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sabato 8 agosto 2015

Letture - 223

letterautore

Aleramo – “Che duro mestiere essere una bella donna”, ha confidato Baudelaire in “Confessione” uno dei “fiori del male”. Si può capirla, fra tanti Nobel e candidati: fu faticoso.
Fu – per molti lo è ancora – l’icona della donna liberata per il partito Comunista, anche per Togliatti. Una certa concezione della donna ne emerge.

Céline – Non ha lasciato inediti, ma una corrispondenza interminabile. Di cui cioè si fa la scoperta a pezzi. Da ultimo, dopo la corrispondenza assemblata nella Pléiade nel 2009, le cinquecento lettere a Marie Canavaggia, la segretaria.  E altre, di cui il curatore della Pléiade, Jean-Paul Louis, pubblica gli aggiornamento ne “L’année Céline”.
Nelle lettere alla Canavaggia si è scoperto, tra i tanti, un corrispondete sconosciuto, il dottore Gentil, che ne ha conservato le lettere, che ora si pubblicano. Mancano in particolare le lettere ai familiari, i cui eredi non hanno voluto avere nulla da spartire con lo scrittore: alla prima moglie Edith Follet, che pure ha lavorato nell’editoria come illustratrice, e alla figlia Colette. Questa, una signora grande, bionda, molto dignitosa, ricorda il padre, nei frammenti di memorie che ha lasciato (una trentina di fogli pubblicati in parte da “Le Figaro Littéraire” il 26 maggio 2011), ma non lo frequentava, in casa sua lo scrittore non era ben visto, e anche i suoi figli se ne sono dissociati, pretendendo anzi di non averlo mai letto – Céline detestava il genero Yves Turpin, colpevole di aver fatto cinque figli a Colette, quasi senza intervallo.
Questo campo aperto disturba i biografi, anche perché è una corrispondenza vera, molto spontanea cioè, non a fini di pubblicazione come è spesso il caso dei letterati. Quella con Marcel Aymé avrebbe potuto essere una di queste, ma Aymé buttava le lettere ricevute una volta che aveva risposto. Sono molto lacunose anche le corrispodenze con gli amici, con Gen Paul e Robert Le Vigan.   
Tra le corrispondenze invece che si sanno perdute la più importante è quella con Paul Lévy, giornalista (all’“Aurore” di Clemenceau) e poi editore in proprio, col settimanale “Aux Écoutes” – che gli sopravviverà di dieci anni, fino al 1969. Lévy si distinse nel 1933, all’avvento di Hitler, promuovendo e agitando una campagna per la guerra preventiva alla Germania hitleriana. Dopo la guerra, su posizioni antigolliste, sarà il primo a pubblicare Céline, malgrado i processi.

Il razzismo (vedi “Pericolo giallo”, sotto) è un preconcetto si può dire “originario” – di mentalità, educazione, epoca - di Céline. Molto prima dei pamphlet antisemiti. Non ce n’è però traccia nella sua avventura africana: in Africa forse non considerava i neri.

Classico – Si definisce su parametri ormai “classici”, quelli della triade Sainte-Beuve, “Qu’est-ce qu’un classique?” (1850), T.S.Eliot, “What is a classic?”, 1944, e Frank Kermode, “The Classic”, 1975. Che però combaciano su tre criteri: l’universalità, la durata, la maturità (rappresentare un mondo nel miglior modo possibile, fra i tanti noti).
Kermode scriveva di Virgilio, “creato” classico in vita dalla politica imperiale, a fini politici, seppure di ampia portata. E anche questo è un criterio: si erigono a classici gli autori “più” contemporanei. Ma Virgilio è sopravvissuto.

Dante – È imperialista, oltre che libertario. Nel senso dell’impero, dell’unità politica (del mondo cristiano), come si sa. Ma anche di una cultura dominante, e non irenico, anzi un combattente. In questo senso fu al centro del progetto di Mussolini di un Danteum, o “Tempio a Dante, che doveva sorgere nei Fori Imperiali, commissionato agli architetti Pietro Lingeri e Giuseppe Terragni, con sculture giganti di Sironi.

Germania – “Parlino gli altri della loro vergogna,\ io parlo della mia”, Brecht appose alla lirica “Germania” nel 1933, quando il danno era fatto. Non era tenero però neanche prima: “Germania, tu bionda, pallida”, 1920, è ugualmente sdegnata – “la terra del quando mai” (il Sankt-Nimmerleins è idiomatico per dire il santo del Mai). Un po’ alla Malaparte sull’Italia, alla Pasolini. Che però non sono considerati antitaliani, solo dei letterati vigili, e umorali, mentre Brecht è poco tedesco. Lo è ma per una minoranza.

Giallo – Ha subito una bizzarra degenerescenza, perlomeno in Italia; da genere sospetto, ai lettori oltre che alla critica, a genere passepartout . Tutto è ora giallo, anche la vicenda sentimentale, sociale, storica – si parla del giallo genere editoriale o letterario. È l’effetto Camilleri, vent’anni di primi posti in classifica dei più venduti, al ritmo di uno ogni paio di mesi? Si può capire che librai e editori – che si contendono Camilleri con rilanci, e letteralmente gli strappano i fogli dalle mani – riconducano tutto al genere. O il lettore vuole sempre, in ogni vicenda, un profumo di malsano – crimine, cattiveria, corruzione, furberia?

Pericolo giallo – S’incontra presto in Céline, a ridosso dei suoi primi viaggi in America, nelle lettere e nei “testi sociali”. Un decennio, più o meno, prima dei pamphlet. Il risentimento preconcetto contro i “gialli”, cinesi e giapponesi, che arrivavano attirati dagli alti salari, era forte e radicato in California.

Poesia - È morta con la critica? È un’ipotesi. Se la collana storica di poesia  Lo Specchio chiude,  mentre il genere dilaga in libreria: mai visti tanti scaffali di libri di poesia, che si rinnovano, quindi si vendono,  con voluminose opere complete a ripetizione, anche di viventi.
Alfonso Berardinelli lamenta la fine della poesia, e contemporaneamente la moltiplicazione del popolo dei poeti, superficiali, presuntuosi, invadenti. Che non è una buona cosa, lamentarsi – gli invadenti ci sono sempre, ma talvolta sono appassionati. Ed evidentemente leggono, questo è il punto, poiché appunto gli scaffali si moltiplicano, le opere compete etc., e l’assortimento si rinnova. Quello che non c’è più è appunto Lo Specchio, cioè il poeta che si edita consacrato, su un piedistallo critico: una collana di poeti dal potenziale sceverato se non accertato o consacrato. Ma allora è per carenza di interpreti, di critici – che magari ci saranno, ma a altre opere. L’autore è sempre il suo interprete. È così che Pasolini “nacque” con Contini, Montale con Gobetti (e Cecchi, Sergio Solmi, Debenedetti), Saba con Debenedetti. Quasimodo “nacque” con “Solaria”, e così via: mancano anche le riviste o le relazioni di affinità – i festival non servono a niente. Non mancano i poeti evidentemente, e anzi sovrabbondano, gli interpreti sì.
Anche Matteo Marchesini, poeta, narratore e saggista, lamenta “la foresta editoriale della poesia italiana, groviglio di piante parassitarie senza più stacchi tra bosco e sottobosco”. Ma questa non è una lamentela da sottobosco?

letterautore@antiit.eu

La creazione di Rilke

Una monografia in memoria, scritta a caldo subito dopo la morte di Rilke a fine 1926, pubblicata nel 1928. Con ampi stralci delle lettere del poeta. Ma anche l’avvio di un assetto critico dì Rilke tra i grandi del Novecento. “scientifico” al modo di Lou, un misto di poesia, psicoanalisi e critica letteraria.
Indirettamente, anche un’autocelebrazione, per il ruolo avuto da Lou nella maturazione di Rilke, nei tre anni del loro rapporto intimo, 1897-1900, e poi, dopo un intervallo di tre anni, nella costante, lunga corrispondenza. Che però non traspare, non c’è compiacimento: la bionda russa che fece disperare – si dice per dire – Nietzsche fu per Rilke una benedizione, in tutti i sensi.
In realtà una trasfigurazione poetica, in forma dialogica. E un ritracciamento dei percorsi inconsueti di Rilke: il “confronto” con Dio, poi con l’angelo, il dissidio con la corporalità, l’esoterismo – nel quale Lou non lo segue più.
Lou Andreas-Salomé, Rainer Maria Rilke. Un incontro, SE, pp. 115 € 13

venerdì 7 agosto 2015

La storia perduta dell'Iran

Un terzo di  secolo di dominio incontrollato degli ayatollah, trentasette anni per l’esattezza, hanno partorito un accordo da media potenza, come era nelle ambizioni dello scià. Un terzo di secolo di repubblica islamica che si ricorda solo per il rigorismo reazionario e proibizionistico. Nell’oscurantismo, che è un’offesa per una nazione di tanta storia come l’Iran: culturale, politico, morale, e perfino teologico – lo spessore dottrinale di Qom e degli ayatollah si è dissolto negli affari e gli intrighi.
Niente è meglio che al tempo dello scià, e molto è peggio. È finita la poesia. È finito il cinema. È finita la società mediorientale più integrata, uomini e donne insieme, comunità religiose, comunità etniche. Non c'è la corte, ce ne sono molte. Le masse non stanno meglio. Non c’è più democrazia, anzi ce n’è sicuramente meno che con lo scià. La borghesia è sempre quella asfittica dello scià, dei bazarì, dei commercianti: affari di poco respiro e nessuna generosità – giusto le decime agli ayatollah – o innovazione.     

L'euro fa bene alla Germania

L’euro fa bene alla Germania, ma in quanto fa male ad altri paesi dell’Unione: è su un vantaggio comparato (competitivo) che si regge la cosiddetta moneta unica, da dieci anni a questa parte. Da quando cioè la Germania unita, destra politica, sinistra e sindacati insieme, per uscire dalla crisi di competitività europea nell’economia globale (delocalizzazioni, disinvestimenti, scarsa propensione all’investimento), liberalizzò totalmente il lavoro. Per poi ritagliarsi, per l’abilità politica del primo governo Merkel, la parte del leone negli aiuti europei alle banche in crisi nel 207. Stringendo subito dopo gli aiuti europei, quando a trovarsi in difficoltà fu il debito pubblico, in Italia, in Francia, e naturalmente in Grecia.
Si presenta il problema euro come un fatto tecnico. Di poteri diversi della Bce, e di tecniche di gestione della massa monetaria. Mentre il problema è l’asimmetria che si è venuta a creare, di fatto, nel sistema reale di pesi e poteri – con la preminenza economica la Germania si è assicurata anche quella politica e decisionale. L’euro è il marco. E gli altri, tutti ostaggi?

Cosa resta della Grecia

Non c’era una Germania contro la Grecia. La sindrome Grecia non c’è in Germania, e non c’era – il Bundestag ha votato rapido a grande maggioranza gli aiuti alla Grecia, e amen. Anche la “Bild Zeitung” non ha più mal di pancia. Nessuno pensa in Germania che i greci mettano le mani nelle loro tasche, o pochi. E dunque?
Chiuso subitaneamente il “dramma popolare”, resta la questione a freddo. Un’operazione politica cinica e spregiudicata, che impone la Germania all’Europa, e Angela Merkel alla Germania. Che non per caso subito dopo la chiusura della “Grecia” ha fatto sapere che si candiderà di nuovo alla cancelleria, con ben due anni d’anticipo. Un progetto non ingiustificato, forte di una consenso, come spesso succede in Germania per chi vince, plebiscitario. Tanto più se i socialdemocratici, una delle due formazioni politiche pilastro della Germania Federale, insieme con la Democrazia Cristiana, faranno come dicono, non tanto per scherzo, che potrebbero non presentare candidati contro Angela Merkel.

Fortezza Germania

Angela Merkel ha costruito forse una fortezza Germania dentro l’Europa. O forse no, resta da vedere. Sicuramente ha costruito un impero Merkel sulla Germania. Che, purtroppo non è una novità, è portata a sbandamenti ora per questo ora per quel personaggio di successo (carismatico).
Lo ha costruito a costi gravissimi per altri paesi, tra essi l’Italia. E per questo resta da vedere se l’Europa sarà “germanica”. Una crisi interminabile, e la moltiplicazione dei disoccupati. Un’uscita dalla crisi debole: l’Europa è sempre ultima nella ripresa dell’economia fra le grandi aree globali. Un costo del denaro elevato malgrado l’inflazione negativa, specie per il debito pubblico. Convulsioni interminabili dei mercati finanziari, con ripercussioni disastrose sui piani di finanziamento e investimento di molte imprese. Tutto questo senza nessuna ragione. Ma lo ha fatto.

Il giallo sbiadito

Si riedita un “classico”, di dieci anni fa: tre dei racconti del delegato di Pubblica Sicurezza Ricciardi con cui De Giovanni esordiva nel 2005, “L’omicidio Carosino”, “I vivi e i morti”, “Mammarella”. Con una nota di Aldo Putignano, “Gli esordi del commissario Ricciardi”, e una dello stesso De Giovanni, “Io e Ricciardi”. Putignano evoca McBain e Conan Doyle, ma è una falsa pista. Ricciardi è un eunuco che ha le visioni: “vede” gli atti di violenza mortali. E dunque i casi si sanno risolti, l’ingrediente è più noir che suspense. E il noir si riduce all’atto di violenza, in genere un atto di penetrazione, con punta acuminata. Più del genere horror, anzi splatter. Negli anni 1930, quindi col contorno scontato delle fascisterie. Anche involontarie – “A 37 anni compiuti (Ricciardi) non aveva mai avuto una donna”: “mai avuto”, di una donna, non si diceva nel fascismo?
È sbiadita anche Napoli. Piove sempre sul delegato e questo è una pennellata di realtà, Napoli è piovosa. Ma anche qui a modo suo, sempre speciale: “A Napoli piove in orizzontale, quando lo scirocco ti sputa in faccia”, come se non piovesse “in orizzontale” pure altrove, il vento è ovunque. E il Gambrinus reale, dove Ricciardi fa tana, è ben più vivace. Tutti vittime del resto, colpevoli o innocenti.
Maurizio De Giovanni, L’omicidio Carosino, Rizzoli Vintage, pp. 121 € 7,50

giovedì 6 agosto 2015

Problemi di base - 239

spock

Nessuno sapeva niente a Roma di Mafia Capitale, di cui tutti sapevano: la politica è sorda e cieca?

O è Mafia Capitale un caso generalizzato di omertà – Sciascia direbbe che la “linea della palma” è salita a Roma?

Chi è Sciascia?

E la “linea della palma”?

Perché la Sicilia si attribuisce tutte le infamie, quando gli altri sono più bravi?

Ma, poi, la Mafia Capitale è finita con Buzzi? (questo non lo crede neanche Marino)

Sbarcati a Roma, Pignatone e Prestipino non cercano più il terzo livello: questo è strano, la mafia a Roma è tutta di terzo livello
 
spock@antiit.eu

L'amore ininterrotto

Un incontro che è come una seconda nascita, quello di Rilke ventunenne con Lou Andreas-Salomé  di trentasei, l’allumeuse di Nietzsche. Un’amante che accorda alla giovane promessa delle lettere, a fiuto, ben più che al suo proprio marito, il dottore Andreas, col quale il matrimonio volle bianco - lui lo faceva con la serva, dalla quale ebbe anche una figlia, che Lou adottò. Amante e insieme madre, nutrice e liberatrice.
Tre anni dopo, nel 1900, alla fine del secondo viaggio insieme in Russia, patria di lei, dove conversano con Tolstòj e Pasternak, Lou lo lascia: René, che per lei si è trasformato in Rainer, una rinascita anche anagrafica, deve “progredire” verso l’arte, di cui lei lo sa dotato, da solo. E la cosa funziona. Ancora tre anni e la corrispondenza riprende, sempre densa, fino alla morte di lui, il 29 dicembre 1926 – l’intervallo di tre anni doveva servire a Rilke, che sposò la coetanea Clara Westhoff, ne ebbe una figlia, Ruth, e se ne separò, della madre e della figlia, per trovare stimoli e percorsi creativi.
Almeno un paio di lettere fanno testo a sé. La scoperta di Parigi, quando ci risiedette per il suo progetto su Rodin: di un mondo estraneo, che si rivela specchio della sua “estraneità” al mondo, alla vita di ogni giorno – salvo ricredersi successivamente, un paio di volte, trovando la città ispiratrice e produttiva. O la riscoperta, solo, a Roma, di Lou - “luogo sicuro al quale il mio sguardo è rimasto fisso” - dopo la rottura pratica del matrimonio: a Roma si convince che non è la famiglia,  neppure la figlioletta, a legarlo alla realtà ma solo il suo proprio lavoro, di ricerca e creazione. O Avignone, la rocca dei papi. E Les Baux. L’insieme è di un lungo, costante, memorabile rapporto amoroso. Complicato dall’incesto, per quanto figurativo: lui un mostro di autoindulgenza, lamentosissimo sempre, di mali fisici di ogni genere, nonché spirituali, benché eternamente in viaggio, ospite di patroni facoltosi (una cinquantina di residenze diverse sono state censite in vent’anni o poco più, solitamente nei castelli, spesso in uso personale, periodicamente anche a casa di Lou), lei comprensiva e generosa, la inaffettiva Lou.
Si sono incontrati a mezzo del Cristo, René con le “Visioni del Cristo”, Lou con l’ipotesi di un Salvatore abbandonato da Dio, allora nuova. Ma il rapporto è totale, carnale e psichico. Una “fusione”, come lei lo chiamava. Un altro triangolo attorno a Lou, intellettuale come quelli con Nietzsche e Freud, ma anche sentimentale e anzi fisico. Un coito  ininterrotto, seppure a distanza,  per le reciproche presenze interiorizzate. Insieme appropriative e rispettose, di rispetto reciproco. A differenza che con Nietzsche e Freud, Lou è anche la levatrice dell’opera di Rilke, dedicataria del “Libro delle ore”. Con l’aggiunta di “una dimensione terapeutica non trascurabile”, annotano i curatori di questa silloge, una ventina di lettere, Jacques e Dominique Laure Miermont, uno psichiatra e una germanista, studiosa di Annemarie Schwarzenbach.
Nel “Diario” Lou classifica Rilke nel 1913, poeta ormai famoso, “isterico tipico, che si perde nei suoi stati fisici, e non meno perduto, consegnato dai suoi abbandoni, costantemente possessione senza possessore, che non sa a chi appartiene quando non si abbandona, in qualche modo liberato, alla creazione, il suo grande rifugio”. Ma questa osservazione analitica, costante da parte di Lou, a valle delle dettagliatissime lettere di Rilke, non dissecca il rapporto. Che prosegue orgasmico, e liberatorio. Per entrambi, ma per Rilke di più – Lou rinchiudendosi nell’esercizio psicoanalitico, e tuttavia vigile e amorevole, la “cura” esercitando al meglio, terapeuta attenta e creativa.
Rainer Maria Rilke, Lettres à Lou Andreas-Salomé, Mille-et-une-nuit, pp. 127 € 3

 

Il gabbiano pedone

Tra le macchine parcheggiate lungo il marciapiedi una sorta di papero si aggira, sculettante, un colpo in là, uno in qua, come un piedipiatti. Come un marinaio anche, un animale di mare sbarcato in terraferma, ma ridotto all’elemosina, perché di questo va in cerca, di qualcosa da mangiare. Un volatile subito antropizzato, il solo forse, che non si allontana al’incontro, non svolazza, perfino la gallina ancora non si è assuefatta all’uomo, e lo teme e lo fugge. Una sorta di barbone. Dignitoso e anzi pieno di sé, malgrado l’ancheggiamento scurrile, uno che non guarda mai in faccia. Ma, tristemente, non più quello - non la figura trasparente nell’illuminazione notturna a piazza Venezia, che si librava leggera, elegante, in volute, avvitamenti, lunghi, lenti planari, quando, risalendo il Tevere, si fece cittadino. Non è il solo.
È il primo che si aggira zampettando ma altri sono da qualche tempo stanziali. Uno davanti al macellaio, a una certa ora del pomeriggio, sempre alo stesso posto, immobile. Uno davanti al pescivendolo all’ora di pranzo – se non è lo stesso, il pescivendolo non riapre il pomeriggio. Uno davanti al “Cortile”, il ristorante di quartiere, fisso allo stesso posto, sul tettuccio della macchina che occasionalmente vi sia parcheggiata, alle tre del pomeriggio – si po’ mettere l’orologio, come il dottor Unrath dell’“Angelo Azzurro”.
Molti anni sono passati dalla risalita del Tevere, e ora il gabbiano è terragno, una delle tante specie di palmipedi. Col becco piatto e non ad artiglio come si immagina. Una piccola oca, ben proporzionata – ma, pare, non commestibile. Silenziosa e non starnazzante. L’occhio immobile puntato sulla porta dalla quale verrà il cibo. Usava librarsi, il verso sgraziato ma il volo leggero, sulla città sopra le luci di notte, nella trasparenza del cielo, ora starà rintanato sotto i ponti, come ogni altro vivente sfortunato, di giorno occupando, alle ore canoniche, ognuno un posto suo riservato per la questua, Non fosse per la pulizia, si direbbe un mendicante barbone.

mercoledì 5 agosto 2015

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (253)

Giuseppe Leuzzi

Paginate dei giornali locali, da Napoli in giù, sul piagnisteo di Renzi – “faremo qualcosa per il Sud ma smettiamola di piangerci addosso. Però: avere miliardi da spendere e non saperli spendere, in Sicilia, in Campania, in Calabria, anche in Sardegna e in Puglia, questo è un fatto. Il Sud è in larga misura da molto tempo vittima della sua propria cattiva amministrazione.

Dunque, un giovane sposo di Caltanissetta, al termine di una trepida gravidanza della sposina, ha un figlio “nero nero”. È suo, non è suo? I tempi della gravidanza sono quelli del viaggio di nozze. Lui aveva un avo nero, lei aveva un avo nero? No, lei non ha resistito alle grazie di un giovanottone africano in servizio nel resort di vacanza. Che ne direbbe Riina? Queste cose addolorano i professionisti dell’antimafia. Ma, certo, la mafia non è tutto – ci sono anche le sposine, in S icilia, che se la fanno con un bel giovane.

Il mare omerico colore del vino, vecchio indovinello, ha un’eco in Shakespeare, nell’atto secondo del “Macbeth”, alla scena seconda. Il re con lady Macbeth evoca, dopo il minaccioso “sleep no more”,  “gli innumerevoli mari che invermigliano, rendendo rosso il verde” (trad. di Giuseppe Costigliola).
Qui si tratta di sangue. Il re evoca con lady Macbeth i suoi delitti, e dopo lo “sleep no more”, la maledizione dell’ultima sua vittima, si chiede: “Laverà l’acqua dell’oceano tutto questo sangue dalle mie mani? No, al contrario le mie mani macchieranno il mare di scarlatto, facendo rosse le acque verdi”.
Però: e se anche il mare di Omero fosse diventato rosso di sangue?

La “donna del Sud” gentile di tanti libri e film americani è invece forte nel ritratto che Lillian Hellman dedica alle zie nubili con le quali è cresciuta a New Orleans. In “Pentimento” e in “Maybe”, due delle quattro memorie semi-autobiografiche, assegna alle zie un ruolo e una competenza rare, Le insegano a comportarsi “da signora”, ma senza conformismi. E sono anzi un esempio di contestazione, oltre che di fierezza e di coraggio,.

“Noi meridionali bianchi”, aveva scritto Lillian Helliman in “Il tempo dei furfanti”, sulla persecuzione maccarthysta in America contro i “comunisti”, “cafoni, reazionari e no, siamo tutti tirati su con al convinzione che sia nostro diritto pensare come ci pare, e andare per la nostra strada, per stravagante che sia”. È vero, dev’essere un fatto di meridiani, il compromesso con se stessi oppure no.
Certo, i meridionali italiani non sarebbero bianchi, ma per il resto.

L’Orientale, l’università di Napoli, si è gemellata con Shangai. Che ha preso sul serio la cosa e subito ha mandato un costosissimo e ingombrante Confucio in marmo. S’immagina la capitale del Sud della Cina, e suo grande porto, all’idea del gemellaggio con Napoli, che nella memoria dell’Estremo Oriente, quando ancora si viaggiava per nave (anche con la flotta Lauro), fino ai primi anni 1960, era la porta del’Europa: l’Asia metteva piede in Europa a Napoli – la città è tuttora popolarissima in Giappone e Cina: le canzoni, i mandolini, la pizza e tutto. Sorpresa invece e sconcerto all’Orientale. Il montante e il declinante?

Senza scandalo, questo si legge nel rendiconto di un Comitato di mobilitazione civile di un remoto paese della Calabria, uno dei tanti creati nel clima patriottico del \915-18, a chiusura della sua attività, nel 1919, a proposito di “gran quantità” di fasce e farsetti di lana, e di calze, inviate al 20.mo Fanteria: “La speciale menzione di questo reggimento, formato in massima parte da Calabresi, è dovuta al fatto che esso fu uno dei più duramente provati nei frequenti urti impetuosi e accaniti contro la soldataglia austro-tedesca, e perché ininterrottamente fu lasciato in prima linea per ben tre anni”. Non c’era solo la Brigata Catanzaro, che alla fine si ammutinò – per essere decimata, i sopravvissuti, dai Carabinieri.
C’era il leghismo anche in guerra.

Il ritorno, triste
Il signor Siciliano, o Calabrese, parte con la famiglia da Abbiategrasso, fa caldo la non importa, il viaggio è lungo, mille, millecinquecento chilometri ma non importa, le strade sono intasate, ma si sa, è la stagione, tutti ci spostiamo, le stazioni di servizio sono sovraffollate, lunghe code alle casse, per un caffè si può perdere un’ora, si fa la coda alla traghetto a Villa San Giovani, ma che importa, ormai siamo alla fine del viaggio. E quando arriva in casa non c’è l’acqua.
Bisogna essere previdenti. Bisogna arrivare a casa di giorno – l’acqua la tolgono di notte. Oppure chiedere a un parente, a un vicino, di mettere da parte un po’ d’acqua. Non si potrà fare la doccia, dopo tanto peregrinare al caldo in coda, ma almeno darsi una rinfrescata alle mani sì. La prossima volta bisognerà  pensarci. Ma ci sarà una prossima volta? I familiari sono stanchi, e e hano anche ragione.
Non è la sola sorpresa – brutta cioè. E nonostante tutto si torna.
La casa ha bisogno di riparazioni. Se si sta dai parenti, i parenti hanno problemi. Sono gentili e li nascondono, ma è peggio. Soprattutto pesa la mancanza dell’acqua. Di un’amministrazione, per quanto modesta. Per cui incontrando consiglieri, assessori e sindaci, tutti conoscenti e un po’ amici, uno è portato a cattivi pensieri piuttosto che lieti.
Il ritorno è un atto di fede. Si vede che abbiamo bisogno di fede.. 

Calabria
Calafrika. I giovani di Pianopoli si fanno il festival ogni anno, cinque giorni di musica, con gli africani, del Nord e del Sud del Sahara. La Calabria coniugando con l’Africa: Calafrika. Si fa musica soprattutto, e street art, insomma graffiti. Con molte fotografie, come usa, e molti convegni. Anche un torneo di calcetto, misto – a razze miste, cioè. Il razzismo c’è, ma il calabrese non ne ha paura – non lo fiuta, non lo sente. Risponde al razzismo di cui è vittima con la sfida. Non diretta, indiretta. Senza nemmeno un’alzata di spalle. A “africano!”, o “saudita!”, saudita e africano due volte.

S’immagini un veneto avventurato a Pianopoli. È difficile che un veneto capisca – l’ironia è per gli ironici - e quindi il disprezzo non si disinnesca. Né si può pensare che questi inneschi siano produttivi di alcunché, a parte il tempo passato insieme. Nn è neppure una risposta alla Grillo. Ma una forma di compensazione sì: è una scelta. Meglio un afrikano di un veneto?

È una regione montuosa ma d’estate manca l’acqua. La ragione è semplice. Gli acquedotti sono degli inizi della Repubblica, quando l’acqua si usava in casa per bere e cucinare, ci si lavava poco, e i panni si lavavano al fiume o al lavatoio pubblico. Poi la popolazione si è sfoltita con l’emigrazione, al Nord e oltralpe, ma ogni casa si è dotata di bagni spesso doppi, docce, macchine lavapanni, macchine lavapiatti. I consumi di acqua sono decuplicati? Sono decuplicati, come minimo, gli acquedotti sono gli stessi, i sindaci di altro si curano..

Il paese aveva due discariche alle due entrate sulla statale. Che un sindaco infine ha ripulito, sostituendole con i cassonetti, a cui tutti si sono adeguati. Il successivo sindaco ha introdotto la raccolta differenziata e tutti si sono adeguati, sembra quasi che non ci sia in giro neppure una cicca. A volte basta poco.

Si riempiono i paesi ad agosto di macchine tedesche, nere, cc.1.800-2.000. Sono un must. Di seconda mano, come usa a Milano tra manager e uomini d’affari, macchine aziendali o importate (mezza Italia serve da seconda mano al mercato tedesco). Nulla di eccezionale, ma il richiamo è forte con i turchi che sbarcavano a Cesme dalla traghetto di Brindisi, con macchine naturalmente tedesche, tornando essi dalla Germania, ma tutte grandi e nere, che prima che si aprissero i portelloni imponevano la testa bassa alle figlie adolescenti che avevano impazzato per tutta la traversata, e un fazzoletto quadrato in capo ala moglie. Questo in Calabria non c’è, la disciplina delle figlie e il fazzoletto.

Però, si può uscire dal fruttivendolo con sei chili di frutta, prugne claudia, pesche tabacchiere, pesche gialle, pere coscia, banane, nocepesche bianche piccole, e aver pagato € 5. È un altro mondo, e anche un’altra economia?

Quattro-cinque km. di spiaggia bianca, mare cristallino, costoni omerici, dalla foce del Petrace all’Olivarella, e nessun retroterra, a parte gli ombrelloni: la marina di Palmi, cittadina borghese, ha un solo albergo, che apre due mesi, un campeggio e uno spiazzo (sul mare) per le roulotte. Quello che ha creato cinquanta o sessant’anni fa, quando si è fesa conto di avere un mare molto bello. Lavorare stanca.

Anche la pesca. Si esibiscono ancora in tv i toponimi e le barche per la pesca del tonno e del pesce spada,  ma Scilla, Bagnara, la Tonnara di Palmi, che se ne facevano la specialità, da tempo non pescano più. Un po’ tutti orgogliosamente si dicono di famiglia di pescatori, ma nessun pesca, non da ora. Pescano i giapponesi, che degli scarti del loro sontuoso consumo fanno mercato all’alba, a Vibo Valentia – poca roba, per lo più alici e sarde, il resto viene dagli allevamenti: il pesce più pregiato in Calabria è, dopo lo stoccafisso norvegese, il salmone, che è pure norvegese ma viene bene in allevamento.

L’Osservatorio della ‘ndrangheta, che si appropria di tutta la sua dotazione, 800 mila euro, senza produrre alcunché non è male – ci vuole fantasia.

I veneti sbarcati in Aspromonte
Si celebra in paese sull’Aspromonte, come un po’ dappertutto, il centenario della Grande Guerra. Discorsi, vecchie foto, vecchie poesie, canzoni di guerra e di morte, etc. Si scopre nell’occasione che all’entrata in guerra il paese si era dotato di un Comitato di mobilitazione civile, per la fornitura di indumenti, generi di conforto, e aiuto alle famiglie più povere dei mobilitati. Una modesta plaquette, “Resoconto morale e finanziario della gestione”, riporta tra l’altro: “Con deliberato 7 novembre 1917 si stabilì l’assistenza, mediante separate oblazioni, ai profughi di guerra con alimenti, indumenti, ricovero e quant’altro fosse necessario, fin dal loro arrivo, per confortare italianamente i loro disagi e lenire le loro sofferenze morali”.
Questa non l’avremmo mai immaginato, di avere sfamato friulani e veneti. Anzi, di aver lenito le loro sofferenze morali.

leuzzi@antiit.eu

Serpenti in Europa

C’è un assassinio giusto? Su un vecchio quesito etico una vicenda senza luce, un concentrato dei “romanzi duri” di Simenon, si svolge sordida. Tra pettegolezzi, invidie, dispetti, e molta stupidità. Senza che mai si dubiti che questa è la vita reale, la sola, della gente di paese chiusa in se stessa, seppure alla Rochelle – la sola salvezza è Gibuti, il posto più inabitabile del mondo, dove tutto va come dovrebbe, la tubercolosi guarisce, bambini sani e robusti nascono, il giovane di belle speranze le realizza: la salvezza è lontano dall’Europa (“ma non ci sono i serpenti?”, chiede il bambino cresciuto a Gibuti in visita ai parenti).
Georges Simenon, Il grande male, Adelphi, pp. 147 € 18

martedì 4 agosto 2015

Ombre - 278

Una pagina del “Corriere della sera” per Milena Gabanelli sulla “riforma” Rai, e non una riga per dire lo scandalo della più grande macchina di opinione pubblica (consenso) in mano al presidente del consiglio. Bisogna fustigare i fustigatori?

Sempre (vecchi) comunisti i volontari alle Feste dell’Unità. E vecchi rituali: frittielle e salamelle. I clienti invece sono ora demo cristiani. Giovani solitamente, e anche belli, sicuri.

Compreso il sindaco di Roma Marino – la festa dell’Unità che conta è ormai giusto quella di Roma: non ci va nessuno, se non per farsi fotografare, e grazie alle foto virali fare notizia, ma allora bisogna che sia a Roma.
Marino, non si dice, ma fu boy scout a Roma di parrocchia, liceo al S. Giuseppe de Merode, laurea e specializzazione all’università Cattolica di Roma e al Policlinico Gemelli della Cattolica.

Le donne liberate d’Occidente
Si coprono la chioma
Con doppi e tripli pepli
Per il sorriso di un ayatollah
Mentre la mostrano nuda
Al papa a mo’ di sfida
È pure vero che il barbuto sciita
Volentieri si farebbe una scopata

E la sindaca di Riomaggiore Franca Cantrigliani, una che appena eletta fu abbandonata dai suoi vice e assessori, che proibisce il passaggio in macchina al parroco alla sua chiesa?  Vuole farsi pagare la ztl: la chiesa non è il luogo di lavoro del parroco. L’ha fato multare già una ventina di volte, ogni vota € 75, più spese. Non è nemmeno una mangiapreti: è una del diritto delle donne, l’arbitrio.

 

















L'invenzione del comunismo in America

L’“invenzione del comunismo” è un’esagerazione – da parte di Truman, a partire dal 1947. Ma è un capitolo quasi rabelaisiano, in cui tutti  sostengono tutto e il contrario di tutto. E del resto è vero che Truman volle la Nato, la Cia, la Dottrina Truman.
Questa memoria è sul maccarthismo, prima e dopo McCarthy, e con McCarthy, il senatore Usa che processò e condanno centinaia di americani per le loro idee, per essere, forse, di idee comuniste. In polemica naturalmente con la caccia al comunista, ma dal punto di vista della Costituzione. Con l’amarezza – che all’uscita del libro provocò polemiche ferocissime a sinistra – di non vedere mai un fronte unito della politica, o almeno di quella liberalradicale, contro l’abuso del maccartismo.  Famosa è la conclusione: “Non ero sconvolta tanto da McCarthy quanto da tutte quelle persone che non presero affatto posizione… Non ricordo un solo personaggio importante che sia venuto in aiuto a nessuno. È ridicolo. Amaramente ridicolo”. 
Lo storico Garry Wills, in una lunga introduzione a una delle edizioni americane di questa memoria,  lega l’indipendenza di giudizio di Lillian Hellman, non comunista a difesa dei comunisti, alle sue origini, al profondo Sud dove è nata e cresciuta – come lo stesso Wills. Non per un fatto di anticonformismo, ma di saldezza di principi. Lei però riconosce che raccontando semplifica: “Sto facendo naturalmente la mia storia politica troppo semplice: conflitti personali, problemi di lavoro, whisky, troppi soldi dopo “The children’s hour” (una commedia di grande successo a nemmeno trent’anni, n.d.r.), il bello del mio tempo, Hammett, tutto influiva su quello che credevo”.
Con molta aneddotica anche lieve, sebbene sempre legata al maccarthysmo. Un lungo soggiorno a Roma per lavorare a un film per Alexander Korda, regista Max Ophuls, poi non realizzato, con contesse vere e false, vecchi resistenti, e vari stratagemmi riusciti, per giocare il senatore americano e le sue intercettazioni. Lillian Hellman spesso sceglieva Roma negli anni 1950, come la sua amica Mary McCarthy, poi sua nemica, per lavorare, perché era poco cara. A Roma la Cia la controlla al Grand Hotel attraverso i portieri e i facchini – sarà Hammett da New York a farglielo scoprire. E l’agente della Cia che la segue è un suo amico: Lillian Hellman aveva a New York un’“amica scrittrice”, politicamente radicale prima del matrimonio, sposata con uno scrittore, col quale aveva scelto anch’essa di vivere a Roma  La coppia Hellman chiama convenzionalmente Betty e Dick. Dick era l’agente Cia incaricato di controllarla.
Con tanti personaggi di contorno. L’avvocato Ercola Graziadei, che a Roma l’aiuta a sfuuggire alla Cia. La contessa molto romana che in realtà è americana di nascita. C’è Sam Goldwin, oltre a Korda. E di che cosa parlano i mogul  del cinema? Si invidiano i bagni.
È qui che di Dashiell Hammett, suo compagno per trent’anni, anche se non sempre nella stesa casa e neppure nella stessa città, ognuno con amori suoi propri, ricorda che quando lavorava da detective per l’agenzia Pinkerton ebbe la richiesta da un dirigente dell’Anaconda, la compagnia del rame, di uccidere Frank Little, l’organizzatore sindacale, per cinquemila dollari. Lui steso glielo raccontò. Lei ne fu sconvolta, ricorda. Disse solo: “Non avrebbe potuto farti un’offerta del genere se non facevi l’anti-scioperi per Pinkerton”, e si mosse per lasciarlo. Ma lui non si sconvolse: “Sì, signora. Perché pensi che te l’abbia detto?” È il tipico procedimento hellmaniano, dell’onestà: “Raramente (Hammett) parlava del passato se non facevo domande., ma negli anni avrebbe ripetuto (il racconto di) quell’offerta così tante volte che sono venuta a credere, conoscendolo meglio, che era una sorta di chiave della sua vita”. E intende; che sia diventato comunista. Frank Little era stato linciato poco dopo con tre altri attivisti nel cosiddetto Everett Massacre.
Lillian Hellman, Il tempo dei furfanti

 

Fisco, appalti, abusi (75)

Un addebito di € 306,16, comunicato con avviso bonario da Equitalia il 5 agosto 2014 si trasforma in richiesta perentoria di pagamento dello stesso addebito accresciuto a € 349,61 il 30 giugno 2015. L’addebito non è dovuto ma non è questo il quanto: Equitalia carica € 40 per “spese di procedura”. È così inefficiente?
 
Avviene di ricevere da fornitori di energia di cui non si è più clienti da anni, nel caso l’Acea, regolari fatture bimestrali, con addebiti e accrediti. Di che? Sono le forniture fantasma? Come si calcolano i consumi, a fatasia?
 
C’è un sito cui iscriversi, un Registro Opposizioni, per non essere più importunati dalle telefonate che offrono servizi, in genere telefonici o energetici. Un sito sospettoso, vuole sapere esattamente tutto di voi. Poi però non blocca i call center: nessuno ne tiene conto, le telefonate importune continuano a fioccare. Il Registro Opposizioni è un’invenzione inutile dell’inutile, costosissima, Autorità per la Privacy.                                                                                        

La Corte dei Conti scopre che le imposte locali sono aumentate di un quarto in tre anni. Non è mai troppo tardi. Ma probabilmente aumentate della metà, e oltre. Se si cancellano i mancarti servizi che le tasse pagavano: dai biglietti di favore ai musei, niente, due-tre euro l’anno, ai medicinali, con superticket, a Roma spesso fino a qualche centesimo meno del costo della medicina,  e il travaso continuo di medicinali dalla fascia A, coperta dal SSN, alla C, a pagamento.

Racconti per signorine

Quasi un “non invito” a Scerbanenco: un testo lungo e due brevi tratti dalla raccolta “Racconti neri”, che hanno molto poco di nero, nel senso che hanno molto di niente.
Tranne i noir “milanesi”, Scerbanenco resta uno scrittore di novellette e fogliettoni per le riviste femminili – quando ancora se ne adornavano.
Giorgio Scerbanenco Un treno per l’inferno e altri racconti, Il sole 24 Ore, pp.78 € 0,50

domenica 2 agosto 2015

Il nazismo di Heidegger, radicato

Il nazismo è radicato, non solo in Heidegger
Si trovano sorprendenti conferme, da ultimo da parte di Donatella Di Cesare, dopo la pubblicazione dei “Quaderni neri”, di cui non si è potuto fingere che non esistessero, del nazismo di Heidegger, che invece un qualsiasi lettore trovava a ogni passo nella sua opera: nella terminologia, la problematica, la riserva mentale (postbellica). Ci può essere sorpresa solo se si sottostima il nazismo. Se lo si riduce, come nella vulgata, alla follia, e alle città sbriciolate dai bombardamenti. Le radici del nazismo sono profonde, e solide.  
 “Gentile Germania”, 2013, s’imbatte nel nazismo del filosofo in molti punti. Per es. alle pp. 41-43, e 111-114:

“«Noi giudichiamo l’inizio del nazionalsocialismo a partire dalla fine»”, lamenta Heidegger con Marcuse. Perché, cos’era il nazismo all’inizio? I fratelli Grimm non l’avrebbero messo tra le favole.

“Nel 1933, avviandosi ai cinquanta, età in cui il filosofo propriamente si dedica alla speculazione, dice Platone, Heidegger si dedicò a Hitler. Poi all’eros…” – era felice, trionfante.
“Peter Szondi esorta a non ridere dei giochi di parole di Heidegger. E come si potrebbe? Parliamo di uno che, se la filosofia è una serie di note a Platone, giusto sarebbe dire Filosofo Bino, come colui che rifece il primo. Forse per questo non ha più parlato di Hitler, per trenta e passa anni dopo la guerra, un silenzio fragoroso, viveva in altra epoca. Né degli ebrei, che tanto l’amano. Filosofo del tipo mistico laico, diletto agli ebrei atei incorreggibili, il rabbino che disputa l’inaccessibile - “Il Dio di Israello si cela per tema?”, s’interroga il coro del “Nabucco”: per paura dei fedeli? Adorno ha scritto di Heidegger, con Löwith, Hannah Arendt e altri ebrei. Heidegger non ha mai scritto di Adorno, Hannah o Löwith, neppure del suo maestro Husserl.
“Uno che rinnovò la tessera fino alla fine: scelse il Primo maggio ‘33 per iscriversi al partito Nazista, e vi rimase, le quote pagando zelante. Classificato “nazista privato”: segreto, all’orecchio dei capi. Rettore per scelta del partito e non per elezione. Né la cosa fu ignorata: “L’autoaffermazione dell’università tedesca”, discorso di fine maggio a Friburgo, fu oggetto d’ilarità estiva in Palestina. Croce lo criticò: “Scrittore di generiche sottigliezze. Proust cattedratico, che la filosofia e la scienza vuole affare tedesco, a vantaggio dei tedeschi. E agli studenti dà tre obblighi, il primo dei quali è il nazionalismo”- “Essere e Tempo” Croce aveva trovato gotico Totentanz, un ballo dei morti”….
Si può pure dire che Heidegger s’è adeguato al delirio patrio. Ma credeva a Hitler al punto da dirlo tradito dal nazismo. E viceversa, Jünger lo spiega: Heidegger non dice “scusatemi, ho sbagliato” perché ritiene che ha sbagliato Hitler, che il nazismo era buona fisica e metafisica e fu tra-dito. Fu impegnato, il solo: fra i tanti rivoluzionari reazionari, che molto parlavano, il solo che agì. Vile infine come tutti. La cosa angosciava l’amante Arendt, che lo dice vol-pe, una volpe che per tana si fa una trappola. Lui stesso lo sa, del poco Kafka che ha letto ricorda proprio “La tana”: la bestia lavora a scavarsi un rifugio che sarà una trappola.
Heidegger non voleva l’Olocausto. È possibile. Ma la sua filosofia è la sua biografia: nella Geschichtlichkeit, che si traduce storicità ma è l’annientamento dell’uomo nella storia, l’essere-per-la-morte. Decretò il razzismo contro i cristiani con nonni ebrei. E per l’anno accademico dispose il saluto nazista per tutto lo “Horst Wessel Lied”, l’inno revanscista, la cui esecuzione può durare un quarto d’ora. I colleghi protestarono e il caduco rettore cambiò la circolare, limitando il saluto all’ultima strofa. Lui ci credeva: fece quanto doveva, poi lo cacciarono. Il regime non voleva fanatici, si dice. No, il regime, fanatico, non voleva rivali”.

Il vomito di Céline

Edizione lusso, con facsimili, di lettere e biglietti indirizzati da Céline a un medio amico - talvolta indicato in busta come Gentili. Un ritrovamento, e per questo una celebrazione.
Non molto di più, che non si sapesse. E non di grande interesse, se non le lettere degli ultimi anni, dall’esilio in  Danimarca. Per gli umori noti, ma più diretti. L’insofferenza del “problema” ebraico: “Ho sempre vissuto attorniato da israeliti! Me l’hanno sempre rimproverato! Questa razza è destinata a dirigere il mondo, la sua intelligenza gliene dà il diritto”.  Il negazionismo anticipato: “Da qui a dieci anni non ci sarà un ebreo che non sia stato a Buchenwald e divorato quattro o cinque vote dai cani nazisti”.L’autocommiserazione: “L’Ariano errante subisce una sorte molto più infetta dell’ebreo errante – gli amici dell’Ariano son deboli e rarissimi, gli amici degli ebrei sono potenti e innumerevoli”. L’autoflagellazione: “Sono un monumento di ciò che non bisogna fare”,  e “Io che ero così tanto anarchico, come ho fatto a infilarmi sotto le bandiere di coglioni!”.
Ma il ritrovamento fortuito della corrispondenza indica che molto resta da sapere della vita e la psicologia dello scrittore maledetto. Che si potrebbe sapere dalle lettere, tanto più che scriveva liberamente e non in vista della pubblicazione, come molti scrittori fanno. Ma molte corrispondenze, specie ai familiari, sono negate, e altre sono disperse. Al tempo della pubblicazione della corrispondenza nella Pléiade nel 2009 fu scelto solo un terzo delle lettere disponibili. Che è aumentato in questi dieci anni di un altro terzo.
Louis-Ferdinand Céline, Lettres à Alexandre Gentil (1940-1948), Éd. du Lérot, pp. 160 € 29