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venerdì 11 settembre 2009

Vergini più del "Corriere"

Il giorno dopo sul “Corriere della sera” le ragazze di Tarantini fanno miglior figura del “Corriere” stesso il giorno prima, e delle sue celebri giornaliste. Che le stesse hanno denunziato ampiamente il giorno prima, senza averle sentite, come prostitute. Sulla base di verbali giudiziari di cui affermano di non avere copia. È come un profumo di verginità, ancorché corrotta, stregonesca, a petto di vecchi inquisitori. E questo è il segno del degrado dell’Italia, che il suo miglior giornale sia peggio di ragazze di poca virtù.
Del degrado dell’Italia politica, poiché è di questo che si parla. Sotto la sferza della questione morale di giudici senza scrupoli, che sono essi stessi la questione morale. E dei giornali per bene: il “Corriere” fa parlare le ragazze, il giorno dopo, per accortezza avvocatesca, per poter far valere eventualmente in tribunale, su eventuali richieste di danni, un’informazione equilibrata. Dopo aver marchiato le stesse ragazze indelebilmente.
A Bari non ci sono dubbi in proposito, incluso nella redazione locale del quotidiano milanese. Dell’inchiesta sul magnaccia Tarantini sono depositari la Guardia di Finanza, un giudice Scelsi di cui finora mai nulla si è saputo, benché vada per i sessanta, e la cronista giudiziaria Sarzanini. La quale pubblica a intervalli regolari gli atti, non rilevanti penalmente, di cui è terminale il giudice. Il quale, il giorno della pubblicazione, si reca al “Corriere della sera” per chiedere la fonte dell’indiscrezione, che tanto pregiudizio reca al capo del governo. Facendosi opporre il segreto sulle fonti, sacro alla libertà d’informazione, e comunque la non disponibilità dei verbali stessi che sono all’origine dell’indiscrezione.
Una commedia? La Guardia di finanza fu nel 1994 latrice del celebre avviso di reato inconsistente, che, anticipato dal “Corriere della sera”, fece cadere il governo – anche quello era presieduto da Berlusconi. Sempre attiva sul fornte della informazione-disinformazione, con il suo efficientissimo Ufficio I, e capi ben sintonizzati politicamente, con D'Alema, con Visco. Ma nessuno ne mette in dubbio la correttezza. Mentre i giudici invece sono sacri, ancorché felloni, per definizione. Il giudice Scelsi è stato appena assolto dal Csm per la prima tornata delle indiscrezioni. Volendo credere alla libertà d’informazione bisogna accontentarsi di briciole. E su queste purtroppo il raffronto è poco lusinghiero, sul fronte della decenza oltre che delle curve.
Singolare è che alcune delle ragazze non conoscano Tarantini. Viene quindi il dubbio, il ragionevole dubbio direbbero i verbali, che Tarantini ha avuto i nomi da verbalizzare dagli inquirenti: vecchia pratica delle vecchie questure, anche se a Bari se ne occupa la Guardia di finanza. Mentre si sa che Sarzanini e Scelsi lavorano a pubblicare il contenuto delle telefonate tra Tarantini e Berlusconi. Che sono “decine e decine”, assicura Sarzanini, la quale naturalmente non le ha, lo sa per grazia infusa. Ma la pubblicazione passa attraverso il “pentimento”: Tarantini deve farsi processare, non scegliere il rito abbreviato, e in dibattimento chiedere le trascrizioni per potersi difendere. In cambio di che?

Frana il fronte intercettazioni

Si annuncia una frana parlamentare, invece che una diga, sul regolamento delle intercettazioni. Alla conta, a favore di Alfano, c’è già non solo Casini, ma anche una metà del Pd, compresi alcuni ex diessini, che apertamente criticano D’Alema. Il calendario vede ancora per un mese alcune levate di scudi in favore della libertà d’informazione: lo sciopero dell’altro sabato, e il congresso democratico. Ma quasi tutti gli ex popolari, che ormai si vedono minoranza dopo il congresso, eccettuati forse i soli Franceschini e Rosy Bindi, sono per una regolamentazione delle intercettazioni. Mentra tra gli ex ds monta il sospetto che il ritorno di D’Alema si regga su una nuova stagione di veleni giudiziari, attraverso i giudici di Bari e il “Corriere della sera”, che di tutto lo schieramento democratico privilegia proprio il pugliese ex presidente del consiglio.
La frana è avvenuta con la pubblicazione dei verbali di Tarantini. Che per molti sono stati la conferma di una rete molto vasta d’intercettazioni. Anche sugli stessi atti giudiziari. Conniventi all’evidenza alcuni apparati giudiziari. Che farebbero capo a D’Alema, oltre che al “Corriere della sera”. La prudenza tradizionale, e forse d’obbligo, su questi argomenti è all’improvviso abbandonata: se ne parla esplicitamente, e anche con forza polemica.
I vecchi Dc del qui lo dico e qui lo nego hanno cambiato pelle? Improbabile. Ma è come se la forza del partito della ingovernabilità, finora molto temuta, non lo fosse più.

giovedì 10 settembre 2009

Berlusconi è finito, come genere letterario

Potrà fare i suoi fuochi ora in tribunale, poiché si querela contro tutti, ma in libreria è finito: il fenomeno Berlusconi ha saturato i lettori. “Papi”, prontamente sfornato come lettura estiva dagli specialisti sulle sue avventure con le minorenni, come diceva la consorte donna Veronica Lario, ha fatto il record dell’invenduto. Le cataste prontamente ammucchiate in libreria sono rimaste lì: il libro è molto sfogliato, la prima copia, ma la pila resta intonsa, la curiosità, si vede, non regge alla decisione acquisto. Ora è in offerta a forte sconto.
Il genere non incontra più. C’era una scelta di una sessantina di titoli ancora un paio di estati fa, col centro-sinistra. Ora ce ne sono sei: questo e un altro dello stesso Travaglio, uno di Sartori, i due velenosi ricordi senili di Deaglio e Andrea Camilleri, di cui Berlusconi sembra occupare la vita, e il sesto è di Zappadu. Sono tanti quanti quelli sui “comunisti”, genere che Pansa riesce malgrado tutto a tenere in vita.
È stanca evidentemente la stessa editoria. “Papi” era uscito “per il 25 luglio di Berlusconi”. Inizia rivolgendosi “al colto e all’inclita”. E finisce con “la voglia di espatriare è forte”.
Travaglio-Gomez-Lillo, Papi, Chiarelettere, pp. 331, € 15

Quando c'era la Cortina di ferro - 6

Con l’archivio generoso di “Repubblica” raccontiamo alcuni aspetti del ricchissimo 1989, venti anni fa, che i giornali, vuoti, non raccontano (unica eccezione domenica il supplemento culturale del “Sole 24 Ore”, che ha dedicato agli avvenimenti due pagine): il comunismo sovietico che finisce nel disonore

14 settembre
L' ESODO CONTINUA SENZA OSTACOLI FINO AL 7 OTTOBRE
FRANCOFORTE - La grande ondata dall’Est sembra essere esaurita. Rimane qualche rivolo qua e là, tra il lago Balaton, la capitale e la frontiera cecoslovacca: i trenta ancora nel campo profughi di Budapest in attesa di documenti nuovi perchè hanno smarrito la carta d' identità della Ddr; i pochi ritardatari che hanno rimandato fino all' ultimo la decisione di lasciare il loro paese per ricominciare da capo; altri due o trecento che stanno lentamente mettendosi in moto, senza fretta, perchè il confine tra l’Ungheria e l’Austria resterà aperto per altre tre settimane, fino al giorno del quarantesimo anniversario della fondazione della Repubblica Democratica Tedesca, il 7 ottobre. Da quel giorno ritorneranno in vigore le clausole del patto, sospese domenica scorsa, in base alle quali nessun cittadino della Ddr potrà superare senza un visto valido la ex cortina di ferro. Secondo gli ultimi dati forniti dalla polizia, alle 12 di ieri erano arrivati in Germania 12 mila 300 Fluechtlinge.

16 settembre
L’UNGHERIA NON CEDE “L' ESODO CONTINUERA”, di Andrea Tarquini
BUDAPEST - Nel Patto di Varsavia la guerra diplomatica scatenata da Honecker continua, la controffensiva ungherese guadagna impeto. Berlino Est abbassa il tono, sembra pronta a negoziati a livello di esperti con Budapest, quindi in sostanza ad accettare la soluzione negoziata proposta dai magiari per una revisione del trattato. Da Praga che teme il contagio delle riforme e dalla Romania con un pesantissimo discorso in toni staliniani pronunciato da Ceaucescu in persona vengono bordate più violente. La Cecoslovacchia prepara forse rappresaglie economiche e commerciali, ma l’Ungheria usa toni più risoluti: “Siamo decisi a fare di tutto per la cooperazione con gli alleati, ci dice il viceministro degli Esteri Laszlo Kovacs, numero due della diplomazia ma non siamo disposti, per avere buone relazioni, a pagare il prezzo di subordinare i nostri interessi nazionali agli interessi di altri paesi. Gli interessi nazionali di ognuno devono essere armonizzati, non subordinati”.

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (42)

Giuseppe Leuzzi

Il tarì lo stesso Pirandello chiama arabo. Mentre è bizantino, spiega lo storico Placanica, tarion, taria. C’è un orgoglio arabo in Sicilia, per Bisanzio solo oblio.

Lord Russell, il filosofo di Cambridge che fu nel cuore di molti per l’impegno a favore del disarmo, ha visto nei suoi ricordi una Sicilia “nera”, girandole attorno col suo yacht.
Non era simpatico “Bertie” Russell, neppure ai suoi amici, che pure spesso poterono, in virtù della sua filosofia del libero amore, farsi con comodo le sue mogli, e perfino averne dei figli. Le sue quattro o cinque mogli alla fine sempre lo hanno odiato. Anche quelle dalle quali ebbe dei figli. E una lo ha lasciato proprio sulla famosa barca della Sicilia, nel 1950, quando ebbe il premio Nobel per la letteratura - un filosofo letterato non si è mai più visto, potenza dell’ego. Era una donna di quarant’anni, la metà dei suoi, dai capelli rosso fuoco, che l’aveva stregato quindici anni prima e poi lo ha odiato più di tutte - potenza dei diavoli di Sicilia? vedeva Russell nero per questo?

La giustizia negata. Mafia
È l’inferno di Swedenborg, retto dal potere: una eterna congiura di tutti contro tutti. Se non fosse farle troppo onore, è solo violenza.

La mafia è l’organizzazione sociale più stupida. Che non accumula ma si distrugge, sempre, in ogni circostanza, con ogni imprevedibile metodo. Ma è vero che è pervasiva. La famosa intervista di Barbara Berlusconi sul suo papi è tutta un insinuare, che si direbbe di gergo mafioso: dire una cosa per dirne un’altra, e magari il suo contrario, per chi possiede il codice, è l’avvertimento mafioso. Mafiosa è anche l’incontinenza della giovane plurimamma: in un periodo breve le interviste e le lettere delle sue donne non lasceranno nulla di Berlusconi, né la figura politica né l’impero economico, e la famiglia potrà finire, come tutte le famiglie di mafia, senza una seconda generazione.
Il linguaggio mafioso è diffuso non per la forza di penetrazione della mafia, come molti siciliani anche illustri amano fantasticare, ma perché è il linguaggio della stupidità.

Il problema della criminalità è la legalità.
Anche l’istinto, la pratica, l’uso sociale, insomma la razza – anche se l’estrema violenza si accompagna all’estrema mitezza e alla insouciance. Ma ci sono crimini dove non c’è la legge.

In tutte le vicende di mafia e antimafia sempre si viene prima o poi a sapere - lo dicono gli stessi inquirenti, quelli che vengono dopo - che carabinieri e magistrati hanno contatti e confidenza con i maggiori uomini di mafia (manca, per ora, solo Riina), e anche con i minori. Il fatto dovrebbe aprire un’altra prospettiva su mafia e antimafia, ma non viene rilevato. Per i cronisti è normale, insomma irrilevante: lo hanno sempre saputo, il loro nervo etico è ottuso.

All’inizio dell'accumulazione c’è sempre un sopruso, che qualche volta è un delitto, raramente è veniale. Non è una teoria di comodo, per frequentare senza arrossire ladri e imbroglioni. È come leggere un romanzo inglese del Settecento, prima del Grande Umido e del moralismo: De Foe, Richardosn, Fielding, Cleland rappresentano pianamente il mondo - questo mondo, di gente d’iniziativa, con le sue forche, gli assassinii, le torture, le prostituzioni, per quello che è. Ne ricavano personaggi, anzi, simpatici.
Anche Marx, in questo è molto Settecento. L’accumulazione originaria del capitale è rapina pura e semplice. Se dobbiamo accettare il capitale, dobbiamo accettare la mafia, la verità probabilmente è questa. Se vogliamo lo sviluppo, il progresso, la civiltà, l'iniziativa, dobbiamo accettare la conquista, la violenza, la prevaricazione? Il capitale.

Calabria
La Grecia ionica è la Calabria, il linguaggio è lo stesso: girarsi andando in moto per la curiosità, marciare in moto affiancati, conversando, fermarsi affiancati in macchina a parlare. Ma un greco ti agevolerà sempre il sorpasso, rallentando dove opportuno, spostandosi sulla linea bianca a destra, segnalando con la mano, un calabrese mai. Rallenterà nei percorsi a curve, accelererà nei brevi rettilinei, si sposterà sulla sinistra.
Questo, detto da un calabrese, potrebbe essere il “tutti i cretesi sono bugiardi” del cretese Epimenide. E un po’ lo è. Ma è vero che puoi cominciare le mille curve della Bagnara-Bovalino dietro un camion carico con rimorchio e arrivare dopo un paio di giorni – ti puoi fermare per una sosta ma non accelerare, è lui che per due giorni farà il passo.
Per ipotesi, un giorno che la Bagnara-Bovalino fosse percorribile, e non lo è dal 1951.

I calabresi siamo nervosi. Nervosissimi, e troppo sentimentali. Un niente ci fa infuriare, per eccesso di sensibilità. Che si chiama suscettibilità.
Quella che si chiama testardaggine è suscettibilità, la pointe francese – l’impegno prolungato anzi ci fa anch’esso infuriare.

Scrive Strabone, “Geografia. L’Italia”, 9: “Il fiume Alice, che divide il territorio di Reggio dalla Locride passando attraverso una profonda valle, ha questa particolarità riguardo alle cicale: quelle sulla riva locrese cantano, mentre quella sull’altra riva non hanno voce”. Il fiume che passa attraverso una profonda valle potrebbe essere la fiumara La Verde, che corre in un canyon d’insuperabile selvaggeria. “Un tempo”, continua Strabone, “veniva mostrata a Locri la statua del citarista Eunomo con una cicala posata sopra la cetra”. Locri che ora è sinonimo di morte.

Le leggi ebbero origine a Locri, i codici. Lo ricorda poco prima lo stesso Strabone: “Fra le prime novità introdotte da Zaleuco (di Locri) vi fu questa, che, mentre anticamente si affidava ai giudici il compito di determinare la pena per ciascun delitto, egli la determinò nelle leggi stesse, ritenendo che le opinioni dei giudici, anche intorno agli stessi delitti, potessero non essere sempre uguali come invece sarebbe necessario che fossero”.
Sarà stata qui l’origine della disgrazia, l’aver colpito l’autonomia dei giudici?

Da “Fuori l'Italia dal Sud”, 1993, p. 30:
“Alle elezioni faccio campagna per un mio amico. ‘Ntoni G. si giustifica dicendo che un suo cognato ha beneficiato di una riduzione di pena e che tutta la famiglia si è impegnata a raccogliere 200 voti per il ministro. È il 1968, ministro della Giustizia è Oronzo Reale, repubblicano. Alle elezioni i repubblicani agiungono esattamente 20 voti alle poche diecine che normalmente prendono, e per la prima volta eleggono un deputato in Calabria, l’ingegner Terrana”. Fu anche l’ultima.
Totò Delfino, lo scrittore recentemente scomparso che all’epoca era in politica alla provincia di Reggio, diceva che è attraverso don Stilo che erano stati comprati i condoni di Reale in cambio di voti. Don Stilo frequentava il paese perché collector di regalie per le sue opere di bene.

Misasi si faceva invece pagare i condoni con assegni di parecchi milioni. Lo dicono i Mammoliti, che hanno pagato per il loro fratello Nino, condannato a trent’anni per la faida con i Barbaro, e condonato da Misasi dopo dieci anni.
In precedenza si era detto di Misasi che si vendeva i posti nella Forestale.
È improbabile. Ho conosciuto Misasi, vice di De Mita, il “Sismi” delle lettere di Moro, per persona estremamente riservata. Ma è vero che ovunque nell’Aspromonte s’incontrano forestali mafiosi. Alcuni dichiaratamente, e quindi millantatori, il genere piuttosto dei confidenti - ma con l’uso privato dei gipponi aziendali, con cui pavoneggarsi nei paesi, ostruendo il traffico.

leuzzi@antiit.eu

mercoledì 9 settembre 2009

Quando c'era la Cortina di ferro - 5

Il “Corriere della sera” rievoca oggi l’autunno del 1989 in Germania con due pagine . Un’intervista a Johanna Schall, in cui la regista, nipote di Brecht, ricorda l’infanzia e l’adolescenza felici di là del Muro, e depreca la nuova Germania: “La mia irritazione contro questa «nuova» Germania è molto forte”. Un articolo sull’improbabile imbarazzo tedesco su Arminio. Gian Antonio Stella che svergogna la Casta di Mosca. E una chiosa avulsa di Claudio Magris su una riga di Carl Schmitt, che (non) avendo letto Däubler, “Aurora Boreale”, lo dice meglio del miglior Verdi, o Hugo - una tirata di orecchi di un maestro germanista a un germanico.
Storia? Impudenza? Allegria!

Il negazionismo nell'Olocausto

Dopo dieci anni dalla prima pubblicazione l’accusa risuona ancora più radicale. Rafforzata nella riedizione economica da tre appendici, sull’uso politico, e perfino privato, degli indennizzi ottenuti in Svizzera e in Germania per i sopravvissuti all’Olocausto: se i sopravvissuti sono milioni, argomenta Finkelstein, si alimenta il negazionismo. I capitoli originali hanno peraltro titoli forti: “il profitto dell’Olocausto”, “Truffatori, venditori e storia”, che ricostruisce i due falsi, di Kosinski e Wilkomirski, e “La duplice estorsione”, a danno della Svizzera e delle industrie tedesche. “Industria” Finkelstein intende in senso proprio, non di propaganda ma di interessi politici e privati. E non si può dissentire, i suoi sono fatti.
C’è la vecchia questione se l’Olocausto non sia da condividere con gli altri morti dello sterminio hitleriano. E ci sono le identificazioni tra ebraismo e Israele, e tra ebraismo e governo Usa, entrambe piene di rischi. Con derivazioni superflue, e per questo ancora più dannose: la negazione del genocidio armeno, per esempio, da parte dei Nobel per la pace Wiesel e Shimon Peres, e il tentativo di costruire un nazismo islamico, se non arabo.
Norman G. Finkelstein, L’industria dell’Olocausto, Bur, pp.369, € 9,20

La scienza assente della politica

Sono gli articoli di due anni, sui temi di attualità. In realtà su Berlusconi, il sultano è lui. Che forse acceca l’illustre decano della scienza politica. Il quale finisce per avversare il bipartitismo, e cioè il governo che governa - Berlusconi è il sultano in quanto non ha antagonisti nel suo partito, ma è anche l’effetto del bipartitismo. Un libro notevole per le assenze: la Lega, il plebiscitarismo, sia pure invadente, la governabilità, il postcomunismo.
Giovanni Sartori, Il sultanato, Laterza, pp.IX, 171, € 15

martedì 8 settembre 2009

Ombre - 27

Quanti voti sposta Chávez osannato a Venezia? Un milione? Due milioni? A destra.

Quanto più modesta, matura e generosa Noemi Letizia intervistata da Sky, benché aspirante ragazza di successo, a fronte di Veronica Lario e sua figlia. Che, benché ricche e potenti, proterve ne hanno fatto una puttanella.
Lario e figlia che sono però moglie e figlia di Berlusconi.

Anima dell’appello resistenziale degli economisti contro Tremonti è il professor Giavazzi. A cui si deve un anno fa l’alt sui ricercatori universitari al governo. Che su suo resistenziale ultimativo consiglio ha imposto alle università di tornare all’antico, al concorso per titoli – “chi più ha lavorato più merita”. Concorso che, dice “il Messaggero”, le università hanno subito applicato, riducendo i titoli al minimo: tre, massimo quattro. Quanto basta per rimettere in gara figli, nipoti e amiche. Nei 170 concorsi banditi in questi mesi, da 27 università, il 50 per cento degli atenei ha tradito la riforma, ha scoperto Anna Maria Sersale.
Perché non fare un esame ai professori universitari anche del senso del ridicolo?

“Povera Italia, con un sistema informativo come questo!”, dice Berlusconi si telegiornali assumendo appropriato cipiglio. E nessuno può dargli torto. Anche il Vaticano l’ha detto – senza dirlo ovviamente, facendo dimissionare Boffo dopo che i giornali avevano intitolato: “Il papa ha respinto le dimissioni”.
Il massimo del torto che si dà a Berlusconi è: è la stampa che lui ha creato. Ma Berlusconi ha creato la televisione, non la stampa.

Maria Teresa Meli, democratica, pugliese, è l’addetta del “Corriere della sera” alla periodica inervistona con D’Alema e i suoi in Puglia, Emiliano, Latorre. Questa è nuova nei giornali, il tribalismo. Meli è ciclista e non velista, ma per il resto la tribù è omogenea.
Il solo problema in questi casi è che non sapremo, per esempio, come Emiliano di sente, lui che si definisce un magistrato, a rappresentare una città dove gli imprenditori fanno i magnaccia e le signore si fanno pagare.

“Repubblica” informa che “il magazine croato “Gloria”, con foto, ha intervistato D’Addario.

Boffo si dimette denunciando un’aggressione nei suoi confronti. Che è vero: Feltri è stato miglior gesuita.
Prima di dimettersi, Boffo ha impedito al tribunale di Perugia la pubblicazione del procedimento che lo concerne, per molestie. Anche qui Feltri lo ha giocato: ora Boffo non potrà querelarsi, altrimenti darà a Feltri il diritto a vedere le carte.

Scrivono sedici economisti ai maggiori giornali, che pubblicano la lettera in prima pagina, contro Tremonti in difesa della libertà di stampa: “La difenderemo alla morte”. E non si sa come prendere l’impegno: sono gli economisti che scrivono sugli stessi maggiori giornali, sempre in prima pagina.

“Baarìa”, l’opera della vita di Tornatore, sul papà comunista buono, trenta milioni di costo in ben due anni, è stato finanziato da Berlusconi. Qui non c’è conflitto d’interessi.

Va al festival dei suoi, Fini, della ex An, e attacca. Dice che la legge che porta il suo nome non impone alla domestica filippina di farsi un’andata e ritorno con la madrepatria – una gita fuori porta, che? - e due mesi di disoccupazione prima di cambiare (legalmente) lavoro. E che non c’è l’obbligo per un imprenditore della chiamata nominativa di un manovale del Congo, o delle Maurizio. Cose che invece lui ha imposto.
Ora, si penserebbe Fini l’uomo giusto al posto giusto, che l’ipocrisia sia cioè di destra. Ma al “suo” festival pochi lo hanno ascoltato e nessuno lo ha applaudito.

Ha atteso le querele di Berlusconi per dire basta alle polemiche, e farsi applaudire al festival Democratico a Genova: non si può dire che Fini non impari rapidamente il suo nuovo ruolo a sinistra. Ma allora nel senso peggiore: dell’ipocrisia, l’opportunismo. Non ha avuto parole nei tre mesi in cui di Berlusconi le note riservate hanno fatto ludibrio. Ora si sente mancare la terra sotto i piedi, da vecchio moralista incapace qual è sempre stato, dal 1992. Sa anche lui, come D’Alema, da dove vengono le note riservate su Berlusconi?

Quando c'era la Cortina di ferro - 4

Con l’archivio generoso di “Repubblica” raccontiamo alcuni aspetti del ricchissimo 1989, venti anni fa, che i giornali, vuoti, non raccontano (unica eccezione domenica il supplemento culturale del “Sole 24 Ore”, che dedica ha agli avvenimenti due pagine): il comunismo sovietico che finisce nel disonore

3 settembre
BUDAPEST TRATTA IL PREZZO DEI PROFUGHI, di Fabio Barbieri
VIENNA – L’assalto dei ventimila a quel che resta della Cortina di ferro scatterà nel momento in cui il governo di Bonn avrà accettato le condizioni poste dalle autorità ungheresi. Condizioni economiche, esclusivamente: investimenti da finanziare, joint ventures, tecnologie, aiuti nel management. Nulla si sa di preciso sui contenuti della proposta magiara, ma negli ambienti della comunità internazionale di Vienna tutti giurano che le ragioni vere del ritardo di questa fuga annunciata sono le trattative in corso tra i due governi. Alle quali se ne aggiunge un’altra, non onerosa ma estremamente delicata, quella cioè legata alla quasi certa presenza di agenti della Germania Orientale tra i profughi in attesa di espatriare in occidente. L’Ungheria non vuole assumersi la responsabilità dei controlli per non rovinare ancor di più i rapporti con Berlino Est.

12 settembre
“L’INCUBO E DIETRO DI NOI” ESODO VERSO LA SPERANZA, di Fabio Barbieri
Decine di migliaia di profughi dalla mezzanotte di domenica entravano in Baviera. I maggiori leader occidentali plaudevano alla decisione ungherese di aprire ai profughi la Cortina di ferro. Si consumava la frattura tra Berlino Est e Budapest.

13 settembre
EMERGENZA ALL' EST RIUNITA LA NATO ROSSA
BERLINO EST - L' Est si spacca sui profughi fuggiti al di là della Cortina di ferro. Nel pieno della crisi diplomatica tra Ungheria e Repubblica democratica tedesca e mentre Egor Ligaciov piomba a Berlino Est condannando l' iniziativa magiara, il Patto di Varsavia ha convocato lunedì e martedì una riunione d' urgenza per processare l' operato di Budapest. La profonda spaccatura tra i due alleati del blocco comunista si approfondisce drammaticamente con l' improvvisa convocazione a Mosca dei paesi aderenti al Patto, riuniti in un Gruppo multilaterale sull' informazione reciproca, come recita il dispaccio della Tass che non specifica però nè i partecipanti nè il soggetto di discussione, limitandosi a parlare di affari internazionali urgenti. E' chiaro che al centro della riunione d' emergenza della Nato rossa c' è la decisione ungherese sull' apertura della propria frontiera alle decine di migliaia di profughi tedesco orientali, che dalla mezzanotte di domenica hanno iniziato ad attraversare il confine per entrare in Austria, e da lì poter raggiungere la Germania Ovest. Gli attacchi dei conservatori Mentre i paesi alleati si riunivano a Mosca, erano già state rese note le aspre dichiarazioni di Ligaciov all' Ungheria e i duri attacchi della televisione sovietica al governo di Budapest. Il leader dell' ala conservatrice del Pcus, membro del Politburo e della segreteria del partito, è giunto ieri a Berlino Est dove ha condannato l' allontanamento di cittadini della Repubblica democratica tedesca e accusato alcuni ambienti politici della Germania federale.

domenica 6 settembre 2009

Letture - 13

letterautore

-ano - È tipico italiano per dire scuola, o filone, o corrente di scrittura: manzoniano, dannunziano, leopardiano (per l’arte di dice –esco). Altrove ognuno scrive per sé: non c’è, o non fa testo, la maniera, e l’-ano parla solo per sé: molieriano, goethiano, shakespeariano, sono cose di Molière, Goethe, Shaks. Tipicamente italiano per dire scuola o cordata?

D’Annunzio - È “milanese”.
Lo si pensa “romano”, svagato, farfallone, millantatore, e invece si credeva, ed era creduto, lombardo. E non per le cose minime, le donne o i profumi, che trovava in tutto l’italico regno, e a Parigi, ma per quelle serie, la poesia e la politica.
Milano è dannunziana, anche.

Dante – D’Annunzio lo dice “ermafrodito” – nelle “Rime inedite e stravaganti”.
Voltaire ne trova il poema “bizzarro” (Essai sur les moeurs”, LXXXII)
Non si ride in Dante - questo è in Musil, “Saggi”, 761: Dante, come Goethe, non aveva umorismo.

Don Giovanni – È Sisifo, come Sade: la ricerca della (per la) morte: il corpo della donna – il piacere – è il desiderio e la ricerca dopo la caduta. È il peccato della curiosità.

È anche caricatura, che viene svolta in parallelo col cicisbeismo. Dall’infinita trattatistica della seduzione di Crébillon-fils, dove il “maschile” è già “femminile”, all’incredibile Casanova, ai vari Figaro, passando per Metastasio, fino all’autopunizione di Byron, che il gioco del seduttore ha così sofferto. Anche Puškin è don Giovanni.

Mozart ha fatto Figaro, vluto da lui, malgrado il soggetto fosse malvisto alla censura viennese, e da lui imposto a Da Ponte, e ha fatto don Giovanni.
Per Da Ponte-Mozart il titolo è “Il dissoluto premiato o vero don Giovanni”.

È italiano? E non ci sono, come per Colombo, don Giovanni di altre nazionalit? Manca uno scandinavo, o antico tedesco.

Quello di Kierkegaard è su Mozart, ma è un altro don Giovanni: non gioisce.

Anche lui è mille e uno. È come per la filosofia, è mutevole. E imperfetto: corteggia le dame come la filosofia corteggia la verità.

È Carmen, don Giovanni in gonnella, di Mérimée-Meilhac e Halévy-Bizet – e più tardi “Donna Giovanni” messicano al festival d’estate di Salisburgo del 1987, con sei divas lascive. È la molteplicità dell’uno. Della donna oltre che dell’uomo. E dell’amore: fedeltà, gelosia…
Secondo Rachide, “La Jongleuse”, era una suora, parata dei più bei finimenti del suo convento, travestita da uomo, e poi transessuata.
Per Nathalie Barney, “Aventures de l’esprit”, è l’incostanza intellettuale. Per Stendahl è Gilles de Rais, o Francesco Cenci. Per Byron Faublas.
Per Hoffmann è Faust. Il diavolo lo convince che il paradiso è in terra, attraverso l’amore. Finché don Giovanni-Faust non incontra donna Anna, che può essere la donna giusta: allora il diavolo lo fa punire dal Cielo. Sembra blasfemo, ma è così che succede – nessuna donna, con cui don Giovanni va a letto, lo perde, eccetto l’ultima.

Compare nel Seicento, quando la sessualità viene normalizzata socialmente. Nella famiglia del capofamiglia. E per renderla più compatta le viene opposto il libertinismo (v. Alessandro Fontana, prefazione a “Il pene e la demoralizzazione dell’Occidente”).

Fantasy - È genere infine popolare, forse più del giallo: spopolano Tolkien e Harry Potter, Dungeons & Dragons, Dungeoland, i libri-fai-da-te, e ogni altro genere di avventura del passato (fantasy) e del futuro (science-fiction). Sono tutte avventure del genere “conquista”: quindi di scoperta e di guerra. È la riduzione a gioco della violenza istintuale? Ma sono anche tutte storie slegate dalla realtà: proiettate in un passato o in futuro senza coordinate spaziali reali e senza tempo definito. Forse eliminano l’incubo della storia, che per gli adolescenti è l’orrore della morte (la scoperta che si può morire, che la ragione – la realtà – vuole fatica).

Freud – Ha fatto la psicanalisi di Woodrow Wilson, Leonardo, Mosè contro ogni “regola” della psicanalisi: parlando lui invece che gli analizzandi, elaborando tradizioni e arguzie trute, scrivendone bene invece che correttamente. Va per indizi. Uno Sherlock Holmes “meglio” scritto.
Fissa la teologia ebraica del Dio negativo (punitore) e i “De Contemptu Mundi”, nel disfacimento dell’anima in aggiunta a quella del corpo, del mondo: una filosofia naturale che è il disprezzo dell’uomo. L’artista è nevrotico (l’incredibile lettura di Leonardo). Tutte le pulsioni, anche quella erotica o del piacere, sono negative (vedi sempre Leonardo, che deve vergognarsi di essere omosessuale). Una condanna.

Gadda – “For this relief much thanks”, “Amleto”, I, Ima. Il suo personaggio è se stesso, non solo nella “Cognizione”. Riservato, impegnato, “doloroso”, non scrive che di sé. Il promo autore-personaggio, da trauma psicanalitico. In parte come Céline – gli altri “testimoni del XXmo secolo”, Proust, Joyce, Musil, sono dei poseur, eruditi storici, tardo borghesi, intellettuali.
Si apparenta Gadda al maccheronico Folengo. È uno dei tanti specchietti che il Gaddus tira fuori per nascondersi. Ma non c’è giocosità che tenga, il suo trippone dilaga. È al sacrificio del suo intimo, oltre che al lavoro letterario, che dobbiamo tanta grazia. Altri specchietti sono – dicono quelli che lo hanno frequentato – l’ipercortesia, la piccola noblemania, il riserbo estremo. Ma scrive perché soffre, come soffre.
La sofferenza non è nel rapporto con la madre, che più che altro è inesistente, o nel ricordo del fratello morto, o della guerra. Questi sono altri specchi simulatori. La guera gli piaceva, si vede dai diari: il raccapriccio per i morti è di maniera, la guerra e la prigionia sono i “suoi” ricordi, iniziazioni all’età adulta e al mondo. La sofferenza è l’inquietudine dell’uomo, ingegnere, giornalista, il vero uomo senza qualità, tal quale, senza l’Idea, senza Diotima, senza artificio. Lui che progettava di fare lo scrittore di artificio – o fingeva, per non dare un dispiacere a Contini.

Commistione fredda dei linguaggi. Quanto diverso in questo da Céline, che stravolge dall’interno, i suoi mondi.
I riferimenti linguistici sono tutti borghesi: ingegneria, medicina, immobili, rendite, viaggi, monumenti, fiori… Quanto diverso da Céline, che ha riferimenti esistenziali.

Giallo – Richiede poca fantasia, per leggerlo e per scriverlo.

Stendhal mette la crudeltà degli inglesi sul conto della Bibbia. Che gli inglesi siano specialmente crudeli resta da dimostrare. E che lo siano per la pratica della Bibbia – e i calvinisti svizzeri, allora, o olandesi, e i puritani americani? Ma è vero che il giallo, genere ad alta intensità di fantasia crudele, è “inglese”. È anche biblico?

Scrittura – Quella del Novecento è stata minacciosa: interrogativa, ansiosa, violenta e trattenuta allo stesso tempo, indagatrice e assertiva.

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Quando c'era la Cortina di ferro - 3

Con l’archivio generoso di “Repubblica” raccontiamo alcuni aspetti del ricchissimo 1989, venti anni fa, che i giornali, vuoti, non raccontano (fa eccezione oggi il supplemento domenicale del “Sole 24 Ore”, che dedica a quegli avvenimenti due pagine): il comunismo sovietico che finisce nel disonore

20 agosto CINQUECENTO TEDESCHI DELL'’EST FUGGONO DAL CONFINE UNGHERESE, di Piero Benetazzo BERLINO - Nella piccola ed elegante palazzina proprio nel centro di Berlino Est le tendine sono ben abbassate come a cercare protezione dalla feroce calura che opprime la città: ma dietro di esse in realtà si cela la sfida forse più difficile di fronte cui si trova il regime di Honecker, in crisi economica, incapace di impostare un minimo di riformismo, come paralizzato dal vento di liberalizzazione che soffia sui paesi del socialismo reale. Sono 116 i tedesco-orientali che si sono asserragliati nell’edificio della rappresentanza diplomatica della Germania Occidentale, vogliono emigrare, si rifiutano di rispondere agli appelli sia di Bonn che di Berlino di tornare a casa, non credono alle garanzie di impunità delle autorità tedesco-orientali. Dalle finestre della palazzina si vedono di certo i contorni del Muro…
Anche a Budapest la Rft ha dovuto chiudere i battenti della sua Ambasciata, in cui si sono infilati 187 tedesco-orientali. Atre centinaia la stringono d’assedio ed il loro numero sale di giorno in giorno: sono già un migliaio, senza soldi, senza viveri, decisi a rifiutare il ritorno in patria. Altri, una cinquantina, sono penetrati nei locali dell' Ambasciata federale in Cecoslovacchia... Quasi cinquecento hanno approfittato dell’apertura eccezionale di un posto di frontiera sull' ex Cortina di ferro, sul confine austro-ungherese, a Saint Margarethen, per entrare in Occidente.

22 agosto
DAL CONFINE UNGHERESE CONTINUA LA GRANDE FUGA DEI PROFUGHI TEDESCHI
VIENNA - Dopo i quasi mille tedesco-orientali fuggiti nella notte tra domenica e lunedì attraverso la simbolica breccia aperta nella cortina di ferro ungherese nei pressi della cittadina di Sopron, altri cinquecento loro connazionali si sono riversati ieri in territorio austriaco con l’intenzione di raggiungere Vienna e poi la Repubblica federale tedesca. Tutti, a quanto ha reso noto l’ambasciata della Rft in Austria, hanno ricevuto passaporti tedesco-occidentali. Secondo l' agenzia ufficiale austriaca Apa, sarebbero così un migliaio i cittadini tedesco-orientali che si sono ammassati nella cittadina ungherese di Morbisch, situata a circa 60 chilometri a sud-est della città austriaca di Eisenstadt. Proprio ad Eisenstadt, la polizia ha reso noto ieri che uno dei tedesco-orientali autori della carica su Sopron è morto per infarto. L' uomo, che aveva 40 anni, aveva attraversato insieme alla moglie decine di chilometri di campagna ungherese prima di raggiungere l'Austria.
(continua)