats in Lombardia) e i Policlinici cui esse fanno capo: che danno con la convenzione la patente di agibilità, e ne controllano costantemente – dovrebbero - i livelli di efficienza.
Nelle indagini disposte dalla Procura di Milano sono invece esse stesse, e solo esse, indiziate di reato. Anche se hanno agito all’interno di protocolli, di cui esse sono il terminale esecutivo e non quello direttivo.
Le indagini sono una specie di corsa al colpevole. Nella scia della vecchia caccia all’untore.
I cronicari per lungodegenti, qualcuno anche abilitato alla riabilitazione, hanno un compito indispensabile nel sistema sanitario, benché siano tutti a gestione privata: riducono molto il costo della degenza. Che in ospedale invece, per le rigidità sindacali e le malversazioni delle Asl-Ats, è altissimo.
I gestori sapevano bene di cosa si trattava e ritenevano ovviamente di non avere responsabilità penali: il sistema era organizzato in quel modo. L’ospedale cioè manda in Rsa, che costa un terzo o un quarto, il lungodegente o il cronico per il quale non c’è cura risolutiva. La loro incriminazione è un’ipocrisia e non risolve il problema – se è un problema.
Di molti ricoverati in Rsa si scopre adesso che avevano parenti, e anche agguerriti. Ma non molti ricoverati ne avevano prima. 

La favola dei miti antichi

Cura, nell’attraversare un fiume, vide del fango argilloso, lo raccolse pensosa e cominciò a modellare un uomo; mentre stava osservando ciò che aveva fatto, arrivò Giove. Cura gli chiese di dar vita alla statua e Giove la esaudì senza difficoltà; ma quando Cura volle dargli il proprio nome, Giove glielo proibì e disse che doveva dargli il suo. Mentre Giove e Cura discutevano sul nome, intervenne anche Tello, dcendo che la creatura doveva avere il suo nome, poiché era stata lei a dargli il corpo. Elessero a giudice Saturno, che a quanto pare diede un parere equo: «Tu, Giove, perché gli hai donato la vita ...... ne riceverai il corpo! Cura, poiché per prima lo ha modellato, lo possegga finché vive; ma visto che è sorta una controversia a proposito del nome da dargli, lo si chiami uomo, poi che è fatto di humus!». In questa favoletta c’è il primo approdo di Heidegger, nella sua ricerca dell’essere – come spiega in nota a “Essere e tempo”.
La raccolta di favole, del poligrafo ispano-alessandrino che sarebbe stato il bibliotecario di Augusto, resta una godibile narrazione dei miti greco-romani. Chiara per una volta, memorizzabile. Dando ad essi un senso e un esito. A cominciare dalle genealogie, solitamente intricate, qui invece lineari, in apertura della raccolta, e poi in ogni favola.
Caio Giulio Igino, Favole free online

lunedì 20 aprile 2020

Basta chiacchiere sul Mes

Tremonti confinato stamani dal “Corriere della sera” a poche righe, tra le “lettere al direttore” dei colonnelli in pensione, dopo dieci giorni di attesa, in risposta al violento attacco di Mario Monti sullo stesso quotidiano il venerdì santo, in apertura e con largo spazio, che lo rendeva colpevole di tutto, potrebbe dirsi la fine mesta di un ministro delle Finanze e del Tesoro anche geniale (molte finanziarie, la privatizzazione della Cdp, la prima riforma delle pensioni, 1994 – non avremmo avuto la crisi perpetua del debito…). Succede, Milano è crudele.
Ma Tremonti tra i pensionati è anche, se non solo, il capro espiatorio dell’accettazione del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, che ha preso di colpo piede – meglio il Mes che nulla? Lo hanno deciso lo stesso “Corriere della sera”, la Confindustria via “Sole 24 Ore”, il ministro Gualtieri con il Pd, e probabilmente tutto il governo.
La polemica sul Mes è crollata – deve crollare – e con essa la polemica fra Monti e Tremonti. Che battaglia(va)no per imputarsene vicendevolmente la colpa.

Sotto l’Europa, niente

Non si è deciso nulla per il vertice europeo di giovedì, e niente di nuovo è atteso da qui a giovedì, poiché una settimana di negoziati non ha aperto nessuno spiraglio.
Le Borse europee si mostrano in attesa, in apertura di settimana, ma più in forza del recupero di Wall Street. I negoziati per il Consiglio europeo del 23 non sono andati più avanti dell’Eurogruppo del 10 aprile. Che per l’Italia apre un solo spiraglio: l’accesso al Mes, il temuto Meccanismo europeo di solidarietà, “senza condizioni” per quanto attiene le spese sanitarie. Un contributo modesto. La cui certificazione, peraltro, richiederà “condizioni”.
Non ci sono le condizioni politiche per l’emissione di obbligazioni europee. Il fronte che l’Italia aveva messo su con Francia e Spagna a questo fine non è formalizzato, e comunque non si spingerà fino a bloccare il vertice europeo. Mentre un fronte maggioritario emerge da qualche giorno, fra Pd, Confindustria e banche per l’accettazione di “qualsiasi cosa” a Bruxelles si riuscirà a ottenere.
Il governo resiste, perché Conte personalmente e una parte dei 5 Stelle temono di aprire spazi all’opposizione rinunciando ai coronabond e accontentandosi di quanto riusciranno a ottenere. A questo fine lo stesso presidente del consiglio fa “la faccia feroce” con i media tedeschi, la “Süddeutsche Zeitung” dopo la “Bild”. Ma un consistente build-up  dei maggiori media si sta creando, non contrario l’apparato di palazzo Chigi, per un’accettazione dello stesso Mes “senza condizioni per le spese sanitarie”.

Il mondo com'è (401)

astolfo

Francia – È ritornata la “figlia prediletta della chiesa” con la visita del presidente Macron in Vaticano il 25 giugno 2018? Il presidente francese avendo fatto valere nell’occasione il battesimo da lui eccezionalmente richiesto e ottenuto a dodici anni. In ricordo forse di Carlo Magno, che si era fatto battezzare proprio in Vaticano, nel cosiddetto “braccio di Carlo Magno”.
Lo è stata da tempo immemorabile, da Clodoveo I, 496. A Roma in Laterano, chiesa cattedrale della città, del vescovo di Roma, Macron ha ricevuto nell’occasione il titolo di “primo e unico canonico” della basilica, in quanto erede di Enrico di Navarra, l’ugonotto che si era fatto cattolico per diventare re di Francia, Enrico IV,  avendo deciso che “Parigi val bene una messa”. Con una cerimonia solenne, denominata “Célébration pur la France”, con preghiere e inni, e la benedizione del mons. Angelo De Donatis, vicario del papa e cardinale in petto. In udienza dal papa Francesco, Macron si era intrattenuto per un’ora, un tempo insolitamente lungo. E l’incontro era terminato con una carezza al papa, e un abbraccio.
La Francia era “figlia prediletta della chiesa” dalla conversione di Clodoveo, che aveva fatto del cristianesimo la religione di Stato. Fu residenza dei papi nel Trecento, ad Avignone. Il re francese aveva il titolo di “cristianissimo”. Un rapporto finito con la Rivoluzione del 1789, dopodiché la Francia fu “repubblicana”, cioè laica massonica. Come con le presidenze della Quinta Repubblica anteriori a Macron, specie con i socialisti Mitterrand e Hollande. Non col gollismo, invece. Il generale De Gaulle fu tra i primi a rendere visita a Giovanni XXIII, il 27 giugno 1959. Chirac fece vista a Giovanni Paolo II  nel 1996 per preparare i festeggiamenti per i 1.500 anni della conversione di Clodoveo e della Francia. Sarkozy a Natale del 2007 fece visita a Benedetto XVI rinnovando la cerimonia al Laterano, e confermando per la Francia il titolo, leggermente modificato, di “Figlia primogenita della Chiesa”.
Nella storia più volte la Francia ha sostenuto il papato. A cominciare da Pipino il Breve, chiamato in Italia dal papa Stefano II contro  Longobardi. Pipino fece due spedizioni, conquistò l’esarcato di Ravenna, e ne fece dono al papa, embrione del futuro Stato pontificio. Il fratello e successore del papa Stefano II, Paolo I, diede alla Francia come protettrice santa Petronilla, martire romana venerata come figlia di san Pietro – nella cappella che ospita il sarcofago della santa, sul alto destro di San Pietro, si celebra il 31 maggio una messa per la Francia, alla presenza dell’ambasciatore e del capitolo della basilica. Con Carlo VIII, sono i re francesi che diventano “figlio primogenito” della chiesa. Tradizione che finisce con Luigi XVI. Napoleone si qualificherà “figlio primogenito della chiesa” nella corrispondenza col Vaticano, ma Pio VII – che di Napoleone fu prigioniero a Fontainebleau per alcuni anni – non diede cenni di riconoscimento.
La dizione “Francia figlia primogenita” appare con Lacordaire, o Ozanam, negli anni 1830, ed è assunto dalla Repubblica del 1848. Pio IX la usa ufficialmente dopo essere stato ristabilito a Roma dalle truppe fracesi nel 1849.

Garibaldi – “Dalle logge massoniche dell’Uruguay alle logge  massoniche di Scozia”: lo scrittore Jean-Noël Schifano, “napoletano” ad honorem, fervente anti-unitario, lo fa “il Grande Agitato” in un ritratto dissacratorio con cui chiude “Le corps de Naples”. “Un metro e sessantacinque, gambe arcuate, vermiculate  di reumatismi, due persone per issarlo in sella, capelli lunghi per mascherare l’assenza di un’orecchia morsa e strappata da una dona violentata, due volte supremo grado 33 delle massonerie, che non aveva braccia abbastanza lunghe per sguainare da solo la spada”. E ancora: “Si moltiplicò sotto differenti uniformi mercenarie dall’Argentina a Genova-Quarto, da dove partì la spedizione dei Settecentodue, le cui camicie rosse provenivano da uno stock rubato ai mattatoi di Buenos Aires”.

Maria d’Avalos - Stendhal manca ne “La duchessa di Paliano”, a proposito degli eventi tragici dentro la famiglia Carafa, quello ancora più eclatante che avrebbe avuto luogo a Napoli qualche anno dopo i fati da lui narrati. L’assassinio di Fabrizio Carafa nel 1590, per mano di Carlo Gesualdo principe di Venosa, nonché “principe dei musici”, che un piccola corte intratteneva alla composizione di madrigali, di cui è l’autore forse maggiore e il più famoso, insieme con la propria moglie Maria d’Avalos, trent’anni e tre mariti, di cui Fabrizio era l’amante.

Maria, già famosa di bellezza, era stata sposata a quindici anni a Federico Carafa. Anche lui giovane, colto, sapeva di latino e greco, e bello, noto come “un angelo terreno”.  Maria era figlia di Carlo D’Avalos, di nobiltà ispanico-napoletana, una famiglia di governatori di Milano e viceré di Sicilia. Carlo era nato a Milano, da Alfonso, governatore per conto di Carlo V, che lo avrebbe anche tenuto a battesimo, donde il nome. Alfonso è il dedicatario della “Priapea” di Nicolò Franco, il “Gran Marchese”, il “divino Alfonso”, il “sacro Alfonso”, il “magnanimo Alfonso”, nonché “generosissimo” – benché gli osceni sonetti non risparmino Carlo V. 
Il matrimonio si fece nel marzo 1575, ne nacquero due figli, e poi, a ottobre del 1578, Federico all’improvviso morì. Quindici mesi dopo un doppio matrimoni fu combinato: Maria andò sposa in Sicilia ad Alfonso Gioeni, marchese di Burgio e Giuliana, mentre suo fratello Alfonso Francesco ne sposava la sorella, Margherita Gioeni. Il doppio matrimonio finì male: nel 1584 Alfonso Francesco resterà vedovo di Margherita, due anni più tardi vedova resterà Maria. Ma per poco.
Rientrata a Napoli, Maria fu subito sposata nello stesso 1686 a Carlo Gesualdo, principe di Venosa, figlio di Geronima Borromeo, sorella di Carlo, il futuro santo, nipote del papa Pio IV, Giovanni Angelo Medici di Marignano – che per aver e combinato il matrimonio aveva nominato cardinale lo zio paterno di Carlo, Alfonso Gesualdo. Lei di 25 anni con due figli, lui di 23. Con una dispensa papale speciale di Sisto V Peretti, per l’età di lui, e perché gli sposi erano cugini: la madre di Maria, Sveva Gesualdo, era zia di Carlo. Il papa non voleva, ma fu presto convinto. La coppia andò ad abitare a palazzo Sansevero, in piazza san Domenico Maggiore, un edificio che sarà reso famoso due secoli più tardi da Raimondo di Sangro, filosofo, alchimista, esoterista, Gran Maestro della massoneria, e artefice nel 1753 della cappella Sansevero o del “Cristo velato”, del Cristo che “traspare” sotto un  sudario di marmo.
La coppia ebbe un figlio, Emanuele. E visse senza storia, a parte l’attività musicale di lui. Finché a un ballo Maria non incontrò Fabrizio Carafa, duca d’Andria, suo coetaneo. Sposato anche lui, con una Carafa lontana cugina, impalmata quando lei aveva tredici anni, e anche lui padre, di quattro figli. Ma “bello come un Adone e forte come Marte”, dicono le storie. Ne nacque una tresca. Che fu svelata a Carlo  dallo zio Giulio Gesualdo, sposo a Napoli di Laura Caracciolo, il quale si era invaghito della nipote e l’aveva corteggiata, ma ne era stato rifiutato.
Il principe musicò inventò un battuta di caccia agli Astroni, nell’agro napoletano, abbastanza lontano per non consentirgli ritorni precipitosi, e si apposto vicino il palazzo Sansevero, in casa di parenti. Il racconto dell’eccidio è stato fatto dalla cameriera della principessa, Silvia Albana. Maria morì sgozzata, con molte coltellate in tutto il corpo, l’amante fu ucciso con due archibugiate, e sfregiato di coltellate. A opera di Carlo, e di un suo uomo di mano, Pietro Maliziale detto “Bardotti”. Il quale il giorno dopo agli inquirenti testimonierà in modo da scagionare il suo padrone. Consegnò una chiave degli appartamenti della morta, dicendo che ce l’aveva l’amante. E testimoniò che il principe Carlo era andato a letto normalmente la sera prima, e quindi non c’era premeditazione: erano intervenuti a palazzo Sansevero perché attratti da rumori molesti, e lì il principe s’era reso conto del tradimento.
Maria fu sepolta a san Domenico Maggiore, su disposizione della madre Sveva Gesualdo, la zia di Carlo. Fabrizio Carafa invece non ebbe funerali: la vedova Maria Carafa, 24 anni, ne consegnò la bara a un gesuita per la sepoltura, e si ritirò in convento.  
Tre anni e mezzo dopo il duplice delitto d’onore, Carlo Gesualdo principe di Venosa sposava Eleonora d’Este. Proverà successivamente a sposare il figlio Emanuele, avuto da Maria d’Avalos in casa d’Este, con la figlia di Cesare, fratello di Eleonora, che aveva tentato di proclamarsi duca di Ferrara alla morte del cugino Alfonso II, a fine 1597, ma scomunicato dal papa aveva ripiegato sul più modesto ducato di Modena. Malgrado la bassa fortuna, Cesare non fu entusiasta del matrimonio, e allora Carlo sposò Emanuele in Boemia, con la contessina Maria Polissena zu Fürstenberg.  

astolfo@antiit.eu

Tutto è numero

Se la musica è numerica, allora tutto è numero. La matematica è Pitagora e la sua scuola - insieme con la metempsicosi e l’eterno ritorno. O quando scienza e humanities andavano d’accordo: è Pitagora, matematico, a coniare la parola e il concetto di filosofia. Nel VI secolo a.C., della fioritura mistica, nota il matematico Maracchia: Budda, Lao Tse, Confucio, Zoroastro, Pitagora. Nel quadro di un “rinascimento ionico”, che avvia “il pensiero razionale in Occidente”: Talete, Anassimandro, Anassimene, più Scabeo, pimo storico, antesignano di Erodoto – Pitagora vive e insegna a Crotone, dopo un lungo apprendistato in Egitto, e forse a Babilonia, ma è nato a Samo.
Un quadro semplice e preciso del personaggio, il suo insegnamento, i suoi eredi, con le vite di Proclo e Giamblico, e tutti i riferimenti pertinenti di Plutarco, Ateneo, Diogene Laerzio. Una scuola fertile di ingegni e invenzioni, la sua. Sono pitagorici, della prima o seconda scuola, Empedocle, Anassagora, Filolao, Ippaso di Metaponto, il famoso Archita di Taranto. Una scuola molto rigida: i candidati restavano sotto osservazione per tre anni, all’accesso erano solo uditori per cinque anni, dopodiché entravano alla scuola di pieno diritto, versando tutto il loro patrimonio. Una sorta di sacerdozio laico. Ma per un’attività di calcolo e pensiero, che il curatore espone in dettaglio nei suoi tanti esiti sempre validi, e fertili ancora oggi – se il lettore ha buona conoscenza delle matematiche.
Una scuola poi dissolta per beghe politiche dentro Crotone e fra Crotone e Sibari. Ma abbastanza attiva per modellare non solo la maematica, ma anche la fisica. Tutto è numero è, diranno il matematico Federico Enriques e lo storico della scienza De Santillana a proposito del pitagorismo, “una grande idea: in un certo senso il principio della fisica matematica moderna”.
Sono pitagoriche la matematica e la geometria. Le proprietà “magiche” dei numeri. La soteriologica tetraktys – decade: 1 + 2 + 3 + 4 = 10. I numeri figurati. Le medie e le proporzioni. È in ambito pitagorico che si articola la sezione aurea, o costante di Fidia. E insomma, “le applicazioni pratiche derivanti dalla matematica pitagorica non sono altro che… tutta la matematica”.
Già in antico in ambito pitagorico si formulano ipotesi e calcoli sulla sfericità della terra, e sul movimento attorno al sole. Di cui terranno conto Copernico e Keplero. L’ultimo studio su Copernico, del polacco Bronislaw Bilinski, sì intitola “Il pitagorismo di Copernico”.  Keplero dirà: “La geometria ha due grandi tesori: uno è il teorema di Pitagora; l’altro la divisione di una linea in media ed estrema ragione. Possiamo paragonare il primo a una misura d’oro, e chiamare il secondo un prezioso gioiello”.
Silvio Maracchia, Pitagora, Corriere della sera, pp. 167 € 6,90