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sabato 7 maggio 2016

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (285)

Giuseppe Leuzzi

Stefano Malatesta ricorda sul “Venerdì” il debutto da inviato nella diversità: “Quando abbiamo cominciato a viaggiare non andavamo verso il Nord Europa a imparare l’inglese: già lo sapevamo. Ci dirigevamo dalla parte opposta, dove si apriva il meraviglioso Mezzogiorno: terra incognita che nelle mappe leghiste sarebbe apparsa con la scritta Hic sunt Terrones”.

Non una vera scoperta, prosegue Stefano: “Gli ultimi padani a visitarla erano stati i Mille: quasi tutti carabinieri genovesi, borghesi bresciani, studenti bergamaschi, fiorentini e veneziani, più qualche romano e pochi siciliani, tra cui Crispi. Poi per cent anni l’ex Regno delle Due Sicilie era stato abbandonato  a se stesso, diventato italiano solo di facciata”. Una breve veridica storia dell’unità d’Italia.

Papà non è un francesismo – Lorenzo Tomasin sul “Sole 24 Ore” domenica 1 maggio. Non è  nemmeno un italianismo. No, appartiene ai dialetti del Nord. Al Sud il diminutivo per padre si dice “tata “. In quale Sud, illustre filologo veneziano?.
C’è il leghismo linguistico, e come tutti i leghismi si vuole ignorante. Ma perché cirubano anche il papà?

La foglia di fico è indizio importante. Adamo e Eva la portavano nel Paradiso Terrestre prima della Caduta.  Dunque il Paradiso Terrestre è al Sud, dove crescono i fichi.
Era, prima della Caduta?

Napoli
I giudici di pace lavorano a Napoli e Salerno per le assicurazioni. Cioè contro le assicurazioni.  Hanno il 68 per cento di tutte le cause per incidente stradale contro le assicuarazioni che si fanno in Italia.
Solo a Napoli, i fascicoli aperti a metà 2015 erano 265.483: più di quanti erano pendenti in Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli, Emilia Romagna, Toscana, Liguria, Umbria, Sardegna, Basilicata e Molise messi assieme. Quasi 17 denunce per incidente stradale ogni 1000 abitanti.

La Campania ha 652 avvocati ogni 100 mila abitanti, secondo la European Commission for Efficiency and Justice: cinque volte la media dell’Unione Europea, Campania compresa, che è ferma a 127. Le assicurazioni sono il maggior datore di lavoro della Campania.

No solo il record delle violenze sugli amministratori locali, anche le intimidazioni vedono il Sud all’avanguardia: insulti verbali, lettere minatorie, scritte sui muri. Servizio Pubblico ne ha censite oltre duecento in Sicilia nel 2014 e 2015. L’isola è seguita a ruota dalla Puglia e dalla Calabria.
La classifica in realtà non dice nulla di nuovo, se non che la Campania non c’è. La Campania si astiene dagli avvertimenti – fa sul serio?

Grande sfoggio di Resistenza per il 25 aprile a Napoli, che fu liberata dagli Alleati. Con l’arroganza di rito, giudicando e respingendo chi non è o non è stato abbastanza resistente. Sembrerebbe  ridicolo, avere le pezze al culo e irridere di questo il prossimo, ma Napoli è sempre piena di sé.

Essere pieni-di-sé in un mondo pieno di odio-di-sé, dovrebbe essere una dote. Ma qualcosa non quadra. Forse che Napoli non si glori di qualcosa di buono. Anche solo, magari, di canzonette – ha abbandonato anche quelle.

Il presidente Ciampi, col concorso, è vero, di Bassolino, avevano mutato volto alla città – e anche a Caserta, alla reggia e al parco. Napoli sembra pulita, e anche molto viva, la gente interloquiva orgogliosa. Ma è bastato poco, che Ciampi passasse la mano, ed è sprofondata nell’immondizia e la scellerataggine.

Dov’è l’illegalità a Napoli? All’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Autofinanziato, ma non in toto. Definanziato dalla milanese Letizia Moratti, ministro dell’Istruzione, che deviò i fondi sul progetto Umanesimo e Cultura di un salumificio lombardo. Indebitato. Sfrattato – Carlo Vulpio racconta su “La Lettura” che i 300 mila volumi della biblioteca sono stivati “nei sotterranei umidi di Palazzo Serra di Cassano, in un capannone industriale di Casoria, nell’ex manicomio «Bianchi», e nell’Istituto professionale per ciechi «Colosimo»”. Ma questo si legge su “La lettura”, la città ne sa poco o nulla.

Nel 1973 il mondo era in ambasce per la crisi del petrolio e la guerra del Kippur (giravano atomiche), Napoli per il colera. C’è un destino nelle cose?
Lo storico Barbagallo apriva su questa coincidenza vent’anni fa “Napoli fine Novecento”. Perplesso.

La mafia dell’antimafia
Si processano per associazione mafiosa in Sicilia i protagonisti più in vista dell’antimafia. Antonello Montante, presidente delle Camere di commercio dell’isola e delegato della Confindustria alla legalità. Ivan Lo Bello, presidente di Unioncamere, nonché della Camera di commercio di Siracusa. Pino Maniaci di Telejato, giornalista di Partinico che spadroneggiava per procurare favori all’amante e si inventava attentati mafiosi per avere la scorta, che invece erano storie di corna.
L’antimafia è il punto dolente della lotta alla mafia al Sud. L’uso delle leggi e spesso anche dell’apparato repressivo a fini personali e di guadagno. A opera di soggetti meridionali, ma con la copertura dell’apparato repressivo, forze dell’ordine e giudici, che è nazionale. I tre casi siciliani non sono eccezionali e non sono di oggi.
Fin dall’origine l’antimafia di professione, politico-industriale, è stata inquinata dalle mafie. Era il caso in Calabria trent’anni fa, anche quaranta, quando un onorevole Frasca, socialista, faceva convegni e raccoglieva voti con i fratelli Mammoliti, la mafia di Castellace. Molti dei pentiti di mafia sono stati mafiosi in esercizio. Ancora in Calabria, se ne censirono 28 per accusare Giacomo Mancini, che un Procuratore della Repubblica avallò e poi al processo si scoprirono fasulli – si fecero scoprire fasulli, rovinando l’apparato giudiziario dopo l’esponente socialista. Molti mafiosi fanno finta di pentirsi, a danno magari dei propri nemici, o evidenziando colpe minori, per restare in qualche modo in possesso dei beni – come è il caso sempre dei Mammoliti in Calabria.
L’antimafia sarebbe molto semplice: è anzitutto un problema di ordine pubblico. Si sa chi commette i reati ma non si interviene. Se non dopo trenta-quarant’anni, quando il danno è irreparabile. Economico, fisico, eccetera, e soprattutto morale: perché esporsi a nessun fine? L’omertà è solo disprezzo dell’apparato repressivo, nessuno vuole bene ai delinquenti – ladri, grassatori, assassini, rompicoglioni.

Il Sud è mentale
La scoperta del Sud, cui Stefano Malatesta si disponeva cominciando a viaggiare, o a viaggiare per lavoro, resta ancora da fare. Non sembrerebbe possibile, tanti sono i libri di viaggio al Sud e sul Sud.  Ma sono viaggi mentali. Anche effettuati fisicamente, con i disagi e le fatiche di ogni viaggio. Anche con attenzione, senza pregiudizio – purtroppo non senza stereotipi: la donna del Sud, l’omertà, la corruzione. Ma non ci sono libri di viaggio al Sud illuminanti. Zanotti Bianco sì, Isnardi, ma i loro non sono libri di viaggi – di Danilo Dolci si è perso pure il nome. Omesso il pittoresco, e ora le mafie, non c’è nessun Sud.
Il viaggio mentale si fa per di più dentro un Sud che è immaginario. Si può dire, benevolmente, che il Sud non esiste più se non nell’immaginario di viaggiatori e osservatori non molto interessati alla cosa. È di questa irrealtà che fa parte la camicia di forza dell’antimafia, che si lascia irretire da profittatori e furbastri.

leuzzi@antiit.eu

NOM, ecco il decalogo

Andrebbe incorniciato il “Nuovo Ordine Mondiale”, il decalogo di Massimo Bucchi ieri sul “Venerdì di Repubblica”:
“Più ordine di così si muore.
Poi ci sono gli ordini religiosi, molto attivi al nostro Oriente.
Poi la gente per pregare in Europa sceglie i paesi di clausura, quelli come conventi circondati dai muri.
L’automazione ha un po’ rallentato, visto che la gente costa ormai molto meno delle macchine.
Poi non si usa quasi più il verbo pregare, sostituito da pagare, simbolo di una religione quasi unica.
Le locuzioni “vorrei un posto tranquillo dove pagare” oppure “pago sempre prima di addormentarmi”, sono diventate tipiche del nostro Sud e del nostro Nord, nonché dell’Est e dell’Ovest.
In molte zone l’ordine sviluppa in ordalia.
La gente è serena. Alla frase stai sereno risponde al giornalista ma io sono sereno.
Viviamo nel più ordinato dei mondi possibili.
Comunque viene arrestato chiunque gli si avvicini con un cerino acceso”.

Guida laica alla fede

La “Guida ai Ristoranti di Roma” ricopertinata coi colori vaticani, arricchita da un centinaio di pagine di storie e suggerimenti, ridotta di prezzo. La guida è stagionata, molti esercizi sono stati falcidiati dalla crisi, per esempio le pizzerie storiche del Leoncino  e l’Acchiappafantasmi. E gli itinerari d’autore si mostrano ancora più strampalati – Totti, Verdone, Zingaretti & co., che rendono il caffè a Est, vanno in palestra a Ovest, e cenano a Sud, o anche a Nord. Ma rimane  la più utile, con tanti indici per una scelta agevole – con area fumatori, aperto tardi, domenica, in agosto, con tavolini all’aperto, con buoni pasto, con aria condizionata, per celiaci, oltre che divisa per quartieri e per cucine etniche.
Il centinaio di pagine nuove sono dedicate al Giubileo. Alla sua storia, ai Musei Vaticani, alle “strade della fede”: il business sacro è la nuova frontiera del giornale laicissimo di Scalfari e De Benedetti.
Roma e il Giubileo. Guida ai tesori della città, la Repubblica, pp. 526, ill. € 12,90

Deutsche Bank si difende attaccando

Questo l’attacco due giorni fa sul “Financial Times” di Deutsche Bank contro la Banca centrale europea, e il suo presidente Draghi specialmente, la cui politica monetaria accusa di fomentare la crisi:
“Come acquirente di ultima istanza, la Bce sta minando la solvibilità dei suoi membri troppo indebitati. Paesi (che) non temono più che non riformare le loro economie o non ridurre il debito aumenterà il costo dell’indebitamento. Sei anni dopo lo scoppio della crisi del debito europeo, l’indebitamento totale dell’eurozona continua ad aumentare. Riforme molto necessarie sono state abbandonate.
“L’eurozona è più fragile che mai. I salvadanai della nostra ricchezza, come le compagnie di assicurazione, i fondi pensione e le casse di risparmio, guadagnano appena uno spread positivo. L’inflazione è poco sopra lo zero, molto al di sotto degli obiettivi della Bce. E con la crescita anemica i livelli del debito in alcuni paesi, come l’Italia, non sono sostenibili.
“Peggio, la Bce manca il suo altro dovere statutario – di promuovere la stabilità. “L’opposizione popolare agli interessi bassi o negativi, se combinata con la disoccupazione ancora alta, fomenta la rabbia contro il progetto europeo. Anche se l’attuale politica (monetaria) alla fine portasse all’attesa ripresa, al pressione politica è improbabile che diminuisca”.
L’attacco è mosso dal capo dell’ufficio studi David Folkerts-Landau, che il giornale pubblica in testa alla pagina dei commenti, con una foto grande di Draghi:
“La politica monetaria è diventata la minaccia numero uno all’eurozona. Questo può sembrare contro intuitivo, data la famosa disponibilità della Bce a “fare qualsiasi cosa” per preservare la moneta comune. Ma tentare di stimolare la crescita e l’inflazione con tassi in calo e acquisti di obbligazioni pubbliche, nel mentre che si rimuovono gli incentivi alle riforme strutturali, minaccia una inattaccabile spirale negativa.
………
“Non doveva avvenire. I governi avrebbero dovuto fare le riforme. La Bce non avrebbe dovuto mai usurpare il ruolo di salvatore dell’eurozona e il suo presidente è ingenuo a incolpare i politici per non avere agito. È stato lui a consentire di posporre le scelte difficili.  Peggio, quanto più la politica monetaria impedisce la necessaria catarsi, tanto più contribuisce alla crescita delle politiche puliste o estremiste.
“Che fare? La priorità è interrompere la spirale negativa della fiducia generata dalla moneta in perdita. La Bce deve cominciare a rovesciare la sua politica dei tassi d’interesse negativi. Muoverli in nero accrescerebbe la fiducia in tutta l’eurozona.
“A questo va accompagnato il ritorno a una valutazione del rischio sovrano basato sul mercato, che darebbe ai governi incentivi a fare le riforme strutturali. La Bce deve lasciare ai politici la gestione delle crisi del debito che inevitabilmente ne seguirebbero in certi paesi membri”.
Il testo tradotto è circa la metà dell’originale, ma ne riporta le argomentazioni centrali, che l’intervento ribadisce più volte per un maggiore effetto: la critica alla Bce per i tassi negativi – senza mai dire, caratteristicamente, che la Bce non li ha adottati – e il ritorno a una valutazione “risk-based” dei debiti nazionali. L’argomento in realtà è quello della superiorità morale, contro ogni evidenza. Accollando a Draghi l’insorgenza dei movimenti antieuropei.
Deutsche Bank, dopo le condanne per aver manipolato i tassi euribor, per le quali continua ad accantonare riserve, è sotto osservazione per eccessiva esposizione sui derivati.

venerdì 6 maggio 2016

Quando “Repubblica” non lo diceva

Il terremoto del Friuli, catastrofico, “Repubblica” lo mancò. Era in rodaggio, usciva da tre mesi, e non faceva la ribattuta notturna, per economia, ma un giornale si segnala per i casi eccezionali. Giorgio Tosatti, che stava al piano di sopra, alla direzione del “Corriere dello Sport”, conoscenza di famiglia e come sempre bonario, pure si meravigliò, anche molto, preoccupato più che ironico.
Non fu un incidente. A gennaio 1977, a quasi un anno dall’uscita, non si pubblicherà la lotteria di Capodanno. La cronaca dava fastidio, gli eventi. Il giornale era un progetto politico. La leva di una politica progettuale, professorale. Con un “gruppo dirigente” (terminologia di Scalfari) aloof, invaghito del suo progetto.
Oggi che il giornale è onnivoro, di ogni traccia o dettaglio, benché ancora pregiudiziato, quella “Repubblica” è di strana attrattiva benché “fuori del mondo”. Perché conscia dei suoi limiti? Scalfari si asteneva dalla politica estera, non ne sapeva, non gli interessava (a lungo non seppe cos’era un samizdat, né procurò di saperlo), e dalle questioni etiche (Calvino sull’aborto, sul “Corriere della sera”, mentre “Repubblica” schierava il leggero Arbasino, lo atterrì – riscoprì nell’occasione le giovanili complicità liceali e sanremesi), e non lo riteneva un limite.
Qui c’è anche l’ineffettualità della politica - o subcultura come allora si diceva - laica.

La crisi del debito made in Germany

Si apre a Trani il dossier della speculazione che Deutsche Bank operò nel 2011 contro i Btp. È un primo passo, l’accertamento della decisione di vendere tutti i titoli italiani nel primo semestre del 2011. Altri, più importanti, dovranno seguire. Non sarà facile se ci sono voluti cinque anni per far emergere questo, che è solo evidente – e presso una Procura estremamente periferica.
La vendita, come documentava due anni e mezzo fa “Gentile Germania”, è stata un attacco speculativo contro il debito italiano. Per quattro evidenze: 1) benché massiccia, sette miliardi, si fece scaglionata da febbraio a giugno, per non deprimere la quotazione; 2) a vendita effettuata se ne diede indiscrezione al “Financial Times”, avviando l’ondata generalizzata di vendite da parte degli altri operatori 3) prima dell’indiscrezione all’“FT” Deutsche Bank ha ricomprato i Btp a termine; 4) in parallelo l’ufficio studi di Deutsche Bank mobilitava l’opinione contro il debito italiano, con analisi allarmistiche e le critiche reiterate dell’Ifo di Monaco, l’istituto per la congiuntura (del suo presidente, premio Ehrard per l’Economia, Hans Werner Sinn), della Bundesbank del neo-presidente Jens Weidmann, del ministro del Tesoro Schaüble, e perfino della cancelleria.
Angela Merkel telefonò almeno due volte a Napolitano, e lo fece sapere. La nomina di Weidmann è stata improvvisa, l’1 maggio 2011, forse perché il predecessore Axel Weber non fu disponibile a speculare contro l’euro, come aveva già manifestato nella crisi greca. Il presidente della Banca centrale europea, Trichet, ha in più occasioni ammesso indirettamente di essere stato tratto in inganno, con la lettera dell’agosto in cui mise in mora l’Italia, avviando la seconda grave crisi dell’euro, quella del debito. Numerosi documenti erano reperibili in inglese sul sito Deutsche Bank all’epoca contro l’Italia, che ora sembrano scomparsi.
In argomento v. Giuseppe Leuzzi, Gentile Germania,”, Robin, pp. 400 € 15 - “§ 4. La colpa è dell’Italia”, alle pp. 71-96,  e

Che colpa ne ha l’Europa, del Califfato

Dal Settecento alla nascita dell’Is, il medievista si avventura in una storia politica. Che vede l’Europa dominante e un mondo islamico (arabo, turco, persiano) forzatamente in antitesi. Una storia puntuta, con l’implicita morale che non tutti i torti sono oggi da una parte. Ma non è una novità: se ne discusse e scrisse ampiamente negli anni 1950, col ritorno del mondo arabo a una reale autonomia politica, via l’Egitto di Nasser. Da allora oltre mezzo secolo è passato, di una storia accelerata.
Manca inoltre sempre l’essenziale, in questi saggi “pontieri” o di buona volontà, del “Mediterraneo crogiuolo”. Che il Mediterraneo lo è stato in passato per alcuni millenni, fino alla conquista araba. Dopo non più. Due fronti si sono formati, naturalmente in contatto, più spesso in guerra, qualche volta alleati - ma allora subdolamente: sono stati e restano separati. Il colonialismo è morto da tempo, le sue colpe sono state assorbite, non c’è revanscismo da parte arabo-islamica, c’è voglia di diversità, radicale – cosa c’è di più diverso, inconciliabile, del Califfato? Le due civiltà, europea e arabo islamica, anche turco-islamica fino a Ataturk, si sono caratterizzate per contrapposizione, escludendosi.
Franco Cardini, Il Califfato e l’Europa, Utet, pp. 256 € 16

giovedì 5 maggio 2016

Fisco, appalti, abusi (87)

Acea manda bollette elettriche di 16 pagine. Manda bollette a contratti dismessi da anni. Non fa mai letture, solo calcoli e conguagli. Un’azienda che la sua presidente Catia Tomasetti, un avvocato, vanta come “la più digitale d’Italia”. Forse perché manda solo bollette informatiche, anche alle contadine e alle casalinghe. Un’azienda che più abusiva non si può, ma indenne ai controlli di Consob (è in Borsa) e dell’Autorità per l’Energia – sconsigliati i ricorsi.  

Primaria ditta di underwear, Sloggi per non fare il nome, del gruppo Triumph, vende capi senza la misura italiana. Si potrebbe pesare a una copia. Ma gli stessi capi hanno la misura Australia\Nuoza Zelanda, Canada, la Spagna, etc. Di precisione svizzera, come Sloggi-Triumph Risparmiano sull’inchiostro – una piccola cifra, a un numero? L’Italian on è un mercato?.

Carminati è sotto processo anche per aver mediato un complesso immobiliare di molti milioni di metri cubi, quasi più del giardino che ha cancellato, nella zona residenziale di Innocenzo X a Monteverde Vecchio a Roma. La costruzione, irregolare, era stata bloccata dopo varie denunce e querele dei residenti. Carminati sbloccò la pratica e anzi la costruzione si fece più voluminosa. Con lui è stato arrestato e viene giudicato anche il costruttore, Cristiano Guarnera. Ma il complesso illecito non è stato sequestrato: Guarnera vende tranquillamente, a prezzi anche alti.

Il complesso di Guarnera in via Innocenzo X è ufficialmente sequestrato. È quello che gli inquirenti hanno più volte comunicato. Gli annunci anzi si sono susseguiti a raffica negli ultimi mesi del 2014. Ma il sequestro, se mantiene l’inquisito nella gestione del bene, gliene preclude la cessione. O per Guarnera l’antimafia fa un’eccezione?


Si presenta a Roma un progetto al Pau, dipartimento comunale Programmazione e Attuazione, che su quello convoca la Conferenza dei servizi, una ventina di partecipanti, e stipula una convenzione. E se ne realizza un altro, per materiali, colori, ingombri, solitamente raddoppiati. A Monteverde il Guarnera non è un’eccezione, un altro megaimmobile si costruisce su un giardino in via Monti - altra ex proprietà di suore. E uno ancora più gigantesco all’ex Porto Fluviale. 

Precarietà = populismo = digitale

È il segreto di Pulcinella: “almeno un quarto” della popolazione vive oggi, in tutti i paesi, anche i più ricchi, in condizioni di precarietà: occupazione a termine e occasionale, iperprofessionalità richiesta e inutilizzata, erosione delle aspettative e della personalità, demotivazione. Aggiungendolo a quell’altro quarto, o poco meno, che sono poveri, si possono “raddoppiare” le considerazioni di Standing, lo studioso della precarietà: la civiltà digitale e dell’affluenza per tutti crea povertà e precarietà. Crea cioè incertezza, disillusione, stanchezza, tutto il contrario di dell’innovazione sempre benefica e ricostituente. C ‘è da essere per perplessi del senso della storia, e del progresso.
Un altro dato si può aggiungere all’atlante della precarietà di Standing: principalmente sono le nuove professioni, legate alla civiltà digitale, a imporre l’incertezza. In Italia Eurostat censisce 558 mila precari nell’informatica, tutti giovani.
Il precario di oggi è uno  istruito e specializzato, giovane o giovanile, con retribuzioni incerte e occasionali, e comunque ridotte. Ancora più ridotte considerando la reperibilità costante, senza orario di lavoro, e quindi sena straordinari, vacanze, week-end, e in genere tempo libero. Dirla una schiavitù non si può, il precario è pur sempre libero, ma di fatto sì: una schiavitù senza l’obbligo del mantenimento.
L’esito più interessante della ricerca di Standing è il collegamento fra il precariato e il populismo – fino all’intolleranza. Che domina l’opinione in Europa, e ora anche negli Usa. Standing non può naturalmente anti vedere il fenomeno Trump, ma ne ha censito e analizzato i presupposti.
Guy Standing, Precari. La nuova classe esplosiva, Il Mulino, pp. 303 € 13

mercoledì 4 maggio 2016

Il mondo com'è (260)

astolfo

Corruzione – La borghesia si costituì in Italia impadronendosi della manomorta, soprattutto, e degli usi civici. Questo è un fatto, ed è all’origine - uno dei fattori – della corruzione: l’accumulazione non è in Italia il frutto tanto dell’abnegazione e la fatica, con la fortuna seconda, quanto dell’intrallazzo. Rubando cioè i beni della chiesa, soprattutto. E in alcuni casi della comunità: i diritti comuni immemori di pascolo, taglio, coltivo, rifornimento idrico dei contadini, sui terreni ex feudali, in gran parte demaniali. Con lo sfoggio di etica caratteristico dei corrotti, per esempio nell’antindustrialismo - l’industria la borghesia italiana, quella professionale (giudici, avvocati, burocrati) disprezza perché s’è abituata a guadagnare senza pagare, coi beni della chiesa e delle comunità. 
Si procedette senza neppure ipotizzare la necessaria riforma agraria. I borghesi si appropriarono a poco o nessun prezzo terre e beni che i contadino possedevano, seppure di proprietà degli enti ecclesiastici. Oppure coltivavano gratuitamente.
La manomorta era costituita di beni quasi sempre in uso ai contadini poveri, oppure a beneficio dei poveri e gli ammalati - a Napoli per esempio: il laico Pasquale Villari ne fece l’oggetto di una delle sue denunce più veementi subito, nel 1862, nelle “Lettere meridionali”. Ancora nel “Gattopardo”  Tomasi registrava la manomorta come “il patrimonio dei poveri”.

Le leggi eversive furono dettagliate, e originarono un censimento minuzioso. Di cui però gli elenchi si sono perduti. La vendita si fece, anche questo è certo, senza beneficio per lo Stato.  
L’unico elenco che esiste, ma solo degli ordini religiosi espoliati, è quello ricostruito da Umberto Eco per il “Cimitero di Praga”, del buon re Carlo Alberto, buon praticante, che si prese i beni dei gesuiti, nell’ambito della lotta laica anti-gesuita, ma anche dei “gesuitanti”. A proposito dei quali Eco tenta l’elenco degli spossessati. Propriamente “gesuitanti” erano considerati gli oblati di san Carlo e di Maria Santissima, e i liguoristi. I religiosi cioè attivi nella società. Ma all’elenco furono aggregati, da Carlo Alberto e da Vittorio Emanuele II, anche gli ordini mendicanti, contemplativi, e tutti quanti: canonici lateranensi, canonici regolari di sant’Egidio, carmelitani calzati e scalzi, certosini, benedettini cassinesi, cistercensi, olivetani, minimi, minori conventuali, minori dell’osservanza, minori riformati, minori cappuccini, oblati di santa Maria, di nuovo, passionisti, domenicani, mercedari, servi di Maria, padri dell’Oratorio, e poi clarisse, crocifisse, celestine o turchine, battistine.
Quanto agli oggetti di esproprio l’elenco possibile è nutrito, ma per difetto: furono distrutti i Monti frumentari e il vecchio Credito fondiario, e furono venduti al ribasso i beni ecclesiastici, in aste deserte al prezzo minimo. Dopo la spoliazione delle chiese, ci fu l’esproprio dei conventi, il saccheggio delle casse e le case dei governi destituiti, e a Roma perfino delle biblioteche, al Collegio Romano, a Sant’Andrea della Valle, al museo Archeologico, e del museo Kircher, luogo di meraviglie, l’usurpazione dei beni comunali e dei diritti comuni, di pascolo, caccia e pesca, e di coltivo, la dislocazione delle Opere pie, l’affrancamento dai canoni enfiteutici.
Le leggi eversive non tralasciarono nulla: case, palazzi, opere d’arte, arredi, argenti, i banchi e le campane delle chiese, i libri, i mobili, con i terreni. Un’aggiunta incalcolabile, non disposta ma non perseguita, fu l’appropriazione libera di naiadi, erme, putti, torsi, anfore, colonne, antesignani dei nani nei giardini e nei salotti.

Debito – È stato sempre, da quando è nato in Italia, un onere pesante. Altrove il debito ha una funzione sociale: finanziare i servizi, le opere pubbliche, la difesa, etc. E si determina quando la spesa supera l’attivo, le attività e il rendimento del patrimonio. In Italia non c’è l’attivo. A fine aprile 1861 il ministro delle Finanze di Cavour, Pietro Bastogi, istituì il Gran Libro del debito pubblico, nel quale confluirono i debiti degli Stati preesistenti all’unificazione. Ma non gli attivi: gli immobili, gli arredi, le quadrerie, i terreni, dei principi deposti e le loro corti, e dei principi della chiesa. O, nel caso dei Borboni di Napoli, dell’attivo della finanza pubblica. In dieci anni, dal 1861 al 1871, il Gran Libro registrò un abbondante raddoppio del debito dell’Italia in rapporto al suo prodotto, dal 36 all’80 per cento.

Germania – Olivier Guez, l’autore de “La caduta del Muro”, riscontra in “L’impossible retour, histoire des juifs en Allemagne après 1945”, con elementi precisi (burocrazie, carriere politiche, tribunali), il noto fatto che la Germania ha proceduto a un esame di coscienza sulle responsabilità del nazismo e della guerra solo a fine anni Settanta-primi Ottanta. Quando un ricambio generazionale era intervenuto, con i nati post-bellici - e dopo il cancellierato di Willy Brandt, è da aggiungere. Prima pagava e armava Israele, ma per un sentito comune anticomunista. Così come non contestava l’analisi postbellica di Jaspers sulla Colpa imprescrittibile – la Colpa maiuscola: semplicemente la riteneva un’opinione, di un filosofo.
Guez fa in particolare la storia del giudice Fritz Bauer, ebreo emigrato, che riprese il suo posto dopo la guerra, e si applicò alla caccia dei nazisti colpevoli di crimini, ma era ritenuto un originale e un rompiscatole.  – fu lui a indicare al Mossad israeliano il rifugio di Eichmann in Argentina, dopo che la Germania si era rifiutata di chiederne l’estradizione. Ma più in generale non si era proceduto in Germania a  una denazificazione severa – così come, del resto, in Italia: i gradi alti della burocrazia, compreso il giudiziario, e della stessa politica erano occupati da persone che in varia misura erano state legate al regime nazista. E soprattutto condividevano l’opinione comune, per quanto riservata, che la Germania aveva solo perso la guerra, non si era macchiata di delitti. Gli ex SS erano pensionati, anche in luoghi remoti, mentre non c’erano pensioni per chi aveva praticato la Resistenza o era stato vittima del regime hitleriano.
Sul non perseguimento in Germania di responsabili tedeschi di crimini di guerra molto è stato indagato e attestato negli ultimi decenni da storici tedeschi. Specie per quanto riguarda le stragi in Italia sotto l’occupazione, le meglio documentate. Ma la giustizia è sempre pro reo. Il Tribunale di Kempten, Baviera, ha rigettato nel febbraio 2015  l’istanza di estradizione in Italia di un cittadino tedesco condannato all’ergastolo per strage con la motivazione: la richiesta “non soddisfa i requisiti minimi di uno Stato di diritto”. Anche se le garanzie sono tutte nella procedura italiana a favore dell’imputato. Mentre in Germania chiunque può essere interrogato senza avvocato, non c’è praticamente prescrizione, e non ci sono i tre gradi di giudizio.

Islam – “Se l’islam non è politico non è niente”, è lo slogan del neopresidente islamico della Francia nel 2022 nel romanzo di Houellebcq, “Sottomissione”. Il presidente la Francia con solide politiche, della demografia, dell’istruzione, dopo anni di chiacchiere inconcludenti. Ma, se ha un senso, lo slogan è nel senso della sharia, dell’applicazione delle legge islamica. A cominciare dalla stessa istruzione, che obbligatoriamente deve contemplare l’arabo del Corano. Su base volontaria, ma dirimente, per la funzione pubblica e lo stesso insegnamento. E poi con la condizione generale della donna, con la (non) parità dei diritti, col patriarcato legale, fino alla poligamia.

È sempre stato alternativo al cristianesimo. Si moltiplicano le storie del Mediterraneo come melting pot  tra l’Europa e il mondo arabo, tra il cristianesimo e l’islam. In sostanza, come luogo d’incontro, di coabitazione. Ma non si dice l’essenziale: che le due confessioni e i due mondi si sono mutuamente esclusi. In ogni fase dei quasi millecinquecento anni di storia comune. Non si sono amalgamati, né di fatto e neppure in ipotesi, perché si confrontano sulla base di una inalienabile alterità. Non si è ripetuta nel Mediterraneo post-Roma l’esperienza dell’impero romano, multinazionale e multiconfessionale, perché nessuno dei due fronti ha mai prevalso, e soprattutto perché nessuno dei due fronti ha mai provato a prevalere nel sentito romano, della legge uguale per tutti. Entrambi hanno privilegiato la loro identità, in primo luogo confessionale.
Quando i cristiani hanno messo piede nel Medio Oriente, con le crociate, la loro hanno voluto un’esperienza di conquista, quasi in senso feudale, della costituzione di signorie esclusive. Gli arabi in Sicilia, e nel regno di Granada, e i turchi poi a Costantinopoli, non hanno governato in senso pluralistico, delle molte genti e molte fedi, ma confessionale, le chiese trasformando in moschee etc. La Francia socialista ha tentato nel secondo Ottocento di fare l’Algeria francese, con larga emigrazione, che però non si amalgamò, non uscì minimamente dallo statuto coloniale, dell’occupazione, e della doppia condizione civile – e fu poi evinta con la guerra d’indipendenza 1958-1963.  

Purezza - Simone Weil trova un solo caso di purezza in tutta la storia romana, del padrone nascosto e salvato dalle prescrizioni dagli schiavi, che si consegna ai persecutori quando questi infieriscono sugli schiavi che lo hanno salvato. Nella storia greca, che ammira, non trova, “forse”, di puro altro che Aristide, Dione l’amico di Platone, e Agis il re socialista di Sparta, ucciso giovinetto. Nella storia della Francia, allora occupata dai tedeschi e quindi compassionata, si è no Giovanna d’Arco. Che ci troverebbe di puro nella storia d’Italia, che pure è paese antico, onusto, e libero, da pregiudizi, stereotipi, valori, grandezze? La storia è impura. 

Si usa da qualche tempo la morte quale artificio rivoluzionario: più morti più purezza. Argomento folle. Non fosse una furbata politica. La purezza khmer restaurava il compagno Pol Pot, mite ex studente alla Sorbona di Parigi, col machete in Cambogia – sopravvivevano quattro cambogiani su cinque, una quota alta di adesioni al comunismo per eliminazione. La purezza instaurano i movimenti islamici, col machete e anche col mitra.

astolfo@antiit.eu 

Le culture s’incontravano a Taormina

Storie dell’incontro di due culture, della giovane inglese trapiantata a Taormina alla fine della guerra, per l’eredità ingombrante di un villone con giardino che non sa come gestire, e dei tanti personaggi locali e di passaggio – la villa sarà trasformata in “locanda”. Una vita felice, benché non scelta – quando scrisse questa memoria, nel 1999, Daphne Phelps aveva 86 anni (morirà a fine novembre 2005) – con una serie di familiari, camerieri, cuoche, giardinieri, spicciafaccende, tanto modesti quanto attraenti. Gli anglosassoni di passaggio di riguardo non lasciano buoni ricordi: Caitlin Thomas, la vedova ubriacona del gentile Dylan Thomas, il tycoon “Gaylord” Hauser, che sempre sta per sposare o comunque ospitare Greta Garbo, il botanista Collingwood Ingram,  Tennessee Williams, Roald Dahl.  C’è anche, modesta e molto alla mano, la regina Guliana d’Olanda. E un Bertrand Russell inedito nei suoi ultimi trenta anni, di cui Daphne Phelps fu ospite a lungo negli Usa durante la guerra, e che poi ospitò spesso a Taormina, vittima della terza giovanissima moglie. Gli “altri” sono una galleria di personaggi straordinariamente ordinari. Tutti popolani, compresi i braccianti e manovali che “scoprirono” Gela, capitanati da Dinu Ademesteanu. Personaggi semplici, spesso analfabeti, che però hanno tutti storie complesse, multistrato: singolari, singolarissimi, nella loro insularità, leali all’estremo nella cultura della riserva mentale, pasticcioni e semplificatori – c’è sempre una soluzione.
Più che un omaggio a Taormina, e alle “persone di casa”, la testimonianza è alla fine un quadro non conformista del rapporto padrone-servo. Che è delicato, inventivo, generoso, da una parte e dall’altra, e non rancoroso o distruttivo. Anche negli scavi di Gela: gli archeologi impongono agli scavatori, ignoranti, analfabeti, l’obbligo della scuola serale per l’assunzione, fuori orario, e tutti – quelli che accettano - si appassionano poi al lavoro. Il libro è dedicato a Concetta Genio che per decenni è stata la cuoca, la complice e la “risolutrice” della “signorina”. Che non trova parole sufficienti per dirne la bellezza e l’intelligenza.
La cosa che più sfavorevolmente colpisce Dahne Phelps, tra le tante differenze, è la burocrazia contorta – inutile e contorta: le pensioni sociali e di vecchiaia pagate per esempio in ritardo di anni. E le lettere anonime. Sono due le cose che non digerisce, e sono a ben vedere la vera “linea della palma” che ha sommerso l’Italia - non la mafia come Sciascia ipotizzava:  la mafia produce anticorpi, la “buona ragione” è inattaccabile.

Daphne Phelps, Una casa in Sicilia, beat, pp. 350 € 9

martedì 3 maggio 2016

Piccola Europa Grande Germania

Eurocrash, o Europacrash, i mercati non hanno dubbi: la Germania vuole rompere gli assetti. Un’altra offensiva di cui l’Italia sarà una delle prime e maggiori vittime. Anzi, quasi mirata sull’Italia. Ma Milano non è  sola, il problema non è la Popolare Vicenza.
Il ragionamento è semplice, alla base della reazione dei mercati: Come già col debito, nel 2011, così ora con le banche: la Germania vuole l’Italia in crisi. E non per astratte regole europee, che essa è anzi la prima a infrangere. Ma per la sua forza: politica, da qualche tempo anche economica, dopo la lunga crisi a cavaliere del millennio e fino al 2006, e di opinione, che il governo ha cura di mobilitare.
A che fine ai mercati interessa poco. Agiscono sull’evidenza, e l’evidenza dice che la Germania vuole una sua piccola Europa, una Grande Germania. Si esclude anzi l’Italia come obiettivo diretto di Berlino, se non come esponente di una Europa recalcitrante.
È una offensiva non mascherata, nelle analisi delle maggiori banche. Che i governi Merkel portano avanti con i propri ministri, i leader dei partiti di governo, la Bundesbank, la Deutsche Bank, che col governo federale condivide molte leve, gli economisti della Bundesbank e della Deutsche Bank, e gli apparati d’informazione, del cancellierato, della Bundesbank, del ministro delle Finanze. E con gli organismi di Bruxelles e Francoforte di cui Berlino ha il controllo diretto, e molto anche indiretto.
È il disegno che Berlino chiama “egemonia”, sul quale si regolano i mercati. Che i governi Merkel hanno perseguito con costanza, e sono riusciti a imporre 

I volenterosi esecutori di Angela Merkel

Come già col debito nel 2011, la crisi imposta dalla Germania contro l’Italia, così ora con la crisi delle banche, che sempre la Germania da sei mesi impone contro l’Italia. Con uno spiegamento di forze, e una concentrazione dell’attacco, impressionanti. Una grande cosa - un “evento epocale” -  per l’Italia immensa. Ma non se ne parla. Non nei giornali italiani. Che hanno cinquanta e cento pagine, al giorno, ogni giorno, ma niente per questo – se non per rigirare la frittata: la colpa è dell’Italia, etc. etc..
C’è in Italia una strana voglia di compiacere la Germania. E non per le sue indubbie virtù, ma per la sua forza. Anche, anzi soprattutto, quando la concentra contro l’Italia. Non nei commenti, che, curiosamente anch’essi, latitano, i germanisti hanno le poveri bagnate?, ma sì nelle corrispondenze, da Berlino, Francoforte, Bruxelles, nei reportages, rari, nelle interviste, profuse – genere loffio, le intervista generalmente sono offerte e non rubate, ma non è questo il problema.
Si leggono addirittura bizzarrie, tanta è la voglia di compiacere. E nessuno mai (sì, qualcuno, ma in interventi sporadici, di poche righe, annegate nelle lodi) che colga il momento storico, che pure sarebbe il vero grande scopo di questi anni: che la Germania è ostile. Sì, è nemica.
Dire che la Germania non cura tanto i suoi interessi quanto aggredisce, questa sarebbe la vera notizia. Non da poco. Se anche l’Unione Europea è un campionato, la Germania di Merkel non gioca in difesa, gioca in attacco. Meglio: Merkel ha trasformato l’Unione Europea in un ring, fortemente truccato, nei guantoni, negli organizzatori e negli arbitri. Con molti sottili megafoni, che infettano il pubblico.
Debolezza dei corrispondenti da Berlino, con le loro fonti? Questo è possibile. Ignoranza degli inviati? Incapacità dei desk?  No, i giornali oggi sono professionali: se non il tedesco, molti sanno l’inglese. Sanno di economia. Leggono anche, capiscono – in rete le informazioni su quest “egemonia” sono miriadi, più spesso argomentate, fondate.
È un gioco politico? Nel 2011 si disse che i giornali fecero campagna per la Germania contro l’Italia in odio a Berlusconi che era al governo. È possibile, ma oggi gli stessi giornali sono per Renzi, che tenta di non arrendersi a Merkel. È la cattiva coscienza dell’Italia, quella che non ha fatto i compiti e i mercati, maestri inflessibili, puniscono? Questo non è vero, e i mercati meglio di tutti lo sanno. Che non puniscono l’Italia perché non fa i compiti, li fa, come e anche meglio degli altri,  ma perché la Germania dice che non li ha fatti, e questa è – sarà, prima o poi – la fine dell’euro e dell’Europa. Che Angela Merkel persegue, lo dice anche.
Questa della cattiva coscienza è ragione diffusa. Anche Napolitano nel 2011 se ne persuase. Ma lo è stata, Napolitano sa di aver sbagliato, e comunque molti conteggi sono stati infine fatti e molti hanno aperto gli occhi. I giornali no.
Perché i giornali evitano un tema di giornalismo così enorme e appassionante? Sono del partito della crisi – l’Italia non dev’esssere governata, non deve prosperare, etc.? Incomprensibile. Lavorano per le banche d’affari che li informano – più crisi più profitti? È possibile. Sono pagati? Speriamo di sì.

Problemi di base - 274

spock

Se la necessità esime dall’obbligo – dall’etica

Se necessario è più giusto che giusto

Se è giusto per un figlio imporsi a un genitore, come il genitore si è imposto al figlio

Se è giusto proporre a una persona vecchia e malata di togliersi dai piedi
.
S è giusto farlo con una persona altrettanto malata ma giovane, considerando l’aspettativa di vita un’aggravante

Se è giusto operare di tumore una persona settantacinquenne (Italia)


Se è giusto non operarla (Germania, Olanda et sim.

spock@antiit.eu

Xenofobia contro confessionalismo

L’immigrazione Allievi, già autore di una “Guerra delle moschee”, e Dalla Zuanna intendono di soggetti islamici. Un atlante offrono della presenza islamica, attraverso le moschee, e della resistenza alle moschee, in Europa. Dettagliato. Intendendolo una guida politica all’integrazione.
Fanno anche il caso, dettagliandolo, della xenofobia montante i Europa, propri contro l’islam. Per condannarla. Appena l’altro ieri, Primo Maggio, il partito tedesco neonazionalista Alternative für Deutschland ha chiuso il suo congresso con una mozione che reca alla prima riga: “L’islam non appartiene alla Germania”.
Ma si va in realtà verso due preclusioni. Non c’è solo la xenofobia, c’è anche il fondamentalismo - si diceva confessionalismo – islamico. Proprio dell’islam in tutte le esperienze conosciute, e anche dell’islam in Europa in questi ultimi decenni. La moschea non è solo un luogo di preghiera. È anche un centro politico: per le tante funzioni sociali a essa connesse e, di più, per il confessionalismo che oppone alle leggi europee. In materia di libertà e di diritti civili: del matrimonio (poligamia), della donna, dei figli – educazione, eredità e, soprattutto per le figlie, matrimonio
In un paese quale l’Italia, uscito da poco dal confessionalismo vaticano, il problema non è di interpretazione o di misura, è netto.
Stefano Allievi-Giampiero Dalla Zuanna, Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’immigrazione, Laterza, pp. 152 € 12

lunedì 2 maggio 2016

Letture 256

letterautore


Bellezza – Si direbbe la visione: vedere è tutto, vedere la bellezza. Ma i poeti innamorati, Dante, Petrarca, Shakespeare, Ronsard, sembra non l’abbiano mai veduta. E von Platen: “Chi guarda la bellezza con gli occhi si è già consegnato alla morte”. O Borges, che non è mai stato innamorato: “La bellezza è fatalità più che la morte”. Ma si può dire forse ugualmente finita, con l’amore.
C’è questa maschera di bellezza attribuita al diavolo. Non nuova, non sensata – una cosa non è il suo contrario.

Creazione – “Il futuro della letteratura è femminile”. “L’università è un lavoro come un altro, tipo l’idraulico”. Sono “le leggi della creazione secondo Jeffrey Eugenides”. Leggere per credere, su “La lettura”.
Dice anche, Eugenides: “Mi metto scomodo. E scrivo”.

Fedeltà – È sovversiva in amore – in Adorno, “Minima moralia: “L’ordine della fedeltà, che la società impartisce, è strumento di illibertà, ma è solo nella fedeltà che la società si ribella all’ordine della società”. Capzioso, ma oggi, per esempio, rivoluzionario – anticonformista.

Matrimonio - Il matrimonio fra casalinghi in appartamento è la caccia all’ultimo orso, senza tregua? “Nel matrimonio moderno e nei liberi rapporti di tipo matrimoniale”, argomenta Heidegger, “è molto forte la tentazione di fondersi completamente l’uno nell’altro durante i primi tempi, di far seguire le ultime riserve dell’anima a quelle del corpo, di perdersi in una completa reciprocità. Ma questo non metterà a rischio il futuro del matrimonio?” Lo argomentava per difendersi da Hannah Arendt? Ma è vero che la misura di penetrazione e discrezione è difficile, e non è da escludere quanto il Filosofo insinua, che "due si appartengono qualitativamente di più quanto meno si appartengono quantitativamente, e che molti matrimoni falliscono per poca discrezione”.

Menzogna - “Non bisogna farsi ingannare, a causa della valenza etica negativa della menzogna”, argomenta ancora Heidegger, “sul senso del tutto positivo che essa ha nella strutturazione di determinati rapporti concreti”. Heidegger sa, avendo mentito tutta la vita, con beneficio sicuro di molte allieve, anche se improbabile della verità.
Il riserbo è una delle massime conquiste dell’umanità, insiste il Filosofo: “Possono darsi senza pericolo solo quelle persone che non sono capaci di darsi tutte perché la ricchezza della loro anima si fonda sulla continua evoluzione”. Quelli che scappano, cioè. O i filosofi: “Coloro che hanno inesauribili beni psichici latenti e che quindi non possono rivelarli e donarli in una volta sola, come non è possibile dare assieme ai frutti annuali di un albero anche quelli dell’anno successivo”. Heidegger era detto da giovane “il maghetto di Messkirch”, e per questo è simpatico, perché gli piace.

Purezza – Wagner ci attenta di frequente, attraverso la bellezza e altri inganni. Ma cos’ha Wagner di puro, o gli altri interminabili decadenti tedeschi? Non è buon maestro.
Mai, neppure nei moralisti padri della chiesa, la purezza è opposta alla bellezza. E quindi all’amore, sotto forma di passione - non c’è amore freddo.

Romanticismo – Si collega all’amore, che però ha mortuario. Giace nel loculo in cui lo ha intombato Madame de Lafayette, che ne aveva orrore: si muore d’amore nei suoi geometrici racconti. Mentre prima si moriva correttamente d’amore negato.
È che il romanticismo al fondo è orrore dell’amore e della natura, si diletta masochista sotto lo stimolo dell’avversione.

Shakespeare – Non si dice di lui, non ci si chiede, che cosa vuole dire: tra i tanti classici non richiama l’esegesi. Non è profondo? Lo è in altra maniera, per moltiplicazione e non per compressione. Sono tanti i suoi personaggi, miriadi quelli minori, i “caratteristi”.
Usa anche registri multipli, alti e bassi. Delicatissimi, lievissimi, e bassissimi: tagliateste, ubriaconi, lavandaie, etc. Contemporaneo per esempio nella volgarità - mentre non ci sono più le Ofelie o Giuliette, e nemmeno le figlie di Lear.  
Fu presto riconosciuto come innovatore perché ha innovato radicalmente: situazioni (storie), personaggi e linguaggi, fonetici e drammatici (scenografici, visivi). Non si poneva il suggello dell’arte, un insieme di regole cui obbedire. Si è fatto da sé il suo canone, si può ditre. Che però non è un canone, ma questo è ciò che distingue il genio.
È per questa illimitatezza che è probabilmente autore mondiale. Tradotto in cento lingue, rappresentato nel deserto o nella giungla, da tutti uomini e da tutte donne, in costume dell’epoca ma anche in doppiopetto e nudo, le solite esagerazioni quando un autore domina (crea) le emozioni.

Non ha personalità, e questo è un problema. Quello dei tanti “Shakespeare non è Shakespeare”, ma trecento altri: una personalità multipla. Quasi quanto i suoi personaggi e caratteri. Forse la versatilità, l’inventiva, va con la duttilità – con un ego non impositivo.
Se non è stato censito dai suoi contemporanei, lui stesso, benché autore trabordante e imprenditore di successo, non si è occupato di wikipedizzarsi. Questa “inesistenza” è però il pendant di buona parte della sua “popolarità”, cioè dell’adattabilità. Al di fuori di ogni esegesi – cosa aveva voluto dire Shakespeare, in tutto e in ogni riga e parola – e di ogni “edizione critica”.

Nel saggio shakespeariano sulla New York Review of Books” l'altro mese, Greenblatt richiama la “personalità distribuita” dell’antropologo inglese Alfred Gell. Applicata alle arti visuali ma buona anche per la letteratura. L’abilità dell’artista di modellare un qualcosa, che Gell chiama “indice”, che opererà nel mondo circostante indipendentemente da, e oltre, l’opera e la vita dell’artista. Come se la personalità del creatore, in tutto o in parte, potesse vivere staccata dalla sua persona, dopo la morte e oltre. Spesso non riconosciuta, attribuita, ma fertile.
Questo è probabilmente vero anche da un altro punto di osservazione: un’appendice della liberazione dall’esegesi è la possibilità di leggere (rappresentare) Shakespeare liberamente. La moltiplicazione cioè dei riferimenti e le riprese. Come di un autore metamorfico.

È finito ad aprile il tour di due anni che il ricostruito Globe Theatre di Londra ha intrapreso il 23 aprile 2014, per il 450mo anniversario della nascita dj Shakespeare, portando “Amleto” in giro per ogni paese del mondo. La tornée  non si è segnalata, e anche questo contribuisce al diffuso senso del genio universale – non critico, non murato nell’esegesi.

Spoon River – Fa i cent’anni sempreverde, dopo aver debuttato con immediato e larghissimo successo. Una cornice dantesca, premetteva Edgar Lee Masters, ma senza interpreti, né giudici. Ognuno espone le sue colpe e le sue pene, ed è il primo segreto del successo: la confessione. Ognuno senza esclusione di censo o di ceto: duecento e più lapidi, tutto un paese – lo stesso farà tre anni più tardi, in prosa, Sherwood Anderson, con i racconti di “Winesburg, Ohio”. E il tono elegiaco non guasta. È la ricetta facebook, col ritegno.
Tipografo autodidatta, Lee Masters aveva affinato conoscenze e gusto con la figlia del ministro prebisteriano di Lewistown: colta e sensibile, con qualche problema di salute (morirà a trent’anni). Con la quale veniva legato, ma lui dice di no, in una prosa che dovrebbe accompagnare la ritraduzione della “Antologia”. Anche lui voleva fare dei brevi racconti ma metafisici”, quali gli sembrava di leggere in Poe.


letterautore@antiit.eu

Il cammino degli abbandoni

Prose diverse, alcune – della stessa mano – accattivanti. La storia è composita, su una scaletta di vecchio conformismo di partito (qui si dice emotivo), dagli scioperi delle raccoglitrici di gelsomino a Locri, coltura poi abbandonata, al No Tav, da nonna a nipote. Col miracolo di Alba nel mezzo, dall’abbandono ai grandi vini, a Ferrero e a Slow Food. Coi Templi Laici, il Salone del Libro di Torino e l’alchimia del tartufo in oro. Con qualche prestito - fino al “tamarro”, di ritorno da Milano. E il “cammino della speranza” sui barconi, di Amina che viene dalla Siria. Con omaggio finale, dopo quello iniziale a Carlo Petrini, a Mimmo Lucano, innominato, il sindaco di Riace o dell’accoglienza.
È la storia anche delle fattrici calabresi che il miracolo di Alba rimpolparono con una primavera demografica. Questo non è proprio in linea, i matrimoni combinati tra ragazze calabresi, centinaia, o napoletane, e i contadini del cuneese. Ma per l’essenziale è Radio Tre. Con passi avvincenti: il figlio abbandonato, il figlio ritrovato, e alcune “calabrotte” di Nuto Revelli, “Mondo dei vinti”, “L’anello debole”, che probabilmente ha dato l’appiglio ai “Palanca”. Vera docufiction però quella, molto lavorata, molto pesata, non di eroismi ma di martirii, dramma e non colore – qui si salva, nella melassa, la donna del titolo, che non ha mai riso. Sullo sfondo, i questi pochi pezzi non arruffati, della “madre terra”: una evocazione – inconsapevole? – molto jonica, della divinità femminile e materna, Demetra, Persefone.
Il racconto è folgorante del figlio che non doveva nascere, da un incontro occasionale nei giorni di “passione comunista”, delle “radiose giornate” dannunziane di sciopero, manifestazione, occupazione di terre. Poi subentra la retorica ancien régime:  pugni chiusi, la forza delle parole, la potenza delle rivendicazioni, la fraseologia d’antan - comprese “le emozioni di quelle mattine terse in cui ha scoperto la speranza”: l’ha scoperta Dora, che l’ha pagata con cinquant’anni di solitudine e rimorso. Con un paio di inavvertite verità (contraddizioni). Alba che è più piccola di Locri ed era più povera nel 1945, e ha ora ricchezza almeno dieci volte superiore, e qualità di vita – non ha chiuso le colture, le ha adattate. E il fatto che più colpisce l’emigrato di ritorno, qui moltiplicato per le deprecazioni costanti degli autori: che i buoni in Calabria sono naturalmente i più, e vituperatori taglienti, ma è come se non ci fossero – il mondo è brutto in Calabria non perché ci sono i cattivi ma perché i buoni sono cattivi?
Resta inevaso un proposito: di raccontare la vera storia di un “rapito”. Una promessa di riscatto del “rapito”, che sarebbe stato un caso unico nella trabordante pubblicistica locale, piena di principi e aliena ai fatti – il vizio del vecchio compito in classe. Di uno dei tanti rapiti: legato per tre, quattro, cinque mesi, piegato dentro capanni angusti, solo e in silenzio, con poco cibo e irregolare, che non smarrisce l’umanità. Sarebbe stato forse l’unico atto di rivolta classista, e la rottura della vera omertà. I sequestri di persona, la realtà per alcuni decenni di mezza Calabria, non hanno mai interessato nessuno: non i ricchi, l’abbiamo scampata, né i poveri evidentemente, affari suoi, e nemmeno i Carabinieri, che non hanno mai preso nessun rapitore. Qui dovevano diventare il sequestro della Calabria tutta, “la sofferenza collettiva” di una Calabria che proprio “da allora”, coincidenza o correità, “resta sequestrata, incatenata a una porcilaia, ormai assuefatta alle misere pietanze che i suoi carcerieri le servono quotidianamente”.
Lou Palanca, Ti ho vista che ridevi, Rubbettino, pp. 212 €14

domenica 1 maggio 2016

L’odiosa Europa, o l’Antitalia di Merkel

Ammettiamo per ipotesi che la Russia si squagli. Che Putin si assassinato, che scoppi un ordigno nucleare, che ci sia una glaciazione invece dello scioglimento dei poli, che insomma i 150 milioni di russi, o quanti sono rimasti, emigrino. L’Italia chiuderebbe le Alpi? Non ci penserebbe. L’Italia proprrebbe a Grecia, Croazia, Spagna e all’ubiqua Francia un fronte comune anti-Schengen? No, e se lo proponesse nessuno se la filerebbe. Questo è il senso del fronte comune che Merkel ha voluto con i paesi del Nord Europa e col debole Hollande: un atto odioso, di parte.
Berlino si vergogna di queste misure? Ne chiede venia? Le imputa a una situazione di rischio? Neanche un po’: se ne fa jun diritto.
L’Italia aveva proposto un incontro con i paesi di emigrazione, in Africa e in Asia, per regolare i flussi. La Germania ha detto no, e si è chiusa la frontiera. Dice: il dialogo con i paesi di emigrazione sarebbe lento e laborioso, il nostro elettorato non capirebbe, vuole un no deciso agli immigrati, la xenofobia cresce, e questo è vero.  
Ma il fronte unito tedesco anti-immigrazione indebolisce o alimenta la xenofobia? La ingigantisce. Politicamente, subito, e storicamente: l’Europa di Merkel sarà ricordata per questo – oltre che per gli straordinari surplus commerciali, con sospetto dumping, e arrogantemente anti-Maastricht.
Il fronte del Nord scoraggia l’immigrazione selvaggia? No di certo: non la scoraggia via Turchia, che pure è stata attrezzata per questo da Merkel con bei sei miliardi di tasca nostra. E non la scoraggerà via Libia – tratta che l’Italia da sola era riuscita a chiudere, con esborso minimo (un’autostrada), ma alle “potenze” europee non andava giù e hanno fatto e fanno di tutto per riaprirla.
La rotta balcanica era ed è un fatto. La rotta libica una possibilità. Ma riguarda l’Italia e tanto basta per chiudere la saracinesca.
C’è un’Europa a più velocità, e questa è purtroppo la Germania di Merkel, il suo grande enorme esito: un fronte unito contro l’Italia per un evento possibile. Questo fronte la Germania non ha voluto quando l’immigrazione passava attraverso i suoi satelliti balcanici. Lo ha imposto contro l’Italia, con corredo di scoop giornalistici, forniti direttamente dalla sua segreteria, sui non controlli italiani sugli immigrati.
Meglio la Turchia dell’Italia, questo è lo stato dell’unione.  

Ombre - 314

Roberto Napoletano e  “Il Sole 24 Ore” si accorgono che c’è un Weidmann in giro per l’Europa, e di preferenza in Italia, a minacciare e minare l’Europa stessa. Meglio tardi che mai?
Ancora, però, non si accorgono che il giovanotto non rappresenta se stesso, poca roba, ma Angela Merkel che lo ha messo alla Bundesbank e ce lo tiene, anche se non ha credito.

Hamilton, che aveva problemi solo a vincere, non ne azzecca una. Gioco di squadra, romuovere Rosberg? Improbabile. Vinceva con l’aiutino, che si può ingerire un anno ma non due di seguito?

Tante belle nomine, e importanti, e nemmeno una donna? E le quote rosa, la parità, il femminismo? Non portano voti? Dove c’è da faticare è meglio di no?

Non ha potuto nominare Adinolfi, suo generale di fiducia a Firenze, perfidamente intercettato dagli altri generali, e ha nominato Toschi. Anche lui ex Firenze e intercettato – con Adinolfi. Ma proprio per questo.
Renzi mena schiaffoni alle tante polizie che liberamente si intercettano. Possibile che non gli trovino nulla?

La Germania fa corpo con l’Austria: se i migranti passano dall’Austria in Italia la colpa è dell’Italia. Siamo tedeschi, la razza fa aggio anche sul ridicolo. Poi diranno che non c’erano, non sapevano, non volevano. 

Sette processi a Berlusconi, in sette città diverse, per lo stesso capo d’accusa. Lo ha deciso la giudice di Milano Laura Marchiondelli, su istanza di un pool di tre o quattro sostituti della Procura della stessa città. Non avevano di meglio (peggio) da fare? 

Eravamo a sette spose per sette fratelli. Ora a sette processi per una trombata. È l’aria di Milano? 

A Severgnini riesce l’accoppiata Trump-Berlusconi, su input di “amici americani”. La linea della resistenza si fa transatlantica. Ma Trump ha televisioni, dove esibirsi, per alimentare la fama del  Grande Giornalista come fece Berlusconi?

Berlusconi non è più l’ex senatore, ora è l’ex premier. Si prepara un’assoluzione a Bruxelles? Siamo già a “ridatece er Puzzone”?

Si discute alla Camera di allungare il processo fino a ventidue anni. Senza scandalo di nessuno. Un processo di ventidue anni? Ridicolo, ma anche drammatico: è la “ prescrizione mai” (“fine pena mai” , etc.) voluta dai giudici.

Discutono i Cinque Stelle sull’eredità di Casaleggio. Se e come il figlio Davide deve subentragli. Senza senso del ridicolo, nemmeno loro. Senza che nessuno rilevi il ridicolo. L’Italia che ha sempre riso del potere ora se ne paluda. Sarà il “fascismo eterno”?

Sondaggi alle stelle per Meloni sindaco di Roma. Una di un partito dell’1 per cento, forse. Piace ai giornali, che commissionano questi “sondaggi”, e per quale motivo?
Anche Raggi piace. Ma lei è comprensibile: Cinque Stelle, sondaggi alle stelle.

E cosa propone Giachetti, autocandidato Pd a sindaco di Roma? La legalizzazione del “fumo”, la marijuana. Sembra di sognare.

Così, fatti i conti, si scopre che gli immigrati entrano dall’Austria in Italia, e non dall’Italia in Austria. E sono in piccolo numero, un paio di migliaia, non c’è un problema di ordine pubblico. Ma perché non si vuole prendere atto che gli austriaci sono xenofobi? Non da ora, dai tempi di Haider, quando non c’erano immigrati alle porte – per non dire di tempi più remoti?

Non solo il muro contro la malfida Italia, l’Austria vorrebbe poliziotti suoi in Italia al posto dei poliziotti italiani. Perché i suoi sono migliori. Non è vero, ma questa gente crede quello che vuole. Perché non prendere atto che l’Austria è razzista, come lo era prima della guerra?
C’è un business dell’Austria Felix, ma che c’entriamo noi.

Rassicurante Vestager, commissaria Ue alla Concorrenza, si fa intervistare a quattro mani da Bonanni e Giugliano su “Repubblica”: “Atlante è un modello per le banche”, dice del costituendo fondo salvabanche. Però: 1) aspettiamo notizie, 2) i crediti deteriorati vanno comprati a prezzi di mercato, 3) “non c’è un prezzo di mercato per questo nuovo prodotto, i crediti deteriorati; parte della questione è creare un mercato”, 4) “noi possiamo porre domande, fino ad ora non abbiamo ragioni per farlo”. Così parlano i mafiosi intercettati

Frillo web per il solito video rubato, in cui a Trinitapoli in Puglia, alla riunione delle sinistre per un candidato comune a sindaco. un sindacalista Pd, Antonio Andriano, insulta la candidata di Sel, Anna Maria Tarantino. Andriano si scusa con un secondo video: “Sono comunista e analfabeta”. E spiega: “La Tarantino mi ha chiamato col soprannome che tanto odio: Vidocq. Non ci ho visto più”. L’analfabeta sa di Vidocq. A Trinitapoli si soprannominano Vidocq?

Malinconica parata da qualche tempo di ultrasessantenni (ultrasettantenni?) nelle lettere al giornale dei giornali maggiori. La specialità è sempre stata dei colonnelli in pensione, ma ora non c’è altro. Augias li (e si) camuffa, su “Repubblica”. Quelli del “Corriere” invece Sergio Romano li lascia vagare bradi – sapienti, saccenti, e come si stava bene quando si stava peggio.

Boccaccio al Csm. Una donna non può dire che un attore è bello, se è una giudice: il Csm si riunisce e la punisce. Mentre fa finta di nulla se un giudice va in televisione e sui giornali a dire che i politici sono ladri. Cosa c’è di boccaccesco? La volgarità del Csm, il consiglio della più squallida lottizzazione che si erge a tribunale supremo. Presieduto dal presidente della Repubblica.

La corsa è a fare da megafono a Davigo: i politici sono tutti ladri. Sembrava che Cazzullo ne prendesse le distanze, ma il “Corriere della sera” no, e porta a supporto il giudice Morosini, “autorevole membro” del Csm. Quello che impiantò il processo Stato-mafia.
Lo Stato equiparato alla mafia – compreso dunque Morosini – non si sa se è più stupido o cattivo (mafioso).

Fa senso leggere “Repubblica” e “Corriere della sera” schierati a favore di Raggi, la candidata di Grillo a sindaco di Roma, con falsi sondaggi, cronisti premurosi, confronti dialettici sempre a lei favorevoli, e confronti con gli avversari sempre per lei decisivi. Ma perché i due grandi giornali che fanno l’opinione in Italia sarebbero migliori dell’avvocatessa Raggi, dello studio Previti?

Funzionari in camicia bianca linda e cravatta, funzionarie in niqab di sartoria, e bambine profughe con fioco in testa: accoglienza da fiaba di corte per la cancelliera Angela Merkel: la crisi dei campi profughi siriani è risolta. Il freddo, il fango, la fame? Sembra di sognare.

Un anno e mezzo fa Standard and Poor’s declassò l’Italia a livello poco sopra la spazzatura con questa motivazione: “Non crediamo che la riforma del lavoro creerà occupazione a breve termine. Come conseguenza il già elevato tasso di disoccupazione potrebbe peggiorare”. Poi la disoccupazione è scesa di quasi due punti, e Standard & Poor’s? Che aspetta Trani ad arrestarli per aggiotaggio?