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sabato 12 novembre 2022

Ombre - 641

Francia vs Italia sui migranti è di sinistra o di destra? È di destra estrema: i migranti vengono isolati, spulciati a fondo, e mandati fuori, in Gran Bretagna (uno dei motivi della Brexit), in Germania e altrove. Bel tema giornalistico sarebbe questo di un governo che batte a destra Meloni. Ma è presentato come un atto di umanità contro un governo (quello italiano, che accetta tutti) inumano. 

La Francia non è, e non è mai stata, neanche con i governi socialisti, tenera con i migranti.  A cui dà la caccia, irritata con l’Italia semmai di essere tropo permissiva, o disorganizzata - la Francia sempre ama dare lezioni). E gli dà la caccia, con i bastoni e anche con le armi.

Perché Macron, che è uno di destra, passa in Italia per uno di sinistra? È solo fratellanza? E perché viene sempre a Roma, alla comunità di sant’Egidio e dal papa argentino? E del terzo settore, anche lui?

“Dopo trent’anni sarebbe opportuno chiederci quale sia l’origine del termine sinistra, nato dal rifiuto degli ex comunisti di chiamarsi socialisti, dopo la dissoluzione del Pci e dell’Urss”. Simona Colarizi finalmente dice l’indicibile, a verità, intervenendo nell’interminabile dibattito “I progressisti al bivio” di “la Repubblica”. Così semplice. Ma nessuno storico, un po’ solo Colarizi, si avventura tra i guasti del Pci, alla politica, all’economa e alla storia italiane.

Per il lettore del giornale questo è chiaro: basta leggersi le lettere e le risposte dei vari redattori che intrattengono la corrispondenza. Da “vecchi”, magari giovani di età, bacucchi.

Meglio che socialisti preferirono chiamarsi democratici, con allusione ai Democratici americani, ma in realtà al seguito dei Democratici Cristiani, “partito di massa”, ai cui santi e santoni, vivi e morti, Veltroni devoto fece pellegrinaggio, dichiarandosene figlio.

Anche “progressisti” è dubbio. Riconducendo doppiamente a Scalfari, per essere laico, e per essere ammazzasocialisti, ma al servizio di Andreotti, De Mita, Prodi e Renzi, con la patente di Berlinguer.

Gira e rigira, dopo un quarto di secolo, e un impoverimento forse inarrestabile, per i dipendenti e per gli azionisti, l’ex monopolista pubblico dei telefoni, la gloriosa Sip, ora Tim, deve essere “salvata” dallo Stato. Ma non c’è diagnosi del perché, e neppure atto di contrizione. Una tradizione secolare d’innovazione è passata a gestioni predatrici, Agnelli&Co., Colaninno, Tronchetti Provera, e una proprietà ibrida che da una dozzina danni non fa che litigare. Il mercato può essere assassino. 

Muore Bono, un supemanager, da tutti i punti di vista, e “la Repubblica” titola: “L’ultimo birado” – ricordnando nelo steso tiolo che venva “dal carrozzone Efim” – spra un ritratto pertatro di dverso tenroe. C’è emrpe lpequivoco che o Stato impendotore sia – sua stato – perverso, menre non c’è paragomnne tra lvechia ziende pubblche e e le stesse messe sul mercato – almeno dal punto di vista manageriale.

Paolo Barelli, presidente della Federazione italiana nuoto da 22 anni, ha portato il nuoto italiano a competere con tutti, anche gli americani, e la Fina, la federazione mondiale di settore, lo squalifica. Per imputazioni per le quali stato già assolto, in sede penale e in sede civile. Dà fastidio? Sicuramente sì. È stato squalificato all’unanimità da un “collegio etico”. Chi siano i membri del “collegio etico” Fina non è dato sapere, come di tutto quello che ha sede in Svizzera – il presidente della Fina è da sempre un uruguayano… Barelli, benché deputato da sempre di Berlusconi, non è un buon fratello?

Non c’è problema, migranti, debito, diritti, gas, su cui l’Europa non sia spaccata, secondo i media, e in genere contro l’Italia. Cosa che è vera e non lo è, ma il tema è sempre quello, l’Europa è spaccata. Nei media che tutti, più o meno, si vogliono europeisti. Cos’è, un cupio dissolvi, i media come Sansone? I media depressi? Informazione non è – l’informazione è per natura corretta. Né c’è un premio in diffusione, che anzi ogni giorno si contrae. E se i media soprattutto informassero, invece di fare la predica o la lagna? Tante cose curiose succedono, che si trascurano. 

“Letta cita Manconi”, nota “la Repubblica”, con la fotina dell’opinione che il sociologo ha scritto per il giornale: “Da Catania rinasce la sinistra”. Ma Catania è rimasta indifferente alle ultime imprese delle ong della misericordia.

Naturalmente tutti vogliono soccorrere i naufraghi, probabilmente anche il prefetto-ministro Piantedosi. Diverso è il caso in cui non c’è naufragio o pericolo di naufragio, ma solo trasbordo, da un’imbarcazione a un’altra. Come fanno le ong: navi che attendono le imbarcazioni dei trafficanti al limite delle acque territoriali libiche, e li trasbordano. C’è più sicurezza, ma perché favorire il traffico di esseri umani? Perché di questo si tratta, non di profughi, politici o economici, e le ong tanto caritatevoli ne sono complici.

Il problema migranti è semplice: perché non impegnare l’Europa a una vera politica dell’accoglienza? Tanto più che l’Europa ha bisogno di lavoro immigrato? Per lucrare sul traffico, non c’è altra risposta. Una politica di visti d’ingresso e di viaggi sereni – come gli Stati Uniti hanno fatto per un secolo e oltre - depriverebbe le organizzazioni “umanitarie”: niente avventura e niente soldi.

“Irpef, evasione autonomi al 68.7%” – “Il Sole24 Ore”. Bella scoperta, di una cosa che tutti sanno, anche se la caccia all’evasore è sempre, da settant’anni, la caccia al ricco con patrimonio alle Cayman – peraltro provvisto di solidi paletti legali. L’Iva è tropo cara e non la paghiamo: l’idraulico, il pittore, il muratore, l’elettricista li paghiamo in contanti, e basta.

Ma non è che le Finanze non lo sappiano – solo loro? Perché non rimediano? L’evasione è dell’Iva, al 50 per cento, e per l’altro 50 per cento degli autonomi che non fatturano. Ma si fa finta di nulla: niente riduzione dell’Iva, niente incentivo fiscale a pagare comunque l’Iva, con abbattimento successivo, come si fa con la legge Prodi di venticinque anni fa per l’edilizia domestica.

Sempre “Il Sole 24 Ore”: “Censiti 592 sconti fiscali, per un costo complessivo di 82,57 miliardi nel 2023”. Anche questo si sa, da almeno mezzo secolo, che l’evasione è in gran parte elusione. Cioè pandettismo, capacità di aggirarsi tra leggi contorte.

Marlowe tra Hemingway e la corruzione

Un racconto tra il sociale e il letterario. Ingredienti nella giusta misura, per un thriller psicologico, più che di azione, che scorre attraente. Il secondo romanzo di Chandler, avviato a quarant’anni alla scrittura, avendo fallito altre esperienze. Dopo il successo de “Il grande sonno” e del suo protagonista Philip Marlowe, investigatore solitario, alcolizzato, e onesto.

Un po’ più debole nei caratteri del romanzo di esordio, ma più thrilling (l’inverosimiglianza si dimentica) e con molta attualità – il romanzo è del 1940. C’è anche un richiamo al Mussolini di Ludwig: “Una scrivania di legno scuro era posta in fondo alla sala come quella di Mussolini, in modo che si dovesse attraversare per raggiungerla una distesa di tetto azzurro, ed essere allo stesso tempo bene osservati”. In un’America corrotta, quasi ellroyana – “in questo paese … uno non può restare onesto anche se vuole”. “Hemingway” è il nome usato da un personaggio perché parla come Hemingway dialoga nei suoi racconti: ripetere quello che dice l’interlocutore, finché “c’è a pensare che qualcosa sotto ci dev’essere”.

Raymond Chandler, Addio, mia amata, Adelphi, pp. 300 € 20

venerdì 11 novembre 2022

Appalti, fisco, abusi (225 )

Periodiche sui media le lamentele sugli italiani retrogradi e barbari che tengono i soldi “sotto il materasso”. Non comprano cioè i fondi comuni e le obbligazioni, delle banche e consoci. Che sempre, in ogni condizione del mercato, sono investimenti in perdita. Anche enorme – ora i fondi bancari, Arca, Anima, quelli pensione e altri consimili perdono dal 20 al 30 peer cento. Per cattiva gestione? No, non può essere tanto cattiva.

Si fa finta che il risparmio sia in Italia “protetto” come in America, dove c’è vera concorrenza, e le  famiglie possono quindi creare fondi di risparmio per gli studi dei figli. In Italia un fondo a incremento, periodico, non accumulerà interessi, per quanto minimi, ma solo perdite: dopo dieci anni varrà il 15-20 per cento in meno, dopo quindici anche di meno. Tutto questo è scandaloso – non è imprevidenza o attiva gestione, è proprio deliberato furto.

Le stazioni di servizio fai da te addebitano, oltre la spesa del pieno, l’ammontare massimo autorizzato dalla carta di credito. Poi il giorno dopo o due giorni dopo lo annullano. Ma alcune volte no: si clonano le carte con una frequenza spaventosa alle stazioni di servizio. Non per l’ammontare del pieno, è vero, per venti o trenta euro. Quanto basta a scoraggiare la denuncia. Ma non la duplicazione della carta, che non è semplice. Non è mafia e quindi non interessa i Carabinieri? Se non è mafia, questa.

Aruba intima ogni cinque mesi il cambio di password. Pena la decadenza dello spid. Sicurezza? No, è arrivare al rinnovo, tramite un tuttofare, per pochi euro è vero, ma con perdita enorme di tempo. Non converrebbe pagare una piccola tassa a Aruba e contendenti, ed essere lasciati in pace: come si fa a cambiare identità ogni poche settimane?

Il giallo viene alla fine, per non crederci

Nestor “Dinamite” Burma, lo Sherlock Holes di Malet, va di fretta, come poi sempre farà. Personaggi, luoghi, eventi sono accennati, il poco che basta per accendere la curiosità, perché le sorprese si moltipicano.

Malet andava di corsa anche personalmente: tuttofare in gioventù, anche lavapiatti, e surrealista con Breton, parte nel 1941, dopo un passaggio come prigioniero di guerra in un campo di concentramento tedesco, a scrivere gialli come una furia, con vari pseudonimi. Due anni più tardi inventa qui Nestor Burma, e col successo (se ne farà un film subito alla Liberazione, nell’estate del 1945), non si ferma più.

Un compagno di prigionia, siamo nel 1940, dopo la sconfitta, molto malmesso, muore. Lascia a Burma spirando l’indirizzo del titolo. Lo stesso gli sussurra il collaboratore della sua agenzia – Nestor Burma ha un’agenzia, Fiat lux – Colomer, che incontra alla stazione di Lione arrivando col treno della Croce Rossa che lo porta alla libertà, prima di spirare, colpito alle spalle da una scarica di pistola. Una biondina ha sparato, che Burma ha notato, e chiama Michèle Hogan – Michèle Morgan? Seguono una dozzina di soluzioni:Burma ha più sagacia di Sherlock Holmes. Anche l’indirizzo fatale crea problemi, prima di arrivarci. Ma il lettore non fa in tempo a provare una soluzione, Nestor Burma gliela cancella – ci vorrà un finale alla Poirot per venire a capo dell’imbroglio.

Sherlock Holmes più Agatha Christie? Ma senza punti forti, personaggi, situazioni, ambienti, le sorprese a ripetizione sono come le armi a mitraglia a mitraglia, per lo più mancano il bersaglio. Inventiva? Fatica: Malet adotta Sherlock Holmes e Poirot per non crederci, per provare qualcosa di nuovo dopo avere provato varie strade.

Léo Malet, 120, rue de la Gare, Fazi, pp. 216 € 15

giovedì 10 novembre 2022

Problemi di base bancari - 721

spock

Perché la gestione dei fondi comuni è sempre in perdita?

 

Se la sapienza delle banche è tutta nei fondi comuni, non bisognerebbe evitarla?

 

Perché il risparmiatore deve mantenere le banche, e non viceversa?

 

Il risparmio non è più una virtù, è una colpa – di stupidità?

 

I risparmiatori ingrassano la banca, che ingrassa gli azionisti, è giusto così?

 

Perché il “dibbattito” attorno a queste cose essenziali si evita?


spock@antiit.eu

La Notte di Milano

Esce in volume la serie che Bacileiri ha pubblicato su “Linus”. Un’illustrazione di Milano anni 1950, tram, pubblicità, cartelli stradali, la Torre Velasca, il Pirellone, l’Upim, la Seicento, a corredo dei sordidi meandri della città. Non la prima “Milano nera” ma una delle meglio evocate da Scerbanenco. Che con questa “Venere” fu scoperto e consacrato scrittore, uno dei migliori autori di noir – fu scoperto a Parigi.

Una delle prime indagini di Duca Lamberti, il “marlowe” infine nostrano, lombardo, milanese, di Scerbanenco, che prima aveva tentato con luoghi e personaggi inattendibili, Boston, Jelling, et al.

Bacilieri ha lavorato sulla Milano dei fotografi de “La Notte”, il quotidiano del pomeriggio del primo dopoguerra, raccolte in volume, “Ultima edizione”: vittime di violenze, cadaveri, poliziotti, testimoni scioccati, colpevoli in manette, “c’è tutto il mondo di Scerbanenco in quelle immagini”, e Milano in cemento sullo sfondo, ancora un po’ sbrecciata – Milano si è ripulita dalla guerra negli anni 1980.

Paolo Bacilieri-GiorgioScerbanenco, Venere privata, Oblomov, pp. 160 ill. € 20 

mercoledì 9 novembre 2022

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (508)

Giuseppe Leuzzi

Cresce la disoccupazione in Europa, e si vuole che il record europeo sia del Sud Italia. Non è vero, il Sud della Spagna sta peggio, l’Andalusia (con le Canarie), e la Grecia settentrionale. Ma è vero che la disoccupazione è alta: 19,3 per cento in Campania, 18,7 in Sicilia, 18 in Calabria, 14,6 nella pur operossisima Puglia. Molto lavoro è in nero? Sì. Ma è anche rifiuto del lavoro. Comunque, in nessuna di queste regioni si trova un manovale. E con difficoltà l’artigiano - idraulico, falegname, elettricista, pittore.

Il Mediterraneo i mediterranei, italiani, iberici, greci, che il Nord Europa disprezza, un po’ lo disprezzano anche loro – “è inquinnto”, “è un cimitero. Ma per i tedeschi, norvegesi, danesi, olandesi, sprezzanti, è un miraggio.

La metà dei giovani pugliesi (il 48,6 per cento) e siciliani (47,6) non ha la licenza media. Si dice che i ragazzi non vanno a scuola perché le famiglie li fanno lavorare. Ma questo era vero un secolo fa – è stato vero, per  esempio, di mio padre, che pure era di famiglia borghese. Ma ora nessuno lavora.

Non  basta una legislatura per proporre politicamente il ponte sullo Stretto, mettere a bando il progetto, finanziare l’opera, appaltare i lavori, risolvendo via via i contenziosi leguleistici. E allora perché si propone? Per occupare di chiacchiere la “questione meridionale”? Certo che sì.

Alberto di Monaco si scopre calabrese

Curiosa peregrinazione, passata sotto silenzio, del principe di Monaco Alberto nella ex Calabria Ulteriore Prima, l’attuale provincia di Reggio, sia nella Piana di Gioia Tauro, tra Cittanova e Molochio, sia nella Locride, a Gerace. Come suole ormai da qualche anno. Sulle tracce dei suoi antenati, banchieri di Genova, che qui ebbero i primi possedimenti e titoli nobiliari, baroni e principi. A Cittanova, sul sito della vecchia Curtuladi, ricorda che il fondatore fu nel 1618 Girolamo Grimaldi. E commemora, col vescovo e ogni altra autorità, l’ultima erede, morta nel terremoto del 1783, la principessa Maria Teresa. Anche nella piccolo Molochio ha trovate tracce di famiglia, da vecchi documenti. A Gerace le tracce ha trovato ancora più evidenti, nel palazzo Grimaldi-Serra, ora sede del municipio.

Un attaccamento bizzarro, se non si va ai presupposti. Che il Sud, la Calabria in specie, fosse nel Cinque-Seicento dei banchieri genovesi, con i quali la Spagna, a Napoli e non solo, era indebitata, lo sappiamo solo da Braudel. Gli storici da Napoli in giù, anche i più accreditati, sono fermi al feudalesimo (che invece semmai pecca per non esserci stato, questo è il problema storico del Sud: i padroni erano lontani) - a parte qualche traccia in Galasso, che ha un po’ scorso gli archivi del Seicento in Calabria. Lavorare sugli archivi è faticoso e rende poco, in termini di visibilità – con un po’ di ideologia e frasi fatte il lavoro viene meglio: non si fatica e se ne è gratificati.

Le tracce che Alberto di Monaco vuole riesumare, con la sua annuale visita, per irrobustire e memoria, e i quarti nobiliari, mostrano che il Sud era lasciato a membri secondari delle famiglie, terzi e quartogeniti, collaterali, spesso impecuniosi, e comunque isolati e poco produttivi – i Grimaldi come gli Spinelli, i Perrone e i tanti altri. Ma, sia stato quello che è stato, la memoria fa difetto, malgrado la (enorme) messe di pubblicazioni: troppi schemi di metodo, e soprattutto poca applicazioni.  

Il Sud non è trasformista

Uno studio di “Lotta comunista”, ottobre 2022, intitolato “Trent’anni di trasformismo”, comparando i dati elettorali dal 1994 al 2022 mostra che non il Sud è “trasformista”, contrariamente a quello che si pensa, anzi è piuttosto stabile nelle preferenze di voto, fra le divisioni classiche di sinistra, centro e destra.

La comparazione non è propriamente fra Sud e resto d’Italia, perché al Sud la rivista aggrega anche il Lazio, in un Centro-Sud, ma l’indicazione si può ritenere all’ingrosso valida – in fondo Roma nel Veneto risulta remota, si può testimoniare per esperienza, e il Sud per il professor Miglio cominciava all’uscita dal tunnel della Bologna-Firenze.

Molto ha cambiato il Nord, che nel 1992 votava a sinistra (Pci, Psi) per 33,1 per cento, uno su tre, e due anni dopo solo per il 22,6, fino a restringere la preferenza, il 25 settembre, al 12,3 per cento - a1 17,5 mettendo i 5 Stelle a sinistra. La Lega il Nord ha votato – anche questo contrariamente alla percezione corrente – alternativamente, al 16 per cento nel 1994 e poi al 3 virgla qualcosa o al 4 per cento nel 2001 e nel 2006, giusto per farla rientrare in Parlamento: una preferenza ondeggiante, come di recente, fra il 34 per cento alle Europee 2019 e l’8 per cento del 25 settembre. A lungo ha votato in massa Berlusconi, al 21 e più per cento, fino al 2013, riducendone poi considerevolmente il sostegno – a settembre al 4,8 pe cento – con un passaggio in massa, si può dire, da Forza Italia più che dalla Lega, a Meloni (salita come si sa in quattro anni da poco più dell’1 per cento al quasi 19).

Il Sud (con Lazio) è più stabile. Votava a sinistra nel 1992 per il 22,3 per cento, ha votato Pd il 25 settembre per poco meno del 9 per cento, e per quasi il 14 per cento 5 Stelle. Votava Msi per l’11 per cento nel 1992, ha votato An per il 15 per cento nel 1994, e ha votato Meloni per il 12,6 per cento quest’anno. Era molto Dc, per 31 per cento, e solo in parte ha votato Berlusconi, per una percentuale tra il 14 e il 28 per cento, ora ridotto al 4 – era Dc di destra.

L’astensione invece è vera, è sempre stata alta dopo il crollo dei partiti storici: era del 20 per cento nel 1992, è stata del 27 per cento due anni dopo, è ora al 45,5. Su dice del Sud che l’astensione è elevata per via dell’emigrazione: molti meridionali stabiliti lontano mantengono la residenza originaria, e non sempre tornano a votare. Ma il raddoppio dell’astensione è venuto in anni recenti, quando questo fenomeno si è ridotto a dimensioni marginali.

Nell’ultimo quindicennio è al Nord che l’astensione si è moltiplicata, e nell’area che la rivista chiama Quadrilatero (Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Umbria): dal 13,8 nel 1994 al Nord al 34,2 a settembre, e dal 12,9 al 34 nel Quadrilatero, triplicata.

Non è però da rivedere la nozione di trasformismo? Se la stabilità di orientamento politico è un dato più positivo o più negativo – in termini di esercizio democratico, di capacità di giudizio, di difesa degli interessi legittimi, di promozione, economica e sociale. Cambiare parere politico è legittimo, e anzi auspicabile, se non è legato a interessi di bottega, come si deve presumere della massa dell’elettorato. E anche, evidentemente, più proficuo: il Sud non ha voce politica.

 

La città è senza sindaco, ma non importa

Il sindaco è condannato, anche in appello, dopo il preliminare e il tribunale. In base alla legge è sospeso ma non di più, e in attesa della Cassazione si può fare finta di nulla. A Reggio Calabria, dove questo accade, si fa finta di nulla: il consiglio comunale tace, tace anche l’opposizione, e per i media è una cronaca come le tante altre, gli incidenti d’auto eccetera. Il Comune è amministrato da un facente funzioni, un consigliere anziano che è di un altro partito del sindaco. Il sindaco è Pd, una delle promesse del Pd, l’f.f. è di Renzi, immaginarsi.

Reggio Calabria è anche città metropolitana, cioè il sindaco è anche capo della Provincia, e quindi tutta la ex provincia di Reggio ora città metropolitana ha anch’essa un facente funzioni. Anche lui di Renzi e non del partito al governo a Reggio, il Pd. Ma nessuno s’indigna e niente si muove: i 97 Comuni attendono pazienti – forse non si aspettavano nulla neanche prima?

La legge non obbliga il prefetto a intervenire, come sarebbe invece il caso se un consigliere avesse un biscugino in odore di mafia, e la storia prosegue senza sussulti. Si capisce anche la città sia male amministrata, e la provincia peggio, ma questo è la normalità, nessuno si aspetta granché dalla politica. A parte qualche favore. La cosa curiosa è che neanche l’opposizione si muove, i berlusconiani, i meloniani, i salviniani.  

La condanna non fa notizia localmente, e nemmeno in Italia, benché sia di una certa gravità – un sindaco condannato. Perché il sindaco è del Pd, una promessa del Pd? Questa  sarebbe proprio una cattiva notizia.

Aspromonte

È in autunno al meglio. I castagni carichi. I faggi rossi - pieni di ombre ma non infernali, sorridenti, per quanto assorti. Il corbezzolo, piccolo e grande, a puntini rossi. Larici e frassini giallo bruciati, solitari o in gruppo.

Avevamo il foliage in casa, ben prima dei film di Woody Allen, a strafare, e non lo sapevamo – se non fosse per l’America, non ci scopriremmo.

L’autunno non vi è malinconico, ma un sollievo colorato. Tanto più per poterlo vivere in solitario, malgrado le famiglie dei cercatori di funghi, moleste, in ciabatte – si sa che il fungo è indifeso. Anche per la lunga estate, da ottobre a san Martino.

L’America ora ci vuole togliere il foliage, giacchè lo dichiara in estinzione? Ma non bisogna avere paura, siamo già morti in molti altri modi, non solo per l’America - l’America, che ci fa, montagne remote comprese, ci disfa anche volentieri, è volubile. Non è vero che il foliage è morto, in Aspromonte dà spettacolo.

Il cono sul mare è una montagna diversa, non essendo vulcanica. È anzi una montagna di sabbia, ma compatta, che le fondamenta tiene salda. E alberata, in ogni suo centimetro quadrato, viva cioè e vissuta. Con terrazzamenti come grandi balconate aperte alla luce, matronali, ubertose. Da ogni lato aperta sull’orizzonte chiaro, marino, si direbbe sorridente. 

Ma non ha avuto nome, fino a qualche secolo fa – nemmeno Strabone, così dettaglista, la nomina. Era una selva impenetrabile da un lato, un deserto dall’altro. È stato a lungo Montagna segreta, fino al tempo di Corrado Alvaro, un secolo fa. L’hanno aperta i Feltrinelli, con i disboscamenti.

È stata a lungo un montagna segreta, rifugio di eremiti, d’Occidente e d’Oriente, di ebrei, mussulmani - ed evidentemente ricercati, a vario titolo. Noi che siamo il paese più alto e più interno della Montagna siamo pieni di Pagano e Morabito, facciamo – facevamo, ieri è già remoto - il bianco mangiare, e il pollo e il pesce ripieni – il pesce in montagna. Alcuni avevano in sospetto anche il formaggio fresco, quando capre e pecore pure abbondavano, per la “melitenza”.

È – era, fino a ieri - popolato da saghe. Straniere, francesi, introdotte dai Normanni: Guerin Meschino, Orlando. Che gli diedero il nome.

È stato un grande ritorno per Pasqua quello del 1997, appena usciti dall’autostrada, accompagnati nei trenta chilometri d’inerpicata al paese, tra valli aperte tra i tornanti ombrosi dalla cometa. La cometa di Hale-Bopp, come la chiamano, netta, scintillante, si disegna, si sgrana, si muove, nell’aria tersa. Non c’è ombra, nessun velo, tra noi e il cielo, che si mostra vivo, sorridente quasi, rilassato: l’aria è tersa, è ancora tersa, niente fumi, niente polveri, niente sporcizie. Su fino alla conchiglia su cui il borgo si adagia. trasparente, secca – il panno steso è già asciutto. Un’aura di paradiso, anche il freddo di aprile pungente sembra rinvigorente. Un’altra epoca glaciale, solo un quarto di secolo fa? Un inganno della memoria? Ora l’umido sale a folate, qualche mattina sale pure la nebbia.

leuzzi@antiit.eu

L’America First, 1941

Un guazzabuglio. “Perfidia” è “Perfidia”, la canzone messicana del 1940, qui suonata da Glenn Miller – poi pezzo forte di Xavier Cugat e Abbe Lane, quando spopolarono in Italia. Il luogo pure è definito, Los Angeles. E il tempo, dal 6 dicembre 1941 al 29. Dalla vigilia di Pearl Harbour a dopo, alla reazione nella West Coast, specialmente popolata dai disprezzati “giappo”. Quello che vi succede è invece difficile da seguire. La caccia ai “giappo” naturalmente – anche da parte dei cinesi, in cerca di vendetta per l’occupazione del 1937, e in particolare per lo Stupro o Strage di Nanchino. L’entrata in guerra controvoglia – è la “guerra degli ebrei” per molti, per il famoso predicatore radiofonico padre Coughlin, un prete cattolico, come per ogni altro, dentro e fuori la radio. E la corruzione nella polizia di Los Angeles, con agenti che assaltano i furgoni portavalori, fanno i killer per conto di mafiosi, brutalizzano e assassinano i ricercati, anche quando non sono bevuti o fumati. Mentre i capi s’ingrassano, con yacht parcheggiati a Puerto Vallarta, in Messico, pagati dal capo della polizia messicana, per la protezione al suo traffico di braccianti nelle campagne californiane. Governati da un sindaco sciocco e un Procuratore genera le che dorme sempre, e va servito con prostitute nere – anzi “negre”, ancora si poteva dire. Tra bevute sempre incontenibili, e benzedrine, o sostanze forti. Le prostitute sono comunque per tutti, fornite dalle maggiori prossenete cittadine. Con guanti imbottiti d’acciaio, fucili a pompa, e molti coltelli – le Luger tedesche non sono apprezzate. E molta anatomopatologia.

Su questa rete s’intrecciano almeno una dozzina di storie personali, ardue da seguire – alla fine un indice dei personaggi è fornito, con un centinaio di nomi, e ne mancano molti dei tanti che s’incotrano nella lettura. La ricchissima, bellissima, elegantissima lady del partito Comunista, che si scopa gli invitati ai suoi grandi ricevimenti  – ma è pure un po’ lesbo, forse. La ragazza di provincia americana decisa a tutto: a vent’anni ha fatto la cameriera, la prostituta, l’agitprop comunista, ora fa l’amante di uno sbirro, mentre va a letto con tutti i fusti che incontra, e  la pittrice, e viene ingaggiata come spia. Mentre si prepara al cinema, da regista. Il nippoamericano istruito, intelligente criminologo, sofferente di gaytudine repressa. Il capomafia cinese, uno dei due in guerra tra di loro, che fornisce cibo e oppio a tutto il distretto di polizia, e anche gente di mano. Salvador Dalì, venuto a lavorare per il capomafia Siegel, è caduto nella cocaina, e Siegel lo ha fatto disintossicare. Hoover, il capo dell’Fbi, è una checca. Cary Grant pure. Con chi se la fanno tante attrici sarebbe elenco lungo. Barbara Stanwick è icona lesbo – e lei stessa praticante, forse. Bette Davis, cui Kohn, il capo della Columbia Pictures ha imposto il matrimonio, con un gay perso che lei relega in garage, mentre si porta a letto chi capita: in un cameo gioca a dadi in ginocchio per terra con un gruppo di ragazzi e col sergente irlandese anima nera di tutta la polizia, poi spara con la pistola del sergente al fossito, scaricando il caricatore, e poi se lo porta a letto, raccotandogli con chi è andata a letto, praticamente nessuno escluso, eccetto i Kennedy – “ho sentito che Jack è un donnaiolo peggio del padre, ma che ce l’ha piccolo come una nocciolina”. Il sergente irlandese che ha vissuto da ragazzo le brutalità inglesi del 1920-21, ora le applica, capace e feroce, fa la spia contro il suo capitano, irlandese anche lui, prossimo a diventare capo della polizia, col quale va a messa la domenica, festeggiando poi col vescovo alla messa, con barzellette e bevute, ed è uomo di mano di Joe Kennedy, che gli ha promesso l’arruolamento nell’esercito, nei servizi segreti. La Quinta Colonna giapponese. I crucchi hitleriani. Attorno a un seppuku familiare poco convincente – per chi indaga. Con aborti clandestini. E altro.

Ellroy in libera uscita, sembra l’amico delle barzellette. Stucchevole più che non. Vivace fa solo il sottofondo, l’America nel 1941. E il dopo Pearl Harbour: gli arresti in massa di nippo-americani, le esercitazioni di oscuramento, la moltiplicazione di ruberie e assassini a luci spente, i siluri giapponesi contro villaggi costieri, di pescatori giapponesi poveri, smembrati, ridotti in poltiglia.

La guerra ha già fatto due anni e più, l’Europa è mezza bruciata, ma Los Angeles non lo sa. Se non per  le Silver Shirts, le camicie grigie della Silver Legion of America, organizzazione fascista clandestina. Con l’America First, che quindi non è invenzione di Trump. E con Joe Kennedy, il papà,  capostipite della breve dinastia, che riciccia un po’ ovunque, tra le mafie, anche cinesi, con gli irlandesi d’Irlanda e d’America, con i vescovi, col governo Democratico, sempre antisemita. L’antisemitismo – il presidente Roosevelt è “Rosenfeld”. I braccianti messicani a un dollaro, al giorno, forniti e controllati dalla polizia del loro paese. Le grandi comunità orientali d’America, la cinese e la giapponese. La presenza cattolica, probabilmente unica nella letteratura americana, anche di fine sentire, con “La passione di Giovanna d’Arco” e Renée Falconetti. I comunisti americani perfettini e sciocchi – anche informatori. Harry Kohn, “l’ebreo” capo della Columbia Pictures, fervente mussoliniano. Nonché gestore di una équipe di abortiste, un’ex medico radiata dalla professione con la sua compagna (e un figlio che si è fatta fare per non sembrare), per ovviare alle gravidanze delle attrici. Il capo di tutte le mafie Benjamin “Bugsy” Siegel, altro ebreo, spietato. Il capitano cattolico delle polizia William Parker, altro personaggio reale, molto praticante e molto alcolizzato, di ottima formazione giuridica, che si perde nel guazzabuglio – fa liste delle “cose” che accadono, ma le “cose” lo sovrastano, non sono governabili. L’imprevidenza prima di Pearl Harbour, e il panico dopo. La ferocia giapponese, in Asia e nella stessa Quinta Colonna californiana.   

James Ellroy, Perfidia,  “Corriere della sera”, pp. 889 € 8,90

martedì 8 novembre 2022

Secondi pensieri - 497

zeulig

Aforisma - Un pensare corto. Un lampo. Con un briciolo necessariamente di verità – si ritrova ovunque, in tutto, anche nella stupidità, una verità, un briciolo. Può anche andare in fondo, come il lampo, o produrre danni. La verità è piuttosto un’impalcatura. 

Creazione – Ha sempre carattere estetico, anche quella originaria, se c’è stata. Non di necessità, e in libera estrinsecazione, non normata. Un libero estrinsecarsi di forze, non necessariamente unite da un processo o progetto omogeneo – se non la creatività di per sé. La stessa natura, pur con tutta la sua maleficenza, che però è anche magnificenza, partecipa di un “progetto” artistico, di creazione libera. C’è in ogni cosa la funzionalità ma soprattutto la bellezza – di forme, colori, processi. La scienza tende a escluderla, con le classificazioni, i modelli, le specificazioni, in elenchi e graduatorie, il più possibile descrittive e sistemiche, ma ogni elemento, sia all’ingrosso sia al minuto, si connota per elementi estetici – beli e naturalmente “brutti”.

Esistenzialismo – Sarà stato buona scrittura, quello in salsa francese, Camus, Sartre, de Beauvoir, anche MerleaauPonty, e nient’atro. Sì, la libertà, sì il senso della vita, sì unde malum, ma nessuna risposta (argomentazione), se non la consolazione del racconto – Sartre, de Beauvoir, Camus si volevano inizialmente e al fondo buoni scrittori.

Io – “L’io che tutto conosce e da nessuno è conosciuto” di Schopenhauer non è piuttosto vero all’inverso? Anche nella forma del vescovo Berkeley, del soggettivismo - partendo dall’innatismo. È una spugna prima che un giudice e un dittatore, assorbente. È un ricettacolo, un’antenna attira-fulmini. O piuttosto, restando all’antenna, è un ricettore, quello che riceve i segnali, della parabola tv, del trasmettitore del telefonino, della rete. Dei segnali vaganti nell’etere, di marziani o venusiani, o anche soltanto internet. Dei segnali radio vari, Della biologia ben prima che della dottrina lgbtq, quale che questa sia.

È entità storica. Si è costituito con difficoltà, lungo molti millenni, e ancora è incerto. In divenire anche perché mutevole.

Libertà – Fin dove si estende è problema sempre aperto, se anche di fare il male - checché s’intenda per male. Non è difficile “narrare” (inventare) situazioni e caratteri che, spregevoli e violenti, ese4nrcitano la libertà, il libero arbitrio, persuasivi, convincenti, per quanto orribili e comunque riprovevoli.

È il problema dell’Auctoritas, della legge, fino a dove può estendersi senza essere coercitiva – o, meglio, essere coercitiva in uno spettro di libertà.  

È una trama, che sottende vari disegni.

È tema (problema) pratico e non filosofico – logico, assoluto.

Nietzsche – “Nietzsche aveva l’abitudine di passeggire per ore  e di prendere appunti nei taccuini. Poi a casa scioglieva tali appunti nei suoi preziosi aforismi, non riuscendoci però sempre. Lamenta infatti di aver perduto così pensieri importantissimi” – Sossio Giametta. Si vede, il suo è un pensiero intermittente.

Sesso – Non c’è il sesso in natura, dice la biologia, ci sono composizioni varie, come già Darwin ha spiegato (avrebbe spiegato: a Darwin si fano spiegare troppe cose) , dalla ricombinazione genetica  dei caratteri ereditari: “Nel corso della produzione dei gameti, uova e spermatozoi, la molecole del Dna viene tagliata e ricucita mescolando i caratteri genetici e creando variabilità nell’assortimento degli stessi” (Carlo Alberto Redi).- “il grande vantaggio evolutivo della riproduzione sessuata consiste così nel cerare una alta variabilità genetica sulla quale si esercita la selezione darwiniana”: Darwin non direbbe il contrario?

Ma c’è il sesso negli animali, nei mammiferi e non solo. Nella funzione riproduttiva e non solo – nella nutrizione, nella cura, nelle attitudini. Esito di un lento adattamento. Ma l’evoluzione della specie non è dettata dal dna, neanche composito o in evoluzione – cioè: il dna evolve (e l’evoluzione tra specie?).   

C’è una obliterazione in corso del sesso, partendo dalla sessualità umana. Dal pansessualismo, freudiano e non, che è stato fare tabula rasa, per reazione, per eccesso, stanchezza, sazietà (quando Leonardo veniva ridotto a una fellatio). All’indifferenza sessuale, non fra i generei, ma allo stimolo e alla funzione, al piace o orgasmo e alla procreazione.

Stato - Si esalta quello stronzo di Hegel (Schopenhauer l’avrà detto da qualche parte, lo pensava) col suo Stato assoluto, perché, poveretto, stava in una Germania degli innumeri staterelli ed era giusto ammirare Napoleone, e si depreca Machiavelli, che andava in cerca di un brigante, i prìncipi avendo deluso ogni aspettativa, piccoli esteti tra gonne, pennelli e pugnali, per ridare una faccia all’Italia - uno che disprezzava i tiranni. Hegel è naturalmente molte cose, ma nella pratica, in politica, sia quella di destra (c’è perfino un liberalismo che si richiama a Hegel, Croce in qualche modo compreso, via lo zio Spaventa, e la sua propria, tarda, dopo averlo “cristianamete seppellito”, Hegel Renaissance) che quella di sinistra, patrocina l’impatrocinabile: il secolo e mezzo che gli è succeduto, forse anche due, considerando il presente, hanno visto Stati rabbiosi, fino alla mobilitazione totale (non quella di Jünger, autonoma e quasi spontanea, quella ordinata, con vincolo stretto, una leva obbligatoria) e anzi alla guerra totale, alla distruzione generale – che è un assurdo  prima che violenza. Che lui certo non ha creato e forse non prevedeva o auspicava (ma la sua Prussia era già qualcosa del genere), ma ha teorizzato, qui perfino con precisione: la sua guerra e ben “il vento del rinnovamento”, l’aria fresca che entra nella storia, altrimenti immobile e putrescente. Senza mai dire, peraltro, chi e che è lo Stato. Chi è lo Sato? Il re, per grazia divina? La “volontà generale”? È un dittatore, una dittatura, un sistema di sopraffazione. Che si corregge con le costituzioni, i Parlamenti, le elezioni. Lo Stato “profondo” – la burocrazia, la continuità senza correttivi, senza cheks and balances – è come per natura segreta e perversa. Lo Stato “etico”. Al disopra del diritto, interno e internazionale. Ultimo momento dello “spirito oggettivo” (? fuoricampo?). Che verrà superato dallo Spirito assoluto. Nei suoi tre momenti di arte, religione e filosofia – dal “tempo libero” dei contratti di lavoro?

Verità – S’intende sistematica, e perciò contestata. Mentre è tangenziale: un aspetto, un taglio, un indirizzo. Mutevole anche: per circostanze, contesti, epoche. Per sottintesi: tonalità, sguardi, pause – si veda la verità testimoniale, così contestabile perché così ricca, nella sua semplicità o veridicità, di condizioni e implicazioni. O anche sostanziale, radicale (radicata), ma allora in fascio, con altre verità o anche errori.

La filosofia (ragionare della verità) è per questo mai conclusiva, di necessità: costitutivamente  aperta, integrabile, rinnovabile.  

zeulig@antiit.eu

Il terrore che piace ai bambini

La prima avventura della serie graphic della giovane madre Cosma col figlioletto Mito, dai capelli blu. Mito, che ha un’attraziome naturale per tutto ciò che è marino, lasciato solo in casa a custodire il sugo, vaga all’avventura finendo nel bosco in montagna, la Sila, della “maga delle buatte” o delle conserve, specialista in ragù. Nessun timore: una ricotta, oggetto misterioso succulento, salva Mito e gli altri ragazzini come lui perduti nel bosco. Fino ad altre aventure, tra i lupinari, lupi mannari, e le Anarade, metà donne e metà mulo, che si aggirano a Roghudi, all’altro capo della Calabria.

Un favolello. Un fumetto buono, anche nel taglio delle tavole, frontale più spesso, piano. Con molte tavole, anche molto affollate. Filosa, cultore del manga più alternativo, espressionista, tenta un nuovo approccio, del terrore per bambini, come è delle vecchie favole.

Nicola Zurlo-Vincenzo Filosa, Cosma&Mito – L’antro dei lupiminari, Coconinco Press, pp. 112 ill. € 16

lunedì 7 novembre 2022

Il business dei migranti vuole visibilità

Le Ong dell’avventura marittima, ora nel Mediterraneo in cerca di immigrati, dopo le piraterie del tipo Greenpeace, scelgono l’Italia come attracco per la visibilità – questo sito s’interrogava l’altro giorno sul perché vogliono scaricare “la merce” solo in porti italiani: per la visibilità. Le Ong vivono di pubblicità: più si impongono sui media più contributi si guadagnano, privati e pubbici. In Itaia tanto meglio quando c’è un governo di destra, che fa ammuina. La visibilità allora è massima, i contributi delle anime buone aumentano, quelli pubblici, di Bruxelles, del proprio Stato di appartenenza, necessariamente pure, lo stipendio è assicurato, e si vive ai trenta e quarant’anni nell’avventura. Che di meglio? Gli africani? Un pegno.

Sbarcare i soccorsi, ammesso che siano alla deriva, nel “porto più vicino” come dice il diritto internazionale, a Cipro, a Malta, in Tunisia no. La Tunisia tra l’altro non è Europa, e i cosiddetti “salvataggi” vanno fatti, anche contro le regole, in Europa.

Le Ong in combutta con i trafficanti di africani, per farsi “esperienze” (vacanze) memorabili nel Mediterraneo, sarebbe tema da (piccola) Norimberga.  

A grande richiesta riecco Camilleri - in attesa di critica

Una sconosciuta opera lirica, quella del titolo, deve inaugurare il teatro di Caltanissetta per decisione del prefetto, un toscano, Bortuzzi, suscitando polemiche e proteste, come è – era – della “buona borghesia”, cioè notabilare, siciliana e meridionale. In un crescendo che culmina in botti, e non per per festa. Una vicenda grottesca che si aggroviglia, su uno sfondo paziente e dolente: una storia di fine Ottocento, ma non sembra. 

È il primo romanzo del Camilleri “maturo”, 1995, quello che ne decreterà la fama mondiale. Attorno a un aneddoto che rende al meglio la sua miscela narrativa, tra l’irrazionale, il comico e il tragico, o traumatico. Il tutto naturalmente molto siciliano, essendo espresso nella sua speciale lingua, innestata sulla parlata agrigentina. Una sorta di Pirandello a lieto fine, paternità spesso dichiarata, e con – non dichiarati ma evidenti – echi dell’“abate” Meli, palermitano questo, e - un po’ – la verve storica dei catanesi, Capuana, Verga.

Camilleri racconta sempre vicende della Sicilia “profonda”, provinciale. Reale, fuori delle architetture programmate per l’isola, di mafiosi, ingravidabalconi, e baroni. Quella che s’incontra, di notabilato, ignoranza, saccenza, solitudine, e garbo, o sollecitudine. Che lui, per l’aneddoto che qui racconta, spiega in “Nota” di avere trovato nella “Inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia (1875-1876)”, inchiesta parlamentare, pubblicata dopo un secolo, 1969, dall’editore Cappelli di Bologna: “Una vera miniera”, la dichiara Camilleri. Che ne ha già derivato il romanzo “La stagione della caccia” e il saggio “La bolla di componenda”.

Questo racconto nasce dalla testimonianza, il 24 dicembre 1875 (il Parlamento lavorava la vigilia di Natale, un secolo e mezzo fa), del giornalista nisseno Giovanni Mulé Bertolo, particolarmente accanito contro il prefetto Fortuzzi, e “Il birraio di Preston” che il prefetto impose. Un rappresentazione finita a gazzarra, finché, dice il giornalista, non “entrarono in teatro militi a cavallo, truppa con le armi”. I parlamentari a questo punto, nota Camilleri, “preferiscono glissare e passano ad altro argomento”.  Ma hanno ascoltato quanto basta a Camilleri per inventarsi il resto.

“Il birraio di Preston” esiste, opera di Luigi Ricci. Camilleri dice di essersi procurato libretto e partitura grazie a Dirk Carsten van der Berg – un musicologo, tedesco, che è stato uno degli ultimi allievi di Camilleri  all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica, diplomato nel 1992. Avesse avuto a disposizione google avrebbe fatto anche un’altra storia:  Ricci, napoletano, prolifico, compositore di oltre trenta opere in poco più di cinquant’anni di vita, finito maestro di cappella a San Giusto nella Trieste austriaca, dopo il fallimento a Milano delle sue “Nozze di Figaro”, si consolò con l’amore di due gemelle boeme diciassettenni, Franziska “Fanny” e Ludmila “Lidia”, con le quali convisse a Trieste, Odessa e Praga. Scrisse “Il birraio” su libretto di Francesco  Guidi, letterato fiorentini. La prima rappresentazione si fece alla Pergola, il teatro di Firenze, nel 1847 - non sono note riprese, a parte quella del romanzo, di Caltanissetta: si spiegherà con questa ascendenza fiorentina la testardaggine del prefetto.

 “la Repubblica” inaugura con questa specie di “opera prima” – ma la primissima (edita) verrà col prossimo numero, “La conoscenza delle cose” – la ripubblicazione di gran numero dei romanzi di Camilleri. Che continua quindi a essere un grande fenomeno editoriale, ma ancora manca di un assetto critico – non se ne conoscono, solo apprezzamenti, del tipo “io lo conoscevo bene” si diventa Autori se si ha un Critico.

Camilleri, Il birraio di Preston, “la Repubblica”, pp. 234 € 8,90

 

domenica 6 novembre 2022

Il mondo com'è (455)

astolfo

Padre Coughlin – Il più acceso antisemita americano, dopo Lindbergh, l’aviatore – e dopo Ford, l’industriale delle macchine? Sicuramente il più popolare - a lungo dimenticato,   ora esumato da James Ellroy e Joshua Cohen nei loro ultimi romanzi: individuò e utilizzò per primo la radio come veicolo propagandistico. Le sue trasmissioni settimanali negli anni 1930 si stimava avessero un seguito di trenta milioni di ascoltatori. A lungo ebbe (subì) anche un numero impressionante di corrispondenti: si stimava che cica 80 mila americani ogni settimana gli scrivessero.

Era un sacerdote cattolico, con incarichi anche pastorali. Ma molto preso dalla politica. Di stampo fine Ottocento, anche se vivrà a lungo, fino al 1979, morendo di 88 anni. Inizialmente sostenitore di Franklin D. Roosevelt e del New Deal, ne divenne presto critico, giudicandolo troppo condiscendente con le banche. Che per lui erano il demonio, divinità del denaro. Anche perché le identificava con la “finanza ebraica”, cui attribuiva tutti i peccati, e soprattutto le guerre e il comunismo.

I banchieri ebrei, la finanza ebraica, un complotto ebraico che trama le guerre, anche quella di Hitler, anche quella del Giappone contro gli Stati Uniti, erano il suo nemico e l’obiettivo ricorrente della sua rubrica radiofonica. L’anticapitalismo presto estese all’antisemitismo di ogni tipo. E al sostegno dichiarato a Mussolini, e a Hitler.

In contrasto pubblico con molti vescovi americani, ma sostenuto in privato da altri, non fu mai sanzionato dalla chiesa. Perdette invece l’uso della radio nel 1939, un mese dopo l’invasione tedesca della Polonia, quando in America furono imposte restrizioni alla libertà di parola in materia di “questioni pubbliche controverse”. Era però, malgrado l’antisemitismo radicale e la capacità oratoria, persona schiva e tranquilla, e si ritirò a fare il parroco. Fino alla pensione, nel 1966. Ma sempre scrivendo contro gli ebrei: lasciò vari opuscoli in cui gli ebrei non fomentavano più la guerra, ma il comunismo.

Pomerania – È il cuore della Germania, che adesso non è più Germania (così come la Slesia, altro nucleo storico della Germania), salvo la piccola parte del Land Meclemburgo-Pomerania Anteriore, nel Nord-Est. In massima parte è annesso dalla Polonia. Una piccola parte è anche svedese, dal trattato di Stettino del 1630, nel corso della guerra dei Trent’anni.

Era uno dei nuclei originari della Germania, attorno al Baltico. Abitato da tribù tedesche e slave, Veleti, Obodriti e Casciubi. Attorno alle città di Danzica e Stettino. Il ducato di Stettino fu parte del Sacro Romano Impero, dal dodicesimo secolo fino al diciassettesimo, sotto i duchi Greifen (del  grifone, registrato nel 1190 nel sigillo del duca di Pomerania Casimiro I). Poi fu prussiano, fino alla Grande Guerra.

Il ducato pomerano di Danzica fu annesso dall’Ordine Teutonico nel Trecento, che se ne era appropriato con le Crociate del Nord nel corso del Duecento, per la conquista e la cristianizzazione delle tribù baltiche. I Cavalieri Teutoni favorirono anche una vasta immigrazione di contadini tedeschi. Ma ai primi del Quattrocento vennero in contatto e allo scontro con i cristiani russi, ortodossi, a Pskov e Novgorod (la “battaglia del lago ghiacciato” è raffigurata da Eizenstejn nel film “Aleksandr Nevsky”), e con una diversa organizzazione dei polacco-lituani, che sotto al guida di Ladislao II Jagellone li sconfissero a Tannenberg, 1410. Fino a metà Seicento, al secondo trattato di Stettino, 1653, quando la Pomerania se la spartirono la Svezia (in minima parte) e la Prussia, l’ex ducato di Danzica fu polacco.

Paul Robeson - Il romanziere James Ellroy inscena in “Perfidia” un’esibizione di Robeson col suo classico “Old’ Mar River” a una manifestazione anti-patriottica del partito Comunista di Los Angeles l’8 dicembre 1941, dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbour. Poi “con l’arietta da operario ‘Joe Hill’”. Infine “con l’’Otello’ di Verdi, adesso era il Moro di Venezia”. Ma lo dice “il troubadour dei lavoratori nonché alunno di Princeton” – concetto che ribadisce poi: “Un negro uscito da Princeton magnificava la lotta di classe”. No, Robeson veniva da Princeton, dove era nato, da un ex schiavo “fuggiasco” diventato nella cittadina pastore presbiteriano, di una chiesa per afroamericani,  e da Maria Louisa Bustill, di Filadelfia, quacchera, di ascendenza Ibo (nigeriana) e anglo-americana, dai tratti molto “caucasici”, come allora si diceva. Aveva studiato dapprima alla Rutgers, l’università statale del New Jersey, dove , per l’eccellenza negli sport, ebbe una “chiave” Phi Beta Kappa (riconoscimento di eccellenza), e poi in un’università prestigiosa, ma era la Columbia, di New York – che peraltro si riteneva più rispettabile e di miglior livello che Princeton, anche se a Princeton insegnava all’epoca Einstein. Alla Columbia Robeson si era laureato in Legge.

L’ “americano più conosciuto al mondo negli anni 1930 e 1940”, un afroamericano di 1,91 di altezza, basso-baritono da concerto, molto presente negli Stati Uniti e in Inghilterra, attore di teatro a New York, nella Harlem Renaissance, primi anni 1920 (“The Emperor Jones”, “All God’s Chillun got Wings”) e a Londra (“Voodoo”, e due stagioni di “Emperor Jones”), e di cinema (“Show Boat”, “Sanders in the River”). Già giocatore professionale di football – alla Columbia si pagò gli studi come giocatore di football, anche al massino livello, la National Football League. L’“Otello” di Verdi mise in scena e interpretò in tre stagioni differenti, di cui la prima a Londra.

Molto noto fu anche Robeson per le sue prese di posizione politiche, radicali nello spettro  americano. Dapprima a Londra, col sostegno ai disoccupati della Grande Recessione e agli studenti “antimperialisti”. Poi, sempre da Londra, col sostegno ai repubblicani nella guerra civile di Spagna. Negli Stati Uniti col sostengo al Council on African Affairs (Caa), o International Committee on African Affairs (Icaa), un’organizzazione anti-coloniale e panafricanista. Di cui fu sempre il presidente – l’eminente intellettuale W. E. B. Du Bois, il primo afroamericano ad addottorarsi, a Berlino e Harvard, negli anni 1890, uno dei fondatori della Naacp, l’ancora influente National Association for the Advancement of Coloured People, ne era il vice.

Finita la guerra, ma già nel 1944, Robeson entrò nel mirino dell’Fbi per le simpatie verso l’Unione Sovietica. Prima della guerra aveva anche partecipato ad alcune manifestazioni di “compagi di strada” (raccolte fondi, festival, aiuti umanitari) organizzate da Willi Müntzenberg, il geniale dirigente delle attività di propaganda del Comintern, l’organizzazione internazionale di Mosca. Fu indagato ufficialmente negli anni di McCarthy, primi 1950, ma non incriminato. Avendo però rifiutato di misconoscere i suoi orientamenti politici, nel 1950 era stato privato del passaporto. Ritornò a Harlem, e vi editò un periodico, “Freedom”. Nel 1958 riebbe il passaporto, a seguito della causa vinta presso la Corte Suprema da un Rockwell Kent, privato del passaporto perché comunista professo, contro John Foster Dulles, segretario di Stato – Foster Dulles, il segretario di Stato delle due presidenze Eisenhower, 1952-1959, era stato nei tardi anni 1930, rappresentante a Berlino di un grande studio legale americano, fervente sostenitore di Hitler. 

Stupro di Nanchino – Detto anche “massacro di Nanchino”, la vecchia capitale cinese fino all’avvento di Mao (la costituzione di Taiwan la considera tuttora la capitale della Cina), è stato è resta un sorta di “Olocausto” cinese, il fatto divisivo più di ogni altro tra Cina e Giappone, non ricucito nemmeno nel recente riavvicinamento produttivo, nel quadro dell’economia globale. Avvenne nell’invasione giapponese della Cina nel 1937. Avvicinandosi le truppe giapponesi alla capitale, il presidente generale Chiang Kai-schek la ritenne non difendibile, e immaginava,  ritirandosene, di lasciarla “città aperta”, non da assaltare. Ma il contrario avvenne: i giapponesi, entrati senza resistenza nella città smobilizzata, si ritennero liberi di ogni sorta di violenza. Per sei settimane, tra dicembre 1937 e gennaio 1938, si abbandonarono a stupri ripetuti di ogni donna, e assassinii dei cinesi in cui s’imbattevano di ogni età e condizione.  Praticarono soprattutto le decapitazioni – si disse anche di neonati.

Le stime delle vittime del “massacro” o “stupro” variano, da 300 mila a poche centinaia, secondo alcuni storici giapponesi revisionisti – ma il governo giapponese ha riconosciuto ufficialmente che strage ci fu. Documenti americani resi pubblici di recente hanno portato il calcolo delle vittime a mezzo milione, mettendo in conto anche i morti in città e fuori prima della sua resa. Al processo di Tokyo nl 1948, una sorta di tribunale di guerra o di Norimberga, che giudicava la guerra nippo-cinese e la guerra mondiale, il comandante militare giapponese a Nanchino, generale Iwane Matsui, fu condannato a morte e giustiziato. Il generale protesse al processo il ruolo avuto dal principe Yasuhio Asaka, che sarebbe stato invece l’animatore dell’eccidio. Asaka non venne giudicato anche per gli impegni presi dal generale Mac Arthur, plenipotenziario americano, direttamente con l’imperatore, di tenere fuori dal processo la famiglia reale. Asaka era zio per matrimonio dell’imperatore Hirohito, suo minore di quattordici anni. Vivrà ancora a lungo, fino al 1981, di 94 anni.

astolfo@antiit.eu

Troppi “diritti” per i Democratici Usa

Repubblicani verso il botto? Sì, ma di che tipo? Sarà un blowout repubblicano il voto americano di medio termine martedì? Mercoledì magari i sondaggi saranno stati ribaltati dal voto, ma il settimanale, molto progressista, dà un successo per i Repubblicani – anche se blowout  è termine ambiguo, si può intende il botto come sconfitta.

Il catenaccio è – se non è scongiuro – per i Repubblicani: “Il consenso tra sondaggisti e consulenti è che il voto di martedì sarà un «bagno di sangue» per i Democratici”. I consulenti, o “strateghi”,  elettorali Repubblicani sono concordi che la vittoria elettorale sarà su tutti i fronti: la Camera dei rappresentanti, che si rinnova per intero, il Senato, per un terzo, e gli Stati dove si vota per l’esecutivo, 36, mentre in 27 si elegge anche il “segretario di Stato”, il pubblico ufficiale che convalida i risultati elettorali. Ma, poi, si ragiona che la vittoria o la sconfitta sarà determinata dal voto in due stati in bilico, Pennsylvania e Georgia, e forse l’Arizona – quelli che, dopo molte contestazioni, hanno fatto vincere Biden due anni fa, ma per pochi voti.

Più che per le previsioni degli strateghi, che parlano in base ai dati scomposti dei sondaggi, per classi di età, reddito, residenza, etnia, l’articolo è interessante per il quadro che delinea, fra Democratici “pariolini” e Repubblicani da borgata, si direbbe a Roma. I sondaggi estivi, pro Democratici, erano gonfiati dai “votanti sempre”, i militanti, che sono anche quelli disposti a rispondere a ogni sondaggio. Mentre erano sottostimati molte categorie di votanti, le casalinghe, i latinos, i non-militanti (indecisi o elettori che presumono poco di sé). Il sentiment è che i non-militanti siano critici, per il carovita, e per il bombardamento dei media sui “diritti” (aborto, omosessualità o asessualità, immigrazione, educazione sessuale alle elementari).

L’abolizione del diritto federale di aborto aveva mobilitato i Democratici “che votano sempre” anche in altra forma, moltiplicando le donazioni, personali e aziendali, societarie. Gran numero di video e altri messaggi sono stati così realizzati per la propaganda, ma tutti basati su “diritti” e “democrazia”, aborto e Trump. Questa campagna ha gonfiato i sondaggi complessivi. Ma ha agito anche come un bombardamento repulsivo. Analizzando gli esiti dei sondaggi per categorie, i militanti sono risultati sovrarappresentati, mentre tra i non militanti emergevano categorie dissenzienti. Per esempio fra i maschi afroamericani e latinos sull’aborto. O delle (poche) casalinghe sul carovita, e le difficoltà, perfino, per esempio per il latte in polvere, di approvvigionamento. Con un marcato disinteresse, tra i latinos e gli stessi afroamericani, per la questione Trump-democrazia. Da qui il ribaltamento dei sondaggi tra settembre e ottobre.

Benjamin Wallace-Wells, Why Republican Insiders Think the G.O.P. is poised for a Blowout, The New Yorker”, free online