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giovedì 22 aprile 2010

Letture - 30

letterautore 
 
Aretino - È l’autore più contemporaneo, portando sul mondo, come diceva il Raimondi, l’occhio della prostituta – non dell’anarchia, come si dice, ma del rifiuto sociale. Tutto è oscenità: tutto è in vendita ed è venduto, il perverso e il malvagio sono la norma, e anzi l’istituzione, tutto è falso, nulla è sacro. Un buon padre, uno che volesse dare buoni consigli ai suoi figli, dovrebbe esprimemrsi coma la Nanna con la Pippa.

 Autore – È anche i suoi critici, si sa. Ma alcuni autori sono tutto critici. Proust per esempio, Joyce e Musil, autori di un’opera sola, più o meno riuscita, ma molto programmata e “aperta”, stimolatrice cioè dell’attività del critico. Ci sono autori per critici, quelli che si fanno precedere accompagnare dalle poetiche, e altri che restano misteriosi, Kafka, Céline, Pirandello, anche Pound. È uno a cui molti vogliono bene, lettori-spettatori, critici, anche i contrari, editori-produttori, librai. È al centro di una serie potenzialmente sterminata di energie positive. Per questo un autore inespresso, o semplicemente inedito, non è. 

Chandler – Ha introdotto la compassione nel giallo, attraverso con essa al genere nuovi lettori. Ma è anch’egli un giustizialista.  

Cinema - È un sogno che ci scegliamo. E ci godiamo da svegli. Il montaggio, la tecnica della fotografia, il divismo, tutto vi è sogni a occhi aperti. E storie sempre eccessive, anche se anodine. Lo diventano per lo stato di allucinazione in cui lo spettacolo di luce pone lo spettatore per due ore difilate

Confessione – Come genere letterario può essere artificiosa al quadrato: quando non racconta in tempo passato ma al presente storico, per esempio. Questo flusso è nato dalla confessione in analisi, ma il lettore non è analista. O lo è? Si può configurare il lettore come analista, sconosciuto, impersonale, al quale lo scrittore confida fantasmi e fantasie. Taciturno, dà però segni si attenzione in equivoci, indicazioni nette. È per questo che gli scrittori senza lettori si deprimono (ammattiscono) – alcune nevrosi si aggrovigliano nella scrittura-confessione, invece di sciogliersi. 

Manzoni – La sua grandezza è spagnola, dice Anna Maria Ortese in un’intervista nel 1974, quando ancora non aveva accumulato il risentimento contro la capitale lombarda (intervista ora in “Corpo celeste”, p.99): “Getta contro la storia e la sua grandezza la fine polvere della percezione tempo: nulla è vero, tutto passa, tutto cade, tutto muta. Una verità già raggiunta , con altra violenza o nudità, dal pensiero spagnolo (penso al De Quevedo dei Sonetti: “Ehi, della vita nessuno risponde?”)”. 
 
Novecento - È il secolo razionalista, tecnico? O non è il ritorno della magia, della stregoneria? La Bomba, Freud, anche Benjamin, e la letteratura della decadenza, della rivolta? Si dice: la caduta delle illusioni. No, è stato la barricata delle illusioni. Quante delle sue catastrofi sono dovute alla razionalità micragnosa, e quante invece ai sogni di grandezza?

Proust – “Le Magazine Littéraire” di aprile, tutto Proust, aggiorna la bibliografia. Gli ultimi studi ne farebbero uno scrittore per filosofi, e un autore ebreo e omosessuale mascherato. Nell’ottica del minoritario=diverso=rivoluzionario. Sull’autorità di Julia Kristeva, che dice “il problema ebraico” il “segreto di Pulcinella di Proust”. Un'ottica non nuova, Elisabeth Ladenson rivendicava un “Proust lesbico” già una dozzina d’anni fa, ma è un’ottica che si dice proficua per lo scrittore, la “Ricerca” e la letteratura. Che un saggio divertente di Christian Gury sembra confermare, con giochi di parole, rebus e sciarade, su come Proust abbia modellato Charlus, Palamède, Vinteuil, Bergotte, e perfino la tante Léonie, sul maresciallo Lyautey. Oltre che su una serie di giochi osceni di parole su Hubert, il nome del maresciallo, nelle brutte copie dell’opera che la Bibliothèque Nationale viene pubblicando in facsimile, in una serie di un centinaio di volumi. Proust insomma come autore di genere (la “filosofia” di Proust Anne Sauvenargues anzi condensa proprio in questo: “Proust scopre la teoria del genere, giacché, invece di situarsi sul piano delle identità sessuali normate, descrive modi di seduzione a n generi, in cui la parte donna di un uomo risuona con la parte uomo di una donna…”). Dove si conferma che il genere gay non esce dalla buffoneria. Tutto il contrario quindi di Proust. Per il quale essere ebreo e omosessuale non comportava peraltro alcuna nuance nella relazioni sociali: Proust non era un escluso, al contrario. E si avvantaggiava con gli editori di essere un esperto di sodomia, e di sodomiti. Ma si conferma anche che Proust è in tutto e per tutto, nelle tematiche, scrittore di fine secolo. Non fosse che scrive da Proust. Il ricordo non si rivive allo stesso modo, con lo stesso significato, nelle tre diverse situazioni storiche: 1) oggi è come ieri; 2) oggi si stravolge (si cancella) un ieri compatto; 3) oggi come ieri sono in fase di stravolgimento. Proust è del secondo caso, e anche per questo il suo è il romanzo della Belle Époque, il romanzo – scrive durante e dopo la guerra il romanzo di fine secolo. Nella terza situazione sono impossibili soprattutto i compiacimenti culturali (Vinteuil-Fauré, “Vermeer”, Bergotte-France…) che più fanno la meraviglia piccolo borghese. Sul resto dell’opera, l’infanzia, gli amori, l’aristocrazia, può cadere il velo dell’elegia. In un’epoca di crisi prolungata l’esercizio del ricordo va nel senso di ricostituire una tradizione, un prius tribale, e perfino genetico, sui cui (provvisoriamente) ancorarsi. 

Sade – La noia di Sade è accidentale, si è portati a pensare dopo mezzo secolo di sadismo: si eccitava con lentezza, immaginando i minuti particolari, di ogni agente e delle scene d’insieme, dettagli infiniti. Mimando la ripetizione che è propria del sesso, certo, fino all’assassinio – sarà pure così. Un’eccitazione cui la filosofia fa da necessaria pausa. Ma Sade è noioso oltre ogni regola, o trasgressione che sia.

 Sherlock Holmes – Umberto Eco gli trova (“L’agnizione”, in “Il superuomo di massa”) “qualcosa del Monsieur Teste di Valéry”, non del “giustiziere sociale” alla Sue né del “giustiziere individuale” alla Montecristo, poiché “coltiva con passione egocentrica la propria abilità di riprodurre, a livello dei suoi astratti meccanismi mentali, la combinatoria altrettanto astratta di una storia avvenuta prima e di cui il racconto dell’inchiesta (suggerisce Todorov) è la cosciente ricostruzione metalinguistica”. Questo forse nelle “Avventure d Sherlock Holmes”, normalmente il detective non si racconta, è raccontato. Todorov delle “Poetiche della prosa”, che contiene anche un saggio sul giallo. Ma Sherlock Holes è solo simpatico. E lo è proprio per non essere Monsieur Teste: la verità è l’ultima cosa che tormenta Sherlock Holmes, per primo viene il gioco. 

Scrittura – Si scrive per sé, evidentemente, non figurandosi un lettore. Anche nella prosa d’arte, ispirata dalle musa o pure automatica: lo scrittore è un (povero) prestigiatore. le

letterautore@antiit.eu

La menzogna politica è dire la verità

Curiosa inversione del senso di menzogna. Il saggio è sul totalitarismo. La cui menzogna, è evidente, è nella sua essenza anti-popolare, per essere illiberale. È questo, si pensa, che bisogna dimostrare, volendo porsi contro il totalitarismo, che l’assenza di libertà va contro gli interessi del popolo. Invece Koyré si affanna a dimostrare che il totalitarismo è falso perché espone in bella vista, li preannuncia, li descrive, li decanta, gli obiettivi suoi e gli strumenti. Ma questa non è una menzogna.
Alexandre Koyré, Riflessioni sulla menzogna politica

mercoledì 21 aprile 2010

Il "Corriere" non si difende contro Telecom

Massimo Mucchetti scarta. Il suo avvocato ha presentato una memoria veemente contro i giudici dello spionaggio Telecom Italia. Contro i tre procuratori e il giudice che ha accettato il patteggiamento. Un attacco dunque dall’interno del “Corriere della sera”, da uno dei suoi giornalisti più qualificati, contro la spessa omertà ambrosiana, che copre anche gli affari più turpi, fin nei recessi della giustizia. Ma non è la fine del sistema: il fatto anzi si segnala perché il “Corriere” non si difende contro la manomissione dei suoi computer. Né la Rcs contro quella dei computer di Colao, allora suo amministratore delegato.
Colao, vista la mala parata, se n’è subito andato. Mucchetti insiste, certo che c’è una legge a Milano. C’è dunque una bella partita in atto: il commentatore finanziario del “Corriere della sera” contro la giustizia milanese e contro il suo stesso editore. Ma si sa già come andrà a finire, con una separazione, di Mucchetti da “Corriere”.
L’avvocato di Mucchetti porta argomenti che non sarà facile addomesticare: perché la Procura di Milano non ha indagato sui fatti da lui a suo tempo denunciati, perché non ha indagato su Tronchetti Provera, perché il Tribunale ha ammesso al patteggiamento un reato (più di un reato) che non vi ha titolo, e perché, soprattutto, Procura e Tribunale allunghino i tempi, per favorire la prescrizione attesa a novembre. come appunto loe intercettazioni disposte dalla Telecom targata Pirelli. Mucchetti d’altra parte non è la Juventus, né il calciatore Vieri, vittime se si vuole “giustificate” nell’opinione della Milano che conta: è egli stesso parte qualificata di questa Milano. E tuttavia, Mucchetti stesso sembra averlo capito, è un molestatore: non c’è spazio a Milano e sul “Corriere” per i suoi argomenti. Questi non sono argomenti già per il suo sindacato, che sciopera, ma contro un redattore capo che viene da fuori.

Problemi di base - 27

spock

Perché la pedofilia è solo dei preti? Non ci sono anche le monache?

Che sarebbe successo se i militari italiani in Afghanistan avessero occupato e sgomberato un ospedale inglese?

Perché solo il Nord è razzista? Anche in Cina.

Perché solo il bianco è razzista? Anche il bianco dell’India.

Si dice dell’avvocato professor Pardolesi che è un saggio. Perché ha dato lo scudetto della Juventus all’Inter? Gratuitamente?

Perché il processo a Tavaroli si trascina, stanco? Si concluderà con un patteggiamento? Con la prescrizione?

E quello Saras?

La consonante doppia è un allungamento del tempo. Perché i veneti, che allungano il tempo, le hanno semplici?

Perché nei romanzi gli affari vanno male?

spock@aniit.eu

martedì 20 aprile 2010

Napoli sono due, ma tutte a lutto

“Lutto figlia lutto”: il titolo di una novella è tutto. Si legge ancora l'ultimo racconto, "Il bocciuolo", non neorealizzato - una trascuratezza?
Le dodici novelle sono ognuna opportunamente dedicata a uno o due personaggi delle lettere del 1948 o del 1949, Santucci, Anceschi, Prosperi, Pratolini, Causa, Leone Piccioni…
Anche il saggio che i Tascabili Einaudi allegano alla raccolta è trito: “Le due Napoli”.
Domenico Rea, Gesù, fate luce

Il mondo com'è - 36

astolfo 
Banche Usa – Governano il paese. Attraverso l’informazione economica, che controllano. E direttamente, da Washington. I ministri del Tesoro degli ultimi tre presidenti sono stati dirigenti di banca, presidenti o co-presidenti, tutt’e tre della Goldman Sachs: Robert Rubin della prima e della seconda presidenza Clinton, Henry Paulson della seconda presidenza Bush, Geithner di Obama. Un altro Paulson, John, alla Goldman Sachs guadagnò nel solo 2007 quindici miliardi di dollari (di cui quattro per sé stesso) speculando sullo scoppio della bolla mutui non garantiti: è solo un omonimo del ministro, ma dice come lavorava la banca. I ministri del Tesoro raramente sono negli Usa degli economisti o grandi burocrati, normalmente sono uomini d’affari. Ultimamente, prima e anche durante la crisi, banchieri. La democrazia è grande in America. Ma è dominata dagli affari. Indirettamente, attraverso i finanziamenti elettorali, che hanno raggiunto somme spropositate. E direttamente, attraverso la presenza nei posti chiave del governo federale. Meno nei governi dei Bush, padre e figlio, un democratico europeo il primo, un fondamentalista il secondo, con qualche valore suo da salvaguardare. Più con le presidenze democratiche, di Clinton e di Obama. Entrambi portati dallo stesso establishment per gli stessi motivi: giovanili e anche belli, ma soprattutto inesperti e malleabili – “affidabili”. Rubin, co-presidente di Goldman Sachs dopo 26 anni di servizio, fece abolire nel 1999, da ministro di Clinton, il Glass Steagall Act, la vecchia legge bancaria degli anni 1930, che separava le banche commerciali da quelle d’investimento. E lasciò cadere la richiesta di Clinton di regolare la nuova attività dei derivati, la leva finanziaria senza freni che ha condotto alla crisi, argomentando che i derivati erano uno strumento per pochi operatori sofisticati. L’anno scorso è stato licenziato dalla banca Citigroup, dove era entrato dopo il ministero, dapprima come superconsulente e poi come presidente. Ma dopo avere intascato 126 milioni di dollari di competenze. Alla Citigroup si era segnalato nel 2001 per le pressioni esercitate sul Tesoro a favore di Enron, il gruppo dell’energia poi fallito che era grande debitore della banca: Rubin voleva che il Tesoro dissuadesse le agenzie di rating dal declassamento del debito Enron. Paulson nel 2004, da presidente e amministratore delegato di Goldman Sachs, impose alla Sec, la Commissione di controllo della Borsa, l’abbandono dell’obbligo della riserva bancaria anche per le attività di brokeraggio – di investimento cioè per conto di sottoscrittori di fondi. E combatté successivamente con successo altri tentativi di regolazione. Nel 2008, da ministro, varò il superpiano di salvataggio delle banche, di 75, poi mille, miliardi di dollari. Dopo aver lasciato fallire alcun banche concorrenti di Goldman Sachs.

Burocrazia – Quella privata è inflessibile. Unisce alla ridigità dell’organizzazione quella inderogabile del comune sentire, per appartenenza, interesse, dovere: severamente gerarchizzati e tutti per uno. Chi non ci sta automaticamente si espelle: non si possono avere due volte di seguito idee divergenti, spesso neppure una volta. La burocrazia pubblica consente, grazie all’inamovibilità, opinioni differenziate. Grande pregio, anche se ha il difetto di rallentare insopportabilmente sia le decisioni sia soprattutto l’esecuzione (ma il ritardo-rinvio è tipico in particolare dell’amministrazione italiana, e riflette il tentativo, che si dice razionalista pur finendo per essere corruttivo, di eliminare la discrezionalità con miriadi di regolamentazioni, inapplicabili per tortuosità e numero). Il corpo dei Prefetti è molto più libero di quello dei funzionari della Fiat.

Chiesa – È il fantasma dell’impero romano seduto sulla sua tomba, dice Hobbes. Era la chiesa di Gregorio Magno.

Economia - È pervasiva, il linguaggio dell’epoca, ma sempre inerte. Non muta natura per il riesame epistemologico (Foucault), sociologico (Baudrillard), psicanalitico (Bataille), antropologico (Lévi-Strauss, Malinowski), storico (Braudel, Wallerstein). Ma sempre indefinita, o evanescente, come progetto e come capacità di analisi. Più spesso è una teorizzazione, per dare ordine e potere al lavoro dei tecnici, esecutivo. Schemi magari complessi, grazie all’informatica, ma presto obsoleti, nello spazio di mesi. Oppure è fatta di politiche: programmi, piani, accordi, proclami, ideologie e scampoli, moralités, e l’elzeviro immancabile. Gli eventi e i movimenti, oltre che avvenire come sempre, come i fenomeni naturali, fuori dalle capacità di previsione, sono governati fuori dalle sue capacità di analisi: il New Deal come il reaganismo o il thatcherismo. L’economia politica si è sviluppata con l’industrializzazione. Oggi l’industria non è più al centro della vita produttiva, e l’economia politica è in declino. La scienza economica e, era, la scienza dell’industria, da Adam Smith a Marx e Schumpeter? Il presupposto dell’attività economica è sempre lo stesso che a fine Settecento, l’utilitarismo (bisogno, desiderio, individuo, etica del lavoro). Come lo fu per il marxismo mutando l’individuo-nazione in individuo-classe. Ma oggi la produzione e l’informazione sono diffuse, e l’etica dell’accumulazione non è più legata al lavoro. Ci sono più diritti sul mercato. E c’è un mercato legato da altre fonti di equilibrio che non il lavoro: la politica (decisioni, fisco) e i consumi. In realtà sull’accumulazione intesa come risparmio prevale il consumo, che sempre è dissipazione. Una forma di razionalità che la scienza economica continua a non riconoscere, malgrado Mandeville e la “Favola delle api”. Giornalista - Dovendo evidenziare la realtà, è quello che la “vede” meno. Ha questo handicap: ogni evento o aspetto deve rappresentare in modo “unico” (diverso, singolare, brillante, paradigmatico, esemplare….) a scapito del significato d’insieme.

Giustizia – In Italia è fatta spesso d’ingiustizie (scarcerazioni facili, carcerazioni preventive, prescrizioni immediate) in omaggio alla legge. Non è costituzionale ma legale e procedurale. Comprese le pronunce della Corte Costituzionale: referendum, emittenza, diritti sostanziali (perequazioni, pensioni), perfino le Fondazioni bancarie e la Cassa depositi e prestiti. Ognuno vede che questo egalitarismo non è giustizia, eccetto i giudici. Che per nulla al mondo al egalitarismo rinuncerebbero. Televisione – Il suo dominio sula società e la comunicazione è un’illusione, che deriva dalla sua pervasività (aggressività dell’immagine, ripetizione, linguaggio aggressivo). È anche una mania – come di chi pensa che il mondo è diretto dalle puttane, poiché se ne trovano ovunque, o dai massoni, che amano crederlo. È la rete più vasta e pervadente, ma subisce più che imporre: subisce la politica e gli altri interessi forti, dalla banca al calcio, e gli stessi linguaggi e la moda. Non si è potuto fare un Pivot in Italia. E un Panariello proiettato in America non farebbe ridere. Berlusconi ha vinto malgrado la tv, dove appare imbalsamato e inaffidabile. Il mezzo è il messaggio è vero, per la tv come per internet, ma solo in piccola parte: per i deboli che comunque sono soggiogabili (mobilitabili, anche tramite sms: i girotondi). 

astolfo@antiit.eu

lunedì 19 aprile 2010

Il treno Ds è passato

Il Pd targato Ds è un treno che è passato? Lo pensano gli ex Dc, di varia ascendenza. Lo pensa e lo ha detto Prodi. Lo pensa Fioroni e tutta l’ala che guarda all’Udc. Lo ha detto a suo modo Rutelli, che si è posizionato per una disintegrazione-reintegrazione ritenuta inevitabile del Pd. Dopo le Regionali, fatti i conti, gli ex margheritini ritengono di essere la sola parte che abbia una prospettiva. Gli ex diessini hanno tenuto i loro feudi, con qualche perdita, seppure contenuta. Ma dove il Pd ha guadagnato, in voti per i consigli, e anche qualche sindaco, è stato grazie ai listini e ai candidati ex margheritini. Lodi e Lecco, piazzeforti leghiste, hanno ora un sindaco democratico grazie al candidato ex popolare. La consatazione è legata alla considerazione che il Pd è nato per recuperare vero il centro, il voto impegnato ma moderato.
Sarà anche vero, come vuole Paolo Franchi, che troppi sessantenni fanno da tappo nel’ex Pci. Ci sarà cioè un problema di rinnovamento generazionale. Ma gli ex Margherita vanno più in là: è la cultura politica che a loro avviso più non regge. E qualcuno lo dice anche: la cultura del partito che tiene il sacco agli affari. Ciò porterà, si dice anche, il favore dei media e la cosiddetta opinione pubblica. Ma, evidentemente, non i voti: è di fronte a tale “cultura” che molti elettori preferiscono starsene a casa.
Perplesso è anche il mondo degli affari. Nella Padania non soltanto, come si desuma dal voto, ma anche a Roma e, un po’ meno, Firenze e Bologna, a lungo luogo privilegiato dell’efficienza dell’ex Pci. Da intendersi come capacità di garantire gli impegni: è questa la modernità cui i delfini di Berlinguer con cinismo, e la benevolenza delle Procure, si sono dedicati. Come il partito che mantiene gli impegni, con i costruttori, gli appaltatori, gli immobiliaristi, i grandi interessi commerciali, i risikatori bancari, e la cosiddetta nuova razza padana, le cricche alla Gnutti-Colaninno. L’ex Pci delivers sempre meno.

Secondi pensieri - (42)

zeulig 

Consolazione – Se è una virtù, è molto comune. È di tutte le religioni. E anche degli animalisti, i naturalisti, i consumatori di massa, nonché degli shoppers - Sophie Kinsella non fa che consolarsi. Di una perdita evidentemente. È la perdita connaturata all’uomo, la caduta? 

Cristianesimo – Tutto vi è Amore. Ma una buona metà del tutto ne è esclsuo, i sensi. O vede l’Amore come Morte? Eros-Thanatos, quanto è greco (Platone, “Simposio”), e quanto ellenistico-giudiaico? È piuttosto una religione della Morte. Della “buona Morte”, per la “vera vita”, l’accettazione cioè dell’ignoto, l’“aldilà. La sua tradizione è irreligiosa. Non le cose tramandate (le scritture, i miracoli, i dogmi), ma la tradizione come determinazione: il Messia è contro Dio. Filosoficamente sarebbe la fine della storia (del tempo). Impensabile. Teologicamente depriva Dio di se stesso, cioè della rivelazione (la grazia). Dio non può rivelarsi secondo una cronologia, una geografia e una tribù. Per essere divina, la rivelazione non deve essere esclusiva. La Chiesa ha forse cominciato ad accertarlo, con l’ecumenismo del concilio Vaticano II, la pari dignità delle religioni monoteiste. Ma è possibile storicizzare le scritture? Bisognerebbe storicizzare Gesù, cioè il Messia. L’ecumenismo cristiano avrà semrpe un limite, nell’adeguamento dell’essenza del divino, poiché la sua rivelazione è ancorata alla divinità del profeta. L’uomo-Dio ripiomba la religione nell’empietà? È tale il fascino di Gesù e dei vangeli da consentire al cristianesimo di superare questa incongruenza, e l’attività della Chiesa. Ma è un’attrattiva che sconfina nel mistero. L’uomo senza Dio (l’uomo empio), dice Rosmini nella “Storia dell’empietà”, si cera delle divinità frutto della propria immaginazione. Ma rivelare la divinità non è peggio? È voler imporre la propria immaginazione. Le Chiese cristiane si pongono (si differenziano, s’identificano) sul piano politico. Avendo decretato la fine della storia, si occupano di tener buona l’ecclesìa. In teoria sono guardiane della morale, ma hanno principi onfivaghi, anche poco ragionevoli, perfino immorali. Mentre la loro teologia è formale: non si occupa di Dio ma di questioni ipotetiche. È una forma di logica. 

Identità – Kurosawa termina “Sogni” in allegria con un funerale. È una festa perché la morte di ognuno, come ogni altro evento o atto, è un fatto sociale. L’uomo vive con gli altri, la sua individualità non è la solitudine. Ibsen, Pirandello, e Sartre dell’inferno sono gli altri (e Freud) leggono la stessa situazione al rovescio: l’individualità come destino tragico, impossibile. Venendo al termine di un sentiero individualizzante fino ad allora inesplorato. La scissione cresce, non si risolve, con la vita solitaria – che non l’ozio riflessivo di Petrarca.

Potere – In sé è vuoto, è una pippa. Come fatto relazionale può far male, e qualche volta bene. Ma è negativo. Deve cioè distruggere, la sua natura è non tollerare altri poteri. E si esercita consumando i beni o le energie degli altri. È lo spirito creativo, dice Jünger, distinto dalla forza, che è lo spirito imitativo: l’uno domina, l’altro lavora. Ma il potere è vuoto. Se non lavora: non progetta, non trama, non distrugge.

Pubblicità – Inducendo al bisogno delle cose - non al piacere, al bisogno - è la prima forma di cancellazione radicale di Dio: l’incertezza è tra le cose. Radicale, cioè psicologica, della forma mentis.

Rimozione – È un diritto della memoria, cioè della vita. Un diritto di libertà, dopo la liberazione dal male. Ci si libera di certi ricordi con lo stesso diritto che abbiamo di non tollerare le zanzare, o gli odori o i fumi infetti. La vita essendo una sommatoria di esperienza, ci sono i più insieme ai meno. Dice Freud: rimuoviamo le rimozioni che danneggiano il paziente. Ma prima lo deve annientare, con la umiliante esposizione di ogni rimosso, a scadenze periodiche, non disdettabili, onerose. 

Santità – Santifica l’orgoglio. 

Selvaggio – È il pensiero. È l’uomo, e la storia. È la civiltà: l’automobile (morti, fumi, rumori), la città, la fabbrica, la chiesa, la stessa famiglia, nulla d’illuminato o saggio in tutto ciò. È la realtà. Anche quando è burocratizzata alla Hegel, ordinata, programmata. La razionalità è una filigrana, persistente ma caduca. Il buon selvaggio è mito (artificio) retorico. L’uomo è la sua memoria, anche culturale, di più biologica, e sa usare le cose. È una personificazione della natura, che però non è buona, né cattiva. Usa e si usa anch’essa, ma con un tempo non tempo – non storico – e senza giudizio. 

Sentinenti – Sono il fare spirituale. 

Snobismo – Ora è piccolo borghese: - Il barista contro il popolo dei buoni pasto - Il tour operator contro il turismo di massa - Il ristoratore contro chi non beve (prima contro chi beveva) - Il parroco contro le donnette, gli ignoranti, i beghini, i mendicanti - Il giornalista verso i pensionati che scrivono al direttore - Il professore verso le allieve senza glamour L’élite si forma per misantropia. Nelle città del silenzio. 

Storia – Muta costantemente: mutano gli eventi, che sono narrazioni (ricostruzioni). È, anche, l’oblio. Ma non per questo cessa di essere stata, di essere. È sempre storia di gesta eccezionali. E privilegia le opere di virtù e conoscenza: quelle legate al mestiere di scrittore, le arti quindi e la filosofia, compresa la politica, e quelle dei notabili fino al secolo passato, sacerdoti (santi) e condottieri. Può anche essere di settore o genere, da uno speciale punto di vista. Non c’è una storia generale che faccia perno sulle imprese e gli imprenditori, che pure da un paio di secoli fanno gran parte della vita associata, compresi gli orizzonti dei singoli. Un Erodoto di oggi sicuramente darebbe loro il primo piano, anche per il peso che hanno nelle decisioni politiche e militari. Sono alcun i millenni che la storia non si rinnova: è rimasta ai modelli di Erodoto e Tucidide, con qualche cattiveria tacitiana. 

Strutturalismo – È legato al cinema, nasce col cinema. Dove l’effetto estetico o emotivo non è del singolo evento o particolare ma dell’insieme. Lo stesso del romanzo ma accelerato: vissuto e metabolizzato (catarsi) in blocco e non ripensato o congetturato man mano. È proprio di un sapere metodologico, incapace di entrare nella verità, che sono i fatti e le persone – moventi, emozioni, desideri. È quindi una regressione. In chiave di modernizzazione, o storia ascendente, è l’inizio di una storia nuova: le cui premesse sono però fiacche: uniformità e ripetitività, per il progetto di spassionatezza – perfino le difformità (eccentricità, novità), vi sono scontate, le noiose agudezas

Utilitarismo – Urta contro l’inutilità della vita. E viceversa: rende la vita “inutile”.

zeulig@antiit.eu

domenica 18 aprile 2010

Irène romanziera del cuore

L’ennesimo romanzo di costumi. Sull’amore che è follia. Che si fa e si disfa a caso, anche nell’adulterio, anche in casa. E c’è quando non c’era. Con gli inevitabili problemi di salute, età e soldi. Questo “Due”, pubblicato a marzo del 1939 e rimasto fuori dal revival fino a questa traduzione, conferma Némirovsky quale scrittrice intimista. Fu presentato dall’editore, dice il risvolto, come “il primo romanzo d’amore di Irène Némirovsky”, ma potrebbe esserne il racconto tipo. I soliti giovani ricchi e sfaccendati pensano all’amore, tra i diciotto e i trent’anni. Dopo la guerra, altro topos frequente in Némirovsky, quando anche lei aveva vent’anni. Quando tutto sembra possibile, nella disattenzione che non sia voglia di vivere – farsi abbracciare, abbracciare, aspettare, congetturare.
Si può anche dire Irène Nèmirovsky romanziera del cuore. Di figlia, madre, sposa, giovane amante trepida. Segnata dalla guerra ma giusto come tempo del mondo, per sottolineare il grande dono che l’ananke porta a trascurare. Di cifra però superiore, che ne spiega la forza persistente: i suoi romanzi e racconto sono sempre una sorta di "vita quotidiana" del tema che trattano. Qui del matrimonio, di lei e di lui, e dell'adulterio, sempre di entrambi: un manuale pratico, se non è la sociopsicologia.
Sopraffatta nel revival dalla questione ebraica e dalla sua fine a Auschwitz, Irène Nèmirovsky è scrittrice aliena in certo senso dalla storia. Non dalla guerra, la rivoluzione, la persecuzione, il razzismo, ma innamorata della vita e di questo solo in fondo curiosa: in particolare delle incertezze dell’amore, della coppia. Per un neo lettore di Némirovsky, un lettore del ripescaggio, il libro si segnala per il contesto che manca. Nel marzo del 1939.
Irène Némirovsky, Due, Adelphi, pp. 237, € 18,50

Vite inutili di letterati a Milano

Un racconto crepuscolare, dell’innamoramento di una scrittrice, che vince il secondo premio al Viareggio 1955. In realtà un Premio speciale per “Il mare non bagna Napoli”, della stessa Ortese. Ma l’ha già speso, i soldi non bastano mai. Con un titolo anche anni Cinquanta, il genere “Poveri ma belli” – col quale vincerà lo Strega 1967. Nel filone del neorealismo, nel quale la narratrice si colloca. Con inni al “buon Comunismo” e alla “buona America”. A chiave, ma non appassionante. C’è non menzionato Repaci, “un signore dagli occhi chiarissimi e quasi furiosi”. Di Pratolini, che vinse quell’anno il Viareggio con “Metello”, la narratrice dice più volte di non ricordarsi il nome.
Anche Viareggio non c’é. Dietro il premio ci sono capanni e sterpi. Milano è invece qui ancora ridente, e anzi propiziatoria, nei giardinetti, nelle nuvole, negli alberi sui terrazzi. Nella piazzetta di Santa Maria San Celso. Per la città c’è anzi, retrospettivo, molto amore. Anche per la luce bianca (e nera) delle sue estati (“Il cielo continuamente tuona. Ma la bufera non scoppia mai”). Ma è già qui un alternarsi di disgrazie. Un basso continuo, greve, di cui le gioie sono premonitrici.
Più che neorealista, è una storia proprio pratoliniana. In ambiente artistico, quindi senza corpo. I mesi scandiscono la storia. I libri: la scrittura, la pubblicazione, i critici, gli introiti magri. E i premi letterari: le candidature, le rose, il vincitore. Di cui ciò che conta sono solo i soldi. Su cui la disperazione è intessuta, ma per ciò stesso evidentemente da “vite inutili”.
Anna Maria Ortese, Poveri e semplici